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CONFEDERAZIONE NAZIONALE SINDACATI FASCISTI PROFESSIONISTI ED ARTISTI ATTI del Sindacato Provinciale Fascista degli Ingegneri di Torino e del Sindacato Regionale Fascista degli Architetti del Piemonte BOLLETTINO MENSILE - Anno VI N. 3 Conto Corrente con la Posta Marzo 1932 - X

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CONFEDERAZIONE NAZIONALE SINDACATI FASCISTI PROFESSIONISTI ED ARTISTI

ATTI del Sindacato Provinciale Fascista degli Ingegneri di Torinoe del Sindacato Regionale Fascista degli Architetti del Piemonte

BOLLETTINO MENSILE - Anno VI N. 3 Conto Corrente con la PostaMarzo 1932 - X

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Atti dei Sindacati Fascisti degli Ingegneri di Torino e Architetti Piemonte 1 —— 1

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— 2 2 —Atti dei Sindacati Fascisti degli Ingegneri di Torino e Architetti del Piemonte Atti del Sindacato Fascista degli Ingegneri di Torino e Architetti del Piemonte 3 —— 3

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— 5Atti dei Sindacati Fascisti degli Ingegneri di Torino e Architetti del Piemonte Atti dei Sindacati Fascisti degli Ingegneri di Torino e Architetti del Piemonte

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7 —Atti del Sindacato Fascista degli Ingegneri di Torino ed Architetti del Piemonte

Atti dei Sindacati Fascisti degli Ingegneri di Torino e Architetti del Piemonte

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Atti dei Sindacati Fascisti degli Ingegneri di Torino e Architetti del Piemonte 9 —— 9Atti dei Sindacati Fascisti degli Ingegneri di Torino e Architetti del Piemonte— 8 8 —

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10 — Atti dei Sindacati Fascisti degli Ingegneri di Torino e Architetti del Piemonte 10 — Anno VI - N. 3 - Marzo 1932 - X Confederazione Nazionale Sindacati Fascisti Professionisti ed Artisti Conto Corrente con la Posta

Atti del Sindacato Fascista degli Ingegneri di Torino e delSindacato Regionale Fascista degli Architetti del Piemonte

La civiltà moderna non si spiega se si prescinde dall'opera dell'ingegnere - M u s s o l i n i .

C O M I T A T O D I R E D A Z I O N E

Dott. Ing. GIOVANNI BERNOCCO, Presidente e Direttore responsabile Dott. Arch. ARMANDO MELIS DE VILLA, v. PresidenteDott. Ing. GIOVANNI BERTOLDO - Dott. Ing. FEDERIGO BRESADOLA - Dott. Ing. ATTILIO CAGLINIArch. VITTORIO MESTURINO - Dott. Ing. ETTORE PERETTI - Dott. Ing. ARDUINO QUADR1NI

Dott. Ing. CARLO CAMINATI, Redattore capo

S O M M ARIO

PARTE I

Ufficiale del Sindacato Provinciale Fascista Ingegneri di Torino

Dott. Ing. Alberto Pozzo - Comunicazioni della Segre-teria Nazionale - Gruppi Regionali Stradali - Gruppiper l'ingegneria applicata all'industria.

PARTE II

Ufficiale del Sindacato Regionale Fascista Architetti del Piemonte

V Esposizione Internazionale delle Arti Decorative eIndustrie Moderne dell'Architettura Moderna.

PARTE IIIAttività dei Gruppi Culturali

Sulla crescente importanza tecnica dell'illuminazione -Carlo Bernardo Mosca e il suo ponte.

PARTE IVRubrica tecnico legale corporativa

Sulla responsabilità penale nella legislazione sugli infor-tuni nel lavoro.

PARTE VRassegna tecnica, notiziario, listino prezzi, appendice bibliografica

Gli acciai inossidabili e le loro più recenti affermazioni- Bibliografìa - Listino Prezzi (Redazione Ufficialedei Sindacati Ingegneri ed Architetti di Torino).

Affogliaziona secondo il sistema " I T A N I M A C , , » fascicoli scomponibili

Le opinioni ed i giudizi espressi dagli Autori e dai Redattori non impegnano in nessun modo i Direttori dei Sindacati, nè i Sindacati stessi.

Il presente Bollettino viene inviato gratuitamente a tutti gli iscritti al Sindacato Prov. Fasc. Ingegneri di Torino ed al Sindacato Reg. Fasc. Architetti del Piemonte

DIREZIONE, REDAZIONE, AMMINISTRAZIONE - TORINO - VIA XX SETTEMBRE 36 - TELEFONO 47-682

S t a m p e r i a Aldina - Torino - C o r s o A l t a c o m b a 74 - Telef. 7O.939

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Marzo 1932 - X Confederazione Nazionale Sindacati Fascisti Professionisti ed Artisti Anno VI - N. 3

PARTE PRIMA(UFFICIALE)

Atti, deliberazioni e comunicazioni del Direttoriodel Sindacato Fascista degli Ingegneri di TorinoGli ingegneri hanno una funzione prevalente nella Società moderna per ragioni evidenti, e meritano di avere quel

prestigio che tutti riconoscono, perchè dalle Scuole Italiane, dai Politecnici sono usciti ingegneri dì marca, inge-gneri di prima classe. MUSSOLINI

Dott. Ing. ALBERTO POZZOLa immatura perdita del compianto Dott. Ing.

Alberto Pozzo ha privato la Tecnica nostra di unappassionato cultore, la nostra famiglia di uno deimigliori di noi, ed il suo ricordo rimarrà incan-cellabile in quanti ebbero il bene di conoscerlo, di sti-mare le sue alte qualità di cuore, di ammirare la suavasta cultura, la sua serenità di giudizio.

Nato da famiglia di vecchi costruttori, fece i suoistudi nella R. Scuola di Ingegneria di Torino, laurean-dosi nel 1903, primissimo fra quelli del suo corso,all'età di 22 anni appena ed ottenendo i pieni voti ela lode.

Aveva iniziata la sua carriera con tutto il suo giova-nile entusiasmo specializzandosi nelle costruzioni in ce-mento armato e dopo un brevissimo tirocinio presso unaditta cittadina, intraprendeva la libera vita professio-nale. Fu un progressivo incremento che Egli diede allecostruzioni in cemento armato, che si può dire nacquerocon Lui e con Lui si svilupparono portandosi all'attualegrado di evoluzione. Delle incertezze dei primi tempiEgli fu assiduo ricercatore, i suoi cantieri furono con-tinui laboratori di ricerche, i suoi studi continue analisie tentativi teoretici. In questo frattempo Egli si formòuna profonda cultura tecnica, operò e tentò sempre cosenuove in tempi in cui esse sembravano ardimenti, e fuin certe cose un precursore, intuendo quanto i progressidella tecnica ci avrebbero col tempo fornito. Il Suo ri-cercato parere era di conforto a quanti tentavano cosenuove o nuove applicazioni costruttive, a Lui ricorre-

vano ì giovani per incitamenti e consigli e trovavano inLui il Maestro profondo ed il sicuro costruttore.

La sua fama di tecnico provetto varcò ben presto iconfini della Patria, tanto che nel 1913 ebbe così lusin-

ghiere proposte da parte del Governo di S. Paolo delBrasile da indurlo a lasciare il suo paese per portare inquelle lontane regioni il contributo del suo vivido in-gegno ed assumere la cattedra di Scienze delle Costru-zioni del Politecnico di S. Paolo. Ed ivi la competenzasua ebbe modo di affermarsi sia nella scuola, che lo

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Atti dei Sindacati Fascisti degli Ingegneri di Torino e Architetti del Piemonte 14 —

ricorda ancora con affetto e con rimpianto, che nei nu-merosi e complessi incarichi affidatigli dal Governo lo-cale e da privati.

Abbandonò il lontano Brasile per ritornare in Patriaall'inizio della guerra. Quale ufficiale del Genio, spro-nato da un ammirevole senso del dovere, portò tutto ilcontributo del suo sapere per la vittoria delle nostrearmi. Si meritò intera la stima e la fiducia delle supremegerarchie, che gli affidarono numerosi incarichi di in-dole delicata, assolvendo i compiti affidatigli con sommointelletto e con indomabile energia. Pur fra le mansionidel suo ufficio trovò modo di esplicare tutto il suo in-gegno per la ricerca di mezzi che rendessero più fortii nostri armamenti, e colla collaborazione del ProfessoreG. Colonnetti, inventò un genialissimo apparecchio peril collaudo dei proiettili d'artiglieria che fu adottatodal nostro esercito e da quelli alleati.

In riconoscimento dei suoi meriti ottenne una promo-zione a scelta e venne insignito di una alta onorificenza.

Al termine della guerra, sollecitato a tornare in Bra-sile per riprendere l'interrotto insegnamento, preferìrimanere fra noi, per vivere la nostra passione del dopoguerra, per cooperare con noi tutti all'avvento di tempimigliori e di migliori nostre fortune.

Nel frattempo veniva incaricato di reggere la cat-tedra di Meccanica Applicata presso la R. Scuola d'In-gegneria di Pisa pur continuando la sua attività di ri-cercato professionista e di appassionato costruttore.

A Lui si debbono nel dopo guerra, fra i molti inca-

richi ricevuti, il compimento della grandiosa Cattedraledi S. Paolo del Brasile, già da Lui iniziata nel 1914,numerosi progetti affidatigli direttamente dal Governodel Brasile stesso, lo studio della Bonifica di Coltano,quello dell'Impianto Idroelettrico di Mazze, e di nume-rose ed ardite opere dell'Impianto Idroelettrico delTirso. Queste fra le opere maggiori. Una serie ininter-rotta di costruzioni da Lui studiate e compiute, nume-rosi e complessi incarichi affidatigli dall'autorità giudi-ziaria, molte pubblicazioni e memorie sulla scienzadelle costruzioni, la fiducia in Lui dimostrata dall'au-torità governativa chiamandolo a far parte autorevoledi numerose Commissioni, attestano le preclari virtùdello Scomparso, la profondità della sua cultura e laSua tenace ed instancabile attività.

La sua rara competenza ebbe coronamento nellostudio delle opere di consolidamento della Mole Anto-nelliana in cui emersero tutte le sue qualità di preveg-gente, ardito e sicuro costruttore, unendo alla certezzadelle sue previsioni, la sicura nozione del complesso pro-blema statico da Lui così brillantemente risolto. Ed èdoloroso il pensiero che il destino gli sia stato tantoavverso da impedirgli di raccogliere il premio meritatodi poter vedere compiuta questa sua ultima opera nellaquale aveva posta tutta la sua grande passione di co-struttore.

Il Sindacato Fascista Ingegneri, che lo ebbe membroautorevole del suo Direttorio, ne ricorda la memoria,a tutti i colleghi.

Atti dei Sindacati Fascisti degli Ingegneri di Torino e Architetti del Piemonte 15 —

COMUNICAZIONI DELLA SEGRETERIA NAZIONALE

Circolare n. 2258. Roma, 2 Marzo 1932-X

OGGETTO: Tariffe Giudiziarie.

A tutti i Segretari Provinciali del Sindacato FascistaIngegneri.

Il Ministro di Grazia e Giustizia interessato nuova-mente da questa Segreteria Nazionale sull'aumento deicompensi per i professionisti riflettenti le perizie giudi-ziarie così ci scrive in data 25 febbraio 1932 :

« Onorevole Camerata,

«in risposta alla gradita sua del 12 gennaio u. s. Le« comunico che la questione concernente l'aumento dei« compensi ai professionisti nelle perizie giudiziarie fu« sollevata dal Ministero delle Corporazioni nel 1930« e venne risoluta in senso negativo da questo della« Giustizia.

« Fu in merito osservato che il compito peritale,« rientrando nella normale attività del professionista,« viene dal legislatore retribuito solo in relazione al« tempo impiegato.

« Questo criterio appare giusto ed opportuno, poi-« chè qualora le operazioni peritali richiedano lunghe« e particolari indagini, il magistrato, ammettendo un« maggior numero di vacazioni, può sempre liquidare« un compenso adeguato al lavoro effettivamente com-« piuto. E' data infatti al giudice la facoltà di spaziare« tra un minimo ed un massimo nella determinazione« delle vacazioni.

« Fu rilevato inoltre che l'elevazione delle tariffe« giudiziarie del 1865, effettuata con la legge 20 luglio« 1922 n. 995, si dimostrò enormemente onerosa per« l'Erario, sì da consigliarne dopo pochi mesi la ridu-« zione con il R. Decreto 23 maggio 1923 n. 1043, attual-« mente in vigore per la materia penale, mentre per la« materia civile le tariffe furono elevate di un quarto« col R. Decreto-Legge 15 ottobre 1925 n. 1841 conver-« tito nella legge 10 giugno 1926 n. 959.

« Pertanto non sembra consigliabile gravare le parti« di maggiori spese, estendendo cioè alle perizie giudi-« ziarie civili le tariffe professionali, le quali sono molto« elevate, tanto che nella pratica raramente vengono« applicate nella misura integrale stabilita dai Sinda-« cati.

« Cordiali saluti« f.to Rocco ».

// Segretario Nazionalef. Dr. Ing. EDMONDO DEL BUFALO.

Gruppi Regionali Stradali

Sedi, Giurisdizioni e Reggenti

ANCONA: Ascoli Piceno - Macerata - Pesaro Urbino— Ing. Giuseppe Barbalarga.

AQUILA: Chieti - Pescara - Teramo — Ing. Prof. Vin-cenzo Di Nanna.

BARI : Brindisi - Foggia - Lecce - Matera — Ing. Comm.Eugenio Grà.

BOLOGNA: Ferrara - Forlì - Modena - Parma - Pia-cenza - Reggio Emilia - Ravenna — Ing. ProfessoreFrancesco Balatroni.

CAGLIARI : Nuoro - Sassari — Ing. Antonio Carcangiu.FIRENZE : Arezzo - Grosseto - Livorno - Lucca - Pisa

- Pistoia - Siena — Ing. Giovan Battista Mass.GENOVA: Imperia - Savona - Spezia — Ing. Comm.

Lodovico Biondi.MILANO: Bergamo - Brescia - Como - Cremona - Man-

tova - Pavia - Sondrio - Varese — Ing. ProfessorCarlo I. Azimonti.

NAPOLI: Avellino - Benevento - Campobasso - Salerno— Ing. Prof. Alfredo De Nora.

PALERMO: Agrigento - Caltanisetta - Catania - Enna -Messina - Ragusa - Siracusa - Trapani — IngegnereGiuseppe Puleo.

POTENZA : Taranto — Ing. Vincenzo di Rago

R. CALABRIA: Catanzaro - Cosenza — Ing. RaffaeleColloca.

ROMA: Frosinone - Perugia - Rieti - Terni - Viterbo —Ing. Prof. Domenico Ruggeri.

TRENTO: Belluno - Bolzano — Ing. Giulio Apollonio.

TRIESTE : Fiume - Gorizia - Pola - Udine - Zara — In-gegnere Pietro Barbo.

TORINO : Alessandria - Cuneo - Novara - Vercelli —Ing. Cav. Uff. Bar. Carlo Daviso di Charvensod.

VENEZIA: Padova - Rovigo - Treviso - Verona - Vi-cenza — Ing. Giovanni Cicogna.Comitato Esecutivo della Reggenza Nazionale

Reggente Nazionale: Ing. Comm. ITALO VANDONE -Milano.

Membri: Ing. CONTE UGO - Roma.

Ing. Prof. RUGGERI DOMENICO - Roma.Ing. FERRARI VITTORIO - Roma.

Segretario della Reggenza: Ing. LEVA GIUSEPPE - Roma.Roma.

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— 16 Atti dei Sindacati Fascisti degli Ingegneri di Torino e Architetti del Piemonte 16 —

Gruppi per l'Ingegneria applicata all'industriaSEDI E REGGENTI DEI GRUPPI

ANCONA: Ing. ANTONIO AGOSTINELLI - Corso VittorioEmanuele.

AQUILA: Ing. COSTANZO CIARLETTA - Via Roio, 33.BARI: Ing. GIUSEPPE TRAMONTE - Piazza Umberto I, 32.BOLOGNA: Ing. ALBERTO LENZI - Via Zamboni, 90. '

CAGLIARI: Ing. RAFFAELE GRANATA - Via Azuni, 17.FIRENZE: Ing. CARLO AUGUSTO AVET - Piazza d'A-

zeglio, 24.GENOVA: Ing. VITTORIO GAMBARO - Salita Pollaiuoli,

num. 21-9.MILANO: Ing. ATTILIO MORO - Via Camperio, 4.

NAPOLI: Ing. Prof. GAETANO MAYER - S. Brigida, 51.PADOVA: Ing. GIOVAN BATTISTA RIZZO - Via Cesarotti,

num. 23.PALERMO: Ing. PIETRO D'ANGELO - Via S. Martino, 8.

PERUGIA: Ing. NAZZARENO BONDI - Via Vermigliotti, 4.POTENZA: Ing. Cav. Uff. FRANCESCO SOLIMENA.

R. CALABRIA: Ing. VITTORIO SANDICCHI.

ROMA: Ing. CARLO GRAZIOLI - Via Giovanni Aldega, 2.TORINO: Ing. GIOVANNI DE VECCHI - Via Drovetti, 12.TRENTO: Ing. PAOLO RANZI.

TRIESTE: Ing. ERMINIO GEROSA - Via Roma, 3.VENEZIA: Ing. ANTONIO SPANDRI - S. Salvatore, 4712.

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Marzo 1932 - X Confederazione Nazionale Sindacati Fascisti Professionisti ed Artisti Anno VI - N. 3

(UFFICIALE)

Atti, deliberazioni e comunicazioni del Direttoriodel Sindacato Fascista degli Ingegneri di TorinoGli ingegneri hanno una funzione prevalente nella Società moderna per ragioni evidenti, e meritano di avere quel

prestigio che tutti riconoscono, perchè dalle Scuole Italiane, dai Politecnici sono usciti ingegneri di marca, inge-gneri di prima classe. MUSSOLINI

Dott. Ing. ALBERTO POZZOLa immatura perdita del compianto Dott. Ing.

Alberto Pozzo ha privato la Tecnica nostra di unappassionato cultore, la nostra famiglia di uno deimigliori di noi, ed il suo ricordo rimarrà incan-cellabile in quanti ebbero il bene di conoscerlo, di sti-mare le sue alte qualità di cuore, di ammirare la suavasta cultura, la sua serenità di giudizio.

Nato da famiglia di vecchi costruttori, fece i suoistudi nella R. Scuola di Ingegneria di Torino, laurean-dosi nel 1903, primissimo fra quelli del suo corso,all'età di 22 anni appena ed ottenendo i pieni voti ela lode.

Aveva iniziata la sua carriera con tutto il suo giova-nile entusiasmo specializzandosi nelle costruzioni in ce-mento armato e dopo un brevissimo tirocinio presso unaditta cittadina, intraprendeva la libera vita professio-nale. Fu un progressivo incremento che Egli diede allecostruzioni in cemento armato, che si può dire nacquerocon Lui e con Lui si svilupparono portandosi all'attualegrado di evoluzione. Delle incertezze dei primi tempiEgli fu assiduo ricercatore, i suoi cantieri furono con-tinui laboratori di ricerche, i suoi studi continue analisie tentativi teoretici. In questo frattempo Egli si formòuna profonda cultura tecnica, operò e tentò sempre cosenuove in tempi in cui esse sembravano ardimenti, e fuin certe cose un precursore, intuendo quanto i progressidella tecnica ci avrebbero col tempo fornito. Il Suo ri-cercato parere era di conforto a quanti tentavano cosenuove o nuove applicazioni costruttive, a Lui ricorre-

vano i giovani per incitamenti e consigli e trovavano inLui il Maestro profondo ed il sicuro costruttore.

La sua fama di tecnico provetto varcò ben presto iconfini della Patria, tanto che nel 1913 ebbe così lusin-

ghiere proposte da parte del Governo di S. Paolo delBrasile da indurlo a lasciare il suo paese per portare inquelle lontane regioni il contributo del suo vivido in-gegno ed assumere la cattedra di Scienze delle Costru-zioni del Politecnico di S. Paolo. Ed ivi la competenzasua ebbe modo di affermarsi sia nella scuola, che lo

P A R T E P R I M A

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— 18 Atti dei Sindacati Fascisti degli Ingegneri di Torino e Architetti del Piemonte 18 —

ciente esemplificazione, a parte lo squilibrio che si notatra il numero delle camere da letto e l'insieme dellasala da pranzo e dei servizi.

Gradevole l'aspetto esterno.Non facile la visitabilità specie nel primo piano.Cubatura mc. 1750.

Progetto Aloisio - Cuzzi - Sot-Sas - N. 2.

Abile la disposizione planimetrica sul terreno. Di-scutibili alcune disposizioni interne come il W. C.donne troppo vicino alla scala di servizio, il corridoiobuio, la sala del ristorante troppo vicina al garage equindi soggetta a disturbi di varia natura. Nel primopiano si rilevano i bagni staccati dalle camere da letto.

Non generalmente accettabile la balconata comunealla maggioranza delle camere da letto.

Difficile la visitabilità.Geniale la risoluzione esterna delle masse.Cubatura mc. 2200.

Progetto Aloisio - Cuzzi - Sot-Sas - N. 3.

Planimetricamente il falso squadro visibile dal vialeShakespeare ingenera un'impressione poco gradevole.

Internamente da lodarsi la disposizione dei negozied originale il movimento dei locali. Meno felice l'ideadi una scala a chiocciola piuttosto ristretta che rendecertamente difettosa la visitabilità, sacrificato il disim-pegno della cucina e poco pratico il ballatoio internodel primo piano per allogarvi i tavoli da pranzo, anchein vista della qualità del pubblico.

Troppo piccole le camere da. letto e insufficientel'unico e isolato bagno.

Con tre piani fuori terra si arriva ad una cubaturanotevole (mc. 3455 circa).

L'esterno è concepito con gusto schiettamente mo-derno.

Progetto Aloisio - Cuzzi - Sot-Sas - N. 4.

Una disposizione planimetrica troppo lambiccataconduce ad un estremo slogamento delle varie masse,con l'inconveniente di una difficile comprensione dellevarie parti, oltre agli inconvenienti derivanti per il ser-vizio, la sorveglianza, il riscaldamento, ecc.

Gradevole per contro la disposizione dei negozi adoppio ingresso e felicemente trovato il terrazzo dinanzial ristorante.

Le camere da letto sommariamente risolte e di dif-ficile visitabilità.

Cubatura mc. 3000 circa.

Progetto Aloisio - Cuzzi - Sot-Sas - N. 5.

Taglia l'aiuola con un viale trasversale per ottenerel'accesso ai garages.

Del resto buona la disposizione del pianterreno, nelquale si nota soltanto l'ingresso un poco sacrificato.

Al primo piano troppe camere da letto.Discreta la circolazione e ottimo l'esterno.Cubatura mc. 1960 circa.

Progetto Aloisio - Cuzzi - Sot-Sas - N. 6.

Simile nella planimetria al progetto precedente,come questo ha gli stessi difetti del primo piano, e glistessi pregi nella disposizione del pianterreno.

L'esterno assai gustosamente risolto.Buona la circolazione.Cubatura mc. 2330 circa.

Progetto Bardelli - Morelli.

La disposizione dei garages costringe all'abbatti-mento di due alberi.

Alquanto involuta e complicata la disposizione pla-nimetrica col lodevole intendimento di arrivare ad unacompleta esemplificazione dei servizi e dei vari am-bienti. Presenta quindi il difetto di una pianta ecces-sivamente tormentata e complessa, e perciò di difficileintuizione. Tale difetto si riflette nella circolazione delpubblico che ne risulta complicata e nei numerosi lo-cali poco illuminati.

Buono e corretto l'aspetto esterno.Rilevante la cubatura (mc. 3850 circa).

Progetto Berardo.

La vastità del fabbricato, quasi realizzazione di unvero alberghetto porta di conseguenza un eccessivo svi-luppo, con conseguente abbattimento di alberi e conuna cubatura che è la maggiore presentata fra tutti iprogetti: mc. 6000 circa.

L'accurata esecuzione grafica non nasconde alcunemende non facilmente eliminabili, come il cattivoaspetto di un angolo del fabbricato incidente sullastrada, la posizione poco invitante dei negozi, i garagestroppo evidenti e l'aula scarsamente illuminata.

Non facile la visitabilità.

Progetto Bonicelli.

La concezione architettonica non è adeguata allospirito della Mostra, che sarà spiccatamente moderno.

L'impostazione dell'edificio sul terreno conduce asacrificare degli alberi ed altri sacrifici sono impostidall'ingresso ai garages, Bene risolte alcune particola-

Atti dei Sindacati Fascisti degli Ingegneri di Torino e Architetti del Piemonte 19 —

rità come l'avancorpo dei negozi, i due ingressi per ituristi di passaggio e per quelli residenti.

Buono il collegamento tra il ristorante ed i servizi.Per contro manca il bar, i gabinetti di toeletta sonotroppo in vista e le camere da letto si presentano ecces-sivamente sommarie.

Alcune disposizioni appaiono inutilmente costose,come l'ultima rampa dello scalone, l'eccessiva esten-sione della vetrata dello stesso verso nord e il notevolemovimento della massa con piani arretrati e terrazziaccessibili, concepito con radi pilastri troppo distan-ziati per il genere di costruzione da realizzare.

La circolazione del pubblico abbastanza buona.Notevole la cubatura: mc. 3300.

Progetto Cento

Ottimo e accurato lo studio planimetrico. Felicis-sime alcune disposizioni dei locali del pianterreno: ri-storante sala di soggiorno, sala da ballo, ecc. Egual-mente buona la disposizione delle camere del primopiano con il risultato di una circolazione facile, bencondotta e variata.

L'architetto ha voluto corredare il suo progetto diuno studio preliminare di alberghetto completo ed or-ganico quale potrebbe sorgere in una zona alpina, pureessa individuata in modo da rendere più chiara e giu-stificata la realizzazione schematica richiesta dal con-corso.

Tutto ciò unito ai nitidi disegni e allo studio di al-cuni interni dà l'impressione di uno dei progetti piùlodevoli, anche se con minore felicità sono risolte lefacciate.

Cubatura mc. 2260 circa.

Progetto De Munari.

Poco ben disposto sul terreno, appare troppo tor-mentato in elevazione e non sempre di effetto castigato.

Buona la disposizione del pianterreno, meno buonaquella del primo piano e poco agevole si presenta lacircolazione del pubblico.

Di realizzazione costosa presentandosi con tre pianifuori terra oltre alla torretta, sebbene non rilevantecome cubatura: mc. 2200 circa.

Progetto Mencarelli.

La disposizione planimetrica rispetta la vegetazionedel terreno ma rende difficile l'ingresso ai garages.

Mancano alcuni locali di servizio e appare deficientela disposizione dei negozi e della sala da pranzo.

La pianta accusa il carattere di una palazzina piùche quello di un alberghetto e l'esterno si presenta conelementi architettonici di fantasia e gusto troppo per-sonali e discutibili.

Discreta la circolazione del pubblico.Eccessiva la cubatura: mc. 3970 circa.

Progetto Mosso.

Questo progetto si presenta come schema di altroprogetto, più vasto completo ed organico, con una feli-cità ed una chiarezza che lo fanno immediatamente ap-prezzare.

Alla razionale disposizione di tutti i locali corri-sponde una circolazione del pubblico facile e gradevole.Gli elementi richiesti sono tutti presenti, senza sprecodi superficie, bene congegnati fra di loro e proporzio-nati. Particolarmente felice la sintetica esemplificazionedella camera da letto.

L'idea del portico, unica fra tutti i progetti presen-tati, dà la possibilità di sfruttare le risorse dell'am-biente introducendo elementi tradizionali sempre divaghissimo effetto.

Qualche osservazione si deve fare sulla costruzionedei garages che guasta il porticato ed esternamente sipresenta poco gradevole, sulla disposizione della salada pranzo con passaggio obbligato per il disimpegno esulla sala di soggiorno un poco troppo scartata.

Corretto l'esterno con qualche lieve menda.Ridotta la cubatura: mc. 2100.

Progetto Passanti - Perona.

La disposizione sul terreno obbliga all'abbattimentodi due alberi e fa occupare dalle rampe di accesso l'at-tuale marciapiede.

Lo studio delle planimetrie è tuttavia bene impo-stato ed in molte parti felice: assai lodevole special-mente il concetto informatore per il quale i residentiabituali dell'albergo hanno servizi staccati da quelliadibiti ai turisti di passaggio. Questo porta però all'e-levazione di tre piani fuori terra, con conseguente ele-vata cubatura (mc. 3300 circa) e onerosa costruzione delpadiglione.

Lodevole l'aspetto esterno per il suo carattere rac-colto e nostrano.

Non eccessivamente facile la visitabilità del pub-blico.

Progetto Ressa.

E' uno dei pochi progetti che presentano un pianosemi-interrato per i servizi.

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— 16 Atti dei Sindacati Fascisti degli Ingegneri di Torino e Architetti del Piemonte 16 —

Gruppi per l'Ingegneria applicata all'industriaSEDI E REGGENTI DEI GRUPPI

ANCONA: Ing. ANTONIO AGOSTINELLI - Corso VittorioEmanuele.

AQUILA: Ing. COSTANZO CIARLETTA - Via Roio, 33.BARI: Ing. GIUSEPPE TRAMONTE - Piazza Umberto I, 32.BOLOGNA: Ing. ALBERTO LENZI - Via Zamboni, 90.

CAGLIARI: Ing. RAFFAELE GRANATA - Via Azuni, 17.FIRENZE: Ing. CARLO AUGUSTO AVET - Piazza d'A-

zeglio, 24.GENOVA: Ing. VITTORIO GAMBARO - Salita Pollaiuoli,

num. 21-9.MILANO: Ing. ATTILIO MORO - Via Camperio, 4.

NAPOLI: Ing. Prof. GAETANO MAYER - S. Brigida, 51.PADOVA: Ing. GIOVAN BATTISTA RIZZO - Via Cesarotti,

num. 23.PALERMO: Ing. PIETRO D'ANGELO - Via S. Martino, 8.

PERUGIA : Ing. NAZZARENO BONDI - Via Vermigliotti, 4.POTENZA: Ing. Cav. Uff. FRANCESCO SOLIMENA.

R. CALABRIA: Ing. VITTORIO SANDICCHI.

ROMA: Ing. CARLO GRAZIOLI - Via Giovanni Aldega, 2.TORINO: Ing. GIOVANNI DE VECCHI - Via Drovetti, 12.TRENTO: Ing. PAOLO RANZI.

TRIESTE: Ing. ERMINIO GEROSA - Via Roma, 3.VENEZIA: Ing. ANTONIO SPANDRI - S. Salvatore, 4712.

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Marzo 1932 - X Confederazione Nazionale Sindacati Fascisti Professionisti ed Artisti Anno VI - N. 3

PARTE TERZA

Attività dei Gruppi CulturaliConferenze, studi, progetti, viaggi, visite, relazioni, ecc

“ In Italia, mai come oggi, i politici hanno compreso gli Ingegneri ,,. BOTTAI

PROF, UGO BORDONI

Sulla crescente importanza tecnica dell'illuminazione(Prolusione al Corso di Tecnica dell'illuminazione)

Prima di cedere la parola al Prof. Ugo Bordoni,S. E. il Prof. Gian Carlo Vallauri, Accademico d'Italia,presenta e saluta nel Gr. Uff. Bordoni il Maestro che haallargato il campo della fisica tecnica insegnata nei Po-litecnici, introducendovi la tecnica dell'illuminazione el'acustica applicata, ma saluta pure in lui l'autorevolis-simo Presidente Generale dell'Associazione Elettrotec-nica Italiana e l'amico carissimo, a cui lo lega una lungae cordiale collaborazione. Afferma di avvicinarsi eglistesso ogni giorno alla cattedra con un alto senso di re-sponsabilità, persuaso del grande valore che deve essereattribuito all'insegnamento, quale rito di comunione

con l'allievo. Perciò cede ben volentieri la parola al

Prof. Bordoni, che egli tanto apprezza, per la prolu-

sione al corso di tecnica dell'illuminazione. Ringrazia a

nome della Scuola Superiore di Elettrotecnica Galileo

Ferraris gli organizzatori di questo corso, i Sindacati

Fascisti degli Ingegneri ed Architetti, l'Associazione

Elettrotecnica e la Scuola Superiore di Architettura,

persuaso che tra la scuola e le altre organizzazioni che

comprendono gli ex-allievi, già entrati nell'agone della

vita, deve sussistere un cordiale contatto ed un reciproco

alimento intellettuale.

Ed ecco in breve, desunta dagli appunti di un udi-tore, la brillante prolusione del Prof. Bordoni, « Sullacrescente importanza della tecnica dell'illuminazione.

L'oratore, dopo aver a sua volta ringraziato per l'in-vito fattogli dal Sindacato Ingegneri ed Architetti, perl'ospitalità concessagli e per la lusinghiera presenta-zione, dice di essere lieto che si presenti l'occasione concui la tecnica dell'illuminazione assume il diritto di cit-tadinanza nell'insegnamento. L'illuminazione applicatapresenta carattere tecnico, ma anche psicologico ed arti-stico. Per la ristrettezza del tempo si limiterà ad esami-nare alcuni punti essenziali.

La questione offre anzitutto due aspetti; la produ-zione e l'utilizzazione della luce. Massima importanzaper l'ingegnere assume l'utilizzazione, perchè oggi oc-corre illuminare con cura e con cautela assai più che nelpassato. Ma il tecnico coscienzioso deve sopratutto chie-dersi se non è forse la passione del mestiere e l'amore

della professione che portano inconsciamente ad esage-rare le necessità dell'illuminazione moderna. A questadomanda si può rispondere negativamente, dimostrandocon dati inconfutabili che la tecnica dell'illuminazioneha in questi ultimi tempi un'importanza sempre cre-scente e non da tutti riconosciuta.

Nelle varie azioni di propaganda per il migliora-mento dell'illuminazione si dice sempre che occorre illu-minare di più, occorre cioè un maggior numero di luxsugli oggetti che si debbono osservare. (E qui il Pro-fessor Bordoni descrive che sia un lux, rimandando, peruna più esauriente trattazione, alle conferenze seguenti).Un tempo, l'intensità media d'illuminazione negli in-terni valeva 3-4-5 lux; ora si predica che i locali dove sifanno lavori molto fini devono avere 80 e più lux, per-chè l'uomo possa dare il suo massimo rendimento. Cosìdicasi delle case, dove invece che di produzione, si parladi maggiore decoro. Di fronte a tali affermazioni viene

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— 22 Atti dei Sindacati Fascisti degli Ingegneri di Torino e Architetti del Piemonte 22 —

spontanea la domanda, se per caso non si sia andato unpoco oltre, con queste richieste. La risposta è possibilesolo quando si risponda a quest'altra domanda: In qualicondizioni l'occhio sfrutta meglio la luce?

Un tempo non si sapeva come eseguire questo con-trollo, non conoscendosi un criterio discriminante bensicuro; oggi invece la tecnica dell'illuminazione è ingrado di valutare la bontà dell'illuminazione e quindila risposta è assai facile. L'occhio sfrutterà bene la lucequando sarà possibile osservare senza fatica i dettaglipiù minuti degli oggetti, con rapidità, ed apprezzandoanche le più lievi differenze di luminosità. In base aquesto ultimo elemento si può stabilire un coefficientedi percettibilità, dato dal rapporto tra la luminosità diuno sfondo, (detta anche di adattamento) e la minimadifferenza di luminosità ancora percettibile. Il Prof.Bordoni ha, fin dal 1924 creato un apparecchio assaigeniale con cui detto coefficiente di percettibiltà è rapi-damente calcolabile. La descrizione si trova negli attidel congresso tenuto (1924) alla Spezia dalla A.E.I.

Facendo un diagramma in cui il coefficiente di per-cettibilità sia riferito all'illuminazione di adattamento,si trova che la curva sale fino a circa 500-1000 lux epoi diminuisce. Oltre questa intensità d'illuminazioneil coefficiente di percettibilità diminuisce, nascono cioèdegli inconvenienti nella visione. Per quanto riguardal'acuità visuale, cioè la visibiltà dei piccoli dettagli,si può osservare un reticolato fittissimo a varie illumi-nazioni. Finchè lo si potrà risolvere in elementi diffe-renziati, la visibilità è ancora buona. Sarà cattivaquando il reticolato si confonderà in una superficieuniformemente grigia. Come acuità visuale, si indicail reciproco della distanza tra le linee del reticolato e sisi trova che anche detta acuità è massima tra i 500 edi 1000 lux, e che la curva la quale indica la sua varia-zione, ha un andamento eguale a quella del coefficientedi percettibiltà.

Altro fattore a cui si è accennato è la velocità dipercezione visiva. Questa assume oggi particolare im-portanza per il fatto che il ritmo della vita mo-derna si è andato fortemente intensificando. Levelocità dei veicoli sono oggi ben superiori a quelledi un tempo. Per determinare la velocità di per-

cezione, si fanno scorrere delle lettere scritte senzaalcun ordine logico, davanti ad una feritoia e si puòcosì stabilire per ogni illuminazione quale è la velo-cità a cui gli errori di lettura non sorpassano il 5%.in questo caso il massimo della curva, cioè l'illumina-zione a cui si verificano le migliori condizioni difunzionamento dell'occhio, si trova spostato oltre i1000 lux.

Dalle precedenti considerazioni si può concludereche le intensità d'illuminazione consigliate dai testi diilluminazione razionale sono ancora molto al di sottodei limiti a cui l'occhio umano dà il massimo rendi-mento e rappresentano solo un livello d'illuminazioneche offre vantaggi di grandezza tale da compensareampiamente la maggiore spesa.

L'occhio è un organo meraviglioso per struttura eper sensibilità, ma presenta il difetto di non rilevaresubito lo sforzo a cui lo sottopone il funzionamento incondizioni non favorevoli alla visione. Il danno imper-cettibilmente si accumula e le conseguenze si svelanosolo quando è troppo tardi per porvi rimedio. Lo sforzodell'occhio per una cattiva illuminazione è quasi inco-sciente, appunto in base alle sue specifiche proprietà diadattamento passivo.

Un tempo l'illuminazione aveva minore importanzadi oggi perchè meno accelerato era il pulsare delle atti-vità umane; perciò si giustifica come l'illuminazionerazionale sia nata solamente da pochi anni. Quando latecnica e l'industria sfruttarono sistematicamente iltempo, lo spazio, il lavoro e le proprietà fisiche e chi-miche dei corpi, anche l'illuminazione venne assumendouna ben maggiore importanza. Il lavoro, oltre le ore diluce naturale, non poteva procedere se non sotto unailluminazione consona ai progressi della tecnica. Pur-troppo però l'illuminazione non fu modernizzata conlo stesso ritmo degli altri strumenti di lavoro e ne ven-nero dei danni incalcolabili all'organo visivo, con gravepregiudizio della sua efficienza. Se i difetti dell'occhiofossero palesi come quelli delle gambe, l'umanità sa-rebbe per buona parte composta di storpi nella vista.Le statistiche mettono veramente paura e la cattiva illu-minazione continua a far crescere i difetti della vista.Perciò non sarà mai abbastanza consigliato lo studio

Atti dei Sindacati Fascisti degli Ingegneri di Torino e Architetti del Piemonte

dei sistemi d'illuminazione, onde poterne eliminare ilati negativi. Il male peggiore della cattiva illumina-zione è dato dall'abbagliamento, che risulta tanto piùfacile oggi, in quanto che le sorgenti luminose modernesono ad altissimo splendore.

Infatti è mediante l'aumento della quantità di luceemessa dall'unità di superficie, cioè con altre parolemediante l'aumento della temperatura di incadescenza;che si potè realizzare una grande economia nella tra-sformazione dell'energia elettrica in energia luminosa.Ma l'occhio umano non è affatto in grado di tolleraresenza lesioni lo splendore di un filamento di tungstenoincandescente alla temperatura di oltre 2500° C.

Se si ritorna a quanto è stato detto circa la curva delcoefficiente di percettibilità, si può ricordare che la pre-senza di una sorgente luminosa abbagliante nel campovisuale, determina un fortissimo abbassamento di dettocoefficiente. In altre parole, un occhio abbagliato èmolto meno sensibile di un occhio non abbagliato;quindi l'occhio abbagliato riterrà egualmente luminosedue superfici che hanno invece una luminosità assai dif-ferente. Se l'occhio non fosse abbagliato, la sua sensi-bilità sarebbe maggiore e quindi la predetta differenzadi luminosità verrebbe senz'altro percepita.

Questa limitazione della sensibilità dell'occhio è daritenersi come un fenomeno di autoprotezione, me-diante il quale l'occhio si difende dall'insulto di unosplendore eccessivo. L'abbagliamento, che è il più co-mune difetto della cattiva illuminazione, si può oggistudiare quantitativamente, mediante curve e dia-grammi. Si deduce che esso è un fenomeno continuo, ilquale può portare, nei casi di estrema gravità, fino allatotale cecità per abbagliamento. Anche la posizionedella sorgente luminosa abbagliante nel campo visualeha una grande importanza nella determinazione dellaentità del disturbo; la periferia del campo visivo èassai meno sensibile del centro, per la sua strutturaistologica.

Si può dire che l'abbagliamento è la condizione nor-male di funzionamento dell'occhio; sta al tecnico del-l'illuminazione il mantenere l'abbagliamento entro li-miti tanto bassi, che il disturbo da esso provocato nonsia di pregiudizio, anche col tempo, alla funzione vi-siva. Una maggiore illuminazione, accompagnata da uneccessivo abbagliamento, non può quindi presentare ivantaggi di cui si è parlato più avanti e perciò saràantieconomica. Se ne deduce che non solo la quantità,ma anche la qualità dell'illuminazione deve essere presain attento esame del progettista di impianti moderni, ilquale con ogni cura dovrà evitare la visibilità direttadei filamenti luminosi.

Per ottenere questo, il sistema più ovvio si ha nellailluminazione indiretta, in cui tutto il flusso luminosoprimario colpisce soltanto il soffitto di un ambiente eviene da questo riverberato verso il basso. Ma la doppiariflessione, entro l'apparecchio d'illuminazione e sulsoffitto, produce una perdita relativamente forte, cosìche l'illuminazione prodotta aumenta di costo. Mentrenel sistema diretto, (luce inviata direttamente suglioggetti che si devono illuminare) le ombre sono vive enette, nel sistema indiretto le ombre mancano quasicompletamente e questo è un male, perchè a mezzodelle ombre noi abbiamo la percezione del rilievo deicorpi. Così, con luce indiretta, una scala può esserepericolosa, una statua perde tutto il suo valore plastico.Molto migliore è il caso intermedio, cioè il sistema semiindiretto, perchè allora si avranno ombre, ma non ec-cessive.

Usando il sistema diretto o semi-indiretto, occorresempre ridurre la luminosità eccessiva delle sorgentiluminose primarie. La luminosità si esprime in Lam-bert, essendo i Lambert la luminosità di una superficieche emette 1 lumen per ogni cm2. Per una candela stea-rica, si ha meno di un Lambert sulla fiamma, per lelampade nel vuoto, molte decine di Lambert sul fila-mento, per le lampade nel gas, più di mille. Inoltre è

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facile dimostrare che la gravità dell'abbagliamento èassai maggiore con l'illuminazione artificiale. Infattimentre in media in un ambiente si hanno circa 300lux con la luce naturale, il cielo presenta una lumino-sità media di 10-12 Lambert. Per contro, nell'illumina-zione artificiale, si richiedono in media 50 lux sulle su-perfici di lavoro, mentre sui filamenti delle lampade sipossono avere 1200 Lambert. Il rapporto è assai mag-giore, e con esso anche il pericolo di abbagliamento.Per evitare questo inconveniente sarà bene ridurre losplendore delle sorgenti luminose con schemi semi tra-sparenti (diffusori), ma è errato considerare unica-mente, come indice di bontà di un apparecchio d'illu-minazione, il rapporto tra la luce emessa e la luce as-sorbita. Infatti non è vero che per togliere la visibi-lità diretta dei filamenti, i vetri debbano essere moltoassorbenti.

Le sistematiche ricerche sui vetri hanno svelato dif-ferenze profonde tra tipo e tipo, che non sono affattoriconoscibili ad occhio. La perdita di luce in un vetrodiffondente può passare dal 20 al 5 % a seconda dellaqualità, della ricottura ecc. Le rugosità superficiali pos-sono avere delle forme differenti e quindi assorbimentiassai vari, secondo se avviene o meno una riflessionesuccessiva dello stesso raggio di luce sulle pareti di cri-stalli vicini. Anche il procedimento della smerigliaturaha grande importanza sulle dimensioni medie dei pic-coli cristalli. L'assorbimento può essere ridotto dal 12 %al 4 % ed anche a meno. Se poi il vetro smerigliatoforma un involucro chiuso, la smerigliatura interna,invece che esterna, darà ovviamente un assorbimentominore.

Osservando un globo diffondente che contenga unalampada accesa, il filamento incandescente potrà esserepiù o meno visibile a seconda della dispersione dellaluce, e questa a sua volta dipende dal gioco delle rifles-sioni tra le diverse particelle del vetro. Ad esempio, seattraverso una lastra chiara la luce passa assai bene,lo stesso vetro, ridotto in polvere e disposto in spessoreeguale alla lastra originaria, non lascia affatto passarela luce.

La teoria dei vetri opalini è assai complessa, maoccorre certo che ad essa dedichi la necessaria atten-zione chi si occupa di impianti d'illuminazione.

Un vetro opalino è un vetro trasparente che contieneinnumerevoli goccioline di vetro anche trasparente, maavente un diverso indice di rifrazione. Il flusso uscenteFu è legato al flusso incidente Fi dalla seguente re-lazione: Fu = Fi e — (Nq + m) d dove e = base deilog. naturali; N = numero delle goccioline nel cm3;m = assorbimento specifico del vetro; d = spessoredel vetro in cm; q = coefficiente di dispersione speci-fica, il quale a sua volta è funzione della lunghezza dionda della luce incidente. Coi vetri diffondenti normali,i filamenti delle lampade ad incandescenza appaionoper trasparenza colorati in rosso, mentre la luce diffusaè colorata in azzurro. Ponendo in sospensione nell'acquadelle goccioline di gomma lacca, sciolta preventiva-mente in alcool, la luce direttamente trasmessa, quellacioè che dà l'immagine del filamento, è azzurrognola,mentre la luce diffusa è di colore rossastro. Dalla for-mola citata si deduce che è possibile avere dei vetri bendiffondenti che con piccolissimo assorbimento non la-sciano trasparire i filamenti incandescenti.

A questo punto ci si può porre la domanda: Siamoarrivati alla fase definitiva della tecnica dell'illumi-

nazione?Per una parte, no. Le ricerche future sull'occhio da-

ranno forse ben poche novità. La tendenza attuale nellatecnica della produzione della luce è che si ha economiasolo aumentando lo splendore intrinseco delle sorgentiluminose. Nella tecnica dell'utilizzazione della luce, glisplendori eccessivi sono da evitare, per non pregiudicarela funzione dell'occhio, quindi essi dovranno venire ac-curatamente ridotti o nascosti alla vista diretta.

Ma oggi comincia ad essere possibile un altro indi-rizzo. L'elettroluminescenza, che nei tubi Geissler siimparò a conoscere nei laboratori di fisica di tutte lescuole, rappresenta una seconda via per ottenere laluce, ben diversa da quella dei radiatori per tempera-tura. Questa via non pareva un tempo suscettibile digrande utilizzazione, poichè lo sfruttamento della luceprodotta per luminescenza della colonna positiva nellascarica elettrica in aria rarefatta forniva soltanto qual-che millesimo di lumen per ogni watt consumato. Inseguito si diffuse grandemente l'impiego della scaricanei gas sotto la forma dei cosidetti tubi al neon, adattia scopi reclamistici per la colorazione della luce e perla facilità di formarne delle scritte. Essi però, che pre-sentano un'efficienza di 10-16 lumen per watt, hanno ilgrave inconveniente di richiedere l'uso di altissime ten-sioni, assai pericolose.

Recentemente, nella Studiengesellschaft für elek-trische Beleuchtung di Berlino, che fa parte dell'OsramKonzern ed è diretta dal Prof. Pirani, furono studiatetutte le circostanze che rendono non economica la sca-rica nel gas, cioè quell'urto di sciami di elettroni controgli atomi del gas di riempimento. Le fortissime cadutedi tensione al catodo ed all'anodo si poterono ridurre oquasi annullare, sia formando gli elettrodi di tungstenoe di ossidi di terre rare, con cui occorre meno energiaper l'emissione elettronica, sia scaldando gli elettrodi,come già aveva indicato Wehnelt. In tal modo i tubidivenivano atti a funzionare alle basse tensioni dellereti di distribuzione.

Venne riconosciuto che la forma dell'urto tra elet-trone ed atomo e la quantità di urti nell'unità di tempodeterminano l'economia dell'emissione luminosa, equindi fu possibile aumentare gli urti utili mescolandoal gas di riempimento un gas inerte che impedisca il li-bero moto agli elettroni, allungandone il percorso equindi la permanenza nella zona della scarica. Si ebberocosì efficienze di 50-60 lumen per watt, doppie circadell'efficienza di una lampada nel gas assai spinta, mapurtroppo luce fortemente colorata, salvo per i tubi adanidride carbonica.

Per ora questi tubi a catodi riscaldati non trovanoaltro impiego che in laboratorio, ma una via nuova èstata segnata. Da un tubo contenente neon e vapori disodio si ebbe luce monocromatica gialla, in manierastraordinariamente economica: dedotta l'energia per ilriscaldamento del tubo, si ottennero circa 300 lumenper watt.

Nei radiatori per temperatura, in causa della ripar-tizione delle varie lunghezze d'onda irradiate nellospettro continuo, soltanto meno di un decimo dell'e-nergia era convertito in luce e più dei nove decimi incalore, cioè in una energia degradata. Per i radiatoriper luminescenza, lo spreco di energia nella trasforma-zione dell'elettricità in luce è molto minore.

E se la produzione della luce per luminescenza potràentrare nella fase della pratica applicazione generale,anche la tecnica dell'illuminazione cambierà il suoorientamento, perchè nelle colonne gassose lumine-scenti gli splendori eccessivi non sono quasi mai datemere.

L'avvenire solo potrà dire se è stato possibile, magià sin d'ora si può prevedere che le nuove scopertesono vive e vitali e potranno avere sviluppi imprevisti.

Il Prof. Bordoni, ascoltato sempre con molta atten-

zione dal numeroso uditorio, è stato in fine vivamente

ed a lungo applaudito.

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Carlo Bernardo Mosca e il suo ponteQuasi sepolte tra la breve notizia della nomina del

Conte Ballestrero di Castellengo ad Assessore aggiuntoal tribunale di prefettura di Asti ed una diffusa recen-sione della Quarta Appendice al suo Orto di Rivoli del-l'avvocato Collegiato Luigi Colla, membro della R. Ac-cademia delle Scienze, la Gazzetta Piemontese del 21Agosto 1838 stampava queste parole:

« Il nuovo ponte in pietra sulla Dora Riparia,presso questa Metropoli trovandosi in ogni sua parteultimato, l'adito ne venne d'ordine di S. M. aperto alpubblico il dì 15 corrente, giorno dell'Assunzione.

« Mentre questo monumento della grandezza delRegnante segnerà un'epoca nei fasti della R. Casa diSavoia, esso attesterà pure ai posteri la somma perizianell'arte del Sig. Cav. Mosca, ispettore del Genio Ci-vile, autore del progetto e zelante direttore dei lavori,del pari che le cure dell'Amministrazione nel promuo-vere, e coadiuvare al conseguimento di uno scopo al-trettanto vantaggioso al Pubblico, quanto decoroso perla Capitale del Regno ».

con i giudizi entusiastici delle pubblicazioni del tempo,come per esempio, quello contenuto nel curioso Viaggioromantico-pittoresco nelle provincie occidentali, dovenel 1828, quando il ponte era ancora in costruzione,Modesto Paroletti scriveva:

« Questo magno ponte Doreano condotto a terminesembra sarà nel suo genere affatto straordinario. Il no-vello ponte sarà di un solo arco di così sterminata lar-

Il grave organo trisettimanale torinese aveva tar-dato ben sei giorni a comunicare l'avvenimento citta-dino e lo commentava con un sobrio ed assai misuratoelogio, che, nel tono pacato, era in singolare contrasto

ghezza che l'occhio non potrà a meno di venir rapitodal senso di un'insolita ammirazione... Non vi ha esem-pio di un ponte cotanto alto, svelto e ardito... Impresaveramente grande e degna del secolo in cui viviamo ».E la stessa impressione profonda manifestano: DavideBertolotti che nella severa Descrizione di Torino pub-blicata dal Pomba nel 1840 osserva che « II ponte sullaDora opera del Cav. Mosca, è il magistero della mo-derna arte pontificia » e l'improvvisatore Giuseppe Re-galdi che nello strano volume dal titolo « La Dora »proclama il ponte Mosca « miracolo dell'arte, che l'in-telligente cerca ed ammira, perchè mole sì bella e ditanto ardimento è della massima solidità ».

Oggi, a cent'anni dall'inaugurazione del ponte, dopotanti progressi della tecnica e dopo la fondamentaleevoluzione dell'arte costruttiva provocata dal diffon-dersi delle murature a piccoli elementi e dei calcestruzzi,è ancor lecito sottoscrivere i favorevoli apprezzamentidei contemporanei del Mosca e trovar l'opera audace e

DOTT. ING. PROF. GIUSEPPE ALBENGA

Atti dei Sindacati Fascisti degli Ingegneri di Torino e Architetti del Piemonte— 27

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bella (più lo sarebbe se necessità della sistemazionestradale non avessero costretto ad alterarne gli accessi)e possiamo oggi ancora inchinarci ammirati e reverentialla memoria dell'ingegnere che quando ancor manca-vano sicure cognizioni scientifiche di resistenza dei ma-teriali, (soltanto nella seconda metà dell'ottocento essesi svilupparono), aveva osato ideare il ponte e l'avevasaputo condurre a termine senza il sussidio dei mezzid'opera attuali.

Il merito e l'ardimento del progettista e del costrut-tore ci appariranno in tutta la loro interezza se consi-dereremo il ponte nella sua epoca e nel suo ambiente.

In tempi da noi molto lontani, Ferdinando Rondo-lino asserisce fin dall'epoca romana, si era attraversatala Dora a Torino sopra un ponte di pietra (pons petre)del quale è ricordo in una donazione fatta il 22 marzo1145 da Oberto Arpino alla prevostura di Rivalla. Nelsecolo seguente non sono rare le menzioni del ponte, chefaceva parte della strada, già nel 1237 chiamata (stradavetula), ed era situato presso la chiesa e l'ospedale diS. Maria Maddalena e di San Lazzaro, nella regionedetta ora delle Maddalene. Presso questo ponte s'erasvolta nel 1222 una di quelle discussioni di etichetta,che oggi possono apparirci oziose, e che implicavanoinvece gravi questioni di vassallaggio e di dipendenza.Prima di entrare in città « citra pontem durie estra tau-rinum, Guigo prevosto di Oulx protestava di non essere

- tenuto a venire alla consacrazione del vescovo Giacomo,e questi dopo aver dapprima rifiutata la presenza diGuido ex gratia, l'accettava pur riservando ogni dirittodalla chiesa di Torino. Per qualche tempo del ponte sierano curati i religiosi: a quello della Dora pensavanoi Crociferi, un ordine bolognese. Più tardi vi pensava ilComune, e per questo il massaro, di solito un religioso,

Atti dei Sindacati Fascisti degli Ingegneri di Torino e Architetti del Piemonte

che gestiva le entrate e le uscite del comune: ed eratenuto « omni edomada visitare pontes Paudi Durie etalios pontes comunis et ficam Pelerine », l'obbligo diuna tanto frequente visita ai ponti è forse indizio chealla struttura muraria s'era, almeno in parte, sostituitaquella lignea, (perchè altrimenti non si comprende-rebbe quest'esame settimanale delle condizioni delponte) iniziandosi così quella decadenza della viabilità,alla quale non furono estranee preoccupazioni militariper la difesa della città, le quali portavano ad ostacolarei ponti murari e a preferire quelli di legno, ch'era piùfacile abbattere quando fosse necessario interrompere ilpassaggio.

Nel quadro statistico in cui Emiland Gautes, ai primidell'ottocento, raccoglieva le caratteristiche dei pontidell'impero francese (Torino ne faceva parte, la nostracittà vi faceva assai magra figura con il ponte sul Polargo m. 8,10, avente luce complessiva di 104,3, e ri-sultante da 7 archi circolari, in muratura di pietrame,con luce variabile da m. 2,90 a m. 10,7 e con 6 travatedi legno con luci da m. 2,5 a m. 14,10 e con il pontesulla Dora, sostituito poi da quello Mosca, largo m. 5,60con una luce complessiva di m. 90,1 ottenuta con unpiccolo arco circolare murario di m. 6,90 e con 11 tra-vate di legno, posate sopra stilate pure lignee e lungheda m. 4,6 a m. 9,2. Un'idea di quel che fossero questepovere opere, che ricordavano nel loro aspetto e nellairregolarità delle strutture e delle luci le costruzioni dicircostanza ed i provvisori restauri, ci danno il quadrodi Bernardo Bellotto, conservato nella nostra pinaco-teca rappresentante il ponte sul Po durante il 700; equalche incisione dello Sclopis; l'abilità dell'artista na-sconde in queste rappresentazioni, difetti dell'opera diarte stradale. Il ponte sul Po datava dal 1417, anno incui Alessio Perrin, impresario d'Avignone, ne avevagettato le fondamenta; irregolare nel tracciato che siera voluto curvo verso monte, seguendo una falsa con-cezione statica assai diffusa nel medioevo, aveva cagio-nato gravi rigurgiti, scalzamenti di pile, rovine di archi,malamente accomodati con raffazzonature posteriori.Napoleone di passaggio per Torino nel 1807 ne avevaordinato il rifacimento che iniziato alla fine del 1810,su progetto di Giuseppe Pertinchamp, non era termi-nato ancora al ritorno di Vittorio Emanuele I dallaSardegna.

Contro il ponte giacobino e sanculotto si erano ap-puntate le ire di qualche personaggio della restaura-zione: Angelo Brofferio racconta nei « Miei tempi »,con un po' di esagerazione assai naturale nel tribunopiemontese: « E già il ponte era condannato a mortee già le ninfe Eridane estollevano dai flutti il capo coro-

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nato di verdi giunchi per assider alla grande caduta, senon che il buon Vittorio Emanuele occupandosi delprossimo ritorno della Sua Real Consorte Maria Teresaed avendole destinata per la stagione estiva la Villadella Regina, che estolle maestosa sulla collina in pro-spetto al fiume che lambe nel corso la città, si accòrseche discapito ne sarebbe tornato alla villeggiatura, ovesi fosse atterrato il ponte, e, al Cav. Bellosio che gliandava ripetendo: « Maestà, gettato giù il ponte gia-cobino se ne farà subito un altro cristiano » rispose:« O francese o non francese sia conservato il ponte. Fi-nalmente un ponte è destinato a starci sotto i piedi, ese è giacobino tanto meglio, noi lo calpesteremo piùvolentieri » e provvedeva subito perché il ponte fosseterminato.

Assicurata così una solida e decorosa comunicazioneattraverso il Po, le cure dei Re di Sardegna e quelladei loro Ministri si rivolgevano al passaggio della Dora,che ancor permaneva nel deplorevole stato risultantedalla statistica di Emiland Gauthey. Il marchese barrondi San Tommaso ricordava nel 1840 « l'antico cattivoponte in legno sorretto da pile di mattoni. Il quale non

è a dire quanto fosse sconvenevole al fine di offrire si-curo e comodo il passo ai Piemontesi che dalle pro-vincie più doviizose e trafficanti della monarchia sardasi recavano alla capitale dei lei; alle genti straniere, lequali dalle rimanenti Italia o dalla Germania vi arri-

vavano; a quelle che d'oltre Senna e d'oltre Oceano pe-regrinando, scese in Piemonte per attraverso le Alpi,verso le altre contrade italiane s'indirizzavano a visi-tarne le udite bellezze. Quale non doveva essere lo stu-pire d'un Inglese o Francese all'abbattersi in siffattameschinità, posto il piede in Italia che egli erasi nelpensiero figurata ricca di grandiosi monumenti? E chipercorsa tutta Italia e le grandi e stupende opere chesì spesso vi si incontrano, vedute e ammirate, giungevaalla Dora Riparia, quanto alla vista di quel vilissimo

ponte di legname dovesse stimare i Piemontesi inferioriagli altri Italiani nell'amore delle arti belle e nel de-coro della patria, niuno sarà di certo che non pensi. Diche, minor del bisogno, era desiderio dei Piemontesi divedervi un altro ponte più dicevole e di pietra sosti-tuto ».

« A sì fatta brama volendo rispondere degnamenteil governo » aggiunge il marchese di San Tommaso,« commise il formare progetti e disegni intorno a que-st'opera al Cav. Carlo Mosca, uomo il valore di cui hadegnamente lodare, e l'ampiezza e possanza dell'in-gegno a descrivere giustamente, molte si vorrebbero pa-role, e delle migliori e più autorevoli ».

Duro e difficile compito si affidava all'Ing. Mosca, ediverse furono le soluzioni ideate e presentate, primadi giungere a quella adatta e grandiosa che ebbe poiesecuzione. La Via d'Italia, oggi Via Ponte Mosca, inte-ressava obliquamente il corso d'acqua, torrentizio, vio-lento nelle piene, dal fondo agevolmente scavabile, cosìche vennero subito scartati per la poca sicurezza dellefondazioni e per l'eccessivo ostacolo al deflusso dellepiene, i due primi progetti di ponte a tre archi, obli-

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qui o retti, che, con le pile, avrebbero troppo ingom-brato l'alveo del fiume.

L'Ingegnere Mosca, che fu sempre abile e tenace so-stenitore delle sue idee, lasciò questa volta cadere i dueprimi suoi progetti, senza quasi difenderli, quando sa-rebbe stato agevole introdurvi i pochi ritocchi capaci diconferire al ponte il voluto grado di sicurezza. Non èazzardato supporre che la sua linea di condotta fossedettata dal maturarsi dell'idea, ch'Egli deve poi tra-durre in atto, di sovrapassare il corso della Dora conuna sola luce ampia, ribassata e ardita. Sorse così ilprogetto d'una grande arcata, con 50 m. di corda e consoli m. 5 1/2 di monta; le discussioni del supremo con-siglio piemontese dei lavori pubblici, non sempre sereneda parte degli avversari del Mosca, condussero ad unalieve riduzione della corda, che si volle di 45 metri,mentre la freccia rimaneva invariata.

L'arditezza dell'opera non consisteva soltanto nellagrandezza poco usuale della luce. Se i Romani, purallontanandosi poco dall'arco a pieno centro non rag-giunsero mai nei loro ponti murari, la luce di 35 metri(vi si avvicinano però gli archi maggiori dei ponti diNarni sul Tevere, ora quasi distrutto, d'Alcantara sulTago e la svelta arcata di Ponte San Martino sul Lys),gli architetti di Bernabò Visconti, avevano gettato sul-l'Adda, al castello di Trezzo, fra il 1370 e il 1377, unarco di 72 m. di corda con circa 21 m. di monta. Ilponte, con la volta in calcare di Mappello ed il restoin muratura ordinaria, era apparso ai contemporanei,ed a ragione, opera meravigliosa. Il frate agostinianoAndrea Biglia, morto nel 1435, ne parla ammirato:« Opus ferme, cui nullum eius generis par: quippeomnem gurgitis amplitudinem uno fornice complexusaltissime tendebatur, nec quamvis lateritius ullo ferrosolvi poterat arctissima calcis coagmentatio ». La vitadel ponte era stata breve: il Carmagnola che, generale

del duca Filippo Maria Visconti, assediava i ribelli Col-leoni riparati nel castello di Trezzo nel 1417, non po-tendoli costringere alla resa senza toglier loro i soc-corsi provenienti dalla sponda bergamasca, faceva rovi-nare il grande arco, « quantunque poi » commentaval'antico storico Bernardino Corio « il valoroso capitanose ne pentisse ». Il ponte di Trezzo che troppo volen-tieri un noto autore francese definisce « presque legen-daire » non aveva più trovato imitazioni fortunate. Eracaduta, mentre se ne caricava la centina, la volta diluce quasi eguale a quella di Trezzo, che nel 1644 Ales-sandro Bartolotti stava costruendo attraverso l'Arno aPisa e ch'era apparsa così mirabil cosa all'abate Ru-cellai, reduce da un viaggio per la Francia; era rovinatol'arco di m. 49,4 di corda con soli m. 15,5 di freccia,che nel 1789 Bolognini voleva costruir sul Panaro nonlungi da Modena, per la via Emilia: precipitava anche,pochi mesi dopo la costruzione, (1710), l'arcata cen-trale del ponte costruito dal Mansart nell'Allier, conluce quasi eguale a quella del ponte Mosca. Il duca diSaint Simon riporta nelle sue Memorie un curioso ane-dotto su quest'ultima opera, che il progettista « crut unchef d'oeuvre de solidité » e di cui si vantava compia-cendosene. Un giorno il padre di quegli che fu poi ducadi Levis giungeva al « lever du roi » dalle sue terre vi-cine a Moulins, Mansart, che era presente e desideravaun elogio, pregò Luigi il grande di domandar notiziedel ponte. « Sire » fu la risposta « je n'en ai point de-puis q u ' i l est parti, mais je le crois bien a Nantes pre-sentement », ed al Re che, sbalordito gli faceva osser-vare d'aver parlato del ponte di Moulins, replicavatranquillamente: « Oui Sire, c'est le pont de Moulinqui s'est de'tachè tout entier la veille que je suis parti,et tout d'un coup, et qui s'en est alle' a va-l'eau... ».

Tutti questi esempi poco riuscirono confortanti equando il Mosca progettava l'opera sua, tra le arcateesistenti due sole poteva paragonarsi, pur essendo assaimeno ardite, a quella ch'Egli si accingeva a costruire;l'arcata maggiore del ponte di Castelvecchio a Verona,eretta fin dal 1354 da Giovanni di Ferrara e da Giacomodi Gorzo, con m. 48,70 di luce e 12,10 di monta e l'ar-cata del Pont y tu Pridd, che William Edward « un mu-ratore che si era acquistata una certa fama locale »aveva eretto nel 1750, dopo che una prima costruzionesua, qualche anno avanti, s'era aperta in chiave ed erarovinata, per l'eccessivo carico alle reni.

Ed ora del ponte Mosca: ne riporteremo qui le ca-ratteristiche principali traendole dalla accurata descri-zione che forma il primo capitolo della dissertazione dilaurea del nipote, omonimo, di Carlo Mosca.

« Corre la carreggiata, orizzontalmente disposta pertutta la lunghezza del ponte, sopra un grande arco diGneiss appoggiato a solide spalle dello stesso materiale.Posano le spalle sopra una platea portata da fondazionia pali mediante due primi corsi di pietre con riseghe;altri cinque corsi vi sono in seguito sovrapposti, e dalsuperiore di essi nasce il volto, che ha per intradossoun arco di circolo di 45 m. di corda e di 5,50 di saetta,corrispondente ad un'apertura di 54° 56' 45" ».

Il leggero aspetto che esso riceve dalla sua depres-sione è d'assai aumentato dall'aggiunta di due stromba-ture, le quali, partendo dal terzo corso sull'imposta for-mano sulla fronte un secondo arco d'apertura un po'maggiore, avente col primo comune la tangente all'in-tradosso della chiave, e la cui saetta misura m. 3,75.

La parte cilindrica del volto è terminata verso ca-duna fronte da due piani verticali simmetricamente di-sposti rispetto all'asse del volto, incontrandosi secondouna verticale, che passa per la sommità dell'arco dellafronte, e distanti dalla medesima fronte di m. 1.75

presso ciascuna spalla: tali piani intersecano la partecilindrica del volto secondo due archi d'ellisse. Si hannocosì due spazi triangolari per caduna fronte, i qualisono coperti dalle suddette strombature. Ciascuna diesse è generata da una retta, che incontrando in ognisua posizione l'asse della superficie cilindrica d'intra-dosso, si muove appoggiandosi costantemente e simul-taneamente all'arco di fronte di m. 3,75 di saetta, e aduno degli archi di ellisse, secondo cui i detti piani inter-secano la superficie d'intradosso dell'arcata.

A porre in opera questa strombatura fu indotto l'Au-tore da un più favorevole sfogo delle acque nelle mas-sime piene, e da una maggior armonia delle parti com-ponenti l'edificio.

La forma circolare delle spalle, che verso la basefanno da rostri, concorre essa pure a dare più libero ed

aperto passaggio alla corrente, mentre la loro parte su-periore aggiunge eleganza alle fronti, ed accresce l'am-piezza degli accessi del ponte. Questi ultimi sono limi-tati da cadun lato da un muro ornato da pilastri e ter-minante al ciglio della sponda.

L'arco è composto di 93 corsi di conci; 91 dei quali,compreso quello di chiave, sono di eguai grossezza,mentre i due rimanenti all'imposta sono più larghi, riu-

scendo questa maggior larghezza determinata dalla con-dizione, che il piano superiore del corso primo corri-sponda all'origine dell'arco della strombatura. Allachiava il volto ha la grossezza di m. 1,50.

Dall'origine della strombatura, con 10 altri corsi dipietre orizzontali si raggiunge il livello d'estradossodella chiave. Su questo piano posa immediatamente uncornicione con modiglioni in pietra da taglio, disegnatoa somiglianza di quello, che già ornava la parete dellapiazza davanti al tempio di Marte Vendicatore in Roma;semplice ed elegante decorazione. Una fascia senza mo-diglioni segue detto cornicione al di là dei pilastri dellespalle. La linea superiore del cornicione segna esterna-mente il livello del marciapiede, e della carreggiata sul-l'asse della strada. Sul medesimo posa un solido para-petto liscio terminato da una pietra di coronamentosuperiormente convessa; l'altezza totale del parapettoè di m. 1.

Sbocca la strada, che è sul ponte, su due piccole piaz-zette misti linee formate sulle teste di esse, che dall'unlato e dall'altro si allargano un quarto di circolo, met-tendo da una parte alla via, che dà l'accesso alla cittàe le si apre di fronte, e dall'altra alla strada che con-duce a Milano ».

Paul Séjourné nella classica opera dedicata allegrandi volte murarie insiste con evidente compiacenzasu quanto nel Ponte Mosca si riattacca alle gloriose tra-dizioni dei costruttori francesi del secolo decimottavo.

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Il ponte di Torino, Egli afferma, è imitato dall'arco di150 piedi di luce progettato dal Perronet per la Sennaa Melun, i raccordi semicircolari del ponte con la stradagià si riscontrano al vecchio ponte di Lavaur, la centinaadottata sulla Dora è identica a quella prevista per ilponte di Melun. In queste osservazioni c'è un fondo, masolo un fondo di vero: l'influenza francese, chiara inquasi tutte le costruzioni di ponti europei dei primi de-cenni dell'ottocento, doveva esser certo profonda in chi,come Carlo Bernardo Mosca, aveva compiuto la sua pre-parazione tecnica nella celebre scuola parigina di pontie strade: piuttosto che imitazione di modelli francesi siha nel ponte Mosca ispirazione alle opere del Perronete vi si riscontrano rimembranze di scuola che al proget-tista del nuovo ponte concedevano di tradurre in attoquello che prima di lui era pura concezione teorica, edi sviluppare in un'opera grandiosa e sotto molti aspettianche originale gli insegnamenti del maestro: uso del-l'arco molto ribassato, accurato studio dell'apparecchiodelle murature in pietra da taglio, decorazione sobriaed elegante, adattamento del ponte alla località, consi-derazione attenta del problema urbanistico, impiego diprocedimenti costruttivi d'una diligenza spinta fino alloscrupolo. Carlo Bernardo Mosca ci appare così il mag-giore seguace della scuola che deriva dal Perronet eanche l'ultimo di essi. Nuove tendenze, l'uso dei piccolimateriali e degli agglomerati che la tecnica va prepa-rando, le necessità di rigide economie, relegheranno benpresto fra le opere del passato il ponte in pietra dataglio, dai conci monumentali pesantissimi e di lenta ecostosa preparazione.

Abbiamo accennato or ora ai procedimenti costrut-tivi accurati e meticolosi : li descriveremo qui ripor-tando le parole d'uno studio del Prof. G. A. Reycend:

« Per gettare sulle sponde le fondazioni delle spalle,furono costrutte ture provvisorie davanti al sito su cuiqueste dovevano sorgere. Questo sito si prosciugò permezzo di un canale fugatore largo m. 2,00 sul fondo,con scarpe a 45°; con pendenza di circa 1 per 2000 sca-vato nell'intervallo compreso tra le due ture e nel qualesi immettevano naturalmente le acque sorgive delloscavo.

I pali di fondazione delle spalle vennero piantaticon battipali, la cui mazza, del peso variabile tra 400e 500 Cg., veniva sollevata da squadre di 25 a 30 uomini.Circa 200 operai erano in quest'ufficio simultaneamenteimpiegati sulle due sponde. Ultimata l'infissione diquesti pali, si passò al piantamento dei pali destinati asostenere i muri circolari, quelli di testa e quelli dirisvolto.

Sulla platea formata dalla malta di calce e ceroso,

di cui si riempirono gli spazii compresi tra le lunghe-rine e le traversine dell'intelaiamento poggiate sulleteste dei pali, si murarono dapprima quattro corsi dipietra dell'altezza complessiva di m. 2, formanti dueriseghe: conchè si raggiunse il livello delle magre.Poscia si murarono le spalle sino all'altezza di m. 3dal livello delle magre, cioè sino all'imposta dell'arco edopo avere elevato i muri d'accompagnamento dellespalle di altri sette corsi di 0,60 d'altezza caduno, sisospesero i lavori per lasciare rassodare le murature du-rante una intiera stagione e potere, nella campagna sus-seguente, metter mano alla costruzione dell'arco.

Il Mosca, fece tagliare i cunei secondo la sagoma del-l'arco vero di m. 45 di corda e di m. 5,50 di saetta, eaddottò nella esecuzione un arco rialzato alla chiave dim. 0.25 e proporzionalmente nei fianchi, sino alle im-poste, dove intersecavasi coll'arco vero: coll'avvertenzadi disporre le commessure in modo che a vece di diri-gersi verso l'asse dell'imbotte, presso le imposte essidivergessero all'imbotte con progressione decrescentedalle imposte ed al contrario presso la chiave ed all'e-stradosso divergessero in progressione crescente sinoalla chiave stessa. Siccome però, stante il numero grandedei cunei di cui l'arco doveva comporsi (93), la diffe-renza tra le lunghezze dell'arco rialzato e dell'arco veronon permetteva di stabilire nella larghezza delle com-messure una progressione decrescente dall'imposta allachiave in termini materialmente apprezzabili, si ricorseal partito di dividere il mezzo arco in tre parti, nellaprima delle quali (presso l'imposta) le faccie dei giuntidivergessero all'imbotte; nell'ultima (presso la serragliadell'arco) le faccie dei giunti divergessero all'estradosso,e nella parte intermedia fossero parallele.

La prima parte comprende 10 cunei e la larghezzadelle commessure, a partire dall'imposta, doveva decre-scere da mm. 8 a mm. 2; nella parte intermedia la lar-ghezza delle commessure, calcolata in mm. 0,47, eradestinata a scomparire all'atto stesso della posa; nel-l'ultima, abbracciante otto cunei, la distanza stessa do-veva decrescere, a partire dalla chiave, da mm. 5 amm. 1.

Per ottenere le commensure colla larghezza fissata sifaceva uso, nella posa, di laminette di piombo di gros-sezza corrispondente ai termini delle serie surriferite.Tuttavia è da notare che i cunei componenti il volto, nonavendo tutti una stessa lunghezza, ma quella dei cuneidelle faccie essendo maggiore di quella degli interni,allo scopo di conservare alle commessure le larghezzedeterminate dalle dette progressioni si frapposero tra lefaccie dei cunei interni piccoli cunei di ferro, che ven-nero poi tolti prima del disarmamento.

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Onde un'operazione così delicata potesse riuscire apennello, all'atto della posa di ogni corso di cunei se neverificavano le ascisse le ordinate corrispondenti, pre-ventivamente calcolate, e se ne appurava l'inclinazioneper mezzo di apposito strumento. Le ascisse erano se-gnate sopra un trave orizzontale collocato sotto il volto;trave che si sottrasse all'influenza di ogni inevitabile mo-vimento dell'armatura col fissarlo ai ponti di servizio, iquali alla loro volta e, contrariamente a quanto primad'allora erasi praticato da celebratissimi ingegneri, sicostrussero ai lati del ponte, in modo affatto indipen-dente dall'armatura; con che si ottenne ancora altro nonmeno importante vantaggio, quello cioè di poter farscorrere i conci al disopra dell'armatura, senza che que-sta ne risentisse il peso prima del loro collocamento inopera. Le ordinate erano segnate su quattro aste verti-cali appoggiate alle coste del ponte. Le ascisse si veri-ficavano coll'archipenzolo, le ordinate col livello.

Siccome i cunei di ferro, di cui si fè cenno, dovevanoessere ritirati prima del disarmamento, così nelle com-messure veniva colata una malta di calce e sabbia, ondesi potessero poi a suo tempo togliere i cunei senza im-pedire il libero movimento del volto. La colatura dellamalta si faceva ogni qualvolta erano messi in opera da

nove a dieci cunei e sempre procedendo dall'impostaalla chiave. Per contenere la malta liquida si chiude-vano esteriormente le commessure con stoppa di canapa.Appena la malta, pigliando consistenza, diminuiva divolume, si colava nuova malta e questa operazione ripe-tevasi sino a completo indurimento della malta su tuttele faccie.

Venne rigorosamente proscritto l'uso dei cunei dilegno forte per il collocamento in opera dei conci. Perevitare la scornatura degli spigoli si ricorse allo impiegodi tela grossa tagliata in pezzetti, collati gli uni suglialtri, fino a raggiungere uno spessore conveniente. Talipezzi di tela vennero tolti all'epoca del ripulimento

della superficie esteriore del volto per sostituirvi la pro-filatura con cemento. Queste precauzioni miravano,come ben si comprende, ad ottenere una comprensioneregolare ed uniforme distribuita su tutta la superficie

di giunto.Le pietre lavorate, su carri tirati da buoi, giunge-

vano presso le due spalle e poscia, per mezzo di arganicollocati alla sommità dei ponti di servizio ed ai due

lati del ponte, venivano tirate in su e colle debite cau-

tele messe in opera.Argani, taglie, martinelli, corde e cunei furono i soli

ordigni impiegati nella costruzione del ponte, e con talesemplicità di mezzi meccanici si riuscì, con spesa rela-tivamente assai piccola, e quel che più monta, con moltaspeditezza, senza danno delle pietre e senza che si avve-rassero disgrazie, a mettere giornalmente a sito quasinove cunei, pesanti mediante più di cinque tonnellateciascuno, e quindi, in 75 giorni di lavoro utile, i 651cunei di cui si compone l'arco, pesanti in complesso3250 tonnellate. E notisi che un terzo circa dei cunei pe-savano oltre ad otto tonnellate ciascuno, ed i primi,verso le imposte, fino a 15 e a 18 tonnellate.

Nel giorno 13 Agosto 1828 si collocò il primo cuneodi testa a monte verso la sponda destra, e nel dì 8 no-vembre si chiuse il volto con pieno successo, dopo ottomesi di lavoro, iniziatosi il giorno 8 di aprile in cui sipose mano alla preparazione della platea per il trac-ciamento dell'arco.

Negli ultimi giorni di dicembre si fecero i prepara-tivi per il disarmamento, si demolirono le stecccaie ingiro alle spalle, si disposero delle pedane per comuni-care facilmente da una parte all'altra del ponte, si fis-sarono vari capisaldi e si segnarono sulle fronti del voltodue linee poligonali di cinque lati caduna, di cui unoorizzontale, disposte simmetricamente rispetto alla ver-ticale della chiave, onde essere in grado di riconoscerequalunque più piccolo movimento dei cunei. Si raschiòposcia dei giunti, sia all'intradosso che all'estradossodel volto, la malta colata nelle commessure per una pro-fondità di circa tre centimetri, onde evitare nel cedi-mento dell'arco qualunque scheggiatura degli spigoli.Si rallentarono in seguito tutte le chiavarde a vite del-

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l'armatura, onde lasciare libertà di movimenti ai varipezzi della medesima e si rimossero dall'armatura i so-stegni ausiliari.

Venti giorni circa dopo la chiusura del volto si co-minciò a rallentare l'armatura.

Sotto i colpi di mazza dei legnaiuoli, i cunei che sop-portavano i cavalletti presero a scorrere uniformementeed insensibilmente con moto quasi simultaneo sotto ilpeso dell'arco e dell'armatura.

Questo movimento fu sospeso e ripreso ad intervalli,finchè si riconobbe che il cedimento aveva raggiunto ilsuo termine e che i cunei non sopportavano più che ilpeso dell'armatura. Nessun scricchiolìo che accennassea movimenti parziali ed anormali accompagnò questaoperazione. Ultimato il disarmamento, nel quale si im-piegarono cinque giorni, si abbassò del tutto l'armaturae si cominciò a scomporla.

Mediante i capisaldi collocati lungo le faccie delvolto, si riconobbe che il cedimento aveva avuto luogoregolarmente dalla chiave all'imposta e che nessuna rot-tura erasi verificata nei lati delle poligonali tracciatesulle fronti, segno evidente che il cedimento fu il risul-tato di un movimento di articolazione di cunei, senzaombra di scorrimento sulle faccie d'appoggio.

L'abbassamento totale del volto alla chiave, verifi-cato dopo il disarmo, fu di soli m. 0,125.

Un secondo abbassamento di m. 0,065 si verificò poi,quando in principio dell'anno susseguente, si caricò ilvolto di una massa di ciottoli del peso di Cg. 2.781.000,peso d'assai superiore a quello dei timpani, delle cor-nici, dei parapetti, dei marciapiedi, del selciato e delsovraccarico massimo accidentale, che il volto avrebbedovuto in seguito sostenere.

Il totale abbassamento fu dunque di metri 0,19, cioèdi sei centimetri inferiore al previsto, e questa è la provapiù convincente della accuratezza impiegata nella co-struzione, la quale non si smentì nel seguito dei lavori.

Nella costruzione della cornice e del parapetto nonsi impiegarono pietre minori di m. 2.50 di lunghezza edanzi quelle impiegate nella formazione del parapettosopra i muri di risvolto misurano perfino da 11 a 12 m.di lunghezza.

La citazione precedente mostra di quali cure Carlo

Bernardo Mosca aveva circondato la posa della sua voltaeccezionale, facendo uso di tutti gli accorgimenti offertidalla tecnica del suo tempo, e ideandone alcuni nuovi,sorvegliando ogni progresso della costruzione con occhiovigile ed attento. Contro la stabilità dell'arco si eranoelevati dubbi, e invece la volta gettata sulla Dora pre-sentava un largo margine di sicurezza. Alberto Casti-gliano dedicò al Ponte Mosca tutto un capitolo di quellasua « Théorie de l'equilibre des systèmes elastiques »dove è per la prima volta sviluppato su basi sicure ilcalcolo del grande ponte murario: la curva delle pres-sioni, per una assai gravosa condizione di carico, di pocos'allontana dall'asse dell'arcata; le pressioni si distri-buiscono perciò in modo da utilizzar bene la resistenzadel materiale impiegato (gneiss del Malanaggio) e nonsi superano i 42 kg./cm. 2. Dai calcoli il Castiglianoconchiudeva quindi che l'arcata avrebbe presentato unasolidità sufficiente anche senza quelle disposizioni parti-colari immaginate dal celebre costruttore, che erano delresto riuscite utilissime a conferire maggior stabilitàalla volta.

Detto così del Ponte, accenniamo brevemente al-l'uomo.

Carlo Bernardo Mosca, nato ad Occhieppo Superioreil 6 novembre 1792 da Lorenzo e da Prudenza Calan-zano, era il primogenito di numerosa famiglia, nonricca, imparentata con l'intendente generale Pietro An-tonio Canova, cui una morte prematura aveva interrottauna brillante carriera nelle pubbliche amministrazioni.Fatti i primi studi in patria, poi nel collegio di Biella,e successivamente nel liceo di Alessandria ed in quelloimperiale di Casale, pensò di seguire la carriera eccle-siastica, ma lo distolse la necessità di pensare ai fratelli,che l'età avanzata del padre faceva presumere sareb-bero rimasti orfani in ancor tenera età: ebbe allora l'i-dea di concorrere alla Scuola Politecnica di Parigi, nel1808 si presentò alla Commissione esaminatrice in To-rino, riuscì tra i migliori, ma non fu accettato perchètroppo giovane : compiuti i 16 anni necessari per l'am-missione concorse nuovamente a Genova ed ebbe il

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posto. Le prove date in questi esami e quelle fornitedurante gli studi, in cui gli furono maestri De Prony,Ampère, Renard, Gay-Lussac, Arago, Durand, An-drieux, Petit diedero di lui una tanto elevata opinioneche gli esaminatori francesi, delegati agli esami in que-ste nostre terre subalpine, dicevano ai licei: « Donnesnous des Mosca ». L'amor di famiglia che gli aveva fattorinunciare alla carriera ecclesiastica lo spinse a non ac-cettar neanche quella militare che si presentava riccadi promesse e seducente a Lui. Licenziato fra i primidalla Scuola Politecnica; scelse invece il servizio diponti e strade, e nel 1812 fu inviato ingegnere allievo aTulle nella Corrèze. La morte della madre (1813) loindusse a chiedere d'essere destinato ad una sede piùvicina ai suoi; fu esaudito ed ottenne d'essere mandatoa Savona, capitale del dipartimento di Montenotte; viprogettò molte opere per i ponti e le strade del Litoralee dell'Appennino, notevoli in particolar modo la traver-sata per la valle del Tanaro, e la rettificazione del passodella Caprazoppa. Ma le vicende politiche lo richiama-rono a Parigi, ad attendervi all'opera di difesa di quellacittà minacciata dalla coalizzazione delle Potenze Eu-ropee. Il Mosca, tenente del Genio, si occupò in parti-colare della fortificazione di Montmartre; delle sue be-nemerenze ebbe tardo riconoscimento nel 1855 quandoil secondo impero lo decorò della Croce di S. Elena.

Alla caduta di Napoleone il Prony, che altamentelo stimava gli offerse onorevoli incarichi in Francia, maCarlo Bernardo Mosca preferì modesti impieghi dal re-staurato Regno Sardo. Vittorio Emanuele I lo inviò suodelegato nel settembre 1814 in Savoia per collocarvi aConflas (ora Albertville) le autorità civili e militari edi riordinarvi il servizio stradale. In questo suo primoincarico nell'amata patria Egli incontrò ostacoli gravie fu oggetto di attacchi che profondamente ferirono ilsuo amor proprio, tanto da alterare la sua salute finallora floridissima, che fu poi sempre invece malfermae precaria. Nominato ingegnere di 2a classe del GenioCivile nel 1816 e destinato a Savona, costruì la stradadi Val Tanaro, già studiata ai tempi dell'impero fran-cese, si occupò della viabilità del litorale di ponente edel passaggio in galleria del colle di Tenda. Nel 1818,era a Torino, addetto ancora a lavori stradali: la stradada Rivoli a Susa, quella Pino-Chieri, il miglioramentodella strada di Piacenza e di Milano; per quest'ultimacostruì i ponti sull'Orco e sul Malone, un altro pontenotevole erigeva sul Tesso presso Lanzo. La fama dellacapacità sua, la stima delle sue qualità morali indus-sero la Camera dei Conti, il Senato, il R. EconomatoApostolico e il Supremo Magistero dell'Ordine Mauri-ziano a nominarlo loro perito. L'Università di Torino

nel 1819 gli conferì il Diploma di Ingegnere idraulicoe civile, dispensandolo da ogni esame: nel 1820 era Se-gretario del Congresso permanente e del Consiglio su-periore di ponti e strade. Incominciano da questi anni isuoi studi per il ponte che doveva esternarne il nomee con essi l'aggravarsi di quei contrasti e di quelle di-savventure, che tanto ne tormentarono l'animo sensi-bile e gentile. Soltanto l'energia del Conte Roget diCholex che, ottenuta da tecnici francesi segretamenteconsultati l'approvazione del progetto, si fece valido so-stenitore, superò le difficoltà opposte alla costruzione del-l'opera, alla quale collaborò con zelo grandissimo e convivace intelligenza, Giuseppe Mosca minore fratello diCarlo Bernardo. Ma la grande opera di cui già abbiamodetto non distolse il Nostro da una fervida operosità inaltri campi. Ispettore del Genio Civile dal 1825 studiòi quais lungo il Po, la chiesa votiva di Nizza Marittima,la sistemazione dell'Accademia Albertina, e del collegiodelle Vedove e Nubili. Non di rado dall'Estero si ebbericorso a Lui per lavori di grande rilievo: a Berna fuinterpellato per la costruzione del ponte sull'Aar: perLosanna progettò il viadotto di 22 archi sul torrenteFlon. Anche alle ferrovie il Mosca rivolse l'attenzionee contribuì al loro primo sviluppo, con una relazionescritta nel 1836, dopo un viaggio d'istruzione nellaFrancia e nell'Inghilterra. L'Accademia Albertina lovolle Professore onorario nel 1831; l'Accademia delleScienze di Torino lo nominò corrispondente nel 1831;Carlo Alberto lo elevò nel 1848 alla dignità del Senato.Angustiato da frequenti infermità, e da lotte, non sem-pre leali, passò tristi gli ultimi anni, ritirandosi benspesso nella pace della modesta villa di Rivalta. Il 13luglio 1867 spirava in Torino. Prospero Richelmy, chedel collega accademico, tracciò un ritratto vivace edaffettuoso ne descrive lo strazio di alcune ore resetroppo dolorose dagli immeritati contrasti: da questoritratto voglio trarre qualche frase per chiudere la miacommemorazione :

« Accadde per Lui più d'una volta che la debolezzadi sua salute non potendo resistere alle contraddizioniche gli toccava soffrire Egli cadesse in una terribileprostrazione di forze. In queste condizioni malauguratele quali, o sia fatalità o sia periodo cagionato da natura,parvero rinnovarsi circa ogni decennio, tanta fu talvoltala gagliardia del male, e l'abbattimento non fisico sol-tanto ma morale, che ebbe a combattere sovente controla tentazione del suicidio. Ora chi lo rese forte a soste-nerla, come ebbe egli stesso a confessare più volte aisuoi, fu la convinzione religiosa. E questa convinzioneconservò fino agli estremi.

L'amore ordinato di se stesso, quell'amore che ci fa

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Atti dei Sindacati Fascisti degli Ingegneri di Torino e Architetti del Piemonte 36 —

sentire modestamente sì ma degnamente di noi, è co-mandato non combattuto dalla religione. Nel Mosca untale amore fu robusto fin dai primordi della sua car-riera, ed il ritrasse dall'accettare un impiego privato,che forse lo avrebbe condotto per altra via a procac-ciarsi una fortuna più cospicua. La stessa forza d'animo,la stessa dignità nel sentire lo accompagnarono dappoi esempre. Fra i membri del Genio Civile si trovarono al-cuni i quali credendo di poter combinare il serviziopubblico con commissioni private, si lasciarono andaread assumere alcuna di queste; l'esempio fu sempre ri-fuggito dal Mosca; nè avvenne mai che o speranza digrandioso guadagno, o raccomandazioni di alto lo-cati, od amicizia di eguali, lo abbiano potuto indurre acosa che egli non sapeva approvare in altrui. Imma-ginate poi voi con quanto ribrezzo egli abbia dovutosentire le proposte di taluno che veniva tentandolo disacrificare a privati interessi il bene della nazione.L'idea del pubblico bene che si voleva per lui tradito,quella della propria dignità che si voleva da lui dimen-ticata si sollevavano allora nel Mosca e si sollevavanogiganti. Le parole non gli facevano difetto in quei mo-menti, non ne emetteva troppe, ma anche poche erantali che bastavano a far fuggire spaventato chi le ave-va provocate.

E furono per avventura alcuni di cotesti impeti chefecero tacciare il Mosca di fare iroso e troppo severo,accusa ingiusta e non meritata, tuttavia occasionata dalui al quale era impossibile tradire in qualsivoglia mo-do, fosse pure in cose di minore importanza, la veritào l'onestà.

Per questa stessa ragione, per questo stesso culto cheei professava al giusto, all'onesto, al vero utile dellapatria, il suo dire fu sempre schietto, anche a costo diopporsi alle brame di chi a lui gerarchicamente su-periore, nell'atto che pareva richiederlo di consigliolo andava sollecitando di risposta conforme al propriovoto.

Coll'adorazione della divinità, col rispetto a sestesso si accompagna in un animo ben fatto l'amoredei suoi simili, e questo amore allorchè è guidato eretto dalla ragione si manifesta tanto più intenso quantopiù la persona amata ha intimi coll'amante i rapporti.

Di questa guisa appunto si regolava il nostro Mosca;nel cuor suo tenevano il primo posto coloro che glierano uniti per sangue. Già vi ho notato come fin dagiovanetto al bene della famiglia sacrificasse la primasua inclinazione, poi le attrattive di una brillante car-riera, ma queste non erano che le prime offerte. Mor-togli il padre, allorchè gli ultimi fratelli erano ancora

in bassa età, egli radunò presso di sè l'intera superstitefamiglia e rinunciando ad averne una propria, si posea vece del defunto genitore. E siccome l'eredità da que-sto lasciata non avrebbe somministrato il bastevole alsostentamento ed alla educazione di tutti, il primoge-nito ad ogni cosa sopperiva impiegando a questo scoposantissimo i proventi dei suoi lavori. Ai soccorsi mate-riali poi aggiungeva i morali, e tutti precedendo col-l'esempio tutti condusse ad acquistarsi un posto onoratoin società; dei suoi fratelli Cesare, elevato al sacerdoziofu modello d'integra vita e di carità evangelica, Giu-seppe, che giunse anch'Egli al grado di ispettore delGenio Civile, collaborò di frequente col fratello confedeltà sicura ed intelligente; Giovanni, percorse cononore la carica amministrativa, Luigi, riuscì medico dichiara fama.

E non tralignarono gli eredi del nome a noi più vi-cini, che anzi ispirarono sempre la loro condotta agliesempi di lealtà e di carattere, retaggio del loro mag-giore: Carlo, che dello zio illustre descrisse l'operaprincipale in un accurato studio, ed i suoi figli Angelo,Luigi, capitani di fanteria, gloriosamente caduti nellaguerra mondiale per la grandezza d'Italia.

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Marzo 1932 - X Confederazione Nazionale Sindacati Fascisti Professionisti ed Artisti Anno VI - N. 3

PARTE QUARTA

Rassegna Tecnico - Legale - CorporativaLe rapppresentanze di coloro che esercitano una libera professione o un'arte, concorrono alla tutela degli interessi dell'arte,

della scienza e delle lettere, al perfezionamento della produzione ed al conseguimento dei fini morali dell'or-

dinamento corporativo. (Carta del Lavoro)

Sulla responsabilità penalenella legislazione sugli infortuni nel lavoro

(Seguito al numero precedente)

Il volume del Dott. Leosco (1), che abbiamo iniziatoad esaminare e commentare nello scorso numero ha uncapitolo sull'inosservanza delle norme sulla preven-zione.

Il capitolo in esame si apre ponendo in luce il valoreeconomico ed il significato sociale della prevenzione in-fortuni per poi riassumere le fasi ed i lavori prepara-tori, che hanno portato all'emanazione del regolamentoper la prevenzione, e le disposizioni relative agli orga-nismi esecutori che dovrebbero curare l'osservanza diquesto regolamento. Viene poi trattata la responsabilitàper l'inosservanza delle norme di prevenzione, e giusta-mente l'Autore, come parecchie volte abbiamo anchenoi sostenuto nei commenti giurisprudenziali, pone inrilievo la distinzione e l'indipendenza fra questa respon-sabilità e quella che si verifica nei casi d'infortunio. In-fatti è detto: «Il fatto punibile deve consistere nellaomissione volontaria o colposa d'una misura preventiva,espressamente prescritta da una legge o da un regola-mento », e poi si insiste sulla precisione e rigorosità re-strittiva nell'interpretare così come è definito l'oggettocausa della responsabilità per mancata prevenzione,mentre non si fa parola di un altro oggetto causa dellamedesima responsabilità: l'ordine dell'Ispettore del-l'A. N. P. I. stabilisce infatti il secondo comma dell'ar-ticolo 3 del R. D. L. 3 gennaio 1926, n. 79: « Le dispo-

sizioni da essi (Ispettori dell'Associazione Nazionale)impartite in materia di prevenzione infortuni hanno ca-rattere di obbligatorietà ». E ancora la voluta interpre-tazione, così restrittiva (è detto: « la sanzione nonsarebbe applicabile per l'omissione di una misura pre-ventiva non resa obbligatoria per legge nemmeno se siriconosca che l'omissione stessa possa dar luogo a possi-bili incidenti...) dell'oggetto definito in tal modo, con-traddice con le disposizioni del nuovo Codice Penale— art. 437 e 451 (1) — ricordato dall'Autore in altripunti e per altri argomenti, ma dimenticato su questoproblema, per la cui definizione gli articoli citati hannoun'importanza rilevantissima.

Altro argomento trattato è quello relativo alla respon-sabilità degli operai. Giustamente l'Autore, specificandoancora la differenza fra la mancata prevenzione conside-rata come reato a sè e la mancata prevenzione comecausa di un infortunio, combatte le idee dell'Ordine e

(1) Dott. A. LEOSCO: Trattato teorico pratico sulla responsa-bilità penale nella legislazione infortuni sul lavoro. Milano, 1931,Ed. Hoepli.

(1) Art. 437. — Rimozione od omissione dolosa di cautele con-tro infortuni sul lavoro — «Chiunque omette di collocare im-pianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infor-tuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito conla reclusione da sei mesi a cinque anni. Se dal fatto deriva undisastro o un infortunio, la pena è della reclusione da tre a diecianni ».

Art. 451. — Omissione colposa di cautele o difese contro di-sastri o infortuni sul lavoro. — « Chiunque, per colpa, omettedi collocare, ovvero rimuove o rende inservibili apparecchi oaltri mezzi destinati alla estinzione di un incendio, o al salva-taggio o al soccorso contro disastri o infortuni sul lavoro, è pu-nito con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire millea cinquemila ».

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Atti dei Sindacati Fascisti degli Ingegneri di Torino e Architetti del Piemonte 38 —

precisa esattamente che la responsabilità per mancataprevenzione derivante dall'art. 3 del R. D. 31 gennaio1904, n. 51 sorge soltanto per gli esercenti ed i capidelle imprese. Vi può essere allora un altro titolo diresponsabilità per mancata prevenzione addossabileagli operai? A parte il caso di speciali regolamenti,l'Autore sostiene che l'inosservanza delle norme di pre-venzione da parte dell'operaio costituisce una viola-zione del patto contrattuale, poichè le misure diprevenzione rientrano nella sfera di azione con-cessa all'operaio e dove l'operaio stesso, rispettandola,deve svolgere la propria attività, seguendo scrupolosa-mente gli ordini del padrone o del capo. La sanzionequindi deve essere di carattere contrattuale, senza esor-bitare i limiti del diritto privato; e l'Autore a questoproposito riassume le discussioni e le proposte fatte perdare al datore di lavoro i mezzi necessari a far osser-vare le norme di prevenzione dagli operai, ricordandoin particolare modo come e perchè fu rigettata la pro-posta di adottare come sanzione la perdita d'indennitàda parte dell'operaio. Rimangono al datore di lavoro isoliti mezzi disciplinari e contrattuali, fra i quali si po-trebbe pensare anche al licenziamento in tronco. Però,poiché la mancata prevenzione è sottoposta nettamenteal diritto penale nei riflessi del datore di lavoro, pare,secondo noi, non del tutto logico che questo debba ri-spondere (sempre escluso il caso dell'avvenuto infor-tunio) penalmente (e si ricordi il carattere personalis-simo del diritto penale) dei suoi dipendenti, potendosolo civilmente rivalersi su di questi. Tanto più che visono dei casi nella pratica in cui la prevenzione deveessere opera in gran parte dell'operaio, il quale, nonosservandola, espone sè stesso al pericolo, ma può ancheesporre i suoi colleghi. Perciò, se giustamente nei ri-flessi dell'operaio non può essere richiamato l'art. 434del passato Codice Penale, si potrebbe considerare dello

stesso Codice l'art. 483 (1). Ma ora nel nuovo CodicePenale, il problema cambia aspetto, poichè con le di-sposizioni più sopra ricordate la sfera degli imputabilisi fa vastissima comprensione (è detto infatti: « Chiun-que... ») e vengono anche specificate le rimozioni e ildanneggiamento delle misure di prevenzione, fatti ap-punto che più facilmente possono riguardare gli operai.

L'Autore viene poi a parlare del richiamo posto nel-l'articolo 3 del R. D. 31 gennaio 1904 n. 51 dell'art. 434del passato Codice Penale (art. 650 del nuovo), e dopoaver esposto le ragioni ed il valore di questa disposizionecritica questo richiamo e ne dimostra l'infondatezza giu-ridica. E avrebbe ragione, se anche qui la lacuna ricor-data in principio di questa nota non influisse fondamen-talmente sull'impostazione del problema in esame: in-fatti mentre l'articolo del Codice parla di « ordine » e« provvedimento dato » dall'Autorità competente, l'ar-ticolo del Regio Decreto parla di « misure prescritte daleggi o regolamenti per prevenire gli infortuni », e diquesta differenza l'Autore pone in rilievo giustamentegli elementi e le conseguenze, particolarmente nella dif-ferenza dei caratteri peculiari dell'ordine (« precarietà,singolarità ed individualità ») e della norma legislativa(« generalità e continuità »). Ma il richiamo dell'arti-colo 434 viene giustificato ed assume il suo esatto valoregiuridico con l'esistenza « dell'ordine e provvedimentolegalmente dato dall'Autorità competente » creato dal-l'art. 3 (obbligatorietà delle disposizioni impartite dagliIspettori dell'A.N.P.I.) e dell'art. II (sanzione e ri-chiamo dell'art. 3 del R. D. 31 gennaio 1904 n. 51) delR. D. L. gennaio 1926 n. 79.

Stralciato da «Securitas »

(Anno XIX - N. 1).

(1) Art. 483 — « Chiunque, anche per negligenza o imperizia,fa sorgere in qualsiasi modo il pericolo di danni alle persone odi gravi danni alle cose è punito con la ammenda fino a lire due-cento e con l'arresto sino a 20 giorni.

Se il fatto costituisca in pari tempo infrazione ai regolamentiin materia di arti, commerci o industrie, e la legge non dispongaaltrimenti, la pena è dell'arresto da sei a trenta giorni o dallasospensione dall'esercizio della professione o dell'arte sino ad unmese ».

— 38

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Marzo 1932 - X Confederazione Nazionale Sindacati Fascisti Professionisti ed Artisti Anno VI - N. 3

PARTE QUINTA

Rassegna tecnica - Notiziario - Listino prezziConcorsi ed appalti - Appendice bibliografica

«Il Fascismo interessa tutte le genti civili, dagli uomini di Stato agli uomini di pensiero - L'Italia ha pronunciatouna parola che ha valore non solo nazionale ma mondiale ». MUSSOLINI

I metalli dell'avvenire

Gli acciai inossidabili e le loro più recenti affermazioniTra i nuovi materiali metallici che in questi ultimi

tempi hanno assunto una particolare importanza in tuttele principali applicazioni dell'ingegneria - alluminio, legheleggere e acciai inossidabili - questi ultimi, di diffusionepiù limitata dei precedenti in causa del loro prezzo ele-vato, si prestano tuttavia a considerazioni che possonointeressare la pratica delle costruzioni, con maggiore cer-tezza di dati che non nel caso di altri materiali.

Infatti, mentre per l'alluminio e leghe leggere, ilcosto relativamente moderato ha reso possibili numeroseapplicazioni che grazie ad un eccessivo ottimismo si sonoestese anche in casi poco o punto appropriati, comel'esperienza non ha tardato ad ammonire, per gli acciaiinossidabili invece il solo fatto del loro prezzo ha resopraticamente impossibili applicazioni che non fossero ba-sate sulla valutazione molto meditata della loro conve-nienza economica, tecnica ed estetica.

Sino a qualche anno fa, il campo dove gli acciaiinossidabili avevano un dominio pressochè incontrastato,era nelle applicazioni interessanti le industrie chimiche,la produzione essendosi infatti rapidamente specializzatanelle qualità cosidette « antiacide » studiate per soddisfarele particolari esigenze di questa industria.

Oggi si può dire che, quantitativamente parlando,la produzione degli acciai inossidabili comprende i se-guenti gruppi di importanza pressochè equivalente:

1) Gli acidi cosidetti « antirugine », prevalente-mente del tipo al cromo, impiegati in costruzioni edilizie

per coltellerie, in costruzioni meccaniche varie, in misuraassai minore nell'industria chimica, perchè non reagisconoche ad un numero assai limitato di reagenti.

2) Gli acciai « antiacidi » ad alto tenore di cromoe nickel, speciali per l'industria chimica, ma impiegatialtresì nelle costruzioni e nelle arti decorative perchè, ingenere, di più facile lavorazione dei precedenti.

3) Gli acciai resistenti alle alte temperature adalto tenore di cromo, o di cromo e nickel, compren-denti i tipi speciali per forni, apparecchi per trattamentitermici, parti di macchine a vapore, valvole, ecc.

4) Acciai inossidabili per applicazioni varie; com-prendenti una gamma numerosa di specialità studiateper esigenze particolari -- si tratta in generale di qualitàche debbono resistere a particolari reagenti a tempera-ture e pressioni molto elevate, ed hanno quindi carattericomuni ai tipi dei precedenti gruppi.

Vi sono complessivamente un centinaio di qualitàdi acciai inossidabili conosciute in commercio, prodotteda non meno di trenta Acciaierie, delle quali una Sve-dese assai nota per essere la sola in Europa, che abbiada alcuni anni, orientata tutta la sua attività in questocampo; ne produce attualmente ben 18 tipi diversi.

Una rapida rassegna di alcune recenti e significativeapplicazioni fatte, varrà più di ogni ulteriore commento,a dimostrare il cammino percorso, ed a prospettare allettore tecnico, le possibilità future che possono interes-sare la sua attività.

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Atti dei Sindacati Fascisti degli Ingegneri di Torino e Architetti del Piemonte 40 —

Costruzioni MeccanicheLe fig. 1 e 2 rappresentano una veduta di insieme

ed un dettaglio dell'ingranaggio di comando del più

di 10000 C in presenza di gas nitrosi.La fig. 3 rappresenta un grande apparecchio calci-

natore, provvisto all'interno di un apparecchio convoglia-tore a palette tutto in acciaio resistente all'acido nitrico

grande apparecchio esistente, interamente costruito in ac-ciaio inossidabile.

Si tratta di un forno rotante per calcinazione di salidi alluminio, in opera in un grande impianto Italiano,

ed al calore. Ve ne sono 6 unità in opera in un impiantoItaliano.

La fig. 4 rappresenta uno dei più grandi serbatoicostruiti per acido nitrico, in lamiera di acciaio di forte

della lunghezza di 30 metri, diametro circa 1500 mm.e peso di circa 40.000 kg., operante fino alla temperatura

spessore, saldata sul posto ; capacità oltre 100 Tonn.In opera in un impianto Cecoslovacco

Atti dei Sindacati Fascisti degli Ingegneri di Torino e Architetti del Piemonte 41 —

Fig. 5 : autoclave in acciaio inossidabile, pressione dutture di riscaldamento, agli attrezzi vari, l'acciaiodi lavoro 200 atmosfere. inossidabile sostituisce gradualmente ovunque gli altri

Industria TessiliNei diversi processi per il candeggio e la tintoria,

l'acciaio inossidabile ha dato già una dimostrazione cosìdecisiva della sua superiorità, che ormai in tutti gli sta-

materiali, consentendo, malgrado la spesa più elevata diimpianto, notevoli economie di manutenzione e di esercizio,unitamente a non disprezzabili vantaggi tecnici grazie al-l'inalterabilità delle soluzioni che non vengono più mo-

bilimenti più moderni è in corso la trasformazione deirelativi impianti. Dalle vasche di lavaggio e di tintoriaagli apparecchi completi a tingere, alle serpentine e con-

dificate dall'azione di attacco sui materiali coi quali sonoin contatto.

— 40 — 41

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Atti dei Sindacati Fascisti degli Ingegneri di Torino e Architetti del Piemonte 42 —

Costruzioni idrauliche e NavaliLe fig. 6 ed 7 rappresentano rispettivamente due

grandi fusioni in acciaio resistente all'acqua di mare ed

Sono in corso avanzato i lavori iniziati nel 1930 per ilrialzo di circa 9 metri dell'intera costruzione. La nuovasoprastruttura comprende la serie di piloni di rinforzoindicati nella figura, i quali sono separati dalla costruzione

all'azione corrosiva del ghiaccio (elica per nave rompi-ghiaccio) e della sabbia (girante di turbina idraulica peracqua con residui silicei).

presistente da uno strato continuo di lamiere inossidabilidi 7 mm. di spessore che formano «piani di scorrimento»aventi lo scopo di consentire la libera dilatazione causata

Costruzioni di digheFig. 8 e 9 - Diga di Assouan, nell'Alto Egitto.

dalle fluttuazioni periodiche di temperatura nella nuovasoprastruttura indipendentemente dalla vecchia costruzione.

— 43Atti dei Sindacati Fascisti degli Ingegneri di Torino e Architetti del Piemonte 43 —

È questa la più imponente applicazione che dell'ac-ciaio inossidabile sia stata mai eseguita in tutto il mondo.A lavoro ultimato vi sarà in opera oltre 2500 Tonn. dilamiere.

Building (323 metri) sono state impiegate oltre 50 Tonndi acciai inossidabili nelle costruzioni di decorazioni es-terne, ed in particolare per la intera ricopertura dell'al-tissima struttura a cupola terminale, mentre un quanti-

Edilizia ed Arti decorativeIn questo campo che interessa in particolare gli Archi-tetti, le applicazioni più significative che vogliamo ricor-

tativo altrettanto importante è stato impiegato per lacostruzione di serramenti. Nell'Empire State Building ilpiù recente grattacielo costruito, di 400 metri di altezza

dare sono quelle che sono state fatte nelle costruzionidei due ultimi grattacieli di New York. Nel Chrysler

furono impiegati per la sola decorazione esterna, ben150 Tonnellate di acciai inossidabili.

— 42

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— 44 Atti dei Sindacati Fascisti degli Ingegneri di Torino e Architetti del Piemonte 44 — — 45Atti dei Sindacati Fascisti degli Ingegneri di Torino e Architetti del Piemonte 45 —

Riproduciamo nella figura 10 l'originale cancellatad'ingresso dell'ultima Esposizione di Stoccolma di ArtiDecorative, costruita interamente con elementi inossida-bili di acciaio, parte allo stato naturale bianco opaco e

dinave offrono i modelli più perfetti di queste applica-zioni, estese dalle armature di porte e finestre, agli in-teri arredamenti per sale operatorie, all'utensilerie di cu-cina, ecc.

parte lucidati a specchio.Si può dire che quell'Esposizione, ha prospettate

per la prima volta in modo completo, tutte le possibilitàdi applicazione degli acciai inossidabili nelle costruzioni

Tra le applicazioni recenti e più note che riguar-dano le decorazioni interne ed esterne, ricorderemo inotevoli esempi di perfezione tecnica ed artistica offertedalle vetrine e portali d'ingresso di noti grandi negozi

e negli arredamenti interni, di uffici, negozi e case diabitazione.

Particolarmente notevole è l'applicazione nell'ediliziaospitaliera. Ancora oggi gli Ospedali e le Cliniche Scan-

e magazzini di Parigi, Londra e Berlino; cancellate arti-stiche, griglie per radiatori, copri caminetti, armature di

vetrine, arredamenti di bordo, serramenti, mobili per cu-cine, ecc.

Le applicazioni nell'interno delle abitazioni, sia di

carattere puramente utilitario, che per decorazioni, non

si contano ormai più, e rispondono del resto nel modo

più razionale al gusto odierno per le superfici piane ed

i colori chiari, ed alla necessità di ridurre al minimo il

lavoro di manutenzione.Le previsioni sullo sviluppo che queste applicazioni

avranno anche da noi in Italia sono facili in quanto se-guono il movimento che all'estero ci ha preceduti e cheda noi è rappresentato ancora da elementi di avanguardia.

Terminiamo questa breve rassegna ricordando che

persino nella scenografia teatrale l'acciaio inossidabile ha

fatto in questi giorni la sua apparizione in Italia, con

una riuscitissima applicazione, sulla scena Scaligera nel-

l'Opera Ballo Belchis del Maestro Respighi.

La «danza sullo specchio dell'acqua» che Belchis

Regina di Saba eseguisce al cospetto del Re Salomone

viene effettuata su un vasto piano di lamiera inossidabile

lucidata a specchio, la cui ondulazione e riflesso offre

l'immagine perfetta di una superficie d'acqua.

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— 46 Atti dei Sindacati Fascisti degli Ingegneri di Torino e Architetti del Piemonte Atti dei Sindacati Fascisti degli Ingegneri di Torino e Architetti del Piemonte 47 —

BIBLIOGRAFIA

La pratica delle costruzioni metallicheCon la recente pubblicazione del trattato « La pratica delle co-

struzioni metalliche » del dott. ing. Masi, la Casa Editrice U.Hoepli ha colmato in modo perfetto una lacuna che sino ad orasi riscontrava nella letteratura tecnica italiana, la quale, ricca diottimi testi di insigni nostri professori per quanto riguarda lascienza delle costruzioni ed i fondamenti teorici delle costruzionimetalliche. difettava però di una guida di carattere essenzialmentepratico per la sistemazione delle ossature in ferro.

La pubblicazione ora uscita costituisce una novità che puòstare a pari coi più noti trattati pratici posseduti dalle altre na-zioni e che venivano consultati dai tecnici delle nostre ditte co-struttrici; poichè l'autore, oltre a riportare dati dovuti all'espe-

rienza di case italiane specializzate, ha saputo riassumere i risul-tati di studi interessanti dei migliori autori e delle relative appli-cazioni apparse sui trattati e sulle riviste straniere più accreditatein materia.

Gli argomenti svolti ed i dati raccolti torneranno di grandeutilità sia ai progettisti che ai costruttori, permettendo di intro-durre con maggior sicurezza migliorie nelle loro costruzioni inbase alle più recenti prove sui materiali e sulla conformazionedelle aste.

Nel suddetto volume sono esposti in modo chiaro e conciso glielementi essenziali allo studio dei vari tipi di costruzione me-talliche ed i criteri fondamentali che debbono seguirsi nel proget-tarle; esso è corredato di numerosi particolari costruttivi, sceltiaccuratamente ed anche relativi a recenti innovazioni, di utili ta-belle e di formule di uso corrente; vi sono infatti riprodotti illu-strazioni di notevoli costruzioni di ditte italiane, nonchè costru-zioni di speciale importanza, state eseguite per l'estero dalla So-cietà Nazionale delle Officine di Savigliano, la quale è riuscitaa compete vantaggiosamente in concorsi internazionali ed ingara con primarie ditte estere.

Dopo uno sguardo particolareggiato al contenuto del libro, nonsi può far a meno di riconoscere la sua importanza e l'abilità concui esso è stato compilato. Nelle diverse parti in cui il volume èsuddiviso, l'Autore tratta con rara competenza i principali pro-blemi che riflettono i diversi tipi di costruzioni in ferro, che eglipassa poi ad analizzare dopo aver premesso alcune considerazionigenerali.

In questa prima parte del suo libro ricorda brevemente le pro-prietà tecnologiche del ferro e quelle degli acciai speciali, si sof-ferma sulla lavorazione in officina, sulle modalità del trasporto, edel montaggio delle ossature, sulla conformazione del loro com-plesso e delle singole aste, sui collegamenti, giunti, chiodature esaldature, sugli appoggi e fondazioni ed infine sulla compilazionedel progetto, disegni e calcolo. A questa parte preliminare fannoseguito le trattazioni a sè delle diverse specie di costruzioni: delletettoie e delle incavallature nelle loro svariate forme e destina-zioni dei ponti stradali e ponti ferroviari, sia fìssi che mobili,delle gru suddivise nei molteplici tipi e dei piani di scorrimento,ed in ultimo di alcune costruzioni speciali nelle quali sono com-parsi i pali a traliccio, le torri e le paratoie.

Nei vari capitoli di cui consta ciascuna parte, sono ordinata-mente accennate dapprima le considerazioni particolari inerential gruppo di ossature preso in esame, alla sistemazione di queste,alle forze esterne ed ai limiti di sollecitazione ammissibili, alla

scelta dei tipi più convenienti ed alle dimensioni da assegnareloro; successivamente ne vengono esaminate la struttura, le mem-brature componenti, l'importanza di quelle di rinforzo, la fun-zione delle diverse parti e le opere di finitura; vi sono pure ri-prodotte le norme e prescrizioni a cui debbono uniformarsi i sin-goli gruppi di opere, ed i concetti che debbono guidare il pro-gettista nella conformazione e disposizione del suo elaborato, nel-l'impostazione dei calcoli e delle ipotesi.

L'esposizione minuziosa con cui l'Autore fa l'esame dei sin-goli tipi, rilevandone i vantaggi ed i difetti, le disposizioni incerteod errate che pur frequentemente si riscontrano adottate, unita-mente all'analisi degli sforzi che si generano nelle aste ed ai me-todi usuali di calcolo colle eventuali ipotesi di verifica, riesce adare una giusta idea del comportamento statico di una costruzionemetallica.

Degna di speciale rilievo è l'attenzione che l'Autore porta ripe-tutamente sia sopra particolarità che possono facilmente sfuggiread una persona non pratica e sulle quali i costruttori spesso sor-volano con troppa leggerezza, sia sulle garanzie da prevedersi onderealizzare le ipotesi formulate a base di calcoli, sui vincoli, sullaentità notevole che talvolta possono assumere gli sforzi secon-dari, sulle deformazioni elastiche da contenersi entro i limiti con-sentiti dal carattere dell'opera, sulla deformabilità reciproca dellevarie parti fra loro connesse e sui collegamenti opportuni ondeassegnare al complesso la necessaria rigidità.

Tutte queste nozioni contribuiscono a fare del libro essenzial-mente pratico dell'ing. Masi un trattato forse unico del suo ge-nere, pubblicato in Italia, ed una guida sicura agli studiosi chedesiderano approfondirsi in questa materia, rendendola menoarida, di modo che esso verrà a costituire un ottimo completamentoagli insegnamenti impartiti nelle nostre Scuole di Ingegneria.

L'utilità sua sarà specialmente apprezzata da quanti, in pos-sesso delle necessarie cognizioni teoriche di calcolo, hanno dovutoarida, di modo che esso verrà a costituire un ottimo completamentodei principii e nell'effettuazione pratica dei loro studi.

Il progresso e le nuove attività delle popolazioni imporrannofacilmente esigenze maggiori di quelle presenti, ed è perciò pre-vedibile che una ripresa dovrà maggiormente farsi sentire sullecostruzioni metalliche, le quali per le loro caratteristiche di resi-stenza e di leggerezza, e per la loro varietà di struttura, in molticasi esse sole consentono l'attuazione con la debita sicurezza diopere di speciale arditezza e di dimensioni eccezionali o soggettea carichi ingenti e di ogni natura; mentre con altri generi di co-struzioni ciò non sarebbe addirittura possibile o quanto menonon ne sarebbe consigliabile l'impiego per la difficoltà di esecu-zione e per l'economia.

Le costruzioni metalliche che già in passato hanno costituitoun ramo fiorente della nostra industria e nelle quali l'Italia nonè stata seconda ad altre nazioni, pur dotate di materie prime e dimezzi più grandiosi, riprenderanno certo il loro sviluppo; e lapubblicazione ora fatta dall'editore Hoepli giunge in propositoper illustrarle convenientemente ed a favorire la diffusione diquelle cognizioni che sono tuttora limitate ad un numero ristrettodi ingegneri, mentre è bene che vengano estese ed alla portata diquanti desiderano interessarsene, sia pure parzialmente, onde nepossano comprendere l'importanza di tutti gli elementi costitutivi.

Marzo, 1932.G. CHIATTONE.

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L I S T I N O P R E Z Z I(Redazione Ufficiale dei Sindacati Ingegneri ed Architetti di Torino)

Nei prezzi segnati non si intendono computate le percentualiper spese generali, per tasse scambio sulle materie prime,e l'utile per l'imprenditore.

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