Italia 1946: le donne al voto

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’06 ’46 Italia 1946: le donne al voto dossier a cura di Mariachiara Fugazza e Silvia Cassamagnaghi Cultura Unione Femminile Nazionale con il contributo di

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Dossier a cura di Mariachiara Fugazza e Silvia Cassamagnaghi

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Italia 1946:le donne al voto

dossier a cura di Mariachiara Fugazza e Silvia Cassamagnaghi

Cultura

Unione Femminile Nazionale

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Premessa

Il lungo cammino verso il voto

01. Nell’Italia unita (1a)

02. In prima fila per mezzo secolo (2a, 2b)Un’associazione con una lunga storia alle spalle

03. La stagione del suffragismo (3a, 3b, 3c)

04. Una socialista impegnata nella lotta per i diritti delle donne

05. Dalle speranze della guerra alla stasi del fascismo (5a)

06. Il secondo conflitto mondiale (6a, 6b, 6c)

07. Le organizzazioni femminili tra guerra e dopoguerra (7a, 7b)L’Unione delle Donne Italiane (UDI)Il Centro Italiano Femminile (CIF)Noi DonneLa stampa femminile cattolica

08. Il decreto 1° febbraio 1945, n. 23 (8a, 8b, 8c)

09. La Consulta nazionale (9a)

Il 1946

10. Nell’imminenza del voto femminile.Che cosa pensavano le donne?(10a)

11. Paura del voto femminile(11a, 11b)

12. Il voto femminile negli altri paesi13. Alle urne

(13a, 13b)14. Le donne elette nell’Assemblea

Costituente(14a)

15. I lavori dell’Assemblea Costituente

Dopo il 1946

16. La Costituzione17. Le donne e le conquiste del

dopoguerra18. Le donne nel Parlamento italiano:

una presenza ancora minoritaria19. La questione delle quote rosa20. La donna italiana: il rischio di un

ritorno al passato?

Italia 1946:le donne al voto

dossier a cura di Mariachiara Fugazza e Silvia Cassamagnaghi

Il presente dossier è scaricabile dai seguenti link:www.italia-liberazione.it/lombardo-milano.htmlwww.museidelcentro.mi.itwww.unionefemminile.it

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Questo dossier contiene documenti, testimonianze e articoli sulla partecipazionepolitica delle donne in Italia. Il discorso prende le mosse dalla fase successiva al-l’Unità, per concentrarsi sugli anni a cavallo tra la fine della seconda guerramondiale e l’immediato dopoguerra, quando il suffragio femminile venne nel1945 formalmente riconosciuto e nel 1946 esercitato per la prima volta in un’I-talia che usciva dai disastri del conflitto e si avviava sulla strada della demo-crazia. L’ultima parte, dall’entrata in vigore della Costituzione ad oggi, riper-corre sinteticamente le tappe principali della progressiva acquisizione di dirit-ti da parte delle donne nei campi del lavoro, della famiglia e della società.

I sessant’anni della ricorrenza delle elezioni del 1946 sono stati lo spunto perproporre la nostra raccolta di strumenti, ma lo spirito non vuole essere quellodelle celebrazioni di circostanza. Il tema della partecipazione femminile alla vi-ta pubblica è infatti troppo importante per essere solo occasionalmente ricorda-to: attraverso il tema del suffragio – spesso rimosso o frettolosamente accennatonei manuali di storia – e più in generale nella ricostruzione del cammino del-la cittadinanza delle donne nel nostro Paese è infatti possibile leggere alcune li-nee di fondo dell’evoluzione della società italiana tra Ottocento e Novecento.

I materiali qui proposti nella forma di dossier aggiornabile e integrabile inten-dono offrire soprattutto agli insegnanti spunti da sviluppare in direzioni diver-se, con uno sguardo retrospettivo rivolto alle mete raggiunte nel passato e insie-me finalizzato alla comprensione delle contraddizioni di oggi.

Mariachiara Fugazza e Silvia Cassamagnaghi

Milano, maggio 2006

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Bibliografia

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Sarogni, E., La donna italiana. Il lungo cammino verso i diritti. 1861-1994,Parma, Nuove Pratiche Editrice, 1995

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Nel 1861 la proclamazione del Regno d’Italia rappre-sentò l’epilogo di un percorso di costruzione delloStato nazionale, cui non era certo rimasta estranea lacomponente femminile. Figure di spicco come Cristi-na di Belgiojoso, Carmelita Manara, Bianca Milesi,Jessie White Mario, Anita Garibaldi avevano svolto in-fatti un ruolo significativo, come elevato era stato ilnumero delle donne che avevano partecipato alle ini-ziative insurrezionali che da Palermo a Milano, a Bre-scia, a Roma, a Venezia avevano rappresentato alcunedelle pagine più importanti della lotta risorgimentale.

Se si volge lo sguardo alle condizioni di vita delle po-polazioni, si può dire che anche i gravi problemi cuiall’indomani dell’Unità si trovò di fronte l’intera na-zione riguardavano largamente l’universo femminile:la miseria e l’analfabetismo che affliggevano le massesoprattutto nelle campagne erano mali che pesavanoin misura pari o addirittura superiore sulle donne.Escluse in maggioranza dall’istruzione – in un conte-sto in cui la cultura era ancora prerogativa di pochi –,vittime di rapporti familiari spesso oppressivi e co-strette a lavori gravosi, nei primi decenni postunitariesse vivevano in una situazione non di rado assai pre-caria, cui si abbinavano posizioni di svantaggio a li-vello legislativo.

Come accadde tra Ottocento e Novecento nelle altrenazioni del mondo in cui furono attivi movimentisuffragisti, la strada per la conquista femminile deldiritto di voto si inserì in Italia in un complesso iterche segnò via via il ridimensionamento degli elemen-ti di discriminazione presenti nelle leggi vigenti. An-che se, come vedremo, le cose nel nostro Paese proce-dettero più lentamente a causa dell’avvento nel Nove-cento del fascismo, il quale ritardò l’applicazione di ri-sultati, che furono poi acquisiti solo alla fine del se-condo conflitto mondiale.

Uno dei più vistosi fattori di diseguaglianza che il Re-gno d’Italia ereditò dalla precedente legislazione sa-bauda era il principio dell’incapacità giuridica delladonna, cui era connessa la cosiddetta tutela maritale.Quest’ultima significava ad esempio la necessità del-l’assenso del marito per decisioni come donare, ipote-care, acquistare o alienare i propri beni, o obbligarsiper tutti gli atti che eccedevano l’ordinaria ammini-strazione. Va notato che in ciò il nuovo Regno introdu-ceva elementi di arretratezza rispetto ad alcuni Statipreunitari come il Granducato di Toscana o il Lombar-do-Veneto, nel quale in base al Codice austriaco ladonna era parificata all’uomo nella facoltà di disporredelle proprie sostanze, facoltà connessa per le dame dialto censo con la possibilità di esercitare per procura ilvoto amministrativo nei Convocati dei Comuni.

Proprio il grave limite che stava per essere introdottonella sfera dei loro diritti provocò un’iniziativa di alcu-ne donne lombarde, testimoniata da un breve docu-mento a stampa qui riportato, una petizione stesa nel1861, in cui si domandava di mantenere le posizionigià riconosciute sotto la dominazione asburgica(DOC. 1a). Il mancato accoglimento di questa richie-sta e l’adozione per tutto il Regno d’Italia delle normegià esistenti nel Regno di Sardegna – nonostante pro-poste in senso diverso avanzate ad esempio da MarcoMinghetti – si abbinarono all’esclusione del suffragiofemminile a livello amministrativo. Ancor più remotosi poneva il traguardo del voto politico, in vista del qua-le come si vedrà i movimenti femminili avrebbero in-gaggiato importanti battaglie nei decenni seguenti.

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Se Dio ha posto nell’uomo un’irresistibile tendenza alla libertà, perchénell’uso della libertà diventi migliore; se Dio benedice agli sforzi che laNazione Italiana fa per rendersi libera, fondamento principalissimo diquesto progressivo miglioramento dev’essere l’affermazione la più largapossibile dell’emancipazione della donna. I primi otto annidell’educazione dell’uomo appartengono quasi esclusivamente allamadre.Considerando che sui diversi Codici delle provincie Italiane si staelaborando un Codice unico per tutto il Regno d’Italia;Considerando che nelle provincie Lombarde, dove è vigente tuttora ilCodice austriaco, la donna è parificata all’uomo nella facoltà di disporredelle proprie sostanze in ogni contrattazione anche senza la tutelamaritale;Considerando che il Codice Albertino, § 130, sottopone, nelle anticheprovincie, la donna alla tutela maritale nell’esercizio dei diritti diproprietà;Le sottoscritte, Cittadine Italiane, fanno al Parlamento rispettosaistanza, affinché nella compilazione del nuovo Codice civile italiano, alledonne di tutte le provincie vengano estesi i diritti riconosciuti fino adoggi nelle donne Lombarde.

Milano 1861

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Petizione alla Camera de’ deputati

Raccolte storiche del Comune di Milano – Raccolta Bertarelli, busta 212.

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Il Codice del nuovo Stato italiano, ufficialmente adot-tato nel 1865, che prevedeva agli art. 134, 135, 136 e 137l’autorizzazione maritale (DOC. 2a) già presente nelCodice napoleonico e nella legislazione sabauda, sta-bilì dunque una posizione di sostanziale inferioritàgiuridica delle donne. Parallelamente, la legge comu-nale e provinciale pure introdotta nel 1865, che fissavale norme per ciò che riguardava le consultazioni a li-vello locale, le escluse dal voto e dall’eleggibilità, nonessendo presi in considerazione per le donne gli stes-si requisiti di censo e di istruzione validi per l’elettora-to maschile. Tale situazione, mantenuta negli anni deigoverni della Destra, non mutò sensibilmente neppu-re con l’avvento al potere della Sinistra nel 1876. Equesto nonostante l’azione isolata di alcuni parlamen-tari: dopo Ubaldino Peruzzi, il quale propose di adot-tare le disposizioni che erano state in vigore in Tosca-na rispetto alla partecipazione al voto amministrativo,soprattutto il repubblicano Salvatore Morelli, di origi-ne pugliese e deputato di Sessa Aurunca, autore senzarisultato di diversi disegni di legge a favore della com-ponente femminile.

Intanto negli ambienti intellettuali stava maturandouna coscienza sempre più viva della necessità di pro-muovere un ampio ventaglio di iniziative per il miglio-ramento della condizione delle donne. Si distinsero inquesto impegno figure come – a Milano – Laura Sole-ra Mantegazza e più tardi Ersilia Bronzini Majno, chediedero impulso ad attività a sostegno della maternità,per la diffusione dell’istruzione femminile e la lotta al-la prostituzione. In questo contesto si delinearonoobiettivi di emancipazione che ebbero come interpre-te di primo piano Anna Maria Mozzoni.

Nata nel 1837 da famiglia nobile e colta, traduttrice nel1870 di The Subjection of Women di John Stuart Mill eper qualche tempo insegnante di filosofia morale inuna scuola di Milano, la Mozzoni, che già nel 1864, a

soli 27 anni, aveva pubblicato La donna e i suoi rappor-ti sociali e l’anno seguente La donna in faccia al proget-to del nuovo Codice civile italiano, fu per tutta la vita inprima fila nella promozione dei diritti delle donne. Lasua opera la avvicinò ai movimenti politici democrati-co-radicali e poi socialisti, con i quali tuttavia nongiunse a una piena identità di vedute, preferendo con-durre la sua battaglia soprattutto in nome della causacui dedicò per decenni tutte le sue energie. Nel 1878tenne il discorso inaugurale al Congresso internazio-nale per i diritti delle donne indetto a Parigi e succes-sivamente fondò a Milano la Lega promotrice degli in-teressi femminili, nella quale si raccolsero maestre,giornaliste, scrittrici e le prime dirigenti operaie.

Una delle iniziative dovute alla Mozzoni fu la redazio-ne nel 1877 della petizione qui riportata (DOC. 2b),diffusa dalla stampa, che, al di là della richiesta del vo-to amministrativo, indicava nel suffragio politico untraguardo attraverso cui si sarebbe dovuta sancire l’ef-fettiva partecipazione delle donne alla vita del Paese,argomento su cui sempre la Mozzoni tenne ancheuna conferenza alla Società democratica di Milano.Nonostante l’appoggio di Morelli, la proposta non eb-be seguito in Parlamento, dove la questione femmini-le continuava a ottenere ben poca attenzione. Lo dimo-strò nel 1880 Giuseppe Zanardelli, il quale nella rela-zione della commissione per la riforma della leggeelettorale politica ribadì l’importanza della tradizione el’opportunità del mantenimento del voto come prero-gativa esclusivamente maschile.

Nel laborioso iter che contraddistinse tutte le iniziati-ve al riguardo, nel 1877 un passo verso l’ammissionedella capacità giuridica delle donne fu compiuto conl’abrogazione delle norme che vietavano loro di testi-moniare negli atti pubblici e privati, ma in una dire-zione opposta andò una sentenza della Cassazione,che confermò per la prima laureata in legge, Lidia

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Poët, il divieto di iscrizione all’albo degli avvocati. Al-cuni importanti risultati furono ottenuti nel 1890,quando per legge fu consentito alle donne l’ingressonei Consigli di amministrazione delle Congregazionidi carità e nelle altre istituzioni pubbliche di benefi-cenza. Nello stesso periodo un progetto che prevedeva,sia pure con limitazioni, il riconoscimento per loro delvoto amministrativo arrivò in discussione in Parla-mento nel 1888. Nonostante l’intesa della maggioran-za, l’accordo tuttavia venne a mancare in aula. Contra-rio era lo stesso presidente del Consiglio FrancescoCrispi, il quale affermò che tale riforma, estranea aicostumi della famiglia e all’educazione, non sarebbestata accettata da gran parte dell’opinione pubblica.Per qualche anno, la svolta autoritaria di fine secolocontribuì a far accantonare l’intera materia.

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Un’ associazione con una lunga storia alle spalle

L’Unione femminile, ancora oggi esistente aMilano in corso di Porta Nuova 32, nacque nel1899 con lo scopo di elevare e istruire la donna,difendere la maternità e l’infanzia, nonché offrireospitalità alle associazioni e istituzioni femminilipresenti in città, mettendo loro a disposizione unasede, una biblioteca e una sala di lettura.Promotrici erano alcune esponenti diverse perestrazione sociale e per formazione come ErsiliaBronzini Majno, Nina Sullam Rignano, Jole BelliniBersellini, Rebecca Berettini Calderini, AntoniettaRizzi Pisa, Edvige Gessner Vonwiller.

Fin dal suo esordio, cui seguì rapidamente ladiffusione in varie altre città d’Italia, l’Unione, chenel 1905 assunse la denominazione di Unionefemminile nazionale, si batté per un programmarivolto alla tutela delle lavoratrici e all’affermazionedel valore della maternità, impegnandosi su varifronti come la lotta contro la regolamentazionestatale della prostituzione, per la creazione distrutture assistenziali e formative e il diritto divoto. Attraverso il mensile Unione femminile cheuscì dal 1901 al 1905, l’associazione sostenneimportanti campagne a favore del suffragio, aproposito del quale il periodico ospitò diversiarticoli e aprì nel 1903 un sondaggio d’opinione.

Tra le altre forme di intervento è da segnalare ilsostegno alla creazione dell’Asilo Mariuccia,promosso dalla Majno in ricordo della figlia mortain giovane età nel 1901, istituzione che raccoglievaragazze di disagiate condizioni economiche,vittime dell’indigenza e di violenze familiari, e lesottraeva a un probabile destino di prostituzione.

Costretta dopo l’affermazione del fascismo aridurre la sua attività e formalmente sciolta nel1938, l’Unione femminile si sarebbe ricostituitanel 1948, continuando fino ad oggi a sviluppareun intervento a più livelli riconducibili a unaduplice finalità: l’appoggio alle strutture volte asoddisfare i bisogni delle donne sul territorio e lapromozione di una cultura attenta ai contributi del mondo femminile e alla sua storia.

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Autorizzazione maritale di Ersilia Bronzini Majno (12 marzo 1905)

Archivio Unione femminile nazionale, Milano.

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Petizione per il voto politico alle donne (1877)

di Anna Maria Mozzoni

Anna Maria Mozzoni, La liberazione della donna, a cura di Franca Pieroni Bortolotti, Milano, Mazzotta, 1975.

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Signori Senatori, Signori Deputati

Il presidente del consiglio dei Ministri nel suo programma di Governo, il quale ebbe efficacia di commuovere a speranza tutti gli italiani,stigmatizzò alcune leggi che basandosi sopra nude persecuzioni legaliinfirmano la realtà. Ora una classe innumerevole di cittadini trovasiavviluppata in una veste giuridica, la quale, emanazione di tempidisparati, reliquia di tradizioni antiquate, che il progresso delle scienzesociali ha demoliti da ogni altra parte, rapprezzatura di Diritto Romanoe di diritto consuetudinario straniero, astrae dalla realtà presente e siafferma come un fatto isolato nel corpo delle istituzioni moderne.Ora questa massa di cittadini che ha diritti e doveri, bisogni ed interessi,censo e capacità, non ha presso il corpo legislativo nessuna legalerappresentanza, sicché l’eco della sua vita non vi penetra che di straforoe vi è ascoltata a mala pena.Noi italiane ci rivolgiamo perciò a quel Parlamento, che col Governo haconvenuto doversi alla presunzione sostituire la realtà, affinché posti indisparte i dottrinarii apprezzamenti e le divagazioni accademiche sullaentità e modalità della nostra natura, e sul carattere della nostramissione, voglia, considerandoci nei nostri soli rapporti con lo Stato,riguardarci per quello che siamo veramente: cittadine, contribuenti ecapaci, epperò non passibili, davanti al diritto di voto, che di quellelimitazioni che sono o verranno sancite per gli altri elettori.A questa parità di trattamento con i cittadini dell’altro sesso, nonconoscendo noi altro ostacolo che la tutela della donna maritata,domandiamo che sia tolta, come non d’altro originata che dalla legalepresunzione della nostra incapacità, facendo noi considerare aglionorevoli legislatori, che avendo il Governo italiano promosso con ognicura l’istruzione femminile e trovandoci noi, perciò, al giorno d’oggi, alla eguale portata intellettuale di una quantità di elettori che illegislatore dichiara capaci, stimiamo che nulla costi acché venga a noipure accordato il voto politico, senza del quale i nostri interessi nonsono tutelati ed i nostri bisogni rimangono ignoti.Fuduciose nella saviezza e giustizia dei legislatori, le sottoscritteinsistono perché sia fatta ragione alla loro domanda.

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Il clima mutato prodotto dall’avvento al potere di Gio-vanni Giolitti non segnò agli albori del Novecento unradicale cambiamento di indirizzo rispetto alle ten-denze evidenti negli anni precedenti. La linea giolittia-na, fondata sul disegno di un bilanciamento del pesodelle masse cattoliche e socialiste, non intendevaestendere la base elettorale fino all’inclusione delledonne, scelta che secondo le parole dello stesso Giolit-ti sarebbe stata un «salto nel buio».

L’ingresso sulla scena nazionale di un partito di mas-sa come il Partito socialista, fondato nel 1892, e lenuove realtà del lavoro, ed in particolare del lavorofemminile, stavano intanto contribuendo a modifica-re le cose: alla questione dei diritti politici si affiancòcon crescente urgenza la rivendicazione di riconosci-menti per le lavoratrici. Nel 1902 e poi nel 1907 furo-no approvate importanti norme a questo riguardo(non senza pesanti limiti, ad esempio per ciò che con-cerneva la tutela della maternità, ai quali si cercò diovviare con la promozione di Casse di maternità); iltema del lavoro delle donne e della sua regolamenta-zione si intrecciò così con le mobilitazioni per il votoche – parallelamente con quanto stava accadendo ne-gli altri Paesi – si registrarono nei primi anni del nuo-vo secolo. Un esempio dell’interesse che cominciavaad essere riservato all’argomento è dato da un artico-lo apparso nel 1901 sulle pagine del giornale Unionefemminile (DOC. 3a) e soprattutto dal sondaggio d’o-pinione che venne lanciato dallo stesso periodico dueanni dopo, i cui risultati furono raccolti in opuscolo(DOC. 3c). Le risposte pervenute rappresentano uncampione significativo delle visioni contrastanti chein materia di partecipazione politica delle donne divi-devano anche i ceti più colti e gli esponenti più in vi-sta del mondo intellettuale.

A sostegno del voto femminile, in parallelo con l’In-ternational Woman Suffrage Alliance, a partire dal

1904 nelle maggiori città italiane nacquero Comitatie si posero le basi per un Comitato nazionale. Nellostesso anno un progetto di legge del repubblicano Mi-rabelli segnò l’inizio di una vasta campagna, che nel1906 sfociò nella redazione di due petizioni: la pri-ma, promossa dall’Unione femminile di Milano, ot-tenne in breve molte adesioni ma venne ritirata pernon ostacolare la diffusione della seconda, la Petizio-ne delle donne italiane al Senato del Regno e alla Came-ra dei Deputati per il voto politico e amministrativo, re-datta da Anna Maria Mozzoni. Il contenuto della pro-posta della Mozzoni era una mediazione che avrebbedovuto introdurre il suffragio femminile a livello po-litico e riconoscerlo ad alcune categorie di donne perquel che riguardava le elezioni amministrative. L’ini-ziativa ebbe un largo seguito, compreso il sostegnodella nota pedagogista Maria Montessori, che a titolodimostrativo esortò le donne a iscriversi nelle listeelettorali, aprendo un caso clamoroso. A istanza didieci maestre di Senigallia, la Corte d’Appello di An-cona presieduta da Lodovico Mortara, contrariamentea quanto era avvenuto in altre parti d’Italia, riconobbeinfatti questo diritto, con sentenza poi annullata dallaCassazione. E, sempre nel quadro delle mobilitazionipro voto, sotto la responsabilità di Linda Malnati,maestra al servizio del Comune di Milano attivamen-te impegnata nelle file del suffragismo, nel febbraio1906 uscì nella città lombarda il numero unico che èqui riprodotto (DOC. 3b).

Nonostante la mancanza di risultati concreti – datoche la petizione presentata non venne accolta dal Par-lamento – l’insieme di tali attività ampliò l’area delconsenso alle nuove posizioni, alle quali si avvicinaro-no esponenti di diverse tendenze, come dimostrò ilcongresso delle donne del Movimento democraticocristiano tenuto a Milano nel 1907, in cui AdelaideCoari indicò la meta del voto amministrativo. Ben pre-sto tuttavia emersero segnali di divisione tra le compo-

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nenti – cattolica, socialista e liberale – presenti nelfronte femminile, come fu evidente l’anno seguente aRoma, al congresso organizzato dal Consiglio nazio-nale delle donne italiane (CNDI), una federazione diassociazioni che aveva la sua sede nella capitale e checon la già ricordata UFN era la maggiore organizzazio-ne di questo genere in Italia. La distanza tra i rispetti-vi orientamenti, aggravata dalle divergenze riguardoalla guerra di Libia, sarebbe sfociata dopo il 1911 nellafine della collaborazione delle donne socialiste con lesocietà pro-suffragio. Intanto, per iniziativa del gover-no Giolitti si era costituita una commissione ministe-riale, che al termine di tre anni di lavoro si pronunciòin senso negativo riguardo alla concessione del voto.

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Il voto alle donne

di Elisa Boschetti

Unione femminile, anno I, ottobre 1901, n. 10.

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Che la donna italiana in tutte lequestioni che la riguardano, sianoesse di carattere economico o dicarattere sociale, si mantengaestranea, quasi non si trattasse di sé edel suo proprio benessere, è purtroppo innegabile.

E le cause di questa apatia nonsono tutte un’accusa contro di lei,come vorrebbe taluno. La deficienteistruzione, la secolare obbedienza aldiritto del più forte, l’ambito ristrettoin cui venne fino a poc’anzi relegata,la sua inferiorità giuridica sancita dal codice hanno fatto di lei lostrumento cieco e passivo che ora noivediamo nelle mani di chi sa meglioservirsene. E non rimproveri, nonaccuse noi lanceremo alle nostresorelle che hanno certamentenell’anima lo stigma di inenarrabilidolori, di ignorati sacrifici, di soffocateribellioni, e sulle guancie il solco dilacrime roventi. Ma noi diciamo loro:uniamoci, amiamoci e lavoriamoinsieme alla conquista dei nostridiritti, conquista che ci darà lapossibilità di compiere integralmente inostri doveri.

Lavoriamo con energia eperseveranza, pensando che l’operanostra, quand’anche non giovasse anoi, sarà utile alle figlie nostre, alledonne che verranno dopo di noi.Lasciamo loro la preziosa eredità, chefatalmente a noi è mancata, di unapiù equa ripartizione di diritti e didoveri; cerchiamo di appianare la viache dovranno percorrere.

Non mancheranno a noi né laforza, né il coraggio, né la buonavolontà.

Esempio efficace e veramentedegno di essere seguito ce lo offreoggi la donna operaia. Essa hacompreso che solo nell’unione,nell’organizzazione risiede la forzache conduce alla vittoria. E pelmiglioramento delle sue condizionieconomiche essa ha costituito Leghedi resistenza, associazioni varie,tendenti tutte ad un solo scopo.Ebbene, la questione economica nonè che una parte della grandiosaquestione sociale.

Il diritto al lavoro, che è quantodire il diritto alla vita, è compagno

inseparabile di altri diritti non menoessenziali alla vita della donna eall’esplicazione della sua attività.

Se la tradizione, se gli usi secolaril’hanno relegata fuori dell’ambitodelle funzioni sociali, paralizzando in lei quelle facoltà che pur possiede(e or non si osa più negarlo) inuguale misura dell’uomo, non èperciò men vero che là, dove il soffiodi una libertà più equa, più civile, èpenetrato a ravvivare le forzefemminili, la donna ha mostrato emostra che al pari dell’uomo essa saservirsi dei suoi diritti e compiere conamore, con zelo e con retti criteri isuoi doveri.

La donna deve persuadersi che inlei non vi è alcuna inferiorità naturale.Soltanto i vieti sistemi di educazionene hanno fatto un essere debole epassivo, o eroicamente devoto, oscientemente capriccioso e frivolo,dannoso alla sua stessa causa ed aquella di tutta l’umanità. Una riformas’impone, e questa riforma devevenire da noi. I pochi uomini che sioccupano delle nostre condizionigiuridiche ed economiche hannotalvolta parole di incoraggiamento pernoi; ma essi non possono né voglionofare di più. E sta bene. Noi, soltantonoi dobbiamo essere le fautrici dellanostra libertà. La storia ci dimostra adogni passo come le conquisteottenute col concorso di elementiestranei vennero sempre amaramentescontate. Come la grande massa deilavoratori oggi soltanto comincia adessere veramente forte e si avvia allavittoria sicura perché non faassegnamento che sulle proprie forzeorganizzate, così la donna si convincache lei sola deve lottare perraggiungere la propriaemancipazione. E il mezzofondamentale è il diritto al votoamministrativo e politico. Non fate il viso dell’armi se osiamo parlarvi didiritto di voto. È un pregiudizio di altritempi, inconsciamente accettato,quello che vi rende ostili o apaticheverso questo movimento diemancipazione. Quante donne,spose, madri, sorelle, all’epoca delleelezioni amministrative o politiche siinteressano al candidato e,

parlandone, senz’aver l’aria di dareconsigli esercitano una specie disuggestione, riescono ad influire sulvoto!

Ora la donna non è più come inaltri tempi affatto ignara dellequestioni politiche. I giornali entranoin casa e vengono letti. Ilprofessionista, l’industriale, l’operaio,il contadino, chiamati a interessarsidella cosa pubblica, rientrando infamiglia inconsciamente riportano lenotizie raccolte, le proposte fatte neicircoli, nelle associazioni. E la donnaa poco a poco, con quella suanaturale facoltà intuitiva edassimilatrice che è sorgenteinesauribile di osservazioni, diconfronti e di riflessioni, vaformandosi un criterio proprio sumolti fatti che apparentementesembrano non riguardarla, noninteressarla. Forse la donna è piùpreparata alla conquista del diritto divoto amministrativo e politico diquanto l’uomo non creda, di quantoessa stessa non pensi. Dal secolareassopimento può risvegliarsi emettersi all’opera coll’ardore delneofito, compiendo opere utili allasocietà che ha bisogno di energiecoscienti e altruistiche. [...]

Elisa Boschetti

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Frontespizio del numero unico pro suffragio11 febbraio 190603b

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Il voto alla donna: l’inchiesta dell’Unione femminile03c

Tra il 1903 e il 1905 l’Unione femminile lanciò un’indaginesul voto. Indetta sul n. 8-9 del giornale dell’associazione nel-l’agosto-settembre 1903, l’iniziativa ebbe un largo seguito dirisposte, di cui sono qui riportate alcune delle più significa-tive, rispettivamente della docente universitaria Rina Monti,dello scrittore Antonio Fogazzaro, della poetessa lodigianaAda Negri, degli esponenti politici Filippo Turati, ClaudioTreves e Ivanoe Bonomi, della pedagogista Maria Montesso-ri, dell’antropologo e criminalista Cesare Lombroso e dellascrittrice Margherita Sarfatti.I risultati vennero raccolti nel volumetto Il voto alle donne?Inchiesta e notizie, Milano, 1905.

Su questa questione, che va sempre più agitandosipresso le nazioni civili, noi abbiamo pensato di fareun’inchiesta e le risposte che riceveremo saranno pubblicate nelgiornale, poi riunite in volume che daremo in dono alleabbonate dell’anno 1904.Ecco la circolare e il questionario da noi diramato:

Ritenendo meritevole di seria riflessione la questione sericonoscere o negare ancora il diritto di voto alla donna,abbiamo pensato di fare in tale argomento una pubblicainchiesta, domandando l’opinione di quanti uomini edonne notoriamente s’interessano ai problemi dell’epocanostra.Preghiamo perciò la S.V. di favorire entro il prossimoSettembre risposta alle domande che accludiamo, persuaseche Ella vorrà contribuire all’intento nostro di studiare ladetta questione sotto tutti gli aspetti, senza prevenzioni opregiudizi, solo considerandone l’importanza grandissimanella vita individuale e sociale.

Diritto di voto o no?

I. Si deve riconoscere il diritto di voto, amministrativo epolitico, alle donnea) in massima?b) attualmente, in Italia?

II. Per quali ragioni?

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I. A) Sì.B) No.

II. Per due ragioni:1. perché ogni diritto deve essere conquistato da chine sente la mancanza. Nessuna concessione è proficuaa chi non ne conosca il valore.2. perché il voto alle donne oggi in Italia segnerebbel’avvento di una reazione politica, amministrativa edintellettuale, quale non si è mai vista. – Sarebbe comemettere a repentaglio la libertà della scienza. Le donnein Italia, certo per colpa dei maschi, sono ancoratroppo ignare della vita pubblica, troppo lontane daogni educazione positiva, e perciò schiave delpregiudizio religioso, che le rende docili istrumenti deipreti, depositarie di tutte le idee antiquate, di tutti glierrori secolari, di tutto il misoneismo antiscientifico.Prima di dare il voto alle donne è necessario rendereviva e moderna la loro educazione, distruggere i loropregiudizi atavici, dare loro una personalitàindipendente.È tutto un lungo lavoro che resta da fare.

rina montidocente all’Università di Pavia

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I. A) Sì.B) Il voto amministrativo, sì; per censo alle donnenubili o vedove che pagano imposte; per capacità, atutte le donne che sono fornite di licenza ginnasiale otecnica, almeno. S’intende che lo scrivente non pensadefinire qui con precisione assoluta provvedimenti ditale natura. Quanto al voto politico, bisogneràintrodurlo gradualmente con molte limitazioni ecautele.

II. Il voto amministrativo si deve dare alle donne chehanno la libera disposizione dei loro beni perché ilcostringerle a fare le spese che non hanno potutoalmeno discutere è assolutamente tirannico. È poiaffatto ingiusto di non riconoscere le capacitànecessarie alle donne che, avendo fatto notevoli studi,possiedono, di fronte alle influenzi mascoline familiari,una sufficiente autonomia intellettuale.In teoria la donna che avrebbe diritto al votoamministrativo lo avrebbe pure al politico; ma inpratica occorrerebbe andar cauti nell’introduzioned’una riforma cui le donne non sono forse ancorasufficientemente preparate e dalla quale potrebberovenire alla cosa pubblica improvvise, graviperturbazioni.

antonio fogazzaro

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I. A) Sì.B) Sì.

II. Se può votare il mio portinajo, non so perché nondebba andarci anch’io.

ada negri

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I. A) Sì.B) Sì.

II. Perché la donna è un uomo.

filippo turati

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I. A) Rispetto all’uomo, la donna non è né superiore, néinferiore: ella è semplicemente diversa. Per questo noncredo si possa condannarla ad una perpetua inferioritàpolitica, quando ormai tutti riconoscono che la suafunzione sociale è necessaria quanto la nostra.B) Attualmente concederei il diritto di voto soltantoalle donne operaie e professioniste, e a tutte quelleche, in qualche modo, partecipano visibilmente allavita intellettuale del nostro paese.

II. Per una ragione di opportunità e di giustizia. Diopportunità, perché reputo pericoloso introdurre dicolpo nella nostra vita politica un elemento che, per lasua inesperienza e per la sua abituale educazione, puòessere facile preda dei partiti retrivi. Di giustizia,perché dovendo scegliere quali categorie sono matureper il diritto di voto, non credo possa esservi dubbioche quelle che partecipano alla produzione materiale eintellettuale, hanno, rispetto alle altre, maggioriinteressi da far valere nelle assemblee del Comune edella Nazione.

ivanoe bonomi

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I. A) Sì.B) Sì.

II. Perché c’è il suffragio universale: se è universale, comeescludere più di mezza umanità?Attualmente in Italia c’è tanto numero di lavoratrici fraoperai, maestre, impiegate nelle pubblicheamministrazioni, ch’esse portano un serio contributoal lavoro sociale: mentre non hanno i diritti dell’uomoed i suoi compensi al proprio lavoro.Per raggiungere l’opera di giustizia sul lavoro delladonna è necessaria la solidarietà e la difesaparlamentare. Ora non si troveranno deputati che perla solidarietà e la difesa della donna dedichino la loroesistenza di uomini politici – come sarebbe necessario– se le donne non potranno dare il loro voto, cioè farlieleggere deputati.

Dott. Prof. maria montessori

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I. Io darei il voto amministrativo e politico alle donnedove come nell’alta e media Italia si mostrano nellacoltura e nell’attività pari quasi all’uomo, non dove percolpa dell’uomo stesso hanno una apparenteinferiorità.

II. Perché in quest’ultimo caso esse sono sotto l’influenzafatale del prete. Del resto il voto della donna saràsempre pei conservatori.

Prof. cesare lombroso

* * *

I. A) Sì.B) Sì.

II. Perché la donna paga le tasse ed ha tutti gli altriobblighi dei cittadini maschi. Soltanto, quando il voto alle donne in omaggio allagiustizia fosse concesso, non caverebbe un ragno dalbuco;a) perché le donne non mostrano di volere il diritto divoto – ciò che fa presumere non lo usufruirebbero;b) perché l’esperienza dell’Australia dimostra che ledonne votano come i mariti, i fratelli, i figli, ecc. Il votoalla donna in Australia non ha prodotto che ilraddoppiamento degli iscritti nelle liste elettorali – manessuna sensibile modificazione nei risultati elettoralidei partiti – e, in genere, nell’indirizzo della politica.Né credo che tale situazione di cose sia dovuta al fattoche le donne sono elettrici, ma non eleggibili.

Avv. claudio treves

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I. A) Sì.Perché la donna è un essere umano. È un essere in cuipredomina notevolmente il buon senso. Ora, tuttoquanto può avvicinare quei due poli troppo spessoopposti che sono il buon senso e il senso comune nonpuò non essere fecondo di bene.B) Dal punto di vista personale della donna,soprattutto della donna proletaria, sì. Perché il dirittodi voto, anche non esercitato, io credo posso conferirledi fronte all’uomo rozzo e ignorante maggiore dignità.Il sapere ch’essa ha legalmente diritti e doveri uguali aisuoi, comincerà forse a scuotere in lui la convinzioneche la donna sia una specie di bestia da soma, che lanatura e la legge gli accordano, per lavorare, ubbidire esopportare volta a volta le carezze e le busse del suoeccellente padrone.Dal punto di vista generale, sì. Ammettendo anche lospauracchio che ci si agita innanzi d’un aumento divoti reazionarii, dal male transitorio verrà il grandebene di richiamar sulla donna l’attenzione e l’attivitàdelle propagande liberali. Perché non è armata dellascheda, esse la trascurano troppo, non comprendendoche nulla otterranno mai di stabile e di definitivosinché non attaccheranno il pregiudizio nel senostesso dove s’annida: nella donna, che è il centro dellafamiglia. Sì ancora, perché la funzione crea l’organo.Votare sviluppa il senso politico. Per appassionare, ointeressare semplicemente, la politica non deve essereun’occupazione tutta platonica.

margherita grassini sarfatti

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Riassunto dei risultati dell’inchiesta

Il numero totale delle risposte pervenute (su 500questionari inviati) è di 139, dovute a 140 autori, di cui 53uomini e 87 donne.Le opinioni espresse nelle risposte si possonoraggruppare nel modo seguente:

1) In 80 risposte (di 81 autori, di cui 33 uomini e 48donne) fu espressa opinione favorevole allaconcessione del voto amministrativo e politico alladonna, sia in massima, sia attualmente in Italia.A queste risposte se ne devono aggiungere due (di Achille Loria e di Cesare Lombroso) chelimiterebbero per ora tale concessione ad alcuneregioni d’Italia.

2) In 27 risposte (4 di uomini e 23 di donne) fu espressaopinione favorevole alla concessione del votoamministrativo e a quella del voto politico inmassima, ma si affermò che e l’una e l’altra sarebberoattualmente in Italia premature.Si ebbe oltre a queste una risposta che, affermandol’impossibilità della questione di massima, convennecon le 27 precedentemente dette intorno allainopportunità della concessione attuale del voto.

3) In 11 risposte (3 di uomini e 8 di donne) si affermòche in massima deve essere concesso tanto il votoamministrativo quanto il voto politico, maattualmente soltanto il primo, come preparazioneall’esercizio del secondo.Si ebbe inoltre una risposta che, affermandol’impossibilità della questione di massima, sostenne,come le 11 precedenti, la concessione attuale del votoamministrativo, ma non di quello politico.Infine in tre risposte, ammettendosi la concessioneattuale del voto amministrativo, si affermò che ildiscutere intorno al politico è ora prematuro.

4) In tre risposte (tutti uomini) si negò la concessionedel voto amministrativo e del voto politico tanto inmassima quanto attualmente in Italia (EnricoCorradini, Paolo Lioy, prof. Domenico Zanichelli).

5) Due risposte affermarono che sia in massima, siaanche attualmente in Italia, alla donna non deveconcedersi che il voto amministrativo.

6) Due risposte affermarono che sia in massima, siaattualmente in Italia la concessione del voto alladonna deve essere subordinata all’esistenza in essadi requisiti, quali l’esercizio di un commercio o diuna professione, o una cultura più elevata delcomune.

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7) In una risposta (del marchese Crispolti) si affermòche la donna deve essere eleggibile nei Comuni enello Stato, ma non elettrice.

8) Cinque risposte affermarono che tali restrizioni nondovrebbero applicarsi che attualmente, in viatransitoria, mentre in massima il voto deveconcedersi alla donna sulla stessa base che all’uomo.In una di queste risposte si disse tuttavia che alladonna non si dovrà concedere mai il voto politico.

9) Nella sua risposta, finalmente, Neera dichiarò dirimanere indifferente davanti alla questione del votofemminile; e in altra risposta la signorina LauraGarsin, pur riconoscendo che le attuali condizionidella società esigono la partecipazione della donnaalla vita pubblica, deplorò tale stato di cose, comequello che sforza la donna a una condotta contrariaalla sua stessa natura e alla sua missione.

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Una socialista impegnata nella lottaper i diritti delle donne

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Nello stesso periodo un ruolo importante fu assuntonelle file socialiste da Anna Kuliscioff, la quale si con-frontò ripetutamente con i vertici del suo partito, pervincerne dubbi e obiezioni. Tra i socialisti, come in va-sti settori dell’opinione pubblica (lo dimostrano i risul-tati del sondaggio dell’Unione femminile riportati allascheda 03c), era diffuso il timore che il voto alle don-ne comportasse uno sbilanciamento nelle scelte elet-torali per l’irruzione di masse di elettrici poco infor-mate e largamente condizionabili.

Superando i dissensi con Anna Maria Mozzoni, laquale manifestava diffidenza verso la legislazione pro-tettiva del lavoro femminile e preferiva ispirarsi ad unconcetto di “giustizia” piuttosto che a una richiesta di“tutela”, la Kuliscioff combatté con passione a favoredel voto, ingaggiando con il suo stesso compagno diideali e di vita, Filippo Turati, un serrato confronto chevenne definito “polemica in famiglia”. Nel 1910, dallepagine di Critica sociale la dirigente socialista sostenneinfatti una pubblica discussione con Turati che, in se-guito alla richiesta del Comitato nazionale pro suffra-gio di dichiarare apertamente il punto di vista del suopartito sull’argomento, si era espresso sulle colonnedell’Avanti! in termini prudenti, considerando il rico-noscimento di tale diritto non separabile dalle lotte peril progresso democratico e sociale.

«Ben vero che l’elemento femminile – ribatté laKuliscioff – oppresso dalla insufficienza dei salarie dal peso immane delle faccende domestiche, chene assorbe anche le ore e i giorni di riposo, nonpuò accorrere, quanto il maschile [...] nelleorganizzazioni economiche del proletariato. Ma è questa una ragione di più per chiamarlo allaconquista del diritto politico, che ridesti, in questeultime fra gli oppressi, la coscienza di classe, lacoscienza di donna,di madre,di cittadina. Per sé, chehan più bisogno di difesa, e per la causa comune».

Nel 1911, nominata membro del Comitato esecutivodella sezione socialista milanese, la Kuliscioff tenneal congresso di Milano una relazione su Proletariatofemminile e partito socialista e si adoperò per la crea-zione dell’Unione femminile nazionale socialista, dicui fu organo il giornale La Difesa delle lavoratrici, cheiniziò le pubblicazioni nel gennaio 1912 e fu da lei di-retto. I suoi sforzi contribuirono così ad avvicinare al-la causa del voto alle donne gli esponenti di testa delsuo partito.

Nel 1912, la politica giolittiana fondata sul progressivosuperamento della non partecipazione dei cattolici el’alleanza con la componente riformista dei socialistisfociò nell’adozione del cosiddetto «suffragio univer-sale». La legge estendeva il diritto di voto ai soli citta-dini maschi di età superiore ai 21 anni alfabeti o cheavessero prestato servizio militare e a tutti quelli cheavessero compiuto i 30 anni, portando l’elettorato a ol-tre 8 milioni e mezzo di persone. Nell’iter dell’appro-vazione i deputati socialisti proposero un ordine delgiorno sul voto alle donne, che non ebbe comunqueseguito.

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Dalle speranze del primo dopoguerraalla stasi del fascismo

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L’introduzione della legge che riconosceva il voto ai so-li cittadini di sesso maschile non fermò le organizza-zioni pro suffragio che, pur indebolite dalle divisioniinterne, tennero a Roma il loro primo congresso na-zionale, ma nel giro di poco tempo l’entrata in guerracontribuì a mobilitare le forze in altre direzioni. Ledonne, impegnate a sostituire gli uomini chiamati alfronte, ebbero massicciamente accesso al mondo pro-duttivo, il che implicò la sospensione e poi l’abolizionedi norme restrittive nei loro confronti, come il divietodel lavoro notturno. Il ruolo giocato in una fase cosìdelicata ed il clima ormai mutato a livello internazio-nale condussero, dopo la conclusione del conflitto, al-l’importante legge Sacchi del 1919. Intitolata «Disposi-zioni sulla capacità giuridica della donna», essa su-però in pochi articoli decenni di discussioni, abolendol’autorizzazione maritale e stabilendo nell’art. 7 che ledonne erano «ammesse, a pari titolo degli uomini, adesercitare tutte le professioni ed a coprire tutti gli im-pieghi pubblici». Il regolamento emanato nel 1920 fis-sò poi un’applicazione piuttosto ampia delle previsteeccezioni, escludendo l’ingresso femminile nella ma-gistratura, nella carriera militare e nelle carriere diret-tive nello Stato.

Sempre nel 1919, a coronamento di un processo chel’esito della guerra contribuiva a far sembrare conclu-so e conformemente a quanto stava accadendo in di-versi altri Paesi, la Camera iniziò l’esame della leggeMartini-Gasparotto che riconosceva alle italiane l’elet-torato attivo e passivo (il diritto cioè di eleggere e diessere elette), amministrativo e politico (DOC. 5a).Ma l’iter al Senato fu bloccato dalla questione di Fiu-me che provocò la chiusura anticipata della legislatu-ra, con lo scioglimento del Parlamento e le nuove ele-zioni che si tennero nel novembre dello stesso anno.L’Italia era in preda a una grave crisi, che sarebbe cul-minata nel 1922 nella marcia su Roma e nell’avventodel fascismo. Il clima del momento indusse di fatto

ad accantonare il tema del voto femminile, che anco-ra nel 1920 era stato all’ordine del giorno con l’appro-vazione dell’emendamento Sandrini.

Nella fase di affermazione del nuovo regime la possi-bilità di procedere su questa strada non fu inizial-mente esclusa in linea di principio, come lo stessoMussolini promise al congresso dell’Alleanza pro suf-fragio del 1923. Ma una proposta delineata al riguar-do ne diede un’interpretazione pesantemente restrit-tiva: sarebbero potute diventare elettrici, facendonerichiesta e limitatamente alle consultazioni ammini-strative, le donne con più di 25 anni, provviste di li-cenza elementare, che esercitavano la patria potestà epagavano tasse oltre un limite stabilito, e ancora le de-corate al valor militare o civile o madri e vedove di ca-duti. Se elette, non avrebbero inoltre potuto assume-re la carica di sindaco o assessore, né ricoprire altriruoli di responsabilità. La legge, approvata alla finedel 1925, si tradusse in realtà in una sorta di beffa, da-to che una riforma dell’anno successivo abolì le con-sultazioni elettorali amministrative, ponendo a capodei Comuni i podestà di nomina prefettizia.

Le tappe successive, corrispondenti al periodo di con-solidamento del fascismo, registrarono pesanti tenta-tivi di ridurre la presenza della componente femmini-le nel mercato del lavoro, ristabilendo anche a livellolegislativo la centralità delle funzioni familiari e ma-terne, sancita nel 1925 dall’istituzione dell’Opera na-zionale per la protezione della maternità e infanzia(ONMI) ed esaltata dalla battaglia demografica lancia-ta da Mussolini. Parallelamente, una nuova normati-va si propose di allontanare le donne dai posti diretti-vi o dalle professioni cui si associava un prestigio in-tellettuale che era ritenuto una prerogativa esclusiva-mente maschile. Così ad esempio, a livello scolastico,un decreto del 1926 vietò alle laureate l’insegnamen-to di materie come latino e greco o storia e filosofia

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nei licei, cioè delle discipline cardine della riforma de-gli studi delineata da Giovanni Gentile; un altro de-creto aveva sbarrato loro l’accesso alla funzione dipresidi negli istituti superiori e provvedimenti di rior-ganizzazione degli studi previdero indirizzi specifici,imperniati su insegnamenti che avrebbero dovuto av-viare le allieve a mansioni domestiche o ad impieghicomunque subalterni e puramente esecutivi.

Negli anni che precedettero il secondo conflitto mon-diale – mentre un decreto del 1938 arrivò a fissare al10% la quota massima di presenza della componentefemminile negli impieghi pubblici e privati – la poli-tica del fascismo nei confronti della donna si caratte-rizzò sempre di più per lo sforzo di trasformare l’im-pegno familiare in un terreno di mobilitazione collet-tiva, attraverso il superamento della sfera puramente“privata”. Ai ruoli tradizionali di “spose e madriesemplari” si cercò di sovrapporre l’immagine di don-ne pronte al sacrificio, inquadrate nelle organizzazio-ni del regime e chiamate ai nuovi compiti che que-st’ultimo affidava loro nella vita della nazione. Taleprospettiva si presentava come alternativa rispetto alrivendicazionismo e al suffragismo dei decenni pre-cedenti, indicati dalla propaganda come espressionedi un desiderio di esasperata affermazione individua-le da parte di minoranze privilegiate e “borghesi”,lontane dai bisogni e dai sentimenti della maggioran-za della popolazione.

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Proposta di legge dei deputati Martini, Gasparotto, Bevione, Agnelli, Arcà, Sandrini, Cappa, Micheli, Landucci, Soderini, Pansini (1919)

Camera dei Deputati (29 luglio 1919)

Donne e diritto. Due secoli di legislazione 1796-1985, a cura della Commissione nazionale parità, Presidenza del Consiglio dei ministri, Roma, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, 1987.

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Art. 1Le leggi vigenti sull’elettorato politico e amministrativo e le disposizionidei relativi regolamenti sono estese a tutti i cittadini di ambo i sessi,aventi i requisiti indicati nelle leggi stesse.

Art. 2Il governo del Re è autorizzato ad emettere decreto reale perl’esecuzione della presente legge.

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Il secondo conflitto mondiale| il lungo cammino verso il voto |

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Il trauma della guerra in cui l’Italia entrò nel 1940,con il suo corollario di perdite di vite umane, devasta-zioni e ferite inferte nelle strutture materiali e nel tes-suto sociale del Paese, comportò prezzi altissimi an-che per le donne. Costrette per la lontananza degliuomini a fronteggiare spesso da sole situazioni estre-mamente critiche, in città che la “guerra totale” stavatrasformando in cumuli di macerie, alle prese conproblemi di sopravvivenza quotidiana, esse mostraro-no doti di dedizione e di tenacia che contribuirononon poco a porre un argine ai disastri bellici e a get-tare le basi della ricostruzione.

Un capitolo di particolare rilievo è quello della pre-senza di donne talvolta giovanissime nelle file dellaResistenza. Nel movimento partigiano sia in città chein montagna una rete di donne garantì infatti serviziessenziali, come risulta anche dal brano di GiulianaBeltrami Gadola, protagonista e poi testimone dei fat-ti, che è qui riportato (DOC. 6a).

Un momento importante nel corso del conflitto si eb-be nel novembre 1943, quando si costituirono i Grup-pi di difesa della donna per l’assistenza ai combatten-ti della libertà (GDD), che ai problemi della lotta di Li-berazione affiancarono temi più specificamente lega-ti alla condizione femminile. Promossi prevalente-mente da aderenti ai partiti di sinistra, ma con la par-tecipazione anche di appartenenti ad altre formazionipolitiche presenti nel Comitato di liberazione nazio-nale (CLN), essi si proposero di organizzare la resi-stenza alle violenze tedesche nelle fabbriche, negli uf-fici e nelle campagne, di raccogliere risorse a favoredei partigiani e di assistere le loro famiglie. Un’altraserie di obiettivi riguardava l’aumento delle razionialimentari, il reperimento di alloggi per gli sfollati, dicombustibili, di indumenti e di altri generi di primanecessità, mentre a Liberazione avvenuta era riman-data la realizzazione dei punti del programma in ma-

teria di diritti delle donne. Organizzati per piccoligruppi, poi raccolti in nuclei, i GDD sollecitaronol’impegno femminile in vista della conclusione vitto-riosa della lotta (DOC. 6b) e ricevettero il riconosci-mento formale dal parte del CLN dell’Alta Italia, cheinvitò tutte le italiane ad aderire ad essi (DOC. 6c).

Arrivate a circa 900 nella sola Milano nell’agosto del1944, le aderenti, tra cui si contavano impiegate, in-segnanti, infermiere, studentesse (sempre a Milanosarebbero diventate circa 3500 nel marzo successivo,e diverse migliaia sarebbero state le partecipanti intutta Italia) promossero varie forme di mobilitazionee con il passare dei mesi intensificarono scioperi,azioni di sabotaggio e lotte contro le deportazioni inGermania, come pure il coordinamento con il CLN inprevisione dell’atto finale dell’insurrezione.

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Le donne nella Resistenza in Lombardia

di Giuliana Beltrami Gadola

Donna lombarda, a cura di Ada Gigli Marchetti e Nanda Torcellan, Milano, Angeli, 1992.

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Le donne certamente hanno portatonella Resistenza valori specifici e illoro apporto, anche quando facevanole stesse cose, era profondamentediverso da quello degli uomini. Menopoliticizzate, sentivano in compensopiù forte l’impegno generale per unmondo diverso e migliore; menomilitarizzate, erano in compenso piùsensibili alla solidarietà nella lottasenza distinzioni di gruppo; menoprotagoniste, profondevano anonimaabnegazione a piene mani.

[...]Nei libri scritti da uomini, storici o

politici o, più spesso, da excomandanti partigiani, le donnecompaiono poco, talvolta come notadi colore e sono viste quasi sempre infunzione di aiutanti, di collaboratricianziché di vere e proprie combattentiin prima persona quali sono state. Icapi esprimono la loro riconoscenza,quasi che la partecipazione fosse unaiuto da persona a persona e non unintervento diretto in una lotta tesa allarealizzazione di comuni ideali.

Le donne, anzi, avevano un idealein più: quello della loro personaleliberazione, quello di una societàdiversa in cui diversa fosse la lorocollocazione. Di questo non tutteerano consapevoli, soprattuttoall’inizio, ma la cosa balza agli occhinei fogli clandestini, dove si avanzanorivendicazioni quali il voto, la paritàsalariale e la parità in famiglia.

[...]Occorre inoltre ricordare che le

donne erano tutte assolutamentevolontarie, a differenza degli uomini,in particolare dei giovani in età dileva, per i quali una scelta comunquesi imponeva: lasciarsi mandare in uncampo di lavoro in Germania, entrarenelle Brigate nere o salire in

montagna coi partigiani. Le donneavrebbero potuto restarsene a casatranquille; trovavano facilmente lavoroappunto in sostituzione degli uominie da amichevoli rapporti coi tedeschio coi fascisti avevano solamente daguadagnare, in un momento in cui lamancanza di viveri e di altri generiindispensabili, di cui questilargamente disponevano, si facevasentire in modo drammatico.

Volontarie quindi, e spessoentusiaste, affrontavano rischi efatiche con uno spirito che stupiva icompagni.

Erano tante. Difficile fare un contoanche approssimato, perchéraramente le donne erano iscritte neiruolini delle formazioni; questoavveniva solo per le combattenti inarmi – non poche – che giunseroanche a funzioni di comando congradi militari poi ufficialmentericonosciuti alla liberazione. Lamaggior parte assolvevano a compitidi natura diversa, ma non per questomeno pericolosi.

C’erano le famose staffette, cheerano in verità quasi sempre veri e propri ufficiali di collegamento enon solo «battistrada» nelle azioni enegli spostamenti; quel tipo di lavoroera facilitato dalla maggiorepossibilità di movimento per ledonne, anche in zone controllate dove gli uomini venivano di regolafermati.

C’erano le informatrici, talvoltaaddirittura infilate come impiegatenegli uffici militari o paramilitaritedeschi o fascisti; a queste facevanocapo altre, che portavano le notizieinteressanti direttamente alleformazioni, a tappe forzate, magari apiedi o in bicicletta, riuscendo spessoa vanificare progettati rastrellamenti.

C’erano le infermiere, che agivanodentro e fuori dagli ospedalinascondendo e curando feriti, oraggiungendoli in formazione; ledottoresse, che sovraintendevano auna complessa rete di ospedaletti dacampo.

C’erano le addette alla stampa, cheoperavano nelle redazioni clandestinee badavano alla distribuzione digiornali e volantini. C’erano leportatrici d’armi, le segretarie deicomandi, le addette allaorganizzazione di alloggi clandestini eluoghi d’incontro per i capi militari epolitici.

C’era insomma intorno almovimento partigiano, sia in città chesui monti, una fitta ragnatela didonne che facevano tutto,fronteggiando le situazioni piùimpensate, spostandosicontinuamente, aiutandosi fra loro escegliendosi l’un l’altra con sicurointuito in cerchi sempre più larghi,sempre più complessi e sempre più fluidi.

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Due appelli alla mobilitazione dei Gruppi di difesa della donna

Noi Donne - Organo dei gruppi di difesa della Donna per l’Assistenza aiCombattenti della Libertà, a. I, n. 3, agosto 1944. Edizione per la Lombardia.

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MAMME Non c’è una di noi che non abbia avutoe non continui ad avere la vita straziata da una pena,tormentata dall’ansia e dalla paura per i figli che cisono stati strappati dalla furiosa pazzia della guerrafascista.[…]Le lacrime e le preghiere sono un conforto, ma nonbastano.Dobbiamo agire, dobbiamo formare anche noi unesercito di combattenti che affianchi la lotta deipatrioti, che affretti il ritorno dei figli, che li salvi dallafucilazione e dalla deportazione, che li restituisca alleloro case e al nostro affetto.Se già qualcuno dei nostri è stato sacrificato, in nomesuo insorgiamo, in nome suo aiutiamo la lotta diliberazione, ed è come se avessimo fatto qualcosa per lui.[…]Ricordiamoci che è un errore attendere che tuttoquesto ci sia donato dagli stranieri per quanto amiciessi siano, ricordiamoci che la sorte dell’Italia dipendeesclusivamente da noi. Ricordiamoci che noi siamouna forza; che quando si muovono le mamme non vi èpotenza del mondo che possa resistere all’arma delloro odio e della loro volontà.

ALLE IMPIEGATE Ora che anche noi donneabbiamo un giornale che si occupa di noi, che adognuna segna la via da seguire, la nostrapartecipazione alla lotta decisiva per la liberazionedella nostra Patria sarà più intensa ed attiva. Non sideve più sentir dire che le donne non si debbonooccupare di queste cose, che la lotta è compito degliuomini. I Tedeschi non deportano forse anche noi inGermania? Non imprigionano le madri, le spose, lesorelle di coloro che non vogliono servire nelle lorofile? Non massacrano anche delle fanciulle sulle piazzedi nostri paesi? Ebbene noi dobbiamo difenderci,ribellarci, rivolgere tutte le nostre energie alla giustacausa della liberazione.

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Il Comitato di Liberazione Nazionale riconoscei «Gruppi» ed invita tutte le donne ad aderirvi

Noi Donne - Organo dei gruppi di difesa della Donna per l’Assistenza aiCombattenti della Libertà, a. I, n. 4, settembre 1944. Edizione per la Lombardia.

06c

Ordine del giorno

Il Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia, riconoscendo nel«Gruppo di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti dellaLibertà» una organizzazione unitaria di massa che agisce nel quadrodelle proprie direttive; ne approva l’orientamento politico e i criterid’organizzazione, apprezza i risultati finora ottenuti nel campo dellamobilitazione delle donne per la lotta di liberazione nazionale e lariconosce come organizzazione aderente al Comitato di LiberazioneNazionale.Invita tutte le donne italiane e in particolare le aderenti ai partiti delComitato di Liberazione Nazionale a collaborare e ad aderire ai «Gruppidi difesa della donna» e a tutte le loro iniziative volte alla mobilitazionedelle masse femminili e alla loro partecipazione alla lotta insurrezionaleper la cacciata dei tedeschi e dei fascisti dall’Italia.

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Le organizzazioni femminili tra guerra e dopoguerra

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L’Unione delle Donne Italiane (UDI)

Le condizioni politiche e sociali nell’ultima fase delconflitto imposero ai partiti, e soprattutto a quelli chesi avviavano ad essere i principali partiti di massa, lanecessità di creare nuovi organismi per promuoverenell’Italia liberata una più attiva partecipazione delledonne alla vita del Paese. All’interno del PCI sussistevano non poche perples-sità sull’opportunità di creare dei gruppi-cellule fem-minili separati da quelle maschili, ma, dopo accesediscussioni, anche per questioni di opportunità con-tingente, come ad esempio la gestione dell’ormai im-minente e non più rinviabile concessione del suffra-gio femminile, si convenne che un’organizzazione asé stante sarebbe stata la miglior soluzione per per-mettere alle donne di riflettere sulla propria situazio-ne e per consentire loro di svolgere, con maggior fa-cilità, un lavoro mirato. Nel settembre del 1944 nacque ufficialmente a Romal’Unione delle Donne Italiane (UDI), che si proponevadi raccogliere donne che già avevano fatto parte deiGruppi femminili di assistenza ai combattenti della li-berazione, dei Gruppi di difesa della donna e deiGruppi femminili antifascisti. L’UDI fu dunque la ri-sposta del PCI all’esigenza di creare un’organizzazionefemminile di massa. Gli obiettivi che si proponeva ri-guardavano, innanzi tutto, la partecipazione attiva allavita sociale e politica del Paese, l’iscrizione delle don-ne ai sindacati, un’articolata opera di assistenza nel-l’ambito della ricostruzione, ma anche conferenze suproblemi riguardanti le madri e i bambini e la promo-zione di corsi scolastici di base.

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Noi Donne

Noi Donne è un giornale con una storia moltoparticolare, dal momento che nacque e rinacquepiù volte.La prima edizione uscì a Parigi nel 1937, organodell’Unione Donne Italiane, un’associazione cheraccoglieva le donne antifasciste emigrate inFrancia. L’apparizione del giornale coincise con unmomento politico molto difficile, che seguival’aggressione fascista all’Etiopia e l’inizio dellaguerra in Spagna, alla vigilia dell’annessionetedesca dell’Austria. In questo contesto, Noi Donnesi concentrò soprattutto sulla mobilitazionefemminile in difesa della pace. Dopo lo scoppio della guerra e l’invasione tedescadella Francia, il giornale rinacque clandestinamente,fra la fine del 1943 e i primi mesi del 1944,durante la Resistenza, come espressione deiGruppi di difesa della donna ed ebbe diverseedizioni regionali in tutto il Nord Italia. Nonsempre il foglio poteva essere stampato, a causadelle precarie condizioni in cui versava il Paese:spesso era semplicemente ciclostilato o scritto amacchina e poi, pazientemente, ricopiato più volte.Nell’estate del 1944 uscì a Napoli (ma molto prestola redazione si trasferì a Roma), nell’Italia liberata,il primo numero “legale”, che negli intenti volevaessere sia un giornale di lotta politica e diorganizzazione femminile, sia una rivista checontenesse tutto ciò che poteva interessare ledonne: dalla cura della casa, a quella dei bambini,all’attualità.Dopo la fondazione dell’Unione delle DonneItaliane, nel settembre del 1944, Noi Donne nediventò la voce ufficiale e proprio sulle sue paginefurono spesso ospitati articoli e interventi inmateria di voto, come dimostra il referendum quiriportato (DOC. 7a).

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Il Centro Italiano Femminile (CIF)

In concomitanza con la nascita dell’Unione delle Don-ne Italiane, nel 1944 ebbe origine un altro grande mo-vimento femminile, il Centro Italiano Femminile(CIF), che faceva capo all’Azione Cattolica e risponde-va, come nel caso dell’UDI, a necessità di rifondazionemorale e materiale e di assistenza. Il CIF si propone-va di conquistare le masse femminili alla propria cau-sa, educandole alla politica, ma anche aiutandole a mi-gliorare le loro condizioni materiali di vita.Alla nascita di questa organizzazione aveva contribui-to anche Giovanni Battista Montini, allora sostitutodella Segreteria di Stato vaticana e futuro papa PaoloVI, che aveva intenzione di fare del CIF un punto d’in-contro tra un nascente movimento politico femminilee l’associazionismo cattolico più tradizionale che vede-va ancora con difficoltà un impegno politico attivo.Un’importante svolta al riguardo venne annunciatanel 1945 dallo stesso papa Pio XII: dapprima il 15 ago-sto, a chiusura del I convegno nazionale sul lavorofemminile indetto dalle ACLI e poi il 21 ottobre, in oc-casione di un raduno delle presidenti provinciali delCIF e di rappresentanti nazionali, regionali e diocesa-ne di associazioni femminili cattoliche. Il discorso te-nuto in quest’ultima occasione (DOC. 7b) marcò unasostanziale discontinuità rispetto al passato, in quan-to, superando preclusioni tradizionalmente espressedalle gerarchie vaticane, il pontefice esortò le donne amobilitarsi sul terreno politico, a salvaguardia dei va-lori familiari minacciati.

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07. [pag. 2]

La stampa femminile cattolica

La stampa cattolica dedicata alle donne nel periodoconsiderato si distingueva fra quella cosiddetta di“opinione e orientamento” e quella “didivulgazione popolare”. Della prima categoria facevano parte tutte lepubblicazioni settimanali, mensili, periodiche chedavano direttive ai vari movimenti femminili chefacevano direttamente capo all’Azione Cattolica.Era questo il caso di Squilli, in sei diverse edizioniper operaie, contadine, casalinghe, studentesse,giovanissime e bambine, che era il settimanaleufficiale della Gioventù femminile di AC. Alla seconda tipologia appartenevano le testateche, sotto una veste simile a quella dei più diffusifemminili dell’epoca, avevano il compito didivulgare in maniera semplice i contenuti elaboratiin altre sedi, fra le quali le due più popolari eranoAlba e Gioia. In particolare, Gioia (che solo neldicembre 1956 sarebbe passata alla casa editriceRusconi e Paolazzi e avrebbe persodefinitivamente ogni connotazione confessionale),era stata creata nel 1938 da Armida Barelli, unadelle fondatrici dell’Azione Cattolica.

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Le donne italiane sono in grado di votare? Il referendum di Noi Donne

Noi Donne - Rivista quindicinale dell’Unione delle Donne Italiane, a. I, n. 7, Roma, 1° dicembre 1944 e a. I, n. 9, Roma, 15 gennaio 1945.

07a

Nel dicembre del 1944, Noi Donne indisse un referendumfra i propri lettori per sondare quale fosse la loro posizionea proposito del suffragio femminile. Si chiedeva, fra l’altro,se le donne italiane dovessero partecipare alle elezioni am-ministrative e politiche in parità assoluta con gli uomini,quali cariche pubbliche erano ritenute più adatte alle attitu-dini femminili e se il desiderio di partecipare direttamentealla vita politica fosse allora molto diffuso fra le italiane.Le stesse domande vennero poste a diverse personalità po-litiche.Ecco un estratto delle risposte, pubblicate il 15 gennaio 1945.Particolare interesse riveste quella del liberale Lupinacci ilquale, a differenza di altri esponenti politici interpellati, nonnascose le sue resistenze riguardo alla prospettiva delledonne al voto, esprimendo dubbi che erano in realtà larga-mente diffusi.

Palmiro Togliatti (Partito Comunista)

È favorevole al voto politico e amministrativo delle donne?Senza dubbio, in senso attivo e passivo; penso che sin

d’ora le donne debbano essere chiamate a ricoprirecariche pubbliche.

Per quali motivi è favorevole al voto alle donne?Per motivi generali di principio e perché ritengo che le

donne, partecipando attivamente alla vita politica,possano dare un enorme contributo alla liquidazionecompleta del fascismo e alla creazione di un’Italialibera, democratica, pacifica e progressiva.

Quali ostacoli esistono? Come ella pensa si possanosuperare?

L’ostacolo principale, più che nelle posizioni di determinatipartiti, sta nel fatto che le donne stesse e, naturalmente ipartiti politici che vogliono la parità politica completa trala donna e l’uomo, non sono ancora riusciti a porre consufficiente energia davanti a tutto il paese il problemadella conquista del diritto di voto per le donne.

L’ostacolo si supera quindi interessando a questa lotta efacendo partecipare ad essa tutto il popolo.

Crede possa esserci un programma comune per tutte ledonne, dopo ottenuto il voto?

Mi pare che un tale programma possa essere trovato. Essodovrebbe essere un programma di carattere nazionale esociale, che tendesse a far partecipare in modo attivo ledonne alla ricostruzione del nostro paese e prima ditutto a dare un sollievo alle miserie più gravi del popololavoratore, dei bambini, della gioventù, dei vecchi. Ledonne potrebbero dare al paese in tutti questi campi unesempio di vera solidarietà nazionale disinteressata e dilotta concorde per il rinnovamento dell’Italia, che ilfascismo e la guerra hanno portato alla rovina.

Pietro Nenni (Partito Socialista)

Sono assolutamente favorevole al voto alle donne. Ritengoche debba loro essere accordato in condizioni di paritàassoluta con gli uomini. Esse debbono quindi non solopoter eleggere, ma essere elette. L’unico modo, però,per far acquistare alle masse femminili la pienacoscienza dei loro diritti e dei loro doveri che talvoltapuò loro ancora mancare è di ammetterle alla vitapolitica. Il fatto di dar loro il voto le obbligherà ariflettere e a considerare con serietà i problemi delleelezioni, della vita nazionale che prima ritenevano, atorto, non adatti alla loro qualità di donna. […].

La donna italiana può aspirare quando ne ha la capacitànecessaria a tutte le cariche pubbliche fino a quella dipresidente del Consiglio.

Il sesso non deve più costituire un ostacolo pregiudiziale.Dico ciò perché ritengo che la donna italiana abbiameritato con il suo contributo al lavoro e oggi anchealla guerra di partecipare alla vita politica edamministrativa del paese.

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Manlio Lupinacci (Partito Liberale)

Non nascondo di sentire una certa diffidenza verso lapartecipazione della donna alla vita politica, mariconosco che tale diffidenza non ha alcun seriofondamento, perché solo istintiva, tradizionale. Diròanzi di più e cioè che ritengo essere questa istintivadiffidenza l’unica vera base di ogni opposizionemaschile. La mia ragione finisce quindi col vincere ilmio istinto e coll’affermare che le donne abbiano il votoalle prossime elezioni.

Ritengo che le donne debbano partecipare in pienacondizione di parità con gli uomini, cioè con suffragiouniversale, sia alle une che alle altre. E non solodovranno essere elettrici, ma anche eleggibili.

L’influenza della donna sarà notevole. Facendolapartecipare alla vita politica non si avrà soltanto unospostamento numerico, come alcuni credono.L’influenza della donna sarà positiva o negativa aseconda dei problemi. Sarà senz’altro positiva nelcampo dell’educazione, della delinquenza minorile,della legislazione sul lavoro.

Io penso che, superata quell’istintiva diffidenza all’uscitadella donna dalla famiglia, non c’è campo che debbarimanerle chiuso. In linea di principio tutte le carichepubbliche sono adatte alle donne, purché naturalmenteabbiano la capacità di ricoprirle. In particolare credo chepossono far molto e molto bene nella diplomazia.

Uno dei motivi di interesse del referendum di Noi Donne è ilfatto che, accanto all’opinione di politici importanti, il giorna-le raccolse il parere di donne comuni, come quello di un’ope-raia madre di 8 figli e con il marito disoccupato:

Un’operaia di Roma

Gli uomini hanno bisogno del nostro consiglio. È come inuna casa quando c’è da fare una spesa; la moglie siconsiglia con il marito ed il marito con la moglie. Cosìdeve avvenire anche per lo Stato; anche la donna devepoter esprimere il suo parere su una decisione daprendere. Senza contare che le donne hanno per tantecose un’esperienza maggiore degli uomini. Non è più iltempo del Medio Evo, la donna non sta più in casa afare le faccende domestiche senza occuparsi d’altro. Itempi sono cambiati; la donna ha molte piùresponsabilità, e si rende conto sempre più di quelloche sta succedendo intorno; e deve perciò poter dire lasua per fare andare meglio le cose.

Per esempio: le decisioni da prendere per migliorarel’alimentazione e il razionamento dovrebbero tenerconto del parere delle donne che sanno quali siano levere esigenze di una famiglia. E anche altre cose ladonna deve poter far presenti: per esempio l’istituzionedi un «nido» di fabbrica per i figli delle operaie, che nonpossono spendere una parte del loro guadagno perpagare chi bada ai bambini. Io non posso mandare allavoro mia figlia maggiore che ha 18 anni perché devebadare ai fratellini.

Tutte la cariche che si riferiscono alla sezione alimentare eassistenziale dovrebbero essere affidate alle donne.

La necessità di dare il voto alla donna è sentito soprattuttonegli ambienti di lavoro perché le donne si sonomaturate con le nuove responsabilità avute in questaguerra. Tuttavia anche nelle fabbriche non tutte le donnesentono l’urgenza di questa misura. Il riconoscimentodel diritto di voto alle donne dovrebbe essere possibile enon troppo lontano e dipenderà da noi affrettarlo.

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07a [pag. 2]

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La missione della donna. Discorso di papa Pio XII (21 ottobre 1945)

Le Encicliche sociali dei Papi. Da Pio IX a Pio XII (1864-1956), a cura di Igino Giordani, Roma, Editrice Studium, 1956.

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Il 21 ottobre 1945 circa 1500 donne furono ricevute nell’Auladella Benedizione del Santo Padre, che tenne loro un discor-so illustrativo della dignità del sesso e dei compiti specificinella famiglia e nella società, da cui sono tratte le parti quiriportate.

[…]

II. – DOVERE DELLA DONNA DI PARTECIPARE ALLAVITA PUBBLICA NEL TEMPO PRESENTE

15. – Concluderemo Noi dunque che voi, donne e giovanicattoliche, dovete mostrarvi ritrose al movimento che vitrascina, di buona o di mala voglia, nell’orbita della vitasociale e politica? No certamente.Dinanzi alle teorie e ai metodi che, per differentisentieri, strappano la donna alla sua missione e, con lalusinga di una emancipazione sfrenata, o nella realtà diuna miseria senza speranza, la spogliano della suadignità di donna, Noi abbiamo inteso il grido diapprensione che invoca, il più possibile, la sua presenzaattiva nel focolare domestico. La donna è infatti trattenuta fuori di casa non soltantodalla proclamata emancipazione, ma spesso anche dallenecessità della vita, dal continuo assillo del panequotidiano. Invano dunque si predicherà il suo ritornoal focolare, finché perdureranno le condizioni che nondi rado la costringono a rimanere lontana. E così simanifesta il primo aspetto della vostra missione nellavita sociale e politica, che si apre dinanzi a voi. La vostra entrata in questa vita pubblica è avvenutarepentinamente, per effetto dei rivolgimenti sociali dicui siamo spettatori; poco importa! Voi siete chiamate aprendervi parte; lascerete forse ad altre, a quelle che sifanno promotrici o complici della rovina del focolaredomestico, il monopolio dell’organizzazione sociale dicui la famiglia è l’elemento precipuo nella sua unitàeconomica, giuridica, spirituale e morale? Le sorti dellafamiglia, le sorti della convivenza umana, sono ingiuoco; sono nelle vostre mani; tua res agitur!Ogni donna dunque, senza eccezione, ha, intendetebene, il dovere, lo stretto dovere di coscienza, di nonrimanere assente, di entrare in azione (nelle forme e neimodi confacenti alla condizione di ciascuna), percontenere le correnti che minacciano il focolare, percombattere le dottrine che ne scalzano le fondamenta,per preparare, organizzare e compire la suarestaurazione.

16. – A questo motivo impellente per la donna cattolica dientrare nella via, che oggi si schiude alla sua operosità,se ne aggiunge un altro: la sua dignità di donna. Ella hada concorrere con l’uomo al bene della civitas, nellaquale è in dignità uguale a lui. Ognuno dei due sessideve prendere la parte che gli spetta secondo la suanatura, i suoi caratteri, le sue attitudini fisiche,intellettuali e morali. Ambedue hanno il diritto e ildovere di cooperare al bene totale della società, dellapatria; ma è chiaro che, se l’uomo è per temperamentopiù portato a trattare gli affari esteriori, i negozipubblici, la donna ha, generalmente parlando, maggiorperspicacia e tatto più fine per conoscere e risolvere iproblemi delicati della vita domestica e familiare, basedi tutta la vita sociale: il che non toglie che alcunesappiano realmente dar saggio di grande perizia anchein ogni campo di pubblica utilità.

17. – Tutto ciò è una questione non tanto di attribuzionidistinte, quanto del modo di giudicare e di venire alleapplicazioni concrete e pratiche. Prendiamo il caso deidiritti civili: essi sono, al presente, per entrambi i sessi.Ma con quanto maggior discernimento ed efficaciasaranno utilizzati, se l’uomo e la donna verranno adintegrarsi mutuamente! La sensibilità e la finezza,proprie della donna, che potrebbero trascinarla nelsenso delle sue impressioni e rischierebbero così diarrecar nocumento alla chiarezza e all’ampiezza dellevedute, alla serenità degli apprezzamenti, alla previsionedelle conseguenze remote, sono, al contrario, diprezioso aiuto per mettere in luce le esigenze, leaspirazioni, i pericoli di ordine domestico, assistenzialee religioso.

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Il decreto 1° febbraio 1945, n. 23| il lungo cammino verso il voto |

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La decisione di ammettere le donne al voto venne pre-sa formalmente a poco più di due mesi dalla conclu-sione del conflitto, ma essa era maturata fin dal 1944.Soprattutto i leader dei più importanti partiti di mas-sa, DC e PCI, erano infatti ormai convinti, nonostan-te le resistenze della base, della necessità di un prov-vedimento che avrebbe incluso nella dialettica tra cit-tadini e forze politiche una componente essenziale al-la vita del Paese e avrebbe inevitabilmente modificatocontenuti e metodi dell’organizzazione del consenso.

Alcune formazioni di punta del movimento femmini-le fecero sentire la loro voce, oltre che per sollecitarele cose, per ribadire che un simile risultato non siconfigurava nei termini di una pura e semplice con-cessione. Nell’ottobre 1944 l’UDI, insieme a due asso-ciazioni che avevano alle spalle una storia gloriosa, ecioè l’Alleanza femminile pro suffragio e la FILDIS(Federazione italiana laureate e diplomate istituti su-periori), inviò un promemoria al capo del governo Bo-nomi, affinché l’estensione alle donne del voto e del-l’eleggibilità fosse tenuta presente nell’elaborazionedelle leggi elettorali da introdurre per le future con-sultazioni. Nello stesso mese, più esattamente il 25,sempre l’UDI indisse a Roma un incontro con leesponenti di DC, PRI, PCI, PSIUP, Partito d’Azione,PLI, Sinistra cristiana, Democrazia del lavoro e delledue associazioni già nominate. Dalla riunione nac-que un Comitato pro voto, che il 27 sottopose un pro-memoria al CLN nazionale. Il 15 novembre un grup-po di donne presentò una mozione al CLN (DOC. 8a)e nello stesso mese il Comitato pro voto si fece pro-motore di altre iniziative, come la stampa di un opu-scolo e la stesura di una petizione, diffusa dal Comi-tato di iniziativa dell’UDI, per raccogliere il maggiornumero possibile di firme (DOC. 8b).

Parallelamente venne indetta una settimana naziona-le di mobilitazione, che in realtà non ebbe luogo in

seguito alle decisioni adottate in seno al governo. Inun’Italia ancora divisa in due, con il Centro-Sud libe-rato e la Repubblica di Salò nel Nord occupato dai te-deschi, a Roma su richiesta di De Gasperi e Togliattila questione venne infatti esaminata dal Consiglio deiministri il 24 gennaio 1945. Il 30 si ebbe l’approvazio-ne, ratificata con il decreto luogotenenziale n. 23, da-tato 1° febbraio 1945 (DOC. 8c), un breve testo il qua-le stabiliva all’art. 2 che, vista l’imminente formazio-ne nei Comuni delle liste elettorali, nelle suddette siiscrivessero in liste separate le elettrici.

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Page 33: Italia 1946: le donne al voto

Mozione presentata al Comitato di liberazione nazionale

Angela Maria Cingolani Guidi, Josette Lupinacci, Rita Montagnana Togliatti,Bastianina Musu Martini, Emilia Siracusa Cabrini

Noi Donne - Rivista quindicinale dell’Unione delle Donne Italiane, a. I, n. 6, Roma, 15 novembre 1944.

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Le rappresentanze dei centri femminili del Partito Liberale, Democraticocristiano, Democratico del lavoro, del Partito d’Azione, del Partitosocialista e del Partito comunista italiano interpreti delle diffuseaspirazioni delle donne italiane chiedono al Comitato di LiberazioneNazionale di sostenere presso il governo il diritto delle donne italiane dipartecipare alle prossime elezioni amministrative su un piano diassoluta parità cogli uomini.Benché i partiti del Comitato di Liberazione Nazionale si siano già datempo e in più occasioni espressi in senso favorevole all’estensione deidiritti politici alle donne, il governo nel dare inizio alle operazionipreparatorie per la compilazione delle liste e la designazione dei seggiha mostrato sino ad oggi di voler assolutamente ignorare questoimportante aspetto del programma di democratizzazione del paese.Un tale atteggiamento è in netto contrasto con i principi fondamentalidel diritto pubblico della quasi totalità dei paesi democratici, dagli StatiUniti d’America alla Cina, dall’URSS all’Africa del Sud. Indicativo perl’Italia in questo senso, ci sembra l’esempio del Comitato di Liberazionefrancese che nell’annunziare la data delle prime elezioni amministrative,dopo quattro anni di occupazione tedesca, ha contemporaneamentericonosciuto alle donne il diritto di parteciparvi. Del resto in Italia laquestione del diritto di voto amministrativo alle donne, sollevata piùvolte sin dalla proposta Minghetti del 1861, aveva già ottenutal’approvazione della Camera nel 1920, con l’emendamento Sandrini chenon fu sottoposto all’esame dell’altro ramo del Parlamento per lachiusura di quella Legislatura. Pertanto, l’accoglimento della legittimarivendicazione delle donne italiane si riallaccerebbe anche alla tradizionedemocratica nazionale del periodo fascista.Fra i numerosissimi argomenti che potrebbero suffragare la tesi piùlargamente favorevole alle rivendicazioni politiche femminili si ricordasoltanto che mentre quattro anni di durissima guerra hanno eguagliatonei sacrifici e nei rischi la donna italiana agli stessi combattenti deifronti, la lotta di liberazione contro i nazifascisti ha dimostrato la piena e consapevole solidarietà femminile con tutti i militanti del fronteinterno e delle bande partigiane e quindi la raggiunta capacità di attivacollaborazione anche nell’opera di ricostruzione. Si sollecita quindi una precisa presa di posizione del Comitato diLiberazione Nazionale sul problema che interessa la metà dellapopolazione pensante del paese e di cui non può essere ulteriormenterimandata una piena soluzione, senza pericolo di un fortedisorientamento delle masse femminili. Soluzioni parziali cheeventualmente si prospettassero, tendenti a conferire pieni diritti solo alimitate categorie femminili, urterebbero profondamente quei principi di schietta democrazia per i quali l’Italia ha combattuto e combatte.

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Petizione da far firmare dal maggior numero di donne possibile e da far approvare in apposite assemblee, riunioni, comizi femminili.

Noi Donne - Rivista quindicinale dell’Unione delle Donne Italiane, a. I, n. 7, Roma, 1° dicembre 1944.

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Noi donne di .............................................. chiediamo al Governo di Liberazione Nazionale il diritto di voto e di eleggibilitànelle prossime elezioni amministrative.Riteniamo che l’esclusione da tale diritto lascerebbe la donna in quellaposizione di inferiorità in cui il fascismo ha voluto mantenerla, non soloall’interno dello Stato, ma anche nei confronti delle donne di tutti i paesicivili.Il fascismo con la sua folle politica di guerra ha distrutto i nostrifocolari, ha disperso le nostre famiglie, ci ha posto di fronte a più graviresponsabilità nel lavoro, nell’educazione dei figli, nella quotidiana lottaper l’esistenza. Contro il fascismo e contro l’oppressore tedesco abbiamo lottatoaccanto ai nostri uomini con tenacia e coraggio nei duri mesidell’occupazione.Sentiamo di esserci così acquistato il diritto di partecipare pienamenteall’opera di ricostruzione del nostro paese.Confidiamo pertanto che la nostra legittima aspirazione sia presa inesame dagli uomini del governo e sia finalmente resa alla donna d’Italiaquella giustizia e quell’uguaglianza di diritti che è alla base di ogniordinamento veramente democratico.

Si raccomanda vivamente di rimandare le petizioni firmate non oltre il 15gennaio prossimo.

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Page 35: Italia 1946: le donne al voto

Decreto luogotenenziale 1° febbraio 1945, n. 2308c

N. 23

DECRETO LEGISLATIVO LUOGOTENENZIALE 1° febbraio 1945

Estensione alle donne del diritto di voto

UMBERTO DI SAVOIAPRINCIPE DI PIEMONTE

LUOGOTENENTE GENERALE DEL REGNO

In virtù dell’autorità a Noi delegata;Visto il decreto legislativo Luogotenenziale 28 settembre 1944, n. 247,

relativo alla compilazione delle liste elettorali; Visto il decreto-legge Luogotenenziale 23 giugno 1914, n. 151;Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri;

Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, Primo MinistroSegretario di Stato e Ministro per l’interno, di concerto con il Ministroper la grazia e giustizia;

Abbiamo sanzionato e promulgato quanto segue:

Art. 1Il diritto di voto è esteso alle donne che si trovino nelle condizioni previstedagli articoli 1 e 2 del testo unico della legge elettorale politica, approvato conR. decreto 2 settembre 1919 n. 1495.

Art. 2È ordinata la compilazione delle liste elettorali femminili in tutti i Comuni.Per la compilazione di tali liste, che saranno tenute distinte da quellemaschili, si applicano le disposizioni del decreto legislativo Luogotenenziale28 settembre 1944 n. 247, e le relative norme di attuazione approvate condecreto del Ministro per l’interno in data 24 ottobre 1944.

Art. 3Oltre quanto stabilito dall’art. 2 del decreto del Ministro per l’interno in data24 ottobre 1944, non possono essere iscritte nelle liste elettorali le donneindicate nell’art. 354 del Regolamento per l’esecuzione del testo unico delleleggi di pubblica sicurezza, approvato con R. decreto 6 maggio 1940 n. 635.

Art. 4Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della suapubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del Regno.Ordiniamo, a chiunque spetti, di osservare il presente decreto e di farloosservare come legge dello Stato.

Data a Roma, addì 1° febbraio 1945

UMBERTO DI SAVOIA

BONOMI - TUPINI

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La Consulta nazionale| il lungo cammino verso il voto |

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La Consulta nazionale, organo non elettivo e con fun-zioni esclusivamente consultive, fu convocata per laprima volta il 25 settembre 1945. Era composta da unnumero variabile di membri (circa 430 di cui tredicidonne), alcuni di diritto, altri di nomina governativa,su designazione dei partiti e di altri organismi cheavevano fatto parte del CLN (DOC. 9a).Articolata in dieci commissioni con competenze di-stinte, essa aveva il compito di esprimere pareri su te-mi generali e su provvedimenti che le venivano sotto-posti dal governo. L’assemblea plenaria discusse suimportanti questioni come la situazione del Paese, iproblemi della ricostruzione economica, la politicaestera e la condotta del governo nelle trattative di pace. Essa partecipò inoltre all’elaborazione della legge

elettorale per l’Assemblea Costituente, che stabilì chel’elezione dei deputati sarebbe avvenuta «col sistemaproporzionale a liste concorrenti, con collegi eletto-rali plurinominali e con un collegio unico nazionaleper l’utilizzazione dei voti residui». Inoltre, venneconfermato che la scelta tra monarchia e repubblicasarebbe stata demandata all’esito di un referendumpopolare. L’organismo concluse la propria attività con la sedutadel 9 marzo 1946, ma le commissioni continuaronofino al 1° giugno 1946. Durante i lavori venne scoper-ta una “svista” clamorosa: il decreto luogotenenzialedel febbraio 1945 parlava semplicemente del diritto divoto, e non dell’eleggibilità delle donne, che venne ri-conosciuta solo nel marzo 1946 da un nuovo decreto.

Decreto legislativo luogotenenziale del 10 marzo 1946, n. 74

«Norme per l’elezione dei deputati all’Assemblea Costituente»

Art. 7Sono eleggibili all’Assemblea Costituente i cittadini e cittadine italianeche, al giorno delle elezioni, abbiano compiuto il 25° anno di età, eccettua-ti i casi previsti dagli articoli 5, 6, 8, 9, 10, 11 del presente decreto.

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La Consulta

di Jole Lombardi

Noi Donne - Foglio d’Informazione dell’Unione delle Donne Italiane, n. 5, Roma, 15 ottobre 1945.

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Il seguente articolo di Jole Lombardi ri-costruisce il clima della giornata inau-gurale della Consulta. Va in particolarmodo sottolineato l’intervento della de-mocristiana Anna Cingolani Guidi, cheinvita, in modo ironico e sottilmentepungente, ad aver fiducia nelle donne enelle loro capacità.

L’imminente inaugurazione dellaConsulta aveva lasciato gli stessiConsultori un po’ incerti e timorosisui suoi risultati.

Avevamo temuto che il dibattitoavrebbe acuito i dissensi fra irappresentanti delle più diversecorrenti, che avrebbe accentuatovieppiù i lati negativi della vita politicaattuale piuttosto che valorizzarnequelli positivi, che avrebbe rafforzatola sfiducia che affiora purtroppo qua e là nell’animo di molti. Ma nulla di tutto questo è avvenuto, che anzi i vari discorsi si sono succeduti inatmosfera di serena critica e dicorrettezza.

La sessione venne inaugurata conun nobile ed appassionato discorsodell’on. Agnini, un veterano dellebattaglie parlamentari; seguì un brevesaluto del Conte Sforza, presidentedella Consulta ed un discorso delpresidente del Consiglio. Fra gliinterventi più interessanti segnaliamoquelli di Pertini, Longo, Morandi,Terracini, dell’on. Grandi e di OronzoReale.

La presenza delle donne (dodici,giacché la tredicesima, la BastianinaMuso, del Partito d’Azione, erapurtroppo assente perché ammalata)è stata salutata con simpatia esolidarietà da tutti i consultori (anchese i primi oratori hanno dimenticato,ce lo hanno confessato essi stessi consorridente bonomia, di rivolgere unsaluto alle consultrici). Del restoqueste ultime non hanno tardato a farsentire la loro voce. La prima oratriceè stata Angela Cingolani dellaDemocrazia Cristiana che ha dettocon giusto tono dell’apporto che ledonne possono dare e daranno allavita sociale e a quella politica.L’oratrice ha rilevato che occorrono

opere di rigenerazione, dirieducazione ad una vita onesta e dilavoro, e per questo l’azione delladonna potrà essere preziosa. Delresto, ha soggiunto fra gli applausi el’ilarità generale – «peggio di quelloche nel passato hanno saputo fare gliuomini, le donne certo nonpotrebbero fare mai».

Rina Picolato, del partitocomunista, ha ricordato il contributodato dalle donne alla vita clandestinae partigiana ed alla lotta di liberazioneed ha fatto cenno a quei problemi –come la casa, l’infanzia, l’educazione– alla cui soluzione le donne sonochiamate a dare uno specialecontributo.

Ferruccio Parri ha risposto allecritiche ed alle obiezioni dei varioratori ed ha annunciato la prossimaconvocazione delle elezioni allapreparazione delle quali si lavoraalacremente.

Ed auguriamoci, in conclusione,che dalla Consulta e ancor più dallaCostituente sorga quella verademocrazia per cui collaborano tutticoloro a cui sta a cuore la rinascitadel paese.

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Page 38: Italia 1946: le donne al voto

Nell’imminenza del voto femminile.Che cosa pensavano le donne?

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Ora che finalmente il suffragio era stato concesso,quali erano i sentimenti in proposito di chi avrebbeesercitato per la prima volta questo diritto?La rivista Gioia tentò di rispondere al quesito indicen-do un referendum (10 e 17 febbraio 1946) fra le pro-prie lettrici. Per invogliarle a partecipare si misero inpalio alcuni premi che, nella loro semplicità e mode-stia, descrivono bene la penuria materiale di un Paeseappena uscito da una guerra. (DOC. 10a)

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Premi al referendum sul voto, Gioia, 17 febbraio 1946

Bando di concorso del referendum indetto da Gioia,Gioia, 10 febbraio 1946

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Tiriamo le somme

di Gioiosa

Gioia, 14 aprile 1946.

10a

Vengono riportati, di seguito, un estrat-to dell’editoriale che accompagnava irisultati del referendum e alcune rispo-ste (Gioia, 14 aprile 1946), riguardo al-l’atteggiamento interiore con cui le let-trici si sarebbero presentate alle urne eal comportamento che avrebbero adot-tato con gli uomini della famiglia, se diparere diverso dal proprio. Si noti, oltrealle diverse sfumature delle risposte,soprattutto il deciso richiamo dell’edi-toriale al rispetto di ruoli e gerarchie fa-miliari, che – ricordava il giornale – ilnuovo diritto di voto non avrebbe do-vuto in alcun modo contribuire a met-tere in discussione.

Direi che il tono delle risposte – tranne rare eccezioni – è poco su,poco giù, universalmentearmonizzante: la donna riconosce cheil diritto di votare le era dovuto eintende valersene con serietà e sanocriterio.NESSUNA delle signore partecipantiha avuto il coraggio di dubitare (se non proprio di riconoscereapertamente) di poter trovarsi davantial marito, al fidanzato, alla… speranzaprossima o lontana, in posizione diavere politicamente qualche cosa daimparare. TUTTE, con una sicurezzache rasenta la presunzione, hannodichiarato di essere pronte a scenderein lizza per «convincere» il marito, ilfratello, il fidanzato, la speranzaprossima o lontana della giustezzadelle loro idee personali e avvincerli alla loro causa. Or questo potrebbe essere sintomo didue diversi fatti:1) di una più alta coscienza moralenella donna e di un più disinteressatoaccostarsi alla vita politica: infatti èquasi da escludere – salve rarissimeeccezioni – che la donna aspiri araggiungere posti di primo piano inquesta primavera di rinascita politicanazionale; quindi i fini che essapersegue, le cause che difende non sonogià di indole privata, ma mirano aquelli che rappresentano i massimiproblemi universali e sociali, basiindispensabili a garantire la saldezza

della compagine familiare e a tutelarnei diritti più intimi e profondi.2) ma potrebbe anche essere sintomodi quella posizione di predominio –effettivo o, per lo meno, ambitissimo –cui la donna mira nell’ambito della suavita familiare.Tengo quindi a dire qui,pubblicamente, che la Commissioneaggiudicatrice dei premi per lepartecipanti, avendo fatto questorilievo, intende lodare senza eccezioneil primo atteggiamento,comprendendone il valore e la rettaorientazione; ma intende biasimaresenza eccezione il secondo, poiché nonva mai male ricordarci, così fra noi,alla buona, che il capo della famiglianon è già la donna, ma l’uomo. […]

Con che atteggiamento interiore vipresenterete alle urne?

Gemma Cavallo – Milano

Mi presenterò alle urne con pienacoscienza dell’azione che starò percompiere e con serenaconsapevolezza della responsabilitàche il diritto al voto impone.Un solo voto in più o in meno alpartito che dà maggior affidamentoper i programmi e per gli uomini chesi propongono di attuarli, contribuiràad aumentare o a diminuirel’influenza benefica nella vita dellaNazione.

Irene D’Amato – Matera

Mi presenterò alle urne con spiritosereno, e soprattutto fiducioso che ilmio voto contribuirà alla rinascita dellaPatria, povera nave in balia dellatempesta. Altra volta le donne d’Italiasi presentarono ad altre urne e videpositarono il pegno sacro del loroamore: la fede nuziale che dovevaservire a venire in aiuto alla Madre inarmi. E vi andarono con spiritofiducioso anche allora. Ma purtroppoquello fu un tradimento: bisogna che il voto di oggi lo redima e siaveramente l’impulso di ripresa e di ricostruzione morale e materiale per lei.

Come vi comporterete con lui(marito, fratello, fidanzato, speranzaprossima o lontana) se vi troverete inpolitica di parere contrario?

Gemma Cavallo – Milano

Trovandomi con un lui (fidanzato omarito o fratello) di parere contrarioal mio in politica, cercherei con laparola suadente di correggere leopinioni e i principi errati e non milascerei influenzare dalle sueconvinzioni.Anche se da parte del «lui» ci fosseuna costrizione a farmi votare per ilsuo partito, con la forza propria di chipossiede e sa di possedere la verità,valendomi della segretezza e dellalibertà del voto, non esiterei aproclamargli che voterei per il partitoche si armonizza con la mia opinione.

Irene D’Amato – Matera

Con lui, se fossi in politica di parerecontrario, mi comporterò in modo dafargli comprendere come sia esatta lamia visione, e cercherò, con ogniprobabilità di riuscita, di portarlo sullamia via. Questo perché si tratta dimio marito, ed io non posso pensareche egli, che forma con me una cosasola, abbia ad avere opinioni econvinzioni contrarie alle mie, anche esoprattutto perché, per me, la politicaè strettamente connessa alla religionee sotto molti aspetti è da essadipendente, ed io, sia nell’una chenell’altra, non potrei non vivereall’unisono con lui.

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Paura del voto femminile| il 1946 |

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Alla vigilia delle prime elezioni in cui anche le donnevennero chiamate ad esprimere il proprio parere, nes-suna forza politica poté ignorare quale enorme im-portanza avrebbe assunto l’elettorato femminile, che,con 14.610.845 persone che acquisirono il diritto a re-carsi per la prima volta in una cabina elettorale, costi-tuiva circa il 53% del totale.De Gasperi e Togliatti, come si è visto, erano fonda-mentalmente concordi sull’estensione del suffragio,ma dovettero scontrarsi con la diffidenza che il prov-vedimento suscitò, per motivi diversi, all’interno deiloro partiti. Nel PCI i dubbi circa i risultati delle urne erano lega-ti al timore che le donne si lasciassero troppo influen-zare dai loro parroci e dalla Chiesa.Le perplessità democristiane erano invece legate allapossibilità che, con la nuova partecipazione alla vitapolitica, esse si allontanassero progressivamente daivalori tradizionali, incrinando così l’unità della fami-glia (DOC. 11a).

Per Nenni e per i socialisti il voto femminile era sicu-ramente un fatto positivo, ma potenzialmente perico-loso. Il Partito Liberale, il Partito Repubblicano e ilPartito d’Azione si mostrarono a volte indifferenti, avolte diffidenti verso il voto alle donne, per timore cherisultasse un vantaggio per i partiti di massa.In più casi venne addirittura rinfacciato alle italianedi essere arrivate al diritto di voto senza aver fattogran che per ottenerlo, di non aver avuto un movi-mento suffragista veramente combattivo e consape-vole, come ad esempio quello inglese, e molti ribadi-rono che le donne erano assolutamente impreparatea compiere il loro dovere elettorale (DOC. 11b).

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Femminilità. Il voto alle donne

di Francesca Castellino

Alba, 20 gennaio 1946.

11a

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Francesca Castellino, sulle pagine dellarivista cattolica Alba, nel gennaio del1946, rassicura coloro che sono scetticiriguardo alla partecipazione attiva delledonne in politica: la buona cristianasarà certamente un baluardo a salva-guardia dell’unità della nazione e dellapace domestica.

Due uomini, dietro di me, parlavanodi qualcosa che mi interessava: delvoto alle donne. Misurai il passo percogliere qualche frase. Valeva la penadi far la curiosa.

– Che ne dice lei del voto alledonne?– Sciocchezze. Non trovan tempo

di pensare ai loro affari. Se ora poi sificcan nella mente la politica, stiamfreschi.

– Quel che penso anch’io. Ledonne hanno già il loro lavoro in casa;tutto quel che serve a distrarle daessa è un pericolo per la pacedomestica.

– Beati quei tempi delle nostrenonne. All’uomo gli affari di fuori. Alladonna quelli di dentro. Trovo che, auscire fuori dal suo centro, la donnadiventa un uomo sbagliato.

Affrettai il passo. Ne avevoabbastanza. Proprio come mezzosecolo fa, quando la donna osavaaffrontare i severi studi classici efrequentava le aule universitarie.

Gli uomini saltavan su: – Una bellapretesa! Come se la donna avessel’intelligenza per certi studi. Badi afare le calze e trafficar tra le pentole,che è nata per questo!

E le madri dei giovani candidati almatrimonio le guardavan di sbieco.Che razza di spose e di madrisarebbero mai. Né uomini né donne;e vorrebbero tener loro il mestolo edettar legge al marito. Noi madri –dicevano – non abbiam fatto che lecinque elementari, ma per il nostrocompito ne abbiamo avutoabbastanza. […]

Certo, per non nuocere all’umanità,la donna non deve dimenticare la suaparte di donna, nella quale l’uomonon può surrogarla e, oltre l’ufficio diselezione, deve adempiereesattamente, scrupolosamente, quelloimpostole dalla natura, voglio direl’inimitabile e invalutabile missionedella maternità.

Ma, pur restando donna, può, anzi,deve, partecipare alla vita che le ferveintorno. In modo particolare oggi,dopo questa orrenda buferascatenatasi in tutta la terra,coinvolgendo, insieme con gli uominivalidi alla guerra, donne, vecchi,

bambini. Le donne non hannodimostrato minor coraggio degliuomini. […] L’edifizio della Nazioneminaccia di crollare: tutte le forze,unanimi, devono cooperare a tenerlosu. Sarebbe egoistico e pericoloso che la donna se ne stesse relegata inun cantuccio, sia pure nel cantuccioriserbatole dalla natura e dalletradizioni. Bisogna che anch’essa simuova, si agiti, non soltantoindirettamente, indirizzando il figlio, il marito, il fratello per quella via chele sembra condurre al bene dellaciviltà, ma anche direttamenteprendendo, essa stessa, secondo lesue attitudini intellettuali o attive, vivaparte nella vita sociale e politica,avviandosi all’urna elettorale con unapersuasione ispirata non dal propriointeresse, ma da quello della suapatria, meglio dell’umanità.

Ma anche ora, come cinquant’annifa per la donna che studiava, vi sonodegli increduli, degli scettici, degliincorreggibili lodatori del tempopassato, degli ostili. Non ne haancora abbastanza, la donna, diusurpare il terreno mascolino? E ammettiamo che ne abbia lacapacità. Ma se ora si lascia infatuaredalle nuove idee, la casa chi laguarda? E i bimbi chi li sorveglia?

Qui li volevo. […]Cari signori, saranno le donne

tenere, affettuose, comprensive esensibili e intelligenti quelle che, puravendo anche un lavoro extradomestico, troveranno modo e tempoper tutto, e, soprattutto, persorvegliare la casa, distribuendo conamore e buon senso le lorooccupazioni nel corso della giornata eanche di parte della notte. Saranno ledonne cattoliche, loro, amanti delfocolare per il cui benessere hannoaffrontato nuova fatica, che dellascheda elettorale si serviranno comedi un mezzo per soddisfare al lorodovere di coscienza, per combattereuna politica di lotte di classi e diguerra: la politica che fa crollarel’edifizio della nazione e distrugge lapace del focolare. […]

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Facciamo quattro chiacchiere, Signora– Anche lei!

di Giovannino Guareschi

Gioia, 7 aprile 1946.

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All’interno di questo dibattito si inseri-sce il seguente pezzo dello scrittore eumorista Giovannino Guareschi, pub-blicato il 7 aprile 1946 su Gioia. L’ironia con la quale Guareschi dipingeil mutevole umore elettorale della pro-pria moglie può essere letto come unametafora della diffusa “paura” per l’in-cognita elettorale rappresentata dalledonne.

Signora, stia bene attenta perché oggile voglio parlare di politica. Però nonsi allarmi, e neanche lei, signoraDirettrice: io le cose le faccio perbene. Io non ho particolari simpatieper quello o per quello stato estero,ma sono un uomo giusto e sereno eperciò detesto tutti allo stessoidentico modo e, se le devo dire laverità, fra tutti i popoli nemicidell’Italia preferisco ancora gli italiani.

Io dunque le parlerò di politica ecomincerò con l’avvertirla che in casamia chi comanda sono io: il chesignifica che se dico una cosa a miamoglie ne fa un’altra. Press’a pocoquel che succede in tutte le case,salvo quelle degli scapoli dove chicomanda è l’uomo e chi si guardabene dall’obiettare è la cameriera, lagovernante o qualche altra donna chenon qualifico perché le situazioniequivoche non mi piacciono.

Io dissi a mia moglie che tutte ledonne hanno il dovere di votare e leimi rispose che lei allora, per tutto ilperiodo delle votazioni si sarebbetrasferita a Mestolo, un paesino doveil signor Mugello, che è la persona piùistruita, non sa ancora che il conteCamillo Benso di Cavour è morto.

Due giorni dopo, ritornatisull’argomento, io affermai conostentata arroganza che le donne,invece di andare a votare, farebberomeglio ad occuparsi di cucina e chenon avrei mai permesso che miamoglie si appressasse a un’urnaelettorale. Immediatamente miamoglie affermò si sarebbe recata allasezione elettorale la sera precedenteper essere ben sicura di votare per laprima.

Poi scese un momento dallaportinaia e, quando ritornò su, disseche avrebbe votato per i comunisti.Disse inoltre che se in casa non fossecambiato radicalmente il sistema,avrei visto cose da pazzi.

– Basta – declamò – con la vecchiainfamia della donna che devedipendere dall’uomo! – Qui siamotutti uguali. Quello che hai tu lo devoavere anch’io!

Io le feci osservare chenell’amministrazione domestica io eroin istato di superiorità rispetto a lei

soltanto per quello che riguardava ibaffi.

– Io porto i baffi e tu no! – le dissi– Ad ogni modo da domani seiautorizzata a portarli anche tu.

Il giorno dopo, ritornando dallavoro, trovai l’esimia signoraradicalmente cambiata.

– In tram – spiegò – un giovanottocol distintivo comunista se ne è statocomodamente seduto, mentre io,carica di fagotti, ero in piedi davanti alui. Voterò per i monarchici: sonogente molto più educata di voicomunisti!

Rincasando la sera seguente, micomunicò gravemente che la signoraMaria le aveva spiegato tutto:

– Ho saputo le belle cose che avetecombinato voi monarchici! – mi dissecon disgusto – Voterò per i socialisti.

In quei giorni continuò a piovere e,dovendo rimanere in casa, noncambiò idea fino al termine dellasettimana... ma il lunedì me la vidicomparire davanti indignata:

– Ah – mi rampognò – bella robache combinate voi socialisti! Taci ogrido: non ti difendere o tismaschererò alla presenza delcasamento intero!

Affermò che avrebbe votato per iliberali.

Il mercoledì io stavo nel mio studioquando l’esimia signora entrò e,sedutasi in una poltrona, mi guardò alungo con espressione moltosarcastica.

– Oggi – mi disse alla fine – giromagari tutta Milano, ma non rientrose non ti ho trovato un bel paio dipantofole ricamate e una bellapapalina.

Le dissi che non si disturbasse: atrentasette anni si può ancora fare ameno di papalina e di pantofolericamate.

– Ma neppure per sogno – rispose.– Un uomo che aderisca al partitoliberale, anche a trentasette anni, è unvecchio bacucco e ha il dovere, peressere in carattere, di portarepantofole e papalina. Ciao, nonno! –concluse alzandosi. – Ti dispiace se latua nipotina è comunista libertaria?

Il venerdì, a tavola, la signora sidomandava con angoscia come mai

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avesse sposato un comunistalibertario.

– Proprio a me doveva capitare permarito un comunista libertario! –gemette. – Vergognati! E se haiancora un barlume di buon sensosegui l’esempio di tua moglie e votaper i democristiani!

La domenica, ritornando da unavisita alle amiche di porta Romana, simeravigliò con me:

– Io non capisco – disse – comevoi democristiani non vi siate ancoraresi conto che l’unica posizionepolitica possibile è quella dell’UomoQualunque. Giovannino, se non sei incatalessi cronica, dai retta a me e votaper il fronte dell’U.Q.!

Lunedì riposo. Martedì, vedendomiarrivare, mi sghignazzò in faccia:

– Ciao, qualunquista! Quand’è cheinsegni quattro delle vostre parolacceanche ai tuoi figli? Ma vi daremo lasveglia noi repubblicani! È vero, Cicci,che noi repubblicani gli daremo lasveglia a papà?

– Papà salame! – rispose lanominata Cicci, di anni due. E la di leimadre ne approfittò per farmi notarecome persino i bambini di due annicapivano quello che io, a trentasette,non riuscivo a capire ancora.

Signora, oggi è mercoledì e io michiedo:

– Fra due ore, quando lasceremo lostudio, «noi repubblicani» di qualecolore politico troveremo la nostraconsorte?

Probabilmente laburista oazionista. Chi lo sa? E se avesseroinventato questa mattina un partitonuovo?

Signora, stando così le cose, lo salei, per chi voterà mia moglie?

Glielo dico io: esaurita la serie, miamoglie concluderà che sono tutta

gentaccia e non voterà per nessuno.E ciò è male, signora mia, perché

oggi è un dovere esercitare il propriodiritto di voto. Ma mia moglie finiràcosì perché le riesce più facile cercarela verità fuori, anziché in se stessa. Laverità, signora, sta in noi.

Signora mia, lo sa perché insisto?Perché io voglio che anche lei voti. Enon che voti per chi voterò io; miinteressa che voti, che prendainsomma la sua parte diresponsabilità.

Così domani, lei, incontrandomi,non mi dirà più come erano solitedire le donne quando le coseandavano male: – Bel pasticcio che ciavete combinato voi uomini!

Signora, oggi siamo uguali e la suabrava parte di responsabilità se ladeve prendere anche lei. Anche qui ledonne debbono dare una mano agliuomini: il sesso forte deve aiutare ilsesso debole.

Grazie signora, a nome di tutto ilsesso debole.

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11b [pag. 2]

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Il voto femminile negli altri Paesi| il 1946 |

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Con il riconoscimento del voto alle donne in Italia, cisi interessò da più parti anche al suffragio femminilein altre nazioni.Quelle che riportiamo di seguito sono alcune immagi-ni tratte da L’Europeo del dicembre 1945, con le didasca-lie originali, e brevi informazioni su quale era allora lasituazione in alcuni Paesi.

Il primo Stato al mondo a concedere il diritto di votoalle donne fu il Wyoming, nel 1869, ma perché tuttele donne statunitensi potessero recarsi alle urne si sa-

rebbero dovuti aspettare altri cinquant’anni. Dopo ilvoto al Congresso dell’emendamento Anthony, il XIXemendamento alla Costituzione americana entrò invigore solo due anni più tardi, nel 1920.

ARTICLE XIX (August 26, 1920)«The right of citizens of the United States to vote

shall not be defined or abridged by the UnitedStates or by any State on account of sex.

Congress shall have the power to enforce this article by appropriate legislation».

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“Una signora americana studia la scheda prima di votare. Non èla prima volta. Roosevelt è stato rieletto anche col suo voto. La riforma della costituzione dipende tra l’altro dalle meditazionidi una donna”.L’Europeo, 2 dicembre 1945

Page 45: Italia 1946: le donne al voto

Allo scoppio della prima guerra mondiale, il suffragiofemminile era, di fatto, riconosciuto a livello naziona-le solo in Nuova Zelanda, Australia, Finlandia, Dani-marca e Norvegia.

La Nuova Zelanda era stato il primo Paese in assolu-to a introdurlo, nel 1893. L’Australia nel 1903.Le finlandesi furono le prime europee ad arrivare aquesto traguardo nel 1907, mentre le danesi ottenne-ro il voto amministrativo nel 1908. Nel 1910 la Nor-vegia adottò il suffragio universale e le donne potero-no beneficiare del pieno diritto di cittadinanza a par-tire dal 1912, quando diventarono eleggibili a tutte lefunzioni dello Stato.

Durante la rivoluzione, il Governo provvisorio sovie-tico stabilì che le donne potevano essere elettrici edeleggibili. Nel 1918 il codice di famiglia sovieticoabolì la potestà maritale e sancì un’assoluta parità frai coniugi e nei confronti dei figli.

In Gran Bretagna le donne avevano ottenuto il dirittoal voto municipale nel 1869, mentre nel 1882 il Mar-ried Women’s Property Act riconobbe loro la capacità di

disporre dei propri beni e di stipulare contratti. Ilcammino verso il compimento della cittadinanza sa-rebbe stato, tuttavia, ancora lungo. Nel 1903 Emmeline Pankhurst fondò la Women’s So-cial and Political Union, il movimento delle suffraget-te che esercitò un’azione capillare e decisa a favore delvoto, rendendosi protagonista anche di scioperi e diviolente prese di posizione. Allo scoppio della primaguerra mondiale, la Pankhurst invitò tuttavia le suf-fragette a sospendere la protese e a supportare il Go-verno inglese nello sforzo bellico. Il lavoro svolto du-rante la guerra venne riconosciuto dalle istituzionibritanniche e nel 1918 venne varato il Representationof the People Act, che estendeva il diritto di voto alledonne sopra i 30 anni che percepissero un reddito.Un primo importante passo era stato compito, ma so-lo nel 1928 le inglesi avrebbero potuto votare a 21 an-ni, raggiungendo la piena uguaglianza con gli uomi-ni, in relazione al voto politico.

In Francia, nonostante le rivendicazioni femminiliche si intensificarono dopo il riconoscimento del suf-fragio universale maschile, le donne ottennero il votosolo nel 1944.

12. [pag. 2]

“Una contadina russa partecipa alle elezioni del Soviet locale. Le elezioni sono state precedute da conferenze e da un corso di lezioni teorico-pratiche. La contadina firma il registro della sezione. Domani riprenderà all’estero la polemica sul grado di libertà della Russia sovietica”.L’Europeo, 2 dicembre 1945

“Il voto di una monaca. Nessun religioso si astiene nell’Europa di oggi dal recarsi alle urne. In Francia, il più giovane dei tre partitidi massa, il Repubblicano popolare, ha ottenuto un successo chenessuno aveva preveduto. La percentuale dei votanti è stataaltissima. Anche negli altri paesi si aprono i conventi di clausura”.L’Europeo, 2 dicembre 1945

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Page 46: Italia 1946: le donne al voto

In Italia le donne cominciarono ad esercitare il diritto di voto a partiredalle elezioni amministrative che si tennero in tutta la Penisola fra mar-zo e aprile 1946. Il 2 giugno dello stesso anno si recarono di nuovo alleurne per il referendum monarchia-repubblica e l’elezione dell’AssembleaCostituente (DOC. 13a, 13b).

“IN ITALIA SI VOTACASTELGANDOLFO – Per la prima voltadopo ventiquattro anni si sono avute libereelezioni in Italia. Tanto nelle città come neipiccoli centri tutti hanno votato in unambiente assolutamente calmo. In molticasi le donne, specialmente le contadine,sono state le prime a recarsi alle urne”.L’Europeo, 25 marzo 1946

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Page 47: Italia 1946: le donne al voto

L’elettrice

di Marino Moretti

Il Nuovo Corriere della Sera, 11 giugno 1946.

13a

Quello che segue è un estratto di unarticolo del poeta e scrittore MarinoMoretti, pubblicato su Il Nuovo Corrie-re della Sera e racconta del comporta-mento di alcune donne alla loro primaesperienza elettorale, ma anche di unacerta confusione che regnò in quei pri-mi seggi.

La prima cosa che mi disse unadonnetta quel giorno – un giornomolto aspettato – non fu, almeno sulmomento, ben comprensibile; tantopiù che si accompagnava a una lievespintarella, del resto educatissima, cuiseguiva un altrettanto lieve batter diciglia, molto simile a un ammicchio: – Questa è l’ultima… –. Capii più tardi, nel discorso comune,che questa era l’ultima coda.

E benché il premio di questa codanon fosse un mazzo di rape o unpugno di castagne (nemmeno unascatola di fiammiferi) come quandoqueste donnette attendevano ore eore, magari sotto la pioggia, tenuted’occhio da guardie o da altra gented’ordine, per un risultato così magro,io capii perfettamente che c’era ogginon so quale allegrezza nei cuori peril fine tutto ideale di quest’altra attesache non somigliava a quelleindimenticabili della carestia. Perquesto forse pareva una coda quasibella. Ed era l’ultima. Lunghe attese almercato o in pubblico ufficio, per notimotivi ideali o per motivi volgaruccinon men comprensibili, non ce neavrebbero chieste sicuramente maipiù. […]

Quella che m’aveva salutatoammiccandomi con estremabenevolenza mostrò di continuarmi lastessa benevolenza istruendomi suciò che avemmo dovuto compiere,uomini e donne, più tardi, quasi cheio non sapessi, non l’avessi appresodai giornali, non me l’avessero ancoradetto, “come si fa”. Lei lo sapevaperché suo marito era uno degliuomini del seggio. A lei avevaspiegato suo marito ch’era, nella suamodestia, e per un’intera giornata,un’autorità; e le aveva anche fatto farela prova con due pezzi di carta,

simulando da cabina un sempliceparavento. Ecco, si faceva un crocenel quadratino scelto, si scriveva ilnome o i nomi preferenziali costì, sichiudeva così, si passava la puntadella lingua sulla parte ingommata, sichiudeva con lo scrupolo con cui sichiude una lettera d’affari o, meglioancora, d’amore, chi ha ancora iltempo di fare all’amore… […]

Ma, in verità, tolta quella che avevaper marito uno del seggio e chevoleva far bella figura, codestedonnette si guardavano bene dalparlare del fatto del giorno, dato che ilfatto del giorno non era unasomministrazione supplementare oritardata di pasta o di riso. Pareva chefossero qui a compiere il doveresenza opinioni politiche, senza unadecisa preferenza per il re o per larepubblica o per N.S. Gesù Cristo,senza dramma interno, senzailluminazioni e senza amore. Come lacittà domenicale giaceva stretta per glieccessi della propaganda, così lalunga attesa e più forse l’abitudinealle troppo numerose code annonarieaveva spento in noi ogni passione.Avevamo, sì, piena coscienza delnostro compito, ma ora si trattavaprincipalmente di non farcisorpassare dagli altri. Anche unminuto, un secondo, valeva perciascuno di noi che attendevamo giàda due, da tre, da quattro, cinque, seiore. Giustamente, le donne in statointeressante avevano il diritto diprecedenza e ne scappava fuoriqualcuna che aveva intorno parenti opaladini interessati o, come dicevataluno celiando, perfino la levatrice.[…] E ci si domandava, per ingannarel’attesa, se era giusto che le levatriciaccompagnassero le gestanti incabina.

Molto gentile, umano, paziente,accogliente, perfino arguto l’agentedell’ordine che tratteneva con bencelata energia la testa della coda, secosì si può dire, su la sogliadell’antico chiostro su cui s’aprivacodesta importante sezione, dellaquale sapevamo almeno ch’era statavigilata durante la notte, come unacamera del tesoro, da un interopicchetto di carabinieri. Tratto tratto

lasciava traboccare dieci persone –dieci da contarsi una per una – peruna nuova attesa nel chiostro e poinella sala dove, appena entrati, cisaremmo certo sentiti battere il cuore.Era, in verità, con quel modestoapparato, una sala squallida chesapeva di scuola (mancavano ibanchi, ma c’erano stati fin versogiovedì) o di aula della giustizia congli scrutatori invece dei giudici, e ciòche attirava maggiormente lo sguardoerano, sul tavolino di mezzo, le dueurne famose, tra cui il presidente silevava molto democraticamente,compito e quasi inchinevole, perfinograzioso; o così parve a noi abituati apubblici ufficiali molto bruschi: urnech’eran poi mediocri scatole di legnocol buco sopra, molto simile a queldel salvadanaio o della cassetta per leelemosine: e pareva stranissima l’ideadel nostro destino passato come lapolvere nella clessidra a traverso ilpertugio… […]

Ora aspettiamo il nostro turnonella stessa sala dietro una di quellecancellatine basse di legno chepreservano economicamente ungiardino della periferia. Era come unarappresentazione, non priva di unacerta familiarità, che si godesse nonoltre quel limite quasi gentile. E laprima parte, come già nella maggiorcoda, l’aveva sempre la donna. […]Una d’esse non esce dalla cabina (è lìda mezz’ora) come se vi sia caduta indeliquio. Un’altra grida, sempre dallacabina: – Colla! Colla! La scheda nonsi chiude. Colla! Colla! Portatemi lacolla! – una terza elettrice, questa colcappellino storto, non vuole a nessuncosto entrare in cabina. Ha paura: sì,ha paura d’un trabocchetto. Lei nonha nulla da nascondere infine… Leivuole infine mostrare la faccia… Equando, vinto anche l’orrore dellacabina, mi passa accanto con l’ariad’incitarmi a far presto, perché toccaa me finalmente, rivolge una stranadomanda all’agente armato – quasiun fanciullo – che custodisce la sacrasoglia della sezione.

Non sarebbe meglio che ciascunocompisse il proprio dovere allapresenza di tutti?

Forse ha ragione lei, l’elettrice.

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Il 1946 di…13b

Quelle che seguono sono le testimo-nianze di alcune note scrittrici a propo-sito della loro prima esperienza di vo-to, pubblicate su Mercurio, mensile dipolitica, lettere, arte e scienze, n. 27-28,novembre-dicembre 1946.

… Alba De Céspedes

Né posso passare sotto silenzio ilgiorno che chiuse una lunga edifficile avventura, e cioè il giornodelle elezioni. Era quellaun’avventura cominciata molti annifa, prima dell’armistizio, del 25luglio, il giorno – avevo poco più divent’anni – in cui vennero aprendermi per condurmi inprigione. Ero accusata di aver dettoliberamente quel che pensavo. Daallora fu come se un’altra personaabitasse in me, segreta, muta,nascosta, alla quale non eraneppure permesso di respirare. Èstata sì, un’avventura umiliante epenosa. Ma su quel segno in crocesulla scheda mi pareva di averdisegnato uno di quei fregi chesostituiscono la parola fine. Uscii,poi, liberata e giovane, comequando ci si sente i capelli benravviati sulla fronte.

… Maria Bellonci

Anche per me, come per tutti gliscrittori, e come per tutti quelli chesono avvezzi a metterecontinuamente se stessi alparagone delle cose, gliavvenimenti più importanti diquest’anno 1946 sono fattiinteriori; ma è un fatto interiore – ecome – quello del 2 giugno quandodi sera, in una cabina di legnopovero e con in mano un lapis edue schede, mi trovaiall’improvviso di fronte a me,cittadino.

Confesso che mi mancò il cuore e mivenne l’impulso di fuggire. Nonche non avessi un’idea sicura, anzi;ma mi parvero da rivedere tutte leragioni che mi avevano portato aquest’idea, alla quale mi parevaquasi di non aver diritto perchénon abbastanza ragionata,coscienziosa, pura. Mi parve diessere solo in quel momentoimmessa in una corrente limpidadi verità; e il gesto che stavo perfare, e che avrebbe avuto unaconseguenza diretta misgomentava. Fu un momento dismarrimento: lo risolsiaccettandolo, riconoscendolo; e lamia idea ritornò mia, comerassicurandomi.

… Anna Banti

Quanto al ’46 e a quel che di“importante” per me, ci ho visto eci ho sentito, dove mai ravvisarlose non in quel due giugno che,nella cabina di votazione, avevo ilcuore in gola e avevo paura disbagliarmi fra il segno dellarepubblica e quello dellamonarchia? Forse solo le donnepossono capirmi: e gli analfabeti.Era un giorno bellissimo, si votavain vista di un giardino dove ibambini giocavano fra i grandi che,calmi e sorridenti, aspettavano,senza impazienza, di entrare. Unariunione civilissima; e gli elettorieran tutti di campagna, mezzadri emanovali. Quando i presentimentineri mi opprimono, penso a quelgiorno e spero.

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Page 49: Italia 1946: le donne al voto

Attivista della DC. Incaricata regionale del partito per igruppi femminili.

Eletta deputato alla Costituente nel XXI Collegio elettoraledell’Aquila.

4. Maria De Unterrichter Jervolino – Ossana (Trento), 20agosto 1902 (44 anni)

Laureata in lettere.Presidente delle universitarie cattoliche; dal 30 aprile 1946,

membro della Direzione centrale della DC.Eletta deputato alla Costituente nel Collegio unico

nazionale.

5. Maria Federici Agamben – l’Aquila, 19 settembre 1899(47 anni)

Professoressa di lettere.Dopo l’8 settembre 1943 impegnata nella lotta clandestina

a Roma.Delegata nazionale delle ACLI e presidente nazionale del CIF.Eletta deputato alla Costituente nel Collegio unico

nazionale.

6. Angela Gotelli – Albareto (Parma), 28 febbraio 1905 (41anni)

Laureata in lettere, insegnante di scuola media.Impegnata nell’azione clandestina, nelle file della

Resistenza nel Parmense.Eletta deputato alla Costituente nel III Collegio elettorale di

Genova.

7. Angela Maria Guidi Cingolani – Roma, 31 ottobre 1896(50 anni)

Laureata in letterature slave.Membro della Consulta nazionale in rappresentanza della DC.Eletta deputato alla Costituente nel XX Collegio elettorale

di Roma.

8. Maria Nicotra Fiorini – Catania, 6 luglio 1913 (33 anni)Casalinga.Presidente diocesana della Gioventù femminile di Azione

Cattolica dal 1940 al 1948.Eletta deputato alla Costituente nel XXIX Collegio

elettorale di Catania.

9. Vittoria Titomanlio – Barletta (Bari), 29 aprile 1899 (47anni)

Insegnante, proveniente dalle fila dell’Azione Cattolica.Eletta deputato alla Costituente nel XXIII Collegio

elettorale di Napoli.

Le donne elette all’Assemblea Costituente

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Il 2 giugno 1946, su 556 membri totali vennero elette21 donne all’Assemblea Costituente.La DC, che aveva ottenuto il 35,2% dei voti e 207 costi-tuenti, aveva fra i suoi rappresentanti 9 donne.Il PSIUP aveva il 20,7%, 115 seggi e 2 donne. Il PCI ot-tenne il 19% dei consensi, 104 costituenti e fra di essi9 donne.40 seggi andarono a vari gruppi moderati, 30 seggi alPartito dell’Uomo Qualunque, di cui uno assegnato auna donna. 23 seggi furono assegnati ai repubblicanie 7 al Partito d’Azione: fra le loro fila nessuna donna.

Le ventuno costituenti appartenevano prevalentemen-te alla classe media. Tredici erano laureate, soprattuttoin materie umanistiche; c’erano poi un’impiegata euna casalinga; due delle comuniste erano state ope-raie. Avevano nel complesso una buona cultura e pro-venivano, per la maggior parte dal Centro-Nord delPaese, dove lo sviluppo economico era stato più preco-ce e dove si era vissuta la Resistenza (DOC. 14a).

Democrazia Cristiana

1. Laura Bianchini – Castenedolo (Brescia), 23 agosto1903 (43 anni)

Laureata in filosofia, insegnante e pubblicista. Partigiana, membro del comando «Fiamma Verde»,

incaricata dell’assistenza presso il Comando generaledel Corpo dei volontari della libertà.

Membro del Consiglio nazionale della DC, responsabileper i Gruppi femminili.

Eletta deputato alla Costituente nel VI Collegio elettorale diBrescia.

2. Elisabetta Conci – Trento, 23 marzo 1895 (51 anni)Laureata in lettere, professoressa.Delegata provinciale per il Movimento femminile della DC.Eletta deputato alla Costituente nell’VIII Collegio elettorale

di Trento.

3. Filomena Delli Castelli – Città S. Angelo (Pescara), 28settembre 1916 (30 anni)

Laureata in lettere, insegnante di scuola media.

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Page 50: Italia 1946: le donne al voto

Partito Socialista

10. Bianca Bianchi – Vicchio (Firenze), 31 luglio 1914 (32anni)

Laureata in pedagogia e filosofia, insegnante.Partigiana, impegnata nella lotta clandestina.Eletta deputato alla Costituente nel XV Collegio elettorale

di Firenze.

11. Angelina Livia Merlin– Pozzonovo (Padova), 15 ottobre1881 (65 anni)

Professoressa di scuola media (durante il regime fascista,si era rifiutata di prestare giuramento qualeinsegnante).

Eletta deputato alla Costituente nel VI Collegio uniconazionale.

Partito Comunista

12. Adele Bei – Cantiano (Pesaro), 4 maggio 1904 (42 anni)Operaia e organizzatrice sindacale.Per la sua attività comunista, condannata a diciotto anni

di carcere. Liberata il 20 agosto 1943, dopo l’8settembre attiva nella lotta clandestina, per cui avrebbeavuto il riconoscimento di partigiana combattente.

Eletta deputato alla Costituente nel XVIII Collegioelettorale di Ancona.

13. Nadia Gallico Spano – Tunisi, 2 giugno 1906 (40 anni)Aderente al PCI dal 1937, condannata in Francia dal

Tribunale speciale del regime di Pétain insieme almarito, impegnata nell’attività clandestina. Rientrata inItalia nel 1944, era stata nominata responsabiledell’attività femminile del partito per il Meridione,assumendo la direzione di Noi Donne.

Eletta deputato alla Costituente nel XX Collegio elettoraledi Roma.

14. Leonilde (Nilde) Iotti – Reggio Emilia, 10 aprile 1920(26 anni)

Laureata in lettere, professoressa, promotrice durante laResistenza dei Gruppi di difesa della donna.

Eletta deputato alla Costituente nel XIV Collegio elettoraledi Parma.

15. Teresa Mattei – Genova, 1° febbraio 1921 (25 anni)Laureata in filosofia.Antifascista, entrata nel PCI nel 1943, impegnata nella lotta

clandestina. Tra le promotrici dei GDD a Firenze e tra leprime iscritte all’UDI.

Eletta deputato alla Costituente nel XV Collegio elettoraledi Firenze.

16. Angiola Minella Molinari – Savona, 3 febbraio 1920(26 anni)

Laureata in lettere, insegnante, infermiera durante laguerra.

Partecipe della lotta clandestina, prima con i gruppibadogliani del Piemonte, poi nelle formazionigaribaldine della zona di Savona.

Eletta deputato alla Costituente nel III Collegio elettorale diGenova.

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14. [pag. 2]

17. Rita Montagnana Togliatti – Torino, 6 gennaio 1895 (51anni)

Apprendista a 13 anni, iscritta al Gruppo femminilesocialista «La Difesa» e nel 1921 passata al PCI,delegata a Mosca al Congresso internazionalecomunista. Dal 1926 in esilio tra la Francia, la Spagna el’Unione Sovietica; ritornata in Italia nel 1944, tra lefondatrici dell’UDI e membro della direzione del PCI.

Designata alla Consulta nazionale.Eletta deputato alla Costituente nel XIII Collegio elettorale

di Bologna.

18. Teresa Noce Longo – Torino, 29 luglio 1900 (46 anni)Operaia, iscritta nel 1921 al PCI, in esilio dal 1926

dapprima a Mosca, poi in Francia e in Svizzera;combattente nella guerra di Spagna. Arrestata inFrancia in quanto impegnata nella lotta partigiana,deportata in Germania e liberata il 5 maggio 1945.Membro del Comitato centrale e della Direzione delPCI, designata alla Consulta nazionale.

Eletta deputato alla Costituente nel XIV Collegio elettoraledi Parma.

19. Elettra Pollastrini – Rieti, 15 luglio 1908 (38 anni)Operaia, nel 1924 emigrata in Francia.Nel 1930 impegnata nella Lega internazionale delle donne

per la pace e la libertà e nel 1933 delegata al Congressomondiale di Parigi. Nel 1941 rientrata in Italia, nel 1943arrestata dalla polizia tedesca e condannata a tre anniin Germania. Designata alla Consulta nazionale.

Eletta deputato alla Costituente nel XIX Collegio elettoraledi Perugia.

20. Maria Maddalena Rossi – Codevilla (Pavia), 29settembre 1906 (40 anni)

Laureata in chimica.Eletta deputato alla Costituente nel IX Collegio elettorale di

Verona.

Uomo Qualunque

21. Ottavia Penna Buscemi – Caltagirone (Catania), 12aprile 1907 (39 anni)

Casalinga.Eletta deputato alla Costituente nel XXIX Collegio

elettorale di Catania.

Donne e Costituente, a cura di Marina Addis Saba, Mimma DeLeo e Fiorenza Taricone, Roma, Commissione nazionale per laparità e le pari opportunità tra uomo e donna, 1996.

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Il ricordo di una costituente

di Teresa Noce

Teresa Noce, Rivoluzionaria professionale, Milano, La Pietra, 1975.

14a

Teresa Noce, una delle donne elette all’Assemblea Costituen-te, nella sua autobiografia, Rivoluzionaria professionale, ri-corda alcuni degli avvenimenti che precedettero le elezioni.

Le elezioni per l’Assemblea Costituente furono le primeelezioni politiche democratiche dopo la Liberazione.Votarono anche le donne, a cui era stato finalmenteconcesso il diritto di voto. Dopo la loro partecipazionealle lotte contro il fascismo e alla guerra partigiana,sarebbe stato difficile continuare a negare loro il dirittodi voto. Anche il grande numero di condannate dalTribunale Speciale durante il ventennio nero, quasi tuttecomuniste, aveva contribuito a dimostrare la maturitàpolitica delle donne. Nel nostro partito, però, come inaltri del CLN, non vi era stato un completo accordo. Si diceva che, data l’arretratezza persistente tra le grandi masse femminili, specialmente in quelle dellecampagne e del Meridione, ancora in prevalenzadominate dalla Chiesa, avremmo portato solo milioni di voti alla Democrazia Cristiana.

Ma prevalse, giustamente, la tesi che il voto era unaconquista di libertà civile e democratica per le donne eche, nell’esercizio del voto, anche le masse piùarretrate potevano sperimentare la loro educazionepolitica. […] Il Partito decise di presentare donne come candidate inquasi tutte le circoscrizioni. Vennero scelte,naturalmente, le donne che erano più popolari, cheavevano più lavorato nella Resistenza, che si erano piùsacrificate. […] Fui designata capolista nelle duecircoscrizioni di Modena-Reggio e di Parma-Piacenza.

La campagna elettorale fu una faticaccia. Parlaidappertutto con la mia solita foga fino a perderecompletamente la voce. […]

Le elezioni per l’Assemblea Costituente furono un grandesuccesso per il nostro partito. Io venni eletta in tutte edue le circoscrizioni con decine di migliaia di voti dipreferenza. Ricordo che le compagne di Modenasostenevano che persino alcune suore avevano votatoper me. Risultava infatti che, in una sezione elettoraledove avevano votato molte suore, il numero dei voti dipreferenza da me ottenuti superava quello degli iscritti“civili” alla sezione. Dissi che forse le suore avevanovotato per santa Teresa.

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Vignetta di Amerigo Bartoli tratta da Mercurio, n. 27-28,novembre-dicembre 1946.

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I lavori dell’Assemblea Costituente| il 1946 |

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L’Assemblea Costituente si riunì per la prima voltanel Palazzo di Montecitorio il 25 giugno 1946. Nelcorso di quella seduta venne eletto presidente dell’As-semblea Giuseppe Saragat, in seguito dimissionario esostituito, l’8 febbraio 1947, da Umberto Terracini. Il 28 giugno 1946 l’Assemblea procedette all’elezionedel Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, ilquale avrebbe esercitato le sue funzioni fino a quan-do non fosse stato nominato il Capo dello Stato a nor-ma della Costituzione che sarebbe stata approvatadall’Assemblea. Ai fini di un più efficiente svolgimento del proprio la-voro, l’Assemblea deliberò la nomina di una Commis-sione per la Costituzione, composta di 75 membriscelti dal presidente sulla base delle designazioni deivari gruppi parlamentari in modo da garantire la par-tecipazione della totalità delle forze politiche, con l’in-carico di predisporre un progetto di Costituzione dasottoporre al plenum dell’Assemblea. La Commissio-ne, nominata il 19 luglio 1946 e presieduta da Meuc-cio Ruini, procedette nei suoi lavori articolandosi intre sottocommissioni: la prima sui diritti e doveri deicittadini; la seconda sull’ordinamento costituzionaledella Repubblica (divisa a sua volta in due sezioni, peril potere esecutivo e il potere giudiziario, più un co-mitato di dieci deputati per la redazione di un proget-to articolato sull’ordinamento regionale); la terza suidiritti e doveri economico-sociali. Le donne fra i 75 membri della Commissione furono:Maria Federici, per la DC, Lina Merlin, per il PSI, Te-resa Noce e Nilde Iotti, per il PCI; il 6 febbraio 1947si aggiunse Angela Gotelli (DC).Una volta terminato il lavoro delle sottocommissioni,la Commissione dei 75 affidò l’incarico di redigere unprogetto organico e unitario ad un comitato di reda-zione, composto di 18 membri. Il comitato approntòil progetto di Costituzione e lo sottopose alla Com-missione per la Costituzione, che approvò a sua voltail testo con lievi modifiche e lo presentò il 31 gennaio

1947 all’Assemblea Costituente. Il comitato di reda-zione ebbe anche l’incarico di rappresentare la Com-missione dei 75 durante la discussione presso l’As-semblea plenaria, che si svolse dal 4 marzo al 20 di-cembre 1947; il testo definitivo venne presentato al-l’Assemblea che lo votò il 22 dicembre 1947. La Costi-tuzione venne promulgata il 27 dicembre dal Capoprovvisorio dello Stato ed entrò in vigore il 1° gennaio1948.

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Page 53: Italia 1946: le donne al voto

La Costituzione| dopo il 1946 |

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La parità tra uomini e donne è affermata in particola-re negli articoli 3, 29, 31, 37, 48 e 51 della Costituzioneitaliana.

Art. 3

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sonoeguali davanti alla legge, senza distinzione disesso, di razza, di lingua, di religione, di opinionipolitiche, di condizioni personali e sociali.È compito della Repubblica rimuovere gli ostacolidi ordine economico e sociale, che, limitando difatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini,impediscono il pieno sviluppo della personaumana e l’effettiva partecipazione di tutti ilavoratori all’organizzazione politica, economica esociale del Paese.

Art. 29

La Repubblica riconosce i diritti della famigliacome società naturale fondata sul matrimonio.Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale egiuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dallalegge a garanzia dell’unità familiare.

Art. 31

La Repubblica agevola con misure economiche ealtre provvidenze la formazione della famiglia el’adempimento dei compiti relativi, con particolareriguardo alle famiglie numerose.Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù,favorendo gli istituti necessari a tale scopo.

Art. 37

La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a paritàdi lavoro, le stesse retribuzioni che spettano allavoratore. Le condizioni di lavoro devonoconsentire l’adempimento della sua essenzialefunzione familiare e assicurare alla madre e albambino una speciale adeguata protezione.

La legge stabilisce il limite minimo di età per illavoro salariato.La Repubblica tutela il lavoro dei minori conspeciali norme e garantisce ad essi, a parità dilavoro, il diritto alla parità di retribuzione.

Art. 48

Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, chehanno raggiunto la maggiore età.Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Ilsuo esercizio è dovere civico.Il diritto di voto non può essere limitato se nonper incapacità civile o per effetto di sentenzapenale irrevocabile o nei casi di indegnità moraleindicati dalla legge.

Art. 51

Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possonoaccedere agli uffici pubblici e alle cariche elettivein condizioni di eguaglianza, secondo i requisitistabiliti dalla legge.La legge può, per l’ammissione ai pubblici uffici ealle cariche elettive, parificare ai cittadini gliitaliani non appartenenti alla Repubblica.Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive hadiritto di disporre del tempo necessario al loroadempimento e di conservare il suo posto dilavoro.

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Page 54: Italia 1946: le donne al voto

Benché la Costituzione sancisca dunque la parità trauomini e donne, alcuni articoli riflettono la difficilemediazione tra istanze diverse. Ad esempio nell’art.29 l’enunciato della parità tra i coniugi è accompagna-to dalla formula «con i limiti stabiliti dalla legge». Masi deve notare soprattutto che al momento dell’entratain vigore della Costituzione stessa i codici e le leggi vi-genti erano ancora quelli del periodo precedente, percui i princìpi stabiliti in essa non trovavano immedia-ta applicazione nell’ambito familiare e nella vita socia-le. Si può dire che in molti campi le donne erano, difatto, “uguali per diritto, ma inferiori per legge”.Solo gradualmente e, a volte, anche a distanza di deci-ne di anni le vecchie norme sarebbero state abolite omodificate.

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Page 55: Italia 1946: le donne al voto

Le donne e le conquiste del dopoguerra

| dopo il 1946 |

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La Costituzione repubblicana aveva stabilito l’ugua-glianza formale fra i sessi, ma la conquista dei diritticivili si intrecciava da parte delle donne con la perce-zione, che divenne via via più nitida negli anni Sessan-ta e Settanta, di aver raggiunto diritti non completi, diavere di fronte consuetudini sociali e culturali che an-cora non riconoscevano loro una reale parità.Dalla fine degli anni Sessanta il cambiamento dell’ideastessa di politica diffuso dai movimenti giovanili e stu-denteschi iniziò a investire anche la sfera del privato,modificando le forme di partecipazione alla vita pub-blica. Per settori consistenti della popolazione femmi-nile, soprattutto nelle grandi città, l’adesione alla mo-bilitazione del ’68 significò in molti casi una forma diiniziazione alla politica. Il bisogno di impegnarsi atti-vamente fu anche un modo per dar voce a istanze diemancipazione e di liberazione che fino a quel mo-mento erano state scarsamente recepite a livello istitu-zionale.Gli anni Settanta furono il periodo in assoluto più im-portante per il movimento femminista italiano, chedovette fronteggiare sia la crisi del Paese, sia una diffi-cile modernizzazione. Questi anni, grazie anche e,forse, soprattutto, alle battaglie condotte dalle donne,segnarono importanti vittorie civili, sociali e culturali.In Italia, dal dopoguerra ad oggi, la condizione socialee giuridica delle donne si è infatti lentamente ma radi-calmente modificata. Ecco alcune tappe fondamentalidi tale cammino:

1948

Entra in vigore la Costituzione. Gli articoli 3, 29, 31, 37, 48 e51 sanciscono la parità tra uomini e donne.

Angela Maria Cingolani Guidi è la prima donna sottosegre-tario (Industria e commercio con delega all’artigianato).

1950

Varata la legge 26 agosto 1950, n. 860, «Tutela fisica ed eco-nomica delle lavoratrici madri».

1956

Le donne possono accedere alle giurie popolari col limitemassimo di tre su sei (la norma rimarrà in vigore fino al1978) e ai tribunali minorili.

Le funzioni riconosciute alle donne sono ancora quelle le-gate alla figura materna. Il loro intervento viene giudi-cato opportuno in quei casi in cui i problemi vadano ri-solti, «più che con l’applicazione di fredde formule giu-ridiche con il sentimento e la conoscenza del fanciulloche è proprio della donna».

1958

La legge Merlin chiude definitivamente le case di tolleranza:legge 20 febbraio 1958, n. 75, «Abolizione della regola-mentazione della prostituzione e lotta contro lo sfrutta-mento della prostituzione altrui».

1959

Viene istituito il Corpo di polizia femminile.

1963

Il matrimonio non è più ammesso come causa di licenzia-mento: legge 9 gennaio 1963, n. 7, «Divieto di licenzia-mento delle lavoratrici per causa di matrimonio e modi-fiche della legge 26 agosto 1950, n. 860».

Marisa Cinciari Rodano è eletta vicepresidente della Camera.Le donne sono ammesse alla magistratura: legge 9 febbraio

1963, n. 66, «Ammissione della donna ai pubblici ufficied alle professioni».

Un ulteriore passo avanti nell’effettiva attuazione del-l’art.51 della Costituzione: le donne possono accedere atutti i pubblici uffici senza distinzione di carriere né li-mitazioni di grado.

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1968

L’adulterio femminile non è più considerato reato.L’art. 559 del Codice penale recitava: «La moglie adultera è

punita con la reclusione fino ad un anno. Con la stessapena è punito il correo». Per il marito non esisteva nulladel genere: la disparità di trattamento non rispettava lenorme fondamentali della Costituzione. Con due senten-ze del 19 dicembre 1968, la Corte costituzionale abrogal’articolo sul diverso trattamento dell’adulterio maschilee femminile e quello analogo del Codice penale.

1970

Viene approvata la legge sul divorzio: legge 1° dicembre1970, n. 898, «Disciplina dei casi di scioglimento del ma-trimonio».

L’introduzione del divorzio in Italia era stata collegata allaquestione del voto alle donne. In sede costituente, ilPCI, per una scelta di fondo sfociata nell’approvazionedell’art. 7, non aveva sollevato la questione. La Commis-sione dei 75 avrebbe voluto includere l’indissolubilitàdel matrimonio nel testo della carta costituzionale, ma,dopo un’aspra battaglia in aula, la parola «indissolubi-le» non era stata inserita, bocciata con un esiguo mar-gine di voti.

Nel 1965, il socialista Loris Fortuna avanzò la prima pro-posta di legge, sulle orme del collega Renato Sansone,che negli anni Cinquanta aveva proposto a più ripresee senza successo una legge di «piccolo divorzio», per icasi estremi di ergastolani, malati di mente, scompar-si, divorziati all’estero.

Dopo l’approvazione della nuova normativa, nel 1974 sa-rebbe stato indetto un referendum abrogativo, ma inseguito alla vittoria del fronte del NO col 59% dei votila legge sarebbe rimasta in vigore.

1971

La Corte costituzionale cancella l’articolo del Codice civileche punisce la propaganda di anticoncezionali.

Dall’inizio degli anni Sessanta la pillola contraccettiva erain commercio in molti Paesi europei, ma nel 1968 laChiesa condannò aspramente la contraccezione. Nel1969 la pillola cominciò, tuttavia, a essere venduta an-che in Italia, come farmaco per le disfunzioni del ciclomestruale. Nel 1971 la Corte costituzionale, dopo un’a-spra battaglia, abrogò l’art. 535 del Codice penale chevietava la propaganda di qualsiasi mezzo contraccetti-vo e puniva i trasgressori col carcere.

Viene approvata la legge sulle lavoratrici madri: legge 30 di-cembre 1971, n. 1204, «Tutela delle lavoratrici madri».

Sono istituiti gli asili nido comunali: legge 6 dicembre 1971,n. 1044, «Piano quinquennale per l’istituzione di asili-ni-do comunali con il concorso dello Stato».

1975

Riforma del diritto di famiglia: legge 19 maggio 1975, n. 151,«Riforma del diritto di famiglia».

Fino a questa riforma, il peso dell’educazione dei figli gra-vava, di fatto, sulle madri, ma tale impegno non avevaun adeguato riconoscimento giuridico. La patria pote-stà spettava ad entrambi i genitori, ma il suo eserciziotoccava al padre, secondo l’art. 316 del Codice civile.

Col nuovo diritto di famiglia, la legge riconosce parità giu-ridica tra i coniugi che hanno uguali diritti e responsa-bilità e attribuisce ad entrambi la patria potestà.

1976

Per la prima volta una donna, Tina Anselmi, viene nomina-ta ministro (Lavoro e previdenza sociale).

1977

È riconosciuta la parità di trattamento tra donne e uomininel campo del lavoro: legge 9 dicembre 1977, n. 903,«Parità fra uomini e donne in materia di lavoro».

1978

Viene approvata la legge sull’aborto.Nel 1974 i radicali avevano iniziato una campagna per un

referendum al fine di abrogare le norme che penalizza-vano l’aborto. Gli articoli dal 546 al 551 del Codice pe-nale stabilivano, infatti, che la donna che si procuravaun aborto dovesse essere punita con la reclusione dauno a quattro anni (ma, se l’aborto era effettuato per“salvare l’onore”, era prevista una riduzione, che anda-va da un terzo alla metà della pena).

Dopo l’approvazione della legge, un referendum abrogati-vo del maggio del 1981 non avrebbe avuto successo.

1979

Nilde Jotti è la prima donna presidente della Camera.

1981

Il motivo d’onore non è più attenuante nell’omicidio del co-niuge infedele.

1983

La Corte costituzionale stabilisce la parità tra padri e madricirca i congedi dal lavoro per accudire i figli.

1984

Presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri è costituitala Commissione nazionale per la realizzazione delle pariopportunità, presieduta da Elena Marinucci.

1986

La commissione nazionale per la parità uomo e donna ela-bora il «Programma azioni positive»: aziende e sindacatidevono tutelare accesso, carriera e retribuzioni femminili.

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1989

Le donne sono ammesse alla magistratura militare.

1991

Legge 10 aprile 1991, n. 125, «Azioni positive per la realizza-zione della parità uomo-donna nel lavoro».

La legge dovrebbe essere in grado di intervenire nel ri-muovere le discriminazioni e valorizzare la presenza eil lavoro delle donne nella società. Purtroppo, è ancorapoco applicata.

1992

Legge, 25 febbraio 1992, n. 215, «Azioni positive per l’im-prenditorialità femminile».

La legge sull’imprenditoria femminile favorisce la nascitadi imprese composte per il 60% da donne, società dicapitali gestiti per almeno 2/3 da donne e imprese in-dividuali.

1993

Con la legge 25 marzo 1993, n. 81 per la prima volta vengo-no introdotte le “quote rosa” in merito alle elezioni deirappresentanti degli enti locali.

Si stabilisce che per le elezioni regionali e comunali, i can-didati dello stesso sesso non possano essere inseritinelle liste in misura superiore ai due terzi: ciò riserva,di fatto, un terzo dei posti disponibili al sesso sottorap-presentato (cioè le donne). Per le elezioni nazionali,viene introdotta l’alternativa obbligatoria di uomini edonne per il recupero proporzionale ai fini della desi-gnazione alla Camera dei deputati.

Nel 1995 questa serie di interventi legislativi è stata annul-lata con la sentenza n. 422 della Corte costituzionale,avendo il giudice stabilito che, in materia elettorale,debba trovare applicazione solo il principio di ugua-glianza formale e che qualsiasi disposizione tendentead introdurre riferimenti al sesso dei rappresentanti, an-che se formulata in modo neutro, sia in contrasto contale principio.

1996

La legge 15 febbraio 1996, n. 66, «Norme contro la violen-za sessuale», punisce lo stupro come delitto contro lapersona e non contro la morale come in precedenza.

Il governo nomina un ministro per le pari opportunità, An-na Finocchiaro.

2000

Legge 8 marzo 2000, n. 53, «Disposizioni per il sostegnodella maternità e della paternità, per il diritto alla cura ealla formazione e per il coordinamento dei tempi dellecittà».

Sia il padre che la madre possono chiedere l’aspettativa,da sei a dieci mesi, entro gli otto anni di vita del bam-bino. La cura dei figli smette di essere, dal punto di vi-sta legislativo, esclusiva prerogativa delle madri.

2003

Legge costituzionale 30 maggio 2003, n. 1, «Modifica del-l’art. 51 della Costituzione».

L’art. 51 della Costituzione («Tutti i cittadini dell’uno o del-l’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e allecariche elettive in condizione di eguaglianza, secondo irequisiti stabiliti dalla legge») viene modificato, conl’aggiunta: «A tale fine la Repubblica promuove con ap-positi provvedimenti le pari opportunità tra donne euomini».

2004

La legge sulle elezioni dei membri del Parlamento europeointroduce una norma in materia di “pari opportunità”:legge 8 aprile 2004, n. 90, «Norme in materia di elezio-ni dei membri del Parlamento europeo e altre disposizio-ni inerenti ad elezioni da svolgersi nell’anno 2004».

L’art. 3 prescrive che le liste circoscrizionali, aventi un me-desimo contrassegno, debbano essere formate in mo-do che nessuno dei due sessi possa essere rappresen-tato in misura superiore ai due terzi dei candidati.

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Le donne nel Parlamento italiano:una presenza ancora minoritaria

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Nonostante i passi avanti compiuti in molti campi, le donne italiane attiva-mente presenti nella vita politica sono ancora una percentuale ridotta, comedimostra il prospetto qui riportato, con il numero assoluto delle elette neidue rami del Parlamento e le percentuali sul totale dei deputati e senatori:

Costituente - 1946 (556 membri) 21 (3,7%)

Legislatura Camera Senato(630 membri) (315 membri)

I Legislatura - 1948 45 (7,1%) 4 (1,2%)II Legislatura - 1953 33 (5,2%) 1 (0,3%)III Legislatura - 1958 25 (3,9%) 3 (0,9%)IV Legislatura - 1963 29 (4,6%) 6 (1,9%)V Legislatura - 1968 18 (2,8%) 11 (3,4%)VI Legislatura - 1972 25 (3,9%) 6 (1,9%)VII Legislatura - 1976 53 (8,4%) 11 (3,4%)VIII Legislatura - 1979 55 (8,7%) 13 (4,1%)IX Legislatura - 1983 49 (7,7%) 15 (4,7%)X Legislatura - 1987 81 (12,8%) 21 (6,6%)XI Legislatura - 1992 51 (5,4%) 30 (9,5%)XII Legislatura - 1994 91 (14,4%) 29 (9,2%)XIII Legislatura - 1996 69 (10,9%) 22 (6,9%)XIV Legislatura - 2001 71 (11,2%) 25 (7,9%)XV Legislatura - 2006 108 (17,1%) 42 (13,3%)

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La questione delle quote rosa | dopo il 1946 |

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La prima introduzione delle cosiddette “quote rosa”,cioè di un certo numero di posti riservati alle donnenelle liste elettorali, risale al 1993, provvedimento inseguito abrogato, nel 1995, da una sentenza della Cor-te Costituzionale. Nel 2003 è stato modificato l’artico-lo 51 della Costituzione, per promuovere le pari oppor-tunità fra uomini e donne. La legge dell’aprile 2004 hareintrodotto le “quote rosa” nell’elezione dei membridel Parlamento europeo. Nonostante ciò non esisteancora, in Italia, una legge che garantisca una realeuguaglianza rappresentativa.Dopo un acceso dibattito alla Camera, nell’ottobre2005, in sede di discussione sulla nuova legge elettora-le, l’emendamento che chiedeva una maggior rappre-sentanza delle donne in Parlamento è stato bocciato.Il 18 novembre 2005 il Consiglio dei ministri ha ap-provato un disegno di legge sulla presenza femminilenelle liste elettorali; esso prevede un’alternanza di can-didati uomini e donne per la prima e la seconda ele-zione dopo l’entrata in vigore della legge. Ma il decre-

to è stato bocciato dal Senato il 24 gennaio 2006, ed èdovuto tornare in Commissione Affari Costituzionali.Infine nel febbraio 2006 le “quote rosa” sono state ap-provate dal Senato. Dopo un giorno e mezzo di pole-miche, accuse e contraccuse, la legge che dovrebbeportare più donne in politica è passata con 229 sì, 4 noe 19 astensioni. Si tratta tuttavia di una “mezza vittoria”, dal momentoche l’approvazione è avvenuta a fine legislatura, il cheha reso concretamente impossibile la conversione inlegge del provvedimento, in tempo per essere applica-to alle elezioni politiche dell’aprile 2006.

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La donna italiana: il rischio di un ritorno al passato?

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L’8 marzo 2006, l’Eurispes (Istituto di Studi PoliticiEconomici e Sociali) ha voluto dedicare una riflessio-ne alla condizione della donna, impegnata tra il molti-plicarsi dei ruoli che la società richiede e la necessitàdi districarsi all’interno di situazioni sempre più com-plesse: uno sguardo sulla situazione lavorativa e sullapercezione delle proprie condizioni economiche, maanche sui valori fondamentali e sui cambiamenti delrapporto uomo-donna, attraverso un’analisi mirata deidati utilizzati nella stesura del Rapporto Italia 2006.

«La ricerca ha evidenziato – dichiara il Prof. GianMaria Fara, presidente dell’Eurispes – come ilruolo e la condizione della donna oggi in Italiapresentino il rischio di una pericolosa involuzioneculturale, sociale ed economica.In particolare, lo studio evidenzia come il tasso dioccupazione femminile in Italia sia pari al 45,1%,un dato che è il più basso dell’Unione a 15 (inDanimarca è al 72,8%, in Svezia al 71,6%, inGermania al 60,2%, in Francia al 57,8%, inSpagna al 48,4%). Il dato è significativo di quantopotenziale economico e produttivo il nostro Paesedisperde a causa della bassa partecipazionefemminile al mercato del lavoro.Anche sul piano culturale, le rilevazioni effettuatedall’Eurispes mostrano la persistenza di vecchieincrostazioni e luoghi comuni: pensiamo, solo perfare un esempio, a quel 40% di uomini cheritiene che la cura della casa sia soprattuttocompito della donna.In materia di spesa pubblica per la famiglia, lacasa e l’esclusione sociale, l’Italia si colloca alpenultimo posto della graduatoria europea, cuidedica appena l’1,1% del Pil, contro una mediadella UE a 15 pari al 3,4%. Peraltro – conclude Fara – la classe politicacontinua ad essere insensibile ai numerosimutamenti intervenuti nella società italiana e nel

mercato del lavoro. Oltre alla insufficienzastrutturale delle risorse finanziarie destinate allafamiglia (per assegni familiari, assegni dimaternità, sostegno alle giovani coppie perl’acquisto della prima casa, ecc.), finiscono con ilrimanere escluse da tali benefici le coppie di fatto(quasi 700.000 secondo le stime Eurispes),mentre le lavoratrici atipiche non possono fruire,per esempio, dei congedi parentali o, il più dellevolte, si vedono corrispondere delle risibiliindennità di maternità, perché non sono riuscitea cumulare durante la loro vita lavorativacontributi previdenziali sufficienti».

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Comunicato Stampa EURISPES (Istituto di Studi Politici Economici e Sociali), La donna italiana: il rischio di un ritorno al passato, Roma, 8 marzo 2006.