Come eravamo ? IDENTI-KIT DEI...

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- La Rassegna d’Ischia n. 1/1983 4 - Come eravamo ? IDENTI-KIT DEI PADRI Tracciare un identikit dei nostri antenati, del nostro passato remoto e prossimo non risulta azzardato, se si pensa che molti sono i punti di riferimento a disposi- zione. Si è scritto parecchio e certamente si continuerà a farlo sulla nostra isola; basta vedere il rifiorire in ter- mini di pubblicazioni che come funghi vedono la luce e chiaramente testimoniano di un motivato interesse per la nostra storia patria. Anche se di piccoli, sullo sfondo di grandi avvenimenti, si tratta, è pur sempre storico l’intento che muove, che spinge a ricercare, ricostruire tessera dopo tessera, in un puzzle retrospettivo-affetti- vo, il nostro essere stati isolani ; ci aiuta a capire oggi come in una koinè semplice, ma articolata nello stesso tempo come la nostra, ci siano poi tante differenziazio- ni caratteriali e culturali. Già lo storico Giuseppe D’Ascia nel secolo scorso, fatto sintomatico, ha ritenuto opportuno trattare, lad- dove le fonti lo autorizzavano, in forma monografica la storia dell’isola d’Ischia. Oggi più che per il passato, si sviluppa intorno all’ar- gomento un notevole fatturato di curiosità e di interes- se. Tutti vogliono sapere del “come”, del “perché”, del “quando”, e trovano le risposte in una serie di pub- blicazioni che con sistematicità vanno spulciando carte e documenti; testimonianze che vengono poi date alla stampa per soddisfare la morbosa curiosità, sete di sapere di un pubblico che, senza distinzione di classe, vuol sapere “chi siamo” e “da dove veniamo”, e farebbe meraviglia il contrario in un popolo così vivace e sensi- bile come quello isolano. Mi sorprendo sempre quando sfoglio la Bibliogra- fia Isclana del Serra e mi conforto nel leggere quanti si sono interessati alla nostra isola, trattando un arco di tempo che racchiude quasi duemila anni di incontri e laddove le fonti scritte non parlano sono quelle monu- mentali , i luoghi, a dirci di epoche ancora più remote, a parlarci, attraverso manufatti litici, della preistoria ed ancora, con il maggior conforto di fonti epigrafiche, dei Greci, degli Etruschi, dei Romani, di tante civiltà che hanno lasciato il loro segno sulla nostra isola, che hanno detto la loro “parola del passato” per Pithecusa, Inarime, Aenaria, Iscla, mai abbastanza detta meravi- gliosa, Ischia. Per questo dégagé quanto minimo identikit dei pa- dri antichi, abbiamo voluto scomodare l’autorevolezza dello storico Giuseppe D’Ascia e, per sentire campane diverse, la impressione di due stranieri tra loro molto lontani nel tempo: quella irlandese di George Berkeley, ricca di sauvageries e sempre improntata all’esse est percipi; e quella american-graffiante di Truman Capo- te (colui che è riuscito a fare anche del pettegolezzo e di Pietro Paolo Zivelli

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- La Rassegna d’Ischia n. 1/1983 4 -

Come eravamo ?

IDENTI-KIT DEI PADRI

Tracciare un identikit dei nostri antenati, del nostro passato remoto e prossimo non risulta azzardato, se si pensa che molti sono i punti di riferimento a disposi-zione.

Si è scritto parecchio e certamente si continuerà a farlo sulla nostra isola; basta vedere il rifiorire in ter-mini di pubblicazioni che come funghi vedono la luce e chiaramente testimoniano di un motivato interesse per la nostra storia patria. Anche se di piccoli, sullo sfondo di grandi avvenimenti, si tratta, è pur sempre storico l’intento che muove, che spinge a ricercare, ricostruire tessera dopo tessera, in un puzzle retrospettivo-affetti-vo, il nostro essere stati isolani ; ci aiuta a capire oggi come in una koinè semplice, ma articolata nello stesso tempo come la nostra, ci siano poi tante differenziazio-ni caratteriali e culturali.

Già lo storico Giuseppe D’Ascia nel secolo scorso, fatto sintomatico, ha ritenuto opportuno trattare, lad-dove le fonti lo autorizzavano, in forma monografica la storia dell’isola d’Ischia.

Oggi più che per il passato, si sviluppa intorno all’ar-gomento un notevole fatturato di curiosità e di interes-se. Tutti vogliono sapere del “come”, del “perché”, del

“quando”, e trovano le risposte in una serie di pub-blicazioni che con sistematicità vanno spulciando carte e documenti; testimonianze che vengono poi date alla

stampa per soddisfare la morbosa curiosità, sete di sapere di un pubblico che, senza distinzione di classe, vuol sapere “chi siamo” e “da dove veniamo”, e farebbe meraviglia il contrario in un popolo così vivace e sensi-bile come quello isolano.

Mi sorprendo sempre quando sfoglio la Bibliogra-fia Isclana del Serra e mi conforto nel leggere quanti si sono interessati alla nostra isola, trattando un arco di tempo che racchiude quasi duemila anni di incontri e laddove le fonti scritte non parlano sono quelle monu-mentali , i luoghi, a dirci di epoche ancora più remote, a parlarci, attraverso manufatti litici, della preistoria ed ancora, con il maggior conforto di fonti epigrafiche, dei Greci, degli Etruschi, dei Romani, di tante civiltà che hanno lasciato il loro segno sulla nostra isola, che hanno detto la loro “parola del passato” per Pithecusa, Inarime, Aenaria, Iscla, mai abbastanza detta meravi-gliosa, Ischia.

Per questo dégagé quanto minimo identikit dei pa-dri antichi, abbiamo voluto scomodare l’autorevolezza dello storico Giuseppe D’Ascia e, per sentire campane diverse, la impressione di due stranieri tra loro molto lontani nel tempo: quella irlandese di George Berkeley, ricca di sauvageries e sempre improntata all’esse est percipi; e quella american-graffiante di Truman Capo-te (colui che è riuscito a fare anche del pettegolezzo e

di Pietro PaoloZivelli

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dell’indiscrezione un momento artistico-letterario), in-tinta nell’acido prussico che solo si stempera al sole di Cava dell’isola in un notes di viaggio dalle linee sapide che si fa leggere sempre con piacere.

IL FATTORE AMBIENTE

Il fattore ambiente è certo quello che gioca un ruolo determinante sui segni caratteriali nonché psico-soma-tici degli individui.

L’Epomeo, il mare, l’isola nella sua dimensione et-nografica ed etnologica.

Il FORIANO discende da un incrocio multiplo di vari caratteri genetici, quindi a parte tipologie pecu-liari, venutesi a manifestare col trascorrere del tempo come distinguo ormai etnico locale, ritroviamo nel fo-riano i segni di una storia fatta di continue occupazioni, di letali scorrerie e di pacifiche invasioni.

“Sangue di turco” son detti i foriani, a ricordo delle frequenti incursioni da parte di arabi e di musulmani che nel medioevo cristiano si ripeterono con maggiore frequenza. Fatto sta che i saraceni hanno lasciato il loro seme in terra Forigij e tutto questo naturalmente a van-taggio dell’etologia locale!

Scrive infatti il d’Ascia:— Questo paese dà solo pane ai faccendieri di me-

stiere, agli imbroglioni ed ai cittadini di piazza. Il vol-go del popolo si fa facilmente corbellare da questi tali che, dalla mattina alla sera sdraiati sulla soglia di un caffè, e piantati ad un trivio, quali cani bracchi, fiu-tano a manca e a destra, ed il primo che capita tra le mani lo pelano, lo imbrogliano, lo scroccano, e lo illu-dono con una sfacciataggine che fa ribrezzo. —

Il foriano è stato per il passato continuamente inte-ressato al problema della incolumità sua e dei suoi cari; sempre pronto ad adoprarsi per il sostentamento della famiglia, a difendersi lottando contro calamità, natura-li e non. Impegnato quotidianamente su problemi esi-stenziali, geloso della sua intimità, dei suoi piccoli se-greti, della sua terra da cui traeva quanto gli occorreva per vivere. Restio a pubblicizzare qualsivoglia successo ottenuto temendo il malocchio, la fattura, l’invidia di quanti meno fortunati di lui, tiravano a campare specu-lando spesso sulla buona fede e l’ingenuità altrui.

Questi furbi, attribuendosi capacità medianiche, po-teri taumaturgici, possibilità profetiche, approfittavano di certe situazioni per incrementare il proprio peculio o tirare a campare.

ANTICHI... “IL FORIANO” Guaritori, stregoni, medium, fattucchiere non sono

stati estranei alla Forio “dei secoli bui”.Anche Truman Capote raccolse questa impressione:— Conoscete la donna che lavora alla posta?Naturalmente credete nella iettatura, vero?quella è una jettatrice. E’ una cosa nota, sì.Per questo non mi arriva mai la lettera dall’Argen-

tina.Berkeley non ci risparmia la cronaca di anni ancor

più drammatici e violenti:

— Per altri versi la gente di quest’isola è abbastan-za buona, ma assetata di sangue e vendicativa. Quelli di Forio e di Buonopane hanno più degli altri cattiva fama di assassini. Tutto il resto dell’isola dice di loro che non hanno alcun timore di Dio e degli uomini. —

È addirittura traumatizzato quando scrive:

— Ricchezze ed onori qui non attecchiscono, la gen-te allora non conosce i vizi che li accompagnano, ma hanno invece una turpe inclinazione, quella di am-mazzarsi per un nonnulla. La seconda notte dopo il nostro arrivo nell’isola avevano ucciso un giovane di diciotto anni, che giaceva riverso proprio davanti casa nostra; ne abbiamo visto, dopo, tanti nell’isola di casi come questo. Lo scorso anno il Governatore ha ri-scosso le taglie di ben trentasei assassini: la vita di un uomo, qui, è valutata dieci ducati. —

Anche il d’Ascia evidenzia questi ATTI DI FEROCIA dei nostri antenati, ma ne dà, come dire, una versione che, pur nell’atrocità delle vendette consumate, vuole essere addirittura nobile, quanto meno giustificabile.

Siamo nell’anno 1700: Filippo, duca d’Angiò, viene proclamato re di Spagna, delle Fiandre e dei regni di Napoli e di Sicilia.

— Il popolo calpestato riagiva, impotente contro i signori, diveniva feroce contro se stesso. Privo d’i-struzione, gettato nella squallida indigenza, senza garentia di persona, senza sicurezza nei suoi diritti, senza trovar tutela nella legge e nei magistrati; nelle occasioni si facea giustizia da se e, giudice e carnefice, offeso ed offensore nello stesso tempo, finiva ad esse-re assassino e bandito, perchè non trovando forza nel diritto, in quel tempo di debolezza ed arbitrio, avea creato il diritto della forza per sistema sociale. —

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CATERINA D’AMBRA

Ed ancora ci parla quindi della faida tra i Castaldi ed i Morgera nella terra di Forio ; uccisioni ed incendi dall’una e dall’altra parte; e dice del come i Castaldi si presero gioco delle autorità prima di darsi alla macchia.

Non mancano le eroine a testimoniare la profonda ammirazione che il D’Ascia aveva per le donne foriane: Caterina d’Ambra.

— La quale ad un coraggio che trascendea in fierez-za, ad un animo dispettoso e vendicativo, accoppiava un affetto straordinario verso questo fratello, ed un cuore risoluto ad ogni straordinaria e pericolosa im-presa. —

Caterina d’Ambra che vive per vendicare la morte del fratello ucciso dagli armigeri mentre perlustravano le campagne di Monterone.

Il suo odio, la sua sete di vendetta, sebbene con-sumata atrocemente, non si placa neppure sul letto di morte.

— Se di coloro ne avessi un dito lo mangerei in due

panelle; mi uccisero un povero fratello! - Che dici di cercar perdono a Dio? - Sono ancora dolente che uno se ne salvò! —

Ed ancora sangue troviamo nella storia di Sebastia-no Sportiello ed in quella di Mattia d’Ambra.

Truman Capote che ci ha conosciuto nel paleoturi-stico ci offre dei bozzetti niente affatto truculenti e più maliziosamente simpatici.

— Qualcuno ci mise in guardia contro Ischia addu-cendo ragioni piuttosto allarmanti, se ben ricordo: vi rendete conto che c’è un vulcano attivo? E non sapete dell’aereo? Un aereo, che faceva regolare volo di linea fra il Cairo e Roma, era andato a fracassarsi sulla vetta di una montagna di Ischia; tre erano stati i su-perstiti, ? ma nessuno li aveva più visti, perché erano stati finiti a sassate dai pecorai intenti a saccheggiare il relitto. —

Diventa addirittura “carino” quando scrive:

— Tutti sappiamo che Maria annacqua le bibite. Ma è proprio acqua che adopera? Dio, sono atterrito! Con il sole che scalda, e le tendevi canne di Maria che fruscia-no nella brezza, non c’è posto migliore per a-spettare il postino.

Maria è una donna sgraziata, con una faccia da zin-gara e un carattere cinico e indifferente, può procu-rarvi tutto quello che volete qui intorno, da una casa ad un pacchetto di sigarette americane; c’è chi sostie-ne che è la persona più ricca di Forio.

Non ci sono mai donne nel suo caffè, dubito che per-metterebbe loro di entrare. Verso mezzogiorno, tutto il paese si riversa in piazza: gli scolari, in mantellina e zoccoli, simili a piccoli corvi, si raggruppano e can-tano nei vicoli, squadre di disoccupati oziano sotto gli

alberi ridendo sguaiatamente, e le donne che passano loro accanto abbassano gli occhi. —

— .... In primo luogo, Gioconda. E’ una bella ragazza anche se la sua bellezza dipende dall’umore: quando si sente abbattuta, e ciò avviene anche troppo spesso, sembra una scodella di pappa fredda: vien fatto allo-ra di dimenticare la magnificenza dei suoi capelli e la dolcezza dei suoi occhi mediterranei. —

E il S. Vito di Forio in tessere policrome, opera di Eduardo Bargheer, sulla facciata di S. Maria di Loreto? Ce lo propone ancora Capote:

— I contadini sono bruni e massicci come vasi di ter-racotta, e hanno occhi usi a scrutare l’orizzonte, come i marinai.

Perché hanno sempre intorno il mare. —

IL CARATTERE DEL FORIANO

Di corporatura dunque massiccia, con una altezza media che si aggira sul metro e settanta, occhi general-mente castani, capelli piuttosto neri.

Il colore della pelle è sovente bruno con leggere sfu-mature tendenti all’olivastro. La conformazione crani-ca varia da una geometria quadrangolare, tipica delle popolazioni mediterranee, all’ovale delle figure musive bizantine.

Il carattere del foriano viene diffusamente analizza-to dal d’Ascia:

— Il foriano è laborioso; eminentemente agricolo ed economico. L’operaio foriano non è avvezzo a perde-re o sciupare un giorno di lavoro: di abitudini frugali, d’indole docile e casalingo, di cuore schietto, è capace a dire più di quello che pensa, e che sarebbe capace di fare.

E’ il foriano - salvo le eccezioni - amante del fore-stiero; poco sa apprezzare gli uomini di merito suoi conterranei, e tante volte si sdebita loro con l’invidia e l’ingratitudine.

Facile è il foriano volgare o ignorante a farsi portar pel naso dallo scaltro, dall’intrigante, dal cerretano. Non sa il foriano conservar l’odio e il rancore, quan-tunque fosse facile ad andar in collera, ed a trascen-dere all’ira.

D’ingegno svegliato, di spirito pronto, di animo ge-neroso, potrebbe il foriano divenire utile alla famiglia ed alla patria, se si applicasse con perseveranza. —

Conclude con una punta di orgoglio e di gallismo me-ridionale :

— Bella è la gioventù, maschia la virilità, svelte sono le contadine ed amano il lavoro. —

Recupera la vetta del “campanile” citando il d’A-loysio:

— I suoi naturali (di Forio) sono acuti, ingegnosi e coraggiosi, e di tale maniera arditi, che a primo impe-to, qualunque più azzardosa e pericolosa impresa non prezzano. —

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È il foriano profondamente religioso e devoto al san-to protettore, quanto al nume tutelare, lari e penati ( ‘o munaciello, piccolo incappucciato, presenza benefica e riferimento tutorio nei momenti del bisogno).

La sua abitazione è piena di icone, statue di santi sot-to campane di vetro, su altarini ricolmi di fiori, foto di persone care defunte, foto di persone cui è particolar-mente legato; ed ancora ex voto, cartoline di persone lontane ingiallite dal tempo. Tutto questo in simbiosi con altri totem-ninnoli (oggi il televisore), bambole piccole-grandi sul divano, sul letto, sul comò.

Le cose più belle e più stravaganti; le cose più chias-sose e di dubbio gusto si possono trovare in molte case non ancora contaminate dall’educazione borghese. A tutto questo il foriano lega un altro culto, al di fuori del cattolicesimo ufficiale, ma certo non contrapposto per-ché i meccanismi che li generano hanno un’unica radi-ce psicologica in una religione che è anche necessità nel quotidiano.

Profondo è il rispetto verso i morti, coi quali il foria-no instaura una vera e propria corrispondenza anche in forma dialogata. Molti per ricevere qualche grazia, con-siglio, illuminazione, si rivolgono direttamente al caro estinto, nella certezza di ricevere quanto desiderato, anche se la richiesta in tal senso è intesa a danneggiare qualche persona.

L’ABBIGLIAMENTO Come vestivamo? Il ritratto è ancora Berkeley a for-

nircelo :

— Il costume degli Ischitani consiste in una berretta di lana, una camicia e un paio di mutande lunghe - quando fa freddo giubba e calzoni al ginocchio di lana. Portano su un fianco un pugnale decorativo, a lama larga e con la punta ricurva, col quale spesso si feri-scono e si ammazzano tra loro. —

— .... Gli ornamenti femminili sono dei grandi cerchi d’oro alle orecchie e, per le sposate, larghi anelli d’o-ro con pietre false alle dita; ma il principale segno di eleganza è un grembiule coloratissimo e ricamato in lamé. In questo modo si acconciano solo nei giorni di festa. La biancheria degli ischitani è tutta di canapa.-

Più dettagliata e diffusa la pagina in D’Ascia:

— Il costume dell’abbigliamento delle antiche foria-ne era ricco e grazioso. Portavano una gonna di seta, gallonata in oro, un giubbone di velluto riccio, gallo-nato puranco; una pettiglia ricamata in oro antica-mente, poi una podea di castoro scarlatto invece di busto. Pantofali ricamati con frangia in oro al piede coverto da calzetta di seta. Camicia di tela finissima a piegoline e lavori a punto a giorno, e mezzi punti, guarnita di merletti, e con bottoni di argento al collo ed ai polzini. Grossi pendenti d’oro alle orecchie, guar-nite di fine perle ad uno, o cinque pendenti. Coverto il capo con un fazzoletto di percalla scarlatta, piegato a

coda o turbante. E su di questo la magnosa ricamata. Senale di seta o altro drappo di valore, o di battista ri-camato dalle giovani fonane.

Questo vestimento oggi non più esiste. Le fonane hanno adottato un vestito bastardo, un miscuglio del vecchio e del nuovo, dell’antico Foriano e del Napoleta-no. Sono rimasti i fioccagli, ma le magnose, i galloni, i giubboni di velluto riccio a calori scambianti, le capez-zane merlettate son tutte sparite. Oggi il vestito della foriana è sui generis, veste di un colore, fazzoletto in testa legato a piccolo turbante, coverto da uno scialle che covre capo e spalle, e cade sul petto.

Gli uomini volgari si fanno distinguere, come tutti gli altri dell’isola, dal loro berretto di lana rossa, quantun-que questa covertura del capo si andasse disusando fra i contadini, essendosi disusata da un peno fra i marinai, che la introdussero da Marsiglia, perciò vengono chia-mate coppole di Marsiglia. —

Questi vestiti che si animano nel giorno della festi-vità, soddisfacendo un gusto civettuolo ed al contempo una attenzione di rispetto nel giorno dedicato al san-to, hanno fatto capolino anche in epoche recenziori; lo stesso Truman Capote ha avuto modo di notarlo:

— Il giorno in cui doveva arrivare la Vergine ogni bal-cone venne addobbato con bellissimi pini e ancor più bella biancheria, con una vecchia coperta, se la famiglia non aveva niente di meglio; festoni di fiori inghirlan-davano le vie congestionate, le vecchie avevano tirato fuori i loro scialli più lunghi, gli uomini si erano petti-nati i baffi, all’idiota del paese avevano fatto indossare una camicia pulita, e i bambini, tutti vestiti di bianco, portavano legate alla schiena ali d’angelo di cartone do-rato. — Ed infine si ritorna nella routine di tutti i giorni, si smettono gli abiti per la domenica e si indossano gli abiti per il lavoro sdruciti e rattoppati come carte geo-grafiche.

— Non è difficile vedere la signora Mussolini che, in tutto simile alle donne dell’isola, vestita poveramente di nero, si trascina su per la salita, un pò ‘ piegata da una parte per il peso della borsa della spesa II suo viso non ha quasi espressione, ma una volta l’ho vista sorri-dere. Passava per il paese un uomo con un pappagallo che pescava pianeti della fortuna da un vaso di vetro, e la signora Mussolini, fermatasi a consultarlo, lesse il proprio futuro, mentre sulle labbra le si disegnava un sorriso appena accennato, leonardesco. —

— Il vetturale fece schioccare la frusta, il cavallo ebbe uno scarto, i ragazzi indicarono col dito: guardate! FO-RIO era là, lontano, di un candore lunare, con il mare che scintillava nello sfondo e un fioco suono di campa-ne vespertine che saliva come uno stormo di uccelli. Molto bella! - disse il vetturino - Molto bella! - dissero i ragazzi. —

Pietro Paolo ZivelliLe stampe antiche di Forio ci sono state gentilmente

offerte dalla Tipolitografia “Epomeo” di Forio