Fatti e personaggi della storia Il Reame di Napoli dal 1808 al...

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La Rassegna d’Ischia 2/2001 37 Dopo la strepitosa vittoria di Austerlitz (2 dicembre 1805) che, a un anno dalla proclamazione, consolidava l’Impero, conferiva ancor più prestigio alla Corona e ampliava i con- fini della gloria militare francese, Napoleone, irritato per l’ambiguo comportamento tenuto dai Sovrani di Napoli, or- dinò l’occupazione del Reame di Napoli, destinando il trono al fratello Giuseppe. Fatti e personaggi della storia Il Reame di Napoli dal 1808 al 1815 di Vincenzo Cuomo Nel 1808, in seguito alla con- quista della Spagna, evento de- stinato ad influire negativamen- te sul futuro dell’Impero, sempre per volontà del potente fratello, Giuseppe andava a cingere la Co- rona di Madrid, mentre a Napoli giungeva il “Magister equitum” della Grande Armata, Gioacchi- no Murat, che non riceveva tutta- via la porpora, in quanto valente comandante militare, bensì uni- camente perché marito di Caroli- na, sorella dell’imperatore. All’arrivo a Napoli, il 6 settem- bre 1808, vi furono dei timori che potesse essere un sovrano ti- rannico e autoritario a causa del- la durezza con la quale aveva sof- focato i moti popolari a Madrid. Episodio di sanguinosa repres- sione che aveva profondamente inciso sulla sensibilità iberica, tanto da ispirare al Goya uno dei suoi quadri più famosi. Tali per- plessità svanirono però subito non appena il sovrano ebbe dato inizio alla sua attività politica e di governo. Nato il 25 marzo 1767 in Gua- scogna, non riuscendo a conci- liare un carattere esuberante con il rigore seminarile, dopo aver abbandonato la carriera eccle- siastica, si arruolò nell’esercito. Sorretto dagli eventi rivoluzio- nari in pochi anni fu Generale di Brigata. Per l’aiuto concesso al Bonaparte nella conquista del potere, continuò ad avanzare nei gradi sino a divenire Mare- sciallo dell’Impero. Ebbe anche il titolo di Grande Ammiraglio e la dignità di Principe Imperiale. Nel 1806 fu creato Granduca di Clèves e Berg e nel 1808 fu Luo- gotenente generale della Spagna. A Napoli, appena insediato, al fine di far assumere allo Stato un aspetto più moderno ed efficien- te diede nuovo impulso a quell’o- La reggia di Murat a Napoli, 1812 (Napoli, Museo di San Martino)

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Dopo la strepitosa vittoria di Austerlitz (2 dicembre 1805) che, a un anno dalla proclamazione, consolidava l’Impero, conferiva ancor più prestigio alla Corona e ampliava i con-fini della gloria militare francese, Napoleone, irritato per l’ambiguo comportamento tenuto dai Sovrani di Napoli, or-dinò l’occupazione del Reame di Napoli, destinando il trono al fratello Giuseppe.

Fatti e personaggi della storia

Il Reame di Napolidal 1808 al 1815

di Vincenzo Cuomo

Nel 1808, in seguito alla con-quista della Spagna, evento de-stinato ad influire negativamen-te sul futuro dell’Impero, sempre per volontà del potente fratello, Giuseppe andava a cingere la Co-rona di Madrid, mentre a Napoli giungeva il “Magister equitum” della Grande Armata, Gioacchi-no Murat, che non riceveva tutta-via la porpora, in quanto valente comandante militare, bensì uni-camente perché marito di Caroli-na, sorella dell’imperatore.

All’arrivo a Napoli, il 6 settem-bre 1808, vi furono dei timori che potesse essere un sovrano ti-

rannico e autoritario a causa del-la durezza con la quale aveva sof-focato i moti popolari a Madrid. Episodio di sanguinosa repres-sione che aveva profondamente inciso sulla sensibilità iberica, tanto da ispirare al Goya uno dei suoi quadri più famosi. Tali per-plessità svanirono però subito non appena il sovrano ebbe dato inizio alla sua attività politica e di governo.

Nato il 25 marzo 1767 in Gua-scogna, non riuscendo a conci-liare un carattere esuberante con il rigore seminarile, dopo aver abbandonato la carriera eccle-

siastica, si arruolò nell’esercito. Sorretto dagli eventi rivoluzio-nari in pochi anni fu Generale di Brigata. Per l’aiuto concesso al Bonaparte nella conquista del potere, continuò ad avanzare nei gradi sino a divenire Mare-sciallo dell’Impero. Ebbe anche il titolo di Grande Ammiraglio e la dignità di Principe Imperiale. Nel 1806 fu creato Granduca di Clèves e Berg e nel 1808 fu Luo-gotenente generale della Spagna.

A Napoli, appena insediato, al fine di far assumere allo Stato un aspetto più moderno ed efficien-te diede nuovo impulso a quell’o-

La reggia di Murat a Napoli, 1812(Napoli, Museo di San Martino)

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pera riformatrice che era stata iniziata dal prede-cessore. Favorì pertanto lo smantellamento del sistema feudale, sistemò le finanze, che divennero più efficienti e meno sperequative, e impose l’ado-zione del Codice Napoleonico. Inoltre promosse, incoraggiò e appoggiò la crescita e l’affermarsi, anche in campo politico, di quella borghesia, i cui precursori, di origini e tradizioni illuministiche, tanto erano stati avversati dalla dinastia prece-dente. Ceto sociale dal quale dovevano successiva-mente emergere quelle forze intellettuali che eser-citarono su di lui uno sprone affinché realizzasse l’unità d’Italia partendo dal Sud. Tra le figure di questo gruppo passato alla storia con il nome di “partito italico”, la più prestigiosa e rappresentati-va fu indubbiamente quella dello storico Vincenzo Cuoco. Il sovrano, nel corso del suo non lungo re-gno, riuscì a conseguire risultati altamente positi-vi anche nella lotta al brigantaggio, triste realtà ed endemico male del Meridione.

Murat, nonostante le idee e l’impegno, non era tuttavia nella possibilità di poter svolgere un’azio-ne politica realmente sua e autonoma, in quanto condizionato da alcune clausole imposte dal po-tente cognato. Stentava però ad accettare questo vassallaggio e anelava venire in possesso di indi-pendenza e libertà d’azione. Tale aspirazione, con il passare del tempo, creò una dimensione di attri-to con l’imperatore che, in non rari casi, lo invitò a desistere da tale comportamento di latente ostilità e insubordinazione. Rientrato il dissenso, dopo un tempestoso incontro a Parigi, gli venne finalmente concesso di iniziare la tanto sospirata campagna per l’annessione della Sicilia.

Mentre la precedente spedizione per la conqui-sta di Capri (ottobre 1808) era stata un indiscusso successo per le armi napoletane, questa seconda impresa militare (ottobre 1809) si risolse inve-ce in un disastro. Gli aspri rimproveri che subito giunsero da Napoleone, che andavano a saldarsi sui precedenti, spinsero allora il Re di Napoli, che da sempre non riusciva ad accettare una sovrani-tà tanto limitata, ad iniziare azioni tese a liberare se stesso e il Reame dalla tutela francese. Triplicò così gli effettivi delle Forze Armate e sostituì alcu-ni ministri lontani dal suo orientamento politico. Anche la bandiera fu cambiata. Dopo una breve tregua in relazione alla nascita del Re di Roma, Murat, in prosieguo emanò un decreto con il qua-le invitava tutti i francesi presenti nei suoi territori ad assumere, pena la decadenza da ogni incarico, la cittadinanza napoletana. La reazione dell’Impe-ratore questa volta fu dura ed immediata! Dopo aver assunto il comando dell’ esercito del Reame, esautorando in tal modo il cognato, ordinò che da quel momento fossero da considerare a pieno di-ritto cittadini del regno di Napoli anche tutti gli

abitanti dell’Impero. A salvarlo da altri più gravi provvedimenti intervenne la campagna di Rus-sia (1812). Napoleone, infatti, necessitando della sua presenza, lo destinò all’antico comando del-la Cavalleria. Al rientro a Napoli, al termine della drammatica spedizione, percependo in pericolo l’intera struttura imperiale, diede l’avvio a tratta-tive segrete con l’Austria nella speranza di salva-re la Corona. Al ritorno di Napoleone dalle gelide terre degli Zar, iniziò nuovamente a combattere sotto le insegne francesi. Dopo Lipsia riprese i contatti precedentemente interrotti. Invitato dagli Asburgo a combattere al loro fianco in cambio del-la garanzia del trono, superato un breve momen-to di indecisione, ordinò all’esercito di invadere i territori imperiali laziali e quelli del Regno italico. Questa avanzata però fu all’insegna dell’ambigui-tà, in quanto il Murat sempre cercò di evitare dei veri e propri combattimenti, limitandosi a sempli-ci scaramucce, mentre nel contempo aveva anche iniziato un serrato scambio epistolare con Napole-one. Tale equivoco comportamento di non fedeltà a nessuno dei due schieramenti era dettato uni-

Murat in alta uniforme(Antonio Calliano, Palazzo Reale di Caserta)

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camente dal desiderio di venirsi a trovare, al termine della lotta, dalla parte del vincitore.

Il risultato tanto auspicato fu comunque raggiunto, anche se a discapito di dignità e regalità! Il Congresso di Vienna lo confermò sul trono e gli garantì i confini. La sua posizione restava però molto difficile. Ciò sia perché inserito in una realtà politica internaziona-le dichiaratamente ostile, sia in quanto la Corte borbonica a Pa-lermo esercitava forti pressioni al fine di poter ricostituire l’inte-grità dei propri domini. Integrità come già si era realizzata per le altre dinastie spodestate nel cor-so della rivoluzione e dell’Impero francese. Conscio del grave peri-colo che incombeva sulla propria Corona nel momento in cui Na-poleone ritornò a Parigi dall’isola d’Elba, fu sollecito a schierarsi nuovamente dalla sua parte. In relazione a questo nuovo pas-saggio di campo, volle anche dar corso all’antico progetto, caro al partito italico, di unificare la Pe-nisola sotto il suo scettro. Lan-ciato il Proclama di Rimini, con il quale incitava non solo il po-polo meridionale ma gli Italiani di qualunque regione a prendere parte a questa crociata contro tutti gli stranieri presenti al di

qua delle Alpi, ordinò ai reparti in armi di marciare verso il Nord. Sperava, comunque, soprattutto nell’aiuto materiale e morale di liberali riformatori e intellettua-li del Mezzogiorno. Il sostegno arrivò, ma non nella misura spe-rata! A frenare gli entusiasmi e rallentare l’impegno, molto con-tribuì la mancata concessione di quella Costituzione tanto attesa e che al momento sarebbe appar-sa una prova tangibile di reale adesione a quegli ideali di rin-novamento, unità, autonomia e libertà di cui si era fatto alfiere. Inutile dire che le classi più umili del Reame, composte nella mag-gioranza da contadini analfabeti, restarono comunque assenti e prive di qualunque entusiasmo per concetti quali italianità e ri-scatto dallo straniero, di cui non riuscivano a comprendere il si-gnificato morale e spirituale. A loro favore va però detto che tale condizione era il frutto di secoli di malgoverno, sfruttamento e oppressione feudale, che aveva-no immiserito il Paese e costretto costoro a patteggiare la propria sopravvivenza a danno di dignità e spiritualità.

L’avventurosa impresa si con-cluse a Tolentino, ove il 2 mag-gio 1815, Murat subiva una secca

sconfitta che lo privava del trono e delle restanti illusioni.

La fase discendente non era però ancora del tutto termina-ta! A Parigi, durante i cosiddetti “Cento giorni”, che precedettero il disastro militare di Waterloo, l’Imperatore gli negò il rein-tegro nel precedente incarico, non volendo che a comandare la cavalleria francese fosse chi in precedenza aveva avuto un com-portamento prima ambiguo e poi dichiaratamente ostile. Nel desi-derio di emulare Napoleone, con un manipolo di appena 250 fede-lissimi, Murat partì dalla Corsica diretto in Calabria. L’auspicio era quello che la popolazione locale, alla pari dei Francesi al ritorno dell’Imperatore dall’esilio, lo ac-clamasse e lo portasse in trionfo sino a Napoli. Lo sbarco avvenne a Pirro soltanto con 28 soldati, a causa di una tempesta che aveva allontanato i legni tra loro. La sua apparizione nella piazza princi-pale del Paese in una sfarzosa e sgargiante uniforme non suscitò l’entusiasmo sperato. I presenti non solo restarono completa-mente indifferenti al cospetto del loro passato re, quanto alcuni mostrarono addirittura una certa ostilità. Al termine di una breve scaramuccia, con un reparto bor-

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bonico prontamente sopraggiun-to, veniva preso prigioniero. Ad una farsa di processo il 13 otto-bre 1815 seguì una immediata fucilazione. Gioacchino Murat, al cospetto del plotone di esecuzio-ne, seppe essere ancora una volta l’impavido e coraggioso soldato di sempre. Morì pertanto con la dignità che si addice a un Re e a un Comandante militare.

Oggi la sua figura giganteggia maestosa e solenne nel Panthe-on dei napoleonidi e sorpassa di gran lunga quella di contempo-ranei. Tale fulgore va però a di-scapito del nitore storico. La glo-ria militare nella quale è avvolto e la morte, avvenuta in un modo così cruento, pongono infatti in ombra errori e debolezze.

Murat non fu uomo dotato di

La fausta notizia della sconfitta di Murat (Bartolomeo Pinelli, museo Napoleonico di Roma)

grandi qualità politiche, così come non fu un valido stratega. Come guerriero fu solo un valo-roso e temerario comandante in grado, con il proprio esempio e il proprio coraggio, di trascinare in una travolgente e impetuosa carica intere Divisioni di Cavalle-ria, mentre come statista sempre apparve debole e indeciso.

Fu anche in possesso di una im-mensa ambizione, a cui però non facevano riscontro reali capacità superiori. Pertanto il valore più vero e profondo del suo operato non va ricercato né sui campi di battaglia, né nella inconcludente azione politica che perseguì qua-le re di Napoli, bensì in quella opportunità che concesse al Re-gno di Napoli e ai suoi abitanti di ascendere a un livello politico,

economico, sociale da cui da se-coli erano stati esclusi. Fu grazie a lui, infatti, che tanti abitanti delle Due Sicilie maturarono la loro coscienza e formazione mo-rale e civile, divenendo la base di quel desiderio meridionale unitario e costituzionalista. De-siderio destinato a crescere nel tempo sino a giungere a comple-ta maturazione nel 1860, quan-do compatti votarono a favore di quel referendum che, con la formula “Il popolo vuole l’Italia una e indivisibile con Vittorio Emanuele re costituzionale e i suoi legittimi discendenti”, sancì la fusione del Regno delle due Si-cilie all’interno della nuova realtà politica nazionale.

Vincenzo Cuomo

L’Eco della stampa