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CONCERTO ESEGUITO IL 22 MAGGIO 2014 CLASSE 3°^ SCUOLA PRIMARIA “GRAMSCI” MONTANASO BUON POMERIGGIO. NOI RAGAZZI DI SECONDA DIAMO IL BENVENUTO A TUTTI VOI E VI AUGURIAMO UN BUON ASCOLTO. QUEST’ ANNO ABBIAMO RIFLETTUTO SUL TEMA DELLA MEMORIA PARTECIPANDO AL PROGETTO DI ISTITUTO “FORME, LUOGHI, PRESENZE DELLA MEMORIA.” RICORDARE IL PASSATO CI E’ SERVITO A CAPIRE MEGLIO IL NOSTRO PRESENTE E SARA’ LA CHIAVE PER IL NOSTRO FUTURO. IN QUESTO PERCORSO DI EDUCAZIONE MUSICALE ABBIAMO CONOSCIUTO ALCUNI STRUMENTI: LA CHITARRA, IL FLAUTO DOLCE, LA FISARMONICA, LA CORNAMUSA. OGGI VI PROPORREMO UNO SPETTACOLO DI CANTI POPOLARI SUGLI ANTICHI MESTIERI LA LAVANDAIA La lavandaia lavava i panni dei signori ricchi nel fiume o nel torrente con qualsiasi tempo e temperatura, inginocchiata a terra. Vi erano i numerosi lavatoi pubblici e le rogge diffuse in alcune aree periferiche delle città lungo i corsi dei fiumi, dove esse si raccoglievano in

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CONCERTO ESEGUITO IL 22 MAGGIO 2014

CLASSE 3°^ SCUOLA PRIMARIA “GRAMSCI”

MONTANASO

BUON POMERIGGIO.

NOI RAGAZZI DI SECONDA DIAMO IL BENVENUTO A TUTTI VOI

E VI AUGURIAMO UN BUON ASCOLTO.

QUEST’ ANNO ABBIAMO RIFLETTUTO SUL TEMA DELLA

MEMORIA PARTECIPANDO AL PROGETTO DI ISTITUTO

“FORME, LUOGHI, PRESENZE DELLA MEMORIA.”

RICORDARE IL PASSATO CI E’ SERVITO A CAPIRE MEGLIO IL

NOSTRO PRESENTE E SARA’ LA CHIAVE PER IL NOSTRO

FUTURO.

IN QUESTO PERCORSO DI EDUCAZIONE MUSICALE ABBIAMO

CONOSCIUTO ALCUNI STRUMENTI: LA CHITARRA, IL FLAUTO

DOLCE, LA FISARMONICA, LA CORNAMUSA.

OGGI VI PROPORREMO UNO SPETTACOLO DI CANTI POPOLARI

SUGLI ANTICHI MESTIERI

LA LAVANDAIA

La lavandaia lavava i panni dei signori ricchi nel fiume o nel torrente con

qualsiasi tempo e temperatura, inginocchiata a terra.

Vi erano i numerosi lavatoi pubblici e le rogge diffuse in alcune aree

periferiche delle città lungo i corsi dei fiumi, dove esse si raccoglievano in

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gran numero con ceste di panni e sapone.

Si andava prima per famiglie a raccogliere i panni sporchi da lavare e poi

si portava al fiume.

Dopo aver finito di lavare, i panni venivano stesi sull'erba ad asciugare. La

lavandaia lavava con la cenere, "la lisciva", l'acqua del fiume e tanto "olio

di gomito" per strofinare e sbatterei panni.

Questo mestiere duro e faticoso, ora è fortunatamente scomparso con

l'avvento delle lavatrici.

VI PROPONIAMO DUE CANTI UNITI: “LA LAVANDERA” E LA

CAMPAGNOLA”, CIOE’ LA DONNA CHE VIVEVA E LAVORAVA

IN CAMPAGNA.

LA LAVANDERA

La me murusa cara la fa la lavandera

la vegn a ca la sera, La vegn a ca la sera,

la me murusa cara la fa la lavandera

la vegn a ca la sera cul scussalin bagnà.

Cul scussalin bagnato la se sugheva i occhi

veder quei giovanotti, veder quei giovanotti,

cul scussalin bagnato la se sugheva i occhi

veder quei giovanotti, vederli andar soldà.

Vederli andar soldato, vederli andare alla guerra

veder cascar per terra, veder cascar per terra,

vederli andar soldato, vederli andare alla guerra

veder cascar per terra con la ferita in cuor.

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Con la ferita in cuore, con la ferita al dito,

ahimè che son tradito, ahimè che son tradito

con la ferita in cuore, con la ferita al dito,

ahimè che son tradito, tradito nell’amor.

LA CAMPAGNOLA

Che bel musin che la gà la campagnola

che bel musin che la gà la campagnola

che bel musin che la gà la campagnola

che bel musin che la gà la campagnola.

Ecco le nostre lavandaie:

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LA FILATRICE

Con il termine filatrice si intende colei che tramite degli attrezzi

(normalmente un fuso e, successivamente, un arcolaio) e soprattutto le

proprie abili mani, ricava un filo più’ o meno omogeneo dalla torsione di

varie fibre tessili da cui poi si potranno ricavare stoffe per tutti gli

impieghi.

Il filato nella storia ha origine antiche: si hanno resti di stele di filatrici già

in epoca greca, raffigurati su vasi arrivati sino ai giorni nostri.

E' sempre stato un compito femminile, le fibre più usate erano lino,

canapa, lana, cotone, seta ed anche ortica, usata nelle corde.

Filare è un lavoro lungo che occupava soprattutto donne e bimbi.

ESEGUIREMO ORA “La me mama la voeur che fili”, UNA ALLEGRA

FILASTROCCA USATA PER INSEGNARE AI BIMBI IL NOME DEI

GIORNI DELLA SETTIMANA.

LA ME MAMA LA VOEUR CHE FILI La me mama la voeur che fili al lune

E mi al lune tiri la fune

Furse sì e furse no la mia mama

Fa da sena e da disnà la me mama la voeur che fili, mi cun sto filà.

E la me mama la voeur che fili al marte

E mi al marte lustri le scarpe

E mi al lune tiri la fune

Furse sì e furse no la mia mama

Fa da sena e da disnà la me mama la voeur che fili, mi cun sto filà.

E la me mama la voeur che fili al mercule

E mi al mercule todi le nespule

E mi al marte lustri le scarpe

E mi al lune tiri la fune

Furse sì e furse no la mia mama

Fa da sena e da disnà la me mama la voeur che fili, mi cun sto filà.

E la me mama la voeur che fili al giove

E mi al giove mangi le ove

E mi al mercule todi le nespule

E mi al marte lustri le scarpe

E mi al lune tiri la fune

Furse sì e furse no la mia mama

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Fa da sena e da disnà la me mama la voeur che fili, mi cun sto filà.

E la me mama la voeur che fili al venere

E mi al venere vo a to la cenere

E mi al giove mangi le ove

E mi al mercule todi le nespule

E mi al marte lustri le scarpe

E mi al lune tiri la fune

Furse sì e furse no la mia mama

Fa da sena e da disnà la me mama la voeur che fili, mi cun sto filà.

E la me mama la voeur che fili al sabato

E mi al sabato vo al mercato

E mi al venere vo a to la cenere

E mi al giove mangi le ove

E mi al mercule todi le nespule

E mi al marte lustri le scarpe

E mi al lune tiri la fune

Furse sì e furse no la mia mama

Fa da sena e da disnà la me mama la voeur che fili, mi cun sto filà.

E la me mama la voeur che fili a festa

E mi a festa cambi la vesta

E mi al sabato vo al mercato

E mi al venere vo a to la cenere

E mi al giove mangi le ove

E mi al mercule todi le nespule

E mi al marte lustri le scarpe

E mi al lune tiri la fune

Furse sì e furse no la mia mama

Fa da sena e da disnà la me mama la voeur che fili, mi cun sto filà.

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Ecco la nostra filatrice:

LA FILERINA

Filanda è il nome con cui sono conosciuti, nel nord Italia, gli stabilimenti

di lavorazione e filatura dapprima della seta e poi anche del cotone.

Erano grandi edifici a più piani, dai soffitti alti e dotati di grandi finestre

per garantire l'illuminazione, costruiti vicino a corsi d'acqua.

Il lavoro della filanda era svolto principalmente da giovani donne e da

bambine, che venivano chiamate filerine o filandere.

I turni erano pesanti, potevano arrivare da 12 a 16 ore al giorno con

durissimi controlli sulla quantità e qualità del prodotto lavorato; le filerine

venivano multate se non rispettavano tali turni.

Il lavoro era faticoso e malsano per via dei vapori delle vasche, le mani

erano tenute nell'acqua calda (80 gradi), c'era polvere e salari da fame.

Per aiutarsi a sopportare queste dure condizioni le filerine cantavano in

coro.

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ECCO A VOI IL CANTO “Mama mia mi son stufa”.

Mama mia, mi sun stufa (canto di lavoro della tradizione lombarda)

Mama mia, mi sun stufa

o de fà la filerina:

ol cal e el poc [1] a la matina,

ol pruvìn [2] du voeult al dì.

Mama mia, mi sun stufa

tutt ol dì a fà andà l’aspa;

voglio andare in Bergamasca,

in Bergamasca a lavorar.

El mesté de la filanda

l’è el mesté degli assassini;

poverette quelle figlie

che son dentro a lavorar.

Siam trattati come cani,

come cani alla catena;

non è questa la maniera

o di farci lavorar.

Tucc me disen che sun nera,

e l’è el fumm de la caldera

el mio amor me lo diceva

di non far quel brutt mesté.

Tùcc me disen che sun gialda,

l’è ol filur de la filanda,

quando poi sarò in campagna

miei color ritornerà

Mamma mia, io sono stufa

di fare la filandina:

il calo e il poco la mattina

e il provino due volte al giorno.

Mamma mia, io sono stufa

tutto il giorno far andare l’aspo;

voglio andare nella bergamasca,

nella bergamasca a lavorare.

Il mestiere della filanda

è il mestiere degli assassini;

poverette quelle ragazze

che ci sono a lavorare.

Siamo trattati come cani,

come cani alla catena;

non è questa la maniera

di farci lavorare.

Tutti mi dicono che sono nera,

è il fumo della caldaia;

il mio amore me lo diceva

di non fare quel brutto mestiere.

Tutti mi dicono che sono gialla,

è il vapore della filanda;

quando poi sarò in campagna

i miei colori torneranno.

1. Cal e poc erano prove di quantità sul filato prodotto

2. Il pruvìn era una verifica sulla qualità del filato.

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LA MONDINA

Una mondina, o mondariso (dal verbo "mondare", cioè pulire), era una

lavoratrice stagionale delle risaie.

Il lavoro si svolgeva durante il periodo di allagamento dei campi,

effettuato dalla fine di aprile agli inizi di giugno durante le prime fasi dello

sviluppo del riso.

Il lavoro consisteva nel trapianto in risaia delle piantine e nella monda.

Il lavoro della monda consisteva nello stare per intere giornate con l'acqua

fino alle ginocchia, a piedi nudi e con la schiena curva per togliere le

erbacce infestanti che crescevano nelle risaie e che disturbavano la crescita

delle piantine di riso.

Si trattava di un lavoro molto faticoso

L'abbigliamento consisteva in:

calze di filanca e fazzoletto tirato sul viso, a protezione contro le

punture dei numerosi insetti infestanti

cappello a larghe tese per riparo dal sole

gonne

Le condizioni di lavoro erano molto dure: l'orario era pesante e la

retribuzione delle donne era molto bassa.

Le donne si aiutavano a sentire meno la fatica cantando assieme.

ORA VI CANTEREMO “Amore mio non piangere”

In questo canto una mondina saluta il fidanzato conosciuto durante i duri

mesi di lavoro in risaia e annuncia il ritorno a casa. Da alcuni elementi del

testo risulta che questa mondina era giovane: nelle risaie, infatti, venivano

occupate in prevalenza donne in giovane età, perchè più forti e resistenti

alla fatica.

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AMORE MIO NON PIANGERE

Amore mio non piangere

se me ne vado via

Io lascio la risaia

ritorno a casa mia

Amore mio non piangere

se me ne vò lontano

Ti scriverò da casa

per dirti che io t'amo

Non sarà più la capa

che sveglia la mattina

Ma là nella casetta

mi sveglia la mammina

Vedo laggiù tra gli alberi

la bianca mia casetta

E vedo laggiù la mamma

he ansiosa lei m'aspetta

Mamma papà non piangere

se sono consumata

E' stata la risaia

che mi ha rovinata

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Ecco le nostre mondine:

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FABBRO

Un fabbro è una persona che crea oggetti di ferro oppure acciaio,

utilizzando attrezzi a mano per martellare, curvare, tagliare o comunque

dare forma al metallo.

Il metallo viene riscaldato fino a farlo diventare incandescente, e

successivamente sottoposto alla lavorazione di forgiatura battendo

sull'incudine.

Questo tipo di lavorazione è stata una delle prime tecniche utilizzate per la

lavorazione dei metalli. Il termine "fabbro" proviene dalla parola latina

faber.

Alcuni manufatti dei fabbri sono: cancelli di ferro battuto, griglie,

ringhiere, mensole, attrezzi, oggetti decorativi, utensili da cucina, ed armi.

ECCO ORA UNA FILASTROCCA A DUE VOCI DAL TITOLO: “El

ciodo de fero vecio”

EL CIODO DE FERO VECIO El ciodo de fero vecio

de la mecanica, de la mecanica.

El ciodo de fero vecio

de la mecanica, de precision.

Oi bela mechime comica

mechime comica mechime comica.

Oi bela mechime comica

mechime comica mechi meco.

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Ecco il nostro fabbro:

L'ARROTINO

L'arrotino è una professione artigiana che consiste nella molatura o

affilatura delle lame. Tempo fa gli arrotini svolgevano anche l'attività di

ombrellai e riparavano gli ombrelli.

In passato l'arrotino si spostava con una specie di bici-carretto che una

volta giunto sul luogo di lavoro, veniva ribaltato e si trasformava nello

strumento di lavoro.

Alla ruota veniva agganciato un pedale che faceva muovere la mola.

Per arrotare un utensile, l'arrotino con abili gesti delle mani lo passava

sulla mola fino a che la lama non diventava tagliente.

Sapeva rilamare coltelli e ogni tipo di lama, forbici o prodotti d'acciaio.

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BUON ASCOLTO CON “El moleta”

El moleta o arrotino è un venditore ambulante che con abilità preparava

lame taglienti di buona fattura.

E' anch’esso un personaggio scomparso da tempo, diventando un artigiano

con la propria bottega.

EL MOLETA O dònne gh’è chí el molètta

se gh’avii el cortell coi dent

se gh’avii la forbesetta

che taja pú per nient

cortell e forbesètta

o dònn portèmej chí

no gh’è nissun molètta

che mòla mej de mí

no gh’è nissun molètta

che mòla mej de mí

RIT: E gira la roeuda la gira

e la gira la roeuda la va

gira gira Giovann che vègn sira

ma la roeuda la stenta a girà

L’è on pezz che foo girà

sta roeuda innanz e indrée

ma mai podró vanzà

cinq ghèj de sto mestée

l’è inutil pensàgh sora

l’è inscí che la gh’ha de ’ndà

sta roeuda sòtt e sora

mí gh’hoo de fà girà

sta roeuda sòtt e sora

mí gh’hoo de fà girà

RIT: E gira la roeuda la gira

e la gira la roeuda la va

gira gira Giovann che vègn sira

ma la roeuda la stenta a girà

Lassem che’l mond el gira

e gira anca la luna

come i tosann de sira

in cerca de fortunna

e mí col mè carrètt

voo in gir de chí e de là

o donn gh’è chí el molètta

se gh’avii de fa molà

o donn gh’è chí el molètta

se gh’avii de fa molà

RIT: E gira la roeuda la gira

e la gira la roeuda la va

gira gira Giovann che vègn sira

ma la roeuda la stenta a girà.

(2 volte)

Traduzione

O donne c’è quí l’arrotino

se avete il coltello coi denti [1]

se avete la forbicetta

che non taglia affatto

coltello e forbicetta

o donne portatemeli

non c’è nessun arrotino

che affila meglio di me

non c’è nessun arrotino

che affila meglio di me

E gira la ruota gira

e gira la ruota va

gira gira Giovanni che viene sera

ma la ruota fa fatica a girare

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È un pezzo che faccio girare

questa ruota avanti e indietro

ma mai potró avanzare [2]

cinque centesimi [3] con questo mestiere

è inutile pensarci sopra

è cosí che deve andare

questa ruota sotto e sopra

io devo far girare

questa ruota sotto e sopra

io devo far girare

E gira la ruota gira

e gira la ruota va

gira gira Giovanni che viene sera

ma la ruota fa fatica a girare

Lasciamo che il mondo giri

e gira anche la luna

come i ragazzi di sera

in cerca di fortuna

e io col mio carretto

vado in giro di qua e di là

O donne c’è quí l’arrotino

se avete da far affilare

O donne c’è quí l’arrotino

se avete da far affilare

E gira la ruota gira

e gira la ruota va

gira gira Giovanni che viene sera

ma la ruota fa fatica a girare

Note

1. cioè col filo addentellato

2. risparmiare, mettere da parte

in tempi recenti ghèj traduceva lire

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Ecco il nostro arrotino:

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ORA RINGRAZIANDOVI PER LA VOSTRA ATTENZIONE VI

PROPONIAMO UN ULTIMO BRANO CHE CI HA FATTO

CONOSCERE UNA ANTICA TRADIZIONE :

IL CANTO DI QUESTUA.

LO SI CANTAVA PER LE STRADE E NELLE CASCINE DURANTE

IL PERIODO DI NATALE AUGURANDO BUONE COSE E

CHIEDENDO IN CAMBIO UN BICCHIERE DI VINO, UNA MANCIA

O QUALCOSA DA MANGIARE AI PADRONI DI CASA.

ECCOVI IL CANTO “La pefana di Nicola”.

BUON ASCOLTO.

La pefana di Nicola Noi vi diam la buonasera

Rispettabili signori

Con gran festa e grandi onori

Ci inchiniamo con maniera

Noi vi diam la buonasera.

Ecco giunto il lieto istante

Che pefana fa ritorno

E in tal felice giorno

Ci annunciam feste brillanti

Ecco giunto il lieto istante.

Già Maria Vergine Santa

Che dal cielo gli angeli canta

Nel presepio con amore

Per il nato Redentore

Già Maria Vergine Santa.

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I Re Magi dall‟Oriente

Nell‟udire nova si bella

Seguitarono una stella

Per trovare il Dio nascente

I re Magi dall‟Oriente.

Alla grotta giunti appena

Al Messia si son prostrati

I lor doni han presentati

E mostrar faccia serena

Alla grotta giunti appena.

Tocca a lei Laura bella

A pregar quelli di casa

Salutar quelli di strada

Col fiaschetto e la cartella

Tocca a lei o Laura Bella