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IN TEORIA

5 Le sfide del processo di chiusura contabile e il labile confine tra amministrazione e controllo di gestionedi Massimo Negro

METODI E STRUMENTI

12 La due diligence del sistema di controllo per l’ammissione all’AIM Italia di Marco Fazzini

19 Creare un progetto d’impresa in Cina: vantaggi e criticità nella gestione del business di Alessandro Garlassi, Luca Fornaciari, Lorenzo Riccardi e Giorgio Riccardi

26 Il business plan a supporto della creazione delle start up di Pier Luigi Marchini e Barbara Borgato

33 Come misurare le performance della propria supply chain: lo SCOR Modeldi Bruno Stefanutti

SISTEMI INFORMATIVI

44 L’uso delle piattaforme digitali per il controllo della gestione aziendaledi Daniela Mancini, Katia Corsi e Giuseppina Piscitelli

SETTORI DI ATTIVITÀ

52 Lean Strategy System nelle aziende di servizi: il caso Cinquina Trasporti e Servizidi Alessando Bacci, Laura Santoni e Nicola Cinquina

CASE HISTORY

60 Mini-bond, crescita delle PMI e controllo di gestione: il caso Consorzio Agoràdi Maria Pia Maraghini,Tiziano Cetarini, Francesca Rossi e Iacopo Fruganti

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COMITATO SCIENTIFICOMarco AGLIATI – Università L. Bocconi di MilanoLuca BAGNOLI – Università di FirenzeCarmine BIANCHI – Università di PalermoMassimiliano BONACCHI – Università di NapoliParthenopeCristiano BUSCO, Università di Siena;Adele CALDARELLI – Università di Napoli Federico IIMassimo CIAMBOTTI – Università di UrbinoLino CINQUINI – Scuola Superiore S. Anna di PisaPaolo COLLINI – Università di TrentoLuca DEL BENE, Università Politecnica delle Marche;Stefano MARASCA – Università Politecnica delleMarcheKenneth A. MERCHANT – University of MaastrichtAntonella PAOLINI – Università di MacerataAldo PAVAN – Università di CagliariRiccardo SILVI – Università di Bologna-ForlìDavid W. YOUNG – Boston University School ofManagement

REFERAGGIOLa rivista accoglie contributi di ricerca voltial’avanzamento delle conoscenze scientifiche.Tali contributi saranno accettati solo dopo essere statisottoposti ad un processo sistematico di valutazione eaccettazione, noto come double blind rewiew,condiviso dalla comunità scientifica internazionale.Coloro che fossero interessati possono inviare i propricontributi per posta elettronica all’[email protected]

REDAZIONEPaola Boniardi, Elena Rossi, Agnese Trentalance Per informazioni in merito a contributi, articoli edargomenti trattati scrivere o telefonare a:Redazione Controllo di GestioneIPSOACasella Postale 12055 - 20120 Milanotelefono 02.82476.085 - telefax 02.82476.800e-mail: [email protected]

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rivista bimestrale

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Fu più di un sogno quello della chiusura contabile in un solo giorno effettuabile in qualunque momento, in grado di produrre real-time, o quasi, un

reporting package tempestivo e consistente. Un sogno che seppur realizzato durò poco a causa delle scelte regolatorie dopo lo scandolo Enron e per l’entità degli investimenti richiesti. Il virtual close venne meno per come era stato realizzato da Cisto System sul finire degli anni ’90, ma non l’esigenza che era alla base della sua nascita: la disponibilità di informativa di business e societaria in tempi rapidi a supporto delle decisioni del management e degli stakeholder esterni. La sfida è così passata dal virtual al fast close ricercato mediante l’efficientamento delle singole fasi che costituiscono il processo di chiusura. Amministrazione e Controllo di gestione sono attori chiave nell’esecuzione delle fasi di questo processo e un loro coordinamento complessivo è necessario, ottenibile attraverso una chiara definizione ed attribuzione di ruoli e responsabilità.

Il Manifesto della virtual close

Il CFO di Cisco Systems, Larry Carter, nel 2001, annunciava sulla rivista Harward Business Review di aver portato la propria società al raggiungimento di traguardi sino ad allora impensabili e forse non immaginava che quell’articolo sarebbe divenuto una sorta di «manifesto» a cui si sarebbero ispirati moltitudini di CFO e controller.Larry Carter affermava «In molte aziende, possono passare giorni, settimane, o addirittura mesi dal momento in cui la vendita è effettuata o una spesa è sostenuta e il tempo con cui un dipartimento Finance fornisce un report preciso di questi eventi di gestione. Come risultato, i dirigenti, gli addetti alle vendite e i responsabili di produzione devono prendere importanti decisioni giorno per giorno senza la disponibilità di dati aggiornati sulla comprensione concreta dello stato del business. In effetti, i dirigenti devono agire nel buio. Cinque anni fa, abbiamo

deciso di accelerare radicalmente il nostro processo di informativa finanziaria. A quel tempo, Cisco Systems era una società di medie dimensioni alle prese con enormi opportunità di crescita e un mercato di networking in continua evoluzione. La mancanza di informazioni finanziarie affidabili e aggiornate è stato un vero e proprio ostacolo. Ci sono voluti 14 giorni per chiudere i nostri libri, e fino ad allora non potevamo essere esattamente sicuri di dove sorgevano le nostre attività o se eravamo sulla buona strada per raggiungere i nostri obiettivi di fatturato e di profitto. Questo era inaccettabile. Il nostro management, più che di relazioni trimestrali, aveva bisogno di una visione quotidiana.Così il Top Management ha fissato alcuni obiettivi aggressivi: generare il bilancio consolidato in un solo giorno, ridurre i costi di finanziamento della metà e trasformare il modo in cui abbiamo supportato il nostro management. Volevamo passare da essere dei semplici “gestori” di informazioni, ad essere un catalizzatore per il cambiamento in tutta l’organizzazione.Questi obiettivi sono stati senza precedenti, ma sono lieto di dire che abbiamo superato le nostre stesse aspettative. Dopo cinque anni trascorsi nel perfezionare i processi contabili, affinando la qualità dei dati raccolti e aumentando consistentemente la velocità della loro distribuzione, il Top Management finanziario ha ottenuto il “virtual close”. Possiamo letteralmente chiudere i nostri libri in poche ore, produrre il bilancio consolidato il primo giorno lavorativo successivo alla fine di ogni mensile, trimestrale, annuale o periodo di riferimento. Ancora più importante, i manager che hanno bisogno di raggiungere gli obiettivi di vendita, gestire le spese e prendere decisioni operative sulle tattiche quotidiane hanno ora accesso in tempo reale a dati di supporto dettagliati»1.Tale dichiarazione diede vita ad una vera e propria onda lunga di iniziative, che investì tutte le maggiori aziende del pianeta, volte a rendere più efficienti ed efficaci i processi contabili e di controllo, non con l’obiettivo della mera automazione volta alla riduzione dei costi, bensì quale leva per aumentare la profittabilità aziendale rendendo disponibili in tempo reale le informazioni di cui il management

di Massimo NegroConsulente di Direzione Aziendale – Certified Management Consultant APCO. Managing Director Green Apple Team

1 Cfr. Larry Carter «Cisco’s Virtual Close» su Harward Business Review Aprile 2001.

Le sfide deL processo di chiusura contabiLe e iL LabiLe confine tra amministrazione e controLLo di Gestione

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2 In Italia ciò si è realizzato con la Legge n. 262/2005.

necessitava. Onda lunga che continua a far sentire i suoi effetti sino ad oggi e che ha coinvolto anche società di medie dimensioni, seppur con modalità e obiettivi diversi come si vedrà in seguito.In questa incredibile «avventura», iniziata intorno alla metà degli anni ’90, in cui si lanciarono Cisco e, sin dall’inizio, Motorola erano evidenti i segni dei tempi che mutavano. La pressione dei fattori competitivi a cui un’azienda era solitamente sottoposta era aumentata a livelli sino ad allora difficili da prevedere. Entrambe le aziende, operanti nel settore dei servizi e dell’information technology, vedevano i propri mercati investiti da continue “turbolenze” indotte dalle scelte dei competitor già presenti e dai nuovi concorrenti che sempre più frequentemente si affacciavano nel settore. I mercati finanziari in continua crescita rendevano gli investitori finanziari affamati di notizie che fossero tempestive e non datate rispetto al periodo di riferimento. Sull’«altare della tempestività» molte società decisero di sacrificare l’accuratezza dei dati finanziari. Un sacrificio che non significava inattendibilità (dati tempestivi ma inattendibili sarebbero comunque serviti a poco, sia per gli stakeholder interni che esterni), ma un generale allargamento delle maglie accogliendo un maggior numero di dati stimati. Poi accadde l’imprevedibile.

La prematura fine del virtual close

Nel 2002 dopo gli scandali finanziari della Enron e Worldcom il Congresso degli Stati Uniti promulgò la Sarbanes-Oxley Act (SOX) innalzando notevolmente il livello dell’asticella dei controlli interni e dell’accuratezza richiesta per i dati finanziari pubblicati all’esterno. Questo riguardò le società quotate sul mercato USA, ma di lì a poco questa esigenza di maggior tutela dei mercati e degli investitori si estese anche alle maggiori piazze finanziarie del mondo2. Non vi era alcuna connessione tra i processi di virtual close e i comportamenti definiti dalla SOX, ma l’effetto sui processi di chiusura e sui loro tempi di esecuzione, fu sin da subito evidente.Nel 2011 su cfoworld.com venne pubblicato un articolo molto interessante che in modo sintetico ma efficace ha guardato retrospettivamente a quanto accaduto in quegli anni: «Why the Virtual Close Virtually Died». Come riferisce nell’articolo Beth Kaplan, director della società di revisione Deloitte&Touche LLP, il nuovo contesto e ambiente di controllo esterno ed interno ha portato a mettere a fuoco il seguente principio: «ottenere i numeri giusti». La corporate americana non era in vena di correre rischi!

Inoltre dal mondo accademico si iniziò a mettere in discussione l’efficacia del virtual closing, tentennando rispetto ai benefici che Larry Carter aveva descritto nel suo contributo alla rivista Harward Business Review.Nello scenario delineato bisogna affermare che anche Cisco fece la sua parte in negativo in questa storia. Nello stesso anno in cui il CFO decantava il raggiungimento del virtual close e gli incredibili benefici dello stesso anche a supporto dei processi di forecast, quell’anno si chiuse con una perdita di oltre un miliardo di dollari. Colpa del processo di virtual close? Sicuramente no. I processi di chiusura in qualunque modo si svolgano non raccontano il futuro ma i dati del passato. Non scrivono i trend da raggiungere ma quelli che sono stati raggiunti fino al momento della produzione del reporting package. Visioni e strategie sbagliate portano ad errate scelte future. Ma tant’è, visto comunque il mutato clima in cui si trovarono ad operare le società, il virtual close per come era stato delineato da Carter venne messo da parte.

Virtual Close una ardua scelta filosofica e di investimento

Prima di affrontare quelle che furono le successive evoluzioni nella definizione e nella gestione dei processi di chiusura, e per meglio comprenderle, è opportuno specificare meglio cosa sia il virtual close e quelle che sono state le reali cause che hanno portato le società ad accantonarlo. Per quanto «the accuracy is the king», la fame di informazioni in tempi rapidi da parte del management e degli investitori finanziari non poteva comunque essere fermata dalla SOX. Quindi cosa successe realmente, oltre al mutato clima regolotorio?Per rispondere a tale domanda è necessario cercare di dare una definizione di virtual close partendo dal presupposto che non esiste una vera e propria definizione standard.Pertanto, il virtual close è generalmente definito come la capacità di un’organizzazione di chiudere la propria contabilità e fornire i risultati delle proprie prestazioni in tempo reale, o almeno quasi in tempo reale. Avere questa informazione dovrebbe consentire al management di rendere più rapide le decisioni, fornendo un vantaggio competitivo. I vantaggi di avere accesso in tempo reale ai risultati di performance di una società appaiono convincenti, ma tale disponibilità richiede in cambio uno sforzo notevole. La disponibilità di dati in tempo reale significa non una semplice reingegnerizzazione dei processi, bensì la costruzione di un ben definito puzzle di processi contabili e di business tra loro

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perfettamente raccordati e dotati di un altissimo livello di automazione. Tutto ciò non solo per le tipiche poste che un’azienda con un discreto livello di automazione può naturalmente disporre in tempo reale, come possono essere le vendite effettuate nel periodo, o in un preciso momento. Il virtual close investiva tutte le poste del bilancio. Per cui l’automatismo era richiesto per determinare gli accertamenti per i costi sostenuti, ma le cui fatture non erano state ancora registrate, la determinazione di ratei o risconti, i valori di magazzino, le riconciliazioni intercompany, altre poste valutative e altro ancora, il tutto sulla base di algoritmi di calcolo che una società avrebbe dovuto determinare ed implementare sui propri sistemi informativi. Quindi un grande sforzo (investimenti) in termini di organizzazione, processi e soprattutto tecnologia per avere il reporting aggiornato a disposizione in tempo reale semplicemente «premendo un tasto».Uno sforzo comunque difficile da sostenere sia per una società di medie dimensioni sia per una grande multinazionale globalizzata che si trova a gestire una pletora di applicativi con tutti i problemi di interfacciamento e di gestione delle piattaforme sottostanti.La «morte» del virtual close fu causata da ciò che era richiesto per implementarlo e che lo rese infine irrealizzabile.Il grande interesse suscitato dall’articolo di Carter si incominciò a spegnere quando i CFO capirono le implicazioni della sua implementazione. Ben pochi considerarono indispensabile imbarcarsi in un’avventura che nel caso di Cisco era durata circa cinque anni. Ma non fu tutto invano. La filosofia che vi era alla base perdurò anche dopo e la fine del virtual close diede vita ad altri approcci volti a

conseguire gli stessi benefici.

Dal virtual al fast close

La nuova sfida dei CFO, delle strutture amministrative e di controllo, si è così spostata dal disegno e dalla realizzazione di chiusure virtuali alla realizzazione di chiusure fast, cioè veloci. Processi di chiusura che possono contemperare sia le esigenze di tempestività ma anche di accuratezza e, in alcuni casi, di certificabilità dei dati.L’ambito di questi interventi si è così focalizzato sulle fasi chiave del processo end-to-end denominato Record-to-Report, dalla registrazione contabile alla produzione e diffusione del reporting (Tavola 1).L’obiettivo si sposta quindi dalla completa automazione ad una maggiore efficienza ed efficacia delle singole fasi del processo di chiusura, ponendo enfasi, in modo integrato, sui fattori abilitanti di ciascuna fase: organizzazione, processi e sistemi.Cambiano gli strumenti, le tempistiche e l’entità dell’investimento ma i benefici di una chiusura più tempestiva continuano ad essere ben chiari al management di un’azienda. Pertanto le aree su cui iniziative di fast closing possono avere un impatto positivo sono:1) Strategia e Management - Una disponibilità e un accesso più tempestivo alle metriche chiave di controllo sull’andamento del business consente di assumere più velocemente quelle decisioni che possono portare a generare valore per gli stakeholder.2) Organizzazione e Risorse Umane - Riducendo le tempistiche da dedicare alle attività di chiusura gli staff amministrativi e i controller si possono dedicare ad attività a maggiore valore aggiunto anziché

Tavola 1 – Dalle registrazioni contabili ai report

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ridurre le proprie attività al mero controllo, alla raccolta e all’elaborazione dei dati.3) Processi e Principi - La standardizzazione e l’omogeneità di definizione, implementazione ed esecuzione dei processi di business consentono di conseguire significativi risparmi, non solo di tempo.4) Tecnologia e soluzioni applicative - Una standardizzazione delle piattaforme e degli applicativi, in particolare per le aziende di più grandi dimensioni, consente di raggiungere consistenti risultati e spesso un minor ammontare di costi IT da destinare alla manutenzione degli applicativi.5) Soddisfazione degli stakeholder esterni. Un processo di chiusura semplificato ed efficiente, eseguito in un intervallo più breve, consente al CFO di presentare dei report a terzi (ad esempio i finanziatori) con dei risultati più vicini rispetto al termine del periodo oggetto di analisi. Un report presentato o presentabile alla fine del mese successivo rispetto a quello di competenza ha un appeal evidentemente molto basso. Come precedentemente indicato nella Tavola 1 il processo di chiusura si svolge nell’ambito del macro processo di Record-to-Report. Per cui implementare un efficace processo di chiusura significa focalizzarsi sulle leading practices di ciascuna delle fase che compongono il ciclo. Nessuna deve essere esclusa per non rischiare di vanificare o inficiare il raggiungimento del beneficio complessivo.A questo punto della trattazione si delineano brevemente alcune delle tipiche attività che possono essere condotte per rendere più performanti ciascuna delle fasi del processo Record-to-Report, ponendo attenzione su alcuni fattori che possono realmente fare la differenza.Nell’ambito del Record Transactions (registrazioni contabili statutory e managerial) uno degli aspetti che più spesso viene posto in secondo piano è quello organizzativo, mentre ci si focalizza molto su tecnologie e sistemi. Un processo molto efficace ed efficiente, anche dal punto di vista tecnologico, rischia di diventare un pessimo processo se non è adeguatamente supportato da scelte organizzative. Uno dei colli di bottiglia che impattano sulle tempistiche di esecuzione delle scritture di fine periodo è dato dal fatto che molte funzioni amministrative accumulano una gran mole di lavoro proprio negli ultimi giorni dell’anno. In alcuni casi questo può riguardare anche alcune funzioni di business, come può accadere con la certificazione dei servizi svolti dai fornitori o, in minor misura, con i documenti di trasporto da registrare per certificare l’avvenuto ingresso della merce in magazzino. Questa disorganizzazione non solo reca danno al processo di chiusura, con il rischio di non fare in tempo ad accertare tutto il pervenuto\eseguito lanciandosi così in stime valutative non

necessarie, ma inficia anche la produzione di report inframensili. In alcuni casi la partita si gioca al di fuori del campo dell’amministrazione e del controllo, come per gli ordini di acquisto e per il modo in cui sono strutturati. Anche in questo caso un’azione di moral suasion per semplificare l’intero processo si rende necessaria. Da quanto scritto si può evincere come spesso interventi di ottimizzazione del processo di Requisition-to-Pay (comprende le attività che vanno dalla richiesta d’acquisto sino al pagamento della fattura al fornitore) richiedono il più delle volte molta buona volontà e un basso volume di investimenti. In questa fase il ruolo dei controller è fondamentale per supportare le linee di business dalle cui attività si genera circa il 90% delle scritture contabili di una società.Nell’ambito dell’Analyze and Adjust (analisi e adjustment contabili) vi sono due aspetti importanti da considerare, anch’essi guidati più dal buon senso che dall’ammontare degli investimenti in gioco. Il primo aspetto riguarda la materialità degli adjustment che possono essere effettuati entro la fine del periodo contabile oggetto di chiusura. Le normative regolatorie hanno visivamente stretto le maglie di questa fase del processo rispetto alle procedure del passato, molto più basate su processi di semplice stima e di manica più larga. Il guaio è che spesso si nota un’impostazione del processo che va ben oltre le intenzioni del legislatore e della società di certificazione; per ovviare a tale inconveniente si può, concordandoli ove presenti con i revisori, dei «sani» livelli di materialità degli adjustment. L’obiettivo non è perdersi dietro l’accadimento dell’ultima ora che ci sarà sempre considerando che l’azienda è organismo vivo in continua evoluzione. Il secondo punto importante di questa fase riguarda i cicli di allocazione. I cicli sono figli di ciò che si vuol rappresentare negli schemi di reporting e del livello di profondità e numerosità delle dimensioni di analisi che si intende esaminare. Esigenze di reporting sovradimensionate per cui, ad esempio, si vuole determinare l’EBIT per più di un paio di dimensioni di controllo, comporta inevitabilmente un incremento esponenziale della complessità di esecuzione dei cicli, spesso sino a rasentare l’infattibilità, facendo tornare i controller a «riabbracciare» le cartelle dei file excel. La parola d’ordine per i controller è quindi semplificazione e focalizzazione solo sulle dimensioni di controllo rilevanti e correlati margini realmente significativi da controllare, a cui si può attribuire una chiara responsabilità.Nell’ambito del Close and Consolidate, per le società che consolidano, un aspetto molto importante di cui tener conto è l’uniformità del corredo contabile e di controllo nei sistemi contabili alimentanti (è un aspetto in comune con la fase di Record Transactions)

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e il disegno di precise confluenze con il piano dei conti e le dimensioni di controllo di Gruppo. Se questo legame non viene creato, o è difficile da gestire, il risultato è lo svolgimento di numerose e a volte complesse operazioni di riallineamenti manuali da condurre a livello di consolidato al fine di raccordare scientemente i numeri. Questa attenzione alla corretta alimentazione del sistema di consolidamento si accompagna ad una più che auspicabile gestione centralizzata delle anagrafiche impattate. Un secondo aspetto particolarmente rilevante e tipicamente molto time consuming sono le riconciliazioni intercompany. Qui il processo di ottimizzazione parte dalle origini sui sistemi transazionali e di business. Avere la possibilità di implementare della funzionalità di workflow cross societarie automatizza durante le normali procedure di emissione degli OdA \ OdV, la rilevazione delle uscite\entrate merci e, infine la registrazione delle fatture passive\attive. In questo modo l’amministrazione nell’ambito del processo di chiusura può porre attenzione solo alle reali eccezioni e non, ad esempio, alla fattura che è rimasta sospesa in attesa di registrazione su qualche scrivania.Per quanto concerne le ultime fasi del ciclo, la produzione del Financial Reporting e Management Reporting, le soluzioni di mercato sono innumerevoli sia per le piccole imprese che per i grandi Gruppi. Questo non significa che la «battaglia» per la produzione del reporting su file excel sia completamente vinta. Un aspetto molto importante da considerare, che porta a trattare le due tipologie di reporting nello stesso punto, è l’avvento della “unicità delle chiusure contabili”. L’evolversi della normativa e dei principi contabili nazionali e internazionali ha fatto si che quella che una volta era da considerare una distanza siderale tra chiusure amministrative e chiusure ai fini del controlling e del management reporting, sia venuta progressivamente ad annullarsi. Il modo più efficiente per procedere ad effettuare un processo di chiusura è quello di renderlo unico sia ai fini statutory che ai fini gestionali. Questo significa che il dato che viene prodotto dai sistemi transazionali e contabili è unico, mentre ciò che può differire è solo la sua rappresentazione in schemi di bilancio differenti. Oltre al fast close degno di nota è il soft close cioè una chiusura in cui il management decide di non eseguire il massimo dettaglio delle attività previste nel calendario di chiusura, ponendo attenzione solo sulle poste di bilancio più rappresentative dell’andamento del business. Questa modalità di chiusura riguarda tipicamente le chiusure mensili, mentre per quelle trimestrali, semestrali e annuali il livello di dettaglio, completezza e accuratezza del dato deve essere mantenuto elevato. Questo

avviene tipicamente per le società quotate. Per le società di dimensioni più ridotte e non operanti sui mercati finanziari, il metodo del soft close può essere esteso anche ad altre chiusure come quelle trimestrali.

I principali ostacoli per l’adozione del fast closing

Nelle pagine precedenti sono stati indicati alcuni accorgimenti e scelte manageriali per procedere su un percorso di fast closing, basati sul buon senso e con livelli di impegno per alcuni di essi non eccessivi. Questo non significa che l’attuazione di una tempistica di chiusura breve sia una «passeggiata» per un’azienda. La variabile chiave per definire la complessità di una iniziativa di questo tipo risiede nella valutazione della situazione iniziale del gruppo e\o della singola società.Da una ricerca condotta nel 2013 dall’Institute of Finance and Management si evince che le sfide da affrontate (si veda Tavola 2) non sono poche e rendono il processo di chiusura, considerando la sua pervasività, uno tra i processi aziendali più complessi da ottimizzare.Come si può notare dalla Tavola 2, la principale sfida è la limitazione dei sistemi che spesso si sostanzia in una limitata integrazione tra processi di business e processi amministrativi e di controllo.La gestione dei processi intercompany, spesso non lineare e\o non tempestiva nelle sue rilevazioni di business e contabili rappresenta la seconda sfida da affrontare; una sfida che obbliga l’amministrazione a dover impiegare giornate a cercare il documento che fa «squadrare» il dato da elidere. Procedure non stardard, ruoli e responsabilità non chiari e al tempo stesso l’uso di template non standard per la raccolta

Tavola 2 – Le principali sfide del processo di chiusura (risultati questionario 2013)

Fonte: Institute of Finance & Management (IoFM). 2013 Financial Closing Best Practices survey

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dei dati, sono fonte di un numero notevole di attività a scarso valore aggiunto o duplicate. In realtà basterebbe solo la buona volontà e un minimo di capacità organizzativa e procedurale nell’impostare correttamente le attività del processo e renderle uniformi e ripetitive in quanto a metodologia. Il tema delle troppe allocazioni era stato già in precedenza menzionato tra le possibili iniziative di semplificazione da avviare. È un tema ricorrente che si ripropone da anni ma che continua a non essere affrontato. I troppi accertamenti sono spesso frutto di due diversi possibili punti di attenzione: il primo può essere generato da una non corretta integrazione tra i processi di business e quelli amministrativi e di controllo; il secondo dalla ricerca del «numero perfetto» da inserire in bilancio, difficilmente perseguibile in tempi brevi nelle chiusure infra annuali.Se si dovessero considerare i risultati di una qualsiasi survey realizzata cinque o anche più anni fa, si leggerebbero gli stessi risultati.Perché non si affrontano una buona volta?Perché c’è un fraintendimento di base riguardo il processo di chiusura che spesso si ritiene che abbia una significato meramente contabile dimenticando la sua valenza e pervasività anche nel campo del business, dell’organizzazione e dei sistemi (non solo quelli di reporting).

Amministrazione e Controllo di Gestione: due ruoli diversi per uno stesso fine

Nei paragrafi precedenti Amministrazione e Controllo di Gestione sono stati più volte menzionati con riferimento alle iniziative che possono essere intraprese in relazione alle singole fasi del processo Record-to-Report. È ora il caso di delineare in modo organico come queste due funzioni possono tra loro interagire sia prima che durante il processo di chiusura e produzione del reporting. Si tratta di due funzioni aziendali delineate da un confine, in alcune realtà, molto labile ma necessario da tracciare per evitare overlapping nei controlli e nell’esecuzione delle attività.

Definizione del modello contabile e di controllo

La logica di una contabilità generale completamente e tecnicamente distaccata dalla contabilità analitica appartiene ormai al passato. Qualunque accadimento aziendale contabilmente importante viene rilevato una volta ed una volta sola con tutto il corredo informativo necessario per la produzione del bilancio e degli schemi di reporting gestionale.

Ecco perché la definizione degli elementi che compongono il modello contabile e di controllo deve essere effettuato sapendo gestire con giudizio la compresenza di entrambe le funzioni. L’obiettivo è l’unicità della base dati.

Definizione del modello di reporting

Se le esigenze di carattere normativo sono tendenzialmente ben chiare e in mano all’amministrazione, il management reporting package è squisitamente un prodotto del controllo di gestione e spetta a lui, in accordo con il CFO, definirlo.

Predisposizione del calendario di chiusura e monitoraggio

In questa attività particolarmente sensibile il ruolo principale viene svolto dall’Amministrazione. Spetta ad essa la redazione del calendario in cui sono indicate nel dettaglio tutte le attività che devono essere svolte, con che tempistiche ed entro quando devono essere effettuate, eventuali interdipendenze, chi sono i responsabili e i sistemi a supporto. È l’amministrazione che deve provvedere alla sua divulgazione presso tutte le direzioni aziendali, monitorando l’esecuzione delle attività previste, tenendo traccia delle eventuali eccezioni. Nella preparazione del calendario, il Controllo di Gestione deve assicurare l’Amministrazione riguardo la percorribilità dei tempi di chiusura che si intende perseguire e, in particolare, fornire un’analisi di sensitività riguardo la materialità dei possibili valori e\o eventi oggetto di stime.

Governo degli eventi pre-closing

Un calendario di chiusura non inizia l’ultimo giorno del mese o del trimestre. Le attività possono partire con un certo anticipo in quanto non sono poche le attività preparatorie che devono essere svolte. Basti pensare alla gestione degli investimenti, al processo di raccolta dei dati e di preparazione alle operazioni di capitalizzazione. Poi vi sono le poste tipicamente stimate ma che richiedono la raccolta di informazioni necessarie per dare sostanza e accuratezza al valore prodotto. Nelle attività di pre-closing il ruolo del Controllo di Gestione è indubbiamente rilevante dovendo essere a fianco delle direzioni di business dove si originano gli eventi aventi valenza contabile e di controllo. L’impegno dell’Amministrazione è più delimitato all’organizzazione delle attività puramente contabili \valutative (come ad esempio i rapporti finanziari). Nelle attività di pre-closing è corretto inoltre elencare la ricerca di una distribuzione degli eventi nel corso del mese, in

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modo da evitare una loro concentrazione a fine periodo.

Esecuzione del processo di chiusura

Il Controllo di Gestione non risulta essere solo di supporto alle linee di business o all’Amministrazione durante il processo di chiusura, ma è anche responsabile di proprie attività indicate nel calendario che è chiamato a svolgere. Tra queste vi sono la preparazione ed esecuzione dei cicli di allocazione. Per quanto concerne l’Amministrazione il suo ruolo nell’esecuzione delle attività è assolutamente preponderante. Spetta inoltre all’Amministrazione procedere alla chiusura del processo di chiusura e alla sottomissione dei dati ai sistemi di consolidato, nel caso di Gruppo.

Produzione del reporting

Di fronte a questa funzione le strade per certi versi si dividono per quanto vi siano delle teorie che prefigurano la creazione di un unico ufficio con funzioni di produzione della reportistica sia statutory che manageriale. Ma data l’articolazione e la varietà del reporting gestionale questa teoria rappresenta una strada difficilmente praticabile, a meno di non prevederla solo per un set di report manageriali ben definito e ripetitivo. Per quanto si voglia far mantenere focalizzato il Controllo di Gestione sull’analisi e sulla valutazione dei dati anziché su attività «materiali» di produzione, resta comunque

un’area di sua esclusiva pertinenza difficilmente declinabile ad altre funzioni.

Conclusioni

Dove è fissata l’asticella ora? Tramontato il mito del virtual close le società con il passare degli anni e con l’aumentare della pressione competitiva non hanno mai smesso di puntare ad efficientare il processo di chiusura. Tutt’oggi sono diverse le iniziative in corso, e in numerose società i tempi di chiusura sono sicuramente migliorabili, considerando che possono giungere anche oltre il 14esimo 15esimo giorno lavorativo successivo a quello del periodo di competenza.Le numerose società che hanno intrapreso, anche da tempo, questa strada hanno raggiunto risultati lusinghieri che, anche se non saranno equiparabili alla sola giornata di chiusura di Cisco, consentono loro di produrre il reporting consolidato anche il quinto giorno lavorativo successivo al periodo di competenza.Il processo di fast closing altro non è che una sorta di master process dei principali processi aziendali. Per cui l’ottimizzazione dei processi di chiusura e di produzione del reporting altro non sono che un volano per incrementare l’efficacia dei processi di business e renderli più efficienti focalizzando le risorse ove vi è la possibilità di produrre valore, mettendo da parte o per lo meno cercando di ridurle, le attività a basso valore aggiunto.

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In via propedeutica all’ammissione all’AIM Italia, il Nomad è chiamato a effettuare una due diligence della società: uno dei principali ambiti di indagine

è rappresentato dal sistema di controllo di gestione, la cui adeguatezza deve essere rapportata alle caratteristiche del business, alle specificità dell’impresa e all’attitudine a fornire un attendibile feedback delle dinamiche aziendali. Una check list sintetizza infine le verifiche finalizzate ad accertare i requisiti necessari per l’ammissione, nonché il set minimo di indicatori di performance.

Premessa

L’ammissione all’Alternative Investment Market Italia (AIM) richiede una procedura semplificata rispetto a quella disposta per la quotazione sul Mercato Telematico Azionario (MTA). Cionondimeno è prevista un’approfondita attività di due diligence, effettuata da un soggetto esterno (Nomad – Nominated Adviser), che coinvolge vari ambiti della gestione, ivi compreso il sistema di controllo.Traendo spunto dal «Regolamento Emittenti», dal «Regolamento Nomad» e dalla «Guida al sistema di controllo di gestione» di Borsa Italiana, sono prese in esame le principali verifiche che, in sede di due diligence, devono essere espletate dal Nomad ai fini di accertare i requisiti per l’ammissione, con particolare riferimento alle tematiche del controllo.

L’AIM Italia e il ruolo del Nomad

In via preliminare, è opportuno ricordare che AIM Italia è il mercato alternativo di capitali gestito da Borsa Italiana al fine di offrire alle piccole e medie imprese la possibilità di accedere in modo efficiente ad una platea selezionata di investitori focalizzati sulle small&medium caps. Il principale vantaggio dell’AIM è costituito dalla flessibilità, che consente un accesso più semplice, più rapido e a costi inferiori rispetto al MTA. Infatti, ai fini dell’ammissione:

a) non è prevista alcuna capitalizzazione minima, a fronte dei 40 milioni di Euro richiesti per l’MTA; b) il flottante deve essere almeno pari al 10%, a fronte del 25% sull’MTA; c) non esiste un numero di anni minimi di esistenza della società, a fronte dei tre anni imposti per l’MTA; d) non è pretesa una struttura di governo societario specifica, in luogo del Codice di Autodisciplina Consob previsto per l’MTA.A livello procedurale sono richiesti soltanto una comunicazione di pre-ammissione e un documento di ammissione; inoltre, è possibile ottenere l’ammissione alle negoziazioni dopo 10 giorni dalla presentazione della comunicazione di pre-ammissione. L’approvazione del prospetto informativo da parte di Consob è obbligatoria soltanto in presenza di offerta al pubblico.La particolarità principale è che la procedura di quotazione è condotta da un Nominated Adviser (Nomad), che rimane a fianco della società anche nelle fasi successive; egli è incaricato di valutare l’appropriatezza della società ai fini dell’ammissione al mercato e, a tal fine, è tenuto a predisporre la due diligence preliminare.Secondo il «Regolamento Nomad» (aggiornato a settembre 2014), il soggetto che richiede la qualifica di Nominated Adviser deve comprovare la sussistenza di specifici requisiti e dare evidenza di un’adeguata competenza tecnica in corporate finance e in pratiche di mercato.Il Nomad rappresenta il punto di riferimento sia per la società emittente nell’espletamento di tutti gli obblighi regolamentari, che per Borsa Italiana nell’ambito delle attività di gestione del mercato, assumendo così il ruolo di «garante».Secondo il Regolamento, i compiti principali del Nomad sono così sintetizzabili:– effettuare una due diligence adeguata sull’emittente, al fine di poter dichiarare che la società dispone dei requisiti per essere ammessa su AIM Italia; – gestire il processo di quotazione, coordinando il team di consulenti coinvolti, definendo la tempistica e guidando la predisposizione del documento di ammissione;

di Marco Fazzini Professore straordinario di Economia Aziendale Università Europea di Roma

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– una volta ammessa, assistere e guidare la società nell’assolvimento dei compiti e delle responsabilità derivanti dai Regolamenti AIM Italia, verificando in via preventiva i comunicati che la società ha intenzione di diffondere presso il pubblico, monitorando l’attività di negoziazione al fine di controllare le variazioni di prezzo e volumi.

La due diligence ai fini dell’ammissione

Nella fase iniziale del processo di ammissione, come detto, il Nomad è chiamato a svolgere una due diligence, che è propedeutica al rilascio della dichiarazione di appropriatezza. La tempistica del processo di quotazione è dunque influenzata dalla durata dell’attività di due diligence, la cui fluidità, a sua volta, è condizionata dalle caratteristiche della società e dal livello di compliance alle norme che disciplinano l’AIM Italia. Il Nomad, nello svolgimento della due diligence, deve operare avendo come obiettivo primario quello di salvaguardare l’equilibrio e il funzionamento di AIM Italia e degli investitori. Il Regolamento fornisce le linee guide che devono essere rispettate nella due diligence finanziaria, nella business due diligence, nella due diligence fiscale e due diligence legale. L’approfondimento sul sistema di controllo rientra nella business due diligence, che si sostanzia in un’analisi dell’emittente e del proprio gruppo, del mercato di riferimento, del posizionamento competitivo e della strategia, nonché del business model.Gli ambiti su cui il Nomad è tenuto a focalizzare l’attenzione sono riportati nella Tavola1. Si tratta, in buona sostanza, di verifiche atte ad acquisire un adeguato feedback sull’impresa e sul sistema di pianificazione, gestione e controllo ad essa associato.

L’analisi del business

Come è evidenziato nella guida alla quotazione su AIM Italia «spesso un imprenditore, generalmente non abituato al confronto con il mercato borsistico, tende ad essere troppo tecnico nella descrizione della propria attività e a non seguire dei ‘canoni comunicativi’ tipicamente utilizzati dalla comunità finanziaria, vale a dire dai diversi soggetti coinvolti nel processo di quotazione (advisor finanziario, Nomad, consulenti legali, ecc.), nonché dagli analisti e dagli investitori. Ciò potrebbe tradursi in un non adeguato apprezzamento della società, anche sotto il profilo del valore che essa può esprimere».Per questa ragione occorre fornire una rappresentazione del business secondo modalità allineate alle practices più diffuse, al fine di consentire agli investitori un sintetico, ma esaustivo, inquadramento delle attività societarie. Le variabili

da considerare sono rappresentate da:– le business unit, ovvero le aree di business in cui opera la società; – l’area geografica (ad esempio: Italia, Europa, Estero, Mid-East, Far East); – il canale distributivo (ad esempio: diretto, GDO, franchising); – clientela (ad esempio: B2C, B2B, privati, retail, PMI).Nella Tavola 2 è fornita una possibile rappresentazione, ipotizzando un’impresa che opera nel business delle energie alternative (elaborazione di Borsa Italiana).È compito del Nomad accertare la corretta rappresentazione «degli elementi distintivi del proprio business, attraverso i quali (l’impresa - N.d.A.) riesce a competere con successo nel contesto competitivo di riferimento (...)», verificando al contempo che il sistema di controllo sia appropriato rispetto alle caratteristiche della società. Ad esempio, se l’impresa è articolata in business unit, come nell’esempio testé riportato, il sistema di cost accounting dovrebbe essere impostato secondo la medesima articolazione, così da fornire dati e metriche che permettano di apprezzare le performance delle singole aree di affari.

Tavola 2 – La rappresentazione del business

Tavola 1 – Gli ambiti della business due diligence

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Ancora più nel dettaglio, è richiesto di fornire una rappresentazione del modello di business, al fine di riscontrare le attività che compongono la catena del valore, nonché l’adeguatezza del sistema di reporting nel fornire una sintesi attendibile delle dinamiche gestionali. Nella Tavola 3 è riportata una possibile esemplificazione, sempre prendendo a riferimento un’impresa che opera nel business delle energie alternative (elaborazione di Borsa Italiana):

Il settore e il posizionamento competitivo

L’esame del settore e del posizionamento competitivo consente al Nomad di verificare la qualità delle scelte manageriali e di riconoscere eventuali gap competitivi rispetto ai principali concorrenti. La Guida di Borsa Italiana, rileva correttamente che «l’analisi del sistema competitivo trova in letteratura svariati framework applicativi: le 5 forze di Porter, piuttosto che la SWOT analysis o il modello Struttura-Condotta-Performance sono tool d’analisi ampiamente riconosciuti e diffusi tra i principali attori della comunità finanziaria». Tuttavia, con una buona dose di realismo, aggiunge che «non è intenzione della guida persuadere l’imprenditore all’utilizzo di uno dei sopramenzionati strumenti che, seppur efficaci, possono apparire lontani dall’ottica pragmatica di chi guida il business di una piccola-media impresa. Quello che si vuole sottolineare è la necessità di predisporre un’analisi che si concentri almeno sulla domanda del mercato

di riferimento e sui principali competitor».L’esame del settore deve avvenire in relazione ai seguenti aspetti: – caratteristiche attuali della combinazione prodotto/mercato/tecnologia;– cambiamenti in atto che potrebbero introdurre cambiamenti significativi di tipo legale, regolamentare, tecnologico;– barriere all’entrata;– limiti a cogliere alternative strategiche;– comportamento della domanda;– rischi legati a prodotti/servizi sostitutivi.Il focus sui competitor deve consentire di confrontare:– i vantaggi competitivi;– le quote di mercato articolate per Strategic Business Unit;– i dati economico-finanziari;– i modelli di business;– la capacità di risposta alle sollecitazioni;– il portafoglio clienti;– i brands.Tutte queste informazioni, ai fini del controllo di gestione, sono essenziali per la formalizzazione dei budget e dei piani industriali, nonché per il settaggio del sistema di reporting, soprattutto se articolato in un’ottica Balanced Scorecard.

La strategia

Nella Guida di Borsa Italiana è opportunamente rilevato che «molte piccole e medie imprese, pur

Tavola 3 – Il modello di business

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perseguendo delle valide strategie competitive, non hanno l’abitudine di formalizzare e comunicare all’esterno la propria strategia». Pertanto l’imprenditore, anche con l’eventuale aiuto di un advisor, dovrebbe «acquisire consapevolezza sull’importanza di descrivere in modo esaustivo le proprie scelte strategiche a supporto della richiesta di risorse finanziarie tipicamente rivolta agli investitori in occasione di un processo di quotazione in Borsa. Lo sforzo che verrà compiuto in questa fase sarà poi di grande utilità nel corso del collocamento per costruire la cosiddetta equity story, ovvero il profilo della società emittente che verrà presentato agli investitori al fine di indurli ad aderire all’offerta delle azioni che accompagna la quotazione su AIM Italia».Naturalmente l’articolazione delle strategie deve essere coerente con la descrizione del business e gli obiettivi devono essere evidenziati, oltre che a livello corporate, anche per ogni Strategic Business Unit e, all’interno di queste, per le altre dimensioni d’analisi rilevanti (clienti, canali distributivi, ambito geografico e prodotti/servizi). Al Nomad è affidato il compito di approfondire la compatibilità tra modello di business, posizionamento competitivo e strategie (implementate e da attuare), al fine di formare un giudizio sulla possibile evoluzione delle dinamiche gestionali.Nella Tavola 4 è fornita un’esemplificazione di strategie volte a sostenere un percorso di crescita del valore (elaborazione di Borsa Italiana). Come si può osservare, per ogni strategia è definito un set di azioni e l’impatto che esse producono su alcuni Key Performance Indicator (KPI) ritenuti significativi nella prospettiva adottata.

Le informazioni finanziarie

Al Nomad, anche per il tramite di professionisti a ciò delegati, è richiesto di esaminare i dati contenuti nei financial statements passati e di accertare la loro compatibilità con i risultati che emergono dal sistema di pianificazione e controllo, soprattutto ai fini di testare i presupposti che stanno alla base del piano industriale.Infatti, come rilevato nella Guida di Borsa Italiana «i dati finanziari prospettici meritano grande attenzione nell’ambito delle informazioni finanziarie da predisporre nel corso del processo di preparazione alla quotazione, in quanto rappresentano le aspettative del top management della società emittente in termini di creazione di valore per i successivi esercizi e, dunque, la base quantitativa utilizzata per definire, insieme agli advisor, i principali messaggi (in genere di carattere qualitativo) che saranno veicolati al mercato durante il confronto con gli analisti e gli investitori».Il Nomad, nel corso del processo di due diligence, è pertanto tenuto a rilasciare una dichiarazione di

adeguatezza del piano, una volta appurate:– l’omogeneità tra le informazioni qualitative e le proiezioni economico-finanziarie, con riferimento sia alle variabili macroeconomiche, che a quelle microeconomiche; – l’uniformità con i dati storici e l’individuazione di adeguate motivazioni a supporto dei cambiamenti più significativi; – il grado di dettaglio con cui le informazioni sono articolate, al fine di comprendere la possibile evoluzione delle dinamiche economico-finanziarie (per area geografiche, per unità di business, ecc.); – l’esistenza di un adeguato equilibrio finanziario, attraverso l’esame dell’evoluzione dei flussi di cassa.L’intensità degli approfondimenti è legata a varie circostanze, quali:– la stabilità del business;– gli interventi previsti sul fronte degli investimenti e del capitale circolante;– il grado di leva finanziaria;– la marginalità operativa;– l’attendibilità del sistema di controllo di gestione.

Il controllo di gestione

Nel 2011 Borsa Italiana ha realizzato un’apposita «Guida al Sistema di Controllo di Gestione», cui è fatto puntuale riferimento in questa sede, al fine di sintetizzare le verifiche che il Nomad è tenuto a compiere in tale ambito.Il Sistema di Controllo di Gestione (SGC) ha il compito di «rendere disponibili tutte le informazioni rilevanti per svolgere in modo efficace le attività di pianificazione e controllo» e deve stimolare al raggiungimento dei seguenti obiettivi:– una corretta definizione degli scenari futuri a supporto delle decisioni strategiche e dei piani previsionali; – la coerenza tra strategia e azione e l’allineamento

Tavola 4 – Strategie, azioni e misure di performance

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dell’organizzazione aziendale alla strategia di impresa; – una corretta valutazione della performance attuale, intesa come raggiungimento degli obiettivi aziendali, in rapporto agli andamenti storici e alle aspettative di budget; – la possibilità di decidere con tempestività le necessarie azioni correttive, in rapporto agli obiettivi che si stanno perseguendo e alle azioni che si era deciso di intraprendere; – infine, una corretta ed esaustiva comunicazione aziendale rivolta all’esterno (mercato finanziario, stakeholders, istituzioni e organismi di controllo, media) secondo i tempi e le modalità richieste dalla normativa in vigore e dal mercato finanziario.

Caratteristiche del sistema di controllo di gestione

L’efficacia di un sistema di controllo di gestione (SCG), secondo la Guida di Borsa Italiana, passa attraverso i seguenti requisiti qualitativi:– formalizzazione: un sistema di controllo di gestione, a causa dell’elevato numero di dati che deve recepire ed elaborare, necessita di un certo livello di standardizzazione. Esso può essere raggiunto grazie alla formalizzazione delle procedure, dei processi, dei criteri di raccolta e di organizzazione delle informazioni (reporting) e delle azioni correttive da intraprendere per la risoluzione delle criticità; – struttura del sistema: il SCG deve essere coerente con il business dell’impresa e costruito secondo una «logica sartoriale», che tenga conto della struttura organizzativa e dei differenti livelli di responsabilità; – diffusione delle informazioni: il SCG deve identificare chiaramente destinatari e utilizzatori del sistema nel suo complesso e dei singoli report generati, specificando il tipo d’informazione destinata a ogni utilizzatore e la gerarchia delle informazioni; – frequenza e tempestività del reporting: il SCG deve essere impostato e strutturato in modo da garantire adeguati livelli di frequenza, corrispondente al numero di report prodotti nell’unità di tempo, e di tempestività, corrispondente al tempo intercorrente fra il verificarsi di un evento aziendale significativo e la sua rappresentazione in forma di report; – integrazione con i sistemi informativi e informatici dell’azienda: nel valutare l’appropriatezza del SCG è indispensabile verificare che le informazioni incluse nei report e utilizzate nel processo di pianificazione siano estensivamente supportate da adeguati sistemi informativi, al fine di riconciliare con regolarità e semplicità ciascuna informazione; – capacità evolutiva: il SCG è per sua stessa natura

soggetto ad un processo in continua evoluzione. Poiché è tenuto a fornire al management le informazioni utili per il governo dell’azienda, esso deve essere in grado di recepire prontamente la necessità di soddisfare i nuovi fabbisogni informativi, migliorando la misurabilità di alcuni fenomeni e includendone di nuovi.

Il modello di pianificazione e controllo

Il modello di pianificazione e controllo deve consentire la selezione e l’organizzazione delle informazioni, tenendo conto della struttura organizzativa e gestionale della società, al fine di assicurare l’allineamento tra strategia, obiettivi attesi e azioni da porre in essere.Un primo livello di disaggregazione può essere rappresentato dalle Strategic Business Unit (SBU), per ciascuna delle quali è opportuno identificare i Key Performance Indicator (KPI) e il relativo profilo di rischio. Ulteriori dimensioni d’analisi possono essere riconducibili ai seguenti aggregati: – area geografica;– canale distributivo;– clienti della società;– tipologia di prodotti/servizi/brand;– progetti.A seconda delle necessità, è possibile integrare tali dimensioni, al fine di acquisire indicazioni adeguate rispetto al fabbisogno informativo.

Gli strumenti tecnico-contabili

L’analisi effettuata dal Nomad non può prescindere da una verifica degli strumenti tecnico-contabili, che devono includere: – un sistema di accounting che integri la contabilità generale e quella industriale; – un sistema di reporting che sintetizzi le principali informazioni (eventualmente classificandole in aderenza ad una logica di Balanced Scorecard); – un sistema di budgeting, che consenta un’adeguata pianificazione economico-finanziaria.

La check list di valutazione del SCG

La guida elaborata da Borsa Italiana sul SCG include anche una check list di autovalutazione, che - per quanto pensata per l’MTA - può essere utilizzata anche dal Nomad per lo svolgimento delle proprie attività di due diligence.Per quanto attiene ai requisiti del sistema di controllo di gestione:– esiste un’adeguata formalizzazione delle

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procedure, dei sistemi di planning & reporting e delle azioni correttive da intraprendere? – Esiste coerenza tra il modello di business adottato e il modello di pianificazione e controllo implementato presso la società? – Qual è il livello di coerenza tra la struttura organizzativa della società e le Strategic Business Unit? – Ogni report è sempre riconducibile ad almeno un destinatario con idonea responsabilità e capacità decisionale?– La produzione delle informazioni e dei report è sufficientemente tempestiva per la rilevazione dei fenomeni significativi e per consentire l’adozione di azioni correttive?– La frequenza di produzione dei report è adeguata al tipo di attività svolta, alla natura dei Fattori Critici di Successo (FCS) e dei business risk identificati e alla loro variabilità? – I dati ottenuti dai sistemi di contabilità analitica e industriale e dai sistemi di pianificazione e reporting: sono coerenti e riconciliabili fra loro? Sono coerenti e riconciliabili rispetto ai dati consuntivi prodotti dal sistema di contabilità generale, anche per quanto riguarda i principi contabili adottati?– È stata valutata la capacità evolutiva del Sistema in rapporto ai piani di sviluppo previsionali? In particolare: l’organizzazione e le competenze dell’area Amministrazione, Finanza e Controllo e dell’area Sistemi Informativi risultano adeguate rispetto allo sviluppo del business ipotizzato nei piani previsionali? Il sistema informativo è in grado di supportare l’introduzione di report nuovi e diversificati? Per quanto attiene ai requisiti ai fini dell’ammissione:– il modello di pianificazione e controllo è impostato per SBU e dimensioni di analisi rilevanti? – Le dimensioni di analisi sono effettivamente adeguate rispetto alla tipologia di business, alla complessità organizzativa e alle specificità del fabbisogno informativo del management? – Il modello di pianificazione e controllo adottato è coerente con la rappresentazione dei settori operativi effettuata nel bilancio, con riferimento all’informativa richiesta dall’IFRS 8 «Segment Information»? – È presente un sistema contabile che integri contabilità generale, analitica e industriale, nonché un adeguato sistema di pianificazione finanziaria e tesoreria? – Vi è sostanziale coerenza tra il sistema di pianificazione e il sistema di reporting con riferimento a dimensioni di analisi, indicatori finanziari e KPI? – Il sistema di reporting è in grado di produrre, oltre alla reportistica obbligatoria, Conto Economico, Stato Patrimoniale e Rendiconto Finanziario

consolidati riclassificati in ottica finanziaria con frequenza almeno trimestrale? – Il sistema di reporting corporate permette di monitorare almeno gli indicatori principali con la frequenza richiesta? – La società ha individuato, per ciascuna delle SBU, i principali fattori critici di successo relativi al proprio business e al settore in cui opera? – Sono adeguatamente monitorati e formalizzati i KPI relativi ai fattori critici di successo? – La società ha adottato una gestione organica dei rischi la cui manifestazione può precludere all’azienda il raggiungimento degli obiettivi strategici e compromettere di conseguenza la continuità aziendale? – Sono adeguatamente monitorati i business risk? – Ci sono altre informazioni, rilevanti per la gestione, non prodotte dal Sistema e quale rischio comporta il mancato monitoraggio? – Qual è il grado di integrazione fra i diversi sistemi informativi aziendali? – La società è dotata di un livello di integrazione adeguato? In particolare, sono presenti una o più applicazioni strutturate di financial consolidation, analisi e reporting nonché di profitability analysis che consentano perlomeno la produzione automatizzata della reportistica obbligatoria, del Conto Economico, Stato Patrimoniale e Rendiconto Finanziario consolidati riclassificati in ottica finanziaria e di ricavi e margini per SBU?Gli indicatori di reporting minimali da utilizzare a livello corporate sono i seguenti:– ricavi consolidati rilevati mensilmente, suddivisi per SBU e dimensione d’analisi rilevante; – marginalità consolidata (considerando almeno i costi diretti e i costi indiretti specifici) monitorata trimestralmente, ripartita per SBU e dimensione d’analisi rilevante; – giorni magazzino, giorni clienti, giorni fornitori, ageing di crediti e debiti, perdite su crediti rilevati con frequenza almeno trimestrale; – posizione finanziaria netta consolidata rilevata mensilmente; – affidamenti utilizzati e disponibili con frequenza mensile; – rispetto di eventuali covenant sul debito monitorato alle scadenze definite; – fair value degli strumenti derivati in portafoglio monitorato almeno trimestralmente; – gestione del rischio di cambio monitorata mensilmente.Si riportano, infine, alcuni indicatori di reporting da utilizzare a livello SBU, in relazione a differenti tipologie di business:1) le società operanti nella grande distribuzione dovranno monitorare adeguatamente il risultato per singolo punto vendita, che comporta ad esempio:

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– l’analisi del fatturato e del margine commerciale per punto vendita; – l’analisi della resa, ossia del fatturato per metro quadro/lineare; – l’analisi degli scontrini (numero, pezzi, valore medio); – l’analisi dell’incidenza dei costi fissi di gestione del punto vendita, correlati ad esempio al presidio (metri quadri per dipendente) e all’affitto negoziato; – l’analisi della spesa per investimenti per punto vendita; 2) nel caso di società che operano su commessa è indispensabile un monitoraggio tempestivo del portafoglio ordini e dei risultati della singola commessa. In questo caso, tra i KPI di maggiore importanza si ricordano: – il portafoglio ordini; – il coefficiente di successo (percentuale di gare vinte sul totale partecipate) per le diverse tipologie di commesse; – l’andamento delle offerte fatte per ordini da acquisire; – la marginalità per singola commessa; – lo stato di avanzamento lavori; – il monitoraggio degli acconti ricevuti; – il monitoraggio dei claim; – l’analisi delle varianti di commessa e delle varianze rispetto al pianificato; 3) per società che producono «in serie» per il magazzino tra gli indicatori chiave si segnalano: – la quota di mercato per area geografica e canale distributivo; – il fatturato e la marginalità per area geografica; – il fatturato e la marginalità per canale distributivo; – il numero di venditori/agenti/distributori; – il fatturato per venditore/agente/distributore; – il monitoraggio del magazzino.

La struttura del gruppo

La Guida di Borsa Italiana osserva che «la definizione della struttura del gruppo che si intende portare sul mercato e, conseguentemente, la scelta delle società da includere nel perimetro consolidato, costituiscono un passaggio indispensabile dell’attività di preparazione alla quotazione. Questi aspetti diventano tanto più delicati quanto più sono diversificate le attività che l’imprenditore conduce e quanto più è complessa l’articolazione del suo gruppo (in termini di numero di società, di localizzazione geografica e di numero di livelli societari esistenti tra l’holding di controllo e le diverse partecipate operative)».Il Nomad, nello specifico, è tenuto a esprimersi sulla congruità degli assetti, sull’omogeneità e l’integrazione dei business e sui rapporti con parti correlate. In relazione a quest’ultimo aspetto, delicato sotto molteplici profili, il Nomad dovrebbe

prestare specifica attenzione alla gestione della tesoreria, ai rapporti commerciali infragruppo, all’utilizzo condiviso di risorse intangibili.La struttura e l’articolazione di un gruppo influiscono sul sistema di controllo, in quanto una parte delle dinamiche gestionali non si svolge all’interno dei confini della singola impresa, ma può realizzarsi in modo trasversale a più società; le informazioni derivanti dai tradizionali strumenti del controllo (cost accounting, budgeting e reporting) devono essere dunque interpretate tenendo conto di una «logica allargata».

La struttura manageriale e organizzativa

Un ulteriore aspetto che il Nomad è tenuto a verificare nell’ambito della due diligence è l’idoneità della struttura manageriale e organizzativa a supportare le strategie contenute nel piano industriale e a sostenere gli obblighi e le responsabilità derivanti dalla quotazione. In particolare, egli deve accertare che la struttura organizzativa consenta di imputare correttamente le responsabilità e di instaurare una correlazione tra azioni e risultati.

Conclusioni

Tra le varie attività che il Nomad è chiamato a svolgere ai fini dell’ammissione all’AIM, la due diligence del sistema di controllo rappresenta una delle più problematiche. Infatti, l’analisi non può limitarsi ad una mera e formale verifica dell’adeguatezza degli strumenti, quali la contabilità industriale, il budget e l’architettura del reporting, ma deve concretizzarsi in un approfondimento delle attività volte al monitoraggio delle dinamiche gestionali e alla capacità di tenere sotto osservazione i fenomeni più rilevanti. Ciò significa che, attraverso l’esame del business e delle sue componenti, il Nomad deve acquisire un’approfondita conoscenza delle caratteristiche dell’impresa, del modo con cui opera, del suo contesto competitivo e, alla luce di tutto questo, delle modalità con cui effettua il controllo della gestione.

Bibliografia

Borsa ItalIana (2012), Regolamento Nomad.Borsa ItalIana (2014), Guida al sistema di controllo di

gestione.Borsa ItalIana (2015), Regolamento Emittenti.Marasca s., MarchI L. (2013), Controllo di gestione, Knovità.rIccaBonI a., Busco C. (2014), Il controllo di gestione, Ipsoa. DaInellI F., BInI l., GIunta F. (2011), Prestazioni aziendali

e politiche di disclosure: quali indicatori comunicare al mercato?, Management Control, vol. 3/2011, pp. 67-90.

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Cina e sud-est asiatico sono ormai da diversi anni al centro degli interessi delle aziende che intendono allargare il proprio raggio d’azione a livello

internazionale. Attratti dalle potenzialità del territorio e del mercato, le imprese, anche di piccola e media dimensione, si interrogano sovente sulle reali possibilità e sulle concrete modalità con le quali poter «sbarcare» con il proprio business nel Paese del Sol Levante. Il controllo di gestione, nella sua specifica funzione di pianificazione e programmazione, riveste un ruolo fondamentale nella redazione del business plan di sviluppo internazionale, sia nella fase di definizione coerente delle informazioni qualitative di business che nella più tipica attività di misurazione quantitativa delle aspettative di risultato a breve e a lungo termine. Il controllo di gestione assume un ruolo centrale nei progetti di internazionalizzazione, al fine di rendere coerente il nuovo modello di business con il nuovo e necessario assetto fiscale.

Contenuti e richieste dei progetti di controllo nei territori asiatici

La globalizzazione degli affari ha fatto emergere nuovi bisogni informativi e nuove richieste di servizi in Paesi che, in termini di sviluppo internazionale, fino a pochi anni fa, erano considerati mete di delocalizzazione per lo sviluppo di nuove efficienze industriali. La crescita dei progetti di creazione di nuovi stabilimenti produttivi nel sud-est asiatico e nello specifico in Cina, ovvero di apertura di nuove filiali e uffici per la ricerca e sviluppo di materie prime e forniture a basso costo, ha fatto esplodere nuovi bisogni di coordinamento informativo e di conoscenza condivisa sull’andamento delle filiali estere e sulla loro reale performance.In molte filiali estere di aziende italiane, localizzate nei territori del sud est asiatico e in particolare nel territorio cinese, è completamente assente un sistema di controllo o qualora esistente, è il frutto della singola iniziativa individuale del manager estero ma

non il risultato di un sistema coordinato e progettato dalla casa madre.Le diverse richieste di start up aziendale in Cina unitariamente alle necessità di avere un unico management control system, capace di dialogare in tempo reale da ogni territorio, omogeneizzando dimensioni e misure di business dell’impresa, hanno consentito di sviluppare una metodologia di lavoro per lo sviluppo dei progetti in Asia.Partendo dalle necessità aziendali, si approfondiscono le caratteristiche dei territori asiatici confrontandone tassi di sviluppo, evoluzione infrastrutturale, originarie vocazioni, opportunità e criticità dei micro-territori di cui una così vasta zona del mondo può essere logicamente suddivisa.Successivamente è necessario redigere il piano di business che, molto spesso, non è rappresentato solamente dal business plan ma è accompagnato da una pluralità di documenti aventi finalità informative differenti.All’interno del piano deve essere disegnato, a livello qualitativo e quantitativo, anche il modello di controllo, inteso quale disegno globale di flussi informativi atti a misurare le performance della nuova realtà estera in coerenza all’organizzazione attuale, e già esistente, della casa madre.Di seguito si analizzeranno sinteticamente i diversi step metodologici per lo sviluppo di progetti d’impresa in territorio asiatico.

Situazione e sviluppo economico-finanziario nel sud-est asiatico ed in Cina

Negli anni si è assistito a un cambiamento nell’economia globale, che conferma il ruolo di leadership del continente asiatico e dei Paesi emergenti dell’Asia Orientale. Il baricentro dell’economia si sta spostando da Occidente a Oriente, da New York a Shanghai.Sotto il profilo tributario, gli ordinamenti dei Paesi asiatici si stanno evolvendo sulla scia dello sviluppo della Regione e del flusso degli investimenti esteri. Un numero significativo di riforme fiscali si è susseguito dal 2005 nei Paesi asiatici ed in particolare nelle economie

di Alessandro GarlassiDottore Commercialista, Consulente aziendale; Presidente MMC- Direzione e controlloLuca FornaciariUniversità degli Studi di Parma, Partner MMC- Direzione e controlloLorenzo RiccardiDottore Commercialista, Professore Associato presso Xian Jiao Tong - Liverpool University, socio studio di consulenza RSA Giorgio RiccardiDottore Commercialista, socio studio di consulenza RSA

creare un progetto d’impresa in cina: vantaggi e criticità neLLa gestione deL Business

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emergenti, con distinzioni tra Paesi ad alta tassazione e Paesi caratterizzati da regimi fiscali agevolati.L’economia cinese ha avuto una fortissima crescita iniziata con riforme economiche che hanno accompagnato progressivamente l’apertura del mercato alle economie internazionali. In controtendenza alla recessione mondiale, la Cina è riuscita a mantenere tassi di crescita nell’ordine del 7%, consolidando la posizione fra i Paesi a maggior crescita.Attirare capitali stranieri è uno dei principali obiettivi delle politiche economiche varate dal governo cinese negli ultimi anni, tanto da aver creato in Cina il più grande bacino di investimenti stranieri al mondo. L’ingresso nel Word Trade Organization (WTO) nel 2001 ha rafforzato questa tendenza, i flussi d’investimento provenienti dall’estero sono cresciuti in maniera esponenziale, in aggiunta, il governo cinese ha rafforzato la capacità di mantenere elevati i tassi di crescita. La Cina è il più grande partner commerciale di Australia, Giappone e Vietnam e sostiene consistenti scambi con l’Unione Europea, Stati Uniti, Hong Kong, Corea e Taiwan.Il settore finanziario cinese si sta evolvendo velocemente per riuscire a tenere meglio il passo con il mercato internazionale. I maggiori mercati borsistici cinesi sono quelli di Shanghai e Shenzhen. La Cina deve il suo forte sviluppo alla straordinaria capacità del suo sistema economico di assorbire investimenti esteri; le società straniere si configurano quindi come elementi chiave nel contesto cinese e giocano un ruolo particolarmente attivo nella competizione globale. Questo ruolo è sostenuto ed enfatizzato dalla politica cinese, che sta avviando politiche con l’obiettivo di migliorare l’ambiente politico e legale, puntando sullo sviluppo dei servizi e incoraggiando imprenditori stranieri ad investire in nuove imprese ad alto contenuto tecnologico. La Cina, di fatti, ha istituito diverse zone speciali con lo scopo di convogliare gli investimenti e di fatto questa politica ha avuto un grandissimo successo.

Orientarsi tra città e regioni a diversa vocazione di business

Pechino, la capitale cinese, è il maggiore centro politico, culturale e di scambio con l’estero e costituisce una metropoli moderna e piena di vita.Lo sviluppo tecnologico ed economico della città ha permesso di costruire un tessuto industriale i cui settori di spicco sono il farmaceutico, l’information technology, il metalmeccanico e l’elettronico; la città, inoltre, è la sede di molte istituzioni, tra le quali la Banca Centrale Cinese e numerosissimi istituti finanziari e assicurativi.Shanghai, che si affaccia nella parte occidentale

dell’Oceano Pacifico, è la seconda città in ordine di importanza e la prima per numero di abitanti. In questa metropoli, si è venuto a creare un centro internazionale di commercio, economia e finanza, tanto che fino ad ora più di 103 Paesi esteri hanno investito in questa città. La città si è specializzata principalmente in settori quali l’information technology, la finanza e lo sviluppo di aree adibite esclusivamente al commercio internazionale. Sono comunque degni di nota i nuovi settori come il biofarmaceutico, l’industria dei materiali e il petrolchimico.Tra le aree interessanti di Shanghai vi sono il nuovo quartiere di Pudong, considerato il quartiere finanziario, che si aggiunge all’area di Lujiazui e Hongqiao. Tra le aree preposte al commercio internazionale possono essere citate invece Songjiang e Jinqiao. Guangdong è il terzo polo Cinese in ordine d’importanza, posto geograficamente nella parte meridionale di questo Paese, si trova nelle vicinanze di Hong Kong e Macao con un agevole sbocco nel Mare della Cina a Sud. La provincia di Guangdong è una delle zone della Cina che cresciuta molto velocemente negli ultimi anni, vanta un mercato particolarmente dinamico, considerato sempre più attrattivo per gli investitori. In questa provincia vi sono tre delle cinque «zone economiche speciali», territori strutturati per attrarre e utilizzare capitali stranieri; queste zone sono focalizzate sulle joint-venture tra società cinesi e società straniere, tramite un sistema che associa incentivi fiscali e maggiore indipendenza commerciale rispetto ad altre aree del territorio cinese. In tale zona vi sono relazioni commerciali con più di 200 Paesi e regioni. Le 500 più grandi multinazionali mondiali hanno a loro volta messo in atto 404 imprese in quest’area.Ad oggi, la Cina ha ancora ampi margini di crescita. Il mercato cinese è molto vasto, l’urbanizzazione in corso e la crescita del potere di acquisto della classe media portano a un aumento dei consumi interni, non solo nelle città di «prima fascia» (Pechino, Shanghai, Tianjin e Canton), ma anche nelle altre, come ad esempio nelle aree interne del Paese. I gusti della classe media si stanno orientando verso quelli europei e al modello occidentale, con maggiore attenzione al rapporto qualità/prezzo.

Condizioni, criticità e trend per lo sviluppo dei progetti di business in Cina

Se si vogliono cogliere le opportunità di questo mercato ancora frammentato è necessaria la presenza imprenditoriale nazionale in loco, sia per rispondere facilmente alle esigenze interne dei clienti, sia per cogliere direttamente le evoluzioni normative che le

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autorità negli ultimi anni stanno attuando. I profitti maggiori sono ottenuti dalle imprese straniere, in particolare nei settori sanitari, alimentari, di tecnologie pulite e infrastrutture che hanno tassi di crescita elevati. Il settore automotive cresce, anche se a ritmo più sostenuto rispetto al passato.Per sottolineare la continua evoluzione del sistema Cinese rispetto alle opportunità di business, è bene sottolineare come, negli ultimi mesi, sia in atto una vera e propria «rivoluzione» delle normative tecnologiche digitali del Paese.L’e-commerce, da sempre presidio di investimento ai soli cittadini Cinesi, è stato «aperto» ai capitali stranieri. Il nuovo documento Foreign Investment Guidance Catalogue, in vigore dal 15 aprile 2015 consente a joint venture a capitale internazionale di investire nel settore dell’e-commerce in misura superiore al 49% (consentito prima) peraltro senza ottenere la precedente ed indispensabile autorizzazione del Ministero del Commercio Cinese.Le nuove normative aprono mercati probabilmente ancora inesplorati in termini di potenzialità di vendita e di contatti.Tuttavia l’inflazione e la rivalutazione della moneta rallentano ulteriormente l’economia cinese. La forte dipendenza dalle esportazioni e il proibizionismo in alcuni settori potrebbero limitare gli investimenti nel Paese. Negli ultimi anni il controllo anti-inquinamento e il risparmio energetico sono diventati l’obiettivo del governo, da qui i piani di rinnovamento e miglioramento che possono portare opportunità ai fornitori, ma dall’altra parte aumentano i costi per le imprese già operanti e i controlli locali si fanno più frequenti e severi, vincolando sempre più le imprese.Dal punto di vista delle transazioni finanziarie rimangono notevoli rigidità per i flussi uscenti dalla Cina verso l’Italia in quanto specificatamente controllati dalla State Administration of Foreign Exchange (SAFE), mentre non danno alcun problema i movimenti finanziari contrari, da Paesi stranieri alla Cina.In sintesi è possibile affermare che in ogni decisione di regolamentazione dei mercati da parte della Cina, esistono sempre due contrapposte esigenze che si esplicitano in ogni normativa: la prima è quella di ampliare l’influsso e l’importanza del mercato aprendo le possibilità per gli stranieri alla creazione di valore e di business in Cina in modo profittevole; la seconda è quella della continua supervisione degli scambi monetari di dati e di transazioni commerciali.Le due esigenze, connaturate alla storia e alla politica del Paese, a volte si contraddicono mentre, altre volte, riescono a coesistere più facilmente a seconda dell’oggetto della normativa in esame.Volendo disegnare un trend di massima per i

prossimi anni, si può intravedere un aumento delle barriere commerciali non tariffarie, in particolare con riferimento all’accesso al mercato (obbligo di costituzione di joint venture con soggetti locali) e a standard di prodotto più rigidi, come conseguenza della sottoscrizione all’accordo del WTO. Un problema da considerare per chi vuole entrare o è già presente nel mercato cinese è quello legato alla forza lavoro. La produttività è scesa di un terzo nel corso degli ultimi anni e al contempo è aumentata l’età media (attualmente 49 anni) dei lavoratori. Questi fattori potrebbero causare tensioni sociali, date dalla disparità di reddito, dall’inflazione, dalla disoccupazione, dalla corruzione e dalle prepotenze di alcuni funzionari locali.

Confronti e valutazione dei territori nei progetti di delocalizzazione in Asia

Per approcciare a progetti internazionali a lungo raggio, come quello Cinese è necessario innanzitutto conoscere in modo approfondito i luoghi in cui si potrebbe potenzialmente investire in modo da vagliare tutte le diverse opportunità offerte dai territori del sud-est asiatico.Al fine di realizzare il progetto in modo efficiente ed efficace, occorre considerare alcune variabili culturali, politiche e sociali dei diversi Stati facenti parte dell’area di interesse dell’investimento (Tavola 1). Tipicamente si considerano:– area (square km);– popolazione;– tasso di crescita e PIL;– tipo di governo e stabilità media;– moneta;– età media;– tasso di analfabetismo;– tasso di diffusione della lingua inglese;– presenza negli organismi internazionali.Per ciascuna area identificata, successivamente, si è soliti specificare elementi di dettaglio che meglio possano far emergere i vantaggi e i rischi di ciascuna soluzione:– infrastrutture tecniche (porti, aeroporti, stazioni); – infrastrutture tecnologiche (rete web e libertà di data information);– presenza di distretti tipici (vocazione lavorativa locale);– normativa giuslavorista (leggi sul lavoro, la sicurezza e l’ambiente di lavoro);– normativa fiscale (tassazione societaria e personale);– normative finanziarie(libertà di trasferimento e deposito di moneta).Nella considerazione che aree così vaste del pianeta necessitano di una micro-parcellizzazione

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per essere correttamente valutate, nel progetto di delocalizzazione nel sud est asiatico si analizzano le ipotesi Cina, Vietnam e Thailandia.Come mostrato dalla Tavola 2, i tre Paesi mostravano particolari peculiarità e attitudini per i diversi settori economici.La Cina certamente è la più adatta per progetti di servizi rispetto a quelli più prettamente industriali, più convenientemente realizzabili negli altri due Paesi. Contrariamente a quanto si pensi, infatti, in Cina il costo del lavoro è aumentato negli ultimi anni così come la tassazione media. Anche l’attenzione e le norme ambientali hanno avuto, negli ultimi anni, un processo di emanazione tipico dei Paesi in evoluzione.

Il ruolo del controllo di gestione nei processi di internazionalizzazione delle imprese

Nei progetti di sviluppo internazionale, la funzione programmazione e controllo interviene in tre grandi aree di lavoro:1) informativo;2) organizzativo;3) documentale,ognuna delle quali deve risultare coerente all’altra.Si analizzano in dettaglio gli aspetti salienti di ciascun’area.

Profilo informativo

L’aspetto informativo è la più tradizionale delle funzioni del sistema di controllo e comporta

il disegno logico e tecnico del processo di trasformazione dei dati aziendali in valori di conoscenza del business estero.Il modello di controllo rappresenta le decisioni sulle unità di business da controllare (dimensioni), sulle variabili da quantificare (misure), sui risultati da realizzare (reporting).Gli obiettivi di controllo sono il punto di partenza sul quale sviluppare tutto il sistema. Da questo punto di vista è necessario essere rigorosi ma realisti: non sempre in Paesi a bassa specializzazione contabile è possibile raccogliere in modo efficiente i dati per un controllo di dettaglio. Molto spesso è meglio definire obiettivi di controllo sintetici e significativi, affinché le fonti informative divengano più facilmente gestibili dagli operatori esteri.I collaboratori Cinesi, non abituati ad un sistema organizzato di controllo, non sono riusciti a soddisfare la creazione e la raccolta di dati necessari ad un controllo di gestione accurato.In sintesi gli obiettivi devono colpire al cuore le analisi, sapendo che ogni dettaglio, proprio perché nativo in Paesi esteri a cultura molto differente dalla nostra, sarà più difficile da ottenere.Gli aspetti ai quali il modello di controllo è chiamato a rispondere (Tavola 3) sono:– definizione degli obiettivi di controllo del business nel mercato cinese. Obiettivi troppo generici possono risultare più facili da ottenere, ma inutili nel loro contenuto, mentre, al contrario, obiettivi specifici di dettaglio molto significativi possono risultare non misurabili;– creazione delle dimensioni di business. È necessario suddividere gli oggetti di controllo in specifici target

Tavola 2 – Paesi a confrontocina vietnam tailandia

costo del lavoro alto basso basso

settore economico da industria a servizi da agricoltura a manufacturing

da commodity a manufacturing

mercati di riferimento

da export-oriented a mercato interno

export e investimenti esteri export – soprattutto automotive

infrastrutture di sviluppo

progetti hi-tech e rete in via di sviluppo in via di sviluppo

centri di sviluppo Città di 2° e 3° livello aree rurali aree rurali

Tavola 1 – Le variabili rilevanti per internazionalizzare le impresecina vietnam tailandia

territorio 9,560,900 sq. km 331,114 sq. km 513,120 sq. km

popolazione 1.35 bil 90,4 mil. 66,7 mil.

tasso di crescita 0,47% 1,04% 0,57%

moneta RMB1 UsD = 6.09 RMB

VnD1 UsD = 21.05 VnD

THB1 UsD = 31.65 THB

governo Comunista, partito unico

Comunista, partito unico

Democratico, più partiti

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clienti/prodotti, coerentemente alle descrizioni contenute nel business plan di progetto. In questo aspetto il mercato cinese è particolare per la vastità del consumo e dei profili dei consumatori potenziali;– identificazione degli indicatori quantitativi che sono l’espressione numerica delle performance del periodo sul mercato estero. In tal senso le performance possono essere misure monetarie, ma anche indici ed indicatori di produttività ed efficienza. La loro composizione dipende in modo significativo dalla natura dell’internazionalizzazione messa in atto dall’azienda, internazionalizzazione che se è solo commerciale oggetto d’analisi saranno solo i dati di vendita e di mercato; se invece trattasi di vera e propria delocalizzazione, gli indicatori andranno a valutare anche aspetti di processo, efficienza e produttività;– individuazione delle fonti dati. Il modello di controllo deve definire da dove e come si creano le informazioni di base. Il rischio nei progetti internazionali non guidati da un chiaro e condiviso modello di controllo è quello del proliferare di file di excel autoprodotti dai singoli responsabili slegati dai sistemi centrali e dipartimentali del sistema informativo generale. In questo modo i dati non sono messi a sistema e quindi si rischia di realizzare indagini ed analisi non utili.

Profilo organizzativo

Il sistema di controllo deve definire le persone, le responsabilità, i tempi e le modalità con le quali dovranno essere alimentati i valori e i report di analisi.Sotto questo aspetto è molto importante considerare gli aspetti di cultura contabile locale degli operatori. In Cina, spesso, è possibile scontrarsi con livelli di preparazione mediamente inferiore a quelli degli standard italiani. Conoscere le persone che, di fatto, sono preposte alla gestione dei dati è indispensabile per la corretta riuscita dei sistemi di controllo.Deve essere considerato organizzativo anche l’assetto da dare alle piattaforme informatiche di rilevazione dei dati. Se l’aspettativa è quella di ottenere il controllo delle filiali estere in tempo reale con dati aggiornati periodicamente, è necessario definire connessioni tra database a distanza.Da questo punto di vista però la Cina è molto resistente a livello normativo sulla scambio in rete dei dati provenienti dai loro territori. Esiste infatti un vero e proprio ente statale di controllo dei flussi.È quindi indispensabile utilizzare dei server presenti sul territorio cinese, evitando l’utilizzo di cloud europei che genererebbero grandi problemi di connessione tra i dati dei due continenti.Il controllo gestito a livello locale richiede un’organizzazione in loco della struttura informatica

e crea non pochi problemi, di fatto, alla fluidità della composizione dei dati.I due sistemi, autonomamente alimentati vengono poi controllati e uniti da un sistema di reporting locale che elabora ed omogeneizza i dati di controllo della filiale cinese con quella italiana.È bene sottolineare che probabilmente questa difficoltà di scambi di dati tra Italia e Cina è destinata ad esaurirsi grazie alla recente collaborazione con società Cinesi delle piattaforme cloud dei principali player occidentali (Microsoft, Amazon, ecc…).Nella versione più evoluta del sistema, esisterebbe un unico data warehouse alimentato dai dati di tutto il mondo che elabora le misure di controllo e distribuisce i relativi report di risultato.

Profilo documentale

Il controllo di gestione deve intervenire a supporto della redazione dei diversi prospetti che il progetto internazionale richiede per la sua divulgazione e comunicazione in senso tecnico, logico e contabile.Nel contesto economico attuale, non è più sufficiente elaborare piani di crescita e riorganizzazione, ma è necessario anche esporre le fonti documentali dalle quali il business plan prende origine per comunicare e presentare le iniziative a tutti i vari interlocutori interni ed esterni all’azienda.Dal punto di vista dell’organizzazione interna, conoscere i diversi documenti consente di organizzare il progetto al meglio e permette di responsabilizzare tutti gli attori aziendali affinché «facciano in modo coerente la loro parte».In tutti i progetti di apertura di nuovi stabilimenti o uffici in Asia e, in particolare, in Cina, a fianco del documento master, comunemente denominato business plan, vengono redatti una pluralità di

Tavola 3 – La pianificazione dell’internazionalizzazione

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prospetti informativi che, in modo diverso, hanno la finalità di rappresentare l’iniziativa in tutte le sue sfaccettature. I cinque principali documenti necessari sono:– project presentation;– studio di fattibilità;– financial plan;– tax planning;– business plan.Il project presentation rappresenta l’anima qualitativa dell’idea di business. Documento descrittivo, a volte declinato anche con video o interventi dei responsabili delle varie funzioni aziendali, presenta le necessità, i vantaggi ed i miglioramenti conseguibili con il nuovo progetto internazionale.La spiegazione del perché e del come l’azienda ha pensato di delocalizzarsi, le forme giuridiche che l’azienda ha deciso di darsi all’estero, i macro obiettivi e le macro opportunità dei nuovi territori devono evincersi chiaramente e sinteticamente da tale documento.L’efficienza non raggiungibile a livello locale, il confronto con Paesi alternativi alla Cina, i mercati e le opportunità della nuova domanda da colpire sono esempi di potenziali contenuti del documento di presentazione del progetto.Lo studio di fattibilità si addentra nei dati di mercato, di settore e di territorio. Esso schematizza e sintetizza la situazione della domanda e dell’offerta sui nuovi Paesi evidenziando eventuali barriere all’entrata o all’uscita dal settore.Nei Paese Asiatici esso riveste fondamentale importanza perché le normative su aspetti salienti del business possono essere molto diverse da quelle Italiane. Si pensi alle leggi Cinesi sull’uso del web, le diverse regole ambientali, le differenti norme societarie fiscali e tributarie.La fattibilità del progetto è indispensabile per sostenere tutta l’idea di business.Il financial plan contiene i dettagli economici-patrimoniali-finanziari rappresentati sinteticamente nella parte quantitativa del business plan.Si tratta di un documento specialistico rivolto ai tecnici e rappresenta un importante punto di riferimento per gli investitori e i soci.Esso identifica le specifiche di costo/ricavo, il cash flow prospettico, i tassi di produttività, efficienza ed efficacia attesi dall’investimento, esplicitandone le misure utilizzate nell’attualizzazione dei rendimenti attesi, elementi fondamentali per fornire un giudizio sulla bontà del business.Sui mercati asiatici, in particolare, non bisogna avere pregiudizi di sorta: tassi di sviluppo molto elevati o alti tassi di rischio non devono essere giudicati «errori» ma possono essere giustificati dai tassi elevati di popolazione e sviluppo dei mercati. Si tratta di differenti documenti che accompagnano lo

sviluppo dei nuovi progetti d’impresa in modo da tenere differenziato ambiti e responsabilità.Il tax planning rappresenta il documento con cui si pianifica la fiscalità del gruppo aziendale internazionale. Quando un’azienda diventa multinazionale si scontra, inevitabilmente, con normative fiscali nazionali ed estere tese a mantenere la base imponibile nel Paese di residenza reale.Le esigenze principali di un’azienda che si internazionalizza sono essenzialmente due: la prima è il rispetto delle regole locali presenti nei diversi Paesi in cui si sviluppa il business, quindi essere compliant rispetto alle normative locali; la seconda è quella di ottimizzare il carico fiscale del gruppo presente in più Paesi con fiscalità differenti tra loro.Il documento di tax planning deve far emergere le scelte aziendali con riferimento alle suddette esigenze. Di particolare importanza è il tema delle politiche di transfer pricing, che deve trovare efficiente gestione nel documento di tax planning.Infine, il business plan rappresenta una sintesi del progetto di internazionalizzazione. Infatti, documento centrale dei progetti di business internazionali, il business plan rappresenta la sintesi dei documenti di dettaglio sopra descritti.Composto da una parte qualitativa di descrizione dell’iniziativa e da una successiva parte quantitativa di misurazione dei risultati attesi, il business plan riveste anche un importante funzione organizzativa.In esso devono essere disegnati gli assetti di governance delle filiali, le responsabilità e gli skill delle persone responsabili della Direzione estera.Infine è molto importante mettere in luce anche l’aspetto linguistico. I documenti rivolti ad interlocutori esteri devono essere accuratamente tradotti nella loro lingua o quantomeno in inglese.In Cina la conoscenza della lingua inglese non è ancora molto diffusa e si consiglia di affidare le traduzioni a professionisti madre lingua onde evitare grossolani errori di traduzione automatica che andrebbero ad inficiare immediatamente la qualità espositiva del documento stesso.

Conclusioni

In questi ultimi dieci anni i progetti di sviluppo internazionale delle imprese verso la Cina e gli altri Paesi del sud-est asiatico si sono moltiplicati alla ricerca di maggiori efficienze e nuove opportunità commerciali.Le difficoltà di investimento in Paesi così diversi, lontani e geograficamente molto estesi, sono numerose e, per essere superate, richiedono una precisa conoscenza degli usi, della cultura e delle leggi locali, difficilmente interpretabili da lontano. Un’accurata scelta dei territori di potenziale

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business, scegliendo quelli più adatti a certi tipi di affari, ed un preciso progetto di sviluppo aziendale, consente di ridurre fortemente i rischi strategici e finanziari del progetto.Il sistema di controllo aziendale deve essere, da un lato, in grado di calcolare e documentare le performance attese dall’investimento, anche attraverso la redazione di specifici documenti di sintesi e di dettaglio, e, dall’altro, di disegnare la propria integrazione con i futuri sistemi informativi stranieri, tenendo presente che non sempre è possibile un’interazione diretta dei dati a livello intercontinentale.Il ruolo del controllo di gestione, nei progetti di start up internazionale, allarga i propri compiti oltre le tipiche misurazioni di risultato, per diventare uno strumento di supporto alla comunicazione dell’investimento nei confronti dei diversi interlocutori interni ed esterni all’impresa ed elemento strategico per i futuri assetti del sistema informativo globale.

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1 Per un approfondimento sui temi della pianificazione aziendale e degli strumenti a disposizione della stessa, si vedano in particolare: Cassandro, E. P., La pianificazione aziendale. Cacucci, Bari, 1978; Guatri, E., Marinelli, C., Costruire il business plan, IPSOA, Milano, 2000; Bubbio, A., «Attuazione della strategia e strumenti di pianificazione e controllo», in Controllo di gestione, IPSOA, MIlano, 2006; Brusa, L., Mappa strategica e business plan. Giuffrè, Milano, 2011; Parolini C., Business planning. Dall’idea al progetto imprenditoriale, Pearson, 2011.2 È opportuno non confondere lo strumento del business plan con quello del budget, anche se è vero che la complementarietà tra i due strumenti è molto forte. Si può affermare che il primo anno del business plan è rappresentato dal budget, documento in cui gli obiettivi pluriennali del business plan sono tradotti, con un maggior grado di analiticità dei contenuti, in obiettivi di breve periodo.3 Per un approfondimento circa le metodologie di costruzione del Business Plan, con particolare riferimento alle start-up, si vedano, tra gli altri: Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, Linee guida alla redazione del business plan, a cura del Gruppo di Lavoro Area Finanza Aziendale, 2011; Confindustria Modena, nasce l’impresa. Business plan: come costruirlo e interpretarlo, 2011; Retimpresa, Linee guida per il Business Plan di Rete, aprile 2015; IBAN – Italian Business Angel Network, guida pratica allo sviluppo di progetti imprenditoriali, 20084 Come verrà evidenziato nel prosieguo, è fondamentale

Per l’aspirante imprenditore che vuole comprendere se la sua idea imprenditoriale avrà successo è imprescindibile la redazione di un

business plan, ossia di un piano previsionale in grado di delineare gli obiettivi strategici dell’attività di impresa in un arco di tempo di medio-lungo periodo. Il business plan deve considerare il progetto d’impresa dal suo concepimento dimostrando all’imprenditore che gli obiettivi ipotizzati sono effettivamente raggiungibili. Tale strumento rappresenta, pertanto, un documento essenziale per presentare l’idea imprenditoriale agli investitori o agli incubatori di impresa, e per l’azienda in fase di start-up, per le quali ne rappresenta uno step fondamentale al fine di comprendere come comportarsi, quali aspetti privilegiare e quale approccio adottare per il successo di una nuova impresa.

Introduzione

Nell’attuale contesto economico non è più ammissibile che un’iniziativa imprenditoriale venga intrapresa senza un’adeguata pianificazione della futura attività, inquadrandone il contesto strategico, definendone obiettivi, percorsi di realizzazione e risorse da impiegare. È fondamentale che il progetto imprenditoriale venga formalizzato in un documento, il cosiddetto business plan o piano previsionale, che rappresenta perciò lo strumento di pianificazione dell’attività aziendale1 nel medio-lungo termine, solitamente inquadrato in un arco di tempo dai 3 ai 5 anni2. In quanto tale, detto strumento può riguardare sia l’ampliamento o la diversificazione del business di una azienda esistente, attraverso, ad esempio, l’acquisto di altre imprese, l’apertura di sedi secondarie, l’effettuazione di operazioni straordinarie, sia l’inizio di una nuova attività, ossia la cosiddetta fase di start up, su cui si focalizza in particolare il presente lavoro3.L’importanza di procedere attraverso l’efficace stesura di un piano economico-aziendale previsionale è, nell’odierno contesto economico, di

particolare attualità nel momento in cui la Legge n. 221/2012 ha disciplinato la cosiddetta start-up innovativa. Si tratta di una fattispecie del tutto nuova nel panorama economico nazionale, che si pone l’obiettivo di favorire la concreta affermazione di “talenti imprenditoriali” attraverso l’applicazione di nuove misure agevolative, nonché di deroghe rispetto a strutture e caratteristiche tipiche delle imprese “tradizionali”, che riguardano al contempo elementi di diritto societario, tributario, nonché di diritto fallimentare e del lavoro.In tale contesto, lo strumento del business plan assume caratteri di assoluta rilevanza nel momento in cui si propone di rappresentare in un documento di sintesi la fattibilità economico-finanziaria di un progetto imprenditoriale avente caratteri di innovatività e spesso elevati contenuti tecnologici, che rischierebbero, senza una opportuna formalizzazione, di vedere ridurre le possibilità di effettivo successo. Posta tale premessa, pare opportuno evidenziare come il business plan abbia una duplice valenza, interna ed esterna all’impresa.Nel primo caso, valenza interna, nella fase che precede l’avvio della nuova attività il documento costituisce per l’imprenditore lo strumento con cui il progetto trova concretezza, con la definizione del contesto strategico di riferimento, la rappresentazione in termini qualitativi e quantitativi degli aspetti financial e non financial4 connessi alla nuova realtà aziendale. La formalizzazione “su carta” dei contenuti, il passaggio dall’idea al disegno del modello di business, può consentire di cogliere eventuali discrasie, oltre che innescare ulteriori spunti strategici e gestionali. In un’eventuale fase successiva, dopo l’avvio dell’attività, è opportuno che il business plan venga monitorato ed eventualmente aggiornato, apportando le variazioni ritenute opportune, affinché continui a rappresentare realisticamente una guida nella realizzazione del progetto imprenditoriale, confermandone la sostenibilità.Il business plan ha altresì una valenza esterna, consentendo di illustrare il progetto imprenditoriale ai terzi, quali potenziali nuovi soci, finanziatori, istituzioni pubbliche e così via. Va precisato che

di Pier Luigi Marchini Università degli Studi di Parma, Professore Associato, Presidente Fondazione Centro Studi UNGDCECe Barbara BorgatoDottore Commercialista, componente Comitato Scientifico Fondazione Centro Studi UNGDCEC

Il bUSINESS plaN a SUppoRTo dElla CREazIoNE dEllE STaRT Up

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che nel business plan trovino rappresentazione anche aspetti non financial, per esempio legati alla dimensione ambientale e sociale.5 Il termine «prodotto» è utilizzato in senso generico di bene / servizio.

non è improbabile che il taglio ed il contenuto del documento possano essere differenti nel caso di valenza interna o esterna dello stesso, essendo diversa la finalità redazionale ed i destinatari. La fase di raccolta ed elaborazione delle informazioni da presentare nel documento, soprattutto in termini quantitativi, può risultare particolarmente complessa e problematica nel caso di start up, richiedendo competenze specifiche che talvolta possono indurre l’imprenditore a rivolgersi a un professionista.Con riferimento alla concreta stesura del business plan, il documento dovrà essere suddiviso in sezioni, ciascuna dedicata all’illustrazione di aspetti specifici, fornendo complessivamente un quadro organico del progetto imprenditoriale, dal quale emerga nitidamente la sostenibilità dello stesso. Nelle pagine che seguono viene illustrata una possibile strutturazione del documento nei diversi ambiti tematici, con particolare riferimento alla versione destinata all’esterno, evidenziando per ciascuna sezione i contenuti principali: – la descrizione del progetto imprenditoriale;– il mercato di riferimento e l’analisi del settore;– il piano delle vendite e il piano di marketing;– il piano della produzione;– il management e l’organizzazione;– il piano degli investimenti;– il piano dei finanziamenti;– le proiezioni economico-finanziarie.

Descrizione del progetto imprenditoriale

È opportuno fare precedere l’intera stesura del business plan da una prima parte in cui si presentano i caratteri peculiari dell’attività che si andrà a sviluppare in futuro.In questa prima sezione del business plan si illustrano quindi l’idea imprenditoriale, le sue caratteristiche, i suoi punti di forza, gli obiettivi e i principali highlights dell’iniziativa, che troveranno approfondimento nelle successive sezioni. Nella descrizione del progetto imprenditoriale dovranno essere presentati in termini sintetici gli attori che intendono dare vita al progetto, le loro competenze, l’oggetto della realtà aziendale che si intende avviare, gli obiettivi strategici che ci si prefigge di raggiungere. Tale sezione deve rappresentare una sorta di sintesi dell’intero progetto, utile per l’imprenditore ad anticipare il contenuto e le conclusioni del business plan, nonché ai destinatari dello stesso per comprendere gli obiettivi ed i punti di forza della nuova attività.È suggeribile formalizzare il business model della start up, ovvero rappresentare il sistema che

l’azienda intende adottare per trasformare le risorse in risultati, attraverso lo svolgimento delle attività aziendali, al fine di raggiungere gli obiettivi strategici e “creare valore” nel breve, medio e lungo termine.Si ribadisce un aspetto di notevole importanza, ovvero il fatto che l’approccio redazionale del business plan non può prescindere dalla considerazione delle caratteristiche dei destinatari dello stesso. Pertanto, in tale fase preliminare, grande importanza avrà la necessità e l’abilità di modulare le caratteristiche di esposizione sia della sintesi che dell’intero progetto, in funzione della specificità dei soggetti destinatari.

Il mercato di riferimento e l’analisi del settore

In questa sezione del business plan si presenta un’analisi del mercato a cui l’azienda intende rivolgersi, per esempio illustrando le modalità con cui si svolge (o si può svolgere) il processo di acquisto e di consumo del prodotto5, catturando eventuali segmentazioni della clientela. Dato il cenno sulle caratteristiche generali del prodotto descritte nella sezione precedente, il futuro imprenditore deve a questo punto descrivere il mercato globale di riferimento, quindi i caratteri peculiari del segmento (o dei segmenti) target, rispetto ai quali si calibreranno le scelte di posizionamento. In questa fase sarebbe opportuno definire anche l’andamento dello sviluppo del settore, avvalendosi per esempio di ricerche di mercato per poter stimare la domanda, elemento che rappresenterà un input importante per il piano delle vendite. Oltre a ricerche realizzate appositamente da società specializzate che si avvalgono di database professionali, altre fonti di informazione possono essere, per esempio, riviste specializzate, associazioni di categoria, istituti quali l’ISTAT e le Camere di Commercio.In sede di descrizione del mercato e soprattutto del settore di riferimento è opportuno presentare un inquadramento complessivo degli aspetti caratteristici del cosiddetto “sistema competitivo allargato”, che comprende, oltre ai clienti, i concorrenti, i fornitori, i potenziali entranti e i possibili prodotti/servizi sostituti rispetto alla proposta dell’azienda.

Il piano delle vendite e il piano di marketing

La sezione definita “piano delle vendite” accoglie la descrizione della strategia con cui l’impresa si intende posizionare nel mercato descritto in precedenza nei suoi elementi essenziali. In

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particolare, in questa sezione si presentano le scelte di pricing, ovvero il livello dei prezzi con cui si intende proporre il nuovo prodotto sul mercato, con le eventuali articolazioni ritenute opportune, per esempio per una più efficace risposta a particolari comportamenti di acquisto della clientela, oltre che, come si dirà, in funzione delle strategie di commercializzazione. La determinazione del prezzo di vendita del prodotto porta con sé la contemporanea valorizzazione di un considerevole numero di variabili, sia endogene che esogene, che assommano tutte le considerazioni svolte in precedenza: elasticità della domanda, concorrenza, vincoli legislativi all’interno del settore e così via. Alle scelte di pricing è collegata quindi la quantità obiettivo da vendere, che consentirà di pervenire ad una stima dei ricavi; inoltre, la definizione delle condizioni di vendita (in particolare le condizioni di pagamento), alimenteranno le valutazioni finanziarie in merito al fabbisogno di capitale operativo.Un altro aspetto, particolarmente delicato, compreso in questa sezione è rappresentato dalla presentazione delle strategie di commercializzazione del prodotto. Si tratta, in concreto di definire come strutturare la forza vendite, se affidarsi a metodologie di vendita e distribuzione di tipo diretto oppure indiretto, ricorrendo cioè ad intermediari. Anche in funzione di tale aspetto, muterà infatti la valutazione in termini di pricing.È di tutta evidenza che la fase del piano delle vendite tendente a definire il prezzo di vendita si pone in strettissima correlazione con la sezione relativa al piano di produzione e, quindi, alla determinazione del costo di prodotto. Il prezzo di vendita, in termini generali, è legato al valore che il mercato riconosce nella proposta aziendale, mentre i costi dipendono dalle risorse che l’azienda intende impiegare e dalla modalità di realizzazione dell’attività. La valutazione del grado di economicità del progetto si pone naturalmente in un’ottica complessiva, che potrebbe richiedere successive revisioni delle proposte inizialmente formulate. Nel piano di marketing viene rappresentata la strategia che l’azienda intende implementare al fine di comunicare e promuovere il prodotto e la propria immagine, definendo altresì i costi che le azioni da intraprendere comporteranno . Nel caso specifico, si evidenzia che ci si trova di fronte ad attività per le quali difficile appare la valutazione relativa al rapporto fra costi sostenuti e benefici di futuro godimento.Definito il posizionamento del prodotto, il settore di riferimento ed il livello di prezzi da praticare, si tratta quindi di spiegare in che modo l’impresa intenda sfruttare le opportunità evidenziate nella precedente analisi, per esempio in termini di utilizzo dei canali promozionali e di comunicazione. Per

una attività che nasce e tende a svilupparsi, è infatti imprescindibile “farsi conoscere nel modo giusto”. Il piano di marketing può essere strutturato nei modi più vari; ciò che dovrà essere rispettato, nella fase di comunicazione, sarà la necessità di effettuare una presentazione che corrisponda con il maggior grado di coerenza e precisione possibile alle caratteristiche dell’azienda e della sua proposta.

Il piano della produzione

Tra gli elementi da considerare nella preparazione di un business plan figurano le modalità con cui l’impresa intende realizzare i propri prodotti. Quindi, una volta definito il piano delle vendite ed elaborato il piano di marketing, si passa ad elaborare il piano della produzione. Si tratta in questa fase di presentare le risorse da impiegare ed i processi produttivi, articolati nelle diverse attività, svolte internamente o esternamente, che consentiranno di ottenere il prodotto. Le risorse possono essere definite come gli elementi necessari all’impresa per produrre un determinato bene. Il termine solitamente si riferisce a impianti di produzione, macchinari, attrezzature, materiali e risorse umane. Ognuno di questi elementi deve essere preso in considerazione in maniera più o meno approfondita a seconda della rilevanza e del peso che lo stesso ricopre all’interno del processo aziendale. È inoltre opportuno che vengano fornite indicazioni sulla supply chain, anche in termini di localizzazione geografica almeno dei principali fornitori individuati, oltre che naturalmente sulla loro natura e sul ruolo che svolgeranno nel processo produttivo. Per fare questo sarà necessario descrivere l’attività in ogni sua fase e individuare le risorse necessarie per ogni stadio del processo produttivo. Riguardo alle risorse umane impiegate nel processo produttivo, sarà utile descrivere non solo le tipologie di figure organizzative e le relative mansioni specifiche, ma anche le competenze e le eventuali specializzazioni richieste.La modalità prescelta di acquisizione delle risorse (per esempio, per i beni materiali, acquisto, affitto, leasing, e così via; per le risorse umane assunzione a tempo indeterminato, determinato, altre tipologie contrattuali) supporterà la costruzione delle previsioni economico-finanziarie, posto che tali differenti scelte avranno, come è facile capire, impatti diversi per l’azienda.Dopo aver definito i fattori della produzione, è importante illustrare il processo produttivo che si intende realizzare, indicando quali fasi del processo si svolgeranno internamente e quali invece esternamente. Molte imprese di nuova costituzione,

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6 Cfr. Legge n. 221/2012 e s.m.i.7 Cfr. Legge n. 221/2012 e s.m.i.

infatti, riducono il fabbisogno iniziale di capitale optando per il ricorso a fornitori esterni per lo svolgimento di determinate attività. Tale scelta deve essere supportata da un’attenta analisi sia qualitativa che economico-finanziaria (decisioni di make or buy), cogliendo anche eventuali ripercussioni sul piano della significatività dell’attività oggetto di valutazione, per esempio sul piano della sua rilevanza in ottica di creazione del valore. È suggeribile inoltre specificare le scelte compiute in merito alla localizzazione delle diverse attività ed alle motivazioni alla base di queste. È opportuno anche cogliere le criticità connesse al processo produttivo: per esempio, la tematica della gestione delle scorte potrebbe rivestire una rilevanza particolarmente elevata in taluni casi, mentre in altri essere sostanzialmente marginale o del tutto assente. Nella descrizione qualitativa di risorse e processi può essere non solo opportuno, ma in taluni casi addirittura centrale, anche in chiave di vantaggio competitivo, evidenziare specifiche scelte fatte dalla start up in termini ambientali e sociali. Per esempio, evidenziare una scelta di utilizzo di materie prime eco-compatibili (che si ripercuotono anche sulla supply chain, sul piano della selezione dei fornitori anche in base a criteri ambientali e sociali), l’adozione di tecnologie “pulite”, una particolare attenzione al tema della salute e sicurezza sul lavoro e così via. Un passaggio imprescindibile è naturalmente la valutazione della fattibilità del piano delle vendite, ovvero la verifica che la capacità produttiva rappresentata ne consenta la realizzazione valutando altresì, per esempio, la possibilità di risposta dell’azienda in ipotesi di un rapido aumento dei volumi di vendita.Si evidenzia che è naturalmente opportuno dedicare spazio anche alla rappresentazione degli altri ambiti di attività aziendali, diversi da quelli finora considerati (commerciale, marketing e produzione), indicando le risorse che verranno impiegate, unitamente ad eventuali precisazioni che si ritenga importante evidenziare. Si pensi, per esempio, all’ambito delle start up innovative6, per le quali una particolare centralità può rivestire l’ambito della “Ricerca e Sviluppo”, che dovrà, in tal caso, trovare trattazione anche approfondita nel documento. I costi relativi alle aree in oggetto influenzano naturalmente il Conto Economico previsionale, il piano degli investimenti e la redditività complessiva dell’azienda.Le risorse che la start up decide di impiegare possono essere classificate in funzione del loro comportamento al variare del volume di attività dell’azienda, individuando così costi fissi e costi variabili, oltre a costi “misti”, una distinzione che poi supporterà la costruzione del Conto Economico previsionale e la lettura dei margini di contribuzione.

Un esempio potrebbe essere la mano d’opera diretta che se facilmente ricollocabile può essere considerata costo variabile e quindi direttamente imputabile al primo margine di contribuzione (ricavi di vendita – costi variabili = primo margine di contribuzione).

Management e organizzazione

Elemento nella maggior parte dei casi indispensabile nella redazione di un business plan è la descrizione dell’organizzazione. Nell’avvio di una nuova impresa, le decisioni relative alla struttura aziendale rappresentano forse la parte più complicata in quanto entrano in gioco più che in ogni altro tipo di scelta aspetti che riguardano le singole persone che costituiscono la nuova realtà aziendale.Il disegno della struttura societaria e del vertice aziendale che dovrà assumere le decisioni è fondamentale. Molto spesso la maggior parte dei potenziali finanziatori basa le proprie valutazioni in merito all’investimento in una determinata società in funzione delle competenze ed esperienze dell’imprenditore e del team manageriale. In questa sezione del business plan si presentano quindi in modo più dettagliato i profili degli attori chiave (anticipati in maniera sintetica nella descrizione del progetto imprenditoriale), evidenziandone gli elementi sinergici rispetto all’attività aziendale che si intende avviare (nel caso di start up innovativa sono previsti specifici requisiti per dipendenti e collaboratori7). In base a tali elementi, si definisce di conseguenza la struttura organizzativa ed i meccanismi operativi, che descrivono, rispettivamente, come si è deciso di dividere ed assegnare i compiti e le responsabilità all’interno dell’azienda e quali sono i meccanismi e le procedure che si intendono utilizzare per selezionare, formare, motivare controllare e coordinare il personale dell’azienda e, più in generale, tutti coloro che collaborano con la stessa. In tale fase, il piano dovrà quindi svilupparsi attraverso un percorso volto alla definizione degli aspetti relativi al gruppo dirigente, all’organigramma, alla politica ed alla strategia del personale. Potrebbe essere opportuno accompagnare l’organigramma da una spiegazione maggiormente dettagliata, fornendo ulteriori precisazioni in merito ai rapporti gerarchici ed alla suddivisione delle responsabilità nella start up. In genere, soprattutto in fase di implementazione della nuova attività mediante costituzione di una società ex-novo, le persone coinvolte nelle fasi iniziali di pianificazione e di realizzazione non sono generalmente molto numerose.

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Il piano degli investimenti

L’imprenditore, al momento della redazione del piano degli investimenti dell’azienda, ha già disponibili informazioni di base dalle precedenti sezioni, relativamente alle risorse che si ritiene di impiegare nei diversi ambiti di attività (in particolare ci si riferisce al piano della produzione e al piano delle vendite e di marketing, oltre che alla parte dedicata alle altre attività). Per le risorse ad utilità pluriennale, concretamente, è opportuno richiedere preventivi, nell’ottica di individuare la soluzione migliore, per tradurre ogni voce valutata in una possibile proiezione economica, patrimoniale e finanziaria. Le informazioni acquisite in questa fase supporteranno le valutazioni complessive in termini di fattibilità economico-finanziaria del progetto, per esempio considerando la possibilità di disporre di un capitale sufficiente per affrontare le carenze di liquidità che generalmente si manifestano inizialmente, nonché ulteriori riserve di capitale per far fronte ad eventuali scostamenti dai risultati attesi, oppure al fine di essere in grado di fronteggiare problemi imprevisti. Naturalmente, il fabbisogno finanziario previsto dall’imprenditore deve essere in linea con il resto del piano. Da un punto di vista operativo, in particolare nella progettazione di nuove attività di particolare complessità e di maggiori dimensioni, l’imprenditore redige una serie di piani di investimento che riassumono le diverse alternative operative e le valuta sia da un punto di vista tecnico che economico-finanziario per individuare l’iniziativa più soddisfacente rispetto agli obiettivi strategici. Sarà opportuno predisporre una scheda che riepiloghi gli aspetti analizzati in precedenza per ogni singolo investimento ed in cui riassumere sia i dati utili ai fini di un’analisi economica, sia i dati di natura tecnica in modo da essere meglio individuabili da investitori esperti del settore proprio della nuova attività. I dati così raccolti ed identificati per ogni singolo investimento dovranno poi essere riepilogati in un’ulteriore tabella di sintesi. È del tutto evidente che il piano predisposto con riferimento agli investimenti dovrà essere attentamente comparato con quelle che si presumono essere le risorse finanziarie disponibili o di possibile futuro reperimento, al fine di consentire di decidere quali e quanti investimenti effettuare nel periodo di riferimento del business plan.

Il piano dei finanziamenti

L’analisi degli aspetti finanziari nel business plan è attività indispensabile in quanto, dopo avere

determinato in via preventiva il fabbisogno di capitale necessario, si rende indispensabile la tempestiva impostazione dell’opportuno sistema delle fonti di copertura. La verifica di fattibilità finanziaria e l’analisi delle opportunità possibili sono situazioni di continua valutazione che si innestano in un procedimento di pianificazione strategica e che costituiscono un momento determinante per il supporto delle decisioni di impresa.Il punto da cui partire per compiere le analisi sulla struttura di capitale richiesta è la determinazione del capitale necessario per l’avvio dell’attività, per l’acquisizione di beni materiali ed immateriali, per esempio attrezzature, scorte, immobili, brevetti, software, e così via unitamente ad altri costi di avviamento (per esempio: spese notarili). Una volta definiti gli impieghi dei fondi, l’imprenditore deve individuarne le fonti potenziali. Molto spesso, come è stato sottolineato in precedenza, lo scopo principale della redazione di un business plan è quello del reperimento dei finanziamenti necessari per consentire lo start-up della nuova attività. Pertanto, questa fase del progetto assume una rilevanza del tutto particolare in quanto dovrà essere indicato il mix delle fonti di finanziamento che si reputano le più consone a far fronte agli impieghi previsti ed individuati i possibili soggetti investitori e finanziatori: una regola fondamentale sarà quella di essere il più possibile selettivi nella scelta dei destinatari del business plan, al fine di reperimento dei finanziamenti, puntando a coinvolgere in particolare le tipologie di soggetti che si ritiene maggiormente adeguati nell’ottica della realizzazione del progetto. Ciò è particolarmente importante per un’impresa di nuova costituzione, per cui non è insolita la determinazione di perdite di esercizio nel periodo iniziale di attività. Questo rende imprescindibile un apporto di risorse data l’incapacità dell’azienda di autofinanziarsi, acuendo la criticità della presentazione di un progetto complessivamente sostenibile nel tempo, per un coinvolgimento mirato di investitori e finanziatori consapevoli dell’impegno richiesto soprattutto nella fase iniziale.

Le proiezioni economico-finanziarie

Le proiezioni economico-finanziarie rappresentano la parte conclusiva del business plan. È di facile ed immediata intuizione come un business plan non si possa considerare del tutto completo qualora non contenga un’elaborazione delle conseguenze economiche e finanziarie connesse alla realizzazione del progetto imprenditoriale, articolate per periodo annuale. Le proiezioni di tipo economico-finanziario

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8 I prospetti presentati nel business plan destinato all’esterno solitamente sono caratterizzati da un più elevato grado di sintesi rispetto all’informativa interna.9 Cfr. Legge 221/2012 e s.m.i.; D.M. 30.01.2014; C.M. 16/2014 dell’11.06.2014.

si estrinsecano fondamentalmente in una rappresentazione di un bilancio costituito da uno Stato Patrimoniale e da un Conto Economico previsionali, da un prospetto in grado di evidenziare i flussi di cassa generati del progetto imprenditoriale. Solitamente a tali prospetti di sintesi si affiancano informazioni relative al fatturato di pareggio, ovvero al fatturato che consentirebbe all’impresa di coprire i costi sostenuti nello svolgimento dell’attività.È importante non considerare l’elaborazione delle proiezioni economiche e finanziarie come strumenti utili a soddisfare in via esclusiva esigenze esterne, poiché rilevante è la loro valenza interna8. In relazione a queste ultime, è soprattutto in questa fase che il business plan può svolgere appieno la sua funzione di strumento di apprendimento e di ulteriore affinamento del progetto imprenditoriale per il management, in quanto strumento in grado di fare comprendere come si potrà evolvere in futuro il business aziendale, quali saranno i fattori ed i valori chiave da monitorare.Con riferimento più in particolare alla realizzazione di un bilancio previsionale, lo stesso sarà indispensabile per permettere all’imprenditore di valutare la convenienza economica della nuova iniziativa, nonché di analizzare la sua fattibilità a livello finanziario.Dal punto di vista economico, un progetto imprenditoriale risulta essere fattibile se consente di raggiungere in tempi “ragionevoli” un equilibrio reddituale e, successivamente, un risultato economico positivo. Per quanto riguarda la fattibilità del progetto dal punto di vista finanziario, tale fase è di estrema importanza perché consente al potenziale investitore di compiere valutazioni in merito ai tassi di rendimento derivanti dall’investimento di capitali nel progetto stesso, ed al potenziale finanziatore di valutare la capacità dell’imprenditore di rimborsare il prestito ottenuto. Soprattutto per una attività nuova o appena avviata, poiché è evidente che l’analisi dei dati finanziari previsti presenta molto spesso un certo grado di incertezza, è opportuno ipotizzare diverse situazioni finanziarie, anche se non tutte da rappresentarsi all’interno del business plan destinato all’esterno. Nell’elaborare i bilanci previsionali è molto importante costruire modelli di simulazione al loro interno coerenti, nei quali i valori siano legati gli uni gli altri il più possibile da formule matematiche. Tutto ciò consente di comprendere meglio l’attività imprenditoriale che si sta progettando, catturando i principali nessi di causalità tra le variabili rappresentate, individuando quelle a maggior grado di criticità, ovvero quelle che possono influenzare in misura più elevata i risultati, supportando così il processo decisionale. In particolare, come già

evidenziato, un coerente bilancio previsionale deve costituire lo strumento di guida per l’imprenditore, da monitorare e confrontare con i risultati consuntivi una volta che si è cominciato ad operare. Con riferimento al Conto Economico, si dovrà provvedere a presentare in forma sintetica i risultati economici dell’iniziativa futura. Solitamente, il Conto Economico previsionale prevede l’esposizione di costi e ricavi articolati per area gestionale (attività caratteristica, accessoria, finanziaria, straordinaria), con l’individuazione di risultati intermedi, nonché l’ipotesi di tassazione prevista (nel caso specifico di start up innovative, dovranno naturalmente essere rappresentati i più favorevoli aspetti fiscali previsti dal legislatore9). Per rendere più significativa l’analisi, potrebbe essere opportuno disaggregare l’area della gestione caratteristica in dimensioni rilevanti (per esempio, per tipologia di prodotto, area geografica, e così via), con evidenza dell’incidenza percentuale sul fatturato. Un eventuale confronto con dati di settore (se disponibili) può consentire di meglio apprezzare i risultati previsti, nonché l’attendibilità delle proiezioni. Da un’analisi di questo tipo, l’imprenditore sarà in grado di valutare, per esempio, se e quando possano ricorrere rischi e squilibri a livello patrimoniale, se al momento dello start-up oppure in un momento successivo. L’analisi dei bilanci previsionali viene solitamente affiancata dalla determinazione di indici che permettono di valutare le situazioni di rischio potenziale in precedenza analizzate. Molto spesso, per consentire la corretta valorizzazione di tali indici, è necessario provvedere ad una riclassificazione dei bilanci previsionali attraverso differenti schemi. Gli indicatori che vengono adottati più di frequente ai fini dell’analisi sono, come noto: indici di redditività, indici di liquidità, indici di struttura (o di indebitamento). È opportuno evidenziare come l’analisi per indici possa essere compiuta per le attività di nuova costituzione esclusivamente su bilanci previsionali.La proiezione dei flussi di cassa attesi dal progetto riveste un’importanza fondamentale nell’ambito delle proiezioni economico-finanziarie. La programmazione di incassi e pagamenti è un momento centrale nella valutazione di ogni iniziativa imprenditoriale, soprattutto se totalmente nuova: almeno inizialmente, tale aspetto è molto più importante della redditività, in quanto più direttamente collegato alla capacità di sopravvivenza dell’impresa (ovviamente, nel tempo si dovrà puntare a conseguire condizioni di economicità complessive).Con tale fase trova completamento la definizione organica delle ripercussioni economiche, patrimoniali e finanziarie, evidenziando le

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reciproche connessioni: è il primo momento in cui è veramente possibile verificare, nel complesso, la fattibilità della nuova iniziativa imprenditoriale. Mentre la verifica della sostenibilità economica consente di apprezzare la redditività attesa del progetto, e la simulazione della sua dinamica nel tempo, con l’analisi della sostenibilità finanziaria si può constatare se le risorse finanziarie globali siano o meno adeguate a fare fronte alle necessità, unitamente al fatto che gli interessi su eventuali finanziamenti non gravino eccessivamente sulla redditività della start up. Un’altra rilevante determinante del fabbisogno finanziario, da considerare e rappresentare nelle valutazioni è rappresentata dalla capacità di autofinanziamento. In generale, se la nuova azienda consegue utili che non vengono distribuiti, questi rappresentano una fonte che contribuisce a coprire gli impieghi, riducendo così la necessità di ricorrere a finanziamenti di terzi o ad immissioni di capitale sociale. Se, al contrario, la gestione comporta delle perdite, evento molto probabile al momento di start-up di una nuova iniziativa imprenditoriale, le stesse generano una diminuzione del capitale netto e, a parità di ogni altra condizione, si determina una crescita del fabbisogno che deve essere coperto con finanziamenti di terzi o con immissioni di capitale sociale. Nel caso delle start up innovative, questo aspetto costituisce un elemento importante da considerare, posto che è legislativamente previsto il divieto di distribuzione degli utili per l’intero periodo in cui la società è qualificata come tale.

Considerazioni conclusive

Alla luce della trattazione svolta nelle pagine precedenti, è possibile osservare come la costruzione di un piano economico-aziendale non rappresenti semplicemente un mero esercizio formale di aggregazione di dati contabili o di applicazione di proiezioni matematiche di valori in un arco temporale di medio lungo termine, quanto piuttosto un processo, a volte complesso e articolato, in cui ciascuna fase di elaborazione necessita di specifiche e approfondite riflessioni, da ricondursi poi a sintesi ordinata unitamente alle altre indicazioni presentate all’interno delle altre sezioni del medesimo piano.È altresì importante evidenziare come tale complessità risulti essere ancora maggiore in quelle realtà aziendali in cui il progetto imprenditoriale non si realizzi all’interno di una realtà preesistente sotto forma di ampliamento della gamma di prodotti o di apertura di nuovi sedi produttive, ma sia rappresentato da un vero e proprio nuovo progetto imprenditoriale da sviluppare ex novo mediante la costituzione di una nuova impresa.

Tale fase di start up della nuova impresa sarà ancora più delicata nel caso si tratti di una iniziativa aziendale caratterizzata da prodotti o servizi che potranno essere realizzati attraverso significative attività di ricerca e sviluppo. Tali realtà imprenditoriali, come visto, si identificano in quelle che sono comunemente denominate start up innovative, e che, sotto il profilo legislativo, ha stabilito l’applicazione di misure agevolative, nonché di deroghe rispetto a strutture e caratteristiche tipiche delle imprese “tradizionali”, che riguardano al contempo elementi di diritto societario, tributario, nonché di diritto fallimentare e del lavoro.In tale contesto, lo strumento del business plan assume un’importanza determinante nell’indirizzare le scelte del neo imprenditore affinché si possa orientare verso lo scenario in grado di garantire la più ampia fattibilità del progetto delineato. Si ribadisce l’importanza di evitare una focalizzazione pressoché esclusiva del documento su aspetti financial, considerato che, proprio in realtà aziendali quali sono le start up, non è affatto raro che aspetti di carattere ambientale e sociale possano rivestire una notevole rilevanza anche in termini di generazione di vantaggio competitivo, in grado di produrre sinergie con la variabile economico-finanziaria, oltre che, naturalmente, costituire dimensioni strategiche da rappresentare compiutamente e tradurre in obiettivi di medio-lungo termine. Tale attività potrà essere fatta in autonomia dall’impresa; ma considerate le molteplici competenze che necessitano per la costruzione di un coerente piano aziendale, spesso il concorso di professionisti e consulenti aziendali può risultare essere determinante per la buona definizione del piano stesso.

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1 Cfr. a cura dello stesso autore «Pianificazione e controllo della produzione: dal piano strategico alla realizzazione del prodotto» in Controllo di gestione n. 3/2014.2 Cfr. a cura dello stesso autore «Pianificazione e controllo della produzione: il sales&operations Planning», in Controllo di gestione n. 4/2014.

Molte aziende hanno già affrontato, o si apprestano ad affrontare, progetti di revisione organizzativa importanti ed

invasivi, quali ad esempio la sostituzione del sistema informativo aziendale con una soluzione di tipo ERP. Sono tuttavia pochissime le aziende che, pur aderendo alle best practice sottintese da progetti di questa portata, hanno affrontato il tema delle metriche per misurare le performance effettive di tale attività di revisione, se non a posteriori oppure applicando un metodo «induttivo», che «generalizza» l’esperienza positiva degli altri. Pertanto, quali sono le metriche che dovrebbero essere prese in considerazione per verificare numericamente i miglioramenti che la propria supply chain ha implementato proprio grazie alla revisione strategica, organizzativa oppure operativa di taluni processi? Definite tali metriche, con quale approccio devono essere misurate, monitorate e controllate nel tempo? Lo SCOR model è nato e si è affermato proprio per dare risposta a questi interrogativi.

Generalità

Il disallineamento tra la supply chain delle aziende manifatturiere e la strategia, generata per servire i propri segmenti di mercato1, può essere riconducibile a differenti motivazioni, quali:1) assenza di un piano organico di investimento in tecnologia che parta dal miglioramento dell’organizzazione. L’essere al giorno d’oggi letteralmente immersi in un’offerta di strumenti tecnologici all’avanguardia, non è di per sé un motivo valido per acquisirli, soprattutto se l’organizzazione non è in grado, per struttura e/o cultura, di sopportarne l’impatto e capirne l’uso efficiente.2) Incapacità nel calcolare il ROI dell’investimento in tecnologia. Spesso un’installazione ERP potrebbe rivelarsi estremamente ricca di funzionalità e moduli per i quali, tuttavia, non si è in grado di misurare il reale ritorno dell’investimento.

3) Strategie aziendali calate dall’alto senza il necessario coinvolgimento formale dell’intero sistema azienda. Altrettanto spesso, viceversa, spinte di innovazione si scontrano con una scarsa capacità di comprensione e quindi di committment dei livelli gerarchici più alti, il che è condizione sufficiente per il fallimento di ogni progetto di innovazione.4) Mancanza di priorità evidenti e rispettate nei progetti di innovazione. Si consideri un’azienda che, a seguito di un forte coinvolgimento dei suoi manager ed executive, prepari un piano di investimento pluriennale a vasto raggio, che indichi, ad esempio, 5 progetti ad alta priorità; i manager iniziano i loro progetti assegnati, ma ben presto si accorgono di una concorrenza di risorse nei progetti stessi e iniziano a non rispettare le scadenze; l’allineamento degli obiettivi, la loro raggiungibilità e soprattutto la loro priorità è un elemento vitale per il successo degli stessi.5) Piano di Sales&Operations sbagliato o del tutto assente. Si tratta di un elemento poco conosciuto dalle aziende italiane e, per questo motivo, fonte di problemi senza un «padre» evidente. Il Sales&Operations Planning2 è quel processo formale che dovrebbe portare l’azienda dall’iniziale idea di business (nuovo prodotto, nuovo modello, nuova campagna vendita…) alla concretizzazione del business plan che supporta monetariamente tale idea di business trasformando e proiettando l’uso delle risorse aziendali in prodotti finiti fisici da realizzare, con un rate stabilito di produzione che tenga conto della reale capacità produttiva dell’azienda in termini di impianti, macchinari, skill, eventuali investimenti a corredo, livelli di magazzino ipotizzati…È evidente che il Sales&Operations Planning si può definire come un primo agreement tra produzione e vendite, che deve, per quanto indicato, coinvolgere le diverse funzioni aziendali core (sicuramente produzione, amministrazione/finanza e vendite). Se tale piano è calato dall’alto senza la necessaria condivisione di temi e problemi di pertinenza di ogni funzione e di respiro cross, si rischia di saltare un passaggio fondamentale nella creazione del piano di produzione eliminandone la sua funzione di shock absorber e scaricando tutte le variazioni direttamente

di Bruno StefanuttiCPIM CSCP. Amministratore di Consept, International Channel Partner APICS società di consulenza specializzata in organizzazione, processi e tecnologia

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sul piano esecutivo di fabbrica, con il risultato di amplificare i problemi gestionali su tutti i livelli di distinta base del prodotto.6) Disallineamento tra cultura aziendale e sistema ERP. L’impostazione di un sistema ERP può avvenire per processi e non per funzioni; quindi, se l’azienda è organizzata per funzioni e non intende modificare questa impostazione, tenderà a far funzionare il sistema ERP in modo improprio; ecco il fiorire di personalizzazioni e di modifiche nell’implementazione causate non da reali esigenze ma da una mancanza di prerequisiti culturali sull’architettura di tali sistemi.7) Gestione di una scala di business più ampia ma senza l’adeguata organizzazione e gli adeguati strumenti. L’azienda, magari grazie a fusioni, acquisizioni o aumentata presenza in mercati esteri, rivela una marcata mancanza di flessibilità ad adeguarsi al cambiamento, il che può essere travolgente in modo drammatico, portando, tanto quanto l’assenza di lavoro, a una crisi aziendale.Il punto saliente di ognuno degli aspetti elencati è sicuramente la loro stretta dipendenza dal tema dell’organizzazione dei propri processi da un punto di vista non di pura funzione aziendale, ma di difficoltà nell’attuare una visione trasversale dell’asse delle attività da mettere in campo per realizzare il prodotto/servizio richiesto dal mercato. Da un punto di vista più operativo, tuttavia, un’azione pur forte in quella direzione non basterebbe per rispondere ad una delle domande più importanti che la direzione aziendale potrebbe (e dovrebbe) porre qualora le venga sottoposto un qualsiasi progetto che miri ad un innalzamento del livello di servizio ed efficienza dei processi. Pertanto supponendo anche di mettere in campo sforzi a 360 gradi per migliorare la cultura aziendale ed, in ultima analisi, allineare efficacemente strategia ed organizzazione che quella strategia deve attuare, come sono misurati gli effettivi miglioramenti delle azioni che si vogliono implementare? E quand’anche venissero estratte delle metriche in tal senso, come si può avere la certezza che tali metriche di comportamento siano davvero migliori rispetto ai competitor, ovvero confrontabili omogeneamente alle loro? Il contributo mira ad introdurre il lettore agli strumenti necessari a rispondere a questa questione centrale del supply chain management strategico.

Il Supply Chain Council (SCC)

Il Supply Chain Council è un’organizzazione no profit indipendente, nata nel 1996 negli Stati Uniti e confluita nel settembre 2014 all’interno di APICS, con il compito di sviluppare un modello di supply chain che prevedesse:

– una definizione standard per i processi caratterizzanti la supply chain;– delle metriche di misura che consentissero la valutazione delle perfomance di detti processi;– una serie di linee guida per gestire e monitorare correttamente tali processi.Lo SCOR model (Supply Chain Operations Reference Model) è il risultato di questa attività di sviluppo. Si tratta di un framework che combina elementi di business process reengineering, metriche di misura dei processi, benchmarking, pratiche di leadership e linee guida, con indicazioni anche relative agli skill tipici del personale afferente ai vari processi, allo scopo di rappresentare una supply chain efficiente ed efficace sotto tutti i punti di vista.

Generalità sullo SCOR Model

La letteratura offre un ricco insieme di testi, analisi e trattati che definiscono modelli di riferimento organizzativo per l’analisi ed il miglioramento continuo della propria supply chain.Cosa rende, allora, il modello SCOR diverso da ogni altro modello di riferimento per l’organizzazione ottimale della supply chain? Uno dei concetti meno compresi, al di fuori del Supply Chain Council, è che il modello SCOR è molto più di uno strumento per la creazione di grafici dei processi o attività di approvvigionamento, produzione oppure consegna di beni/servizi al cliente. Lo SCOR Model è, piuttosto, un modello di riferimento per i processi aziendali che collega la descrizione del processo e la sua definizione a parametri numerici che lo caratterizzano, alle best practice di riferimento organizzativo per la sua completa descrizione ed alla tecnologia «tipica» per una sua gestione efficace ed efficiente. Anche se molto semplice, tale modello si dimostra essere uno strumento potente e robusto per descrivere, analizzare e migliorare la supply chain nel suo complesso. Il campo di applicazione del modello SCOR include tutti gli elementi caratteristici della catena del valore, a partire dalla generazione del fabbisogno del cliente fino alla fatturazione del bene/servizio, passando per tutte le fasi intermedie di previsione, pianificazione della produzione, produzione, approvvigionamento, gestione dei magazzini, spedizione e fatturazione. D’altra parte, lo SCOR Model parte dal presupposto che nella supply chain ci siano elementi/processi da poter analizzare come il training, la qualità, l’information technology (IT) e le attività di amministrazione societaria in senso lato. Come illustrato nella Tavola 1, lo SCOR Model utilizza un approccio a blocchi, basato su cinque processi di gestione fondamentali atti a descrivere, in tutta la generalità ed in qualsiasi

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3 Da qui anche una prima sfida per l’aderenza al modello, ovvero la necessità di passare da una visione dell’azienda per funzioni ad una visione per processi.

settore merceologico di beni e servizi, la supply chain. Tali processi sono: 1) plan;2) source;3) make;4) delivery;5) return.Questi processi, che spesso possono anche non rappresentare tradizionali funzioni aziendali o dipartimenti3, esistono all’interno delle aziende considerate come elementi in input od output della supply chain che si sta esaminando. I «membri» che compaiono ad ogni estremità della rappresentazione di Tavola 1 (ad esempio un fornitore di materia prima sul lato di sinistra oppure un outlet sul lato di destra) attivano solo due processi, ovvero il Delivery&Return «lato fornitore» e il Sourcing&Return «lato cliente». Benché il modello contenga solo due livelli di cliente e fornitore, esso può essere applicato a supply chain contenenti molte aziende interconnesse. Come si vedrà nella descrizione di ogni processo componente, i processi stessi contengono e prevedono un ricco dettaglio di attività aziendali. All’immediata destra dell’area centrale della Tavola 1, che rappresenta l’azienda in esame, si trova il primo livello dei clienti aziendali, che possono essere sia interni che esterni: analogamente, sulla prima sinistra si colloca il primo livello dei fornitori aziendali. Come ricordato sopra, il modello si spinge

fino due livelli in entrambe le direzioni (destra e sinistra); il secondo livello sia di clienti che di fornitori viene assunto essere esterno.Questo approccio permette una descrizione della supply chain di tipo modulare per essere assemblata tra le aziende, all’interno e all’esterno, tra i segmenti del settore e tra aree geografiche. Attraverso l’uso di questo approccio, non è solo facile modellare le attività esternalizzate, ma si gestisce uno strumento prezioso per valutare le prestazioni di terze parti e determinare il vantaggio strategico/finanziario delle attività in outsourcing della catena di fornitura.Come detto, ogni elemento organizzativo all’interno della catena può avere tutti o parte dei processi di tipo Plan, Source, Make e Deliver. Nello specifico: 1) Plan: sono i processi orientati a bilanciare le risorse con i fabbisogni, stabilendo/comunicando i piani relativi per l’intera supply chain, inclusi il processo di Return e i processi esecutivi di Source, Make e Deliver. Si tratta di processi di definizione e gestione delle regole di business, dei criteri di performance, definizione delle fonti di approvvigionamento; condivisione delle regole con cui stabilire la priorità di produzione degli ordini ricevuti e da ricevere, pianificare il livello dei magazzini periferici nel caso di aziende che debbano gestire la distribuzione del prodotto, ivi compresa l’analisi della capacità necessaria a sostenere un

Tavola 1 – Schema a blocchi dello SCOR Model

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piano di distribuzione dei prodotti verso i canali che raggiungono il cliente finale.2) Source: processi per ottenere, ricevere, ispezionare, trattenere, far uscire, autorizzare pagamenti per le materie prime, semilavorati e prodotti finiti acquistati.3) Deliver: processi per eseguire la gestione ordini, generare quotazioni, configurazioni di prodotto, creare e mantenere archivi di clienti, mantenere un listino prodotto/prezzo, gestire la contabilità degli incassi, i crediti e la fatturazione, eseguire processi di magazzino quali il picking, il packing e la configurazione del packaging, creare specifici packaging/etichettature per cliente, consolidare gli ordini cliente, spedire i prodotti, gestire i processi di trasporto e l’import/export, verificare le performance.4) Return: rientrano in questa categoria tutti i processi aventi come focus il reso di materie prime oppure il reso di prodotti finiti; processi per la gestione di garanzie e difettosità, schedulazioni, ispezioni, trasferimenti, gestione amministrativa delle garanzie, ricezione e verifica dei prodotti difettosi, rimpiazzo e disposizione degli stessi. In aggiunta, lo SCOR Model include una serie di elementi enable per ogni processo, i quali focalizzano l’attenzione sulle performance, sulla gestione delle informazioni, sulle policy, sulle strategie di magazzino, sugli asset, sui trasporti, sul network logistico, sui regolamenti e altre attività di gestione tali da consentire al management di abilitare la pianificazione e l’esecuzione delle attività della supply chain.

Lo SCOR Model e le metriche di performance della supply chain

Come appare già dalla descrizione generale, lo SCOR si presenta come un modello di riferimento per tutti i processi aziendali. Si tratta quindi di un modello che integra elementi del processo, un sistema di misura, le best practice e le caratteristiche associate all’esecuzione di una catena di fornitura in un formato unico. Esso ha la caratteristica di fornire una visione orizzontale equilibrata (tra processi) e verticale (gerarchica) rispetto ai classici modelli organizzativi di cui la letteratura è ricca. L’uso di un modello di processo di riferimento consente alle aziende di comunicare usando terminologie comuni e descrizioni standardizzate che aiutano non solo a comprendere l’intero processo dalla supply chain ma anche e le best practice che sorreggono ed abilitano l’ottimizzazione del processo stesso.Il modello SCOR è il primo modello in letteratura che fornisce descrizioni standardizzate per le

migliaia di attività che compongono i processi caratteristici di qualsiasi catena di fornitura e, cosa ancora più importante, lo SCOR model arriva a definire delle metriche di prestazione oggettiva di tali attività/processi, che possono essere di grande ausilio ai manager per verificare il corretto andamento delle attività aziendali secondo gli obiettivi stabiliti o rispetto all’andamento dei competitor di mercato. È evidente che la definizione di metriche precise consente a tutti i reparti e funzioni coinvolte nello sviluppo e nella gestione delle attività aziendali di collaborare in modo efficace, essendo chiari e condivisi gli obiettivi da raggiungere. Come si vedrà in seguito nella descrizione della metodologia da seguire per implementare un processo di revisione organizzativa basato sullo SCOR Model, tale rappresentazione consente di catturare lo stato as-is del processo per poi trarne lo stato futuro to-be anche tramite analisi e quantificazione delle performance operative di aziende simili (benchmarking), che consentono di stabilire dei ragionevoli obiettivi interni in base ai risultati best-in-class disponibili. Un percorso ragionevole di miglioramento che si basi sull’applicazione dello SCOR Model potrebbe prevedere i seguenti step:– descrizioni standard degli elementi individuali che compongono i processi della supply chain;– definizioni standard delle misure degli indicatori di prestazione per i processi sotto esame;– descrizione delle migliori pratiche associate ad ogni elemento del processo;– identificazione delle funzionalità del software che consente di implementare tali best practice.

I processi SCOR ed i livelli

Come si è già avuto modo di specificare, il modello SCOR si fonda sullo sviluppo gerarchico (verticale) di 5 distinti macro-processi di gestione (plan, source, make, deliver, return) che sono anche chiamati processi di Livello 1, le cui specificazioni sono via via di dominio dei livelli successivi, in un crescente aumento del dettaglio.Come si può osservare dall’esame delle Tavole 2 e 3, lo SCOR Model include tre livelli di dettaglio di processo formali ed un quarto livello «personalizzabile» dall’azienda.Il livello 1 definisce il numero di supply chain da coinvolgere oltre quello dell’azienda in esame, come le performance vengono misurate (le cosiddette Level 1 metrics) ed i necessari requirement per competere in tali supply chain; il livello 2 definisce la configurazione per la pianificazione e l’esecuzione delle strategie nella gestione dei materiali, usando categorie standard quali il make to stock, make to

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Tavola 2 – Livelli di dettaglio dello SCOR Model

Tavola 3 – Esempio di dettaglio della strategia di produzione MTO nello SCOR Model

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order, engineered to order; il livello 3 definisce i processi di business e le funzionalità operative per gestire ordini di vendita, ordini di acquisto, ordini di produzione, autorizzazioni di reso, ordini di replenishment e forecast. Come detto, il livello 4 non è ufficialmente in scope dello SCOR Model, ma deve essere eventualmente definito dall’azienda per specificare e personalizzare l’implementazione che s’intende effettuare per gestire e migliorare i propri processi. Utenti avanzati definiscono anche un livello 5 relativamente alla configurazione del software a corredo delle attività da svolgere sui livelli superiori.

Lo SCOR Model e le metriche di livello1

Considerando il livello 1 del framework fornito dallo SCOR Model, nella Tavola 4 vengono elencate metriche di interesse.Gli indicatori proposti dal modello SCOR al Livello 1 come agli altri livelli, si riferiscono sempre e comunque ai seguenti cinque attributi:1) supply chain reliability;2) supply chain responsiveness;3) supply chain agility;4) supply chain cost;5) supply chain asset management.La supply chain reliability misura le performance e l’affidabilità della supply chain nell’attività di delivery al cliente finale. Come si può notare della Tavola 3 con la metrica di Livello 1, riportata nella colonna di destra, si intende misurare la consegna del prodotto giusto, nel posto corretto, alla data desiderata dal

cliente, nelle corrette condizioni e di packaging, nella corretta quantità, con la corretta documentazione a corredo ed al cliente giusto. Qualsiasi ordine in cui non venga rispettato anche uno solo dei requisiti sopra citati, va conteggiato come non-perfect order fullfillment. Poiché, come si vedrà nel proseguo, gli ordini clienti sono in generale rappresentati da più righe o posizioni, ognuna delle quali identifica uno specifico prodotto acquistato, è evidente che un’indagine successiva che parta da tale metrica andrà a verificare una metrica legata alla precedente ma con un dettaglio adeguato, che sarà definita ad esempio da una metrica di Livello 2 che andrà ad insistere sulle singole componenti richiamate dalla metrica «madre», come illustrato nelle Tavola 5 e 6.La supply chain responsiveness misura la velocità con cui la supply chain fornisce i prodotti ai propri clienti; in questo caso, la metrica d’interesse è il cosiddetto order fullfillment cycle time, cioè il tempo che intercorre dall’acquisizione di un ordine cliente alla sua consegna. Questa è l’unica metrica relativa alla prontezza di risposta che esiste nel Livello 1. Analogamente a quanto detto sopra, tale metrica prevede, come azione di dettaglio, la misura di tre metriche del secondo Livello, la cui misura separata può concorrere a stabilire un’inclinazione dell’azienda verso una specifica diagnosi in situazioni in cui si verifichi un cycle time più lungo rispetto a quello concordato.La supply chain agility misura l’agilità della supply chain nel rispondere a cambiamenti di volume necessari a mantenere od acquisire vantaggio competitivo. A solo titolo di esempio, l’upside supply

Tavola 4 – Metriche del livello 1 nello SCOR Model

Source: sCOR Overview, supply Chain Council, 2009

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chain flexibility misura il numero di giorni che l’azienda impiega nel rispettare un incremento non pianificato ma sostenibile del 20% nella richiesta di prodotti; chiaramente tale metrica dipende dall’incremento di velocità che ognuno dei processi make, source, deliver and return può assumere all’interno dell’organizzazione.La supply chain costs è una categoria di performance che mira a definire i costi associati con le varie attività coinvolte nella supply chain; esempio di metriche di livello 1 può essere, ad esempio, il costo del venduto oppure il supply chain management cost che rappresenta il costo fisso e variabile dei processi di plan, source, deliver e return. Il supply chain management cost è misurato in relazione a 1000$ di revenue; non include il costo del venduto (costo del processo make), in quanto essa è una metrica a se stante.La supply chain management assets è una categoria che comprende metriche atte a misurare l’efficienza con cui una supply chain gestisce i propri asset a supporto delle proprie attività; un esempio di metriche di livello 1 in questa categoria potrebbero essere il cash-to-cash cycle tyme oppure il return-on-

supply-chain-fixed-assets. Ognuna delle metriche è, evidentemente, illustrata nello SCOR Model in termini di algoritmo di calcolo, sicché l’azienda è nelle condizioni di sviluppare delle vere e proprie query sul sistema informativo in grado di essere da supporto al calcolo di tali indicatori. Come accennato in precedenza, il vantaggio di questo approccio è non solo di poter creare una mappa di indicatori corredati dalle modalità di calcolo degli stessi, ma anche e soprattutto di poterli confrontare con indicatori «di mercato» che caratterizzano aziende concorrenti oppure con indicatori medi caratterizzanti il mercato di riferimento che lo SCOR Model mette a disposizione previo pagamento di una fee da parte dell’azienda interessata alla raccolta di tali dati (benchmarking). Nella Tavola 7 si riporta un esempio di indicatori di Livello 1 caratteristici di un’azienda.Come si nota, oltre al classico confronto numerico dell’indicatore ottenuto con un indicatore di riferimento, esiste anche una differente modalità di rappresentazione dello score ottenuto, che si realizza tramite i cosiddetti percentili, che si

Tavola 5 – Componenti di livello 2 della metrica «perfect order»

Tavola 6 – Componenti di livello 3 della metrica «perfect order»

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appoggiano ad una segmentazione in tre categorie di rappresentazione indicata dalle colonne parity, advantage, superior:– parity è il valore attribuibile a quelle aziende che hanno effettuato una prestazione maggiore del 50 % di tutta la «popolazione» aziendale misurata (percentile 50%, ossia ranking nella media);– advantage è il valore attribuibile a quelle aziende che hanno effettuato una prestazione maggiore del 70 % di tutta la «popolazione» aziendale misurata (percentile 70%);– superior è il valore attribuibile a quelle aziende che hanno effettuato una prestazione maggiore del 90 % di tutta la «popolazione» aziendale misurata (percentile 90 %).Tramite questa rappresentazione «a percentile» l’azienda sarà nelle condizioni di stabilire con quale percentile confrontarsi per ciascun indicatore, abilitando la possibilità di porre in essere un approccio graduale al miglioramento e, soprattutto, sostenibile per l’organizzazione. Pertanto quale può essere l’approccio al miglioramento che un’azienda potrebbe implementare tramite lo SCOR Model?A tal domande è possibile trovare risposta considerando la metrica più facilmente comprensibile, ovvero il cosiddetto perfect order fullfillment, cioè la misura di come la propria supply chain gestisce complessivamente e nel modo corretto la delivery del prodotto al cliente finale. Evidentemente il modello presenta delle linee guida di riferimento; ci si può riferire in modo pedissequo alle metriche definite ma nulla vieta di istituire un “comitato aziendale” incaricato di esaminare tali metriche per verificarne ad esempio modifiche, aggiunte oppure semplicemente l’eliminazione di alcune, magari qualora ritenute

non proritarie nel contesto che si vuole analizzare. Ovviamente, qualora si scenda in un approccio di personalizzazione delle metriche occorre prestare attenzione al fatto che potrebbero esistere dei benchmark di riferimento ufficiali sulla metrica originale ma non sulla metrica modificata. Nel caso in questione del perfect order fullfillment, le «componenti» dell’ordine che devono essere esaminate riguardano: codice prodotto e quantità; data di consegna e cliente; documentazione a corredo; condizioni del packaging. Ogni riga compresa nell’ordine deve essere analizzata dal punto di vista di queste componenti; qualora la componente in questione sia completa per la riga ordine in questione, si associa uno score pari a 1, viceversa 0. Quindi, ogni riga ordine di tipo «perfect» potrà collezionare al massimo uno score pari a 4. La somma degli score in rapporto al massimo punteggio ottenibile darà la metrica per riga ordine e, per aggregazione di righe, per ordine cliente. Con specifico riferimento al perfect order fullfillment, si consideri il caso in cui l’azienda valuti la metrica perfect line fullfillment, ovvero un concetto di perfect fullfillment ma a livello di riga ordine piuttosto che di ordine generale; questa non è una metrica ufficiale SCOR in pratica, essa «simula» la misura del perfect order ma orientandola a livello di singola riga ordine; ad esempio, se in un ordine cliente composto da 10 righe, 5 sono spedite perfettamente secondo la metrica principale e 5 no, anche per un solo degli elementi citati come condizione sine qua non, il perfect order fullfillment sarebbe pari a 0%, mentre questa metrica ora definita porterebbe un valore del 50%; si consideri che molti sistemi ERP operano a livello di riga ordine, il che rende il calcolo sufficientemente semplice.

Tavola 7 – Esempio di indicatori di Livello 1 e percentili

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La raccolta dati

Come si evince anche dall’esempio sopra citato, un passaggio fondamentale nell’approccio allo SCOR Model risiede nella raccolta dei dati che alimenteranno le metriche o, più in generale, la definizione di un vero e proprio processo di collezione dei dati. Esso presuppone prima di tutto la definizione della metrica a cui riferirsi, utilizzando lo SCOR Model; successivamente è necessario definire l’insieme di dettaglio che è alla base di una successiva aggregazione (esempio cliente, prodotto, nazione, ecc..). Inoltre tenendo conto di eventuali disaggregazioni nei dati (i dati coinvolti nelle query che il sistema informativo coinvolge per il calcolo) occorre specificare tabelle, campi, parametri funzionali all’interrogazione. La fase successiva consiste nell’individuare un campione dei dati interessati e definire un team che si occupi della gestione di tali dati anche a livello di verifica di eventuali errori.Affinché le misure abbiano una qualche utilità è evidente che poi, come detto, i dati raccolti dovranno essere comparati tramite l’attività di benchmarking. Per questo esistono due fondamentali fonti di dati: accessi a sottoscrizione con pagamento di fee, oppure le survey sources con le quali l’azienda è chiamata a riempire dei questionari atti ad allargare il campione delle metriche raccolte per definire i benchmark ufficiali.Restando sulla metrica del perfect order fullfillment e passando per la fase di benchmarking di settore con le industrie concorrenti, sarà ragionevole passare ad una fase cosiddetta di defect analysis, ovvero individuare delle motivazioni per le quali i risultati si discostano più o meno sensibilmente dai riferimenti di settore. Ad esempio se un’azienda presenta una metrica di perfect order fullfillment pari al 30,2%, significa che il 69,8% dei suoi ordini non sono perfetti dal punto di vista della definizione per una qualche ragione. In questo caso, il team preposto all’analisi delle metriche deve avviare un’indagine di merito sulle motivazioni per cui quella percentuale di ordini viene classificata come non perfetta. Ad esempio, si potrebbe arrivare a catalogare in un diagramma di Pareto le cause che allontanano l’azienda dalla condizione di perfect order, verificando numericamente quali di queste cause «pesi» sensibilmente più delle altre, consentendo di originare un approccio al problema per priorità. Le varie componenti della metrica potrebbero essere isolate e si potrebbe, di concerto, rifinire le interrogazioni sul sistema per quantificare gli ordini che, ad esempio, si trovano rispettivamente in uno stato di evasione con difetto di quantità, evasione con difetto di data di consegna,

evasione con difetto di documentazione, evasione con difetto di packaging. Ad esempio, qualora la causa principale risiedesse in consegne con quantità difformi rispetto al pattuito, è evidente che potrebbero essere chiamati in causa difettosità di lavorazione, che allontanano dalle quantità stabilite, oppure scarsi controlli durante la fase di spedizione, oppure ancora ritardi nella consegna del versato a magazzino. Come si nota, ognuna di queste possibili cause richiama ad un’indagine più approfondita che individua specifici processi all’interno della propria supply chain, che saranno ragionevolmente processi di livello 3.

La codifica dei livelli dello SCOR Model: ritrovare i propri processi nello standard

Come già sottolineato in precedenza, i livelli formalmente definiti dallo SCOR Model sono 3:– il livello 1 descrive i macro-processi della supply chain universalmente adottati ed accettati per descriverne l’organizzazione ed il funzionamento: plan, source, make, delivery, return;– il livello 2 copre sostanzialmente le strategie adottate dall’azienda nell’affrontare il particolare macro-processo di livello 1 che la identifica; generalmente i processi indicati nel livello 2 sono make to stock, make to order, enginereed to order per i macro-processi source, make and delivery e defective, MRO, e excess per il processo return;– i processi di livello 3 esplodono in maggiore dettaglio un processo di livello 2, attività per attività, e rappresentano il livello strettamente operativo delle attività. Le aziende possono anche sviluppare le proprie attività all’interno dei processi del livello 3, così da originare un livello 4 che, per questo motivo, non è coperto dallo SCOR Model; stesso dicasi per il livello 5, che dovrebbe descrivere per ogni attività del livello 4 e le procedure informatiche di supporto.A titolo di esempio, alcune imprese se non tutte, potrebbero prevedere un task del tipo «ricevere, validare ed inputare a sistema un ordine cliente»; questo è un processo di livello 3 (ad esempio sD1.2). Il livello 4 potrebbe descrivere gli step in cui tale ordine viene ricevuto, ad esempio fax, email, telefono…e viene successivamente validato ed inserito nel sistema; ognuno dei passaggi viene formalizzato con uno step di livello 4. La codifica di processo differisce dal livello; ad esempio i processi di livello 1 sono preceduti da una “s” e dalla maiuscola del macro processo, sicchè si avranno sS, sP, sD, sM, sR, sE; i processi di livello 2 aggiungono un numero a fianco del relativo macro-processo di livello 1 (ad esempio sD1, sM2, ec..), mentre i processi di livello 3 aggiungono al relativo processo

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di livello 2 un «punto» seguito da un progressivo (ad esempio sD1.2, come visto prima). Al livello 2 i processi di Return sono suddivisi nel source return e nel delivery return, sicché si avranno sintassi del tipo sSRx, sDRx per esempio, con le conseguenti declinazioni sul livello 3. Interessante anche notare che lo SCOR Model prevede anche una codifica per gli skill del personale che deve essere coinvolto all’interno dei processi; il modello prevede 5 livelli di competenza del personale che sono: Novice, Beginner, Competent, Proficient, Expert. Tutte le codifiche relative al personale partono con la lettera H seguita da T (training), oppure S (skills), oppure E (experienced) ed infine A (aptitude); ad esempio la codifica HS.00010 individua una risorsa con skill finanziario di tipo basico.

Come affrontare un progetto di innovazione/revisione organizzativa con lo SCOR Model

Dopo aver definito ed inquadrato lo SCOR Model si propone l’applicazione dello stesso per affrontare un progetto di revisione organizzativa.A tal proposito è necessario effettuare 5 passaggi fondamentali: 1) capire l’ambito del progetto attraverso l’individuazione:a) del business cioè capire il mercato di riferimento che la supply chain sta servendo, i prodotti e/o i servizi offerti e la panoramica dei competitor per ogni prodotto e mercato servito;b) della configurazione, cioè capire i processi ad alto livello in un’ottica di diagrammi di flusso «geografico»; quindi partendo dal primo livello scendere ai livelli sottostanti cercando di definire con maggiore dettaglio le attività e le sotto-attività; c) le performance, cioè capire le aree che non sono efficienti cercando di applicare degli indicatori e raccogliere il proprio stato as is di ranking dal punto di vista delle misure di riferimento.2) Investigare le cause di inefficienza:a) decomponendo le metriche proposte dal modello e ricavando i dati che servono a calcolarle (esempio del perfect order scomposto nelle sue 4 componenti); soffermarsi sulle metriche che risultano di immediato interesse in relazione alle problematiche identificate nella fase di individuazione dell’ambito del progetto;b) analisi del processo associate alle metriche su cui ci si è soffermati, cercando di dettagliare al massimo il processo stesso dal punto di vista delle attività, dei flussi in/out, delle risorse coinvolte identificandone gli skill secondo il modello SCOR; c) classificare i problemi di processo individuati e verificare che non siano posti in una relazione di

causa-effetto;3) Identificare le soluzioni cercando nelle best practice la via migliore per risolvere i problemi evidenziati; sviluppando degli scenari what-if usando informazioni circa practice alternative, innovazioni tecnologiche adottabili, gap di education&training interno, descrivendo nuove forme di rappresentazione dei processi; rivedendo ogni scenario cercando di stimare gli impatti di costo, rischio, sforzo, lead time, fattibilità rispetto ai miglioramenti ottenibili e selezionare lo scenario migliore.4) Disegnare la soluzione finale, documentando i nuovi processi, le nuove tecnologie e l’organizzazione risultante:a) si inizia documentando i nuovi processi, al più alto livello di dettaglio transazionale;b) si sviluppano flussi e descrizioni delle attività, (chi fa cosa e quali informazioni sono create ed utilizzate ad ogni passaggio);c) si sviluppano precise istruzioni operative, come il lavoro viene svolto (SOP, standard operating procedures);d) si documenta la situazione organizzativa dal punto di vista delle job descriptions, delle responsabilità e degli ambiti, del tranining eventualmente necessario, delle metriche che saranno soggette a misurazione;e) si documenta la tecnologia richiesta e quella necessaria a supporto dei nuovi processi ed eventuali vincoli/dipendenze che sono legati al processo di cambiamento individuato.5) Pianificare il lancio «in produzione» del nuovo progetto creando una roadmap per implementare il cambiamento.

Conclusioni

Uno degli aspetti più critici di qualsiasi progetto di miglioramento organizzativo risiede non solo nell’implementazione del progetto in sé, dalla sua definizione in termini strategici e di obiettivi fino alla sua realizzazione in termini di project management e rispetto della tempistica di attuazione e di costing, ma anche nella misura dei risultati di progetto: quali sono gli indicatori numerici che consentono di affermare che l’attività è stata proficua? E soprattutto, proficua rispetto a cosa? All’azienda? Ai concorrenti?In effetti, l’azienda è generalmente rappresentata a sé stessa ed ai suoi stakeholder con «fatti» numerici ben noti (bilanci, report, fatturato, costi, ecc.) e deve quindi poter essere possibile riportare a specifici fatti numerici anche qualsiasi attività di miglioramento interno. È un concetto che va al di là dei KPI (key performance indicator) classicamente intesi, in quanto l’obiettivo non è tanto di misurare

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degli indicatori, ma di individuare quali indicatori sono collegati ai processi che sono oggetto non solo dell’attività di miglioramento, ma anche della supply chain nella quale l’azienda è inserita ed attrice, soprattutto con riferimento alle best practice internazionalmente riconosciute ed alle performance «medie» delle aziende di settore. Ecco, quindi, che disporre di un framework organizzativo che consenta, partendo da come l’azienda opera sul mercato tramite i suoi processi, di arrivare a definire una serie di metriche che diano il senso quantitativo dell’andamento ottimo degli stessi processi è senz’altro una novità non banale. Lo SCOR Model risponde a questa esigenza di misurazione delle perfomance aziendali ma vi giunge non come puro elenco di misure da realizzare e monitorare, ma come risultato di un processo virtuoso di analisi e miglioramento dei processi aziendale che indica, in ultima analisi, quali siano gli indicatori legati a quegli stessi processi che rappresenteranno l’evoluzione nel tempo dello scostamento dalle buone pratiche

di gestione aziendale ovvero condurranno verso un miglioramento davvero continuo.

Bibliografia

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StEfanutti B., «Pianificazione e controllo della produzione: il sales&operations Planning», in Controllo di gestione n. 4/2014

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L’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) spesso rappresenta un elemento

imprescindibile per l’implementazione di efficaci ed efficienti sistemi di controllo della gestione aziendale. Negli ultimi anni si sono diffuse piattaforme digitali, quali soluzioni hardware/software capaci di connettere le persone in un ambiente interattivo, aperto, sicuro e di fornire strumenti utili per creare, organizzare, cercare e condividere contenuti, documenti, informazioni, idee, calendari e così via. Tali piattaforme, spesso introdotte per la condivisione e la comunicazione delle informazioni, possono talvolta rappresentare uno strumento a supporto dei processi di controllo della gestione.

Introduzione

Negli ultimi anni la diffusione e lo sviluppo, in ambito aziendale, di internet e di tecnologie avanzate di informazione e comunicazione hanno fornito nuove soluzioni per supportare la collaborazione, la condivisione di idee, informazioni e documenti, la gestione di progetti complessi e la ricerca di informazioni sui dipendenti. Tali soluzioni tecnologiche, denominate generalmente piattaforme digitali, sono utilizzate in contesti diversi quali i gruppi di lavoro, i rapporti inter-funzionali e inter-organizzativi nonché le comunità virtuali. Ciò ha indotto all’uso di un variegato ventaglio di termini che identificano specifiche piattaforme, parimenti utili per condividere informazioni e/o sostenere un lavoro collaborativo, ognuna con proprie specificità: piattaforme digitali (Cremona et al., 2014; Spagnoletti et al., 2015), spazi di lavoro digitale (Overbeek et al., 2005), piattaforme collaborative (Agrifoglio e Metallo, 2011), groupware (Capriglione et al., 2011), comunità virtuali (Alvino et al, 2011). Tali piattaforme sono sistemi complessi che tipicamente includono strumenti:1) per la ricerca di informazioni e persone;

2) per comunicare, esprimere commenti e interagire; 3) per condividere i contenuti con altri dipendenti all’interno dell’azienda;4) per organizzare le informazioni, i documenti e le attività delle persone e dei gruppi di persone;5) per analizzare i dati provenienti da più fonti, visualizzandole in modo grafico.Esse consentono di gestire tre tipi di interazioni sociali (Spagnoletti et al. 2015):– information sharing, in cui gli utenti mettono a disposizione le proprie informazioni, rendendole disponibili a tutti gli altri membri dell’organizzazione che hanno accesso alla piattaforma;– collective action, in cui gli utenti seguono regole e procedure e si impegnano in attività che richiedono un rilevante coordinamento all’interno dei gruppi;– collaboration, in cui gli utenti seguono un comune obiettivo e rispettano regole comuni di membership, cioè derivanti dall’appartenenza al gruppo.Le piattaforme digitali consentono di comunicare, condividere, memorizzare ed elaborare ogni tipo di informazione, attraverso una struttura non completamente definita al servizio degli utenti. Esse, infatti, si basano sul concetto di generativity cioè non sono mai del tutto complete poiché sono soggette a multiformi usi che possono essere di volta in volta progettati e condivisi (Zittrain 2008, p. 43; Tilson et al, 2010). Gli studi sulle piattaforme digitali hanno esaminato come e perché esse possono migliorare la comunicazione all’interno dei gruppi (Mansour, 2009), facilitare la creatività (Agrifoglio e Metallo, 2011), stimolare la produzione di conoscenza (Cremona et al., 2014). Gli studiosi hanno analizzato le piattaforme digitali in diversi contesti come i progetti e i gruppi (Iacoviello e Lazzini, 2013), le reti di impresa, la Pubblica Amministrazione (Capriglione et al 2011; Cremona et al, 2014; Alvino et al, 2011), e così via. Gli studi si sono particolarmente concentrati sulle implicazioni organizzative legate all’uso di piattaforme digitali, mentre limitato è l’approfondimento del loro utilizzo a supporto dei sistemi di controllo della gestione.Il presente articolo, esaminando il caso di un’azienda italiana manifatturiera che opera nel

di Daniela ManciniUniversità degli Studi di Napoli ParthenopeKatia CorsiUniversità degli Studi di Sassarie Giuseppina PiscitelliDottoranda di ricerca - Università di Napoli Parthenope

l’usO delle pIATTAFORMe dIgITAlI peR Il CONTROllO dellA gesTIONe AzIeNdAle

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settore della ceramica sanitaria e che utilizza una piattaforma digitale realizzata con SharePoint Workspace, intende approfondire il contributo delle piattaforme digitali ai sistemi di controllo della gestione al fine di evidenziarne gli impieghi, le implicazioni, i vantaggi e gli svantaggi. Emerge il quadro di uno strumento, inizialmente implementato solo per facilitare lo scambio di dati e informazioni tra diverse unità organizzative e filiali, che finisce per supportare l’azienda nell’organizzare meglio e in modo integrato le sue attività di controllo.

Sistemi di controllo della gestione e TIC

I sistemi di controllo della gestione aziendale comprendono una serie di meccanismi di controllo come modelli contabili, sistemi informativi, strumenti organizzativi, procedure, sistemi di reporting, che le aziende utilizzano per guidare la gestione verso gli obiettivi predefiniti, dunque per allineare e guidare i comportamenti dei dipendenti agli obiettivi e alle strategie dell’organizzazione (Brunetti, 1979; Merchant, 1985; Malmi e Brown, 2008; Marchi, Riccaboni, Marasca, 2013) e misurare le performance (Otley, 1989; Antony, Govindarajan, 2004, Mancini, 2010).Al fine di esaminare se e come le piattaforme digitali influenzano il sistema di controllo della gestione, si fa riferimento a una versione rivista del framework di Malmi (Malmi e Brown, 2008; D’Onza 2008), che considera i sistemi di controllo aziendale come il coordinamento sistematico di diversi meccanismi, quali:– il sistema di controllo culturale basato sui valori, sui principi etici e sulle norme sociali (controllo organizzativo o di clan);– il sistema dei controlli cibernetici che agiscono sui risultati attraverso la definizione degli obiettivi e la loro misurazione, la valutazione delle prestazioni e la distribuzione delle ricompense (controllo di gestione o direzionale);– il sistema di controllo amministrativo che monitora il comportamento dei dipendenti definendo le regole di governo, la struttura organizzativa, le politiche e le procedure (Corsi, 2008);– il sistema di controllo di conformità che include un mix di meccanismi in grado di garantire la trasparenza e il rispetto delle leggi, della regolamentazione e delle norme interne.La discussione accademica sul rapporto tra sistemi di controllo e TIC evidenzia l’esistenza di un collegamento bidirezionale (Rom e Rohde, 2007), il che significa che l’implementazione di una tecnologia può influenzare il sistema di controllo, stimolando cambiamenti nelle sue componenti e,

viceversa, le caratteristiche del sistema di controllo possono influenzare l’implementazione e l’uso delle TIC.Uno degli argomenti indagati è l’integrazione e la «disintegrazione» dei sistemi informativi. Gli studiosi esaminano, in particolare, i livelli di integrazione che le aziende cercano di raggiungere attraverso diverse tipologie di prodotti informatici e individuano, così, tre possibili step (Boot et al. 2000):1) l’integrazione dei dati, nel senso che i dati «vengono memorizzati e mantenuti in un unico luogo» (Rom, Rohde, 2007, p. 43);2) integrazione hardware/software, che riguarda «la connettività di rete» e la comunicazione tra computer;• l’integrazione delle informazioni, che riguarda «lo scambio di informazioni tra i vari reparti».L’integrazione, così concepita, viene analizzata soprattutto all’interno di ogni singola componente dei sistemi di controllo verificando come la tecnologia informatica influenzi la coerenza tra dati, flussi informativi, procedure e azioni e come essa possa configurarsi utilizzando soluzioni tecnologiche diverse (ad esempio sistemi ERP, di business intelligence, ecc.). Minore attenzione viene, invece, prestata per comprendere come la TIC possa supportare l’integrazione tra le diverse componenti dei sistemi di controllo individuate in precedenza, manifestando un impatto più incisivo sull’intero sistema di controllo di gestione.Nello specifico, considerando le piattaforme digitali, gli studi evidenziano come esse utilizzino una diversa impostazione per gestire la complessità: da sistemi modulari, che consentono una flessibilità preordinata, attraverso la ricomposizione dei vari moduli, definita mixing and matching strategy (Garud & Kumaraswamy, 1995; Sanchez & Mahoney, 1996) si passa a sistemi «generativi» che consentono una flessibilità non preordinata, derivante dall’interazione continua di soggetti diversi e eterogeni che permettono la creazione di nuovi output senza l’inserimento di nessun input nel sistema originario (Zittrain, 2006).Le piattaforme digitali stimolano una gestione interattiva dei flussi informativi intra ed extra aziendali, facilitando non solo l’integrazione delle informazioni, ma anche l’integrazione procedurale, amministrativa, documentale, interpersonale e culturale (Yoo, 2013).In definitiva risulta interessante investigare come le piattaforme digitali possano essere progettate, data la loro natura di tecnologia generativa, per supportare le aziende nei processi di controllo di gestione e se esse consentano di bilanciare alcuni problemi associati alle tradizionali TIC, ad esempio all’uso dei sistemi ERP, quali il controllo centralizzato, l’orientamento amministrativo,

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l’eccessiva standardizzazione della comunicazione e la perdita dell’interazione sociale tra gli utenti (Aloini et al., 2011;. Grabot et al, 2014).

Un caso di studio sull’utilizzo della piattaforma digitale e le implicazioni per i sistemi di controllo

Il caso esaminato è la filiale italiana di un gruppo europeo che lavora nel settore della ceramica sanitaria. Il gruppo è presente in diversi Paesi europei (Italia, Germania, Inghilterra, Francia, ecc.) con specifici centri produttivi e marchi diversi in ogni Paese. La filiale italiana è una azienda autonoma acquisita e controllata al 100% dal 1994 dalla capogruppo, che ha sede in Finlandia. Prendendo in considerazione la prospettiva della filiale italiana, viene esaminato il funzionamento di una piattaforma digitale utilizzata all’interno del gruppo e costruita con Microsoft Share Point Suite, evidenziando le finalità per le quali è stata introdotta e l’impiego nei principali processi di gestione. In particolare, si sottolinea come tale piattaforma, introdotta inizialmente per facilitare la comunicazione e il coordinamento all’interno di un gruppo culturalmente eterogeneo e in continua espansione, sia diventata uno strumento a supporto del controllo aziendale ed un ambiente in cui gestire in modo coerente le sue diverse componenti. Le informazioni sono state raccolte a novembre 2014 utilizzando diverse fonti:– interviste semi-strutturate con gli utenti principali della piattaforma digitale, finalizzate a comprenderne il reale utilizzo e gli ambiti di applicazione; – analisi dei documenti del progetto e del reporting prodotto dal gruppo di lavoro della casa madre, tra cui le presentazioni utilizzate per spiegare la filosofia e gli obiettivi del progetto;– attenta osservazione del funzionamento della piattaforma e dell’interazione da parte degli utenti intervistati.Il caso è particolarmente utile per esaminare le implicazioni di una piattaforma digitale sui sistemi di controllo per diverse ragioni. La piattaforma è stata implementata tre anni fa, dopo un lungo periodo di gestazione in cui si sono susseguite presentazioni, confronti e discussioni svoltisi nel corso di meeting che hanno coinvolto le diverse funzioni di ciascuna società controllata. La natura internazionale del gruppo e la struttura organizzativa centralizzata hanno fatto emergere la forte necessità di adottare strumenti di collaborazione al fine di sostenere la comunicazione e il coordinamento. Queste esigenze sono state enfatizzate dalla strategia di

crescita seguita dal gruppo, finalizzata a diventare il principale operatore a livello europeo, attraverso acquisizioni di aziende e di marchi locali famosi, che hanno generato la proliferazione di lingue, sistemi informatici, procedure e così via.

L’intranet e la gestione dei servizi generali

La piattaforma digitale è utilizzata regolarmente da due anni, è organizzata come un sito web multilingue ed è strutturata nelle seguenti sezioni:• un’area intranet accessibile a tutti i dipendenti, dove si trovano dati e documenti di interesse per tutto il gruppo;• le sezioni tematiche con accesso riservato per le varie funzioni di tutto il gruppo dove possono essere condivisi documenti, report, relazioni, progetti e gestiti i processi e i loro relativi flussi informativi ed amministrativi.Il progetto è iniziato con la creazione intranet del gruppo, accessibile a tutti i dipendenti delle diverse società. Attraverso l’intranet è possibile rintracciare e condividere informazioni sui diversi aspetti dell’attività del gruppo e delle filiali. La rete intranet, nata inizialmente come un ambiente interattivo multilingue, nel corso degli anni è stata integrata con vari strumenti, ed attualmente è articolata in tre principali sezioni:1) la prima, articolata in tre schede (About us, People, Market Information), contiene notizie ed informazioni sul gruppo, sulla governance e sui risultati finanziari aziendali, sulla situazione politica, economica, competitiva e sociale in Europa e nel mercato globale. In questa area è possibile trovare informazioni relative ai cambiamenti nei ruoli apicali, alle relazioni annuali sulle principali performance del gruppo e delle singole società nonché informazioni riguardo le innovazioni delle TIC, le iniziative realizzate dai concorrenti, le dinamiche del mercato di approvvigionamento, nuove regole e leggi;2) la seconda, articolata in tre schede (Organisation, Processes, Policies), contiene informazioni sulla gestione ed organizzazione delle risorse umane, sulla gestione dei processi e delle policy aziendali, come la struttura organizzativa, le opportunità di lavoro, i compiti ed altri dettagli della funzione organizzativa, come le interviste rivolte ai manager del gruppo, al fine di far emergere le loro caratteristiche professionali e personali; eventi sociali come i viaggi o le attività sportive per i dipendenti; le lettere aperte e biglietti d’auguri con il marchio della business unit;3) la terza consente di gestire l’erogazione di alcuni servizi specifici, come l’organizzazione dei viaggi e

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delle riunioni (Travel and Meetings). In quest’area trovano anche spazio specifiche sezioni ad accesso riservato in cui è possibile gestire i processi delle funzioni operative (Workgroup), tutti i documenti e le informazioni specifiche da condividere per la filiale (My local site) come ad esempio la modulistica del gruppo, la carta intestata, il modulo di auguri.Prima dell’implementazione di questa piattaforma la condivisione delle informazioni nel gruppo era molto scarsa e limitata alla comunicazione dei cambiamenti organizzativi. Secondo gli intervistati, nella prima fase, lo strumento ha consentito ai dipendenti di intensificare la comunicazione e l’interazione nelle diverse funzioni all’interno del gruppo e tra le varie unità di business, in termini di quantità e frequenza dello scambio informativo, senza però riuscire a superare le barriere tra le diverse funzioni. Al riguardo il responsabile degli acquisti durante l’intervista afferma:«Nell’ambito del gruppo, come funzione acquisti, il contatto è continuo e la piattaforma è stata fondamentale sia per lo scambio immediato di comunicazioni sia per fare un brainstorming periodico e frequente. Prima dovevamo cogliere l’occasione della riunione annuale per parlare con i colleghi delle altre filiali per capire come avevano risolto determinati problemi e anche chiedere la cortesia di inviarci le informazioni, mentre adesso le informazioni sono tutte presenti sulla piattaforma, basta consultarle. Anche la cultura è cambiata perché i colleghi sono più collaborativi. Il beneficio raggiunto in un’azienda del gruppo viene trasferito alle altre, nostro malgrado, favorendo il miglioramento dei processi».La piattaforma mette a disposizione dell’utente anche specifiche funzionalità utili per intensificare le relazioni e la conoscenza tra i dipendenti a livello di gruppo, quali:– la funzione del «cerca», attraverso la quale è possibile, ad esempio, raccogliere informazioni sui colleghi, sulle attività svolte dalle diverse funzioni, sui nuovi progetti; – lo strumento per commentare ogni notizia e articolo, utile ad esempio per fare le congratulazioni sugli avanzamenti di carriera;– lo strumento per la messaggistica istantanea (communicator) utile alternativa sia alle conversazioni telefoniche che alla posta elettronica, che consente di segnalare l’eventuale disponibilità/indisponibilità alla conversazione oltre che di archiviare lo storico delle conversazioni.Focalizzando l’attenzione sulla sezione «servizi e utilities», si evidenzia come essa rappresenti un ambiente collaborativo in cui il gruppo, nello specifico, gestisce due servizi di supporto importanti:1) il servizio trasferte, cioè la pianificazione di viaggi

e trasferte di dirigenti e top manager del gruppo per motivi di lavoro;2) il supporto EDP, cioè i servizi informatici volti alla soluzione di problemi di malfunzionamento dei sistemi informativi, alla manutenzione dei personal computer e ai sistemi di sicurezza. Per il servizio trasferte, in passato, ogni filiale aveva una segretaria che organizzava il viaggio e il pernottamento in base alle esigenze dei dirigenti. Al fine di razionalizzare le spese, tutte le diverse attività che conducono alla decisione di acquisto del viaggio, prima gestite manualmente e su canali informativi diversi (posta elettronica, fax, cartaceo), sono state centralizzate e gestite tramite la piattaforma digitale. In particolare la piattaforma consente di:– raccogliere le richieste di partenza per i trasferimenti, utilizzando un modulo on line standardizzato per tutto il gruppo, in cui i dirigenti forniscono i dettagli del viaggio;– fornire la proposta di viaggio, con un avviso automatico in posta elettronica, che contiene le diverse soluzioni disponibili;– gestire il processo di approvazione della trasferta misurando tempi, fasi e operazioni svolte;– fornire alcune informazioni aggiuntive per un piacevole soggiorno di lavoro come le previsioni del tempo, le informazioni turistiche, le notizie e i dettagli sugli scioperi. L’obiettivo di questa modalità di gestione del servizio trasferte è la ricerca di una razionalizzazione dei fornitori ed un risparmio di costi sia per il viaggio in sé sia per la gestione delle anagrafiche dei fornitori.Il servizio EDP è una «area» di collaborazione che il reparto EDP Group utilizza per:– risolvere i problemi relativi ai sistemi hardware e software. Ogni ufficio del gruppo in tutto il mondo può compilare un modulo standard con il quale si avvia una richiesta di intervento (ticket) contenente la descrizione dettagliata del malfunzionamento. La richiesta è numerata e classificata automaticamente a seconda del livello di priorità. Ogni informazione riguardante il problema è gestita tramite la piattaforma e evasa automaticamente con un avviso in posta elettronica finché il problema non è risolto, queste informazioni sono anche registrate per tracciare la «storia» di ogni malfunzionamento;– dare aggiornamenti e notizie riguardanti i sistemi informativi, il sistema di conference call e comunicare gli interventi di manutenzione sulla rete o sul sistema informativo gestionale;– misurare automaticamente e comunicare le performance del servizio EDP in termini di tempestività, puntualità e qualità del processo. Periodicamente, in questa sezione, sono distribuiti i questionari per misurare il livello di soddisfazione degli uffici-clienti.

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La gestione dei processi operativi

Nell’area Workgroup della piattaforma sono presenti delle sezioni ad accesso riservato dedicate alla gestione dei principali processi delle funzioni operative della filiale. Di seguito vengono descritti il funzionamento dell’area a supporto della funzione industriale e quella a supporto della funzione acquisti. L’area Investment Demands è un ambiente collaborativo utilizzato dal responsabile di fabbrica per gestire e sottoporre all’alta direzione le richieste di lavori su commessa e monitorare il loro processo di approvazione. Prima dell’avvio della piattaforma Share Point, la gestione del flusso informativo era piuttosto problematica: tutta la documentazione di richiesta e di approvazione degli investimenti veniva gestita su carta e inviata via mail all’alta direzione, dopo averla scannerizzata. Inoltre non era possibile un intenso scambio di informazioni e un confronto di opinioni fra le diverse società del gruppo. La piattaforma digitale, invece, è in grado di supportare il direttore di stabilimento nella presentazione delle richieste attinenti ai lavori su commessa, da sottoporre ad approvazione al top management. La piattaforma gestisce:• la presentazione della richiesta di investimento da inviare al top management, mediante la compilazione di un modulo standardizzato a livello di gruppo, contenente alcune informazioni dettagliate per classificare il tipo di investimento richiesto;• il caricamento di alcune informazioni economico-finanziarie per supportare la credibilità del progetto come indicatori di performance (Net Present Value; Working Capital Increase; Pay-Back Period) e documentazione allegata, quale: il business case, l’analisi di convenienza dell’investimento, i dettagli tecnici, e così via;• il monitoraggio dei tempi e delle attività di ogni fase di approvazione e l’intero processo di approvazione;• l’individuazione automatica dei manager coinvolti nella catena di approvazione, in base al valore dell’investimento e altre informazioni aggiuntive fornite con la presentazione della richiesta iniziale.Il responsabile della produzione ha dichiarato: «La gestione del processo è migliorata sensibilmente, mentre il controllo non è cambiato ma si riesce a monitore meglio, il controllo è adesso veramente efficace. La piattaforma è un grande e straordinario strumento»;• la condivisione delle conoscenze, dando la possibilità ad ogni responsabile di fabbrica di esaminare la banca dati dei fascicoli di investimento di ciascuna società controllata del gruppo e di

apprendere modalità di soluzione dei problemi adottate dalle altre filiali, le metodologie di indagine e di valutazione. Il responsabile di produzione, durante l’intervista, afferma:«C’e un momento di condivisione, io ho la possibilità di accedere a tutte le commesse approvate dalle aziende del gruppo; posso accedere a tutta la documentazione e vedere anche che cosa hanno fatto dal punto di vista tecnico. Quindi se ho un problema posso andare a guardare le commesse precedenti».La seconda sezione operativa, esaminata in questo lavoro, include alcuni contenuti utili per gestire alcune fasi del processo di acquisto. Quest’area complessivamente è la più sviluppata all’interno della piattaforma e nello specifico contiene:– la valutazione dei fornitori (attualmente in fase di completamento);– il processo di approvazione dei fornitori;– global purchaising.La prima area supporta il processo di valutazione dei fornitori ed è un modulo che l’azienda sta attualmente perfezionando. In precedenza, la valutazione dei fornitori veniva svolta una volta l’anno, soltanto sui fornitori principali, in base al volume di fatturato e alla posizione finanziaria. A livello di gruppo si sta introducendo un nuovo sistema di valutazione basato su un indicatore denominato OTIF (On Time In Full). Ogni tre settimane il sistema misura automaticamente la prestazione del fornitore cioè se la consegna è avvenuta puntualmente o in un range accettabile (due o tre giorni sia in eccesso che in difetto) o in un range più ampio. I dati raccolti dal sistema centrale SAP-R3 vengono elaborati in automatico dalla piattaforma.Al riguardo il responsabile degli acquisti afferma:«Il supporto della piattaforma digitale è di avere già le elaborazioni fatte, non le devo fare personalmente ma ho a disposizione le elaborazioni necessarie per sviluppare le mie valutazioni».La seconda area riguarda il processo di approvazione dei fornitori. Questa procedura permette alla funzione acquisti di gestire il processo di approvazione dei fornitori partendo dalla identificazione di un fornitore, passando per la procedura di vendor rating sino ad arrivare alla validazione di un nuovo fornitore. Mediante la piattaforma digitale è possibile gestire:– l’invio del modulo standard attraverso il quale un’unità organizzativa richiede l’inserimento in anagrafica di un nuovo fornitore;– la catena di approvazione del processo identificata automaticamente considerando la categoria di materiali;– la comunicazione finale dell’esito positivo o negativo al termine del processo.

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Il processo autorizzativo è lungo e complesso, ma la piattaforma consente di seguire agilmente il suo sviluppo e di calcolare indicatori specifici di performance, integrandosi anche con il sistema ERP.La terza area denominata global purchaising contiene numerose elaborazioni effettuate, spesso, in automatico dalla piattaforma mediante l’integrazione con i software dell’office automation, sui seguenti progetti specifici:a) market data: elaborazioni di mercato fatte in maniera specifica per alcuni settori; b) lead buyer category: area in cui ciascun lead buyer carica, cataloga e condivide le informazioni a sua disposizione riguardanti una determinata categoria merceologica ad esempio le materie prime, l’energia;c) local report package: dove periodicamente i referenti delle funzioni acquisiti delle diverse filiali caricano le informazioni relative alle operazioni di acquisto per la predisposizione automatica del reporting di filiale e di gruppo. Nell’area local report package vengono caricati i budget e le informazioni sulle prestazioni delle attività di acquisto in termini di negoziazioni effettuate, di numero di articoli inclusi, prezzo iniziale e finale, tipo di operazioni (senza spese o con risparmio di costi) per ciascuna categoria di materiali. Il gruppo usa SAP per gestire e seguire

ogni operazione di acquisto e usa Share Point, con un inserimento manuale e decentralizzato dei dati, per raccogliere informazioni sulle prestazioni, che sono elaborate automaticamente per l’intero gruppo considerando diverse dimensioni di analisi (materiale, area geografica). Queste informazioni sono utili per discutere i risultati, i premi e i benefici con il top management attraverso un sistema condiviso, mentre in passato ogni responsabile riceveva solamente le sue statistiche personali. La piattaforma consente di gestire le operazioni per la raccolta delle informazioni utili per il sistema di reporting mediante la definizione di un calendario per gestire le scadenze degli adempimenti delle diverse filiali.Alla luce dell’analisi svolta e delle informazioni raccolte, emerge chiaramente che la piattaforma digitale oltre ad essere uno strumento per condividere e scambiare più agilmente le informazioni, è uno strumento di supporto per il sistema di controllo della gestione nelle sue diverse componenti. In particolare, costituisce un ambiente unico in cui l’azienda può gestire, in modo coerente e integrato, le diverse componenti del sistema di controllo. In linea con il modello di controllo adottato in questo lavoro e alla luce delle principali evidenze emerse nel case study, nella Tavola 1 si riportano i riflessi della piattaforma digitale sul sistema di controllo.

Tavola 1 – I riflessi della piattaforma digitale sul sistema di controlloComponenti di controllo Impatti

Controllo culturale

• Unico ambiente per comunicare con i dipendenti di tutte le filiali• Intensificazione delle relazioni tra i dipendenti delle diverse filiali sia

in termini professionali che personali, favorendo la collaborazione e l’omogeneità di vedute.

• Approccio collaborativo al lavoro attraverso lo stimolo della propensione a condividere informazioni e ad utilizzare le informazioni condivise da altri uffici e filiali, con una chiara percezione della prevalenza dei benefici sui costi.

• Forte consapevolezza dell’importanza di aggiornare e caricare le informazioni sulla piattaforma digitale in modo preciso e puntuale

Controllo cibernetico

• omogeneità dei metodi e principi utilizzati per la raccolta e l’elaborazione dei dati a livello di gruppo

• Elaborazione automatica di report per il controllo della performance di alcune attività/processi

• Uniformità dei modelli di reporting e alta tempestività nella condivisione di nuove strutture di rendicontazione

• Informazioni accurate e tempestive sulla performance delle funzioni/ attività e il relativo benchmark con altre unità di business

• Facile realizzazione dell’analisi della varianza per ogni funzione

Controllo amministrativo

• omogeneità e standardizzazione dei documenti e dei dati raccolti attraverso ogni processo amministrativo

• Caricamento simultaneo dei documenti e dei dati utilizzati (modulo di richiesta, il modulo di autorizzazione, etc.)

Controllo di conformità

• Possibilità di definire i processi e le diverse sottoattività, le persone coinvolte, i documenti necessari e il tempo e le fasi di autorizzazione

• Monitoraggio dell’avanzamento dei processi in termini di fasi concluse vs. fasi in corso, di tempo impiegato per ogni fase e per l’intero processo, con il confronto con le altre filiali

• Rilevazione automatica delle performance dei processi

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Conclusioni

Questo articolo affronta il tema del rapporto tra le tecnologie dell’informazione e della comunicazione e il sistema di controllo in un’azienda manifatturiera, considerando una piattaforma digitale, da un lato, e ciascuno dei componenti del sistema di controllo, dall’altro, consentendo una valutazione degli impatti e di un’eventuale integrazione del controllo. I sistemi di controllo sono meccanismi organizzativi utilizzati per guidare le aziende verso i loro obiettivi. Questi sistemi si articolano in diverse componenti quali: controllo organizzativo, controllo cibernetico, controllo amministrativo, controllo di conformità. Solitamente l’automazione fornisce strumenti, come ERP o BI, in grado di gestire autonomamente uno dei diversi sotto-sistemi o parti di esso.Analizzando il caso di studio emerge che i risultati ottenuti dall’utilizzo della piattaforma digitale hanno superato quelli attesi, infatti, nonostante gli obiettivi di una comunicazione più fluida ed una maggiore condivisione delle informazioni, realizzata con la prima versione dell’intranet, la piattaforma è diventata un ambiente integrato, un unico luogo in cui gestire coerentemente ogni componente del sistema di controllo. Questa integrazione è basata sulla convergenza dei diversi meccanismi di controllo all’interno della stessa piattaforma, e non solo sull’integrazione dei dati, sull’integrazione hardware/software e sull’integrazione delle informazioni e questo perché la piattaforma di collaborazione contiene strumenti:– per condividere le informazioni e gestire flussi da un ufficio ad un altro, tracciando ogni azione e individuando le persone, il tempo e la scadenza per l’esecuzione delle attività;– per agevolare la definizione e il rispetto delle procedure, consentendo alle unità interne di perseguire il loro scopo in termini di conformità e trasparenza;– per pubblicare e condividere idee, obiettivi, informazioni in una comunità ben definita, al fine di creare un meccanismo di controllo in base a variabili culturali e informali;– per gestire il processo di budgeting e l’analisi degli scostamenti, offrendo strumenti in grado di incrociare automaticamente obiettivi e risultati formalizzati su un cruscotto;– per organizzare e gestire i documenti digitali e i fascicoli al fine di garantire l’accuratezza e migliorare l’efficienza dei processi amministrativi.

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Ogni azienda, sia essa di produzione o di servizi, si trova oggi ad operare in uno scenario estremamente complesso

caratterizzato da un’elevata competizione e dall’esigenza di soddisfare il cliente con sempre minori risorse a disposizione. In tale situazione diventa imprescindibile attuare un’attenta politica di ottimizzazione dei processi e di diminuzione dei costi all’interno di una strategia chiara e ben definita. Con il presente articolo, oltre ad evidenziare i principali concetti della metodologia Lean Thinking applicata alle aziende di servizi, si intende presentare lo sviluppo di un progetto di Lean Strategy all’interno di una azienda di trasporti.

Il Lean nel settore dei servizi1

Il Lean Thinking rappresenta una metodologia orientata alla riduzione degli sprechi, all’aumento della produttività e della competitività aziendale che ha come principale obiettivo la creazione di valore per il cliente. Tradizionalmente le tematiche del Lean Thinking vengono associate ad un contesto produttivo perché, come è noto, nascono e si sviluppano nel settore industriale. In questi ultimi anni tuttavia in un contesto come quello attuale, estremamente complesso e mutevole, caratterizzato da una rapida e continua evoluzione, la necessità di innovazione non solo di prodotto ma anche organizzativa, la competizione sempre più accentuata, ha fatto sì che i principi e gli strumenti Lean siano stati applicati anche nell’ambito di numerose aziende di servizi (Sanità, Banche, Assicurazioni, Servizi Pubblici, Pubblica Amministrazione, settore della ristorazione, servizi alla persona). Tali tipologie di imprese per restare competitive sono chiamate ad una modernizzazione del loro operato; devono essere in grado di cambiare, di innovarsi al fine di rispondere in maniera più efficace alle esigenze dettate dal cliente. Diventa quindi necessario rivedere i propri modelli organizzativi e gestionali con l’obiettivo

di sviluppare strategie e modelli di business dove la soddisfazione del cliente diventa l’imperativo categorico a cui l’impresa non si può sottrarre in quanto elemento determinante per assicurarne il successo.I motivi di tale diffusione e interesse, in ambito service, possono essere sintetizzati brevemente in alcuni punti:– i processi sottostanti alla produzione e all’erogazione dei servizi sono spesso lenti, assai strutturati e complessi. Ciò si traduce, evidentemente, in elevati costi e, talvolta, in una bassa qualità del servizio con conseguente insoddisfazione del cliente;– esistono enormi margini di riduzione degli sprechi con un elevato impatto sulla riduzione dei costi operativi e quindi sul miglioramento dei margini reddituali;– nel settore dei servizi l’incidenza di attività che nella percezione del cliente non creano valore è molto elevata, sicuramente molto di più di quello che può presentarsi nei confronti di un’azienda manifatturiera. Basti pensare ai costi del personale legati alle attività di back-office (lontano, quindi, dagli occhi del cliente) che sono tipiche e necessarie in numerose realtà aziendali operanti nei servizi, proprio per la natura delle stesse.Nel tentativo di offrire una visione di sintesi sui vantaggi e sulle opportunità del Lean Thinking per le aziende di servizi, si evidenzia che tale metodologia nel suo complesso si presenta sempre e comunque tesa al miglioramento dei processi aziendali ed all’ottenimento di positivi risultati in termini di riduzione dei costi e dei tempi ciclo, di incremento della qualità dei servizi erogati, della conseguente soddisfazione del cliente nonché dei ritorni economico-finanziari sugli investimenti realizzati.In tale ambito l’applicazione di tali principi costituisce forse una sfida ancora maggiore rispetto al manufacturing dovuta all’elevata visibilità e variabilità che i processi di erogazione hanno rispetto al cliente. La presenza simultanea del cliente nel processo di erogazione, inoltre, fa sì che eventuali anomalie o difetti influiscano direttamente sulla qualità del servizio percepita dal cliente. Di conseguenza lo snellimento dei processi di

di Alessando BacciPartner Telos Consulting,– Docente di Economia ed Organizzazione Aziendale - Università di SienaLaura Santoni, Consulente Telos Consultinge Nicola CinquinaResponsabile attività di sviluppo della Cinquina Trasporti e Servizi

1 Per approfondimenti in merito ai principi, alla metodologia e agli strumenti Lean si rimanda a Agnetis A., Bacci A., Giovannoni E., Riccaboni A. (2015), Il Lean Thinking nelle Aziende di Servizi in Agnetis A., Bacci A., Giovannoni E., Riccaboni A. (a cura di), Lean Thinking nelle Aziende di Servizi, Ipsoa, Milano.

leAn STrATegy SySTem nelle AzIenDe DI SerVIzI: Il CASo CInquInA TrASporTI e SerVIzI

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2 Per approfondimenti si veda a cura di A. Bacci, M. Boggetti e B. Daidone «La lean strategy: come innovare e competere nel settore Life Sciences» in Controllo di gestione n. 2/2015.

erogazione dei servizi richiede un maggior grado di attenzione e un maggior coinvolgimento e responsabilizzazione delle risorse umane coinvolte (Tavola 1).Di seguito si riportano brevemente i cinque principi originariamente formulati da Taiichi Ohno e successivamente rielaborati da Womack che costituiscono lo scheletro a cui fare riferimento nell’azione di ripensamento dei processi aziendali cercando una loro contestualizzazione nel mondo dei servizi.Il primo passo è definire il valore dal punto di vista del cliente (Value). Il concetto di valore è univoco sia che si tratti di un’azienda di servizi, che di un’azienda manifatturiera. Tale concetto si sintetizza in ciò che il cliente vuole ottenere dall’acquisto di un prodotto/servizio. Pertanto, è necessario costantemente chiedersi non solo che cos’è il valore per il cliente ma anche come tale valore può essere incrementato.Il passo successivo è identificare il flusso di valore (Value Stream) attraverso la mappatura dell’intero flusso di valore e l’identificazione degli sprechi.Questo principio è forse il più difficile da applicare al mondo service rispetto al settore produttivo. Spesso le attività non sono descritte in termini di processo, i processi sono dinamici, le variabili sono difficilmente ripetibili, in alcuni casi i processi sono influenzati da normative, procedure, disposizioni che rendono il sistema particolarmente rigido. La mappatura del flusso non è, tuttavia, impossibile e rappresenta un’operazione indispensabile per l’identificazione degli sprechi. Dopo aver identificato il flusso eliminando tutto ciò che non aggiunge valore occorre far scorrere il flusso senza interruzioni, attese e rilavorazioni (Flow). Nei servizi, vista la simultaneità tra erogazione e consumo, il fattore tempo assume un’importanza rilevante. Ridurre il tempo di risposta eliminando le attività a non valore aggiunto costituisce per le aziende di servizi un fattore competitivo chiave per lo sviluppo del proprio business. Altro principio fondamentale è fare in modo che il flusso sia tirato dal cliente (Pull) producendo solo al momento della richiesta effettiva del cliente e nella quantità richiesta.

Ultimo principio: ricercare la perfezione (Perfection) attraverso la continua e progressiva eliminazione degli sprechi e la standardizzazione dei risultati conseguiti in un’ottica di miglioramento continuo.Occorre essere consapevoli che il Lean, sia in ambito manifatturiero che service, non rappresenta solo un set di strumenti da utilizzare al momento del bisogno. Molte imprese, infatti, vivendo una evidente situazione di affanno e volendo conseguire obiettivi di produttività ed efficienza immediati si sono apprestate a studiare ed applicare le tecniche e gli strumenti Lean ponendo la propria attenzione solo sulla dimensione tecnica. Frequentemente si è quindi assistito all’implementazione di progetti Lean come iniziative isolate, non adeguatamente inserite in una strategia aziendale organica; questo ha permesso di ottenere risultati nel breve periodo che sono però risultati effimeri nel lungo periodo. Il Lean non è solo dotarsi di una «cassetta degli attrezzi» è molto di più: visione, coinvolgimento e motivazione del personale, leadership e condivisione dei valori. Esso rappresenta una vera e propria rivoluzione culturale. Infatti, solo se si integra la metodologia Lean all’interno della propria strategia si otterranno risultati sorprendenti nel tempo e soprattutto duraturi. In relazione a quanto detto risulta necessario, per evitare un’errata applicazione di tale metodologia, una reale integrazione ed allineamento delle pratiche e strumenti Lean con gli strumenti di pianificazione strategica, quali Balanced Scorecard, A3X, Hoshin Kanri, ciclo PDCA, Business Model Canvas fondamentali per mettere in moto e mantenere un sistema di eccellenza2.

La strategia Lean in Cinquina Trasporti e Servizi

Profilo aziendale

Cinquina Trasporti e Servizi nasce nel 1959 a San Salvo (CH) con l’obiettivo di fornire un servizio dinamico e versatile che soddisfi le esigenze più disparate nel campo della logistica e delle varie tipologie di trasporto. Grande cura è riposta in ogni fase del servizio, con

Tavola 1 – Differenze tra servizi e prodotti fisiciprodotto Servizio

Tangibile Componente immateriale

Standardizzato Eterogeneo

La produzione è separata dal consumo Produzione, erogazione e consumo sono simultanei

Può essere immagazzinato non può essere immagazzinato

Il cliente non partecipa al processo di produzione Il cliente partecipa al processo di produzione

Trasferimento di proprietà nell’acquisto Proprietà generalmente non trasferibile

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3 Cit. Alexander Osterwalder, ideatore del Business Model Canvas

un coordinamento che sovrintende l’organizzazione, il ritiro, il trasporto e la consegna della merce, alla quale è assicurato l’arrivo a destinazione in perfetto stato e nei tempi richiesti. La missione dell’azienda è garantire un’elevata affidabilità nelle consegne e nel coordinamento mirato della gestione di magazzino in risposta alle esigenze di mercati e clienti differenti: «La Cinquina Trasporti e Servizi punta a soddisfare i bisogni di chi muove l’economia, operando in un’ottica di perfezionamento continuo per offrire servizi impeccabili in serietà, precisione e puntualità nel campo della logistica».L’azienda offre un’ampia gamma di servizi di trasporto su gomma e intermodale, servizi di deposito merci conto terzi e possibilità di organizzare e gestire l’attività di magazzinaggio sia presso le proprie strutture che negli stabilimenti del cliente. Cinquina Trasporti e Servizi può contare su un organico di circa 60 persone, vanta importanti risorse come i piazzali di oltre 16.500 mq, di cui 6.500 mq coperti adibiti a magazzini per il deposito e le più avanzate tecnologie per la gestione e la consegna delle merci sviluppando un fatturato di circa 13.000.000,00 €.In linea generale, Cinquina Trasporti e Servizi opera con una filosofia focalizzata sul cliente, sulla qualità, sulla puntualità e precisione, con un personale selezionato con cura in base alla loro professionalità.

I motivi dell’introduzione della Lean Strategy

In un contesto economico come quello attuale caratterizzato da un’elevata competitività e carenza di risorse Cinquina Trasporti e Servizi ha avvertito la necessità di superare il tradizionale modello organizzativo orientandosi verso l’adozione di metodologie e strumenti flessibili che consentono di essere estremamente reattivi ai cambiamenti.In particolare è stato avvertito il bisogno di innovare l’azienda stessa dal suo interno, dal livello strategico a quello operativo. Per affrontare tutto ciò i manager, dopo aver esaminato tutte le possibili alternative, hanno scelto un approccio finalizzato ad accrescere efficienza e flessibilità dell’azienda, attraverso la riorganizzazione delle proprie risorse interne sia umane che strumentali.La risposta adeguata agli evidenti problemi riscontrati è stata trovata nell’adozione del pensiero snello, in particolare nella Lean Strategy.

Innovare il modello di business: Business Model Canvas

Come già accennato precedentemente, il punto focale del Lean Thinking è la creazione di valore per il cliente attraverso l’eliminazione di tutto ciò che è spreco. Occorre, quindi, avere ben chiaro dove

l’azienda vuole arrivare, quale è la propria strategia, cosa è e cosa non è valore aggiunto. Per questo motivo il primo passo è stato quello di descrivere il proprio Business Model al fine di identificare ciò che era valore per il cliente ed evitare che l’applicazione della metodologia Lean si riducesse ad una mera applicazione di strumenti ma, al contrario, rientrasse all’interno di una vera e propria strategia aziendale. Cinquina Trasporti e Servizi ha adottato, quale strumento per mettere a punto la pianificazione strategica di servizi tradizionali e/o «innovativi» il Business Model Canvas, strumento di analisi strategica basato sul Visual Thinking che descrive, attraverso un linguaggio visuale, le modalità con cui l’azienda «crea, distribuisce e cattura valore»3. Attraverso il Business Model Canvas (Tavola 2) Cinquina Trasporti e Servizi ha ridisegnato la propria strategia andando a descrivere i fattori critici di successo e la capacità di creare valore.

Scelta del progetto pilota

Sulla base di quanto emerso in sede di definizione del proprio modello di business il primo settore nel quale la direzione aziendale ha deciso di concentrarsi per accrescere efficienza e capacità produttiva è stato il servizio di groupage. Il servizio, consistente nel raggruppare partite di merci provenienti da mittenti diversi di un certo Paese e indirizzate a destinatari diversi di un altro Paese, rappresenta uno dei servizi più importanti all’interno della Cinquina Trasporti e Servizi sia in termini di operosità (assorbe quasi il 70% delle richieste dei clienti) che di fatturato (rappresenta più del 50% del fatturato totale).

Individuazione del valore

Agendo secondo i principi della Lean Strategy si è cercato, partendo anche da quanto descritto con il Business Model Canvas, di capire cosa è effettivamente valore per il cliente. Obiettivo era quello di assicurare un servizio caratterizzato da tempestività e disponibilità continua rispondendo nel modo più efficace e veloce ad ogni esigenza del cliente. La riduzione dei tempi di consegna rappresenta, infatti, un fattore che concorre a rendere più competitiva l’impresa di trasporti nel mercato, ma tale vantaggio può essere conseguito soltanto attuando una diminuzione dei tempi di attraversamento all’interno del magazzino dell’impresa stessa. Alla luce di quanto esposto si è deciso di esaminare la situazione attuale facendo emergere criticità esistenti per poi individuare le aree di miglioramento al fine di ridisegnare il servizio groupage.

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Mappatura del flusso: Swime-Lane e Value Stream Mapping «as is»

Nonostante la mappatura del flusso sia un processo complesso, la rappresentazione grafica aiuta a rendere più chiaro ed evidente ogni singolo passaggio, supportando i processi di coinvolgimento del personale sulla riduzione degli sprechi. In questa fase di mappatura è stato utilizzato uno strumento visivo, la swime-lane, per avere le prime informazioni utili sui processi, percependo come esse fluiscono tra i vari reparti, individuando eventuali colli di bottiglia o azioni ridondanti.Il secondo strumento utilizzato è stato la Value Stream Mapping (VSM), strumento che rappresenta il punto di partenza di una vera implementazione Lean.La mappa serve per tracciare, condividere e diffondere il flusso di valore. Il presupposto sul quale basare l’analisi della catena del valore non è il miglioramento del singolo processo, ma l’ottimizzazione globale e continua. In un primo momento è stato analizzato il processo allo stato attuale (as is), andando a disegnare tutte le tappe che venivano effettuate durante il flusso. Con la VSM si è ottenuta una mappa chiara e leggibile in grado di descrivere come il flusso scorre tra le varie attività e la quantità di risorse utilizzate per processarle, così da riuscire ad individuare i tempi di attraversamento all’interno del magazzino e gli sprechi che si annidano nelle fasi di creazione del valore. Nella Tavola 3 è riportata l’intera Value Stream Map costruita.

Per tracciare il flusso del valore, è stata compiuta un’attività di raccolta dati all’interno dell’azienda che ha coinvolto direttamente gli operatori, in cui sono stati registrati i tempi di lavoro e le attività svolte nei reparti. L’utilizzo di questi due strumenti visivi di mappatura ed il periodo di osservazione per ogni attività del processo ha permesso di individuare le criticità che emergevano nelle diverse fasi e contemporaneamente la durata delle singole operazioni.

Studio delle cause: diagramma di Ishikawa e classificazione muda

Il passo successivo ha riguardato l’analisi delle cause radice delle irregolarità di magazzino.Ammettendo che uno dei più grandi ostacoli allo snellimento dell’azienda è la cultura del: «si è sempre fatto così; siamo abituati così», si è deciso di condurre un brainstorming con i manager aziendali, per conoscere le motivazioni dell’attuale modus operandi all’interno dell’azienda.Durante il brainstorming è stato utilizzato quale strumento di analisi il diagramma causa-effetto o di Ishikawa; uno strumento grafico che permette di identificare, riunire e mostrare facilmente le cause che hanno originato un problema. Caratteristica distintiva di questo strumento è stata quella di incoraggiare la partecipazione degli attori nelle discussioni di gruppo, permettendo così di condividere la conoscenza nell’analisi delle problematiche specifiche (Tavola 4).Alla fine del brainstorming è stato possibile

Tavola 2 – Canvas Model Cinquina Trasporti e Servizi

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individuare le cause radici delle criticità aziendali sopracitate e, dopo un’attenta analisi, si è percepito che solo una parte di queste dipendevano da fattori non controllabili dall’azienda, come le richieste tardive da parte clienti. Maggiori erano invece le cause generate da criticità ed anomalie ricorrenti nella gestione ordinaria.Una volta individuate le criticità sono state classificate e descritte (Tavola 5), così da poter applicare gli

strumenti Lean più adatti per la loro risoluzione.

Metodi e strumenti Lean

I principali metodi e strumenti che sono stati implementati nel processo di cambiamento organizzativo ed operativo intrapreso da Cinquina Trasporti e Servizi sono stati:– 5S nella locazione della merce: con lo strumento

Tavola 3 – Value Stream Mappping «as is»

Tavola 4 – Diagramma di Ishikawa - eccessive ore lavoro del personale di magazzino

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5S sono stati riorganizzati gli spazi di magazzino in cui viene posizionata la merce da spedire. «Avere un posto per ogni ordine ed un ordine per ogni posto» ha permesso di ridurre il Lead Time dell’attività di carico. All’interno del magazzino sono stati individuati degli spazi, dedicati alle destinazioni che vengono servite più frequentemente dall’azienda, nei quali posizionare la merce al momento dello scarico. Andando così a raggruppare tutta la merce in partenza per destinazione, le attività non a valore di ricerca della merce vengono diminuite drasticamente.– Visual management per l’abbinamento degli ordini: si fa riferimento in questo caso all’adozione di un insieme di strumenti che fanno sì che il posto di lavoro «parli da solo» attraverso strumenti visivi che assumono per tutti lo stesso significato fornendo a tutti le stesse direttive. Con una gestione condivisa degli ordini, in cui viene tenuta traccia dello stato di avanzamento dell’ordine nel processo di groupage, si evita l’errore di abbinare ad un automezzo in partenza merce ancora non presente in magazzino, andando a risolvere il problema dei colli di bottiglia tra i reparti aziendali del traffico e del magazzino (Tavola 6).– Team multi-funzionante per le attività di carico: creazione di team con capacità di lavorare in gruppi inter-funzionali che si aggregano su specifici processi. Con un team multi-funzionante composto da più risorse umane che lavorano in contemporanea durante l’attività di carico si evitano le interruzioni dell’attività stessa causate dall’operazioni di set-up dell’automezzo durante il carico. Nella fattispecie s’intende le operazioni di movimentazione, apertura e chiusura dell’automezzo. – Standard work per le attività di carico: con l’utilizzo di team multi-funzionante che lavora

su un’area dedicata più ristretta è stato possibile utilizzare lo strumento dello standard work per permettere a qualsiasi operatore di eseguire il lavoro senza alcuna variazione nel risultato, definendo così un tempo di processamento standard. – Pull nella ridefinizione dei processi: è stata applicata la logica pull sull’automezzo in partenza andando a rispettare un parametro rilevante in termini economici: la fascia oraria di utilizzo del RoLa. Il RoLa, conosciuto anche come servizio di autostrada viaggiante, consente alla merce di rimanere sempre in viaggio andando a rispettare gli orari di pausa imposti dalla legge, grazie all’utilizzo del treno per la movimentazione dell’automezzo nelle regioni elvetiche.

Risultati ottenuti

Con l’eliminazione degli sprechi e dei colli di bottiglia è stato ottenuto un flusso che scorre più teso ed equilibrato all’interno dei processi aziendali con una notevole riduzione del Lead Time di processo (Tavola 7).I principali risultati raggiunti attraverso l’applicazione dei principi e degli strumenti Lean sono stati:– riduzione delle ore magazzino necessarie del 20%;– riduzione del tempo medio di giacenza magazzino del 60%;– riduzione del Lead Time del 30%;– elaborazione di una procedura operativa condivisa per l’attività di carico.È evidente come il processo si sia snellito e quindi siano state recuperate ore di tempo a non valore per gli operatori.

Tavola 5 – Criticità rilevate all’interno di Cinquina Trasporti e ServiziCriticità Descrizione Tipologia muda Conseguenze

Ritiro anticipato di merce da spedire

Tempo che intercorre tra lo scarico della merce ritirata e il carico della stessa su un automezzo in partenza

Sovrapproduzione Aumento dei tempi di giacenza della merce in magazzino

Attesa automezzo per completamento carico

L’attività di carico non può essere completata in quanto alcune merci abbinate al carico sono ancora in fase di ritiro. Bisogna, quindi, attendere che la merce rientri in sede, venga poi scaricata per poter essere ricaricata sull’automezzo in attesa

Attesa Ritardi partenza automezzo, con successive penali quali la sanzione da pagare per la perdita del treno prenotato novara-Freiburgo

Abbinamento di merce non presente in magazzino

Viene abbinata merce in magazzino che non è ancora abbinabile

difetto grande aumento dell’attività di abbinamento ritiro che termina solo in fase di presa dal cliente

Interruzione dell’attività di carico

L’attività di carico svolta dal magazziniere viene spesso interrotta dalle operazioni di set-up dell’automezzo

Movimentazioni inutili Aumento durata attività di carico

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Tavola 7 – Value Stream Mapping «to be»

Tavola 6 – Visual management per la gestione degli ordini

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Analisi strategica dei risultati

Grazie ai benefici ottenuti dall’applicazione della Lean Strategy è stato possibile avere, oltre ad un miglioramento strutturale dell’impresa dovuto ad una maggiore disponibilità di metri quadri di magazzino, una ridefinizione dell’offerta verso il cliente che ha permesso all’impresa di differenziare il proprio portafoglio clienti, andando a soddisfare bisogni che fino a quel momento non erano stati soddisfatti. Per dimostrare le caratteristiche dell’impresa e i vantaggi ottenuti a livello strategico è stato ridisegnato il Business Canvas Model (Tavola 8). Dall’esame della Tavola 8 si può notare che sono state eliminate le ampie finestre di carico aziendali, le quali essendo la causa delle ore di straordinario dei dipendenti di magazzino, avevano un impatto sulle risorse umane sia in termini di costo che di stress. Inoltre, grazie ad un miglioramento del servizio groupage è ora possibile servire una nuova categoria di clienti: i produttori enogastronomici per i quali i tempi di consegna della merce possono

avere una rilevanza anche maggiore del prezzo stesso.

Conclusioni

Nell’articolo vengono mostrati e messi in risalto i risultati ottenuti da Cinquina Trasporti e Servizi derivanti dall’attuazione di una strategia Lean ai propri processi. È altrettanto importante mettere in evidenza i benefici qualitativi derivanti da tale strategia. Tra questi si possono menzionare la diffusione di una cultura orientata al cliente, al risultato e al lavoro di squadra attraverso il coinvolgimento e la responsabilizzazione del personale dove la capacità di lavorare in team inter-funzionali diventa un fattore critico di successo. Infine, si può sicuramente ritenere che leadership e coinvolgimento del commitment, non sempre scontati in progetti di questo tipo, sono stati indispensabili per fare sì che il Lean diventi parte del Dna dell’impresa, della sua cultura, dei suoi valori.

Tavola 8 – Evoluzione del BCM con l’applicazione della Lean Strategy

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Imini-bond sono uno strumento particolarmente utile per favorire l’accesso al mercato dei titoli mobiliari anche da parte di società non quotate di

piccola-media dimensione, le quali si stanno sempre più servendo di questo strumento come alternativa di finanziamento per supportare le proprie strategie di crescita. Tuttavia, il ricorso all’emissione di mini-bond non è immediato e richiede, fra le altre cose, un sistema di controllo di gestione consolidato, di cui le PMI non sempre sono dotate. Il presente lavoro, presentando l’esperienza in corso nel Consorzio Agorà di Arezzo, mira ad indagare gli eventuali parallelismi esistenti tra processi di crescita e sviluppo aziendale, stimolando le aziende, specie quelle di minori dimensioni, sempre più chiamate ad intraprendere efficaci percorsi di crescita per poter continuare a competere nei propri mercati, a curare fin da subito l’implementazione e lo sviluppo al loro interno di processi gestionali maggiormente strutturati.

I mini-bond: strumenti di supporto ai percorsi di crescita delle PMI

I mini-bond sono titoli di debito (obbligazioni di medio-lungo termine o cambiali finanziarie con scadenza fino a 36 mesi) emessi - per un importo massimo fino a 500 milioni di euro - da società di capitali o cooperative (escludendo banche e assicurazioni) sul mercato mobiliare e sottoscritti da investitori istituzionali2. Potendo essere emessi anche da società non quotate, i mini-bond sono uno strumento particolarmente utile per favorire l’accesso al mercato dei titoli mobiliari anche (ma non esclusivamente) da parte di società di piccola-media dimensione, le quali si stanno sempre più servendo di questo strumento come alternativa di finanziamento per supportare le proprie strategie di

crescita. A dimostrazione di ciò, la Tavola 1 illustra l’andamento nel tempo delle emissioni di mini-bond, evidenziando la crescente propensione nei confronti di questo strumento.In effetti, le Piccole e Medie Imprese (PMI) si sono storicamente sempre rivolte (in Italia più che altrove – Tavola 2) a banche ed altri istituti di credito per le proprie richieste di finanziamento. Negli ultimi anni, tuttavia, l’effetto congiunto della riduzione dei margini aziendali e della minore offerta di credito da parte del sistema bancario italiano (credit crunch) ha sempre più spinto queste imprese a cercare fonti di finanziamento alternative. In particolare, un crescente interesse è posto proprio sul collocamento di titoli sul mercato mobiliare, nel frattempo resosi possibile anche per società non quotate in virtù della recente azione legislativa (attraverso il Decreto Sviluppo seguito dai Decreti Sviluppo-bis, Destinazione Italia e Competitività) che ha rimosso i vincoli amministrativi e parificato la deducibilità dei costi di quest’operazione rispetto alla scelta di utilizzare il consueto canale bancario.Indagando più a fondo sull’attuale diffusione delle emissioni di mini-bond, si evidenzia, tuttavia, come lo strumento sia prevalentemente utilizzato dalle imprese di più grandi dimensioni (il 58% delle emissioni riguarda imprese con fatturato superiore a 50 mln di euro – Tavola 3), nonché maggiormente strutturate (88,4% S.p.a., 8,1% Srl, 2,3% società cooperative, 1,2% società di diritto estero).Questo può ricollegarsi sia alle difficoltà di natura culturale di queste imprese, che le rendono solitamente più avverse a distaccarsi dai tradizionali canali di finanziamento, sia alla loro minore preparazione ad affrontare il processo di autorizzazione, che richiede il superamento di

diverse attività o fasi, ciascuna delle quali necessita di numerose informazioni

e previsioni sulle performance (passate e future) dell’azienda.

Non sempre, tuttavia, le imprese di minori dimensioni sono dotate di sistemi informativo-gestionali in grado di rispondere adeguatamente a simili esigenze conoscitive

di Maria Pia Maraghini,Università degli Studi di SienaTiziano Cetarini,Dottore Commercialista e Revisore Contabile Francesca Rossi e Iacopo Fruganti1

Consulenti Aziendali

1 Pur essendo il presente lavoro frutto dell’impegno comune degli autori, Maria Pia Maraghini ha curato la parte relativa a «I mini-bond: strumenti di supporto ai percorsi di crescita delle PMI» e «Crescita e sviluppo: nasce prima l’uovo o la gallina?» mentre gli altri autori hanno sviluppato la parte inerente al caso aziendale.2 Per approfondimenti inerenti lo strumento si rinvia al I° Report italiano sui Mini-Bond (Osservatorio Mini-Bond, Politecnico di Milano - School of Management, 2015) o alla consultazione del sito dell’Organismo Italiano Mini-Bond (OIMB.org).

Mini-bOnd, CReSCiTa delle PMi e COnTROllO di geSTiOne: il CaSO COnSORziO agORà

L’articolo fa parte di una serie di interventi

coordinati dal Prof. Angelo Riccaboni sul tema del

cambiamento nei sistemi di controllo di gestione e del loro impatto nel mondo delle imprese

dellOSTeSSOauTORe

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3 Cfr. I° Report italiano sui Mini-Bond (Osservatorio Mini-Bond, Politecnico di Milano - School of Management, 2015: p. 11).

e, quindi, di supportare efficacemente il dialogo tra i molteplici attori coinvolti nell’operazione di emissione di un mini-bond, la quale prevede il coinvolgimento, oltre delle imprese emittenti e degli investitori istituzionali, anche di altri soggetti quali3:– l’advisor: ovvero un consulente destinato ad affiancare l’impresa nella decisione strategica iniziale, nell’analisi del business plan, dell’information memorandum e nella definizione dei tempi e delle modalità dell’emissione;– i consulenti legali: si occupano di verificare gli aspetti formali e di compliance rispetto ai contratti e

ai regolamenti o prospetti del prestito;– l’arranger: si occupa del collocamento dei titoli sul mercato, individuando i potenziali investitori e occupandosi del fine tuning rispetto alla definizione dei rendimenti offerti;– la società di rating: attore di riferimento nell’emissione di giudizi indipendenti sulla solvibilità dell’emittente.In tal senso, la promozione di una maggiore diffusione dei mini-bond anche fra le PMI di minori dimensioni richiede dunque il preventivo sviluppo di adeguati sistemi informativi e di controllo.

Fonte: osservatorio Mini-Bond, Politecnico di Milano - School of Management. Aggiornamento: luglio 2015 Cfr. www.osservatoriominibond.it

Tavola 1 – Valore cumulato delle emissioni di mini-bond dal 2013 a oggi

Tavola 2 – Imprese e canali di finanziamento strutturali

Fonte: elaborazione Epic (private investment community) su dati Banca d’italia (per italia e USA), stime Epic per PMi Cfr. epic.it

Tavola 3 – Segmentazione delle imprese emittenti per classe di fatturato consolidato

Fonte: i° Report italiano sui Mini-Bond (osservatorio Mini-Bond, Politecnico di Milano - School of Management, 2015: p. 29)

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4 Sui concetti di crescita e sviluppo aziendale e sulle loro correlazioni ed interdipendenze si rinvia a G. Catturi (2009), il quale afferma (p. 19) che: «ci sembra che la crescita di qualunque organismo aziendale:– sia apprezzabile solo in termini quantitativi,– riguardi specifiche e particolari grandezze gestionali o patrimoniali,– si riferisca a singoli portatori di interesse;mentre il suo sviluppo:– richieda l’apprezzamento anche di caratteri qualitativi,– riguardi l’organismo aziendale nella sua interezza e complessità strutturale ed operativa,– venga percepito nell’ottica della molteplicità dei portatori di interesse».5 In effetti, i report di controllo si pongono a fondamento del dialogo fra i molteplici attori costituendo il linguaggio comune su cui basare la discussione. Sul tema si veda anche M.P. Maraghini, F. Lotti e T. Cetarini (2013), «Il ruolo del controllo nello sviluppo di progetti complessi: il caso Ecodelm s.r.l.», in Controllo di Gestione (ISSN 1828-4205), IPSOA, n. 1: pp. 38-45.6 Cfr. www.cooperativagora.org

Ancora una volta si evidenzia come i percorsi di crescita aziendale, obiettivo dell’emissione di mini-bond, non possono e non debbono essere tenuti separati dalla parallela progettazione ed implementazione di efficaci processi di sviluppo organizzativo4.Crescita e sviluppo, infatti, si influenzano e si supportano a vicenda, sia con effetto immediato, che per l’effetto cumulato nel tempo del continuo ripetersi delle mutate condizioni di volta in volta prodotte (da qui le frecce sincroniche e diacroniche rappresentate nella Tavola 4).In definitiva, ai fini di una maggiore diffusione dell’emissione di mini-bond anche da parte di quei segmenti di aziende di minori dimensioni – ad ulteriore supporto delle loro strategie di crescita – è importante che queste imprese avviino e/o consolidino un preventivo percorso di sviluppo interno strutturando, in particolare, adeguati processi di governo e controllo aziendale capaci di supportare i processi decisionali sia dei decisori interni che degli stakeholder esterni5.Alla luce di ciò, il caso che segue indaga il ruolo rivestito dai sistemi di controllo per la richiesta di autorizzazione all’emissione di mini-bond da parte di un’impresa rientrante in quei segmenti di minore diffusione di tale strumento di finanziamento (in particolare, con fatturato inferiore ai 50 mln di euro e con forma giuridica di società cooperativa). L’obiettivo è quello di ricercare gli eventuali parallelismi esistenti tra processi di crescita e sviluppo realizzatisi.

Presentazione Consorzio Agorà

L’Agorà d’Italia Società Cooperativa Sociale Consortile O.N.L.U.S., di seguito semplicemente «Agorà» o il «Consorzio», è un consorzio costituito nel 2011 ad Arezzo, che, perseguendo la mission e la filosofia delle consorziate, si dedica alla gestione dei servizi sociali, assistenziali scolastici di base, sanitari di base, socio-sanitari e di ogni altra attività rivolta

a persone bisognose di intervento sociale6. Agorà acquisisce le gestioni attraverso appalti pubblici, aggiudicandosi bandi e gare e facendoli gestire alle proprie cooperative consorziate. Con il tempo il Consorzio ha sviluppato forti competenze sia nell’acquisizione di appalti, dedicando risorse allo studio dei vari bandi e gare, sia nella gestione completa dei centri assistenziali, riabilitativi, educativi, logistici, sociali, alberghieri a favore di anziani, diversamente abili, minori e psichiatrici. Il Consorzio nasce infatti dalla volontà e dalla necessità di unificare i know-how delle consorziate, ottimizzando le gestioni e standardizzando i processi; con questa formula il Consorzio è riuscito a focalizzarsi su di una nuova forma di assistenza ancora più incentrata sui bisogni dei propri assistiti, ed allo stesso tempo a portare a reddito strutture in difficoltà, aumentandone contestualmente il valore percepito dai clienti e dall’esterno.Agorà nel corso della sua attività in campo socio-sanitario, assistenziale ed educativo ha registrato una costante espansione sia sotto il profilo quantitativo (aumento del numero delle strutture, del fatturato e delle risorse umane impiegate) sia e soprattutto dal punto di vista qualitativo, specializzandosi, in maniera particolare, nella gestione complessiva (global service) di strutture residenziali. È stato infatti possibile acquisire dal mercato strutture non performanti e renderle funzionanti ed efficienti adattandole agli standard ed ai controlli qualitativi e gestionali del Consorzio.Ad oggi Agorà può vantare strutture in Abruzzo, Friuli, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte e Toscana.

Il sistema di controllo di gestione di Agorà

Agorà, ha imperniato il suo assetto organizzativo sull’implementazione della Responsabilità Sociale d’Impresa (CSR), con un forte orientamento ad una politica di qualità sociale (certificazione ISO 9001:2008). Questi presupposti garantiscono che l’organizzazione sia funzionale a raggiungere due scopi fondamentali, ovvero la completa soddisfazione delle esigenze, sia quelle espresse che quelle sottaciute, di tutti gli interlocutori interessati e mantenere una primaria reputazione in fatto di responsabilità sociale e di qualità. Il coordinamento centrale e la standardizzazione dei processi consentono al tempo stesso di garantire gli stessi livelli qualitativi alle singole unità locali, pur mantenendole prolifiche dal punto di vista della gestione economico/finanziaria.La chiave del successo di Agorà è senza dubbio da ricercare nel sistema di controllo della stessa:

Tavola 4 – Crescita e sviluppo aziendale: correlazioni ed interdipendenze

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le singole unità locali vengono costantemente monitorate attraverso un dettagliato controllo gestionale, che le individua come centro di costo, e che permette di pianificare budget su misura e verificarne costantemente l’andamento. In particolare, ogni realtà viene mappata e trasposta su una «scheda unità» (Tavola 5), dove si pone l’attenzione sulla distinzione tra i costi fissi, il costo orario del personale diviso per mansione, ed i costi dei vari servizi che variano in funzione del numero di ospiti/pazienti all’interno della struttura. Avendo a disposizione un valido track record derivante dalle tante realtà coinvolte nel Consorzio, è possibile assegnare budget ben definiti per i singoli costi in modo da prevederne in primis la copertura. Potendo conoscere poi con esattezza, nella maggior parte dei casi, ed in anticipo il numero di clienti presenti nella struttura, in virtù di assegnazioni prestabilite dagli enti preposti, è possibile avere una proiezione dei costi variabili e quindi non solo dell’andamento economico e gestionale delle singole strutture, ma anche dei flussi di cassa prospettici.È opportuno ricordare come la presenza di un controllo di gestione efficace ed efficiente sia

indispensabile non solo per poter dimostrare la bontà dell’investimento che si andrà a porre in essere, come anche l’attenzione che il Consorzio riserva alla tutela del proprio business, ma rappresenta altresì un requisito fondamentale per poter ricorrere a strumenti di finanziamento innovativi a supporto del suo processo di crescita quali, appunto, i mini-bond.

Le prospettive di crescita e la necessità di nuova finanza tramite i mini-bond

Sfruttando il know-how maturato in questi anni è stato possibile sostenere importanti acquisizioni dal mercato di strutture non performanti, trasformandole in unità con lo standard Agorà.Non è tuttavia possibile pensare di arrivare a questo tipo di investimenti drenando liquidità necessaria per l’operatività quotidiana della Società; questo tipo di attività ha infatti costretto Agorà a ricorrere ad un massiccio uso di linee di credito per anticipo fatture e s.b.f., aumentando nel tempo la Posizione Finanziaria Netta.

Tavola 5 – Esempio di «scheda unità»

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Considerando poi che tali investimenti richiedono un periodo di assestamento variabile dai 6 ai 18 mesi prima di potere essere rese operative ed efficienti, e quindi contribuire attivamente alla generazione di flussi di cassa, la Società ha ritenuto opportuno cercare finanza sul mercato.È nata così l’idea di ricorrere all’emissione di un mini-bond di € 3.000.000 che consentisse di ottenere le somme necessarie ad effettuare investimenti che nel giro di 5 anni potessero arrivare a far incrementare il fatturato di oltre il 20% e ripagare quindi gli investitori. I vantaggi di questa operazione sono apparsi subito evidenti, dato che non appesantire le linee di credito bancarie avrebbe permesso di mantenere senza problemi le linee di credito «commerciali», utili a ottimizzare il cash-flow aziendale. Valutati poi i vantaggi fiscali relativi alla deducibilità degli interessi passivi (recentemente portati entro il 30% del margine operativo lordo dell’esercizio) e l’opportunità di attirare nuovi investitori si è scelto di tentare questa strada, andando a redigere un business plan quinquennale che illustrasse l’impatto degli investimenti portati a termine. Come precedentemente illustrato,

un sistema di controllo di gestione consolidato, nonché un business plan «solido e dettagliato», rappresentano i principali criteri qualitativi da rispettare, assieme alla certificazione dell’ultimo bilancio depositato, alla capacità e all’esperienza del management, alla trasparenza nella comunicazione e alla propensione all’internazionalizzazione. In questo ultimo particolare punto Agorà ha già fatto passi avanti, allargando i propri orizzonti oltre i confini italiani, acquisendo una struttura a Malta.

Il piano industriale

Come detto il piano industriale «solido e dettagliato» rappresenta uno dei requisiti qualitativi per poter ricorrere allo strumento del mini-bond. La Tavola 6 riporta un estratto del Conto Economico riclassificato presente nel piano industriale di Agorà. Per motivi di spazio e di privacy l’estratto del Conto Economico è presentato in versione sintetica, ma risulta navigabile ed indagabile nelle sue sezioni fino all’interno dei conti mappati del Consorzio.Il piano è stato redatto considerando lo storico

Tavola 6 – Conto Economico 2011-2020

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dei bilanci 2011-2014, analizzando come primo anno il forecast 2015. Per la mappatura dei ricavi e dei costi si è tenuto conto del sistema di gestione interno alla società, che ha permesso di considerare singolarmente le unità produttive, monitorandone le singole redditività per la durata dei singoli contratti. Tenendo conto dei ricavi medi e tenendo ferme le marginalità fin qui ottenute, senza dunque andare ad incrementare i fatturati se non per le realtà che ancora non risultavano essere a pieno regime, si è proceduto ad inserire i 3 investimenti che la società ha individuato e che verranno realizzati grazie all’emissione del mini-bond.Tali acquisizioni, previste per gli anni 2015, 2017 e 2019, troveranno reale manifestazione in termini di contribuzione al risultato economico, dopo circa 12 mesi, per cui i ricavi sono stati incrementati in modo significativo sugli anni 2016, 2018 e 2020. Come si evince dalla Tavola 6, l’EBITDA di Agorà risulta particolarmente interessante, e consente appieno di sostenere i costi per l’emissione del mini-bond, nonché di beneficiare della deducibilità degli interessi passivi maturati e dei costi di emissione.Grazie infine alla visualizzazione del cash-flow riportato nella Tavola 7, è possibile dimostrare la sostenibilità dell’operazione, con la restituzione del mini-bond in un’unica soluzione entro i 60 mesi dall’emissione. Durante questo periodo la Società ha potuto generare cassa, dedicando il cash-flow operativo alla sola gestione ordinaria della stessa, e riconoscendo agli investitori il tasso di interesse previsto. Risulta quindi evidente che una volta

portate a termine le acquisizioni e messe a regime, Agorà sarà in grado di generare cassa e ripagare interamente i propri investitori. Nella Tavola 8 si presenta uno spaccato dei principali indicatori di riferimento per la collocazione di mini-bond, che risultano ampiamente soddisfatti.

Crescita e sviluppo: «nasce prima l’uovo o la gallina?»

Il caso Agorà mostra un interessante e continuo processo di crescita aziendale, sia passato che prospettico, che si accompagna ad un parallelo sviluppo dei processi interni di governo e controllo organizzativo. L’esperienza comprova inoltre la costante sinergia esistente tra i due processi che si determinano ed influenzano a vicenda nel corso del tempo (Tavola 9).In effetti, l’ottenimento della certificazione ISO 9001:2008, necessaria per lo svolgimento e lo sviluppo di molte delle attività del Consorzio - ovvero ai fini della stessa partecipazione alle gare di appalto di interesse per la società - ha richiesto la progettazione e l’adozione di adeguati processi di gestione di una politica di qualità sociale in azienda (freccia a nella Tavola 9), la cui continua implementazione nel tempo ha fatto sì che si sviluppassero e istituzionalizzassero delle efficaci conoscenze e competenze di governo e controllo dei processi aziendali (freccia b). Come già evidenziato, sfruttando il know-how così maturato,

Tavola 7 – Andamento del cash-flow 2011-2010

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è stato possibile sostenere importanti acquisizione dal mercato di strutture non performanti, trasformandole in unità a valore aggiunto che hanno sostenuto la costante crescita organizzativa (frecce c e d). Al contempo, però, i continui processi di acquisizione hanno spinto verso la ricerca di canali alternativi di finanziamento rispetto al mero uso di linee di credito per anticipo fatture e s.b.f., determinando così la decisione di fare ricorso all’emissione di mini-bond. L’accesso ad un simile strumento potrà consentire un ulteriore rafforzamento del processo di crescita del Consorzio, così come dimostrato dal business plan quadriennale predisposto. Tuttavia, il ricorso all’emissione di mini-bond non è immediato e richiede, fra le altre cose, un sistema di controllo di gestione consolidato, di cui Agorà oggi può vantare. In definitiva, l’emissione di mini-bond da parte del Consorzio, necessaria per continuare a supportare la continuazione di un equilibrato processo di crescita, presuppone l’esistenza di efficaci processi di governo e controllo, oggi presenti in azienda in virtù dello sviluppo che questi hanno sperimentato negli anni, loro richiesto proprio a supporto della crescita aziendale.Difficile dunque stabilire se è la crescita a determinare i processi di sviluppo aziendale o viceversa. Certo è che le aziende, specie quelle di minori dimensioni, sempre più chiamate ad intraprendere efficaci percorsi di crescita per poter continuare a competere nei propri mercati, debbono curare fin da subito l’implementazione e lo sviluppo al loro interno di processi gestionali maggiormente strutturati.

Bibliografia

CATTURI G. (a cura di) (2009), I vizi aziendali. Vademecum al contrario dell’azienda di successo, IPSOA editore, Milano.

MARAGhINI M.P., LOTTI F. e CETARINI T. (2013), «Il ruolo del controllo nello sviluppo di progetti complessi: il caso Ecodelm s.r.l.» , in Controllo di Gestione, IPSOA, n. 1: pp. 38-45.

Osservatorio Mini-Bond (2015), I° Report italiano sui Mini-Bond, Politecnico di Milano - School of Management.

SANTORO A. (2015), “Il mini-bond «incentivante»: il caso Bomi”, in Amministrazione&Finanza, IPSOA, n. 1: pp. 81-89.

Tavola 9 – Crescita e sviluppo aziendale: correlazioni ed interdipendenze

Tavola 8 – Principali indicatori di riferimento per la collocazione di mini-bond

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