Comunita Di Pratica.apprendimento e Innovazione

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1 Comunità di pratica: apprendimento e innovazione Le "comunità di pratica" sono la fabbrica del capitale umano, cioè il luogo dove questo materiale viene prodotto. Thomas A.Stewart Logo 2000 Spa, Viale Giulio Cesare 71, 00192, Roma http://www.logo2000.it Copyright Dicembre 2000 - LOGO 2000 S.p.A

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comunità di pratica

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Comunità di pratica: apprendimento e innovazione

Le "comunità di pratica" sono la fabbrica del capitale umano, cioè il

luogo dove questo materiale viene prodotto.

Thomas A.Stewart

Logo 2000 Spa, Viale Giulio Cesare 71, 00192, Roma http://www.logo2000.it

Copyright Dicembre 2000 - LOGO 2000 S.p.A

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1. Introduzione

2. Che cosa sono le comunità di pratica

3. Apprendimento e innovazione 4. Comunità di pratica, knowledge management e tecnologie di rete

Introduzione

Oggi la complessità crescente della società, l'esubero di informazioni e l'inarrestabile

corsa alla globalizzazione richiedono sempre più che le organizzazioni sappiano

affrontare tali trasformazioni in modo attivo e produttivo. Adattarsi ad un ambiente in

continuo cambiamento è importante ma non sufficiente: bisogna promuovere e

favorire il cambiamento stesso, trasformandolo in opportunità di crescita. La chiave

per questa trasformazione è l’innovazione continua attraverso la valorizzazione

dell’arma più efficace che l’uomo possiede: il sapere.

Per chiunque si occupa di gestione delle risorse umane, in azienda e nelle istituzioni, il

riconoscimento della conoscenza come risorsa competitiva è ormai un dato di fatto;

creare e trasformare questo capitale intellettuale in ricchezza è una sfida appena

iniziata.

Le domande sono molteplici. Come fare in modo che le aziende diventino degli

"organismi viventi" che creano, acquisiscono e distribuiscono conoscenza?

Come sviluppare un processo di trasformazione del "capitale umano" in "capitale

strutturale", che può essere effettivamente utilizzato per gli obiettivi di business

dell’azienda? Come permettere che tale risorsa intangibile diventi un patrimonio di

tutta l'organizzazione? Il Knowledge Management, disciplina ancora ai primi passi,

tenta di rispondere a queste domande.

Concentriamoci ora, per restringere il campo d’indagine, sul rapporto esistente tra

attività lavorativa, apprendimento e innovazione nelle “comunità di pratica”.

Che cosa sono le comunità di pratica

Le comunità di pratica (o "Communities of practice", la cui sigla è COP) sono un

gruppo di persone che svolgono una qualsiasi attività affine ed interagiscono tra loro

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in modo informale. La forte coesione e lo spirito di gruppo sono il filo rosso che tiene

assieme queste aggregazioni sociali. Per tale ragione le comunità di pratica possono

nascere e svilupparsi spontaneamente in qualunque organizzazione, attraverso un

processo di socializzazione finalizzato alla condivisione delle esperienze quotidiane e

delle pratiche lavorative. Tuttavia, spesso non sono pienamente riconosciute proprio

per il fatto di non essere istituzionalizzate: l'adesione volontaristica su cui si basano le

rende "sfuggenti" ad un controllo formale.

Una comunità di pratica può essere un gruppo di scienziati impegnati in una ricerca

così come dei membri di un coro della chiesa. Può essere formata da architetti che

lavorano ad uno stesso progetto, oppure da avvocati di studi associati che si

scambiano opinioni sulle nuove normative. Le persone che ne fanno parte possono

appartenere ad un reparto di un’azienda come anche essere disseminate in diverse

aree e sedi aziendali.

Etienne Wenger, massima esperta internazionale sull'argomento, definisce le comunità

di pratica utilizzando tre indicatori:

1. l'impegno in una qualsiasi attività;

2. la forte coesione sociale che le unisce;

3. la condivisione di una "cultura" specifica.

Il legame che si crea tra le persone che ne fanno parte è dovuto al fatto che tutti i

partecipanti credono in quello che fanno: si impegnano in una attività collaborativa

perché li accomuna un interesse, un obiettivo o una necessità che deve essere

affrontata. La passione che pongono in ciò che realizzano insieme non si esaurisce

però nel raggiungimento di un obiettivo prestabilito. La vera motivazione per cui

queste persone sono propense a collaborare tra loro è data dalla voglia di

intraprendere un percorso di crescita comune.

Le comunità di pratica non sono quindi semplicemente un gruppo di lavoratori che si

scambiano informazioni durante una pausa: sono un gruppo di persone che hanno una

storia in comune. Esse condividono una "cultura,. hanno un proprio linguaggio, un

vocabolario e un modo di esprimersi che si crea con il passare del tempo. Il loro forte

senso di coesione si sedimenta e rafforza grazie ad una stessa modalità di

interpretazione degli eventi che si presentano.

Dal punto di vista del Knowledge Managemet, il paradosso, almeno apparente, delle

comunità di pratica è che non possono essere create dall’alto. Per il fatto di essere

delle associazioni spontanee, non appartengono a nessuno e rispondono solo a loro

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stesse di ciò che fanno. Cercare di formalizzarle vorrebbe dire soffocarle. Gestirle in

modo tradizionale e verticistico significherebbe annullare la loro più grande risorsa: la

capacità di produrre innovazione uscendo dagli schemi prestabiliti.

In senso stretto possiamo dunque definire le comunità di pratica una comunità di

professionisti che mettono in condivisione un patrimonio di conoscenze attraverso un

processo sociale di apprendimento reciproco: producono e condividono nuova

conoscenza.

Apprendimento e innovazione

James Eucher, vice presidente della divisione ricerca e sviluppo della Nynex,

incominciò a studiare queste comunità nel momento in cui si accorse che un gruppo di

lavoratori della stessa azienda erano più veloci di altri nell'utilizzare le nuove

tecnologie. Dallo studio risultò che il gruppo che impiegava più tempo era quello che

non intratteneva alcuna comunicazione informale, a differenza dell'altro che in soli tre

giorni, attraverso una reciproca condivisione di idee, aveva imparato e già impiegato il

nuovo sistema tecnologico di amministrazione dei dati.

Le comunit à di pratica si basano sull'assunto che l'apprendimento è un processo

intrinsecamente sociale e non esclusivamente individuale: ciascuno possiede un

bagaglio di esperienze, più o meno consapevole, che può essere messo in condivisione

via via che la collaborazione tra i membri procede. L'apprendimento è inoltre

"situato" (Lave, 1990; Brown and Collins, 1989) non rispetto ad uno spazio tempo,

quanto in una "pratica", intesa come "prassi" lavorativa.

Con il termine "pratica" si indica sia l'effettivo realizzarsi dell'attività lavorativa sia la

metaconoscenza che rende quest'ultima possibile. Apprendere una pratica significa

essere in grado di svolgere una attività con abilità e competenze che permettono di

agire in modo veloce e allo stesso tempo efficiente.

La pratica è il nucleo centrale delle comunità di pratica. In altre parole il valore reale

delle comunità di pratica, il loro patrimonio condiviso, è proprio il loro bagaglio di

expertise, la loro conoscenza acquisita sul campo.

Questa conoscenza è fatta di aspetti taciti, cioè non sempre consapevoli ed espressi

con chiarezza. Non è quindi facilmente formalizzabile né trasferibile attraverso

procedure di formazione tradizionali. Per permettere che vi sia un reale

apprendimento occorre che questa expertise sia interiorizzata attraverso un processo

di socializzazione.

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La conoscenza soggettiva richiede la partecipazione attiva del soggetto a un contesto

sociale nel quale è l'interazione con persone esperte che produce apprendimento.

Come asserisce Wenger, imparare significa “partecipazione periferica legittima ad una

comunità di pratica” (Lave e Wenger, 1991).

Per comprendere meglio questo concetto facciamo l'esempio di un nuovo lavoratore

che fa il suo primo ingresso in una organizzazione. Se la comunità di pratica lo accetta

come nuovo membro, lo porrà all'inizio ai confini delle pratiche lavorative.

All'apprendista sarà richiesto di intraprendere attività che saranno prima elementari,

poi sempre più complesse, fino al compimento di un'attività "cruciale".

In questo percorso il fatto di poter scambiare informazioni attraverso una

comunicazione immediata con gli esperti, o di poterli anche solo ascoltare nel

raccontasi aneddoti ed esperienze passate, diviene fondamentale per il novizio che

vuole apprendere quei "segreti" che lo renderanno sempre più efficiente.

Così dalla periferia l'apprendista si sposterà sempre più verso un “nucleo centrale” o

“patrimonio condiviso”.

Fig 1. Rappresentazione grafica di una comunità di pratica.

Expertice condiviso

Cultura

Conoscenza tacita

Periferia SOCIALIZZAZIONE

IMPEGNO

NUCLEO

Nuovi problemi o imprevisti da risolvere

Novizi - apprendisti

INNOVAZIONE

Creatività Conoscenza esplicita

APPRENDIMENTO

"CAMERATISMO"

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La “permeabilità” delle comunità è uno dei cardini fondamentali su cui si basa il

successo di questo gruppo di persone. Il fatto di essere "flessibili" ai confini permette

loro di apprendere e rinnovarsi continuamente. Di fronte a necessità impellenti le

comunità di pratica hanno sorprendenti capacità di risposta. Anche in situazioni

ambigue e complesse risolvono problemi imprevisti nel minor lasso di tempo possibile.

In condizioni di incertezza le comunità informali, proprio per il fatto di non essere

strutturate in modo rigido, possono ristrutturare in modo creativo i vecchi schemi

mentali. La sospensione della routine e la mancanza di norme valide per quel specifico

problema, porta inevitabilmente a rielaborare un copione d'azione in funzione del

nuovo problema. È qui che l'espertise si rileva cruciale nel produrre innovazione.

La risoluzione del problema nascerà da un'insieme di intuizioni e sensazioni dettate

dalle diverse esperienze passate di ciascuno. Ogni membro della comunità darà il suo

apporto raccontando una propria storia: la rielaborazione di ciascuna esperienza

formerà un nuovo quadro di riferimento.

È celebre il caso dei tecnici riparatori della Xerox Corporation documentato da Orr nel

1990. Questa comunità di addetti alla riparazione delle macchine fotocopiatrici ci

fornisce a questo proposito alcuni interessanti esempi di come un problema, non

previsto nel manuale per la manutenzione delle macchine, può essere risolto

attraverso lo scambio di esperienze e suggerimenti pratici fra i lavoratori. La forte

coesione di gruppo ha fornito inoltre quella "sicurezza" nel volersi "superare" (uscendo

dalle usuali tecniche di manutenzione) al fine di produrre nuove conoscenze e

modalità di lavoro.

Comunità di pratica, knowledge management e tecnologie di rete.

Una volta spiegato che cosa sono le comunità di pratica è giunto il momento di

cercare di comprendere perché siano così importanti per il Knowledge Management.

Le comunità di pratica sono fondamentali per l'organizzazione che apprende in quanto

sono le reali detentrici di un "patrimonio" di conoscenza tacita, ovvero sono in

possesso di quel tipo di sapere che noi comunemente chiamiamo "trucchi del

mestiere". Questo tipo di sapere fa la differenza. Esso è difficile da definire e da

trasmettere perché non è semplice informazione, è inoltre radicato nelle azioni

quotidiane e nelle esperienze passate che un individuo porta con sé. Questo "know

how" non è semplicemente fatto di abilità tecniche, ma è composto da una serie di

percezioni altamente soggettive. Pensiamo a come nascono in noi certe intuizioni:

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spesso non ci sappiamo spiegare il perché certe previsioni siano formate da uno

strano intreccio di sensazioni, convinzioni , esperienza e stereotipi.

La grande virtù del sapere tacito sta nel suo essere automatico e

richiedere pochissimo tempo e riflessione.[…] Il sapere tacito tende ad

essere locale, oltre che ostinato, perché non si trova nei manuali, nei

libri, nei database né negli archivi. È un sapere orale. Viene creato e

disseminato attorno al distributore del caffè. Il sapere tacito si

comunica quando la gente si trova insieme e racconta aneddoti, o

quando intraprende uno sforzo sistematico per scovarlo e renderlo

esplicito. (Stewart,1997).

Sappiamo ad esempio che un esperto può risolvere "in quattro e quattr' otto" una

situazione problematica che per un novizio può sembrare un ostacolo difficilissimo da

risolvere ma spesso sottovalutiamo che tutti possono apprendere e condividere tale

conoscenza.

Questo patrimonio conoscitivo è forse l'unico che può creare innovazione (il valore

aggiunto per l'organizzazione) ma per "possederlo" occorre che questo sapere diventi

esplicito.

Ed ecco che entrano in causa le tecnologie con le loro capacità di comunicare e

condividere il sapere in una comunità di partecipanti:

• ciò che è orale diviene scritto;

• da tacito diviene esplicito;

• da un singolo individuo diviene patrimonio di gruppo.

Fare questo però non significa soltanto dotare le persone di un PC e collegarle alla

rete. È necessario formare gli individui in modo che l'ambiente virtuale divenga il loro

luogo di socializzazione. Occorre creare spazi per il dialogo ed educare ad una

netiquette condivisa. Solo così la telematica diviene un reale strumento di

apprendimento collaborativo.

Le più recenti forme di comunità di pratica si trovano su Internet, come le comunità

online o i gruppi di discussione. Il caso più stupefacente è quello di siti come

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AllExperts e AskMe.com dove un gruppo di esperti si divertono a scambiarsi opinioni e

conoscenze in una sorta di quiz a punti reciproco.

L'autogratificazione fornita dal vedersi inseriti nella classifica dei top 10 è l'unica

giustificazione a un tale successo. Qui la voglia di apprendere sempre cose nuove si

evidenzia in uno strano intreccio di comportamenti competitivi e allo stesso tempo

collaborativi.

La comunicazione virtuale è in questo caso lo strumento fondamentale per poter

creare nuove e inedite possibilità di condivisione della conoscenza tra un vastissimo

gruppo di esperti.

Le tecnologie di rete possono massimizzare questo processo anche nei contesti

lavorativi: sia attraverso la comunicazione sincrona per il trasferimento, il reperimento

o lo scambio immediato delle informazioni tra i soggetti del gruppo; sia attraverso la

comunicazione asincrona permettendo ad ogni membro di raccontarsi storie e

aneddoti (preziosi beni della comunità). Svolgendosi il tutto, o parte di questa

comunicazione, in forma scritta è chiaro che in qualche modo siamo in grado di

"trattenere" questo bene intangibile come allo stesso modo siamo in grado di

distribuirlo.

Le aziende che comprendono questo potenziale possono valorizzare le comunità di

pratica nei seguenti modi:

• riconoscendone l'esistenza e l'importanza;

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• assegnando loro le risorse necessarie al loro sviluppo;

• curando il loro "spazio" di socializzazione senza per altro pretendere di gestirle

rigorosamente;

• fornendo loro le tecnologie di comunicazione più efficaci in grado di facilitare le

spontanee modalità d'apprendimento collaborativo.

Quando l'attività lavorativa e l'introduzione di nuove conoscenze (sia

procedurali che tecnologiche) vengono messe fra loro in connessione e

collegate alle opportunità di sviluppo delle competenze dei membri

delle diverse comunità di pratiche, il discorso sull'apprendimento si

allarga infatti all'intera organizzazione e fra apprendimento individuale

ed apprendimento organizzativo viene a formarsi una certa continuità

(Nonaka, 1994).

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School Pr.

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formato elettronico all'indirizzo www.ilt.columbia.edu/ilt/papers/JohnBrown.html

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"Organization Science", 2 (1), pp.41-57.

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Cambridge UK, Cambridge University press.

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Cambridge University press.

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