Comunicazione, nazionalismo e modernizzazione in América Latina

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w w w . m e d i a c i o n e s . n e t Comunicazione, nazionalismo e modernizzazione in America Latina Jesús Martín-Barbero (in La Ricerca Folklorica N° 28, L’America doppo il 1992, Milano, 1993. Testo originale: “Identidad, comunicación y modernidad en América Latina”, in H. Herlinghaus e M. Walter (eds.) Posmodernidad en la periferia, Langer Verlag, Berlín, 1994) «[…] quella ben mantenuta e legittimata separazione che collocava la massificazione dei beni culturali agli antipodi dello sviluppo sociale, permettendo così all’élite di aderire affascinata alla modernizzazione tecnologica mentre conservava il rifiuto alla modernizzazione che passa per la democratizzazione dei costumi e dei pubblici. Di questa modernità non si fanno carico ancora né le politiche culturali che in maggior parte continuano a cercare radici culturali e autenticità, né i sistemi educativi ancora impegnati a denunciare la confusione e il degrado culturale e a condannare i mezzi di comunicazione come i loro più diretti responsabili. Tanto gli uni che gli altri restano ancorati a uno schema di partecipazioni ed esclusioni che non corrisponde per niente al movimento di integrazione e segmentazione che vivono le nostre società. Un movimento che “(…) ricolloca in condizioni relativamente simili l’arte e il folklore, il sapere accademico e la cultura industrializzata”.»

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«[…] quella ben mantenuta e legittimata separazione che collocava la massificazione dei beni culturali agli antipodi dello sviluppo sociale, permettendo così all’élite di aderire affascinata alla modernizzazione tecnologica mentre conservava il rifiuto alla modernizzazione che passa per la democratizzazione dei costumi e dei pubblici. Di questa modernità non si fanno carico ancora né le politiche culturali che in maggior parte continuano a cercare radici culturali e autenticità, né i sistemi educativi ancora impegnati a denunciare la confusione e il degrado culturale e a condannare i mezzi di comunicazione come i loro più diretti responsabili. Tanto gli uni che gli altri restano ancorati a uno schema di partecipazioni ed esclusioni che non corrisponde per niente al movimento di integrazione e segmentazione che vivono le nostre società. Un movimento che “(…) ricolloca in condizioni relativamente simili l’arte e il folklore, il sapere accademico e la cultura industrializzata”.»

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Comunicazione, nazionalismo e modernizzazione in America Latina

Jesús Martín-Barbero

(in La Ricerca Folklorica N° 28, L’America doppo il 1992,

Milano, 1993. Testo originale: “Identidad, comunicación y

modernidad en América Latina”, in H. Herlinghaus

e M. Walter (eds.) Posmodernidad en la periferia,

Langer Verlag, Berlín, 1994)

«[…] quella ben mantenuta e legittimata separazione che collocava la massificazione dei beni culturali agli antipodi dello sviluppo sociale, permettendo così all’élite di aderire affascinata alla modernizzazione tecnologica mentre conservava il rifiuto alla modernizzazione che passa per la democratizzazione dei costumi e dei pubblici. Di questa modernità non si fanno carico ancora né le politiche culturali che in maggior parte continuano a cercare radici culturali e autenticità, né i sistemi educativi ancora impegnati a denunciare la confusione e il degrado culturale e a condannare i mezzi di comunicazione come i loro più diretti responsabili. Tanto gli uni che gli altri restano ancorati a uno schema di partecipazioni ed esclusioni che non corrisponde per niente al movimento di integrazione e segmentazione che vivono le nostre società. Un movimento che “(…) ricolloca in condizioni relativamente simili l’arte e il folklore, il sapere accademico e la cultura industrializzata”.»

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Riflettere sulla comunicazione in America Latina è sempre più compito di portata antropologica. Infatti, ciò che è in gioco non è solo trasferimento di capitali e innovazioni tecnologiche, ma profonde trasformazioni della cultura quotidiana delle popolazioni; cambiamenti che fanno affio-rare strati profondi della memoria collettiva, allo stesso tempo in cui mettono in moto un immaginario che fram-menta e destruttura la storia. Cambiamenti che ci pongono di fronte ad accelerate deterritorializzazioni delle differenze culturali e a sconcertanti ibridazioni delle identità. La cultu-ra quotidiana delle popolazioni, non solo urbane ma anche rurali, è sempre più manipolata dalle proposte, dai modelli e dalle offerte culturali dei mass-media. Per quanto ci possa sembrare scandaloso, è un fatto che le masse in America Latina si stanno integrando alla modernità non gia valendo-si dei libri, nella coerenza di un progetto culturale, ma at-traverso i modi e i generi propri dell‘industria degli audiovi-sivi. È questa trasformazione della sensibilità, che non si forma più sulla base della cultura scritta, ma attraverso la proposta culturale degli audiovisivi, lancia una grave sfida, a partire dal fatto che la maggioranza della società si appro-pria della modernità senza uscire dalla cultura orale, ma trasformandola in una sorta di “oralità secondaria”, ossia strutturata dalla grammatica e dalla sintassi della radio, del cinema e della televisione. La sfida che implica questa tra-sformazione culturale rende obsolete le analisi e le valu-tazioni sia dei populisti che degli uomini di cultura. Ma se

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crediamo che chiudendo gli occhi fermiamo il movimento del sociale, risulterà molto difficile continuare a tacciare di incolta una sensibilità che sfida vecchie nozioni di cultura e di modernità e che sta trasformando i modi di vedere, im-maginare e narrare, sentire e pensare. Questo è lo scenario nel quale si collocano oggi le relazioni tra comunicazione e cultura: quello della destrutturazione delle comunità e della frammentazione dell‘esperienza; della perdita dell‘auto-nomia culturale e della mescolanza delle tradizioni; del sor-gere di nuove culture che sfidano quella nazionale a partire dal doppio movimento che si genera dal contesto transna-zionale e da quello locale e che, infine, ridefiniscono le loro relazioni con l‘economia mondiale e la loro funzione come spazi di identità.

Opacità e contraddizioni culturali dell‘ambito nazionale

Problematico come nessun altro, ma forse più cruciale che mai, lo spazio culturale nazionale in America Latina appa-re oggi attraversato da una doppia opacità: quella che ha a che vedere con “la natura peculiare, differenziata, eccentri-ca rispetto ai modelli classici, del processo di costituzione degli Stati nazionali nel continente”1 e quella che proietta la “questione transnazionale” su un pensiero critico ancor og-gi pieno di seri ostacoli che gli impediscono di vedere ciò che va emergendo: una nuova fase del capitalismo caratte-rizzata dalla profonda alterazione – politica e non soltanto economica – della natura e delle funzioni degli Stati nazio-nali2 e dalla trasformazione, quindi, del significato della dipendenza:

1 E. Laclau, Estado y política en América Latina, Messico, 1981, p. 57. 2 R. Roncagliolo, Comunicación trasnacional: conflicto politico y cultu-

ral, Lima, 1982.

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[…] è molto diverso lottare per rendersi indipendente da un Paese colonialista, in una lotta frontale e contro un potere geograficamente definito, che lottare per una propria identi-tà in un sistema transnazionale diffuso, interrelazionato e interpenetrato in forma complessa3.

Lo spazio nazionale è doppiamente opaco e doppiamente cruciale, poiché su di esso, riconfigurandolo, convergono oggi le pressioni di una crisi economica le cui espressioni più drammatiche sono, da una parte, gli effetti sociali del debito estero (che rende ingovernabili certe situazioni) e, dall’altra, le conseguenze generate dall’esplodere politico e culturale dell‘ambito regionale e locale, che va ridefinendo le proprie modalità di inserimento nel contesto nazionale.

Populismo e mass-media nella costituzione

dell’immaginario nazionale

La configurazione culturale dell’identità nazionale – e il

significato che in questa assume l’azione dei mass-media – ci pone inevitabilmente di fronte alla questione dello Stato, non solo per ciò che concerne la concretezza dei suoi appa-rati e delle sue istituzioni, ma anche per ciò che rappresenta simbolicamente come soggetto4, e pertanto per ciò che con cerne il processo della sua costituzione. Questa riflessione è necessaria specialmente in America Latina dove il movi-mento populista rappresenta “la ri-creazione più genuina della società e della cultura nel corso del secolo Ventesi-mo”5, la forma storica attraverso la quale le masse sono

3 N. García Canclini, Las politicas culturales en América Latina, in: "Chasqui", n. 7, p. 24, Quito, 1983. 4 A questo proposito vedi: C. Castoriadis, L ‘institution imaginaire

de la societé, Parigi, 1975. 5 F. Calderon, América Latina: identidad y tiempos mixtos, in "David y Goliath”, n. 52, p. 6, Buenos Aires, 1987.

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state incorporate alla vita sociale e culturale della nazione. Rispetto ad un ostinato riduzionismo che ha confuso il po-pulismo latinoamericano – quello di Getulio Vargas in Brasile, di Cárdenas in Messico, di Perón in Argentina – con semplici varianti del fascismo, le nuove leve di storici e sociologi che si occupano di cultura politica6 cominciano a mettere in rilievo l’originalità di un’esperienza e di certi strumenti mediante i quali questi Paesi, a partire dagli anni Trenta, realizzarono il processo di modernizzazione delle proprie strutture economiche e politiche, facendo fronte alla crisi di egemonia prodotta dall’assenza di una classe che come tale assumesse la direzione della società. Se questa esperienza ha marcato tanto profondamente i modi di orga-nizzazione ed espressione del contesto nazionale in Ame-rica Latina è perché, ben più che uno stratagemma della classe dominante, il movimento populista risulto essere l’organizzazione di un potere politico che dette forma al rapporto tra le masse, le nuove masse urbane, e lo Stato. Alla visibilità sociale delle masse – espressa nelle richieste di lavoro, di scolarità, di salute, di divertimento – lo Stato risponde nazionalizzandole, vale a dire organizzandole co-me soggetto sociale, precisamente sulla base dell’idea di nazione, poiché esse incarnano il nuovo contenuto dell’idea di popolo in cui si riconosce questo nuovo soggetto che plasma i processi di formazione nazionale.

I mass-media sono presenti come elementi costitutivi di

questi processi in una doppia prospettiva di analisi. La pri-ma concerne il ruolo da essi giocato nel processo di unifica-

zione interna dei Paesi, giacché un Paese lo unificano, u-gualmente o ancor più che le strade e le ferrovie, la radio e il cinema. Se quelle rendono possibile la costituzione di un mercato nazionale, questi rendono possibile una cultura 6 J. C. Portantiero, Lo nacional-popular y la alternativa democrática

en América Latina, Lima, 1981. E. Laclau, Política e ideología en la

teoría marxista, Madrid, 1978.

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nazionale. Il cinema, in alcuni Paesi, e la radio, in quasi tutti, dettero alla gente delle differenti regioni e province una elementare esperienza quotidiana della nazione, tra-sformarono l’idea politica in esperienza condivisa, cioè in sentimento nazionale. La radio rese possibile il rapporto delle culture rurali – che erano la maggioranza – con la nuova cultura urbana; facilito il loro passaggio alla modernità sen-za che abbandonassero o perdessero del tutto certi tratti di identità, narrativi e musicali; per contro preservo alcuni elementi di una matrice culturale espressivo-simbolica e li introdusse in una cultura urbana che cominciava a organiz-zarsi sulla base della razionalità informativo-strumentale. Da parte sua il cinema farà la nazione, teatralizzandola: dandole volti, gesti, voci, immagini7. Visti nelle immagini cinematografiche, i modi di muoversi o di parlare, i colori e i gesti popolari cominciarono a legittimarsi come elementi che davano forma alla cultura nazionale; con tutto quello che implicitamente comporta il processo di decontestualiz-zazione di quei gesti, di omogeneizzazione e sciovinismo, ma anche di inclusione nella nuova identità urbano-nazio-nale.

La seconda prospettiva mette a fuoco il ruolo decisivo

giocato dai mass-media nel rapporto tra leader e masse popolari. La funzione originaria dei media fu quella di farsi portavoce dell’esigenza di convertire le mas se in popolo e il popolo in nazione. Richiesta che proveniva dallo Stato, ma che ebbe efficacia solo nella misura in cui le masse riconob-bero in essa alcune delle loro richieste fondamentali e la presenza di alcuni dei loro modi di espressione. Nel proces-so di risemantizzazione di queste richieste e di riconosci-mento di manifestazioni che provenivano dal mondo popo-lare, l’azione dei medie consistette nel costituirsi come spa-

7 C. Monsiváis, Notas sobre la cultura mexicana en el siglo XX, in "Historia general de México", vol. IV, Messico, 1976.

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zio di osmosi in cui si configurava il discorso popolare di

massa, e nel quale le masse popolari si riconoscevano e si trasformavano, si esaltavano e si placavano.

Modernizzazione riflessa e nazionalismo statale

Nella concezione stessa di modemizzazione che oriento i mutamenti e diede contenuto al nazionalismo populista si fece palese la contraddizione implicita nello stato di dipen-denza delle nazioni dell’America Latina, sia per l’ipoteca che la dipendenza poneva sulla portata dei cambiamenti che per l’inversione di senso che acquistava il contesto popolare nell’ambito del nazionalismo statale. La modernizzazione, infatti, fu più un movimento di adeguamento, economico e culturale, che di consolidamento dell’Indipendenza. “Pote-vamo raggiungere la nostra modernità solo trasformando la nostra materia prima in un valore che potesse essere ricono-sciuto all’estero”, afferma il brasiliano E. Squeff 8. Si voleva essere nazione per raggiungere finalmente una identità, pero conseguire questa identità implicava tradurla ed esprimerla nei termini del discorso modernizzatore dei Paesi egemoni-ci, giacché solo in quei termini gli sforzi e i successi erano validi come tali. Contraddizione che il discorso nazionalista occulterà nell’esaltazione della comunità nazionale, elimi-nando l’analisi di classe e collocando la causa di tutti i mali all’estero. Doppio movimento che condurrà a una conce-zione della nazione come risultato di movimenti locali, legati alla terra, e biologico-razziali e per tanto all’ipotesi di un “essere nazione” dalla quale la storia sarà esclusa o al limite narrata come leggenda: una storia di essenze e arche-tipi. Da qui alla sottrazione/sostituzione del popolo con lo Stato c’è solo un passo, che il populismo e il “desarrolli-

8 E. Squeff e J. M. Wisnik, O nacional e o popular na cultura brasi-

leira - Música, p. 55, San Paolo, 1983.

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smo”9 faranno con facilità, valendosi senza dubbio di una lunga tradizione di protagonismo dello Stato a scapito della società civile. Tradizione per altro che, come concezione politica, hanno condiviso in questi Paesi tanto i populisti che i marxisti10. La preservazione dell’identità nazionale si confonde così con la preservazione dello Stato, e la difesa degli “interessi nazionali”, considerata prioritaria rispetto alle richieste popolari, finirà per giustificare – come nella dottrina della “sicurezza nazionale” – perfino la sospensio-ne/soppressione della democrazia. I popoli latinoamericani hanno una lunga esperienza di questa inversione di senso mediante la quale l’identità nazionale è messa al servizio di uno sciovinismo che razionalizza la crisi dell’egemonia borghese e il ricatto da parte dello Stato per conservare l’or-dine. Non ha torto A. Novaes quando constata che nella storia di questi Paesi l’unico potere che vince è in “sostan-za” lo Stato, mentre popolo e nazione finiscono per essere simboli di una idea.

Gravato di contraddizioni l’ambito della nazione affronta

oggi una pericolosa operazione di svalutazione interna. Il riconoscimento da parte di certi settori intellettuali della dimensione autoritaria, arretrata e provinciale della cultura nazionale in rapporto alla dimensione planetaria dell’in-dustria culturale può funzionare come leggittimazione della transnazionalizzazione sollecitata dal mercato. “Sulla trama dell’industria culturale, il malessere della cultura nazionale sparisce”11, lasciandoci così liberi per una proposta cultu-rale che si presenta senza contraddizioni e senza malessere! Quando invece, proprio il riconoscere e l’assumere questo 9 Concezione dello sviluppo (“desarrollo”) basato sull’industriali-zzazione e la sostituzione delle importazioni come base del pro-gresso economico (N.d.T.). 10 M.A.Garretton ed altri, La cuestión nacional, Santiago, 1983. 11 R. Schwarz, Nacional por sustracción, in "Punto de vista", n. 28, p. 17, Buenos Aires, 1986.

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malessere rende possibile un nazionalismo culturale che, accettando la sfida di una relazione con gli altri, conflittuale ma arricchente, mantiene la possibilità di conservarsi come spazio strategico di resistenza alla dominazione e come me-diazione storica per la lunga memoria dei popoli.

Urbanizzazione, deterritorializzazione e nuove socialità

Negli ultimi venti anni gran parte della popolazione lati-

noamericana si è trasferita dalla campagna alla città: in molti Paesi la percentuale di popolazione urbanizzata si aggira intorno al 70%. Ovviamente non è solamente la quantità di popolazione urbana ciò che da il senso della trasformazione in atto, ma soprattutto l’apparizione di nuo-ve sensibilità che sfidano i quadri di riferimento e di com-prensione forgiati sulla base di identità nitide con forti radici e chiari confini: ciò che è rurale si confonde e si sfuma, rimanendo però segretamente vincolato ad autenticità e solidarietà ancestrali, indigene; ciò che è urbano non riesce ad esserlo del tutto, pur rincorrendo affannosamente il mo-dello europeo o nordamericano. Oggi ci mancano gli ele-menti di comprensione perché le nostre città sono l’opaco e ambiguo scenario di qualcosa che non è rappresentabile né a partire dalla differenza che esclude, o è esclusa, da ciò che è proprio e autoctono, né dalla sua inclusione dissolvente nella modernità.

Cercando di andare oltre gli schemi in uso per spiegare la

violenza nella città di Medellín, un ricercatore colombiano ha avuto il coraggio di analizzare il tema partendo dal con-testo più duro e doloroso, quello delle bande giovanili, degli adolescenti-sicari e ipotizzando la formazione di una nuova cultura orale. Il risultato è un’analisi12 che descrive la esplo- 12 A. Salazar, No nacimos pa’semilla: la cultura de las bandas juveniles

de Medellín, Bogotá, 1990.

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siva mescolanza di tre culture: la cultura locale della regione di Antiochia, la cultura latina del tango e la modernizza-zione mass-mediatica.

Il fondo regionale proviene dalla cultura rurale dei “mu-

lattieri” che colonizzarono grandi estensioni di terre e arriva a questi ragazzi attraverso l’ansia di guadagno, un fortissi-mo sentimento religioso e lo spirito di rappresaglia. La cultura del tango s’innesta su questo fondo locale con l’esal-tazione dei valori del macho, dell’autorità maschile, e con l’idealizzazione della madre. Ciò non vuol dire che in que-ste culture non esistano altri elementi, ma questa è la selezione che la gioventù emarginata realizza per mescolar-vi la componente moderna. Una modernità che è, in primo luogo, senso effimero del tempo: quello che si esprime nella breve vita della maggioranza degli oggetti di consumo che oggigiorno si producono, così come nel valore dell’istante, quando né il passato né il futuro importano molto; lo stesso effimero che cambia il senso della morte convertendola in un’esperienza più forte della vita. I giovani assorbono anche il consumismo moderno che diventa, allo stesso tempo, esibizione di potere e trasferimento del valore economico ad ogni ambito della vita. Infine vi aggiungono un linguaggio fortemente visivo, dai modi di vestirsi a quelli di fare musi-ca e di parlare, forme frammentate e piene di immagini, ispirate alle mitologie visive della guerra e attraversate dallo stridore sonoro e gestuale del punk. Correggendo l’ascetis-mo degli antenati rurali, la musica di origine antigliana, quella che ora si chiama “salsa”, introduce un godimento del corpo che trasforma la “vecchia” sacralizzazione cri-stiana della morte nella sua accettazione come parte della vita e infine della festa!

L’ibridazione culturale si converte così nell’altra faccia del-

l’eterogeneità, dell’esplodere della città. È la forma di iden-tità con la quale si sopravvive nella città che scoppia. La

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crescita anarchica dello spazio urbano aumenta a dismisura le periferie sparpagliando i gruppi umani, isolandoli e me-scolandoli, disarticolando le strutture che facevano “una” la città. Questa disarticolazione degli spazi tradizionali fa si che – come succede nella forma più evidente a Città del Messico”13 – la vita quotidiana si disurbanizzi, che la città si usi sempre di meno. Precisamente questa disgregazione socioculturale delle città sarà compensata dalla rete delle culture elettroniche. Compensazione sostitutiva, ma effica-ce. Gli audiovisivi, specialmente la televisione, saranno gli strumenti incaricati di ridarci la città, di reintegrarci ad essa, introducendosi essi stessi come mediazione compatta che rende possibile ricostruire qualche tessuto aggregativo, qual-che forma del riunirsi. Questo nuovo tessuto di socialità risponde meno alle topografie degli urbanisti che a una topologia di territori immaginari14, nei quali il giuoco dei mass-media trova allo stesso tempo il suo alimento e il suo limite: quello delle rilocalizzazioni che i gruppi sociali rea-lizzano e attraverso le quali delimitano la “loro” città, sele-zionano e mettono in scena i propri simboli di appartenenza e si procurano identità.

In questa nuova prospettiva, i mass-media e le industrie

culturali sono il nome per i nuovi processi di produzione e circolazione della cultura, che corrispondono non solo a in-novazioni tecnologiche, ma anche a nuove forme di sensibi-lità e a nuovi tipi di consumo, usanze, pratiche e appro-priazioni. E che trovano, se non l’origine, almeno il loro co-rrelato più importante nelle nuove forme di socialità con le quali la gente affronta la eterogeneità simbolica e la inagibi-lità della città.

13 N. García Canclini ed altri, El consumo cultural en la Ciudad de

México, Messico, 1990. 14 A. Silva, Imaginarios urbanos: cultura y comunicación urbana en

América Latina, Bogotá, 1992.

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È a partire dai nuovi modi di unirsi e escludersi, di rico-noscersi e disconoscersi, che acquista spessore sociale e ri-lievo cognitivo ciò che passa nei e con i media e le nuove tecnologie della comunicazione. Infatti a partire da questi processi i media sono riusciti a ristrutturare il contesto pub-blico, ad essere gli strumenti di produzione di un nuovo im-maginario che in qualche modo integra la lacerata esperien-za urbana dei cittadini, sia sostituendo la scena della strada con la spettacolarizzazione televisiva della politica, sia de-materializzando la cultura mediante tecnologie che, come il videoclip o i videogames, propongono la discontinuità co-me abito percettivo.

Si è dovuto tuttavia abbandonare vecchie zavorre teoriche

e ideologiche per poter analizzare l’industria cultural e co-me matrice di disorganizzazione e riorganizzazione dell’es-perienza sociale15 nell’incrocio con le deterritorializzazioni e le riubicazioni prodotte dalle migrazioni sociali e dalle frammentazioni culturali della vita urbana. Una esperienza che distrugge quella ben mantenuta e legittimata separazio-ne che collocava la massificazione dei beni culturali agli antipodi dello sviluppo sociale, permettendo così all’élite di aderire affascinata alla modernizzazione tecnologica mentre conservava il rifiuto alla modernizzazione che passa per la democratizzazione dei costumi e dei pubblici. Di questa mo-

dernità non si fanno carico ancora né le politiche culturali che in maggior parte continuano a cercare radici culturali e autenticità, né i sistemi educativi ancora impegnati a de-nunciare la confusione e il degrado culturale e a condannare i mezzi di comunicazione come i loro più diretti responsabi-li. Tanto gli uni che gli altri restano ancorati a uno schema di partecipazioni ed esclusioni che non corrisponde per

15 Un’analisi di questi spostamenti in: Martín-Barbero, De los me-

dios a las mediaciones, Messico, 1987.

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niente al movimento di integrazione e segmentazione che vivono le nostre società. Un movimento che

[…] ricolloca in condizioni relativamente simili l’arte e il folklore, il sapere accademico e la cultura industrializzata. Il lavoro dell’ar-tista e dell’artigiano si avvicinano quando entrambi sperimentano che l’ordine simbolico del quale si nutrivano è ri-definito dalla logica del mercato. Sempre meno possono sfuggire all’informazione e alla iconografia moderna, al disincanto dei loro mondi centrati su se stessi e all’incanto che emana la spettacolarità dei mezzi di comu-nicazione16.

A questo si aggiunge la riorganizzazione delle egemonie

in un momento in cui lo Stato non può più ordinare né mobilitare il campo culturale, dovendo limitarsi a garantire la li-berta dei suoi attori e le opportunità di accesso dei diversi gruppi sociali, mentre il mercato assume la coordi-nazione e la dinamizzazione di questo campo. È questo un tempo in cui le esperienze culturali hanno smesso di corri-spondere puntualmente e esclusivamente agli ambiti e repertori delle etnie, delle razze o delle classi sociali, un tempo nel quale le fonti tradizionali di produzione della cultura sono state spiazzate e sostituite dagli apparati spe-cializzati delle industrie e dalle dinamiche di rinnovamento e obsolescenza, di secolarizzazione e internazionalizzazio-ne che il mercato promuove.

Comunicazione e immaginari dell‘integrazione

Si chiama oggi globalizzazione17 il processo economico che

operativizza la politica – cominciando dal concetto stesso di “internazionale” – e capitalizza la cultura: processo di ricer-

16 N. García Canclini, Culturas Hibridas, p. 18, Messico, 1991. 17 A. Mattelart, L ‘internationale publicitaire, p. 77, Parigi, 1989.

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ca sistematica di riduzione dei margini di aleatorietà che la cultura ancora conserva. I processi di integrazione latinoa-mericani non sfuggono a questo paradosso: l’integrazione dei Paesi – Patto Andino, Mercosur, Gruppo di Rio, Grup-po dei Tre – passa oggi per l’integrazione all’economia-mondo del neoliberalismo – quella in cui il mercato non è più una istanza sociale, ma l’asse della sua rimodellazione “globale” – e alla rivoluzione tecnologica, che rende la cor-nice nazionale ogni giorno più insufficiente per giovarsi o difendersi dalla tecnologia stessa18, mentre rende più grave e compatto lo squilibrio dell’interscambio19, facilitando il ris-parmio e la sostituzione delle materie prime che costitui-scono il nucleo principale delle esportazioni latinoameri-cane.

In nessun altro campo, come in quello delle comunica-

zioni, è visibile quanto la “integrazione di” sia di fatto “integrazione a”, giacché se esiste una spinta potente a superare le barriere e a dissolvere le frontiere, è precisamen-te quella che passa per i mezzi e le tecnologie di comu-nicazione e informazione. Pero sono precisamente queste tecnologie quelle che con più forza accelerano l’integra-zione di questi paesi e queste culturale alla globalizzazione del mercato. Nel “decennio perso” degli anni Ottanta l’u-nica industria che si è sviluppata in America Latina è stata quella della comunicazione. Il numero di emittenti televisi-ve si moltiplico, passando da 205 nel 1970 a 1459 nel 1980; Brasile e Messico si dotarono di satelliti propri, la radio e la televisione aprirono collegamenti mondiali via satellite, si impiantarono reti di dati, antenne paraboliche e tv via cavo, 18 J. Sutz, Ciencia, tecnología e integración latinoamericana: un paso

más allá del lugar común, in “David y Goliath”, n. 56, Buenos Aires, 1990. 19 M. Castells e R. Lasema, La nueva dependencia: cambio tecnoló-

gico y reestructuración socioeconómica en Latinoamérica, in "David y Goliath", n. 55, Buenos Aires, 1989.

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vari Paesi misero a punto canali regionali di televisione. E tutta questa crescita si realizzò quasi completamente a dan-no dello Stato, riducendo ulteriormente le sue capacita di intervento, lasciando alla deriva il “servizio” e lo spazio pubblico. Che significa allora l’enorme e disordinata cresci-ta del numero di canali televisivi e della offerta in ore20 o il fatto che in vari Paesi dell’America Latina ci sono più vide-oregistratori che in Belgio o Italia, se tutto ciò è accom-pagnato da una riduzione inpercentuale di produzione na-zionale e se il 75% dell’importazione di programmi televisi-vi e film proviene dagli Stati Uniti?

Malgrado si sia avanti nel processo di quantificazione dei

contenuti che si trasmettono o dei flussi di programmi tele-visivi, si sa poco circa gli effetti che produce l’integrazione massmediatica nell’esperienza quotidiana della gente latino-

americana, nel senso che oggi ha questo termine. Come si articolano le differenze tra l’offerta esterna al subcontinente e quella interna che arriva via satellite21? Che tipo di ibrida-zione e di resistenze si produce tra l’offerta nazionale e quella del resto del mondo? Quello che comunque sta cre-scendo è la coscienza dell’enorme potere che le industrie culturali, specialmente le audiovisive, accumulano nel cam-po strategico della produzione e riproduzione delle imma-gini che questi popoli costruiscono di se stessi e con le quali si fanno riconoscere dagli altri. Se è importante che nello spazio audiovisivo del mondo siano presenti imprese lati-noamericane come Televisa e Rede Globo, è altresì inquie-tante che queste imprese tendano in maniera frenetica a creare un’immagine di questi popoli in funzione di pubblici “neutri”, ogni giorno più indifferenziati e che finiscono per 20 Un’analisi di queste cifre in: A. Alfonzo, Televisión de servicio

público, televisión lucrativa en América Latina, Documento di lavoro, Ministero di Cultura, Caracas, 1990. 21 F. Reyes Mata, Los medios locales y la integración, in "Integración y Comunicación", Madrid, 1990.

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dissolvere le differenze in un esotismo al tempo stesso reddi-tizio e a buon mercato.

Preso tra il ritiro dello Stato dalla partecipazione nelle im-

prese produttrici – fatto che ha provocato una discesa dra-stica della produzione annuale persino in Paesi come Bra-sile e Venezuela – e la diminuzione degli spettatori che tra il 1982 e il 1989 passarono da 45 a 22 milioni in Argentina e da 123 a 61 milioni in Messico22, il cinema si dibatte oggi tra una proposta commerciale redditizia unicamente nella misura in cui è capace di superare l’ambito nazionale, e una proposta culturale praticabile solo in quanto sia capace di articolare temi locali con la sensibilità e l’estetica della cul-tura-mondo. Un’estetica che sta obbligando il cinema a in-contrarsi con il video non solo in quanto tecnologia di ri-produzione e consumo domestico – in America Latina gia nel 1989 c’erano 10 milioni di videoregistratori, circa 12.000 videoclub di prestito di videocassette e 340 milioni di copie – ma anche in quanto linguaggio.

Per quanto riguarda la televisione, è evidente l’interna-

zionalizzazione ogni giorno più accentuata dei contenuti e il trasferimento dei criteri di qualità alla sofisticazione pu-ramente técnica23. Questo si può costatare nei due generi di maggior peso nella televisione latinoamericana: la pubblici-tà e le telenovelas. Oltre al peso economico nel mondo degli audiovisivi, la pubblicità occupa un luogo privilegiato nella sperimentazione di computerizzazione delle immagini e nel rinnovamento dei modi di rappresentazione della moderni-tà. Tra le immagini a cui accede il pubblico più numeroso vi sono quelle della pubblicità e del videoclip, esteticamente

22 O. Getino, Introducción al espacio audiovisual latinoamericano, INC, Buenos Aires, 1990. 23 R. Festa e L. F. Santoro, Aterceira idade da TV: o local e o interna-

cional, in “Rede imaginaria: televisao e democrazia”, San Paolo, 1991.

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sempre più simili, che operano la mediazione quotidiana tra innovazione tecnologica e trasformazione narrativa. Quella mediazione che ha trovato nelle immagini della guerra del Golfo un’occasione esemplare per inserire una forte dram-matizzazione dei personaggi e una rappresentazione susci-tatrice di identificazioni immediate nella estetica di una simulazione/frammentazione, nel cui giuoco prevale la seduzione che rende indolore la perdita dei referenti cultura-li24.

La telenovela, da parte sua, costituisce il maggior succes-

so di audience, dentro e fuori l’America Latina, di un genere catalizzatore dello sviluppo dell’industria televisiva latino-americana, e allo stesso tempo mischia le nuove tecnologie audiovisive con narrazioni anacronistiche e atemporali che sono parte costitutiva della vita culturale di questi Paesi. Della modernizzazione industriale che implica la telenovela è un buon esempio Roque Santeiro una telenovela brasiliana alla cui produzione lavorarono 800 persone, al cui copione lavorarono due drammaturghi, uno sceneggiatore e un ricercatore e la cui edizione di ogni puntata di 50 minuti richiese una media di 10 ore di lavoro25. Rede Globo, la catena brasiliana che la produsse, ha costituito la Casa de Creación Janette Clai che è allo stesso tempo un laboratorio di drammaturgia, un centro di ricerca di mercato sull’ au-

dience e una scuola di formazione di scenaggiatori. Con una media di 100 puntate e con 300 minuti di spettacolo a set-timana – che equivale a più di due lungometraggi – il costo di una telenovela è tra un milione e un milione e mezzo di dollari. Ma lo sviluppo industriale, che sta alla base dell’af-fare, non può da solo spiegare il successo di pubblico. Que-sto rinvia da un lato, alla “oralità secondaria” nella quale si 24 B. Sarlo, La guerra del Golfo: representaciones pospolíticas y análisis

cultural, in “Punto de vista”, n. 40, Buenos Aires, 1991. 25 I Marquez de Melo, Produçao e exportaçao de ficçao brasileira: caso

da TV Globo, San Paolo, 1987.

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mescolano la lunga durata dei racconti popolari con la frammentazione delle immagini che propongono il cinema e la televisione, e dall’altro – per lo meno per quanto con-cerne il pubblico latinoamericano – alla sua capacita di fare di una narrativa arcaica lo spazio di proposte modernizza-trici di alcune dimensioni della vita26. Cariche di pesanti schematismi narrativi e complici di mistificanti inerzie ideo-logiche, le telenovelas formano oggi parte decisiva dei dis-positivi di ricreazione dell’immaginario latinoamericano. Immaginario la cui formazione rinvia al ruolo strategico che le industrie dell’immagine occupano nei processi di costituzione delle identità e alla lunga esperienza del merca-to nel saper condensare conoscenze27 che trasformano in merce redditizia le aspirazioni umane e le richieste sociali. Insidiosa esperienza che permette all’industria culturale di catturare nella struttura ripetitiva della serie le dimensioni ritualizzate della vita quotidiana, di rinnovare costantemen-te la sintassi narrativa in base alla quale funziona il com-mercio transnazionale, di collegarsi alle nuove sensibilità e allo stesso tempo rinforzare, impoverendo la richiesta, un solo modello estetico.

Infine, le politiche di integrazione dell’ambito audiovisivo

cominciano a superare la concezione strumentale e di pura diffusione dei mezzi di comunicazione per assumerli come spazi fondamentali della produzione culturale e della tra-sformazione del campo educativo.

Le nuove politiche au-diovisive dovranno essere capaci di farsi carico di ciò che i mezzi di comunicazione hanno di, e fanno con, la cultura quotidiana della gente; di coinvolgere

26 Su questo tema vedi: J. Martin-Barbero e Sonia Muñoz (coord.), Televisión y melodrama, Bogotá, 1992. 27 R. Mier e M. Piccini, El desierto de los espejos: juventud y televisión

en México, Messico, 1989.

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il sistema educativo nella trasformazione del rapporto tra scuola, tecnologie, linguaggi e prodotti audiovisivi28.

Si sostituisce così la vecchia retorica volontaristica con una analisi esplicita delle condizioni culturali, dei fattori economici e giuridici che intralciano l’integrazione effetti-va. Lo “spazio audiovisivo latinoamericano” significa che l’integrazione non implica solamente la modernizzazione nell’ambito economico/im-prenditoriale, ma anche la mo-dernità in quello della politica culturale. Una modernità che in America Latina diventa esperienza collettiva grazie agli spostamenti sociali e percettivi di impronta postmoderna: quelli che invece di sostituire permettono di riordinare le relazioni della tradizione con la modernità e in questo mo-do danno conto di differenze29, che né sono mere regressioni al premoderno, ma neppure sono un puro rifugiarsi nella irrazionalità per sfuggire alla incompiuta realizzazione del progetto moderno.

28 UNESCO, El espacio audiovisual latinoamericano en el umbral del

tercer milenio, Incontro Regionale su: "Políticas culturales audiovi-suales en América Latina y el Caribe", Cittá del Messico, 1991. 29 A. Piscitelli, Sur, postmodernidad y después, in “La modernidad en la encrucijada postmodema”, Buenos Aires, 1988.