Pithecusa -...

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2 La Rassegna d'Ischia 2/1993

Pithecusafuori dall'oblio

Il Miseo Archeologicodi Villa Arbusto in LaccoAmeno deveessere finalmente aperto al publico

per valorizzareil ricco patrimonio culturale

La conservazione ha per definizione carattere statico. Essa non dovrebbe essere fine a se stes-sa, ma essere cconsiderata come il punto di par-tenza di una azione di valorizzazione nel senso più pregnante del termine. Alla conservazione devono più particolarmente aggiungersi misure destinate a far lrgamente conoscere il patrimo-nio culturale (Amadou-Mahtar M' Bow).

Questa pagina sarà pubblicata in tutti i numeri de La Rassegna d'Ischia, fino a quando non sarà avviato effettivamente il Museo Archeologico

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La Rassegnad'Ischia

A N N O X I V

n. 2Marzo 1993

Lire 1500Spedizione in abb. postale gr. III/70%

Sommario

Motivi p. 5, 6

Casaamcciola Terme L'osservatorio geofisico p. 7, 13

La IV edizione della Mostra Mercato del Libro Galassia Gutenberg 1993 p. 8, 9, 10

Leggere per guadaagnare tempo p- 8, 9

Il Catechismo della Chiesa Cattolica p. 11, 12

Il mio Yemen (1955 - 1968) VII parte p. 15/30

La lettera p. 31

L'evoluzione delle lingue p. 32, 33, 34

Indice degli articoli 1992 per autori e materie p. 35/42

Rassegna Libri Mostre Premi p. 4

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Non tirano, di certo, venti pro-pizi in vista della nuova stagio-ne turistica. Le Amministrazio-ni comunali, in crisi politica o meno, sono bloccate sul piano operativo da deficitarie situa-zioni economiche. L'Azienda di cura, soggiorno e turismo è parimenti frenata dalla sua in-certa situazione istituzionale, retta com'è da un commissario da tempo immemorabile, men-te non ben definite sono le com-petenze precise che ne possano provocare e qualificare l'attività in un settore molto complicato e difficile. Una più adeguata e significativa presenza sul terri-torio non mostrano altri, quali la Regione e la Provincia. Questo stato di cose ha eviden-ti riflessi negativi in tutti i ser-vizi pubblici (strade, fognature, raccolta dei rifiuti, salvaguardia del mare e delle spiagge,....), per i quali nulla o poco si è fatto per intervenire in quei problemi, presenti da anni, la cui soluzio-ne potrebbe concorrere ad assi-curare un andamento migliore al fenomeno turistico. Al di là degli aspetti finanziari, che travagliano gli enti locali, sussiste un altro determinante atteggiamento che desta pre-occupazioni per il futuro, e cioè il fatto che la classe politica e dirigente appare troppo impe-gnata in una conflittualità che fa passare in secondo piano i problemi della comunità. Non solo vengono a mancare qualsi-asi collaborazione e intesa tra le forze diverse che sono presenti

Motivi RaffaeleCastagna

nei civici consessi o che opera-no nell'ambito isolano, ma non sono garanti su certe prospettive di lavoro e di intervento neppure i gruppi e i partiti nella loro più specifica espressione. Ci si trova ormai di fronte a situazioni poli-tiche e a convergenze che varia-no con facilità e senza un minimo di coerenza, quasi che in gioco non siano affatto l'interesse del-la collettività e la gestione della cosa pubblica. Amministrare oggi richiede un impegno e una partecipazione che dovrebbe spesso portare a superare contrasti e dissapori, per ritrovarsi insieme a guar-dare ai problemi reali del paese e logicamente a rintracciare e concretizzare le migliori e più adeguate soluzioni. Viceversa l'o-biettivo principale diventa spes-so distruggere piuttosto che co-struire.

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Il cittadino ha bisogno di fatti concreti, di certezze e di garanzie da parte dell'ente pubblico. Non è possibile parlare continuamen-te in senso negativo, ma occorre anche porgere eventi positivi. E' opportuno lottare l'abusivismo edilizio, evitare che l'isola si de-gradi ancora di più nella sua im-magine paesaggistica, ma questo non basta, perché la vita va vis-suta da parte di tutti. Apprezzia-mo ed esaltiamo pure la legge che sancisce il divieto assoluto di nuove costruzioni sul territorio isolano: se però non si va oltre

e si resta ancorati a questa ini-ziativa, chi ha la competenza in materia ha compiuto soltanto la metà del suo dovere, in quan-to favorisce lo speculatore del passato, ma non dà sicurezza a coloro che vogliono restare nel-la legalità per migliorare le pro-prie condizioni di vita. D'altra parte nella fattispecie il proble-ma della casa si presenta in ma-niera più penalizzante, in quan-to neppure il settore pubblico è capace di operare a vantaggio di una parte della cittadinanza. L'edilizia popolare non può re-stare bloccata in senso assoluto o addirittura essere sacrificata alle esigenze, non sempre im-pellenti, delle strutture alber-ghiere portate ad incrementare la loro capacità ricettiva.

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Nel comune di Forio la vita politico-amministrativa vive un altro mutamento ai suoi vertici. Cambia la maggioranza. Torna al potere la Democrazia Cristia-na. Ma soprattutto occupa nuo-vamente la poltrona di sindaco Gaetano Colella. Come già a Casamicciola in tempi passati, anche qui le nuo-ve frontiere non sono riuscite a mantenere la DC in minoranza ed all'opposizione. Le alleanze che sembravano aver concre-tizzato un tale obiettivo si sono dissolte facilmente. Nell'occa-sione ci si trova di fronte ad un fatto che desta maggiore stupo-re, in quanto è facile ricordare

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periodi burrascosi tra Colella e gli altri democristiani. In molti (compresi gli stessi protagoni-sti) c'era, espressa o meno, la convinzione che un tale incon-tro non avrebbe mai più po-tuto verificarsi. Ma in politica tutto è possibile e quindi non vale meravigliarsi di quanto succede. D'altra parte la stessa unione Colella-Iacono appari-va fuori posto per le medesime ragioni di una precedente ed aspra contrapposizione. Non si possono infatti dimenticare gli avvenimenti del 1986, quando tutte le forze politiche chiesero la revoca del sindaco Colella, ritenuto "il massimo respon-sabile" dell'immagine negati-va che andava caratterizzando Forio: "La popolazione vive in uno stato di tensione e preoc-cupazione, determinato da una concezione proprietaria della cosa pubblica, in una logica di esercizio del potere sugli altri e non per gli altri; un sistema che è stato, anche se in dimen-sioni più ampie, denunciato dalla recente presa di posizione della Curia Vescovile". "Ebbe-ne, dopo il 23 maggio, passata la sfiducia, visto che da questo orecchio non ci sentiva, pas-sammo alla revoca. La rervoca è un atto delicatissimo, un atto che ha pochi precedenti nelle istituzioni. Ricordo - diceva Franco Regine - ancora come il prefetto stigmatizzava questo aspetto di questa operazione, il fatto eclatante che in 40 anni di prefettura Agatino Neri non si era mai trovato di fronte ad una revoca ad un sindaco".

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Tralasciando i risvolti riferiti so-pra, possiamo dire che gli ultimi avvenimenti hanno rappresen-tato una duplice rivincita di Ga-etano Colella, cui hanno dovuto fare ricorso a turno coloro che si erano retti a suoi giudici e ne avevano sancito il crollo politico. Ai socialisti aveva fatto comodo il suo appoggio perché Franco Iacono potesse dare vita ad una amministrazione nuova, senza la democrazia cristiana; oggi svani-to questo accordo, i democristia-ni gli offrono ancora una volta la carica di sindaco, per riprendere la guida del paese, pur in un mo-mento molto difficile e grave per chiunque debba reggere le sorti di un comune.

"Io ho l'impressione che a Fo-rio abbiano paura. Ma di chi? di Gaetano Colella... Dobbiamo camminare a testa alta, perché questa epoca è finita. Abbiamo una legge che ci tutela, abbiamo delle istituzioni al nostro fianco" (intervento di Salvatore Mat-tera nella seduta consiliare del 27.6.86).Peraltro Colella, passato nel-

le file del PSDI, aveva ottenuto i consensi necessari per essere rie-letto consigliere provinciale.

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All'interrogativo che da tempo riproponiamo su queste pagine circa l'apertura del Museo di Vil-la Arbusto e la valorizzazione dei reperti archeologici, ivi custo-diti, vogliamo accoppiare quel-lo sul riordino dell'Osservatorio geofisico di Casamicciola Terme.

Una convenzione firmata tra la Provincia di Napoli, il Comune di Casamicciola Terme e l'Os-servatorio Vesuvian, come si può leggere in altra parte del giornale, dovrebbe garantire a breve termine la riapertura del-la struttura. Ma è forse il caso di non farsi troppe illusioni, anche in questa occasione, per-ché è facile far balenare tante promesse, ma difficile passare ai fatti concreti. E in tal senso lo stesso Osservatorio di Casa-micciola ha vissuto spesso sulle prospettive di pronta valoriz-zazione, ma poi tutto è svanito nell'oblìo totale.

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La stagione turistica si appre-sta a ripartire per l'avventura 1993, ma come al solito tutto è lasciato al caso. Manca una qualsiasi programmazione del-le manifestazioni che potran-no caratterizzare i suoi giorni. Non ci sono interventi pubblici, sono assenti le iniziative priva-te.

Sono, questi, discorsi che si ripetono di anno in anno e che trovano spazio ovvia-mente su tutti i giornali, ma indubbiamente vanno fatti e citati,perché rappresentano la vita locale e da essa non si può fare astrazione, quando se ne deve riferire. Siamo ripetiti-vi tutti noi. Sono insensibili a questi problemi i politici e i di-rigenti locali. E ciò va detto.

RaffaeleCastagna

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notevole intensità sconvolse la citta-dina di Casamicciola. Esaattamente all'indomani di tale evento lo Stato provvide ad istituire con proprio decreto un Osservato-rio geofisico (originariamente detto geodinamico), disponendo anche per la costruzione di una adeguata sede di proprietà demaaniale, ubi-cata sull'amena collina della Senti-nella (1885). Poiché la costruzione si protraeva a lungo, si decise di in stallare l'osser-vatorio a Porto d'Ischia in un angolo dell'antica Reggia (1888). Direttore fu nominato il signor Giulio Grablovitz, triestino, che die-de sviluppo all'Osservatorio isolano. Nel 1898 lo Stato dispose il ritorno a Casamicciola; tuttavia alcuni stru-menti furono lasciati in funzione anche a Porto d'Ischia, ove si ebbe un successivo trasferimento delle funzioni di istituto nel 1903. Per oltre due decenni (1902 - 1923) furono compiuti rilievi sismici ed osservazioni meteorologiche mai utilizzate in quel tempo ai fini di ri-cerche climatologiche. Non si prov-vide inoltre a rinnovare secondo

le esigenze e i progressi tecnici le attrezzature relative. Il 1923 il go-verno nazionale ne decise la sop-pressione per ragioni economiche. Il mareografo passò alle dipendenze di altri organi tecnici della Città di Napoli, che ben presto se ne disin-teressarono. Si ricominciò a parlare dell'Osser-vatorio isolano dopo il 1940. Ne propugnarono il ripristino e il po-tenziamento il prof. Placido Rug-giero, ingegnere capo del servizio idrografico del Genio Civile per la Campania, e il prof. Cristofaro Men-nella, che prese ad elaborare i dati raccolti dal Grablovitz e rimasti per lungo tempo semplicemente come materiale di archivio, traendone preziose conoscenze sulle caratteri-stiche climatiche dell'isola. Vennero riattivati i locali demaniali di Casa-micciola e ripristinati alcuni stru-menti. I due studiosi promossero anche la creazione di un Comitato, for-mato da eminenti rappresentanti del mondo scientifico, per portare avanti l'iniziativa di rilancio.

Questo interessamento si espli-ca con continue richieste e con in-terventi che non trovano la dovuta considerazione nelle sedi opportune e competenti, rimanendo ancora-te più ad ostacoli e difficoltà che a chiare prospettive di soluzione. Il 15 marzo 1945 il Centro Studi, prendendo atto del programma del citato Comitato e dei risultati con-creti già conseguiti con le riparazio-ni urgenti effettuate nei locali della Sentinella, con la reintegrazione della sezione sismica, con il ripristi-no della sezione meteorologica, au-spicava che, nel riordino del servizio meteorologico nazionale, l'osserva-torio isolano entrasse a far parte del novero degli istituti similari, inten-ti a svolgere studi e ricerche in un campo così strettamente connesso con l'economia del paese. Nel 1951 l'Ufficio Centrale di Me-teorologia affidò al prof. Cristofaro Mennella la direzione dell'osserva-torio geofisico; e il bisogno di un po-tenziamento delle relative strutture veniva propugnato ancora nel 1954, quando lo stesso Mennella si faceva promotore di un Centro Sperimen-tale di idroclimatologia per avvia-re ricerche sistematiche del clima dell'isola d'Ischia.

Ma anche la realizzazione del Centro resta nelle intenzioni de-gli studiosi. Essa - scrive il prof. Mennella - pur essendo stata de-liberata dal Consiglio di Ammi-nistrazione dell'EVI sin dal 1956, dopo un buon quindicennio è an-cora di là da venire, nonostante la fondamentale importanza dell'argomento in oggetto e che altre stazioni termali del meri-dione, nel frattempo, siano state dotate di istituzioni del genere. Altre iniziative ed ulteriori ap-pelli sono stati proposti dall'Am-ministrazione comunale di Ca-samicciola, ma egualmente con scarsi risultati concreti.

Si tenta un nuovo impulso

La prima riunione del Comitato si tenne il 15 febbario 1943 a Napoli, e in una relazione approvata all'una-nimità si legge:

L'istituzione di un osservatorio geofisico in un territorio che, come quello dell'isola d'Ischia, presenta tanto alto interesse scientifico ed economico per le sue particolari caratteristiche geo-morfo-idrolo-giche è consigliabile, anzi si impone da più punti di vista.

Come ha prospettato a varie ri-prese in pubblicazioni sull'argo-mento il dott. Cristofaro Mennella, un tale osservatorio dovrebbe dive-nire il centro promotore, suscitato-re, coordinatore di studi locali atti a porre nella giusta evidenza tanti

fattori naturali, di cui alcuni passa-ti inosservati e che invece possono validamente concorrere alla più vasta valorizzazione dell'isola.L'osservatorio di cui si patrocina l'istituzione deve rappresentare un centro di studi veramente attivo e non un platonico catalogatore di dati magari già definiti, di osser-vazioni che lasciano il tempo che trovano. È l'inizio di una battaglia che ancora oggi continua per lo studio delle co-spicue risorse naturali dell'isola nei settori del termalismo e del clima-tismo; studio da basare sull'ammo-dernamento delle antiche strutture ed avvalendosi peraltro di tecniche ed apparecchi più moderni.

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DAL 17 AL 21 FEBBRAIO 1993, NEI LOCALI DELLA MOSTRA D'OLTREMARE, SI E' SVOLTA LA QUARTA EDIZIONE DELLA MOSTRA MERCATO DEL LIBRO

GALASSIA GUTENBERG 1993

LEGGERE PER GUADAGNARE TEMPOGeorge A. Theodorson e Achilles G. Thedorson (1) definiscono il termine "crisi" come una "grave interruzio-ne del normale modo di vita di un individuo o di un gruppo, dovuta al verificarsi di una situazione inattesa di fronte alla quale l'individuo o il gruppo (o il sistema) sono impre-parati e che solleva problemi cui le risposte consuete risultano inade-guate". " La crisi - aggiungono - può essere c u m u l a t i v a quando si sviluppa lentamente attraverso una lunga serie di eventi e alla fine raggiunge uno stadio in cui è così dirompente per la normale vita dell'individuo o del gruppo che non può essere ignorata più a lungo ; i n a s p e t t a t a quando si verifica senza preavviso ed è il risultato di fattori che sono al di fuori del controllo dell'individuo o del gruppo ( o del sistema) interessati".La crisi che attraversiamo coinvolge non solo la pratica del governare

ma le stesse norme morali e politiche su cui si regge lo Stato: é politica e istituzionale ed é una crisi cumulativa e inaspettata. Cumulativa perché frutto di una crescente incapacità progettuale e di una crescente difficoltà a ricono-scersi in alcuni valori da tutti accettati che ha consentito l'occupazione dei vari gangli dello Stato da parte di pic-coli faccendieri, spesso privi di compe-tenza, impegnati a trarre profitto per sé e/o per il proprio gruppo nella strenua riproposizione di un sistema di potere da perpetrare ai danni della collettività. Inaspettata per la vastità del fenomeno e le conseguenze dell'azione giudiziaria chiamata a svolgere una vera e propria supplenza del potere politico quan-do si assume per intero il compito di moralizzare la vita pubblica italiana. In questa crisi generale si inserisce la situazione politico-amministrativa, giudiziaria e sociale (disoccupazione, delinquenza organizzata, ecc.) dell'I-talia Meridionale che ha radici antiche ma non per questo meno nefaste.Il New York Times riferendosi al "caso Italia" a cui ultimamente ha dedicato

un editoriale ed un ampio servizio in prima pagina, scrive: "Il sistema del dopoguerra sembra diretto verso il crepuscolo politico; ma gli america-ni possono sperare che un'alba più democratica sia vicina."Come superare questo crepuscolo e soprattutto come sostanziare questa alba é un problema che interessa cia-scuno di noi se si vuole evitare quello che il giudice Caponnetto chiama " i possibili sbocchi autoritari". Nuove regole di moralizzazione e nuovi pro-getti politici cominciano ad emergere nei vari partiti e nelle organizzazioni sociali; occorre svilupparli con il contributo di tutti e comunicarli per consentire nuove aggregazioni che sappiano rispondere ai nuovi bisogni comuni per non lasciarsi sopraffa-re dallo sconforto e dagli interessi corporativi.I problemi enormi che abbiamo di fronte non possono essere certo superati da una mostra del libro, tut-tavia Galassia Gutenberg, una delle poche manifestazioni di massa di questo tipo che si svolgono al Sud per

1) G.A. Theodorson - A. G. Theodorson: Dizionaro di sociologia, A. Marotta edito-re, Napoli 1971 p. 133.

di CarmineNegro

Cinquantacinquemila visitatori, tre-cento editori, cinquecento tra autori e relatori intervenuti, settemila studenti provenienti da cento scuole : questa in cifre Galassia Gutenberg 1993.

Promossa dall'associazione Galassia Gutenberg e dall'Ente Autonomo Mo-stra d'Oltremare in collaborazione con l'Unione Industriale di Napoli la mani-festazione di quest'anno si è articolata su due momenti principali.

Il primo ha fissato l'attenzione sui problemi della diffusione e promozione della lettura mentre il secondo attra-verso una serie di seminari e dibattiti ha affrontato le complesse dinamiche

di libri in un'area del paese tradizional-mente considerata debole nel panora-ma del mercato editoriale nazionale.

Attraverso la identificazione delle abitudini di acquisto dei libri e delle modalità di lettura l'indagine ha inte-so pervenire ad un identikit del letto-re campano. La ricerca si è basata su interviste telefoniche condotte su un campione rappresentativo della popo-lazione dell'Italia Meridionale e sulla compilazione di un questionario rivolto ai lettori/acquirenti di alcune significa-tive librerie campione e ai lettore de "Il Mattino".

I risultati dell'indagine, condotta dal Dipartimento di Sociologia dell'Univer-sità degli studi di Napoli e dalla Socie-

del rapporto tra Nord e Sud del nostro paese.

L'associazione Galassia Gutenberg in collaborazione con l' ALICONFCOM-MERCIO e con il quotidiano "Il Mat-tino" ha promosso un'indagine sulla lettura nel Mezzogiorno collocata nella sezione "I diritti del lettore"; questo per poter disporre di dati piu' aggiornati e di indicazioni di carattere qualitativo sullo stato della lettura al Sud partendo da quei luoghi di maggiore frequenta-zione del lettore, come ad esempio le li-brerie che nel Mezzogiorno e in Campa-nia sono meno numerose e sviluppate che nel resto del paese. L'obiettivo era quello di raccogliere una serie di infor-mazioni sulla diffusione e sul consumo

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la ricchezza di incontri e di interventi può dare un contributo non indiffe-rente al dibattito.Non si tratta di difendere la mani-festazione della Mostra d'Oltremare come fa Jean Noel Schifano direttore dell'Istituto Francese "Grenoble" in risposta al rettore dell'Istituto Suor Orsola Benincasa Antonio Villani che l'ha tacciata di provincialismo e di occasione perduta per Napoli e per il Sud. Siamo tutti grati agli organizza-tori per questo gravoso impegno, spe-cie se si considera che il tutto avviene a Napoli capitale dei disservizi; si tratta di focalizzare l'attenzione su quelli che possono essere i contributi che si possono fornire per una mag-giore fruibilità della mostra stessa. Leggere oggi e cioé veicolare attra-verso testi idee ed emozioni, non é solo una esigenza, seppure legittima, degli editori in ispecie quelli meridio-nali, ma una necessità per prepararsi allo sviluppo di quel nuovo di cui ha bisogno il paese.Secondo Antoine Gallimard, edito-re francese con un fatturato di 300 milardi l'anno e mille dipendenti, una delle poche voci straniere pre-senti a questa edizione di Galassia Gutenberg, l'editoria napoletana é tagliata fuori ed ha serie difficoltà ad imporsi perché si trova ai margini dei grandi circuiti. Gallimard era già stato a Napoli quattro anni fa ed anche allora si parlava di un recupero

della memoria storica e culturale del carattere europeo di Napoli, un recupe-ro importante oggi più che mai e non solo per la città e il Sud, ma per l'intero paese.Una novità positiva comunque Galassia é riuscita a conseguirla e si chiama As-sociazione Piccoli Editori Meridionali: con la sigla APEM si riuniranno dodici piccoli editori per affrontare i problemi legati alla produzione e distribuzione dei libri sul territorio nazionale.L'indagine conoscitiva su "Il lettore al Sud" promossa dall'associazione Galassia Gutenberg in collaborazio-ne con l'ALICONFCOMMERCIO e il quotidiano "Il Mattino" rivela che nel Meridione il 37% del campione consi-derato legge almeno un libro all'anno e in Campania solo il 23,60%.Scrivemmo in occasione della seconda edizione (L'unica é leggere, Rasse-gna d'Ischia Anno XII n.1 Febbraio 1991) che le biblioteche territoriali e le scuole sono il supporto indispen-sabile per una reale crescita ed una affezione a quell'oggetto magico che é il libro. In assenza di un interlocutore e soprattutto di una politica culturale del settore é bene che l'associazione Galassia Gutenberg, in una sorta di supplenza, elabori progetti da sotto-porre da subito al dibattito e prepararsi così anzitempo alla quinta edizione della manifestazione. In particolare si dovrebbe agire sulle biblioteche scola-stiche, punto di incontro tra il flusso di

informazione che viene dall'esterno e la domanda e l'elaborazione sul terri-torio che viene dall'interno. L'assenza di una figura come il bibliotecario, di certo una grave mancanza nella legi-slazione scolastica, potrebbe essere sostituita, in un periodo di surplus di docenti con personale specializ-zato particolarmente sensibile ai problemi didattico-educativi. Questo tipo di biblioteca aperta oltre l'orario scolastico dovrebbe fornire il sup-porto ai docenti ma anche agli alunni per le attività di ricerca e culturali e saldarsi alla biblioteca territoriale sul modello delle Library statunitensi. Solo così la scuola può diventare cen-tro vivo di comunicazione del sapere tra le giovani generazioni da collegare a questo tipo di biblioteca-library polo di arricchimento culturale sul territorio. L'idea si concretizza nel momento in cui si comunica; i tempi nuovi neces-sitano di uno sviluppo delle idee e di uno sviluppo della comunicazione e quella scritta Per Gallimard é necessario leggere per trasmettere la memoria e affron-tare il presente, un programma non piccolo in questo periodo di trasfor-mazione ma a noi serve, come affer-ma saggiamente D.Pennac, "Leggere per guadagnare tempo".

CarmineNegro

tà DEAM, indicano, tra l'altro, che in Campania si vende poco più del 4% del prodotto nazionale mentre nel Mezzo-giorno non si supera il 16%, in Italia, poi, 23 famiglie su 100 non ha nessun libro. Mentre i dati rivelano che il con-sumo di libri è basso il mercato edito-riale riversa sugli scaffali delle librerie ogni anno 35000 novità disorientando il lettore. "Lo smarrimento di fronte alle novità librarie può trasformarsi in estraneità nel caso di una platea di let-tori deboli, disabituati a considerare il libro come qualcosa di utile e di piace-vole." Per questo è stata promossa l'ini-ziativa I diritti del lettore ; sono stati raccolti in un opuscolo, pubblicato dalla casa editrice Liguori con il titolo Mani-festo dei diritti del lettore, gli interventi di critici, sociologi, responsabili di pagi-

ne culturali. In esso si definisce la stra-tegia per la diffusione del libro, definito merce, protesi, specchio, sogno, meta-fora, puttana, diritto, progetto; per fare affari bisogna fare cultura, per vendere libri bisogna occuparsi del lettore, assu-mere informazioni su di lui, blandirlo, irretirlo; mettere al centro del discorso culturale e commerciale colui che legge , soprattutto al Sud dove sono rare le persone che mostrano sensibilità per questa attitudine .

L' invito alla lettura di Galassia Gu-tenberg 1993 non voleva solo risponde-re all'esigenza di ampliare un mercato da tutti giudicato ristretto e potenzial-mente molto dilatabile ma altresi' so-cializzare il piu' ampio numero possibi-le di persone al libro e a tutto cio' che intorno al libro ruota e si costruisce: la

formazione scolastica e professionale, la coscienza sociale e civile, la formazio-ne delle idee e di progetti, l'organizza-zione del tempo libero, l'informazione, la curiosità per quella crescita sociale e civile di tutta la società meridionale. E a quest'ultimo punto è stato dedicato il secondo momento di questa mani-festazione: "Laboratorio Sud". I gros-si temi della mafia, delle tangenti, del leghismo, hanno inondato il mondo dell'informazione e dell'editoria sotto-lineando in negativo il processo di me-ridionalizzazione che avrebbe colpito la società italiana.

Galassia Gutenberg ha voluto ana-lizzare, da piu' punti di vista, i recenti drammatici episodi mafiosi, la corru-zione istituzionale e politica e piu' in ge-nerale il fenomeno secessionista, vista

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l'importanza che riveste nell'attuale pa-norama culturale ed editoriale italiano, con l'intento di ritagliare uno spazio che consenta di promuovere e rilanciare l' immagine di un mezzogiorno operoso, creativo e propositivo.

Primo significativo appuntamento è stato l'incontro tra il giudice Antonino Caponnetto, Saverio Lodato e Mons. Antonio Riboldi e gli studenti sul tema "Lotta alla mafia: quale futuro?" Anto-nio Caponnetto che ha scritto la prefa-zione del libro, di prossima uscita, di don Antonio Riboldi ha citato alcuni episodi che lo hanno particolarmente colpito cosigliando la lettura di quello che ha definito un "insegnamento di vita veramente prezioso". Riferendosi a quanto scriveva Giovanni Falcone: "Le nostre idee seguiteranno a cammi-nare sulle gambe degli altri" si è ram-maricato per quella frase pronunciata all'indomani della morte di Paolo Bor-sellino: "tutto è finito". "E' stato come ammazzare per la seconda volta i miei due amici. Ora sto portando, dove pos-so la loro testimonianza" ha aggiunto il giudice-simbolo della lotta alla mafia in una sala gremita che lo applaude pie-na di curiosità ma anche bisognosa di speranza. Gli studenti si affollano con le loro domande al microfono e lui ri-sponde che "non si può pensare di scon-figgere la mafia senza cambiare questo sistema politico, che le mummie e i sar-cofaghi devono tirarsi in disparte, con le buone o con le cattive, ... che il cam-biamento deve avvenire nel rispetto delle regole democratiche evitando con ogni forza i possibili sbocchi autoritari, ...che l'arresto di Riina non è il risultato dell'abbandono da parte della mafia". Dopo aver parlato degli appalti defini-ti vero cemento tra politica e mafia a proposito del terremoto dice: "Potrebbe essere tardi per indagare, in tutti questi anni c'è stata la possibilità di far sparire molte carte. Ma io ho fiducia nell'inizia-tiva del presidente Scalfaro, che porterà senz'altro a dei risultati positivi".

Don Riboldi, dopo aver ricordato un episodio del suo libro in cui un camor-rista gli chiedeva il perchè invece di oc-cuparsi della Madonna, si soffermava tanto su loro "vermi schifosi" si scaglia contro le grandi aziende che dismet-tendo al Sud per assumere lavoratori al Nord favoriscono la camorra "..così ci danno veramente l'inferno"

La "questione settentrionale" è stata affrontata in un provocatorio semina-rio con successivo dibattito promosso dall'Imes e dalla rivista Meridiana dal titolo "Quale nord quale Italia? L'Italia settentrionale tra crisi di egemonia e ri-cerca d'identità".

Per Silvio Larnaro la "questione set-tentrionale" che affligge la vita pubblica italiana, non si identifica con i "torti" e con l'egoismo del Nord capitalistico-industriale nei confronti delle regioni meno floride del paese. "Poichè il termi-ne <questione>, nel lessico politico de-gli ultimi cento anni si riferisce sempre a un qualche gruppo di arretratezza (la <questione sociale>), il ritardo specifi-co accumulato da Piemonte, Lombar-dia, Veneto e via seguitando consiste invece in una visione esasperatamente municipalistica della politica, in un di-sinteresse sostanziale per le istituzioni del Regno prima e della Repubblica poi." Il fenomeno è di antica data, e risale ai modelli culturali cui si ispira una classe dirigente (Melchiorre Gioia, Giovan Domenico Romagnosi e in buo-na parte anche Carlo Cattaneo) che si preoccupa soprattutto di bonifiche, di strade ferrate, di tecniche agricole, di scavi minerari, di mercato dei capitali, di attivazione di nuove industrie. Sia-no liberisti o protezionisti, per la loro "filosofia civile" il potere politico deve assolvere con discrezione un compito tutorio, assecondando l'iniziativa priva-ta senza frenare l'intraprendenza con eccessi legislativi, intralci burocratici o supplenze non richieste. Le élites me-ridionali, invece, sono immerse da anni in una cultura <di stato>, che implica un concetto della politica come prin-cipio ordinatore dei comportamenti collettivi e come strumento di codifica-zione delle relazioni private. La conse-guenza è un paradosso : è il ceto poli-tico meridionale quello che appare più impegnato a disegnare uno sviluppo complessivo del paese, e che predispo-ne tutta la gamma di sussidi necessari all'industrializzazione, se non altro per-chè la borghesia settentrionale si ritrae con aperto fastidio dall'esercizio del-le pubbliche magistrature. La grande colpa della borghesia del nord risiede nella vocazione centripeta, nello scar-so spirito unitario, nel rifiuto delle re-sponsabilità insite in un'egemonia per tanti versi obbligata. Alla luce di queste

considerazioni, per l'autore, il leghismo non si presenta come un'escrescenza temporanea, in balia della congiuntu-ra e votata a un inevitabile declino ma come il tentativo di spendere giudizio-samente un gruzzolo di supremazia troppo a lungo risparmiato. Il <buon senso lombardo> di cui Cesare Corren-ti auspicava la sopravvivenza già nel 1860 ora rivendica il diritto a godersi i frutti del proprio lavoro ora ambisce a impugnare le redini di un paese di cui non gli è mai importato molto ma che in una situazione di dissesto promette alla fin fine di far combinare qualche buon affare. Con questo la Lega si esi-me dal fare i conti con la crescita lenta e costante di un nuovo Mezzogiorno, che malgrado mafie, camorre, sprechi e clientele non è affatto l'inferno ma un'a-rea geoeconomica e geopolitica che con tutte le sue contraddizioni possiede ri-sorse tali da impedire neocolonialismi e tribalizzazioni che renderebbero l'Italia l'immondezzaio d'Europa.

Per Pietro Bevilacqua, direttore di Meridiana, " Guardare all'Italia nel suo complesso, dopo l'Unità, dal punto di osservazione del Sud, ha consentito di vedere gli squilibri, le profonde diver-sità. Il carattere privilegiato dell'osser-vazione dal Sud si è appiattito su uno stereotipo sul quale è stato schiacciato l'intero paese. Tutti i segni positivi sono stati caricati sul Nord e questo ha im-pedito di guardare alla storia nazionale dal punto di vista più alto dello svilup-po. Nel momento in cui tutto viene ri-messo in discussione c'è bisogno di una ricentratura del punto di osservazione"

La manifestazione della Mostra d'Ol-tremare ha presentato, comunque, mol-ti altri momenti di incontro, di dibatti-to, di presentazione di nuovi volumi.

Per Gerardo Marotta, direttore dell'I-stituto per gli Studi Filosofici, "Galas-sia Gutenberg ha un pregio rispetto le fiere di Torino e Francoforte; là si offre merce qui si fa cultura. Questa mostra diventerà sempre più un fenomeno cul-turale, un momento di scambio, uno specchio della cultura del Sud. L 'anno venturo faremo venire anche i giovani, ospiteremo fogli, giornali e giornaletti, tutto quello che si muove nel Meridio-ne."

CarmineNegro

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Il catechismo dellaChiesaCattolica

Pietro Monti

Il 7 dicembre 1992, Giovanni Paolo II, alla presenza di rappresentan-ti dell'episcopato di ogni parte del mondo, ha consegnto nella perso-na di cinque vescovi, una coppia di sposi, due giovani e due bambini, il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC). Esso apporterà un contri-buto molto importante all'opera di rinnovamento dell'intera vita eccle-siale e costituisce un servizio che il Successore di Pietro vuole rendere alla santa Chiesa Cattolica, di soste-nere e confermare la fede di tutti i credenti in Cristo e di rafforzare i legami dell'unità nella fede aposto-lica. La promulgazione del CCC costi-tuisce un evento importante della Chiesa in questo ultimo decennio del secolo XX (1).

Il Catechismo ha dietro di sé una storia assai lunga. La parola cate-chismo fu usata per la prima volta dall'arcivescovo di York, Tkoreby, che pubblicò The Lay Folks Catechi-sm, le verità essenziali della fede e della morale cristiana da insegnare al popolo. Il primo a scrivere nel 1529 un Piccolo Catechismo dei ru-dimentali fondamenti della fede e poi un Grande Catechismo, è Lutero per dare aiuto ai predicatori incari-cati di insegnare la fede cristiana al popolo. Anche in campo cattolico nascono catechismi: i più noti sono quelli redatti tra il 1555 e il 1560 da S. Pietro Canisio, dapprima in latino e poi in tedesco. Ne derivarono tre catechismi: il Catechismus maior, destinato agli universitari, nei colle-

gi, che si contrapponeva al Grande Catechismo di Lutero; il Catechi-smus minimus, destinato ai bam-bini; e il Catechismus parvus catho-licorum per gli studenti delle classi inferiori. Tanto quelli di Lutero che quelli di Canisio incontrarono una notevole accoglienza. Il secondo ebbe circa 500 edizioni e fu tradotto in circa 25 lingue. Ma il catechismo che più stretto rapporto con quello di Giovanni Pa-olo II è quello del Concilio di Trento (1545-1563). davanti alla vasta igno-ranza della fede nelle file del popolo fu imposto ai parroci che "almeno nelle domeniche e nelle feste" do-vevano insegnare ai fanciulli gli ele-menti essenziali della fede. Esso non doveva prendere il posto della Bibbia e della Tradizione; do-veva trattare i capitoli tradizionali: Credo, sacramenti, Comandamenti e Padre Nostro, senza polemizzare. In realtà il Concilio di Trento (16 aprile 1546) prescrisse che si com-pilasse un catechismo contenente soltanto i punti fondamenatli della fede e che fosse opera del Concilio stesso; solo più tardi fu nominata una Commissione per redigerlo. Ma non fu fatto, in quanto si aveva fretta di chiudere il Concilio, che af-fidò il compito di redigerlo al papa Pio IV . A tal fine fu costituita una Commissione di teologi sotto la di-rezione di S. Carlo Borromeo. I lavo-ri durarono fino al 1566, quando Pio V ordinò la stampa del Catechismus ad Parochos, detto poi Catechismus Romanus.

Ci sono molte somiglianze tra il Ca-techismus Romanus e il CCC. Tutti e due vengono dopo un concilio

ecumenico; pur non essendo opera delle rispettive assemblee, ne riflet-tono la dottrina. Entrambi hanno la stessa struttura quadripartita (quattro parti): Credo, Sacramen-ti, Comandamenti, Padre Nostro. Evidentemente la trattazione delle singole parti è molto diversa, poi-ché il CCC usufruisce dell'immenso apporto teologico di oltre quattro secoli di vita della Chiesa e soprat-tutto del lavoro di aggiornamento e di approfondimento e correzione di alcune tendenze compiuto dal Vati-cano II. L'identità dello schema ge-nerale mostra che la Chiesa innova sempre nella fedeltà alla tradizione, anzitutto alla Tradizione Apostolica. E' chiaro che il CCC non si rifà solo al catechismus ad Parochos e alla tradizione catechetica fiorita in tutte le nazioni europee in cui compaio-no nomi di illustri catecheti; ricor-diamo il Catechismo Cattolico delle diocesi della Germania (1953) e il Catechismo Cattolico degli adulti (1985). In Francia comparvero i Ca-techismi di J. B. Bossuet, C. Fleury, J. Olier, e altri tra le due guerre. Per l'Italia vanno menzionati i nomi di San Roberto Bellarmino, di S. Al-fonso M. dei Liguori, di S. Giovanni Bosco e soprattutto il Catechismo di Pio X (1912). Solo dopo il 1970 si ebbero catechismi destinati alle di-verse fasce di età: dei bambini, dei fanciulli, dei ragazzi, dei giovani, degli adulti. Il CCC non ha inteso abolirli né di-chiararli sorpassati, ma, conservan-done la loro validità, ha integrato le carenze di precisione circa la dottri-na della Chiesa e completato i punti essenziali riguardanti la fede. In re-altà il CCC non si rivolge al passato, ma al futuro e vuole costituire un freno alla creatività catechistica. Papa Giovanni Paolo II, facen-do sua la richiesta del catechismo unico nella Relazione finale (II, B, 4) del Sinodo dei Vescovi dell'otto-

1) Leggendo e annotando da "La Civiltà Cat-tolica" n. 3421, gennaio 1993.

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bre 1985, il 10 luglio 1986 decise di costituire una Commissione di car-dinali e di vescovi con l'incarico di preparare un progetto di catechismo universale. I lavori sono durati fino al 30 aprile 1992, quando si è giunti alla definizione del CCC. I progetti sono stati corretti e ricorretti, con-sultati da tutto l'episcopato, dalle Università cattoliche, dalle facoltà teologiche e da numerose persone competenti nelle varie discipline teologiche. Si può affermare che il CCC è un'opera collegiale. Giusta-mente ha affermato Giovanni Paolo II nella costituzione Depositum fi-dei: "Si ha ragione di affermare che questo catechismo è il frutto di una collaborazione di tutto l'episcopato della Chiesa Cattolica". Come si è accennato, il Catechismo ha una struttura quadripartita; rifa-cendosi al catechismus ad Parochos, il CCC si articola in quattro parti che, secondo l'antichissima tradi-zione della Chiesa, corrispondono al Credo, ai Sacramenti, al Decalogo e al Padre Nostro. Il cristiano, infatti, crede in Dio-Trinità rivelatosi e co-municatosi agli uomini nella perso-na di Gesù Cristo e nella sua opera che è la Chiesa; celebra il mistero di Dio nella Liturgia e ne riceve la gra-zia nei sacramenti; vive da figlio di Dio in Cristo e nello Spirito osser-vando i dieci Comandamenti; prega

il Padre che è nei cieli, chiedendo che "venga il Suo Regno" e vivendo nell'attesa della vita eterna. La persona di Gesù Cristo è il filo che lega le quattro parti dando al CCC un carattere fortemente cri-stocentrico: Cristo è al centro della fede, in quanto ci rivela il Padre, co-munica lo Spirito Santo e, con la sua incarnazione, morte e resurrezione, porta la salvezza agli uomini rac-colti nella Chiesa, essendone Capo e Signore; Cristo è presente come mediatore nella celebrazione euca-ristica e agisce nei sacramenti; Cri-sto vive nel cristiano ed è modello e maestro dei figli di Dio; cristo infine prega nel cristiano e col cristiano e lo santifica. Professando la fede in Gesù di Nazaret, Figlio eterno di Dio fatto uomo, il CCC ci conduce alla fede in Lui (n. 425): perciò "al centro della catechesi noi troviamo essenzial-mente una persona: quella di Gesù di Nazaret (n. 426). Dopo aver esposto la fede della Chiesa nello Spirito santo, il CCC osserva che "l'articolo di fede sulla Chiesa dipende interamente dagli articoli riguardanti Gesù Cristo", poiché "la Chgiesa non ha altra luce che quella di Cristo", così come "di-pende anche interamente da quello sullo Spirito Santo", poiché "la Chie-sa è il luogo dove fiorisce lo Spirito" (n. 748).

La pubblicazione del CCC è stato un evento straordinario e illumi-nante in questo nostro tempo di de-clino dei valori morali ed essenziali all'avventura dell'uomo sulla terra che cerca di aggrapparsi alle uni-che cose che sembrano consistenti: la ricchezza, il piacere, il successo: felicità che passano e su cui grava continuamente la minaccia della sofferenza e della morte. Papa Gio-vanni Paolo II, con la pubblicazione del CCC, ha voluto offrire all'umani-tà di oggi, perché vinca l'incertezza e lo scetticismo, valori e certezze che danno senso alla vita; valori e certez-ze assolutamente validi e consisten-ti, perché non fondati su filosofie umane, fragili e mutevoli, ma fermi su Dio onnipotente, che è la Roccia che non muta, e su Gesù Cristo, nel quale Dio ha parlato agli uomini ed è venuto personalmente incontro ad essi per renderli partecipi del Suo Regno e della felicità infinita. Pertanto accogliamo, studiamo il CCC; eso è luce destinata ad illumi-nare il cammino aspro e oscuro del-la nostra vita, a dirci non solo quello che dobbiamo credere e come dob-biamo amare, ma anche quello che possiamo sperare, al di là delle futili e stupide cose che sperimentiamo nella vita di ogni giorno.

Sac. Pietro Monti

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Prosegue la pubblicazione dell'opera autobiografica del prof. Massimo Mancioli sulla sua esperienza in Yemen, quale medico personale dell'Imam Ahmed e primario medico del Royal Hospital di Taiz

Il mioYemen(1955 - 1968)

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Parte IV

Rientro in Yemen (1961 - 68)

10. Vento d’America

Rientrato a Taiz, mi fu assegnato un nuovo villino.Il nostro affezionato Dahan e sua moglie furono subito con noi. Feci venire in prova un boy che aveva lavorato con gli Americani. Bisognava ripulire il bagno, ancora sporco di intonaco. Il nuovo boy si mise al lavoro, ma dopo pochi minu-ti venne da me a lamentarsi: “Kàraba, kàraba! Waggià!”. Ora waggià vuol dire dolore e sta bene; per kàraba i miei malati intendevano criestesie, parestesie, nevralgie, tutte le manifestazioni dolorose con intenso formicolio che compaio-no, spesso, nelle forme reumatoidi. Gli diedi un antireumatico con vitamina B1. Dopo un po’ altri lamenti. Altro antireumatico. Per la terza volta, stessa scena. Un altro antireumatico sarebbe stato troppo. Credevo di aver capito la solfa. “Non ha nessuna voglia di lavorare - pensai - questo è stato viziato dagli Ameri-cani e vuol fare solo il boy cameriere. A noi, invece, serve un boy tuttofare”. Gli pagai tre giornate e lo liquidai. Mi misi io stesso a ripulire le piastrelle del ba-gno con spugna e sapone. Ad un certo punto mi tolsi un sandalo di gomma e mi presi una scossa elettrica coi fiocchi. Accidenti! Il mistero era chiarito. La kàraba che diceva il boy era proprio la kàraba, cioè la corrente elettrica, la scossa vera. Mandai a cercare l’innocente, ma era sparito (c’era grande richiesta di boy a Taiz e, quindi, non ebbi rimorsi di coscienza). Dahan fece intendere che gradiva molto restare con noi, come unico boy, con l’appoggio esterno di sua moglie.Durante la nostra assenza diverse cose erano cambiate a Taiz. Gli Americani, stimolati dalla concorrrenza russa e cinese, avevano incrementato il loro piano di aiuti con il “Kennedy Wather Project” per fornire la città di un sicuro acque-dotto, con acqua veramente potabile e con la costruzione della strada Moka-Taiz-Sanaà.

Grazie alla cortesia degli Americani, anche noi potevamo ora far venire da Asma-ra, sul loro aereo, cose introvabili a Taiz: prosciutto, salumi, formaggi, caviale, etc.Qualche scenetta gustosa ce la creava, ogni tanto, il dottor Rossi, quando si trat-tava di dividere fra di noi la roba arrivata da Asmara. Lui, personalmente, non ordinava niente, ma, guarda caso, capitava sempre al momento giusto nella casa ove avveniva la spartizione. Qui si aggirava annusando, estasiato, fra tutte quelle leccornie, spizzicando qua e là: una fettina di prosciutto di san Daniele, un’oliva dolce, un bocconcino di ricotta... Le signore presenti lo rimproveravano aspra-mente:

Il mio Yemen (1955 - 1968)

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Massimo Mancioli

“Ma dottor Rossi! Non vede che stiamo dividendo la roba? Come facciamo ad essere precise con tutt,i se lei toglie via qualcosa?”Rossi ridacchiava, divertito, e rispondeva: “Ma via, per un pezzettino ino-ino di prosciutto, fate tutte queste storie? E se fossi stato vostro ospite, questa sera, non me lo avreste offerto?”.

Mia figlia fu ammessa alla School U.S.A., fatta per gli Americani con programmi americani. In principio si ridacchiava un po’ su certi pallini della pedagogia sta-tunitense, ma presto dovemmo riconoscere che erano loro ad avere ragione e noi torto. Ad esempio, invece delle interrogazioni orali, fonti di tante preoccupazioni nei bambini e anche di qualche ingiusta valutazione per la cattiva sorte di riceve-re domande più difficili che non quelle capitate agli altri, nella American School si procedeva col sistema dei quiz quindicinali, uguali per tutti. Questi quiz erano preparati così bene che chi realmente studiava poteva rispondere anche essendo, come mia figlia, una beguinner, cioè una principiante nella lingua inglese. La gio-ia di mia figlia di poter battere nei quiz i padroni di casa sul loro terreno di gioco era grande: andava a scuola anche con la febbre, per quanto le piaceva. Ebbene, nella School si dava molto peso alla calligrafia e alla buona educazione, in quanto “bagaglio indispensabile nella vita a tutti i livelli sociali”. Ecco, quindi, spiegato quanto avevamo avuto modo di osservare al Campo americano: calligrafia dei biglietti d’invito, modo di fare nel giocare a bridge, nel mangiare, nel portamen-to mondano, ecc. a buon livello in tutti, dall’ingegnere capo del Piano Kennedy all’ultimo operaio, addetto alla pala meccanica.

Una sera, durante un bridge all’Ambasciata, Benardelli mi vide un po’ giù di corda e mi chiese a bruciapelo: “Ma lei vorrebbe entrare a far parte del Piano di Assistenza Tecnica Italiana in Yemen che stiamo creando?”Certo che lo desideravo.Come sempre, Benardelli fu di parola.In questa nuova veste mi occupai anche con Pino Gasparini (che era specialista in materia e in contatto con l’Ordine di Malta) della creazione di colonie agricole gestite dai lebbrosi in cura. Per mio conto, da anni, mi servivo da un contadino lebbroso che mi portava in studio uova e polli, mentre era in cura.

Nello Yemen ritrovato c’era un’altra grossa novità: Russi, Cinesi, Americani, ciascuno per conto proprio, stavano ultimando la prima rete stradale del Paese. Era un grande triangolo da Taiz a Sanaà, attraverso il terribile passo di Sumara (sui 3000 msm); da Sanaà ad Hodeidah, fra le impervie catene montagnose che poi degradavano al bassopiano desertico ed al mare; da Hodeidah a Taiz, strada ancora agli inizi. Questo triangolo veniva ad abbracciare le città più importan-ti e alcune fra le regioni più interessanti del Paese. Visto il nuovo stato di cose, pensammo di acquistare una Renault 4, che gli amici francesi ci fecero miracolo-samente recapitare da Gibuti col piccolo aereo della Djbouti Air Line, pilotato dal comandante Astraud. Unico inconveniente della macchina:lungo lle forti salite,

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con strada dissestata, i sobbalzi arrestavano il flusso regolare della benzina al carburatore. Facevo, allora, contenti un paio di ragazzini fra i molti che stavano a guardare, e li sistemavo sul cofano. Bastava quel leggero carico in più a prora perché i sobbalzi anteriori si riducessero e il fenomeno fosse evitato. La cosa più bella della mia macchina era la targa: Italian Technical Assistence in Yemen, n. 1. Più fastosa di così non poteva essere! Da soli o con gli amici, anche loro divenuti automobilisti, si facevano interessanti week-end, qualche volta sino al passo di Sumara o alle cittadine di Hibb e Gibla, ove c’era un simpatico pastore protestan-te, medico, con la sua famiglia, che, oltre ad un efficiente ospedaletto, aveva co-struito un bel campo da tennis. Il più delle volte si andava a Moka sul Mar Rosso.

Da Taiz erano circa 120 chilometri. Si scendeva dal nostro medio piano (sui 1220 msm) e si attraversava in diagonale, verso Ovest-Nord-Ovest, il Theama, la desolata fascia desertica costiera. Capitava, alle volte,di vedere a portata di mano le casette e le moschee di Moka, a 40/50 chilometri di distanza. Era l’effetto del famoso miraggio, tante volte letto nei romanzi di avventure.C’era da risolvere il problema della patente di guida. Già, perché, grazie ad una delle più cervellotiche disposizioni vigenti in Italia, il cittadino italiano che si tra-sferisce regolarmente all’estero non può rinnovare annualmente la sua patente italiana in quanto non risiede in Italia!“E’ veramente un’idiozia! Ma non si può prendere una residenza legale presso l’Automobil Club d’Italia?”No, non era possibile. Così la mia patente era diventata da anni non valida. A Taiz, però, avevano organizzato un Ufficio Motorizzazione Civile che rilasciava patenti yemenite. Penso che il mio esame di guida sia stato se non proprio il pri-mo, uno fra i primi di quelli svoltisi a Taiz. Il mio interprete, Alì Giaesh, organiz-zò tutto lui. Andammo insieme a prendere il Mudhir del recentissimo servizio, il capo della Polizia, un altro capoccione che non ricordo, e tutti e cinque, strettini nella mia Renault 4, prendemmo il via per l’esame. Il neo Mudhir voleva, evi-dentemente, dimostrare ai suoi amici e a me che sapeva fare l’esaminatore e che era severo con gli esaminandi. Infatti, non solo mi fece girare tre volte attorno al marciapiede rotondo che, davanti a Bab el Musa era sull’incrocio più importante di Taiz (altre macchine, pochissime, ma in compenso frotte di ragazzini, asini, muli, cammelli, carrettini), mi fece anche ripetere la manovra a marcia indietro. Era poi evidente il desiderio dei miei ospiti di farsi una bella “scarrozzata”. Così li portai fino all’aeroporto, ci facemmo un paio di giri di pista e infine rientrammo felici e contenti a Taiz.

Andando verso Moka, nella stagione dei monsoni, il vento era così forte da dover stare molto attenti nella guida e, nel fermarsi, reggere con entrambe le mani gli sportelli che, altrimenti, venivano sbatacchiati o addirittura scardinati. Il vento scavava buche profonde nella sabbia. Ci capitò una volta di vedere affiorare, nel fondo di una di queste buche, la canna di bronzo di un bel cannone antico. Pro-babilmente era un cannone turco del XVI secolo, periodo in cui l’Impero Otto-mano aveva occupato lo Yemen e lo aveva attrezzato alla difesa costiera contro le scorrerie dei vascelli portoghesi che navigavano alla volta dell’India. Pensammo subito di conquistare il cannone turco e portarcelo a Ischia come trofeo. L’Imam

Il mio Yemen (1955 - 1968)

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mi autorizzò a prenderlo e a farlo trasportare in sambuco a Massaua. Di lì sarebbe stato facile farlo imbarcare su un cargo diretto in Italia. Eravamo, però, agli sgoccioli dell’era imamiale. Col trambusto che seguì non pensammo più al cannone turco. Riu-scii, però, a portare in Italia cinque palle di ferro del suo corredo da guerra.Mka, con Hodeidah, era stato nel passato un porto importante nell’economia dello Yemen, soprattutto come punto d’imbarco dei famosi caffè Moka e Hodeidah. In real-tà, come detto, tutto il caffè yemenita nasce in montagna. Mai una piantina di caffè è nata o potrà nascere fra le sabbie dei due porti.Moka e Hodeidah sono qualità eccezionali: in Eurpa venivano abbondantemente miscelate con qualità brasiliane molto meno saporite e aromatiche. Berle pure è come per un bevitore di vino bere a tavola un vermouth di straordinaria potenza.In quel tempo Moka era ridotto ad un pittoresco, ma misero villaggio di pescatori. La rada su cui si apriva l’abitato, protetta alla sua punta Sud-Ovest da un piccolo molo, dava asilo ad una numerosa flottiglia di sambuchi, le caratteristiche barche da pesca arabe, lunghe, slanciate, con una sola vela, sorretta da un albero inclinato verso prora.Andavamo, in genere, con i Bucci, che avevano una 850. Fermavamo le due macchine parallele l’una all’altra, fissando tra loro un telone, in modo da creare un vasto spazio ombroso, riparato dalla sabbia che il monsone sollevava. Poco dopo, gli Americani crearono, proprio all’inizio del molo, un comodo ostello: camere da letto confortevoli, un grandissimo salone in cui erano installate molte cucine a P.B.gas; numerosi boy accudi- vano ai servizi e cucinavano.

L’acqua del Mar Rosso era un vero “brodo”. D’estate mangiavamo addirittura in ac-qua, seduti a mollo vicino alla riva. Malgrado che la rada fosse considerata dai pesca-tori sicura, stavamo sempre molto attenti a non allontanarci troppo, nuotando: più che pescecani, avevamo paura dei barracuda, che, essendo di piccolo formato, pos-sono arrivare anche in fondali bassissimi. Mi ricordavo che ad Aden, al mio arrivo da Roma, un inglese un po’ “bevutello” era caduto in acqua con la sua jeep. Era proprio sugli scogli della riva, ma bastò che mettesse in acqua una gamba che una torma di barracuda gliela sbranò. Quando i sambuchi rientravano in porto, gli si andava incon-tro a nuoto, nella rada, per poter acquistare i pesci direttamente a bordo, dai pecatori. Dato il caldo infernale, andando al mercato, come sarebbe stato d’obbligo, in assenza del più elementare mezzo di refrige- razione (neppure un pezzetto di ghiaccio!), si rischiava di trovare il pesce già andato a male. Così, nuotando, ci portavamo appresso delle belle borse-frigo americane, piene di ghiaccio secco. I pescatori pulivano rapida-mente il pesce scelto e lo gettavano direttamen- te nei nostri contenitori. Si potevano prendere molte e squisite qualità di pesce, comprese le sogliole (che, senza questo sistema, non avrebbero retto al clima di Moka). Gli Arabi, infatti, le chiamavano “pe-sci per i cani” e non le portavano nemmeno al mercato, ma le lasciavano veramente ai cani, sulla spiaggia, perché si alteravano subito. C’erano, poi, cernie rosse splendide, mai viste nei nostri mari, triglioni giganteschi, dentici, orate... Una volta avevo parla-to, ad Aden, con un tecnico della nostra Genepesca che era venuto nel Mar Rosso per vedere di organizzare periodiche campagne di pesca:“Chissà che meraviglia!” diss’io.“Ma che meraviglia” - rispose lui - “è un disastro!”E vedendo la mia aria sbalordita e incredula, mi spiegò che c’erano troppe qualità di

Massimo Mancioli

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pesci. La pesca industriale è conveniente e possibile quando s’incontrano branchi dello stesso tipo di pesce. Ma come si fa a dividere, pulire, conservare, utilizza-re pesci l’uno diverso dall’altro? Non è possibile o almeno industrialmente non conveniente”.Mi ricordai del problema analogo (per eccesso di qualità) del legname nelle fore-ste congolesi: “Troppa grazia, Sant’Antonio!”Comunque per i poveri ragazzini di Moka andava più che bene. Si sedevano sul bordo del molo e con uno spillo curvato a mo’ di amo, un filo qualsiasi e un’esca altrettanto qualsiasi, riuscivano a prendere dei bei pesci con irrisoria facilità.

Tornai una volta a Moka nei primi tempi della Repubblica. Gli Americani erano stati espulsi dallo Yemen. Nel loro ostello c’erano soldati. Tirava dappertutto aria di guerriglia.Mi chiamava il Comandante militare della Piazza per farmi visitare una bambina che era stata violentata.Ero con mia moglie, mia figlia e il mio interprete e amico, Alì Giaesh. Furono tut-ti molto gentili. Ci invitarono a pranzo nella sede del Comando, l’ex Palazzo del Naib, e ci fecero riposare in uno stranissimo Mafrég con soffitto altissimo: sulle pareti, in alto, correvano tutto intorno arcate e finestroni a vario livello da cui entrava una piacevole brezza marina. Dopo il riposo ci invitarono ad andare sulla spiaggia per fare un bagno. Accettammo con piacere. Vollero portarci loro stessi con una grossa autoblinda egiziana che si fermò sulla sabbia in un posto riparato della rada e ci servì da cabina.

Il periodo americano ci aveva portato una cosa veramente straordinaria: il Taiz Golf and Country Club, dotato di piscina, tennis, campo di golf, piccola bibliote-ca, bar e ristorante in veranda.

Naturalmente, la sera, il bridge imperversava al Club. Tornei di tutti i tipi. Niente soldi, solo una piccola tassa (1 dollaro) per permettere al Club di offrire qualche piccolo dono ai primi e agli ultimi (premi di consolazione).Ma, oltre a questi bridges serali, gli Americani organizzarono dei Ladies Bridges Party che, a turno, si svolgevano la mattina a casa di varie signore, fra cui mia moglie, ottima giocatrice. Arrivavo a casa dall’Ospedale, quando la nostra casa era di turno, e vedevo tre o quattro tavoli di bridge ancora in azione. “Hallo, girls!” salutavo, malgrado l’età non certo troppo giovanile delle giocatrici e mi mettevo a mangiucchiare quanto era rimasto del buffet, seguendo le “smazzate” più interessanti.Venne, ad un certo punto, in mente agli Americani di organizzare nel Club de-gli “International Dinner” con piatti tipici di tutte le nazionalità presenti a Taiz. Naturalmente erano gli stessi soci a dover cucinare, anzi i soci mariti o scapoli, in modo da non caricare di lavoro le signore. L’onore di iniziare questi cenoni (non meno di 120 persone) toccò a noi italiani. C’erano in quel momento a Taiz ben sei romani ed altre persone esperti in cucina romana. Preparammo, quindi, con molto zelo, un “Roman Dinner”. Io incominciai a pensare all’addobbo. Mi feci dare dagli Americani 40 metri di robusta carta da pacco. Ne feci due strisce

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sovrapposte, ben incollate fra di loro, in modo da tappezzare tutto il fondo e par-te di un angolo della veranda. Con colori e tempera USA dipinsi (srotolando pian piano la carta da pacco sul pavimento della mia veranda) una veduta di Roma al tramonto, tutta accesamente giallo-rossa, in contrasto col verde-blu del Pincio e il bianco-travertino di qualche monumento. Lo spazio da riempire era tanto e l’atte-sa degli Americani enorme. Così feci tre San Pietro, tre Colosseo, un paio di Altari della Patria, ecc. Il Tevere era biondo sul serio e scorreva maestoso. Ne venne fuori qualcosa di molto simpatico, tanto che l’Ambasciatore USA, finito il Dinner, mi chiese il dipinto e se lo portò in America, accuratamente arrotolato. C’erano, poi, molti fiaschi di vino appesi in giro o trasformati in candelieri, su ogni tavolo, allegri festoni multicolori, ecc. Insomma una certa atmosfera nostrana non mancava. Con l’aereo americano avevamo fatto venire da Asmara un bel porcello (nascondendo agli yemeniti il fatto che si trattava proprio dell’immondo, scono- sciuto e ultra-proibito maiale). De Maria, Pavoni ed altri tecnici allestirono all’aeroporto un fuoco all’aperto con girarrosto, dove fu preparata una porchetta alla romana. Un radiotec-nico romano,che era stato pasticciere in Galleria Colonna, Savelli, preparò frappé, castagnole e una montagna di Saint-Honoré. Parrinello e Horn, entrambi abili cuochi, si lanciarono in code alla vaccinara, abbacchio al forno e altri piatti che non ricordo, ispirati alle ricette della sorella di Fabrizio. C’erano poi fettuccine fatte in casa, ravioli, spaghetti alla carbonara, penne all’arrabbiata, bucatini all’amatriciana. Un ben di dio pantagruelico. La cena romana fu un vero trionfo. I boy che passava-no e ripassavano con i vassoi dalla cucina del Club alla veranda erano letteralmente assaliti dai 120 commensali prima ancora di arrivare ai tavoli. Fu assalito anche un boy che portava via, per darlo ai cani randagi, un vassoio di ricotta che si era alte-rata nel viaggio. “Roman Cheese!” si udì esclamare da più parti e non ci fu verso di spiegare che non era più ricotta mangiabile. Se la divorarono.Nessuno immaginò quella sera che quello era il canto del cigno del Club: tempi cupi stavano per abbattersi su tutti noi.

Le nostre feste di Capodanno erano altrettanto notevoli, se non altro per l’impegno goliardico che ci mettevamo per uscire dalla banalità. Il Dottor Golovine, oculista, figlio di un celebre medico della Corte imperiale zarista, aveva conservato alcuni at-teggiamenti da “gospodine” (signore), fra cui quello di presentarsi alle feste a caval-lo, con il suo palafraniere, frustino in mano, in smoking ancien régime (con tanto di jabot e scarpette di coppale guarnite da un nastrino di raso), cilindro e largo man-tello nero foderato di seta rossa. Faceva lo stesso anche quando andava alle feste organizzate dall’Ambasciata russa.Certo, la cosa più sorprendente era l’assoluta indifferenza degli yemeniti di fronte ai nostri travestimenti in occasione del ballo mascherato di Capodanno. Ricordo che una volta mi avviavo a cavallo verso il nostro veglione, travestito da antico romano con elmo in testa (le pentole yemenite erano senza manici e quindi si prestavano bene allo scopo). Incontrai per strada un cliente che andava cercandomi, in com-pagnia di alcuni amici: non avevano ben capito se i cucchiai di sciroppo per la tosse dei loro bambini andavano presi prima o dopo i pasti. Si fermarono a parlarmi, ma non fecero il minimo cenno di sorpresa o di imbarazzo. Capii che la loro filosofia nei nostri riguardi era quella di considerarci brava gente, un po’ stramba. Più o meno quello che pensavamo noi nei primi contatti con gli Americani alla fine della guerra.

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O quello che veniva di pensare negli anni ruggenti di Capri e di Ischia, di fronte al marchese o al play boy che girava col pappagallo sulla spalla.La parte musicale delle nostre feste di Capodanno era accuratamente preparata. Non potevamo contare sull’apporto delle musichette trasmesse dalle radio ad onde corte europee. Preparavamo, così, dei lunghi nastri registrati che duravano cinque o sei ore, avendo cura di variare continuamente il genere di musica (dagli swing allo slow, qualche tango, qualche walzer) e i cantanti (Paul Anka, Mina,Fred Bu-scaglione, i Plattner), lasciando pause di silenzio, inserendo piccoli sketch dialettali e nelle varie lingue per fare gli auguri e prendere bonariamente in giro un po’ tutti. Anche i bambini avevano la loro fetta di festa, dedicata proprio a loro, e ne erano contenti.Nei nostri pezzi registrati non mancava una grande quadriglia, comandata in fran-cese (con spiegazione in napoletano). Il trenino-serpente, che si snodava in tutte le stanze, la Grande Scène finale (che si riusciva sempre a far quadrare) erano i pezzi forti della serata assieme alle Square dances scozzesi, apprese con non poche difficoltà da Mr Oldefield, segretario della Legazione Britannica. Il nastro era calco-lato in modo da essere perfetta- mente in orario con lo scoccare della mezzanotte. Cinque minuti prima, infatti, incomincia- va a preparare l’atmosfera adatta, con musiche di sottofondo, fino all’esplosione festosa dell’anno nuovo salutata dalle note del Ponte di Waterloo a volume gradualmente accentuato. Le bottiglie di Moet Chandon e della benemerita Veuve Ciquot, comperate generosamente ad Aden, facevano il loro dovere: brindisi, auguri e allegria.

Con l’arrivo degli Americani (e dei Russi e dei Cinesi) i non fedeli erano diventati moltissimi e gli USA organizzarono al meglio per noi occidentali le feste natalizie. In questo nuovo clima ci fu una volta un Capodanno passato negli uffici del Piano Kennedy.Le sale erano affollatissime e si ballava piuttosto stretti in gaia confusione. Senza nessuna premeditazione, a un certo punto della serata, mi trovai fra le braccia di K. Suo marito era parecchio su di giri a furia di wiskhy e se ne stava intanato in una sala secondaria a discutere animatamente con altri ospiti piuttosto allegrotti. Io e K. quanto a carica alcolica non eravamo da meno, ma era proprio la caduta dei freni inibitori che ci spingeva verso la follia. Ballavamo ceek-to-ceek, come diceva la famosa canzone di Berlin, quella sera ripetuta più volte.K. si stringeva a me sempre di più, con un languore che toglieva il fiato. Era dav-vero molto carina. Non c’era spazio per le parole in quel tumultuoso accavallarsi di sensazioni. Avevo sempre pensato, vedendo le scene d’amore dei films ameri-cani, che doveva essere piuttosto buffo stringersi e baciarsi dandosi, per esigenze linguistiche, del voi. Ma, in realtà, non era affatto così. Anzi, se mai, ciò dava a quegli istanti una patina emotiva più profonda, piacevolmente solenne, sbarrando il campo in partenza a qualsiasi venatura di volgarità. Avevano infilato un lungo nastro tutto Gershwin. Erano le più belle melodie che avessi mai ascoltato. Riaf-fioravano dolcissimi istanti di tanti, tanti anni prima. Un ballo con Aurelia - il mio mai dimenticato primo amore, finito tragicamente con una polmonite - in casa di amici, a Piazza di Spagna nella Roma del 1936. Passato e presente irreale. A un certo punto K. mi prese per mano. Sgattaiolando dai saloni della festa, mi condusse

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per un meandro di corridoi su cui davano le porte degli uffici, ad una grande porta a vetri smerigliata. Il suo respiro tradiva l’emozione. Oltrepassammo la porta e la rinchiudemmo. Eravamo in un grande studio in penombra. Lungo la parte, sotto un grande ritratto di Kennedy, più che vedere, sentii con la gamba un lungo soffice divano in pelle....

11. Un consulto che fece storia: Yaltano, Yalta sì

Nella primavera del 1959 il continuo doppio lavoro (diurno in Ospedale, notturno a Palazzo Reale) mi aveva messo fuori combattimento. Una notte che Salah Sheba, l’infermiere dell’Imam, mi era venuto a prendere, come al solito, con la sua jeep e due ascari di scorta, gli dissi in maniera molto decisa che, se si trattava di visitare S. M., tutto andava benissimo, ma se bisognava andare a perdere tempo per qual-che capriccio di una donna reale, ero troppo stanco per darle retta. Ne seguì una discussione, io tenni fermo. Per punirmi di quel gesto di rifiuto - impensabile nel clima della Corte imamiale - fui ignorato per una quindicina di giorni.Una notte (erano circa le ore 2), con lo stesso cerimoniale, ma molto più affanno-so, fui prelevato e portato alla Reggia. Entrando nel Mafreg, trovai una situazione quanto mai fuori dell’ordinario: una larga selezione di medici (francesi, italiani, cecoslovacchi, russi) era sparpagliata per tutto il salone. L’Imam, nel suo solito camicione bianco con un gilet di broccato d’oro, era semisdraiato sul suo perma-flex ricoperto di tappeti, farfugliando, agitato, parole che a me sembravano prive di senso, attorniato dal figlio, il Principe ereditario el Bader, dai suoi segretari, i suoi infermieri e qualche notabile di alto livello che cercavano di calmarlo.Il buon Alì Humed mi corse incontro privo della sua abituale impassibilità. Mi sospinse in un angolo appartato del salone e mi fece subito leggere, porgendomelo con mano leggermente tremante, un foglio che aveva finito di tradurre in italiano proprio in quel momento. Lessi quel foglio e allibii: era, nientepopodimeno, che un Comunicato ufficiale in cui si diceva che S. M. era intossicato da sostanze stu-pefacenti ed aveva quindi bisogno di essere ricoverato in un Centro specializzato in questo settore della medicina, a Yalta (URSS). Il mio sconcerto era assoluto! “Ma questa è la più assurda follia!” dissi ad Alì. “Come è possibile redigere un comuni-cato ufficiale propalando a mezzo mondo che S. M. è un drogato? Innanzi tutto è una “fesseria” perché l’Imam non è un drogato, tossico- dipendente, ma solo uno che, non sopportando i suoi fastidiosi dolori artrosici, intollerante come è, ogni tanto “scantona” e prende cose che non dovrebbe prendere. Ma, appunto, ogni tan-to! Poi, spontaneamente, ha lunghi periodi in cui non ci pensa neppure. E’, come ho detto, la sua totale intolleranza contro quello che gli arreca fastidio a fargli fare sciocchezze. La sera vuole dormire? subito un sonnifero. La mattina dopo è ancora insonnolito e stanco? subito un energetico... E così via: crea lui stesso situazioni

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patologiche a furia di voler avere subito un risultato; comanda a tutti? vuole co-mandare pure alla natura e alla fisiologia! Questa è la verità sul piano medico.Ma veniamo al resto: come diavolo si fa a infrangere la norma più elementare del codice morale dei medici, che è quella del segreto professionale? Un certo Ippocrate, padre della medicina, ha scritto quel codice circa 2500 anni fa. E quel codice, almeno ufficialmente,è stato sempre rispettato da tutti, in tutti i luoghi della terra. Lo volete infrangere voi, ora, in forma così smaccata? Farete la figura dei selvaggi! Io, comunque e sia subito ben chiaro, mi dissocio totalmente da quel comunicato: non lo firmo e farò una dichiarazione scritta alla nostra Ambasciata su questo incredibile episo-dio di follia collettiva.Non sono e non voglio essere un politico, ma pure un bambino capirebbe che portare l’Imam proprio a Yalta, in URSS, sarebbe una imbecillità senza fine.Caro Alì, lei conosce abbastanza la storia italiana... Questa è una stupida copia del Gran Consiglio del 25 luglio! Il Regime imamiale si vuole, improvvisamente, autodistruggere? Ma non vi sfiora neppure per l’anticamera del cervello il sospet-tocche, se l’Imam va a Yalta con quella etichetta infamante sulle spalle, qui nel giro di una settimana scoppia il finimondo?Era un ragionamento così elementare che addirittura mi sembrava assurdo an-darlo a fare a persone capaci di intendere e di volere.Ripresi la calma e aggiunsi."Andiamo immediatamente dal Principe el Bader, spieghiamogli bene la situa-zione e prepariamo subito un altro comunicato, di tutt’altro tono. Diciamo, in sostanza, che, poiché S. M. ha bisogno di cure mediche specializzate che non sono eseguibili in Yemen, si reca per breve tempo in Svizzera, a Ginevra, dove hanno una perfetta attrezzatura medica per eseguire le cure necessarie. Si potrà aggiungere, se il Principe vorrà, una frase di richiamo alla neutralità assoluta della Repubblica Elvetica".Alì si convinse immediatamente e andò a prelevare el Bader, che parlava fitta-mente, sottovoce, con un gruppo di alti dignitari in un angolo del Mafreg. Le luci del salone erano tenute basse e la scena, nell’insieme - non so perché - mi richia-mava alla memoria quel melodrammatico ultra accademico quadro di Hayez su “La cacciata del Duca d’Atene”.

Alì agganciò subito il Principe e incominciò a parlargli fitto fitto, dopo aver allon-tanato gli altri. Mi fecero un cenno con la testa e li raggiunsi. Il Principe voleva sentire direttamente da me.. Ci riuscii nel mio arabo rudimentale, con qualche parola di inglese e l’aiuto di Alì. Sottolineai i pericoli e soprattutto il disonore che potevano derivare da quello sprovveduto comunicato ufficiale. Disonore per tutto lo Yemen...Si convinse subito, senza obiezioni.Andai subito da un medico russo, mio amico, e gli chiesi se per caso avesse avuto con i suoi colleghi pressioni o ordini di scuderia; “se è una questione politica, è certo che voi non potete farci niente” lo rassicurai. Ma lui disse che non avevano avuto direttive di nessun genere.Il Principe intanto si era avvicinato al divano ove giaceva suo padre, fece allonta-

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nare tutti quelli che gli erano intorno e mi chiamò. Tenendolo affettuosamente per le spalle, gli parlò in tono sommesso, dicendo che il Barafassùr pensava che, per il suo bene, sarebbe stato quanto mai opportuno andarsi a curare per breve tempo all’estero, per esempio a Ginevra, ove erano molto bravi e molto ben organizza-ti, ove i giornalisti non gli avrebbero dato fastidio, ove c’era un’atmosfera quieta e serena. La Svizzera, paese neutrale per eccellenza, era il posto ideale per il suo soggiorno curativo e avrebbe messo, in partenza, fuori causa ogni malevola inter-pretazione politica sul suo viaggio.L’Imam si risvegliò di colpo dal suo stato semi-confusionale. “Per la cura all’este-ro, la bass, la bass (va bene, va bene), ma - e qui cominciò a roteare gli occhi e ad alzare il tono di voce - “anà isti Ruma” (io voglio Roma!).Ripeté queste parole più volte, quasi urlando. Silenzio assoluto nel Mafrég.Dunque da Yalta a Roma.

Albeggiava, quando con Cadi Al Amri, il Ministro degli Esteri, andammo a sveglia-re l’Ambasciatore Benardelli per dargli la notizia.Mi rendevo conto che per il Governo Italiano quella era sì una soddisfazione di prestigio, ma poteva anche essere fonte di fastidi diplomatici. Raccontai a Benar-delli quello strano consulto e sottolineai che io non avevo proposto Roma, bensì Ginevra.“E aveva fatto benissimo, caro professore!”, mi rispose calmo calmo con un sorri-so di comprensione. “Tuttavia, il suo consulto fa storia. Senza di lei sarebbe stato proprio un 25 luglio! Complimenti!”

L’Ambasciatore si mise subito in moto per avvisare la Farnesina. Assieme al Cadi Al Amri, un vero signore nel tratto, molto efficiente nel suo lavoro, organizzammo subito il programma di viaggio. Io sarei partito subito con lui per arrivare a Roma con un certo anticipo sull’aereo che avrebbe trasportato l’Imam, tre medici e il se-guito: era un apparecchio messo a disposizione dal Negus, che avrebbe fatto scalo ad Asmara, dove l’Imam sarebbe stato ospitato nel Palazzo Reale di quella città e avrebbe ripreso il volo il giorno dopo. Con quella funzione di staffetta avrei avuto modo di collaborare con i funzionari del Ministero Esteri per una ottima sistema-zione dell’Imam.Mi precipitai all’Ospedale, ove, senza fiatare con nessuno, sistemai le cose in vista della mia lunga assenza. Non fu, certo, molto facile.Corsi, infine, a casa, avvisai mia moglie di tenersi pronta per una venuta sua e della bambina prevedibile dopo una settimana. La mia licenza annuale era vicina e pensavo che, date le circostanze speciali, si potesse saldare al periodo romano dell’Imam (come poi, in effetti, avvenne).Ero stato in giro dalle ore 2 del mattino, in un carosello di eventi piuttosto stres-santi. Mi buttai sul letto e dormii come un sasso.

Partii da Taiz con il Ministro degli Esteri yemenita, alcuni funzionari e segreta-ri. Giunti al Cairo, dove dovevamo prendere l’aereo di linea egiziano (Misrair da

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Misr, in arabo Egitto) per Roma. L’aereo era pieno. Il caso mi diede un posto ac-canto ad una gran bella donna, molto stilé. Al momento del decollo si accorsero che qualcosa non andava nei motori. Tutti a terra, quindi e lunga attesa di circa tre ore. All’aeroporto trovammo diversi yemeniti, funzionari dell’Ambasciata in Egitto. In breve la straordinaria notizia che l’Imam sarebbe di lì a poco transitato nel suo volo per Roma si diffuse nell’ambiente yemenita. Arrivarono commer-cianti, dignitari, politici, per sapere qualcosa di più da Cadi al Amri e, magari, cercare di far parte del codazzo di persone influenti che avrebbero seguito Sua Maestà nell’Urbe. A me chiesero notizie mediche ma, ovviamente, risposi a tutti con un deciso “no comment” aggiungendo frasi rassicuranti sull'ottima salute dell’Imam.Giunse finalmente il momento di riprendere l’aereo. Questa volta era pratica-mente vuoto perché tutti i passeggeri si erano arrangiati con aerei di altre linee per evitare la lunga attesa. Unica eccezione, oltre a me, il Cadi al Amri e i suoi quattro accompagnatori, era la bella signora notata al primo tentativo di volo. Ci guardammo con reciproca curiosità e ci venne spontaneo sorridere assieme. Era proprio bella: un lungo viso ovale, occhi neri splendidi, modellati all’orientale, naso sottile e labbra carnose. Il trucco era all’altezza della situazione. Idem per il vestito - molto sexy nella sua linea di ottimo gusto - e il profumo. Era egiziana. Parlava un ottimo francese: sua nonna, mi disse, era francese. Stava andando a Parigi (la tappa dopo Roma di quel volo) per fare acquisti per la sua boutique del Cairo, che mi disse era la migliore della città. L’aereo questa volta non fece brutti scherzi e decollò regolarmente. Parlammo, stringendoci l’uno all’altra, sfioran-doci la mano..... Eravamo praticamente soli: gli yemeniti occupavano la prima fila di poltroncine, noi l’ultima. La hostess si era eclissata dopo aver servito per due volte lo champagne. Ci stringemmo. I suoi piccoli seni occhieggiavano dalla sottile camicetta di seta, ormai slacciata.Giselle aveva perso del tutto i freni inibitori e io pure... Si muoveva con una sen-sualità dolce e provocante. Era quello il fascino di Clepatra? Ma, qui, in più, c’era lo charme francese.

Erano le ore 3 quando avvisarono che stavamo scendendo su Roma.“Perché non continuiamo? Scendi con me a Roma. Ripartirai per Parigi dopo!”“Ne avrei tanta voglia, chèri, ma - credi - non è proprio possibile. Mi aspettano a Orly”. Ci lasciammo con un lungo bacio, senza preoccuparci di farci vedere.

A Roma c’era mia madre, ma presentarsi da lei del tutto inaspettatamente alle 4 e mezzo della mattina non era proprio il caso. Me ne andai, quindi, malinconi-camente, in un albergo di via Bertoloni, ai Parioli, vicino a casa mia. La mattina dopo piombai a casa. “Povero figlio mio!” disse mia madre, vedendomi. Felice e commossa, mi considerava come un crociato reduce dalla Terra Santa.“Laggiù, in mezzo a quei miscredenti, chissà che porcherie sei costretto a man-giare! Guarda come ti sei ridotto: sembri proprio un ràgano! Adesso Adele ti farà un bel piatto di fettuccine come piacciono a te, un abbacchio arrosto e tante pata-tine al forno!”

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Insisteva sul fatto che ero diventato “verde e magro come un ràgano”. Le madri hanno un occhio formidabile. Ma, per la miseria, davvero Giselle mi aveva concia-to a quel modo in quattro ore di volo? I miscredenti, comunque, poveracci, erano fuori causa. Era stata una inattesa, splendida oasi in un momento molto tirato!.

L’incarico di prendere in cura l’Imam era stato affidato al Direttore della Clinica Neuropsichiatrica dell’Università, Prof. Gozzano, ed al suo Aiuto Prof. Reda. Un grande consulto di clinici avrebbe avviato il meccanismo. Senza difficoltà suggerii subito di inserire fra questi il mio Maestro, Prof. Mariano Messini, a cui ero lega-to, oltre che da lealtà di discepolo, da sincera stima e affetto. Il Prof. Gozzano era nipote del famoso poeta, Guido, quello di Nonna Speranza. Torinese come lui, era una persona molto sensibile, dal tratto signorile, di grande “scienza e coscienza”.Purtroppo, nella gran fretta dell’organizzazione, non fummo in grado di indirizza-re la sistemazione romana dell’Imam in rapporto alle esigenze cliniche del mo-mento: si era già provveduto, badando soprattutto al lusso dell’ospitalità. Inoltre non si era tenuto conto del seguito reale; non solo imprevedibilmente numeroso per le molte consuetudini in circo- stanze del genere. Nel settore femminile poi le particolarissime esigenze di costume imamiale andavano rispettate. Ci trovam-mo, quindi ad affrontare la situazione disponendo solo di una lussuosissima villa, nei Castelli Romani, Villa Florio a Grottaferrata. Ma era una villa, non una casa di cura!Nel frattempo, secondo programma, l’Imam era giunto ad Asmara accompagnato da tre medici: Pino Gasparini, Primaldo Manco e Vassili Andrey. Fu ospitato nel Palazzo Reale e trattato con tutti gli onori del caso.Il giorno dopo, l’aereo della Ethiopian Airline messo a disposizione dal Negus, decollò verso Roma con un volo senza scalo che lo portò a Ciampino nel tardo pomeriggio. Io ero da tempo ai bordi della pista, piuttosto imbarazzato dalla pre-senza del Sottosegretario agli Esteri, On. Folchi, e da alti funzionari della Farnesi-na. Si rendevano veramente conto che stava arrivando un malato? Mi aspettavo, pertanto, difficoltà di vario genere, ma mai avrei potuto supporre quanto, poi, avvenne.L’aereo dell’Imam atterrò regolarmente. Un plotone dell’Aeronautica militare si dispose vicino alla scaletta di sbarco per rendere gli onori. Ebbi, improvvisamen-te, un felice intuito: dissi all’On. Folchi che era opportuno che io salissi a bordo per primo, per controllare rapidamente le condizioni di salute dell’Imam. Salii rapidamente la scaletta scambiando un cenno di intesa con Amedeo Guillet che, come ex-ambasciatore d’Italia in Yemen e amico personale dell’Imam, era stato invitato ad assistere all’arrivo.A bordo trovai una situazione disastrosa: completamente isolato nella prima classe con le sue donne, l’Imam si rifiutava di vedere i suoi medici, dava in escan-descenze, addirittura, si era messo a urlare:“Ma chi mi ha portato a Roma? Non voglio! Torniamo subito indietro!”Ci consultammo rapidamente e si decise che i tre colleghi avrebbero fatto l’impos-sibile per sedare l’Imam restando a bordo, mentre io avrei cercato di arrangiare la cosa con il Sottosegretario che stava aspettando a terra. Spiegai subito all’On. Folchi, ma in termini vaghi, che l’Imam non stava affatto bene e che era prevedi-

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bile un certo lasso di tempo perché le cure dei tre colleghi rimasti al suo fianco facessero quel tanto di effetto da consentirgli di scendere con le sue gambe dalla passerella di sbarco.Tutte la Autorità si ritirarono allora in attesa nella saletta riservata dell’aeropor-to.Io facevo la spoletta per vedere cosa stava succedendo. I tre poveri medici, a bor-do, sudavano le proverbiali sette camicie per avvicinare l’Imam e rimetterlo in sesto. Dopo due ore circa il miracolo avvenne. Diedi l’annuncio.Il picchetto d’onore tornò a schierarsi. Grossi riflettori illuminavano la scena (si era fatta notte, ormai).Si aprì lo sportello e comparve l’Imam.Il turbante bianco con la lunga frangia d’oro faceva un effettone nella notte ro-mana. Altrettanto l’ampio paludamento bianco, bordato d’oro, stretto alla vita da una magnifica cintura ricamata in oro e argento in cui era infilata la sua splen-dida Jambìa. L’atteggiamen- to eretto era quanto di più fiero e regale si potesse desiderare nella circostanza. Unico neo: non erano riusciti a fargli infilare il camicione bianco che avrebbe dovuto nascondere i suoi mutandoni.Per fortuna erano mutandoni che potevano sembrare calzoni di tipo indiano e nessuno se ne accorse.Arrivato senza incidenti a metà passerella, l’Imam, improvvisamente e inaspet-tatamente, si fermò e incominciò a parlare. Era un evento del tutto non previsto dal protocollo. “Il mio amico Mussolini, il mio grande amico Mussolini, la Spada dell’Islam Mussolini.....” . Nel suo cervello evidentemente venti anni di storia non erano trascorsi. Nessuno sapeva bene l’arabo, a parte Guillet, ma quel ripetuto Mussolini, anche se pronunciato Musslìn, incominciava a suonare storto. Grande suspence...Amedeo Guillet, allora, fu pari alla sua fama di coraggioso uomo d’azione: non tenne alcun conto del copione del protocollo, ormai alterato, e recitò a braccio, improvvisando. Salì agilmente verso l’Imam, si profuse in abbracci e baci che tolsero al Re la parola e poi, con atteggiamento fiero e deferente da portavoce di S. M., spiegò che l’Imam era felice di essere giunto a Roma, perché tutti i Mus-sulmani erano amici sinceri del nostro Paese. “I Mussulmani ci vogliono bene. I Mussulmani hanno stima di noi. I Mussulmani .....” Ripetendo una infinità di volte la parola “Mussulmani” veniva automaticamente a cadere il sospetto che l’Imam avesse detto “Mussolini”, tanto più che, come accennato, nella pronuncia araba i due termini, come suono fonetico, quasi si equivalgono. La prontezza di Guillet fu grande: nessuno si accorse o minimamente dubitò di qualcosa.

Risolto un problema, se ne presentò un altro, altrettanto imprevedibile.Dopo il saluto ufficiale del Sottosegretario Folchi, si accostò alla passerella di sbarco il corteo di auto messe a disposizione dell’Imam e del seguito, preceduto e seguito da uomini della Polizia Stradale in alta uniofrme. L’Imam aveva in testa il suo turbante, che all’interno era rigido. Come fare a entrare nella macchina ministeriale che era chiusa, senza chinare la testa - gesto considerato non degno di un Re - e senza togliere il turbante - altro atto impensabile in un Sovrano?I vani tentativi dell’Imam, sostenuto per le braccia dai suoi medici in modo che entrasse di traverso dentro la macchina non approdavano a nulla. Meno male

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che c’era lì pure l’amico Felsani - il medico che era stato ad Hodeida - che era molto robusto. Felsani entrò in macchina dall’altro lato e, dall’interno della vet-tura, aiutato da me, trainò letteralmente l’Imam, di sbieco, sul sedile posteriore, ove S. M. rimase semisdraiato mentre noi lo tenevamo fermo.“Via! Via!” - Il segnale fu immediatamente tradotto dalla Stradale e dall’autista della nostra vettura con una partenza a razzo, a sirene spiegate. Le altre macchi-ne si affrettarono a incolonnarsi, seguite, in chiusura, da altri uomini della Stra-dale. Da Ciampino a Grottaferrata sono pochi chilometri, che percorremmo sui 130 km/h. I nostri fari illuminavano potente- mente la salita delle Frattocchie. Qualche macchina di passaggio si scansava e si fermava prudentemente sul ciglio della strada per far passare quel ciclone di motori e di sirene. Oltrepassammo l’Abazia di S. Nilo, fondata prima dell’anno 1000, di rito greco-ortodosso. Tenen-do stretto l’Imam, che avrebbe voluto tirarsi su, sul sedile, ma che ritenemmo molto più sicuro mantenere nella sua posizione sdraiata, pensavo alla stranezza della vita.Quel ritorno imprevisto a Grottaferrata, a sirene spiegate!

Mia madre era nata proprio lì, sia pure per circostanze particolari. Una sua bi-snonna, Orsola Ceselli, si era ritirata nella foresteria dell’Abazia dopo aver cedu-to il suo magnifico negozio di argenteria a San Marcello, al Corso. Un suo figlio, Mariano, si era improvvisa- mente fatto frate e lei aveva voluto seguirlo a Grot-taferrata. Era stata sepolta nella seconda tomba della navata centrale, a destra dell’altar maggiore, nel 1857.Mia madre mi portava spesso a vedere l’Abazia di S. Nilo e mi parlava di quella sua nonna che aveva abbandonato le “frivolezze e gli agi di una gran vita monda-na” per ritirarsi lassù nella quiete fisica e spirituale, che, diceva mia madre, “fa sempre bene all’anima e al corpo”. Un altro figlio, Marco, era rimasto, invece, a Roma, battagliero politico e uomo di mondo. Andava avanti e indietro a Parigi!Era diventato, poi, tra la fine del secolo e i primi anni del ‘900 consigliere co-munale di Roma con il famoso e benemerito sindaco Nathan. Era Giudìo, ma un gran signore e brav’uomo, meglio di cento cristiani.Mia madre era nata a Grottaferrata perché suo padre, Giulio Del Frate, medico del Grand Hotel e dell’Hotel Excelsior (allora sorti), era un mazziniano raven-nate senza troppi “peli sulla lingua”. Il suo motto preferito era: “I preti? Uno per lampione!”. Lo strano era che era cugino del famoso generale Baldissera, “quello che non si fidò di quella faccia nera” e salvò l’esercito dopo Adua. Un suo pap-pagallo, lasciatogli da un amico che aveva dovuto fuggire in Sud America, faceva i pernacchi e fischiettava l’inno di Garibaldi ogni volta che per il Corso si affac-ciava “la reale”, cioè la passeggiata in carrozza che faceva la Regina Margherita. Abitava a Palazzo Doria, perché aveva sposato “Il diavolo e l’acqua santa”, Silvia Tacchi Venturi, figlia del notaio, amministratore dei Principi Doria Pamphili. Con il nome e la posizione ufficiale del suocero, riusciva a cavarsela da grossi guai per gli insulti di stile mazziniano del suo pappagallo.Il fratello di nonna Silvia, Pietro Tacchi Venturi, era allora all’inizio della sua carriera con la Compagnia di Gesù, di cui sarebbe divenuto storico ufficiale, e già aveva incominciato a raccogliere il materiale per la sua fondamentale (e monu-

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mentale) Storia delle Religioni. Molto più tardi fu lui che ebbe dal Papa l’incarico di avviare, in gran segreto, le prime trattative per il Concordato. Le portò avan-ti con tanto successo che subì un grave attentato, nel suo studio alla Chiesa del Gesù, da parte di un anarchico che evidentemente non ammetteva un accordo del genere fra Stato e Chiesa.“Confessore di Mussolini, io?! Ma come si può pensare una bestialità simile! Quel-lo è un ateo convinto! Ogni tanto fa la scena per ragioni che sa lui”, mi disse una volta, in pieno fascismo.Il nonno mazziniano era anche un gran bell’uomo.Tra politica e gelosia si formò in qualche anno una miscela esplosiva che consigliò nonno Giulio a ritirarsi in esilio, per qualche tempo a Grottaferrata, ove divenne medico condotto. Fu così che mia madre era nata lì, nel 1881.Nonno Giulio non si occupò più di politica. Si limitava ad andare qualche volta a giocare a tressette (di cui come tutti i rmagnoli era un forte giocatore) con i bri-ganti che ancora infestavano i boschi circostanti. Era un “brigantaggio politico”, diceva il nonno, e come mazziniano radicale ci si trovava bene: li catechizzava a non far del male ai poveretti, a distribuire il loro bottino ai più bisognosi, etc., secondo lo spirito del “Passator cortese”. Per non avere guai con i questurini si faceva bendare, quando andavano a prenderlo per il tressette, come se fosse stato prelevato di forza.

In un lampo questi ricordi di Grottaferrata mi passarono per la mente, mentre il corteo imamiale correva all’impazzata, a sirene spiegate, verso Villa Florio.La Villa, completamente requisita per la circostanza, era di gran lusso, con parco privato, piscina, restaurant e bar. Il piano terra era tutto una serie di sale molto ben arredate, con pianoforte a coda, piccola pista da ballo, etc. Al primo piano erano le camere da letto: anche queste arredate lussuosamente, ognuna con un lussuoso bagno. Ma l’insieme era ssolutamente insufficiente ad ospitare quella settantina e più di persone che formavano il seguito imamiale.Finì che noi medici e le tre graziose infermiere reclutate per la circostanza, ci sistemammo nelle poltrone e nei divani. Il bar era a nostra completa disposizione. La compagnia era piacevole. Dormicchammo in attesa di chiamate imamiali che non vennero.La mattina seguente, ovviamente, sollevammo la questione con i rappresentanti della Farnesina addetti a quel servizio. Dopo tre giorni, infine, ci fu dapprima il programmato consulto a largo raggio e poi la sistemazione di S. M. nella Clinica Margherita, a via di Villa Massimo, vicino a Piazza Bologna, di cui fu requisito un intero piano. La proprietaria di Villa Florio, proprietaria anche dell’Hotel Hassler, a Trinità dei Monti - l’albergo più raffinato di Roma - era venuta a trovarci, la pri-ma sera, fortemente shockata.“Stanno infilando nei muri dei grossi chiodi da muratori! Ma perché? Sono pazzi? Mi massacrano l’intonaco!”“No, signora, lo fanno per poterci appendere sopra, a modo loro, i loro turbanti. Ma stia tranquilla che ogni buco sul muro è un danno che le sarà profumatamente rimborsato dai signori el Jabali e el Wagi”.E così fu, infatti.

Il mio Yemen (1955 - 1968)

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In una Clinica eravamo riusciti a portarlo, ma come controllare l’Imam in modo che non ricevesse, dalle sue donne, qualche fialetta di nascosto? E d’altra parte, come program- mare una disintossicazione efficace senza sapere la verità su quello che il malato faceva? A un certo punto ci venne l’idea di approfittare di una piccola punta d’ernia dell’Imam, operarlo e con questo trasferirlo in una saletta di riani-mazione che fosse preclusa alle sue donne. Niente da fare! Alla Farnesina dissero che era pazzesco pensare di agire in modo da togliere al Re la sua volontà, anche se ciò veniva fatto solo ed esclusivamente per il suo bene.E allora?Con Gozzano e Reda le studiavamo tutte, nei minimi particolari, per impedire i rifornimenti clandestini, ma questi, sia pure molto ridotti - visti i risultati ottenuti - non potevano certo dirsi del tutto cessati.

La vita a Villa Margherita trascorreva abbastanza tranquilla e ordinata. Molte donne erano state smistate in altre Cliniche romane per curare piccoli disturbi e in un albergo requisito a Fregene. Mia moglie e mia figlia erano arrivate a Roma ed erano con mia madre nella casa che avevo a via Tacchini oppure a Lacco Ame-no, nell’isola d’Ischia, da mia suocera. Anche Yvette venne a Roma e con Andrey passammo alcune ore piacevoli assieme. Una sera andammo a cenare all’Hostaria dell’Orso, allora il top dei locali romani. El Jabali mi aveva dato una 1100 con cui potevo girare nelle varie cliniche per seguire le donne reali smistate colà: nelle ore libere la macchina era solo per me.Un pomeriggio in cui ero di servizio (ci eravamo divisi il lavoro in modo da assi-curare all’Imam un’assistenza continua 24 ore su 24), S. M. mi fece chiamare. Era semisdraiato a terra su un grande permaflex ricperto di plaids (aveva fatto elimi-nare il letto regolare). “Caro Barafassur, telefoni al Papa. Io ho pregato e prego per Lui, per la sua salute.Desidererei che pure Lui pregasse per me. Sono a Roma, questo è il Suo Alto Re-gno”. Più che dire Tamàam, tamàam (Bene, bene!) non potevo.“Ma come caspita si farà a telefonare al Papa?” mi chiedevo sconcertato per quella inattesa richiesta.Andai da una suora della Clinica per avere lumi in proposito: ne sapeva quanto me. Mi accompagnò dalla Madre Superiora: anche lei era spiazzata.“Bè - dissi - proviamo a vedere l’elenco del telefono”. Cercai e trovai: Città del Vati-cano, centralino.Telefonai spiegando chi ero, quale era la mia funzione, da dove telefonavo. Aggiun-si anche che non ero un pazzo e non facevo scherzi. Mi fu risposto con tutta calma che sarei stato richiamato entro mezz’ora.Puntualmente dopo trenta minuti fui chiamato al telefono.“Parla la Città del Vaticano. Il suo messaggio è stato portato a conoscenza del S. Padre che ha molto gradito quanto S. M. l’Imam Ahmed ha voluto trasmettergli. Il S. Padre assicura S. M. che ha pregato e pregherà per lui e gli augura un pronto ri-stabilimento”. Rimasi sbalordito dall’efficienza e dalla organizazione del Vaticano.Andai subito a riferire all’Imam, felice e contento di aver portato a termine cosìrapidamente una missione che sembrava in partenza quasi disperata.

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È davvero l'esperanto la lingua del 2000? Mario Testa

L'evoluzione delle lingue

Chi avrebbe mai preveduto, nell'età repubblicana e imperiale di Roma, la rapida decadenza della "comune patria", luce di tutte le genti? L'Urbs, infatti, con le guerre sannitiche pri-ma e poi con le guerre puniche e macedoniche, era pervenuta a mi-rabili traguardi. Contribuivano alla fede nell'eternità dell'Impero le leg-gi, gli eserciti, i monumenti e la lin-gua; ma Roma fu dilaniata, già nel secolo V, da profondi rivolgimenti. La crisi politica, militare, economi-ca, morale e demografica aveva or-mai logorato l'intero Occidente: con i facili successi del rozzo Odoacre, capo degli Eruli, e con la deposizio-ne di Romolo Augustolo, figlio del goto Oreste, avvenne il maggiore dei crolli ricordati nella storia. Si corruppe e si frantumò anche la prodigiosa lingua latina: e proprio dei molteplici fenomeni linguistici, dalle origini ad oggi, le nostre bre-vi note si propongono di esplicare la lenta trasformazione e i procesi evolutivi. Ai complessi quesiti sulle fasi pro-gressive dell'umano linguaggio, nato da asociazioni fra il gesto e la voce, e sui primi elementi della lingua originaria non possiamo ri-spondere, perché tutte le soluzio-ni proposte per le origini della vita e dell'uomo sono frutto di ipotesi. Sull'unità preistorica e sulla serie di schemi e di sviluppi dell'indoeuro-peo comune, dal quale derivarono quindici gruppi di lingue, differisco-no le teorie: dell'antichissima lingua madre, il cui centro di propulsione fu quasi certamente l'Eurasia set-tentrionale, mancano i documenti, e

di nion pochi gruppi derivati (come l'ittito, la cui letteratura risale a due millenni prima di Cristo, e il celtico, privo sempre di letteratura) il grado di conoscenza non è sufficiente (1). I numerosi problemi che si pongono sui rapporti fra lingua e genti sono connessi, inoltre, alle dispute sulle razze e sulle loro migrazioni: con quale gruppo preistorico s'identi-fica il protopopolo e da quale sede si mosse per disporsi nelle zone fra l'India e l'Europa? Rimangono discordi le risposte degli studiosi. Esiste, in ogni modo, un tipo lingui-stico indogermanico o indoeuropeo (sono i termini ricorrenti nella let-teratura scientifica; oggi i linguisti preferiscono l'aggettivo arioeuro-peo), ma certo non esiste una stirpe o una razza indoeuropea. I popoli di origine aria stanziatisi in Italia nell'età preistorica e noti perciò con il nome di Italici pene-trarono nel nostro paese in tempi diversi: intorno al 2500 a. C. i Pro-tolatini o Latino-Siculi, detti inuma-tori per i tipici riti funebri, e verso il 1000 circa gli Umbro-Sabelli od Osco-Umbri, detti incineratori pe rla loro consuetudine di bruciare i corpi dei morti e di conservarne le ceneri. Delle numerose tribù di Pro-tolatini furono più notevoli i Latini, fermatisi nelle zone collinari vicine al basso Tevere e molto compatti, e i Siculo-Sicani, stabilitisi in Sicilia. I gruppi degli Umbro-Sabelli, a nord dei Protolatini nell'età del ferro, oc-cuparono poi le regioni dell'Italia centrale e meridionale (nella Cam-pania, nell'Apulia e nella Lucanica si stanziarono gli Osci o Sabelli); e

senza l'opposizione del popolo etru-sco, più forte e civile - sembra che non fosse di origine aria - avrebbero soprafatto le tribù dei primi Italici. Altre popolazioni si fermarono in Italia tra il X e VI sec. a. C.: nell isole maggiori gl'intraprendenti Fenici, sulle coste tirreniche e ioniche i co-loni della Grecia, nella fertile pianu-ra padana i temibili Celti. Polimorfo, dunque, appare il qua-dro linguistico della nostra peniso-la in epoca storica. Ma rispetto alle varietà dialettali, a noi poco note, dell'osco-umbro (testimoniate solo da documenti epigrafici e dalle fa-mose Tabulae Iguvinae, scoperte nel 1444 a Gubbio), maggiore fu l'u-nità dei dialetti latini, i quali, dopo lunghe e incerte fasi di mistilingui-smo, prevalsero e confluirono nel-la lingua di Roma. Feconda via di scambio fu nella Campania la colo-nia greca di Cuma: e le recenti ricer-che sul patrimonio arcaico lessicale confermano la vitalità di non pochi vocaboli assunti in vario modo dalla tradizione latina. Uno dei caratteri della lingua romana rimase, tutta-via, il rispetto costante delle forme originarie indoeuropee (2). Alla fase latina dei secoli prima di Cristo, quando venne a costituirsi la ricca ed omogenea lingua ufficiale, seguì la romana (I-V sec. d. C.9, che fu contraddistinta dalla vasta diffu-sione, in ogni provincia, del "sermo vulgaris", ovviamente diverso dalla lingua cristallina codificata nei clas-sici. Una serie complessa di inno-vazioni - caduta di sillabe e livella-mento di casi, esiti diversi di vocali lunghe e brevi, forme sintattiche e verbali meno rigide - si sovrappose alle norme letterarie e grammatica-li: e quando nei secoli delle invasioni barbariche e dell'anarchia feudale la tradizione unitaria imperiale favorì l'universalitàdella Chiesa cattolica, l'intima forza della lingua latina si espresse nello sviluppo delle parla-

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te romanze. Si può bene affermare, insomma, che in ogni segno o paro-la rivive l'intera storia degli uomini e delle cose: la magia della scrittura annulla il tempo (l'audace Cadmo, fondatore di Tebe, che introdusse nella Grecia l'alfabeto fenicio, fu perciò divinizzato) e la mobilità del-la voce consente mutamenti ed in-novazioni. Profonde le differenze - dovute all'azione dei particolari "sostrati", cioè delle condizioni prelatine di lingua - nell'autonoma reealtà degli idiomi romanzi, ma identici i pro-cessi di lenta gestazioner e i legami lessicali. Anmche se tradussero la coscienza e le forme delle nuove so-cietà nazionali in Europa, le lingue romanze sorsero sui valori del mon-do latino e ne difesero il patrimonio. Accanto all'italiano la parlata ne-olatina più fedele alla tradizione, e quindi meno corrosa dai sostrati, fu lo spagnuolo. Emerse nella lingua della penisola iberica uno schietto carattere aristocratico e conserva-tore (da fabulare: fablar - hablar; da cogitare: cuidar; da petere: pedir; da percontari: preguntar; da for-mosus: hermoso; da metus: miedo; da numquam: nunca): e le tenden-ze caratteristiche - come la caduta della f iniziale, le vocali dittongate e la costante lenizione della t e del-la c in posizione intervocalica - non sono che deboli tracce dei sostrati. Un'impronta singolare, evidente nella tendenza ai suoni palatali (da gamba: jambe; da camera: chambre; da cantare: chanter), fu invece data al francese - i cui primi documenti, i Serments di Strasburgo, risalgono all'anno 842 - dal cosiddetto "so-strato celtico", peraltro comune alla lingua spagnuola (da multum: mu-cho; da octo: ocho). Il proceso di trasformazione della lingua latina non fu diverso in Ita-lia: e infine determinò la caduta di sillabe e di vocali atone intermedie (da facere: fare; da domina: donna; da nitidus: netto), la geminazione e l'assimilazione delle consonanti (da

brutus: brutto; da delictum: delitto; da septem: sette), la perdita della quantità (luna - luna) e perciò del-le desinenze, l'eliminazione del ge-nere neutro e dei verbi deponenti, la formazione del condizionale (da amarem, imperfetto congiuntivo: amerei) e la piena prevalenza del participio passato, che poté costitu-ire con l'aiuto degli ausiliari, la fles-sione dei tempi composti (laudatum habeo: ho lodato) e l'intera coniuga-zione della forma pasiva (laudatus sum: sono lodato; laudatus fui: fui lodato). Le prime espressioni letterarie ro-manze furono gli undici componi-menti, in lingua provenzale, del no-bile trovatore Guglielmo di Poitiers (1071-1127), la Chanson de Roland (sec. XI), in 4002 decasillabi riu-niti in "laisses", e il Poema de mio Cid (sec. XII), in 3735 versi divisi in tre "cantares". L'uso letterario del volgare italiano, i cui mezzi espres-sivi differivano molto da regione a regione, appare documentato nel secolo XIII: e non occorre elenca-re - sono ben conosciute - le com-plesse vicende politiche e sociali del niostro paese, giunto in ritardo all'unità nazionale, e le fasi delle di-spute sulla lingua de "sì" (la prima grammatica sistematica fu quella di Pietro Bembo nel 1525; e nelle sue quattro edizioni, dal 1612 al 1738, il "Vocabolario degli Accademici della Crusca" codificò le tesi arcaizzanti bembesche) fino alle soluzioni pro-poste dal manzoni e al "Novo Voca-bolario della lingua italiana secondo l'uso di Firenze" (1897) compilato dal ministro della pubblica istruzio-ne Emilio Broglio. E' opportuno, invece, rilevare che, a distanza di un secolo dall'unità po-litica, non risulta compoiuta l'unifi-cazione linguistica del Nord e del Sud, né superata l'antica divergenza tra lingua e dialetti. Certo, il dilem-ma "fiorentino di Crusca o italiano comune?" ha perduto valore e non esiste in pratica una questione della lingua; ma della nostra grammatica

non poche sono le regole oscillanti o controverse, se ne cambiano, pur-troppo, le condizioni di apprendi-mento nelle diverse regioni. Sono male applicate - anzi molti le ignorano - le norme dell'apocope (il cui segno è l'apostrofo: va', im-perativo, da vai; mo' da modo - po' da poco) e dei dittonghi mobili ie-uo (dièci - decina; suòno - sonare); non sono ben definite le norme per il plurale dei nomi maschili che ter-minano in a (il poema . i poemi; il vaglia - i vaglia), degli aggettivi e dei nomi in co e go (quali i plurali di antropofago, di chirurgo, di sto-maco?), dei nomi in cia e gia (la provincia - le province; la ciliegia - le ciliegie;) e dei nomi composti. L'uso degli articoli il - lo davanti ai nomi comincianti per gruppi conso-nantici (il psicologo - lo psicologo) e della particella pronominale gli (adoperata senza alcuna distinzione tra maschile-femminile e singolare-plurale: io gli dissi non è più l'equi-valente esclusivo di dissi a lui) tende a differire dalle regole codificate; e ancora si discute sulle norme di concordanza del participio passato (con i verbi riflessivi apparenti, per esempio, si deve preferire l'accor-do del participio con il soggetto - Il giovane si è raso la barba - o con il complemento oggetto - Il giovane si è rasa la barba - ?). Per i non Toscani è difficile distin-guere il suono chiuso e aperto delle vocali e-o (pésca - pèsca: ma ballétto o ballètto? - tórta o tòrta? - giórno o giòrno?) e il suono sordo e sono-ro delle consonanti s - z (asino: a/sino; isola: i.sola; zappa: tzappa; zero:dzero): e l'esatta pronunzia ri-chiede la soluzione per l'esatta scrit-tura. Nella nostra liungua, infatti, manca un sistema unico di accenti grafici. La vocale tonica, di regola, non si indica e, se occorre l'accento, si usa con arbitrio l'acuto o il grave. Goisuè Carducci propose di usare - ma non ebbe vasti consensi - l'ac-cento acuto per le vocali i, u, che sono sempre chiuse, l'accento grave

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per la vocale a, che è sempre aper-ta, e l'acuto o il grave, secondo ne-cessità, per le vocali e,o. Si adopera oggi un sistema più facile: l'accento acuto per le vocali chiuse e, o e sem-pre l'accento grave negli altri casi, vale a dire per a, i, u e per le vocali aperte e, o (ma l'obbligo dell'accento è limitato alle ossitone e i dubbi di pronunzia per le parole sdrucciole oppure piane non si risolvono). In Italia, inoltre, irrompono da tempo le parole straniere; negli altri Stati diminuisce, invece, la diffusio-ne dell'italiano. Intanto si rileva, con insistenza maggiore, la necessità per l'Europa di una lingua comune. Oggi le lingue parlate sulla terra dai vari popoli sono circa tremila: e proprio l'Europa attesta un ampio mosaico di dialetti e di idiomi, pro-fondamente diversi per le origini e per la storia. Il settore occidentale è tutto dominato dalle lingue roman-ze (però nella regione pirenaica re-stano isolati i parlari indigeni baschi e nei Cantoni svizzeri coesistono differenti forme espressive; un'inso-lita forza di penetrazione ha rivelato

l'inglese, presto divenuto strumen-to di colonizzazione, diversamente dall'irlandese, poco duttile e circo-scritto); in una vasta zona del setto-re settentrionale prevale il gruppo di lingue scandinave e nell'Europa orientale il gruppo di lingue slave (ma alcune regrediscono ed altre, come il russo, hanno forza espansi-va); e non è compito facile seguire i processi della "mistione linguistica" nella penisola dei balcani (dove una lingua molto giovane è l'albanese). In tanta varietà di tradizioni lessi-cali è possibile prevedere mutamen-ti e rapporti? o forse prevarranno le lingue artificiali - sono già più di cento - ideate dai singolo o dalle co-munità? Solo una lingua neutra internazio-nale ed esatta, presto assimilabile e senza difficoltà di lettura e di ac-centi, con un lessico di base ricavato da radici di origine slava, neolatina, e germanica, è in grado di elimina-re l'incomprensione e le guerre tra i popoli: sosteneva nel 1887 il me-dico polacco Ludovico Lazzaro Za-menhof, inventore dell'esperanto.

Di questa lingua della speranza il primo Congresso annuale fu indetto presso Parigi, a Boulogne-sur-Mer, nel 1905; e i molti cultori, associati in ogni Paese, curano già da tempo l'edizione di periodici e di testi let-terari. L'alfabeto dell'esperanto compren-de ventotto lettere, i cui suoni non differiscono dai segni relativi. Ra-dici essenziali formano le parole, l'uso razionale di prefissi e suffissi ne consente l'espansione e le diver-se funzioni; l'accento cade sempre sulla penultima sillaba e sono fisse le desinenze. L'apparato gramma-ticale, costituito da sedici norme generali, non ammette eccezioni e verbi irregolari; bastano alle coniu-gazioni i tre temopi del presente, del passato e del futuro. Trenta lezioni di un'ora sono più che sufficienti per lo studio globale. E' davvero l'esperanto la lingua del duemila, come affermano in ogni parte del mondo gli entusiasti se-guaci di L. L. Zamenhof?

Mario Testa

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AutoriAdamczyk Aiello, Alina Vincenzo Funiciello Arte n. 3/1992 p. 21Adamczyk Aiello, Alina Aceto, arcobaleno // di Erri De Luca Libri n. 8 /1992 p. 47

Alessio, F. Augusto Perez Il cavaliere del deserto Scultura n. 3/1992 p. 30

Alparone, Giuseppe La II Repubblica spagnola / Il biennio rosso Storia n. 2/1992 p. 21Alparone, Giuseppe Dipinti dal XVI a XVIII s. nelle chiese di Ischia di Elena Persico Rolando Libri n. 2/1992 p. 39Alparone, Giuseppe La scomparsa del dott. Pierluigi Mazzella Persone n. 4/1992 p. 4Alparone, Giuseppe La II Rep. spagnola / L'ottobre rosso Storia n. 4/1992 p. 48Alparone, Giuseppe La II Rep. spagnola / Lo scoppio della guerra civile Storia n. 4/1992 p. 50Alparone, Giuseppe La II Rep. spagnola / Il Frente Populàr Storia n. 4/1992 p. 4Alparone, Giuseppe La II Rep. spagnola / Le forze in campo nella guerra Storia n. 7/1992 p. 31Alparone, Giuseppe La II Rep. spagnola / 4 destini tragici Storia n. 8/1992 p. 37

Amalfitano, Giuseppe Obiettivo sport Sport n. 1/1992 p. 2Amalfitano, Giuseppe Squadra per squadra tutta la C1 /gir. B Sport 1/1992 p. 17Amalfitano, Giuseppe L'Ischia è fuori dalla Coppa Italia Sport 3/1992 p. 8Amalfitano, Giuseppe schia, futuro a rischio Sport n. 5/1992 p. 13Amalfitano, Giuseppe Squadra per squadra tutta la C1 girone B Sport n. 5/1992 p. 14 Amalfitano, Giuseppe E' iniziata per l'Ischia un'altra avventura in C1 Sport n. 7/1992 p. 42

Amodio, Amedeo Casamicciola: verso la rinascita dello sport Sport n. /1992 p. 10

Arcamone, A. Roberto La ginnastica medica Sport n. 3/1992 p. 9Azzarita, Antonella V. Funiciello / Addobbava chiese, dipinge con le stoffe (da Nazione Sera del 13/9/61) R. Stampa n. 3/1992 p. 22Bonacchi, Isa Acqua azzurra, acqua calda (da DOVE n. 1 /93) R. Stampa n. 9/1992 p. 7

Calamai, Alessandro Il senso dei giorni di M. Testa nell'analisi critica di Arturo Esposito Libri n. 4/1992 p. 19Castagna, Giovanni L'istruzione pubblica nel comune di Casamicciola dal 1806 al 1877 Dossier n. 9/1992 p. 8Castagna, Raffaele Calcio - Il passato: 1959/60 - 1960/61 Sport n. 1/1992 p. 14Castagna, Raffaele Motivi Editoriale n. 3/1992 p. 5Castagna, Raffaele Lacco A. / Verso lo scioglimento del Consiglio comunale Politica n. 3/1992 p. 6Castagna, Raffaele La Repubblica partenopea di Vincenzo Cuomo Libri n. 3/1992 p. 46Castagna, Raffaele Motivi Editoriale n. 4/1992 p. 5Castagna, Raffaele Oltre... Thermalia Termalismo n. 5/1992 p. 6Castagna, Raffaele Motivi Editoriale n. 5/1992 p. 49Castagna, Raffaele Motivi Editoriale n. 6/1992 p. 5Castagna, Raffaele Le tavolette votive alle Ninfe Nitrodi Motivi Un andamento positivo per l'Ischia Dossier n. 6/1992 p. 18

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Indice degli articoli 1992 per autori e per materie

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Castagna, Raffaele Motivi Editoriale n. 9/1992 p. 3Ciomar Un andamento positivo per l’Ischia Sport n. 1/1992 p. 3Conti, Mario Isole II di A. Deanna Meucci Libri n. 7/1992 p. 35Coppola, Cecilia Florenzia Favole n. 2/1992 p. 19 Coppola, Cecilia Gianni Visentin e la Riconciliazione Scultura n. 3/1992 p. 37Coppola, Cecilia Padre Fiorenzo Mastroianni Persone n. 3/1992 p. 43Coppola, Cecilia A M. Iaccarino il premio Foyer des Artistes Premi n. 3/1992 p. 49Coppola, Cecilia Astarita Angelina: una poetessa, un'anima Poesia n. 3/1992 p. 49Coppola, Cecilia Il messaggio musicale di Paolo Scibilia Musica n. 4/1992 p. 53Coppola, Cecilia La "Compagnia" di Ciro Ferrigno Teatro n. 7/1992 p. 36Coppola, Cecilia Lidia Cottone // tempo spazio e pensiero Scultura n. 8/1992 p. 41Coppola, Cecilia La ceramica di Titti Andalò Iaccarino Ceramica n. 8/1992 p. 50Cuomo, Antonino Il mare / di Cecilia Coppola e Giuseppe Coppola Libri n. 2/1992 p. 41Cuomo, Vincenzo La riforma cluniacense arriva a San Pietro Storia n. 2/1992 p. 33Cuomo, Vincenzo I Normanni e le prime affermazioni in Occidente Storia n. 3/1992 p. 39Cuomo, Vincenzo Il mondo feudale Storia n. 5/1992 p. 38Cuomo, Vincenzo Viaggio intorno al mondo di P. De Orsi di Debora Naimo Libri n. 5/1992 p. 48Cuomo, Vincenzo Cluny: centro di rinascita della spiritualità cristiana Storia n. 6/1992 p. 14Cuomo, Vincenzo In difesa del Medioevo Storia n. 8/1992 p. 39Cuomo Vincenzo Ciò Ciò la busta di plastica / di Cecilia Coppola Favole n. 8/1992 p. 45Cuomo, Vincenzo Pubblicati i lavori giovanili di P. De Orsi Libri n. 8/1992 p. 48D'Altavilla, Cesare Messaggio annuale per il capodanno 1993 Messaggio n. 9/1992 p. 37D'Amico Tilena, Lucia I pescatori Folklore n. 7/1992 p. 9De Caro, Stefano Per l'archeologia di Pitecusa Archeologia n. 7/1992 p. 3De Palma Garise, Antonina G. de Ribera // Un grande afflato religioso Arten. 4/1992 p. 42De Rossi, Mario Bridge: Il II Festival Internazionale d'Ischia (da"Bridge d'Italia" n. 10/92) R. Stampa n. 8/1992 p. 46De Siano, Francesco L'iscrizione greca (perduta) di Lacco A. Testimonianze 3/1992 p. 25De Vico, Alberto La Repubblica partenopea / di Vincenzo Cuomo Libri n. 5/1992 p. 46Di Castro, Tullia Il termalismo Termalismo n. 2/1992 p. 7Di Lustro, Agostino Il parroco Giuseppe Morgera Persone n. 3/1992 p. 11Di Lustro, Agostino Giuseppe Morgera e Nicola Contieri arcivescovo di Gaeta Persone n. 8/1992 p. 10Di Majo, Pierluigi Le radici di Napoli Storia n. 2/1992 p. 13Di Majo. Pierluigi Immagini di Bernard Lesaing Mostre n. 4/1992 p. 12Esposito, Arturo Sulla poesia di Ninnj Di Stefano Busa Poesia n. 9/1992 p. 37Ferrucci, Ferruccio La "antologica" di Antonio Canova Mostre n. 7/1992 p. 34Ferrucci, Ferruccio Le grandi mostre di Ferrara Mostre n. 9/1992 p. 6Fiorilli, Carlo Ischia nel mito, nelle leggende, nella storia Testimonianze /1992 p. 22Fonseca, Ferdinando Geologia dell'isola d'Ischia Testimonianze 9/1992 p. 38Iacovazzi, Carla Il Lacco Ameno in I cat. dilettanti Sport n. 1/1992 p. 21Lodi, Mario Il mondo creato dai bambini // di M. Rita Parsi Libri n. 8/1992 p. 52Longobardo, Michele M. Mazzella / Affinità e dissonanze Mostre n. 2/1992 p. 47Mancioli, Massimo Il mio Yemen (1955 - 1968) - I Dossier n. 4/1992 p. 21 Mancioli, Massimo Il patrimonio idrotermale dell'isola d'Ischia Termalismo n. 5/1992 p. 7Mancioli, Massimo Il mio Yemen (1955-1968) - II parte Dossier n. 5/1992 p. 19 Mancioli, Massimo Il mio Yemen (1955-1968) - III parte Dossier n. 7/1992 p. 15 Mancioli, Massimo Il mio Yemen (1955-1968) - IV parte Dossier n. 8/1992 p. 21 Mancioli, Massimo Il mio Yemen (1955-1968) - V parte Dossier n. 9/1992 p. 21Manta, Gianni Interviste Sport n. 1/1992 p. 5 Manta, Gianni I giocatori // uno per uno Sport n. l/1992p. 11Martini Conti, Eugenia Storta di tre rondinini Favole n. 4/1992 p. 45Martino, Nazario Storia di una visita al Parlamento Europeo Notiziario n. 6/1992 p. 41Mastrogiacomo, Ettore Le poesie di Maria Teresa Epifani Poesia n. 5/1992 p. 47 Mastrogiacomo, Ettore Il mestiere di vivere / Poesie di A. Santillo Libri n. 7/1992 p. 36

37 La Rassegna d'Ischia 2/1993

Mazzoleni, Danilo Lucerne, murature, anfore emergono dai "secoli bui" (da "L'Osservatore Romano" 1.3.92) Rass stampa n. 3/1992 p. 29Mennella, Vincenzo Don Pietro Monti: l'archeologo e lo storico Persone n. 6/1992 p. 6Mirenghi, Mario Sapore di Napoli Folklore n. 2/1992 p. 20 Mirenghi, Mario Posillipo. l'ultima dimora di G. Leopardi Cultura n. 7/1992 p. 38Monti, Pietro Ricordo di Suor Gigliola Persone n. 2/1992 p. 9Monti, Pietro Il V centenario della scoperta dell'America Argomenti n. 5/1992 p. 35 Monti, Pietro Gli Scavi di S. Restituta di Lacco Ameno Archeologia n. 8/1992 p. 6Mori, Monica Antonio Macrì Mostre n. 6/1992 p. 10 Mori, Monica Giovanni Maranghi Mostre n. 7/1992 p. 40 Mori, Monica Anna Antonietta Monti Mostre n. 8/1992 p. 51Mottola, Anna Toga sommersa di Domenico Marafioti Libri n. 2/1992 p. 45Mottola, Anna Napoli di Giuliana Gargiulo - Libri n. 4/1992 p. 18Mottola, Anna Il muro del pianto di Giovanna Scarsi Mostre n. 2/1992 p. 28Negro, Carmine L'esercizio del disegno / I VanvitelliNegro, Carmine Otto domande a G. M. Jacobitti, soprintendente BB. AA. SS. di Caserta e Benevento Archeologia n. 2/1992 p. 31Negro, Carmine Vivara centro commerciale mediterraneo dell'età del bronzo Ambiente n. 3/1992 p. 15Negro, Carmine Vivara, le pietre raccontano... Ambiente n. 3/1992 p. 16Negro, Carmine L'Avventura dell'unità di Franca Zambonini Libri n. 3/1992 p. 47Negro, Carmine Jusepe dei Ribera Mostre n. 4/1992 p. 40Negro, Carmine Da Ienco Elpidio e Elpidio Jenco Poesia n. 6/1992 p. 11Negro, Carmine Tombe Sannite tra le fondamenta del Palazzo Reale di Caserta Archeologia n. 8/1992 p. 14Negro, Carmine I Sanniti Storia n. 8/1992 p. 17Penza, Aniello Forio/ Il Cierco ieri e oggi I racconti di Carla Pesciatini Storia n. 2/1992 p. 11 Pesciatini, Carla I racconti di Carla PesciatiniNarrativa n. 6/1992 p. 31Petrìoli Giorgi, Emiliana Cenni sulle prime manifestazioni del sentimento religioso Religione n. 9/1992 p. 17Pujade, Robert B. Lesaing / Connaissance d'Ischia Librin. 4/1992 p. 14Rossi, Antonietta Da Ienco Elpidio a Elpidio Jenco Poesia n. 6/1992 p. 11 Rossi, Antonietta Tombe Sannite tra le fondamenta del Palazzo Reale di Caserta Archeologia n. 8/1992 p. 14Scandiuzzi, Elina Un canto alla solitudine Poesie n. 2/1992 p. 43Sica Di Leo, Lilli Dipinti per le Storie di Amore e Psiche di Fedele Fischietti Arten. 4/1992 p. 37Sica Di Leo, Lilli Marano di Napoli nelle antiche immagini al tempo dei Borboni Ceramica n. 8/1992 p. 42Spano, Ferdinando Il pathos nell'arte di Gabriella Pucciarelli Scultura n. 2/1992 p. 43 Spano, Ferdinando Mariano Izzo / l'arte di rinnovarsi per stupire Arte n. 2/1992 p. 44Spano, Ferdinando L'armonia del contrasti nel mondo pittorico di Gaetano Di Riso Arte n. 3/1992 p. 37Spano, Ferdinando M. Guida, magico flore di Vico Equense Sport n. 5/1992 p. 17Testa, Mario Il mito di Don Giovanni Riso Cultura n. 7/1992 p. 11Torre, Federico Il Premio Luigi Prete 1992 Notiziario n. 5/1992 p. 47Vidiri Varano, Carla Intervista a Dario Bellezza Poesia n. 2/1992 p. 16Vidiri Varano, Carla Toga sommersa di Domenico Marafioti Libri n. 3/1992 p. 48Vidiri Varano, Carla l muro di pianto / di Giovanna Scarsi Libri n. 5/1992 p. 45Vidiri Varano, Carla Il premio di poesia "Eugenio Montale" Premi n. 7/1992 p. 37Zivelli, Pietro Paolo Un borgo per Aniellantonio Mascolo Mostre n. 4/1992 p. 8

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Tagliatela nell'under 21 di B Sport n. 1/1992 p. 13Forio / Barano / Fiaiano / V. Panza Sport n. 1/1992 p. 22Giochi della Gioventù Sport n. 1/1992 p. 24Pithecusa fuori dall'oblìo Archeologia n. 2/1992 p. 4Tre domande al dott. S. De Caro Archeologia n. 2/1992 p. 5Lacco Ameno: XXV ed. del Carnevale Notiziario n. 2/1992 p. 6

38 La Rassegna d'Ischia 2/1993

Concorso ASPERA di poesia Concorsi n. 2/1992 p. 45Vivara / Gli scavi dal 1976 al 1982 Libri n. 2/1992 p. 46Palazzo Grassi / Leonrado & Venezia Mostre n. 2/1992 p. 46Rinnovate le cariche sociali al C: C. Sadoul Notiziario n. 3/1992 p. 4"La Se. M. St. "*P. Colosimo"" di Napoli" Notiziario n. 3/1992 p. 4A. T. Prete ispettore onorario per i BB. CC. Notiziario n. 3/1992 p. 4Mons. V. Scoti: 25 anni di attività pastorale Notiziario n. 3/1992 p. 4Romanticismo europeo e traduzione Convegni n. 3/1992 p. 7Esposizione del manifesto turistico dei paesi euro-afro-asiatici Notiziario n. 3/1992 p. L'Associazione Cypraea e il sogno Notiziario n. 3/1992 p. 38Ad Enrico Monti il Premio Cultura 1991 per Aria di paese Premi n. 3/1992 p. 44Premio naz. di poesia Ciro Coppola Concorsi n. 3/1992 p. 45Padre Pio... sotto il peso della croce di Enrico Malatesta Librin. 3/1992 p. 48Premio Letterario "M. F. Iacono" Concorsi n. 3/1992 p. 50XXXIII Concorso Verso il Duemila Concorsi n. 3/1992 p. 50Concorso "Noi e gli altri" Concorsi n. 3/1992 p. 50Sandra Bronz von Rohr a Verona Mostre n. 3/1992 p. 50Incontro sull'aria che respiriamo Notiziario n. 4/1992 p. 4Comunicato CAFI (controllo qualità delle acque) Notiziario n. 4/1992 p. 4Comunicato CAFI (miglioramento sistema fognario) Notiziario n. 4/1992 p. 4Leonardo & Venezia Mostre n. 4/1992 p. 17Libri e Stampe antichi Mostre n. 4/1992 p. 18Commemorazione di Tommaso Cigliano Convegni n. 4/1992 p. 53Seminario naz. "La fruizione educativa delle piccole aree protette Notiziario n. 4/1992 p. 54Premio lett. per ragazzi "Cassa di Risparmio di Cento" Notiziario n. 4/1992 p. 54Il turismo italiano in Catalogna Notiziario n. 4/1992 p. 54Vignale Danza 1992 Notiziario n. 4/1992 p. 54Thermalia 1992 Termalismo n. 5/1992 p. 4Il Premio Cypraea / La cultura del mare Concorsi n. 5/1992 p. 42Convegno internaz. "Tommaso Cigliano" Convegni n. 6/1992 p. 9Le manifestazioni dell'Ass. Cypraea Notiziario n. 6/1992 p. 42Omaggio a Gennaro Tescione Notiziario n. 7/1992 p. 35A S. Campailla il premio N. Martoglio Premi n. 7/1992 p. 37Una chiesa un quartiere // di Pierluigi Di Majo Libri n. 7/1992 p. 39Don Chisciotte della Mancia /7 Autori vari Mostre n. 7/1992 p. 41Premio Ischia di giornalismo Premi n. 7/1992 p. 41La nuova G. M. di Lacco Ameno / Documento programmatico di Politica n. 8/1992 p. 4Il servo di Dio, Don Giuseppe Morgera // di Camillo D'Ambra Libri n. 8/1992 p. 13Botteghe di pittura al tempo di Lorenzo il Magnifico Mostre n. 8/1992 p. 441993 Anno Europeo degli Anziani Notiziario n. 8/1992 p. 44Premio Lettrario "M. F. Iacono" Premi n. 8/1992 p. 48Premio di Poesia "Ciro Coppola" Premi n. 8/1992 p. 49Tanta di luce meraviglia arcana //di Giovanni Fiorentino Libri n. 8/1992 p. 49XXXIII Concorso Verso il Duemila Premi n. 8/1992 p. 51Antologia bilingue (italiano-tedesco) Notiziario n. 8/1992 p. 53XXX Concorso Aspera Premi n. 8/1992 p. 54La crisi dello Stato liberale da Giolitti a Mussolini // di Palo Alatri Libri n. 8/1992 p. 54L'ultima Napoli //di Ermanno Corsi Libri n. 8/1992 p. 54Lacco Ameno / Appaltati i lavori per il Centro Culturale e il Museo Notiziario n. 9/1992 p. 4Casamicciola / Approvato il progetto esecutivo del porto Notiziario n. 9/1992 p. 5Premio Letterario "M. F. Iacono” Premi n. 9/1992 p. 7Rassegna Terra Mare Notiziario ti. 9/1992 p. 54

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Ambiente Negro Carmine Vivara centro commerciale mediterraneo dell'età del bronzo n. 3/1992 p. 15 Negro Carmine Vivara, le pietre raccontano... n. 3/1992 p. 16Antiche Testimonianze De Siano Francesco L'iscrizione greca (perduta) di Lacco Ameno n. 3/1992 p. 25 Fiorilli Carlo Ischia nel mito, nelle leggende, nella storia n. 2/1992 p. 22Archeologia De Caro Stefano Per l'archeologia di Pitecusa n. 7/1992 p. 3 Mazzoleni Danilo Lucerne, murature, anfore emergono dai secoli bui n. 3/1992 p. 29 Monti Pietro Gli Scavi di S. Restituta di Lacco Ameno n. 8/1992 p. 6 Negro Carmine / Antonietta Rossi Tombe Sannite tra le fondamenta del Palazzo Reale di Caserta n. 8/1992 p. 14 Pithecusa fuori dall'oblìo n. 2/1992 p. 4 Tre domande al dott. S. De Caro n. 2/1992 p. 5Argomenti Monti Pietro Il V centenario della scoperta dell'America n. 5/1992 p. 35Arte Adamczyk Aiello Alina - Vincenzo Funiciello n. 3/1992 p. 21 Azzarita Antonella V. Funiciello / Addobbava chiese, dipinge con le stoffe n. 3/1992 p. 22 De Palma Garise Antonina - G. de Ribera // Un grande afflato religioso n. 4/1992 p. 42 Sica Di Leo Lilli Dipinti per le Storie di Amore e Psiche di Fedele Fischetti n. 4/1992 p. 37 Spano Ferdinando Mariano Izzo / l'arte di rinnovarsi per stupire n. 2/1992 p. 44 Spano Ferdinando G. Di Riso / L'armonia del contrasti nel mondo pittorico n. 3/1992 p. 37Bridge De Rossi Mario Il II Festival Internaz. d'Ischia n. 8/1992 p. 46Ceramica Coppola Cecilia La ceramica di Titti Andalò Iaccarino n. 8/1992 p. 50 Sica Di Leo Lilli Marano nelle antiche immagini al tempo dei Borboni n. 8/1992 p. 42Comunicati Comunicato CAFI (miglioramento sistema fognario) n. 4/1992 p. 4 Comunicato CAFI (controllo qualità delle acque) n. 4/1992 p. 4Concors Concorso ASPERA di poesia n. 2/1992 p. 45 Premio naz. di poesia Ciro Coppola n. 3/1992 p. 45 Premio Letterario "M. F. Iacono" n. 3/1992 p. 50 XXXIII Concorso Verso il Duemila n. 3/1992 p. 50 Concorso "Noi e gli altri" n. 3/1992 p. 50 Premio Cypraea / La cultura del mare n. 5/1992 p. 42Convegni Romanticismo europeo e traduzione n. 3/1992 p. 7 Commemorazione di Tommaso Cigliano n. 4/1992 p. 53 Convegno internaz. "Tommaso Cigliano" n. 6/1992 p. 9Cultura Mirenghi Mario Posillipo. l'ultima dimora di G. Leopardi n. 7/1992 p. 38 Testa Mario Il mito di Don Giovanni n. 7/1992 p. 11 Dossier Castagna Raffaele Le tavolette votive alle Ninfe Nitrodi n. 6/1992 p. 18 astagna Giovanni L'istruzione pubblica nel comune di Casamicciola dal 1806 al 1877 . 9/1992 p. 8 Mancioli Massimo Il mio Yemen (1955 - 1968) - I parte n. 4/1992 p. 21 Mancioli Massimo Il mio Yemen (1955-1968) - II parte n. 5/1992 p. 19 Mancioli Massimo Il mio Yemen (1955-1968) - III parte n. 7/1992 p. 15 Mancioli Massimo Il mio Yemen (1955-1968) - IV parte n. 8/1992 p. 21 Mancioli Massimo Il mio Yemen (1955-1968) - V parte n. 9/1992 p. 21Editoriale Castagna Raffaele Motivi n. 3/1992 p. 5 Castagna Raffaele Motivi n. 4/1992 p. 5 Castagna Raffaele Motivi n. 5/1992 p. 49 Castagna Raffaele Motivi n. 6/1992 p. 5 astagna Raffaele Motivi n. 9/1992 p. 3Favole Coppola Cecilia Florenzia n. 2/1992 p. 19 Cuomo Vincenzo Ciò Ciò la busta di plastica / di Cecilia Coppola n. 8/1992 p. 45

40 La Rassegna d'Ischia 2/1993

Martini Conti Eugenia - Storia di tre rondinini n. 4/1992 p. 45Folklore Mirenghi Mario Sapore di Napoli n. 2/1992 p. 20Interviste Negro Carmine Otto domande a G. M. Jacobitti, soprintendente BB. AA. SS. di Caserta e Benevento n. 2/1992 p. 31Libri Alparone Giuseppe Dipinti dal XVI al XVIII s. nelle chiese di Ischia di Elena Persico Rolando n. 2/1992 p. 39 Adamczyk Aiello Alina - Aceto, arcobaleno // di Erri De luca n. 8/1992 p. 47 Calamai Alessandro Il senso dei giorni di M. Testa nell'analisi di A. Esposito n. 4/1992 p. 19 Castagna Raffaele La Repubblica partenopea di Vincenzo Cuomo n. 3/1992 p. 46 Conti Mario Isole // di A. Deanna Meucci n. 7/1992 p. 35 Cuomo Antonino Il mare / di Cecilia Coppola e Giuseppe Coppola n. 2/1992 p. 41 C uomo Vincenzo Viaggio intorno al mondo di De Orsi / di Debora Naimo n. 5/1992 p. 48 Cuomo Vincenzo Pubblicati i lavori giovanili di P. De Orsi n. 8/1992 p. 48 De Vico Alberto La Repubblica partenopea / di Vincenzo Cuomo n. 5/1992 p. 46 Lodi Mario Il mondo creato dai bambini // di M. Rita Parsi n. 8/1992 p. 52 Mastrogiacomo Ettore - Il mestiere di vivere // Poesie di A. Santillo n. 7/1992 p. 36 Mottola Anna Toga sommersa di Domenico Marafioti n. 2/1992 p. 45 Mottola Anna Napoli / di Giuliana Gargiulo *** Il muro del pianto / di Giovanna Scarsi n. 4/1992 p. 18 Negro Carmine L'Avventura dell'unità di Franca Zambonini n. 3/1992 p. 47 Pujade Robert B. Lesaing / Connaissance d'Ischia n. 4/1992 p. 14 Vidiri Varano Carla Toga sommersa di Domenico Marafioti n. 3/1992 p. 48 Vidiri Varano Carla Il muro di pianto / di Giovanna Scarsi n. 5/1992 p. 45 *** Vivara / Gli scavi dal 1976 al 1982 2/1992 p. 46 *** Padre Pio... sotto il peso della croce di Enrico Malatwesta n. 3/1992 p. 48 *** Una chiesa un quartiere // di Pierluigi Di Majo n. 7/1992 p. 39 *** Il servo di Dio, Don G. Morgera // di Camillo D'Ambra n. 8/1992 p. 13 *** Tanta di luce meraviglia arcana // di Giovanni Fiorentino n. 8/1992 p. 49 *** La crisi dello Stato liberale da Giolitti a Mussolini di Palo Alatri n. 8/1992 p. 54 *** L'ultima Napoli // di Ermanno Corsi n. 8/1992 p. 54Messaggio D'Altavilla Cesare Messaggio annuale per il capodanno 1993 n. 9/1992 p. 37Mostre Di Majo Pierluigi Immagini di Bernard Lesaing n. 4/1992 p. 12 Ferrucci Ferruccio La "antologica" di Antonio Canova n. 7/1992 p. 34 Mori Monica Antonio Macrì n. 6/1992 p. 10 Mori Monica Giovanni Maranghi n. 7/1992 p. 40 Mori Monica Anna Antonietta Monti n. 8/1992 p. 51 Negro Carmine L'esercizio del disegno / I Vanvitelli n. 2/1992 p. 28 Negro Carmine Jusepe dei Ribera n. 4/1992 p. 40 Zivelli Pietro Paolo Un borgo per Aniellantonio Mascolo n. 4/1992 p. 8 Palazzo Grassi / Leonrado & Venezia n. 2/1992 p. 46 Sandra Bronz von Rohr a Verona n. 3/1992 p. 50 Leonardo & Venezia n. 4/1992 p. 17 Libri e Stampe antichi n. 4/1992 p. 18 Don Chisciotte della Mancia /7 Autori vari n. 7/1992 p. 41 Musica Coppola Cecilia Il messaggio musicale di Paolo Scibilia n. 4/1992 p. 53Narrativa Pesciatini Carla I racconti di Carla Pesciatini n. 6/1992 p. 31Notiziario Martino Nazario Storia di una visita al Parlamento Europeo n. 6/1992 p. 41 Lacco Ameno: XXV ed. del Carnevale n. 2/1992 p. 6 Rinnovate le cariche sociali al C: C. Sadoul n. 3/1992 p. 4 A. T. Prete ispettore onorario per i BB. CC. n. 3/1992 p. 4

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Mons. V. Scoti: 25 anni di attività pastorale n. 3/1992 p. 4 Esposizione del manifesto turistico dei paesi euro-afro-asiatici n. 3/1992 p. 7 L'Associazione Cypraea e il sogno n. 3/1992 p. 38 Incontro sull'aria che respiriamo n. 4/1992 p. 4 Sem. naz. "La fruizione educativa delle piccole aree protette" n. 4/1992 p. 54 Premio lett. per ragazzi "Cassa di Risparmio di Cento" n. 4/1992 p. 54 Il turismo italiano in Catalogna n. 4/1992 p. 54 Vignale Danza 1992 n. 4/1992 p. 54 Le manifestazioni dell'Ass. Cypraea n. 6/1992 p. 42 Omaggio a Gennaro Tescione n. 7/1992 p. 35 1993 Anno Europeo degli Anziani n. 8/1992 p. 44 Antologia bilingue (italiano-tedesco) n. 8/1992 p. 53 Lacco A. / Appaltati i lavori per il Centro Cult. e il Museo n. 9/1992 p. 4 Casamicciola / Approvato il progetto esecutivo del porto n. 9/1992 p. 5 Rassegna Terra Mare n. 9/1992 p. 54Persone Alparone Giuseppe La scomparsa del dott. Pierluigi Mazzella n. 4/1992 p. 4 Coppola Cecilia Padre Fiorenzo Mastroianni n. 3/1992 p. 43 Di Lustro Agostino Il parroco Giuseppe Morgera n. 3/1992 p. 11 Di Lustro Agostino Giuseppe Morgera e Nicola Contieri arcivescovo di Gaeta n. 3/1992 p. 11 Mennella Vincenzo Don Pietro Monti: l'archeologo e lo storico n. 6/1992 p. 6 Monti Pietro Ricordo di Suor Gigliola n. 2/1992 p. 9Poesia Coppola Cecilia Astarita Angelina una poetessa, un'anima n. 3/1992 p. 49 sposito Arturo Sulla poesia di Ninnj Di Stefano Busà n. 9/1992 p. 37 Mastrogiacomo Ettore - Le poesie di Maria Teresa Epifani n. 5/1992 p. 47 Negro Carmine / Rossi Antonietta - Da Ienco Elpidio e Elpidio Jenco n. 6/1992 p. 11 Vidiri Varano Carla Intervista a Dario Bellezza n. 2/1992 p. 16 Scandiuzzi Elina Un canto alla solitudine n. 2/1992 p. 43Politica Castagna Raffaele Lacco Ameno / Verso lo scioglimento del Cons. comunale n. 3/1992 p. 6 La nuova G. M. di Lacco Ameno / Documento programmatico n. 8/1992 p. 4Premi Coppola Cecilia A M. Iaccarino il premio Foyer des Artistes n. 3/1992 p. 49 Torre Federico Il Premio Luigi Prete 1992 n. 5/1992 p. 47 Vidiri Varano Carla Il premio di poesia "Eugenio Montale" n. 7/1992 p. 37 Ad Enrico Monti il Premio Cultura 1991 per Aria di paese n. 3/1992 p. 44 Premio Ischia di giornalismo n. 7/1992 p. 41 Concorso Verso il Duemila n. 8/1992 p. 51 XXIII Premio "Formica Nera" n. 8/1992 p. 53 XXX Concorso Aspera n. 8/1992 p. 54 Premio Letterario "M. F. Iacono" n. 9/1992 p. 7Rass. Stampa Bonacchi Isa Acqua azzurra, acqua calda (da DOVE n. 1/93) n. 9/1992 p. 7Religione Petrioli Giorgi Emiliana - Cenni sulle prime manifestazioni del sentimento religioso n. 9/1992 p. 17Ricordi D'Amico Tilena Lucia - I pescatori n. 7/1992 p. 9Riviste Nuove lettere n. 1/1991 p. 49Scultura Alessio Francesco Augusto Perez il cavaliere del deserto n. 3/1992 p. 30 Coppola Cecilia Gianni Visentin e la Riconciliazione n. 3/1992 p. 37 Coppola Cecilia Lidia Cottone // tempo spazio e pensiero n. 8/1992 p. 41 Spano Ferdinando Il pathos nell'arte di Gabriella Pucciarelli n. 2/1992 p. 43Sport Amalfitano Giuseppe - Obiettivo sport n. 1/1992 p. 2 Amalfitano Giuseppe - Squadra per squadra tutta la C1/gir. B n. 1/1992 p. 17 Amalfitano Giuseppe - L'Ischia è fuori dalla Coppa Italia n. 3/1992 p. 8 Amalfitano Giuseppe - Ischia, futuro a rischio n. 5/1992 p. 13 A

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Amalfitano Giuseppe - Squadra per squadra tutta la C1, girone B n. 5/1992 p. 14 Amalfitano Giuseppe - E' iniziata per l'Ischia un'altra avventura in C1 n. 7/1992 p. 42 Amodio Amedeo Casamicciola verso la rinascita dello sport n. 3/1992 p. 10 Arcamone A. Roberto - La ginnastica medica n. 3/1992 p. 9 Castagna Raffaele Il passato // 1959/60 - 1960/61 n. 1/1992 p. 14 Ciomar Un andamento positivo per l'Ischia n. 1/1992 p. 3 Iacovazzi Carla Il Lacco Ameno in I cat. dilettanti n. 1/1992 p. 21 Manta Gianni Interviste n. 1/1992 p. 5 Manta Gianni I giocatori // uno per uno n. 1/1992p. 11 Spano Ferdinando M. Guida, magico fiore di Vico Equense n. 5/1992 p. 17 Taglialatela nell'under 21 di B n. 1/1992 p. 13 Forio / Barano / Fiaiano / V. Panza n. 1/1992 p. 22 Giochi della Gioventù n. 1/1992 p. 24Storia Alparone Giuseppe La II rep. spagnola / Il biennio rosso n. 2/1992 p. 21 Alparone Giuseppe La II rep. spagnola / L'ottobre rosso n. 4/1992 p. 48 Alparone Giuseppe La II Rep. spagnola / Il Frente Populàr n. 4/1992 p. 50 Alparone Giuseppe La II Rep. spagnola // Le forze in campo nella guerra civile n. 7/1992 p. 31 Alparone Giuseppe La II Rep. spagnola // 4 destini tragici n. 8/1992 p. 37 Cuomo Vincenzo La riforma cluniacense arriva a San Pietro n. 2/1992 p. 33 Cuomo Vincenzo I Normanni e le prime affermazioni in Occidente n. 3/1992 p. 39 Cuomo Vincenzo Il mondo feudale n. 5/1992 p. 38 Cuomo Vincenzo Cluny: centro di rinascita della spiritualità cristiana n. 6/1992 p. 14 Cuomo Vincenzo In difesa del Medioevo n. 8/1992 p. 39 Di Majo Pierluigi Le radici di Napoli n. 2/1992 p. 13 Negro Carmine I Sanniti n. 8/1992 p. 17 P Penza Aniello Forio/ Il Cierco ieri e oggi n. 2/1992 p. 11 Alparone Giuseppe La II Rep. spagnola // Lo scoppio della guerra civile n. 6/1992 p. 28Teatro Coppola Cecilia La "Compagnia" di Ciro Ferrigno n. 7/1992 p. 3Termalismo Castagna Raffaele Oltre... Thermalia n. 5/1992 p. 6 Di Castro Tullia Il termalismo n. 2/1992 p. 7 Mancioli Massimo Il patrimonio idrotermale dell'isola d'Ischia n. 5/1992 p. 7 Thermalia 1992 n. 5/1992 p. 4Testi antichi Fonseca Ferdinando - Geologia dell'isola d'Ischia n. 9/1992 p. 38