Vol.X - Nazionalismo e Internazionalismo (1946)

382

description

382 pagine di scritti di Don Luigi Sturzo pubblicati dall'Istituto Sturzo

Transcript of Vol.X - Nazionalismo e Internazionalismo (1946)

  • NAZIONALISMO E INTERNAZIONALISMO

    (1946)

  • O P E R A O M N I A D I

    L U I G I S T U R Z O

    P R I M A S E R I E

    OPE.RE

  • LUIGI S T U R Z O

    NAZIONALISMO E

    INTERNAZIONALISMO

    ZANICHELLI BOLOGNA

  • L'EDITORE ADEMPIUTI I DOVERI

    E s E R c I T F ~ I DIRITTI SANCITI DALLE LEGGI

    Poligrafici Luigi Parma S.p.A. - Bologna - Novembre 1971

  • PIANO DELL' OPERA OMNIA DI LUIGI STURZO PUBBLICATA A CURA DELL'ISTITUTO LUIGI STURZO

    PRIMA SERIE: OPERE I - L'Italia e il fascismo (1926). I1 - La, comunit internazionale e il diritto di guerra (1928). I11 - La societ: sua natura e leggi (1935). IV Politica e morale (1936). - Coscienza e politica. - Note e 8Ug-

    gerimenti di politica pratica (1952). V-VI - Chiesa e Stato (1939). VI1 - La Vera vita - Sociologia del soprafnaturale (1943). VI11 - L'Italia e l'ordine internazionale (1944). IX - Problemi spirituali del nostro tempo (1945). X - Nazionalismo e internazionalismo (1946). XI - La Regione nella Nazione (1949). XII - Del metodo sociologico (1950). - Shidi e ~olemiche di sociolo-

    gia (1933-1958).

    SECONDA SERIE: SAGGI - DISCORSI - ARTICOLI - L'inizio della Democrazia in Italia. - Unioni professionali - - Sintesi sociali (1900-1906). - Autonomie municipali e problemi amministrativi (1902-1915). - Scritti e discorsi durante la prima guerra (1915-1918). - I1 partito popolare italiano: Dall'idea al fatto (1919). Riforma - statale e indirizzi politici (1920-1922). - I1 partito popolare italiano: Popolarismo e fascismo (1924). - I1 partito popolare italiano: Pensiero antifascista (19241925). - - La libert in Italia (1925). - Scritti critici e bibliografici (1923-

    1926). - Miscellanea londinese (1926-1940). - Miscellanea americana (1940-1945). - La mia battaglia da New York (1943-1946). - Politica di questi anni. - Consensi e critiche (1946-1959).

    TERZA SERIE: SCRITTI VARI I - I1 ciclo della creazione (poema drammatico in quattro azioni). -

    Versi. - Scritti di letteratura e di arte. 11 - Scritti religiosi e morali. I11 - Scritti giuridici. IV - Epistolario scelto. V Bibliogafia. - Indici.

  • NAZIONALISMO E INTERNAZIONALISMO ( 1946)

  • A V V E R T E N Z A

    I l volume Nazionalismo e internazionalismo, edito da Roy Publishers e uscito nel 1946 a New Y o r k , presumibilmente non era stato concepito come u n libro unitario e organico. I capitoli che lo compongono hanno cio origini e date diverse d i com- posizione, e sono in realt veri e propri saggi stuccati su vari argomenti, che vanno dall'analisi d i situazioni politiche presenti e passate, allo studio d i fenomeni storici e sociali alla luce dei principi ispiratori del pensiero sociologico d i Luigi Sturzo.

    Nella preparazione per la stampa del dattiloscritto italiano, nel19Archivio dell'lstituto Luigi Sturzo non si trovato il testo originale &i capitoli III e I V ; per tali capitoli pertanto si proceduto alla traduzione dall'inglese.

    Due capitoli del libro, e precisamente i l I ( Nazione e na- zionalismo ) e il V (N Lo stato, l e unioni e i partiti de i lavobra- tori D), erano gi stati pubblicati, con alcune varianti, nel volume Race-Nation-Person. Social aspects o t h e Race Problem, raccolta d i saggi d i autori vari, edita a N e w Y o r k da Barnes and Noble nel 1944.

    Sta per tali capitoli, sia per gli altri d i cui esiste il testo originale italiano, la redazione preparata per i l presente volume stata confrontata con i l testo dell 'ediziow americana del vo- lume stesso.

    Come gi detto, solo d i alcuni capitoli si conosce la data esatta della stesura, e cio l'ottobre 1941 per i l capitolo Na- zione e nazionalismo )I, e i l gennaio 1941 per i l capitolo Le guerre moderne D. I l capitolo I X , La crisi internazionale del dopoguerra B, costituito in parte da articoli apparsi su T1 Quotidiano il 19, 20 e 21 luglio 1945 (poi raccolti nel n. 14 dei

  • Quaderni della Democrazia Cristiana con titolo Prima crisi del dopoguerra ), e per il resto da articoli pubblicati su I1 Mondo d i New Y o r k nel gennaio, aprile e maggio 1946.

    I n appendice sono stati raccolti alcuni saggi che trattano ar- gomenti simili a quelli aflrontati nei vari capitoli, i n particolare la storia e le caratteristiche del movimento democratico cri- otiano.

    La collazione dei testi e la traduzione dei capitoli mancanti dell'originale sono a cura della Drs. Maria Teresa G a n ~ t t i Bel- lenzier.

    XII

  • PREFAZIONE

    La citt di San Francisco ha celebrato l'anniversario della Carta delle Nazioni Unite, firmata i l 25 giugno 1945. Nell'indi- rizzo commemorativo, nella War Memoria! House, Trygve Lie, segretario generale deIl'ONU, ha ammonito che il mondo non dev'essere pessimista . I1 vasto uditorio non era pessimista, ma lo ha investito con una serie di domande sul continuo dissenso fra i Tre Grandi, sul potere di veto, l'uscita del dqlegato sovie- tico dal consiglio di sicurezza, la carta Baruch sull'energia atomica, e cos via, mostrando una profonda preoccupazione per l'attuale situazione mondiale.

    Un simile stato d'animo certamente pi favorevole alla for- mazione di una coscienza internazionale di quanto non lo fosse i l vecchio isolazionismo americano o anche l'apatia verso i pro- blemi mondiali, comunemente ignorati come se non toccassero in alcun modo gli interessi americani. Ma guardando alla pre- sente delusione e inquietudine per l'andamento generale degli affari mondiali, possiamo individuare due particolari fattori che influenzano l'opinione pubblica. I1 primo la mancanza di com- prensione storica degli eventi politici; il secondo, la mancanza di pazienza nel modo di portare avanti gli affari mondiali. En- trambi contribuiscono ad avvelenare 'L'atmosfera post-bellica non- ch ad aggravare la confusione internazionale.

    Inglesi e americani si lamentano che i russi non l i capi- scono, e che si oppongono ostinatamente ad ogni loro proposta di compromesso sulle questioni poste sul tavolo. Ma se inglesi e americani conoscessero meglio la storia politica, ricordereb- bero che la tattica d i Mosca non nuova, che essa ha una base psicologica e un significato realistico. Le lamentele sono fuori

    XIII

  • posto; e pi di queste, le pubbliche controversie dei ministri degli esteri sono frecce avvelenate e non portano ad una poli- tica di conciliazione.

    Soprattutto, necessario applicare il metodo di una lunga pazienza ; se Bevin e Byrnes si sono resi conto che nei dieci anni dalla conferenza di Londra i Quattro Grandi non sono giunti ad alcun apprezzabile accordo sui trattati di pace con l'Italia e gli altri paesi, la loro tattica avrebbe dovuto essere pi corretta e le loro mosse pi controllate. Invece di dare al mondo l'im- pressioni di un fallimento, essi avrebbero dovuto impressionarlo con il loro contegno calmo e la loro fede nelle trattative inter- nazionali.

    La stessa cosa vera per l'opinione pubblica. Gli storici de- vono svolgere una grandissima funzione nell'educazione poli- tica del loro paese; essi devono insegnare alla gente che il pro- cesso di sviluppo della umanit nei suoi risultati lento e dif- ficile. Non possiamo negare che durante il primo anno della sua dura esistenza, I'ONU ha superato varie difficolt e ha fatto bene sperare per i l futuro. Ma ci non contribuisce quasi affatto alla formazione di una coscienza internazionale, per la quale, se il popolo non dispera, sono pi utili lotte e crisi che non guadagni materiali e occasionali. La maturazione viene col tem- po; le azioni umane, come i l frutto di un albero, necessitano di vento alterno, pioggia e sole.

    Per di pi, i popoli non solo non devono essere pessimisti P, com ci ammoniva Trygve Lie, ma devono anche essere istruiti in storia internazionale e devono avere pazienza. I successi poli- tici sono ardui e devono essere mantenuti con l'informazione, la vigilanza e l'azione.

    L'autore di questo libro non pretende di aver scoperto il se- greto della pace; ma presentando i vari aspetti della politica nazionale e internazionale, l'influsso culturale, sociale e reli- gioso che modifica le tendenze politiche, le crisi create dalle guerre di aggressione, e le paci malate, egli intende contribuire ad una migliore conoscenza del passato, e ad una corretta pre- parazione di un futuro migliore.

    Quelli d i noi che non hanno familiarit con il giudizio sto- rico sugli eventi mondiali, non capiscono l'utilit di simili valu-

    XIV

  • tazioni storiche; non vediamo cio nei problemi di oggi la sin- tesi di tutte le idee e i fatti che hanno portato al presente.

    Questo metodo di valutazione storica opposto a quello po- sitivista, che consiste nell'isolare il fatto. dal volere umano e dal suo processo storico, e nel ridurlo a una cifra statistica senza implicazioni di teorie e principi. Ma la critica del presente non potrebbe essere aderente alla realt ed efficiente se non fosse basata su quel passato che ha condizionato i l presente e gli ha dato l'impronta d i una continuit storica.

    Dopo tutto, non la politica l'arte di prevedere, prevenire e provvedere? Come pu ci accadere se gli uomini di stato, i funzionari responsabili e l'opinione pubblica non valutano i fatti dal punto di vista della loro causalit, fondamento sto- rico e significato interiore, discriminando gli elementi essen- ziali da quelli accidentali?

    N ci tutto. Vi sono imponderabili storici che, in molti casi, hanno tali gravi conseguenze, da rendere doveroso per gli uomirii di stato il non trascurarli. Uomini di genio e di espe- rienza, forniti di intuizione, possono afferrare il profondo va- lore degli imgonderabili meglio di altri; ma se l'uomo comune acquisisse l'abito mentale di osservare e valutare gli avveni- menti storici, i risultati migliorerebbero la vita della societ.

    I1 lettore di questo libro lo t rove~ percorso da un pensiero dominante: l'infiuenza della morale sulla politica e i l dovere di subordinare la politica alla morale. La scienza politica autonoma e h a le sue leggi e i suoi criteri di valore; ma come arte umana, l'arte di governare gli esseri umani, la politica soggetta alle leggi morali, poich lo l'uomo nella sua libera attivit, e anche perch i fini della politica - ordine, giustizia, libert, leggi - sono essenzialmente vivificati dalla morale.

    Se nazionalismo e internazionalismo - che appartengono alla politica - sono concepiti e realizzati sotto l'influsso di concetti e leggi morali, essi aiuteranno l'umanit nel suo svi- luppo; ma entrambi sarebbero pericolosi se concepiti e rea- lizzati fuori della legge morale, o contro la concezione morale della vita.

    Nazionalismo e internazionalismo sono oggi i due poli at- tomo ai quali la ~ o l i t i c a ha le sue evoluzioni e involuzioni.

  • Tutti gli altri interessi umani, istituzioni, orientamenti sociali, e anche la vita culturale e religiosa, risentono l'influsso di PO- litiche nazionaliste o internazionaliste. In questa luce, l'autore ha introdotto alcuni capitoli che trattano pensieri sociali O reli- giosi, questioni giuridiche e organizzazioni dei lavoratori, di- scutendo i loro reciproci riflessi sulla politica dell'epoca attuale.

    La nazione come popolo unito) non morir; L'internazione O mondo unito non durer come adesso ma, come una larva, ci evolver verso una vita completa. Sar. merito della generazione presente, uomini di stato e capi politici, scienziati e storici, ecclesiastici e lavoratori, realizzare quell'internazionalismo ba- sato sulla morale, che rispetta e integra la tradizione storica e culturale delle singole nazioni, mettendole in grado di vivere insieme in pace e prosperit.

    Quando? La strada difficile e lunga, ma l'umanit non deve disperare.

    lo luglio 1946

    L'autore desidera esprimere la sua gratitudine per l'aiuto fornitogli al defunto mons. G. Barry O'Toole dell'universit cattolica d'America, al prof. Mano Einaudi della Cornell University, alla drs. Angeline Lo Grasso del Bryn Mawr College, alla signora Frances Lanza e alla signorina Mary Bagnara.

    XVI

  • CAP. I

    NAZIONE E NAZIONALISMO

    La parola nazionalismo 1) nata nel secolo scorso, non molto dopo la nascita di tre altri ismi : liberalismo, socia- lismo e comunismo . Tutte e. quattro tali parole vengono da rispettabili origini; i loro primi progenitori sono dei gentil- uomini n nell'uso linguistico e in quello filosofico e religioso, e si chiamano nazione, libert, societ e comunit. L'ismo fu aggiunto ai loro aggettivi, sostantivandoli ; come da liberale (che aveva altro significato) (l) venne liberalismo, e da sociale so- cialismo, da comune comunismo, cos da nazione venne fuori nazionalism~.

    L'ismo venne cos a indicare sia una teoria che s'incentra in uno di tali principi o qualit (secondo i punti di vista), sia un'attivit organizzata che adottando una speciale interpreta- zione del principio vi costruisce sopra un sistema teorico-pra- tico; sia infine un sentimento collettivo, che favorisce in una qualsiasi maniera la tendenza che I'ismo significa. Onde fu un'esigenza linguistica e razionale che da tali sostantivi (pu r nati da aggettivi) si formassero aggettivi ancora pi aderenti al nuovo loro significato e come da socialismo si ebbe sociali- stico, da nazionalismo se ne deriv l'aggettivo nazionalistico s.

    (1) La parola liberale prese il nuovo significato in Spagna, durante la rivolta e la guerra del 1822 in contrapposizione alla parola servile applicata ai reazionari.

    1 . Snmo - Nazionalismo e Intemzionalismo

  • I1 processo di cristallizzazione dei significati delle parole pu essere pi o meno lento e confuso, secondo che implicano o no principi da difendere e valori da tutelare, destando quindi le reazioni contrarie da parte dei sostenitori dei principi oppo- sti. Onde avvenne nel secolo XIX che le parole liberalismo, socialismo e comunismo, arrivarono a rappresentare un conte- nuto di idee meno impreciso e pi caratterizzato, mano mano che le polemiche e gli studi scientifici da un lato, le esperienze e le attuazioni pratiche dall'altro, ne definivano e precisavano i contorni. E pur lasciando sussistere margini oscuri, punti con- troversi ed elementi contraddittori, si arriv ad un comune mo- do di intendere quelle parole, che gi avevano fonti autorevoli d'interpretazione e criteri concreti per ulteriore elaborazione.

    Per i cattolici, le condanne dei papi alle teorie del libera- lismo, socialismo e comunismo, quale precisate nei documenti relativi, formarono una base importante per apprezzarne e intenderne il significato, per vederne i punti di divergenza e di convergenza nel processo di adattamento sia spazialmente nei diversi paesi sia processualmente da allora ad oggi. Ma quel che resta indiscusso per tali tre parole si che l'ismo indicava, fin dal primo momento, un eccesso, una sopravvalutazione del- l'originario sostantivo da cui derivava (libert, societ, comu- nit); e dava l'idea di un primum fondamentale (fosse questo un primum etico o sociologico o politico o economico) cio un primato o superiorit su ogni altro principio o idea.

    Per questo, la riprovazione sia dei filosofi e sociologi, sia degli uomini politici, sia delle autorit ecclesiastiche, non do- veva andare, n va, alla libert o alla societ o alla comunit, ma all'esclusivismo o all'eccesso ad esse attribuito o comunque indicato da quell'ismo che le teorizza e le solleva al rango di principio assoluto o fondamentale.

    Nel caratterizzarli come tali non possiamo non attribuirvi una propria natura finalisttca, in quanto l'attuazione di tale principio vista come un bene prevalente da ottenere; tanto pi prevalente come fine, quanto pi fondamentale come prin- cipio; s che se arriva ad essere qualificato (come avvenuto nel decorso storico) quale principio unico, diventa al tempo

  • stesso un fine assorbente, cui tutto il resto viene subordinato. Ma dal fatto stesso che uomini di teoria e di pratica abbiano

    marcato una graduazione tra fine pi o meno prevalente o as- sorbente e principio pi o meno assoluto e unico, pur accet- tando essi l'ismo apposto a tali parole, ne venuta una larga gamma di teorie e di pratica, s che non c' un solo liberali- smo ma ce ne sono mille, e non un solo socialismo, ma almeno cento, e non un solo comunismo, ma almeno dieci. La molti- plicit dei significati in rapporto alla complessit del conte- nuto e dei problemi che vi sono connessi; onde i l liberalismo, come teoria filosofica politica ed economica ha avuto molte e cos varie faccie e ne ha tuttora, mentre il socialismo e i l comu- nismo ne hanno assai meno per il loro carattere materialistico e pratico e per la loro povert filosofica.

    Comunque sia, nessuno pu mettere in dubbio che tra li- bert e liberalismo, tra societ e socialismo, tra comunit e comunismo non solo c' la differenza fra un astratto e un pre- teso concreto ( i l che pu anche essere l'inverso), ma fra un principio naturale e un suo eccesso o una sua deformazione s da arrivare, nel fatto, anche ad una sua negazione, come sareb- be non difficile provare nel caso di comunit e comunismo.

    Il significato d i nazionalismo

    Questo preambolo ci porta a meglio intendere la portata della parola nazionalismo, in quanto per l'aggiunta dell'ismo al nazionale, ci fa avvertiti di un tal quale eccesso o deformazione, che viene recata alla concezione da cui trae origine. La nazione vi intesa in una maniera eccessiva, s da alterarne i caratteri naturali, in quanto ne fissa la base teorica in un principio cre- duto fondamentale e ne cerca l'attuazione come una finalit prevalente; tende cos a fare della nazione non solo un primum politico, ma anche un primum sociologico, e perfno un primum etico.

    Questo, in nucleo, l'errore o l'equivoco che si nasconde nel nazionalismo; i l quale anch'esso va posto al rango degli altri ismi, che nel secolo XIX han preso i l posto che naturalmente

  • spettava ai concetti da cui traevano origine. La nazione, per via del nazionalismo, ha avuto deformato il suo carattere di comunit d i un popolo effettuata sulla base della propria tra- dizione, storia, linguaggio e cultura; perch il nazionalismo stato fatto passare per principale causa efficiente e finale della comunit stessa.

    Anche il nazionalismo ha una larga gamma di colori, dal pi stravagante al meno irragionevole e dal filosofico al senti- mentale. perci che riesce difficile classificarlo e darvi dei contorni che siano accettati da tutti. E quando noi vogliamo coglierne l'essenza (come sopra descritta) troveremo coloro che, in buona fede, crederanno che noi abbiamo calcato le tinte al di l della comune accettazione della parola. Noi abbiam fatto un'analisi filologica e sociologica insieme, quindi abbiamo il diritto d i fissarne il risultato; ma riconosciamo che, al di fuori della logica, vi sono dei nazionalismi strettamente politici e sentimentali di natura benigna.

    Chiamar nazionalismo il patriottismo stato un errore ol- trecch linguistico anche politico; ma tant', per parecchi i due sostantivi si equivalgono o si equivalevano. Cos come per molti, anche oggi, l'affermazione della libert e lo stesso siste- ma costituzionale dove le libert politiche sono regolate, libe- ralismo. E quanti non han classificato come socialismo e co- munismo le dottrine sociali cattoliche? Non facile cogliere l'intrinseco nesso fra la parola e il significato, e si va per appros- simazione verso i significati che prevalgono in un dato momento e in un dato ambiente.

    Ma, allora, si domanda, perch i papi han condannato il liberalismo, i l socialismo e il comunismo senza qualifiche, inten- dendo quel che tali parole significavano nel momento della con- danna e senza preoccuparsi delle forme attenuate (ovvero in certi casi colpendo anche le forme credute attenuate), e invece per il nazionalismo Pio XI (l'unico dei papi passati che se n' occupato di proposito e molte volte) volle distinguere i l nazio- nalismo moderato D da quello u eccessivo D, colpendo solo que- st'ultimo ? (l).

    (l) Nel discorso del 3 dicembre 1930 ai cardinali e prelati in concistoro,

    4

  • Varie ne possono essere state le ragioni, ma quella che a me sembra la pi convincente si che i papi quando condannano un errore di cui la parola indice, non creano essi, n la parola n i l significato attribuitovi, ma ne precisano i l senso in riferi- mento all'errore che .contengono e che generalmente appreso come tale in dati luoghi e tempi. Pu darsi che la parola che sintetizza l'errore condannato contenesse fin dall'inizio altri si- gnificati, o che l i avesse acquistati nel decorso dei tempi (chi non sa che le parole mutano di senso?) e che pertanto tali si- gnificati non entrino nella sfera della condanna (l).

    Per esempio : in Inghilterra i cattolici possono appartenere tanto al partito liberale che a quello laburista (che spesso si afferma come socialista). A proposito di quest'ultimo, dopo la pubblicazione della Quadragesimo Anno, dove era scritta la fa- mosa frase: : Nessuno pu essere allo stesso tempo un cattolico sincero e un vero socialista sorse l una larga discussione, alla quale pose fine il cardinal Bourne, affermando che in questo

    Pio XI parl contro un nazionalismo duro ed egoistico n. Nella lettera enciclica Caritate Christi compulsi del 3 maggio 1932 egli fa netta la distin- zione fra il nazionalismo-amore di patria e il nazioualismo esagerato, l dove dice: Che se questo stesso egoismo, abusando del legittimo amor di patria e spingendo all'esagerazione quel sentimento di giusto nazionalismo, che il retto ordine della carit cristiana non solo non disapprova, ma rego- lando santifica e vivifica, si insinua nella relazione tra popolo e popolo, non vi eccesso che non sembri giustificarlo, e quello che tra individui sarebbe da tutti giudicato riprovevole, viene considerato ormai come lecito e degno d'encomio se si compie in nome di tale esagerato nazionalismo n. Nell'allocuzione ai maestri dell'azione cattolica italiana del 6 settembre 1938 egli tornava ancora, dopo altri discorsi del genere, a denunziare il nazio- nalismo esagerato che non affratella i popoli, ma li scaglia gli uni contro gli altri n (L'Osservatore Romano, n. 208, del 1938). -

    (l) I1 segretario di stato Corde11 Hull, nel suo messaggio sulla guerra mondiale del 23 luglio 1942, usava, riferendosi al nazionalismo, la stessa accezione di Pio XI, come testimonia questo passo: uno dei maggiori osta- coli che nel passato ha impedito il progresso umano e ha posto le basi per i dittatori, stato il nazionalismo esagerato. Tutti converranno che il na- zionalismo e il suo spirito sono essenziali ad una sana e normale vita poli- tica ed economica di un popolo, ma quando le politiche del nazioualismo - politico, economico, sociale e morale - sono spinte a tali estremi da escludere e scartare le necessarie politiche di cooperazione internazionale, esse diventano pericolose e mortali D.

  • paese uomini e donne sono liberi di appartenere al partito po- litico che incontra la loro maggiore simpatia e comprensione . Naturalmente egli aggiunse di mettersi in guardia contro i principii erronei e di non compromettere la loro coscienza, im- pegnandosi in tutte le intraprese di ogni partito politico ( I ) . chiaro che il liberalismo o il socialismo di quei cattolici in- glesi (se si mantengono veri cattolici) non pu dirsi che sia lo stesso di quello condannato dai papi. E chi non ricorda che per parecchio tempo fu usato il termine di socialismo cattolico (anche dopo le condanne di Pio IX e di Leone XIII) per indi- care la scuola sociale dei cattolici? Furono notevoli in Italia, tra 1'800 e i l 1900, i l libro di F. S. Nitti sul socialismo cattolico, e l'altro del conte Eduardo Soderini (un eminente cattolico) sul socialismo cristiano.

    Fatte queste riserve, costante uso fra i cattolici che quando si parla di liberalismo, socialismo e comunismo s'intendono i sistemi condannati dai papi. Non cos con la parola naziona- lismo. Perch, mentre per i primi i papi trovarono che alla loro base vi erano teorie erronee divenute comuni nella opi- nione pubblica, per il nazionalismo la stessa opinione pubblica era divisa, dando alla voce nazionalismo il significato di un marcato amore di patria per contrapporlo all'internazionalismo dei socialisti e dei comunisti (seconda e terza internazionale); i quali per un ideale o largamente umanitario o strettamente clas- sista, svalutavano o negavano (almeno per metodo polemico) l'amore di patria. Diciamo (c per metodo polemico I), perch tanto i socialisti tedeschi della seconda internazionale nel 1914, quanto i comunisti russi della terza internazionale nel 1941 han- no dimostrato con i fatti che si sanno battere anche per la loro patria geografica e politica.

    Ma tant': quando il papa venne a riprovare il nazionali- smo, trov che nell'opinione generale ne esistevano due, il primo dei quali non aveva alla sua base teorie anticristiane, almeno non le mostrava potendo bene nasconderle dietro l'amo-

    (l) Vedi Luigi Sturzo, Politics and Morality, Burns, Oates and Wash- bourne, London, 1938.

    6

  • re di patria (un po' pi colorito degli altri amori); cos limit la condanna a quello anticristiano che appell egli stesso di

    eccessivo . Nel far ci, Pio XI era spinto da due considerazioni prati-

    che di una certa importanza. La prima quella di indurre le associazioni e i movimenti nazionalistici, spesso creati per sen- timentalismo o anche per difesa della borghesia e delle classi medie contro gli eccessi dei partiti operai, a riconsiderare il loro nazionalismo e portarlo nei limiti di una equa valutazione degl'interessi del proprio paese. L'altra, quella di evitare che ogni giusta difesa della propria nazione o nazionalit o mino- ranza nazionale, fosse dagli avversari qualificata di anti-cattolica o anti-cristiana e come tale condannata dal papa. I1 che avrebbe avuto l'effetto d i convalidare l'accusa che i cattolici come. tali sono anti-nazionali; e l'altro di aumentare le pretese antipatriot- tiche degli internazionalisti nei momenti pi acuti della lotta politica, come avveniva in Francia (l).

    Per quanto possa dirsi lo stesso delle tante variet di libe- ralismo o socialismo ripullulate in un secolo di fermentazione di idee e di atteggiamenti politici in tutti i paesi, pure un dato facilmente constatabile: che le idee astratte di libert, societ e comunit hanno in s un contenuto etico la cui negazione o at- tenuazione implica un errore; mentre la parola nazione non un'astrazione logica, non ha un significato che trascende i l puro fatto storico di un popolo cos e cos configurato, e infine non implica un errore quando se ne modifichi la fisionomia.

    Chi sa bene come la mentalit latina sia abituata a tali im- postazioni schematiche e come la scolastica ne abbia strettamente fissato i l tipo, arriva a comprendere la gelosa cura che Roma mantiene nel fissare i l rapporto fra la parola e il suo significato essenziale e permanente. L'anglo-sassone in genere pi prag- matico; non concatena ma distacca; non sintetizza ma si tiene alle approssimazioni. Cos pu facilmente superare le implicazioni ideologiche e sistematiche di una parola ( o di un fatto) prendendola per quel che vale al momento.

    (l) Vedere: Maurice Vaussard: Enqute sur le nutionalisme, Editions Spes, Paris, 1924.

  • Da qui una serie di incomprensioni fra il mondo cattolico e quello non cattolico, che rende difficile l'apprezzamento di certi atti pontifici, e la non facile impostazione dei problemi connessivi, quando secondo l'opinione comune degli uomini so- no valutati diversamente i fatti storici che han dato luogo ai vari interventi pontifici. L'ultimo dei quali, quello sul nazio- nalismo eccessivo (che poi prese anche il colore di nazionalismo statale totalitario e di nazionalismo di razza), merita d i essere approfondito al di l della polemica quotidiana e giornalistica, nelle sue implicazioni sociologiche e spirituali.

    ,

    Niente d'importante e di caratteristico affetta la societ senza una ragione intrinseca e senza opportunit storica. Quel che di nuovo sembra s'inserisca nel processo umano, non sar altro che lo svolgimento, naturale o violento, di motivi che non erano avvertiti e che, nella concatenazione delle libere iniziative con il condizionamento sociale, furono resi efficienti e vitali.

    E poich, nella dialettica sociologica (non quella di Hegel o Marx, ma la dialettica umana e reale) l'affermazione d i oggi deriva da una negazione di ieri e produce a sua volta la nega- zione di domani, e sotto diversi punti di vista le negazioni e le affermazioni si convertono, cos quando qualche cosa d i nuovo viene affermato, in un dato momento storico, occorre cercarne i caratteri per precisare la negazione che esso pu contenere.

    Per fare simile analisi riguardo al nazionalismo, quale esso apparve nel secolo scorso, occorre vedere anzitutto quali erano al suo apparire le posizioni teoriche e pratiche dell'idea d i a nazione D.

    Tre furono le grandi affermazioni storiche tra il 1789, inizio della rivoluzione francese, e il 1848, data storica delle rivoluzioni nazionali e sociali.

    La prima, l'affermazione francese la nation D, fu allora

  • presa a designare il paese, lo stato e il popolo, come unit mo- rale e politica di fronte al monarca considerato come i l capo dello stato s, ma in quanto primo cittadino e primo funzionario. I tre significati dati alla nation erano equivalenti, in quanto il popolo ( i l populus latino) era tutto il paese e questo era orga- nizzato in stato secondo la volont popolare. Donde l'uso di con- trapporre nation a roi >, in quanto s'intendeva negare il sistema antecedente di monarchia assoluta e affermare la volont collettiva del popolo.

    La parola nazione cos diveniva l'affermazione di una , personalit morale e politica conquistata dal popolo. Lo stato paternalista e patrimoniale era del passato. Nel vecchio regime il popolo era considerato un minorenne, il territorio un patri- monio della corona, le guerre interesse del re, la finanza dello stato e quella della monarchia erano confuse. Solo con Richelieu si cominci a distinguere politicamente casa regnante e Francia ; ma non cos che Luigi XIV non potesse dire: Lo stato som io. La nazione che si elevava contro tale monarchia, per la legge della dialettica storica, si presentava rivoluzionaria e democra- tica, e sulla base della sovranit popolare formava la nuova per- sonalit del paese: nasce cos la Francia della libert, galit et f raternit.

    La seconda affermazione tutta propria dell'idea di nazione, fu da parte della Germania, e Fichte ne fu il profeta con le sue celebri Lettere alla nazione tedesca . La nazione fu presa per un'idea che si realizza, uno spirito che s'incarna; gl'individui non sono che fenomeni di una realt che noi pensiamo collet- tiva in quanto viviamo in essa e per essa. La nazione come po- polo e cultura una realt: in divenire che si crea e si sviluppa per forze interiori.

    Questa concezione immanentistica della nazione ebbe in Ger- mania la sua maturazione letteraria e filosofica nel periodo ro- mantico e la sua espressione politica nel federalismo di tante piccole entit tendenti a superarsi nell'unit, finch prevalse la concezione di Hegel della nazione-stato n come realizzazione suprema e immanente dell' Idea . Fu allora che lo stato pms- siano (che Hegel aveva presente quando ne pensava i caratteri divini) assorb la Germania tradizionale, feudale e federalista.

  • Il Reich divenne l'unica espressione della nazione germanica nella sua interiore realt, concepito quale potere e forza 1).

    L'ulteriore evoluzione della nazione immanente venuta at- traverso l'idea d i razza, unendo insieme le ideologie filosofiche di Fichte e di Hegel, il potere e forza di Bismarck con le mitiz- zazioni materialistiche del sangue e del suolo. I1 terzo Reich na- zista ne la sua realizzazione (l).

    La terza affermazione .della nazione, che germogli nel se- colo XIX, fu quella dell'unit e indipendenza politica di ogni nazione, quale formata attraverso la tradizione, la storia, la lingua, la cultura e la religione, per quei paesi che fossero sog- getti a uno stato straniero ovvero fossero divisi fra diversi stati spesso autonomi. Chi ne simbolizz l'ideale fu Giuseppe Mazzini. Tale fu i l fermento che pervase l'Italia divisa in tanti regni e in parte soggetta all'Austria, che eccit le guerre e le rivolte in . Grecia e negli altri paesi balcanici soggetti alla Mezzaluna, che eccit i movimenti di nazionalit e di indipendenza nei paesi dell'Impero asburgico, e che fece riprendere le rivolte irlandesi e polacche.

    Quel che nel secolo XIX diede la spinta alla formazione di una nuova coscienza nazionale fu anzitutto il movimento roman- tico delle letterature, leggende e saghe di ogni popolazione; la rivalutazione delle lingue particolari in confronto alle lingue di cultura generale o usate dalle classi alte e dalle corti, un movi- mento popolare, che veniva orientato verso gl'ideali d i libert diffusi prima dalla rivoluzione francese e dalle guerre napoleo- niche, e poscia dai movimenti sociali che agitavano le classi operaie, tenute allora in condizioni oppressive e miserabili.

    I n questa fase storica noi troviamo che l'idea di nazione prende un triplice aspetto: 1) nazione come volont popolare organizzata nello stato (Francia); 2) nazione come anima di un popolo che si realizza per innata virt (Germania); 3) nazione come personalit politica autonoma e libera (,Italia, Grecia, Irlanda, Polonia, Belgio, Boemia, Ungheria e pi tardi paesi balcanici).

    (l) Vedi Nationalism: a Report by a Study Group of Members of Royal Znstitute of Znternational Affairs, Oxford University Press, 1939.

  • La nazione nella storia

    Per afferrare l'intimo significato dei tre aspetti che l'idea di nazione prese in Europa tra la fine del XVIII e la prima met del XIX secolo, occorre approfondire quel che nazione stata nella sua realt.

    Nazione indica individualit di un popolo ; e questa non pu formarsi senza una contiguit geografica stabile, una tradizione storica e culturale, un interesse economico. Quando a queste condizioni preliminari si aggiunge una presa di coscienza da parte del popolo, per una di quelle sintesi sociologiche, che solo le grandi idee quali la religione, la libert e l'indipendenza pos- sono destare, allora si sviluppa la personalit collettiva che noi chiamiamo nazione. Per noi l'individualit di un popolo indica solo la differenziazione di fatto di un gruppo etnico da un altro, la personalit invece indica la coscienza attiva che dal gruppo differenziato si sviluppa, prendendo una propria impronta cul- turale e politica.

    Perch una nazione si formi, si parte da una posizione di distinzione fra i gruppi etnici contigui e anche affini, e si va verso quella di opposizione a coloro che in qualsiasi modo atten- tano alla sua formazione e ne impediscono gli sviluppi e le con- quiste. Anzi, l'esperienza storica e la ragione sociologica ci ren- dono edotti che, in via ordinaria, la personalit di gruppo etnico in genere e quello di nazione nella sua espressione politica, si formano sovente nell'opposizione e nella lotta, in difesa della propria religione e lingua, dei costumi tradizionali e dei diritti familiari.

    Un'istanza delle pi interessanti, che non stata posta in luce n dagli storici n dai sociologi, per noi quella del con- cetto di nazione quale si svilupp fra il XIV e il XV secolo, durante le lotte ecclesiastiche e lo scisma d'occidente che agita- rono tutta la cattolicit. Allora si era andata formando la co- scienza nazionale nei vari paesi europei con il passaggio delle lingue parlate i n lingue scritte, col consolidamento dei regni quale Francia, Castiglia, Aragona, Inghilterra, Svezia, Portogal- lo, Boemia, Baviera, Austria, Polonia e Ungheria, mentre la ri- nascenza italiana e i l fiorire delle universit e d i molti centri

  • di cultura ecclesiastica e laica, davano alla classe intellettuale un'importanza eccezionale.

    Le nazioni non venivano concepite allora come stati politici (concezione tutta moderna); in quell'epoca non l o stato n ma il regno era l'unit politico-feudale ( a parte le repub- bliche comunali). Le nazioni non rivendicavano diritti di indi- pendenza da una casa regnante estranea alla loro popolazione e lingua. I1 caso di santa Giovanna d'Arco in Francia fu unico e non senza contrasti, e per la sua originalit e straordinariet non ebbe seguito n imitatori. Le nazioni allora facevano valere i loro diritti in confronto al papato romano, a quel potere in- ternazionale o supernazionale, che aveva fortemente organizzata in tutta la cristianit la sua struttura esterna, specialmente du- rante il periodo avignonese. Due i motivi di opposizione ; quello economico dei tributi, tasse e gabelle e diritti da pagare alla curia romana e ai loro legati, e quello ecclesiastico delle nomine dei beneficiati e dei vescovi che i papi o riservavano o control- lavano, sia dal punto di vista canonico che da quello economico.

    Ma sotto i motivi giuridici ed economici, si agitavano que- stioni pi profonde. La principale era quella del concilio supe- riore al papa ( l ) che sembrava una democratizzazione della chie- sa ed era una presa di posizione della periferia contro i l centro, degli organismi intellettuali (universit) contro quelli discipli- nari, del potere laico contro l'ecclesiastico, delle nazioni contro la supernazione. Nei dibattiti conciliari e nelle affermazioni estraconciliari, emergeva la coscienza di nazione che non essendo un fatto politico e sfuggendo ad una definizione ecclesiastica, si appoggiava sui vari regni che ne formavano il complesso strutturale.

    Onde nei concili di Pisa, Costanza e Basilea (siamo ai primi decenni del quattrocento), troviamo le commissioni conciliari distinte per nazionalit e perfino i concordati di Costanza del 1418 furono formulati per nazioni o gruppi di nazioni e con i loro rappresentanti e non per stati tra i papi e i monarchi.

    L'aspetto sociologico della nazione che allora nasceva e si affermava pu dirsi pi o meno simile a quello della nazione

    ( l ) Vedi Luigi Sturzo, Chiesa e stato, Bologna, 1958-59, voll. 2.

  • che rinasceva tra la fine del XVIII e il principio del XIX secolo i diversi erano solo quei termini di riferimento per i quali l'indi- vidualit nazionale prende coscienza della sua personalit. Le nazioni del secolo XV si andarono sviluppando a spese del pa- pato medievale ( e con la riforma a danno della cattolicit euro. pea); le nazionalit( del secolo XM a spese delle monarchie as- solute e dei regimi paternalisti. Ma quali ne siano stati i con- torni storici, la personalit nazionale nella sua natura sempre la stessa e si sviluppa con il suo ritmo interiore.

    La personalit di una nazione

    A ben precisare questo fatto storico costante della formazione e sviluppo della personalit nazionale, bisogna arrivare al con- cetto primordiale di comunit. Perch la nazione nella sua es- senza non la semplice organizzazione politica della societ ( stato) n l'organizzazione religiosa (chiesa), n una societ volontaria fra i suoi membri, che pu essere liberamente for- mata e disciolta. invece il vincolo morale di un popolo, che prendendo coscienza di s stesso, tende a distinguersi da ogni altro e a fissare la sua esistenza nel modo pi adatto secondo le fasi storiche del suo sviluppo. Cos la nazione ora tende a dive- nire una democrazia unitaria (Francia) o una democrazia fede- rale (America del Nord), ora una chiesa nazionale (Inghilterra del secolo XVI) o una federazione nazionale (Svizzera) o uno stato unitario nazionale (Italia del risorgimento), o uno stato liberale bilingue (Belgio).

    Ma una volta che un paese o un popolo arrivato a prender coscienza della propria personalit nazionale e la afferma nel campo di lotte che la storia gli presenta, non si arresta l. Come tutte le personalit morali viventi, la nazione avr il suo incre- mento e sviluppo, la sua involuzione o decrescenza: fasi di vita necessarie finch arriva il momento che la stessa personalit na- zionale o svanisce perch i l soggetto fisico viene quasi a perire ( i l caso degli A m e n i o degli Assiri), ovvero si trasporta in altra personalit pi vasta o diversa, rivalutandosi in un pi largo cerchio di unit etnica, culturale e politico. Cos il Montenegro

  • o la Croazia nella Jugoslavia, la Sicilia nell'Italia, la Provenza nella Francia, la Baviera nella Germania, il Vermont, il Texas o la California negli Stati Uniti.

    Fissiamo due fasi storiche: quella della formazione della per- sonalit d i nazione e quella della sua affermazione ed incremen- to, e ci renderemo conto, girando uno sguardo in tutto il mondo, che ogni nazione tende a preservare la sua esistenza e persona- lit e il suo avvenire con tutte le forze e tutti i sacrifici. C' qual- che cosa che supera il fatto d i un'esistenza e5mera o di un sen- timento transitorio e arriva al fondo della societ umana e della sua formazione in comunit naturali.

    Poich le prevalenti concezioni sociologiche, dalle positivi- ste alle hegeliane e alle neo-razziste, potrebbero fare frainten- dere le nostre affermazioni, mettiamo il lettore sull'avviso che parlando di personalit della nazione escludiamo che qualsiasi corpo sociale abbia uno spirito D proprio o un' anima o a un'entit o realt al di fuori dei singoli individui che la com- pongono. Per noi una personalit collettiva, quale essa sia, fa- miglia o nazione, stato o classe, comunit religiosa, o filantro- pica o anche l'insieme sociale dell'umanit, non che la risul- tante simultanea della coesistenza degli uomini uniti insieme per un fine naturale. La coscienza di tale collettivit l'inter- riflesso simultaneo della coscienza dei singoli che comprendono il fine per il quale sono riuniti e vi cooperano o che lo com- prendono diversamente e ne dissentono; s che nel risultato si formano quel massimo possibile di consensi e di reciproca in- fluenza che crea l'azione.

    Non il caso di sviluppare, nel presente studio, come si formi e in che si risolva la coscienza collettiva di un popolo o nazione (l). Ci basta notare che, perch una tale coscienza emer- ga, occorre che vi preesistano quei valori che formano i l nesso connettivo di una comunit naturale, quali le tradizioni, i co- stumi, il linguaggio, il territorio, i diritti sociali e gl'interessi economici. Gli uomini riuniti insieme convergono su questi va- lori essenziali d i vita, anche se la comunit non ha mai una propria figura politica indipendente. I1 complesso di questi va-

    ( l ) Vedi Luigi Sturzo, La societ sua natura e leggi, Bologna 1960.

    14

  • lori, idealizzato come una realt o da raggiungere o da difen- dere, forma la coscienza collettiva della nazione.

    Personalit morale, adunque, e di cultura (nel senso largo della parola come cc un certo stadio di avanzamento nella civi- lizzazione D), non mai entit a s stante, al dissopra degl'indivi- dui, realt che s'incarna (come dicono spesso abusivamente i francesi), al punto che si suole parlare di un'anima permanente della Francia o della Germania che,realizza s stessa di genera- zione in generazione.

    Tale concezione pseudo-filosofica o pseudo-sociologica della societ, si insinuata nel linguaggio comune attraverso la filo- sofia idealista, da Fichte ed Hegel in poi, e attraverso la socio- logia positivista, specialmente quella di Durkheim, ed stata applicata di recente al caso storico della nazione, elevando que- sta a costituente sociale primordiale e a ragione finalistica del- l'uomo sociale.

    La nostra controversia sul piano filosofico contro l'ideali- smo di Hegel e sul piano sociologico contro il sociologismo di Durkheim; ma riteniamo che i teorizzatori della nazione )) facciamo un salto extralogico, anche se sono hegeliani o durkei- miani, nel trasportare sulla nazione il primum filosofico e il primum sociologico dei loro autori. qui che si ricollegano vecchi e nuovi errori, mentre le pretese connessioni dell'un piano all'altro mancano assolutamente di base.

    Limiti morali dei diritti nazionali

    Se la nazione, come personalit di un popolo e coscienza di tale personalit, un fatto naturale e storico, dovr avere le sue esigenze e i suoi limiti, e moralmente parlando, i suoi diritti e i suoi doveri, cos come pensiamo che li abbia ogni comunit umana, sia la famiglia o lo stato.

    Vari sono i problemi che derivano dal fatto della nazione, secondo come la coscienza di nazione nel popolo sorge e si forma e secondo come storicamente si proietta al di fuori. Si tratta di problemi relativi ad un dato fatto storico, connessi ma distinti con i problemi della societ umana in quanto tale; che perci

  • assumono un aspetto particolare e concreto, non mai generale ed astratto. Lasciando in disparte i fatti storici delle nazioni quali intese nell'antichit o nel medio evo e nel rinascimento, e attenendoci alla fase ultima dalla fine del secolo XVIII ad oggi, noi troviamo anzitutto che la nazione sorge da un conflitto fra diritti storici delle classi alte e idealit politiche di libert e democrazia delle classi medie. Questo conflitto viene risolto o con le rivolte o con le guerre. .

    L'America del nord fu la prima; nessuno allora parlava di nazione americana, ma le varie colonie inglesi dellYAmerica si sentivano mature per la loro costituzione in stati indipendenti e governati dal popolo. La presa di coscienza di tale maturit, e le connesse affermazioni di indipendenza e di auto-governo che la modellavano a confederazione, avvennero per e nella lotta contro l'Inghilterra e quindi nella rivolta e nella guerra. Con- federazione e poi governo federale erano le forme politiche per affermare l'indipendenza di quel che doveva divenire la nazione americana 1). .

    Se ci si domanda in forza di quale principio la nazione americana rivendic la sua personalit politica, le risposte pos- sono essere varie secondo i principi che vi si applicano. Noi pensiamo che nel processo di civilizzazione la colonia, se ma- q tura alla indipendenza, abbia diritto di domandarla e di ottenerla o anche di rivendicarla. Tale maturit indicata non solo dallo stadio di cultura e di economia a cui un popolo arrivato ma dalla .coscienza stessa di averlo raggiunto. L'indipendenza dei nuclei nazionali un diritto precedente ai fatti storici, ( a causa dei quali esso o stato perduto o non mai stato raggiunto) e in date circostanze storiche tale diritto pu giustamente affer- marsi. Al tempo stesso vero che l'indipendenza politica di una comunit, che noi oggi chiamiamo nazione, anche condizionata dalla totalit dei fattori storici internazionali e che perci indiscutibilmente un relativo e non un assoluto, a patto natural- mente che la comunit in questione goda pienamente di tutti i diritti naturali propri degli individui, delle famiglie e della personalit stessa di un popolo.

    Segu la Francia a poca distanza; ne abbiamo accennato trattando del significato dato alla parola nation. Qui facciamo

  • notare che la democratizzazione della Francia, o meglio, lo scio- glimento dei vincoli giuridici e di classe dell'ancien rgime, era la condizione storica che fece germogliare l'idea di nation e che la parola rpublique non fu presa a indicare un governo di popolo senza re, ma nel senso di un governo misto d i popolo e re. E quando per una serie di avvenimenti rivoluzionarii si ar- riv all'abolizione della monarchia, fu allora che si parl di nazione sovrana.

    Non intendiamo portare un giudizio etico sulle varie fasi della rivoluzione francese (come neppure sulle varie fasi delle rivoluzioni americana e italiana), ma intendiamo chiarire il fatto, sociologicamente rilevabile, che l'idea di nazione colle- gata con la pi larga partecipazione alla vita comune della classe o di quella sezione sociale che ne prende coscienza e la solleva a movente della sua attivit collettiva. La nazione del secolo XIV-XV era degli universitari, degli umanisti, degli eccle- siastici, dei nobili delle corti in confronto al papato ; la nazione del secolo XVIII-XIX era degli enciclopedisti, dei romantici, dei borghesi e mercantilisti, in Europa e in America, in confronto alle monarchie assolute o paternaliste.

    L'Irlanda, la Polonia (sotto certi aspetti anche il Belgio e l'Italia) e pi ancora la Grecia ed i paesi soggetti alla Mezza- luna, a giustificazione delle loro rivolte e guerre aggiungevano i l fatto di combattere contro non un governo paternalista, come in Francia, ma contro la tirannia dello straniero. Anche per 1'Ir- landa del secolo XVIII l'inglese era lo straniero e il tiranno. In lo- ro confronto c'era da far valere i l diritto della rivolta. ben vero che tanto per le rivolte polacche che per quelle irlandesi l'au- torit di Roma manifest in certi casi la sua disapprovazione, che Pio IX riprov le guerre del Piemonte contro l'Austria (l),

    (l) Pio IX, naturalmente, condann le guerre del risorgimento italiano che si conclusero con l'occupazione di Roma. L'abate Antonio Rosmini, fon- datore della congregazione dei Rosminiani, e padre Gioacchino Ventura, generale dei Teatini (chierici regolari), approvarono la guerra contro 1'Au- stria per l'indipendenza italiana, e lo stesso Ventura difese con forza i l diritto dei siciliani e rivoltarsi e a intraprendere la guerra contro i Borboni, re di Napoli, nel 1848.

    2. S m - Nazionalismo e Intemazionalismo

  • e che lo stesso Taparelli non riconosceva la legittimit della rivolta e guerra dei greci contro il turco. La lettera enciclica di Pio XI Nos es muy del 28 marzo 1937 ha reso meno difficile la soluzione d i tali casi, avendo fissato i principi generali per quelle rivolte che hanno giusta causa, bench'c le soluzioni pra- tiche dipendano dalle circostanze di fatti come detto nella stessa enciclica. Sotto queste circostanze concrete bisogna giudicare le rivolte e le guerre nazionali del secolo XIX, com- prese quelle della Svizzera dovute in gran parte all'intolleranza religiosa che divideva il paese e impediva i l formarsi di una vera nazione svizzera D.

    Quel che ci interessa rilevare, a questo punto, si che non bisogna confondere, come s i suole spesso, i diritti naturali che si riferiscono alla personalit umana con quelli che nascono sto- ricamente con la formazione di una nazione. Pu certo una na- zionalit rivendicare il diritto al libero culto, come avveniva agli orientali e balcanici sotto i turchi o ai polacchi di rito greco-ruteno sotto gli zar; e non pertanto non rivendicare, allo stesso momento, il diritto alla propria personalit politica. Ov- vero dare forza alla rivendicazione politica unendola a quella dei diritti religiosi conculcati. Cos nel caso irlandese, la riven- dicazione della libert religiosa riconosciuta con l'atto della emancipazione cattolica del 1827 era di diritto naturale e non dipendeva da un fatto nazionale, mentre la rivendicazione del- l'autonomia politica ( i l libero stato del 1921) fu fatta sulla base dei diritti nazionali e storici.

    La differenza enorme: noi chiamiamo i primi diritti as- soluti e naturali e i secondi relativi e storici, per ben precisare che i secondi maturano con il processo storico e sono subordi- nati alle esigenze, ai diritti e alle possibilit di convivenza tra i vari popoli.

    Non possiamo qui precisare quando i diritti di una nazione divengono prevalenti su quelli delle famiglie che la compon- gono e su quelli dello stato o degli stati nei quali un popolo ha di fatto la sua organizzazione politica. Del resto ben poco var- rebbe una scala di ipotesi e di dosature casuistiche che poi non s'inquadrano ai fatti concreti.

    La nazione non esce fuori del quadro delle societ o comu-

  • nit o gruppi di famiglie, che in tanto hanno diritto in quanto rappresentano il mezzo di vita comune per i singoli uomini; poich la societ per l'individuo, non l'individuo per la societ ; i diritti e doveri sono dei singoli attraverso la societ, non della societ come soggetto morale al di fuori dei singoli. Se ci per la famiglia e per lo stato che sono le societ naturali a scopi de- terminati e a contorni giuridici precisi; non pu che ripetersi per una societ a carattere storico e a contorni imprecisi quale la nazione, perch anche quando essa coincida con lo stato (come in Francia o in Italia) sempre presa come un'entit moralmente e psicologicamente diversa.

    Alle esigenze e ai diritti di nazione cos posto i l principio- limite che essa subordinata, come mezzo o fine, alla personalit umana, e quindi non pu essere fatta valere contro i diritti na- turali degli uomini, appartengano o no alla stessa nazione. Ma d'altro lato, per far fronte al pericolo individualista occorre richiamarsi all'altro principio che ogni comunit un vincolo interindividuale, fatto per evitare la dissoluzione sociale nel- l'egoismo dei singoli. I1 principio sociale (come quello cosmico) la solidariet dei componenti. vero che la risultante sociale non pu mai invalidare i diritti della personalit, ma anche vero che gli individui nel salvaguardare la propria personalit la debbono far coincidere, nella giustizia dei rapporti o nel- l'amore reciproco, con la coesistenza solidale dei propri simili.

    Ora fra le coesistenze che importano una solidariet, la na- zione ha il suo posto tra la famiglia e lo stato; partecipa con la famiglia al senso di affinit, naturale e con lo stato ai fini di incremento civile e di ordine e di difesa. E tra il rispetto alla personalit umana da parte dei poteri sociali e l'osservanza della solidariet fra i singoli, c' tutta una gamma di diritti e doveri relativi che riguardano anche la nazione e le sue esigenze sto- riche.

    Non precisiamo pi in l di questo punto, perch sempre pericoloso volere trovare, in avanti, la soluzione di un problema concreto, che quando s a ~ posto ci apparir con caratteri non previsti, domandando soluzioni di cui non si aveva avuto espe- rienza. Ma a ben fissare i termini della nostra indagine possiamo dire che i diritti e i doveri che scaturiscono dalla maturazione

  • di una nazione, presi in s e senza confonderli con quelli natu- rali derivanti dalla personalit umana, non sono che diritti sto- rici e relativi, come storica e relativa la natura stessa di nazione.

    Dopo quel che abbiamo scritto, molti ancora si domande- ranno in che cosa il nazionalismo differisce dalla coscienza na- zionale, o dal sentimento nazionale o infine dall'ideale nazionale. Ecco tre frasi molto usuali che bisogna ben definire.

    La coscienza nazionale quella che si forma con il ride- starsi dei caratteri di un popolo nelle sue fasi storiche e che ne rende effettiva la comunit. Finch non c' coscienza della per- sonalit di un popolo, non c' nazione nel senso sociologico della parola. Cos ci possono essere periodi in cui la coscienza nazio- nale si attutisce e poi rinasce. La Finlandia ne un esempio storico caratteristico. Elias Lonnrot nel secolo scorso fu il suo bardo che la ridest dal lungo sonno. L'Austria del 1919 comin- ci a sentirsi u n t n i t diversa dalla vecchia Austria degli Asburgo e ben differenziata dalla ~Grossdeutschland del 1848 o dal I11 Reich di Hitler.

    I1 sentimento nazionale D simile all'esaltazione patriottica, e pu manifestarsi nelle circostanze fauste e infauste della pa- tria; pu essere preso anche come un'educazione d i solidariet Ga gli appartenenti alla comunit nazionale.

    (( L'ideale nazionale l'aspirazione a quel che manca per- ch la nazione sia realizzata o sia completa. Cos l'ideale nazio- nale dell'Italia della fine del secolo X M era di avere i suoi con- fini geografici fino a Trento e a Trieste; l'ideale dell'Eire di oggi di avere le sei provincie del nord, come l'ideale nazionale dell'olanda, del Belgio, della Norvegia durante l'occupazione < dei nazi era quello di riavere la propria indipendenza e libert.

    Tutto ci pu dirsi nazionalismo per un'estensione giornali- stica o volgare della parola, ma non nazionalismo nel senso etimologico o storico, n in quello politico e in quello socio-

  • logico. Cos ci guarderemo dal confondere gli uni con gli altri; e se vero che usus te plura docebit, bisogna per reagire con- tro quell'uso che porta confusione. Oggi che vediamo meglio i caratteri del nazionalismo vero, pur ammettendo le attenuazioni di fatto e quelle soggettive di coloro che si dicono o si dice- vano nazionalisti, non possiamo accettarne quei principi che involgono false e perverse do.ttrine.

    I1 nazionalismo una concezione teorica e un'attivit pra- tica che tende a sopravvalutare la nazione e farne un principio etico-politico dominante e. periino assoluto. Perch la definizione non risulti inesatta non c' che verificarla con i caratteri storici dei vari nazionalismi e con le teorie formulate a loro sostegno dai principali esponenti.

    I1 primo che incontriamo il nazionalismo germanico di prima e dopo la formazione dell'impero bismarkiano. I1 Kul- turkampf anticattolico di quell'epoca ha i suoi motivi nazio- nalistici. Non importa che le parole nazionalismo e nazionaliz- zare avessero allora altro significato e non fossero usati nel senso di oggi, ma vi erano i germi di quel che fu detto nazionalismo ( l ) . Bismarck voleva germanizzare la Pomerania e la Slesia, e vin- cendo la popolazione polacca di quelle provincie, per un con- cetto strettamente di dominio nazionalista : l'omogeneit della popolazione. Si chiami germanesimo o si chiami nazionalismo germanico lo stesso. La rappresentanza polacca al Reichstag e i l partito del centro reagirono contro le misure bismarcki'ane. Allora Bismarck comprese meglio che l'omogeneit germanica non poteva ottenersi che luteranizzando le zone cattoliche. Cos la persecuzione chiamata lotta per la cultura, fu contro i polac- chi e contro i cattolici. Bismarck fall e dovette cedere; anche perch in certe sfere del protestantesimo si era allarmati dei metodi di lui. Ma l'idea del Kulturkampf nazionale rimase e si svilupp; Meinrich von Treitschke ne fu il principale teorizza-

    (l) In Europa nazionalizzare e nazionalizzazione sono rimasti a signifi- care il controllo o la propriet nazionale o statale di un temtorio o di un'industna o di un servizio pubblico; mentre naziomlismo indica la teoria politica della nazione come principio prevalente della vita collettiva; na- zionalista chi appartiene al partito nazionalista.

  • tore. La sua tesi era che polacchi ed ebrei, socialisti e cattolici dovevano eliminarsi dal Reich con tutti i mezzi, compresa la deportazione, l'esproprio, l'imprigionamento e la morte, per ar- rivare alla nazione omogenea. L'omogeneit non era fine a s stessa, ma era concepita come il mezzo per rendere forte il potere, salda la nazione, atta al dominio di l dalle proprie frontiere e alla espansione politica, oltre che economica, della popolazione.

    Le teorie ariane di Gobineau e di Houston Stuart Chamber- lain andavano bene incontro al nazionalismo di Treitschke, e bench l'uno francese e. l'altro inglese, frullava vivamente nei cervelli tedeschi, che han bisogno di trovare il chiodo di una teoria dove potere appendere ogni loro anche pi piccola ini- ziativa. La teoria della razza superiore, nordica, ariana, era fatta proprio per loro. Gi Lutero aveva sostenuto che i germani era- no superiori ai latini; ci era divenuto una specie di dogma per i luterani; ma ci voleva i l colore scientifico del secolo XIX per darvi consistenza. Era il periodo del trionfo della scienza sulla filosofia e teologia; il periodo della sociologia positivistica ele- vata a scienza: i l razzismo nazionalista e scientifico nacque e si svilupp in questo clima.

    In Francia, dopo l'instaurazione della terza repubblica, ap- parve un nazionalismo di contraccolpo per la perdita dell'Alsa- zia e Lorena, e da questo prende i suoi caratteri naturali: anti- democratico, anti-socialista, anti-sernita. Mentre in Germania era anticattolico, il nazionalismo in Francia nasce filo-cattolico, sia perch il clero era allora in maggioranza per la monarchia e anti-repubblicano, sia perch temeva l'anticlericalismo della borghesia e della massa operaia. Leone XIII, con la sua lettera del 1892, con la quale consigliava i cattolici francesi di aderire alla repubblica e di concorrere a formare buone leggi per il

    - -

    bene del paese, tolse le preoccupazioni del lealismo alla monar- chia (che per certi cattolici erano sincere), e tolse anche il pre- testo per fare dell'antirepubblicanesimo in unione a coloro che tentavano un colpo di stato. Ma sventuratamente, molti del clero e del laicato cattolico non vollero seguire i consigli del papa antiveggente; il caso Dreyfus (che sorse poco dopo) divise pro- fondamente le Francia, e i cattolici e il clero (meno una pic- cola ma rispettabile minoranza) furono dal lato degli accusatori

  • e con i pi accessi nazionalisti e antisemiti. Purtroppo, nono- stante che l'innocenza di Dreyfus fosse provata, la divisione di quell'epoca dur fin alla grande guerra e anche, in certe zone, fino adesso. Non manca chi reputa di adempiere ad un dovere nazionale affermando, anche oggi, che Dreyfus era un tradi- tore (l).

    Allora non ci fu in Francia un vero teorico del nazionalismo, che arrivasse alla fama poscia ottenuta da Charles Maurras, n della portata dei Treitschke o dei Gobineau. Drumont fu solo un demagogo; il fatto che si univano insieme movimenti negativi di diverso carattere (anti-repubblicanesimo, anti-semitismo), ren- deva difficile una teorizzazione. Quel che in Francia univa in- sieme tutta la borghesia industriale, l'aristocrazia terriera, il militarismo e il clero, era i l sentimento anti-sociale contro le masse operaie e contadine e contro la piccola borghesia che an- davano acquistando importanza, forza e potere, sia nel campo economico che in quello politico.

    In fondo c'era un problema di classe: di fronte alle affer- mazioni socialiste della prima internazionale e anche poi della seconda internazionale per i l dominio del proletariato, per la abolizione della propriet, per i l disarmo universale, le classi pi ricche e pi in alto nella scala sociale temevano non solo le leghe socialiste, ma il suffragio universale. La parola nazio- nalismo nel significato borghese e antisocialista fu i l con- trapposto della parola internazionale , che allora faceva tre- mare a solo udirla, cos come nel 1920 faceva tremare la parola bolscevismo o comintern.

    Si credette quindi che le leggi anti-socialiste fossero i l rime- dio. Ci si prov Bismarck e trov di fronte i cattolici del cen- tro: invece in ~ r a n c i a i cattolici, non organizzati politicamente e legati alla destra, furono preda del nazionalismo della prima e della seconda maniera.

    In quel tempo il nazionalismo italiano non era sorto. Non poteva dirsi nazionalismo quello che in Italia si chiamava

    (l) Vedi per questo e per il nazionalismo posteriore: Yves Simon, The Road to Vichy, 1918-1938, trad. James A. Corbett e George J. McMorrow, New York, Sheed and Ward, 1942.

  • irredentismo , cio la tendenza di volere unite alla madre pa- tria Trento e Trieste allora sotto l'Austria. Tale irredentismo un po' all'acqua di rosa non imped che l'Italia entrasse a far parte della triplice alleanza con la Germania e l'impero austro- ungarico per quasi trent'anni. Chi fece della politica naziona- lista nel senso di espansione coloniale fu Francesco Crispi che eccit le ire della Francia e promosse la prima guerra contro I'Abissinia. I1 vero razionalismo nacque dopo, ad imitazione di quello di Maurras, e il suo poeta fu D'Annunzio.

    Nazionalismo inglese e americano

    Possiamo parlare di un nazionalismo inglese? Joseph Cham- berlain, Cecil Rhodes e Rudyard Kipling rappresentano i l na- tionalistic imperialism 1) britannico (l).

    Il primo parlava allora della superiorit dell'anglo-saxon race, che infallibilmente destinata ad essere la razza predo- minante nella storia e civilt del mondo ; e in nome di tale razza quei nazionalisti inglesi giustificavano il loro dominio sui celti (irlandesi specialmente) (2).

    A parte la eccentricit del gruppo di Joseph Chamberlain, e anche posto a parte il senso tradizionale di albagia inglese, per cui, prima delle due grandi guerre, al di l del canale (la Manica) non c'erano che dei coloniali (Parigi esclusa); in In- ghilterra i l vero nazionalismo teorico e pratico del secolo XIX non si svilupp per due ragioni. Prima perch gli inglesi sono pragmatisti e non si curano delle teorie ( i l mamismo non ha fatto presa sul laburismo inglese); e secondo perch l'inglese aveva gi un impero, e questo si estendeva in Africa e nel Paci- fico quasi automaticamente, e senza colpo ferire, finch non scoppi la guerra boera, per la megalomania di Cecil Rhodes e la incomprensione dei fatti da parte del governo d i Londra. I1 popolo inglese stesso fu diviso pro e contro una tale guerra e

    (l) Vedi Carlton Hayes, Essays on Nationalism, New York, Macmillan, 1928.

    (2) Cfr. J. M. Robertson, Sazon and Celt, London, Macmillan, 1897.

  • manifest la sua riprovazione per gli eccessi perpetrati in quella campagna. Ma effettivamente, fu pi una guerra coloniale che nazionalista, e fin col creare un Dominion con eguali diritti per tutti i popoli confederati.

    Le stesse grandi manifestazioni dei giubilei del 1887 e 1897 a Londra ebbero pi il carattere imperiale che nazionalista, anzi di un (( imperialismo sentimentale come lo chiam Ramsay Muir. In quel periodo, in cui tutti i paesi civili 1) cercavano di dividersi la parte del mondo non occupata, l'Inghilterra, quasi senza guerre, ebbe la parte del leone e costitu i l moderno im- pero britannico che poi si and trasformando nel Common- wealth, nell'impero dell'India e nelle colonie. Ben presto il na- zionalismo letterario scomparve dalla Gran Bretagna, mentre si facevano sentire pi vivi i nazionalismi locali: l'irlandese, i l gallese, e lo scozzese; il primo politico, il secondo folcloristico e i l terzo... letterario, con a capo i l romanziere Compton Mackenzie.

    Veniamo all'America: in che senso si pu parlare di nazio- nalismo americano? Qui l'uso della parola nazionalismo non stato nel significato che ha preso in Europa, anzi non c' stato un vero uso di tale parola che in applicazione postuma di mo- vimenti che storicamente venivano indicati con altri nomi. E siccome uno dei problemi pi gravi e prevalenti della politica interna degli Stati Uniti era l'equilibrio tra governo centrale forte e libert amministrativa ( e sotto certi aspetti politica) dei singoli stati, cos l'idea di nazionalismo americano era legato alla politica federalista, all'accrescimento del numero degli stati confederati e alla loro assimilazione linguistica e culturale. Il pi grave problema allora affrontato fu quello della emancipa- zione degli schiavi, che port alla guerra civile e fece temere la secessione degli stati del sud. L'uomo che salv la nazione e la civilt americana fu Lineoln. Ma da allora il problema delle razze di colore non pu dirsi socialmente e moralmente risolto che solo in parte; dal punto di vista nazionale, il problema complesso e d al nazionalismo americano un certo aspetto di razzismo.

    L'altro problema interno, importante anch'esso, sorse dal 1848 in poi, fino alla prima grande guerra, con il flusso migra-

  • torio europeo e asiatico. Anche qui venuta una discriminazione di razza, fra gli immigrati dell'Europa settentrionale e occiden- tale, e quelli dell'est e sud Europa (zona mediterranea). La dif- ficolt d i assimilazione, la persistenza fra gli emigrati della pri- ma e anche seconda generazione di usi e costumi proprii e la formazione di gruppi etnici compatti nelle citt e negli stati, l'inferiore classifica nel lavoro e nell'impiego, rese il problema migratorio acuto non solo dal punto di vista sociale ma anche da quello nazionale. Ma a poco a poco le prosperit e le crisi hanno dato occasione a certi riassetti sociali, e gli avvenimenti politici dell'ultimo mezzo secolo han creato un'atmosfera nazionale pi sentita anche nelle zone dell'emigrazione, la quale a poco a poco cess di essere un flusso temporaneo di chi veniva in America per far denaro e ritornare al paese d i origine.

    Quel che dal punto di vista del nostro studio da rilevare, ed d'importanza capitale, si che in Europa l'assimilazione nazionale veniva fatta, come nella Germania d i Bismarck con le leggi anti-polacche, anti-socialiste e anti-cattoliche, e con le re- pressioni nell'Alsazia e Lorena, o come in Irlanda con negarle 1'Home rule e reprimerne le agitazioni, o come nei Balcani dove il turco ancora nel secolo scorso ricorreva ai massacri e le po- polazioni non avevano altra scelta che la rivolta e la guerra; mentre in America si applicava il sistema della libert e della cultura, agevolando cos l'autofor~nazione nazionale. E se i sentimenti fra la popolazione americana e le popolazioni immi- grate erano non c oche volte aspri e acuti, ci non degener mai n a persecuzione (come quella degli anti-semiti in Russia, Po- lonia ed est Europa e anche nella Francia del caso Dreyfus), n a impedire che i singoli potessero fare la loro strada e arrivare a posizioni alte nell'industria, nella politica e nella scienza e le lettere. Cos il nazionalismo domestico dell'dmerica, con tutte le sue deficienze naturali, non usc mai dal pragmatismo per diventare teoria sociologica o politica.

    Allo stesso tempo si sviluppava un nazionalismo americano nel campo delle relazioni internazionali. Questo poteva dirsi nazionalismo isolazionista o difensivo. La dottrina di Monroe ne stata per lungo tempo il prototipo e il fondamento. Si pu

    I discutere il suo carattere giuridico e il suo valore politico; ma

  • bisogna inquadrarla nel tempo quando ancora le grandi potenze europee potevano sognare di riprendere il dominio sulle vecchie colonie perdute o far dell'America il campo delle loro compe- tizioni.

    naturale che ogni arma difensiva anche adatta all'offen- siva, e che una nazione (non importa se confederale o unitaria) arrivata a un certo grado di espansione pacifica si senta spinta alle avventure guerresche. Certo che la riunione di 46 stati (dai 13 iniziali), l'apertura del canale del Panama e l'espansione nel Pacifico, diedero agli Stati Uniti un carattere diciamo (C impe- riale che i fondatori della confederazione non avrebbero im- maginato. Cos la dottrina della libert dei mari e la creazione di una flotta potente. Cuba, Porto Rico, Nicaragua e le Filip- pine e la cosiddetta dollar d i~ lomacy ne furono le conse- guenze.

    Tutto ci pu dirsi nazionalismo nel senso di politica nazio- nale, o anche imperialismo se si vuole, e pu essere apprez- zato o criticato dal punto di vista d i tutte le politiche degli stati di tutte le epoche; ma non pu dirsi nazionalismo nel senso di teoria nazionalistica quale, nello stesso periodo, si sviluppava in Europa.

    Teorici francesi del nazionci.lismo

    Alla vigilia della prima grande guerra avevamo gi il teorico del nazionalismo, che doveva darvi la pi grande espansione: Charles Maurras. Fino allora avevamo avuto i teorici tedeschi, filosofici, romantici, politici e militaristi; i teorici della razza, quale Gobineau, che pur essendo francese fece presa in Germa- nia. Le loro teorie erano rimaste su per gi nel quadro teuto- nico; non avevano conquistato un pubblico mondiale. La stessa parola nazionalismo gi usata qua e l e a sensi equivoci, non era divenuta esponente di una teoria n di un partito a contorni sicuri.

    Maurrass veniva dalla scuola positivistica, e come A. Comte ammirava il cattolicesimo quale organismo sociale gerarchico, con a capo un sovrano monarchico, con una sua aristocrazia

  • scelta dal capo, con una disciplina giuridica salda e una for- mazione associativa dogmatica. Tutti elementi che agli occhi di un positivista convinto e ateo (come egli stesso ebbe pi volte a dichiarare), avevano un grande valore per la struttura sociale e mondana e per la coesione che recavano alla formazione poli- tica di .una nazione. Guadagnare la chiesa al nazionalismo era i l colpo maestro; ma non solo per le simpatie del servizio poli- tico che un partito poteva creare alla chiesa del suo paese, ma per l'adattamento delle teorie reciprocamente influenzate e delle risultanti pratiche nella costruzione di uno stato nazionalista.

    Intanto, nella lotta anticlericale del governo francese, che denunzi i l concordato, chiuse le chiese e sequestr i beni ec- clesiastici, cacci suore e frati e preti dai conventi e presbiteri, I'Action Francaise quale allora pi valida organizzazione a so- stegno dei cattolici, e i camelots du roi nella resistenza di piaz- za agli ufficiali del governo, andarono pi in l che non avesse desiderato lo stesso clero.

    Per giunta, come vescovi e preti videro questo partito audace imporsi con la violenza, cominciarono a pensare che davvero la monarchia poteva restaurarsi. E il loro repubblicanesimo di con- venienza (se ce ne fu uno dopo l'enciclica di Leone XIII) presto svan, portato via dagli eccessi degli anticlericali e dalle auda- cie dei nazionalisti. Cos molti cattolici ingrossavano le file di Maurras, che per un momento fu preso per i l difensore del cat- tolicesimo francese, nuova Giovanna d'Arco, che proprio in quel periodo veniva rievocata come la protettrice della nuova Fran- cia cattolica. Maurras favor la ripresa tomistica in Francia con- tro i filosofi Laberthonnire e Le Roy che dovevano essere posti all'indice, contro Blondel, che per molto tempo fu tenuto in sospetto. Egli sostenne la forma corporativa dell'organizzazione di classe contro il socialismo di Jaurs e il sindacalismo di Sorel. Queste furono battaglie assai apprezzate dal clero francese. Cos il nazionalismo, che la chiesa fino allora o aveva combattuto o non aveva favorito nelle varie fasi della sua affermazione in Europa, date Ie sue tendenze immorali e anticattoliche, si acca- parr per un certo tempo le simpatie di una parte del clero francese e anche di quelle che sogliono dirsi con parola equi- voca u sfere vaticane . Per non cos che non si notasse presto

  • il veleno nascosto. Tanto pi che i capi pi conosciuti in Fran- cia e fuori erano narratori osceni come Maurras e Daudet, o, come Barrs e altri, pagani nei loro ideali e concezione di vita.

    La letteratura francese fu da allora quasi tutta accaparrata dalle tendenze nazionalistiche, e fu la letteratura che port il nazionalismo francese, positivista e a tinte filo-cattoliche, negli altri paesi. Nacque un nazionalismo italiano, che ebbe con s il poeta D'Annunzio ( t ra i pi pagani e osceni scrittori del tem- po). Fin il Belgio e la Svizzera ne furono tocchi; e i cattolici di destra e la loro stampa sostennero la guerra in Libia, che, insieme alle due guerre balcaniche, fu il principio delle grandi oscillazioni dell'equilibrio europeo.

    Mentre dappertutto in Europa sorgevano nuovi motivi di agi- tazione nazionalista, e la Francia riprendeva la campagna let- teraria per l'Alsazia e la Lorena, i paesi dell'impero asburgico tendevano fortemente verso una migliore sistemazione delle na- zionalit, specialmente i boemi e i polacchi; a Trento e Trieste divenivano pi accesi i sentimenti italiani, mentre l'annessione della Bosnia ed Erzegovina da parte dell'Austria aveva irritato tanto gli slavi che gli italiani.

    Cos le agitazioni nazionaliste e nazionali, mescolate insie- me, diedero motivi e pretesti per l a guerra. Ogni nazionalismo crea il suo opposto; il conflitto d'interessi porta alla guerra; e questa, in tale clima, diviene quasi inevitabile.

    Le guerre sono sempre accompagnate dallo scatenamento delle passioni portate spesso al parossismo, finch la vittoria e le sconfitte, viste nella loro triste realt, negano nei fatti quelle soddisfazioni agli egoismi umani, che si erano volute a prezzo di tanto sangue. E quando anche le soddisfazioni e i guadagni sono stati acquisiti da l l t na parte, i contrappesi sono tali che ogni vittoria spesso diviene simile alle sconfitte.

    Cos tutti i nazionalismi che ebbero con la grande guerra le

  • loro soddisfazioni furono essi stessi uno dei pi importanti moti- vi di agitazioni, lotte e finalmente d i nuova e p i i tragica guerra.

    Non qui il caso di misurare fino a qual punto i nazionali- smi portarono la grave responsabilit dell'ora presente; a noi interessa analizzare i caratteri immorali e anti-cristiani come il logico e storico sbocco di quel che abbiamo visto maturare.

    Il pi irresponsabile di tutti i nazionalismi dal 1918 in poi stato quello francese. Esso fu quello che si oppose tenacemente ad una pacificazione con la Germania e ad un avvicinamento fra i due popoli; esso avvers ogni tentativo di rendere la Societ delle nazioni superiore ai singoli stati e forte nell'opinione pub- blica europea; esso agit la paura della insicurezza francese opponendosi alla riduzione degli armamenti e ad ogni conces- sione da potersi fare alla Germania. Quando prevalse la politica di Briand con il trattato di Locarno, l'ammissione della Germa- nia a Ginevra, la cessazione dell'occupazione renana prima della scadenza, il nazionalismo francese grid al tradimento.

    Ma soprattutto fu esso che avvelen l'ambiente cattolico del dopo-!guerra, in Francia e anche negli altri paesi, perfino in Inghilterra, svalutando ogni idea generosa, ogni sentimento cri- stiano, ogni iniziativa di pacificazione; eccitando odi e rancori, e diffondendo teorie inumane e anti-cattoliche. Fu allora che dal Belgio part un grido di allarme, dopo un'inchiesta fatta fra gli studenti cattolici, i quali in gran parte si dichiararono per l 'dction Francaise. Un'altra inchiesta fu fatta dallo scrittore cat- tolico Maurice Vaussard, che poscia pubblic un volume col titolo Enquete sur l e nationalisme (l). I1 libro interessante a leggere anche adesso, per vedere come la parola nazionalismo, portando cos diversi e perfino opposti significati, avesse fatto deviare parecchi alti personaggi dalla esatta valutazione del pro. blema quale era posto in Francia dagli avvenimenti; ma ci non ostante, si sente in quasi tutte le pagine la preoccupazione di qualche cosa di grave che pesava allora sul cattolicesimo fran- cese e belga e la necessit di una chiarificazione. Ci fu chi disse che h nationalisme sera la prochaine hrsie condamne (2).

    (l) Opera citata. (2) La revue catholique des faits et des ides, Bruxelles, ottobre 1938.

  • Altri collaboratori dell'Equgte, prendendo nazionalismo per co- scienza nazionale o per il perfezionamento di tale coscienza, ne facevano la difesa, e dimostravano come quanto pi vivo il nazionalismo, tanto pi effettivo sar l'intemazionalismo.

    Per vi sono alcuni illuminati antiveggenti, come il vescovo Chaptal, ausiliare di Parigi, i l quale scriveva: Mais si la poli- (( tique s'empare de cette notion de nationalit pour en faire un principe absolu sans limite, sans controle, alors elle devient, commes les autres principes politiques absolus, qui n'ont ni

    contrepoids, n i mesure, une entreprise d'oppression, de tyran- nie, de brigantages sous pretexte de donner une nation la place qui lui permettra dans le monde de developper toute sa valeur et sa puissance, et d'aller jusqu'au bout de l'expansion cc vitale que elle revendique, la mora1 du national justifie toutes les atrocits et legitime les pires tyrannies. I1 est souhaiter

    que toutes les nations se dressent contre celles qui professent pareils principes. Ce sont des. nationalits malfaisantes. Alors a le nationalisme est une hrsie, une monstruosit ( l ) .

    Una delle risposte pi chiare fu quella di mons. John A. Ryan, dell'universit cattolica d'America: Le nationalisme est videmment oppos l'enseignement et l'sprit du christiani- sme e appresso: N Le nationalisme comporte differents degrs. Sous sa pire forme, il considere comme licites tous les actes et tous les moyens susceptibles d'accroire le pouvoir, le prestige ou la richesse nationale. I1 n'est pas necessaire d'insister sur l'im- moralit absolue de cette theorie > (2).

    Molti rilievi potrebbero farsi sulle pagine dell'EnquGte edita da Vassaurd, che mostrano, fra l'altro, quanto ciechi fossero certi uomini insigni e sinceri cristiani nel 1923 e 1924 sulle con- dizioni della Francia e il suo avvenire. Emile Baumann scri- veva: Un vieux pays comme la France est, plus qu'un autre, divis par l'intemationalisme; i l sent en lui des germes de mort multiples; il a des voisins terribles; il sent d'autre part que sa mission n'est pas finie n ( 3 ) .

    (l) . Enqute, cit. pag. 25. ( 2 ) Ibidem, pag. 129. (3) Ibidem, pag. 129.

  • Il concetto dal quale partivano molti cattolici nell'aderire all'Action F raqa i se e nel sostenere la parte nazionalista, era espresso da Gatan Bernouille, il direttore di Lettres (che and pubblicando nel suo periodico le risposte dell'inchiesta) nella sua conclusione: Nous en avons non pas au nationalisme lui meme, mais ses dviations, son volution actuelle. Ici encore s'avre le role minent du catholicisme dans l i rgneration francaise. I1 ne s'agit pas de jeter l'anathme sur le nationali- sme, mais de le soustraire au culte de la force et de l'intret, l'action nfaste du positivisme matrialiste, bref de le christia- niser ( l ) . A questa idea un po' superficiale faceva netto ri- scontro il giudizio del filosofo Maurice Blondel che vedeva nelle teorie nazionaliste l'antithse formelle du catholicisme , e

    un inhumanisme impitoyable , come fa ben rilevare il Vaus- sard nelle sue interessanti Conclusions (2).

    Proprio poco dopo che le sessanta risposte dell'inchiesta erano state l'arcivescovo di Bordeaux, cardinale Andrieu, scrisse una lettera di accuse contro l'Action Francaise che ricevette l'approvazione di Pio XI, mentre sollev contro una parte notevole della Francia. Ma l'intervento definitivo della Santa Sede non tard molto. Alla fine del 1926 fu pubblicato il decreto del S. Officio, preparato nel 1914, ma la cui pubblica- zione venne ritardata tanto da Pio X che da Benedetto XV per ragioni di opportunit, con il quale si mettevano all'indice i libri di Charles Maurras e i l giornale (C L'Action Francaise D. Pio XI aggiunse il divieto ai fedeli di associarsi all'Action Fran- caise; furono stabilite gravissime pene canoniche, compreso il rifiuto dei sacramenti, contro i trasgressori (3) .

    (l) Ibiakm, pag. 137. ( 2 ) Ibidem, pag. 378. Nel suo discorso del 15 luglio 1938, Pio XI disse:

    a Il contrasto fra il nazionalismo esagerato e la dottrina cattolica evi- dente; lo spirito di questo nazionalismo contrario allo spinto del Credo, contrario alla fede: (Osserv. Romano, n. 175 del 30 luglio 1938).

    (3) Nel giugno 1939 i capi del19Action Fraqaise, dopo pi di dodici anni di aperta rivoha, fecero atto di sottomissione a Roma scrivendo che en reprenant tout ce qu'ils ont pu crire d'rron, rejettent complete- ment tout principe et toute theorie qui soient contraires aux enseignements

  • Nazionalismo e totalitarismo

    Dal nazionalismo francese al totalitarismo italiano non c' che un breve passo. I1 fondamento era stato posto e l'insegna- mento diffuso; mancava l'uomo che l'avesse saputo realizzare sul terreno politico: questo uomo fu Mussolini. Dopo i fatti, si asserito che i maestri di Mussolini erano stati Napoleone, ' Machiavelli e Cesare, nomi grandi e lontani che certo hanno eccitato la sua fantasia dopo ch'egli ebbe il potere in mano. Ma prima, da socialista e da giornalista, i suoi maestri erano stati Georges Sorel e Lenin, con i quali egli era stato in contatto e dei quali aveva preso le idee della rivoluzione e della dittatura; e Charles Maurras (non dico D'Annunzio, di cui fu (C amico geloso) da cui attinse il suo concetto di nazionalismo. I1 fasci- smo (detto per breve tempo nazional-fascismo), dopo avere in quattro anni (1922-1926) spezzata ogni resistenza ed opposizione, proclam lo stato totalitario (la parola totalitario di Musso- lini e non esisteva nel dizionario italiano) con la celebre frase: Niente fuori o sopra lo stato, niente contro lo stato; tutto nello stato e per lo stato n(')!

    Questa idea della completa dedizione dell'uomo allo stato, che alla radice della teoria fascista, ha per l'Italia il duplice significato della trascendenza della nazione (in Italia la nazione nei limiti dello stato e quindi materialmente si equivalgono), e quella della risoluzione di ogni attivit sociale nel potere

    de 1'Eglise Catholique D. Pio XII nel luglio successivo approv ad montem n il decreto del Santo Officio di revoca del divieto di proibizione del gior- nale Z'Action Fraquise, ferma restando la proibizione di tutti i fogli dal 1926 al 10 luglio 1939 (oltre i libri di Maurras). La mens del papa che

  • politico. Cos che non solo i l primato politico dichiarato come I base allo stato, ma questo assorbe in s ogni ragione di vivere sociale, perch ogni diritto deriva dallo stato agli uomini e non viceversa dagli uomini allo stato.

    Per realizzare lo stato totalitario occorre anzitutto una cen- tralizzazione amministrativa completa, passando la somma di tutti i poteri nel governo e facendo del governo stesso l'esecu- tore cieco della volont di un capo investito (non importa CO- me) di tutti i poteri morali giuridici e politici col carattere di dittatore (l).

    Perch questa macchina si muova, necessario sopprimere tutte le libert civili e politiche, tutti i diritti fondamentali della persona umana e della famiglia, delle comunit e delle citt, delle universit e delle chiese. Lo strumento principale di tale potere la forza; non basta la forza pubblica della polizia, c' bisogno della polizia segreta (che ha preso i nomi famosi della Gepeu in Russia, Ovra in Italia, e Gestapo in Germania); c' bisogno anche della forza privata: le squadre armate delle camice nere in Italia e delle camice brune in Germania.

    La sola forza non basta; l'educazione sempre necessaria: cos scuole, sport giovanile, cinema, radio, stampa, tutto mo- nopolizzato da uno stato totalitario, creando anche scuole spe- ciali per formare i perfetti cittadini di tale stato. Ancora un passo: attenuare e perino eliminare l'influsso della famiglia; donde le istituzioni statali (fasciste o naziste) infantili: in Italia sotto i l fascismo, a sei anni si era Figli clella Lupa e a otto anni Balilla e poi Giovani italiani (ragazzi e ragazze) e cos via fino alla morte. In Germania la giovent nazista fu organizzata per le varie et, perfino fanciullini di sei, e anche quattro anni; e dai dieci ai quattordici nella Jungv~lk; dai quattordici ai di- ciotto nella Hitler Jugend, fino a che, dopo un periodo di rigo- roso addestramento ai lavori fisici per ambo i sessi, si era am- messi al partito nazista o alle sue organizzazioni per adulti.

    (l) Dittatura, nel senso originario romano indica un potere conferito nei casi gravi e per un tempo determinato, del cui uso doveva darsi conto al senato e al popolo. Oggi dittatore indica ii potere di un capo assoluto, irresponsabile e con poteri illimitati su tutto e su tutti.

  • In Russia vi la cos detta organizzazione volontaria dei Pio- nieri, che prende da otto a sedici anni; i bambini d'ambo i sessi sono iscritti nei gruppi ottobristi. Dall'et di diciassette anni i giovani e le giovani possono essere iscritti alla giovent comu- nista (ComsomoG).

    Uno stato cos organizzato deve avere uno scopo: l'Italia fa- scista sogn l'impero romano, la Germania nazista si bas sul- l'idea della razza dominatrice; la Russia bolscevica sulla rivo- luzione comunista nel mondo. Ma per imporsi, lo stato deve contare sopra un'organizzazione militare sempre pi larga e sempre pi moderna. Mussolini disse: Quel ch' la maternit alla donna, la guerra all'uomo D. Cos un due scopi, uno che distrugge l'altro: uno naturale e l'altro innaturale. La conclu- sione ne fu la completa militarizzazione del paese.

    Resta la chiesa: fino a che questa pu servire per l'avvento e il mantenimento delle dittature, se ne cercano gli aiuti e se ne domandono i concordati. Ma se la chiesa diviene ostacolo allo spirito dello stato totalitario, allora perseguitata e se possibile abolita. I bolscevici vollero formare una propria chie- sa, poi la eliminarono perseguitando il clero e chiudendo chiese ; dichiararono la libert di culto ma imposero tali restrizioni che questa divenne un'irrisione. Poscia, specialmente durante la guerra, prima cercarono di far cadere la propaganda atea, poi si assicurarono la collaborazione del clero a s s o che ancora esj- ste