Giorgio Pellicelli Il Marketing settima edizione Wolters ... 2.pdf · Giorgio Pellicelli, Il...

29
ALIMENTI PER GATTI: FRISKIES (NESTLÈ ) ALL’ATTACCO DEL NUMERO UNO MONDIALE WHISKAS (MARS) Il mercato mondiale degli alimenti per gatti, stimato intorno a 40.000 miliardi di lire, è al centro di una accesa battaglia di marketing fra i giganti del settore: Mars e Nestlè . Il gatto è un animale che ama una alimentazione variata. Di conseguenza i produttori di alimenti industriali debbono proporre gamme ampie di alimenti, a forte valore aggiunto. I vincoli alle strategie di marketing sono resi ancora più complessi dal fatto che gli alimenti scelti sono molto diversi a seconda dei rapporti affettivi che il compratore ha con il proprio gatto. Per questo la comunicazione ha spesso un contenuto emotivo. Il gatto è un animale indipendente che non si lascia imporre l’alimentazione dal suo padrone. Ama la varietà . Ha un comportamento alimentare complesso, che costringe i produttori di alimenti preparati a proporre un’offerta ampia, con prodotti di alta gamma a forte valore aggiunto. Ben diversa è l’offerta di alimenti per cani, i quali si accontentano in genere di un’alimentazione semplice e uniforme. Per i gatti, i produttori adottano una comunicazione più sofisticata che evoca spesso i messaggi adottati per l’alimentazione umana. I tecnici del settore dicono che il gatto non mangia, degusta. È capace di distinguere due piatti tra di loro anche se la differenza delle materie componenti è soltanto del 4%. L’universo dei proprietari di gatti è in prevalenza femminile, più sensibile ai messaggi basati sulle emozioni di quanto sia l’universo dei proprietari di cani. «Il gatto è nutrito in funzione del rapporto emotivo che esiste con il proprietario», afferma il responsabile del marketing Petfood di Nestlè . Questa distinzione si traduce in una comunicazione molto personalizzata da parte dei fabbricanti di prodotti industriali per animali, che distingue in genere tre tipologie di rapporti emotivi tra i proprietari e i loro gatti. 1) Il «gatto utile». È desiderato principalmente dai bambini; serve per distrarli, per farli giocare. In altri casi la sua missione è dare la caccia ai topi in una casa di campagna. Se questo è il rapporto, l’alimentazione scelta per il gatto è in genere di prezzo basso e non deve creare complicazioni o perdita di tempo per il proprietario. 2) Il «gatto di famiglia». È rispettato, fa parte della famiglia. Merita un’alimentazione di qualità. 3) Il «gatto adulato». Ha una forte relazione emotiva con il suo padrone che gli attribuisce una sensibilità quasi umana. L’alimentazione scelta deve non solo nutrirlo ma procurargli anche un piacere. La scelta cade sui prodotti di alta gamma. Il mercato dell’alimentazione per gatti ha un forte potenziale in quanto soltanto la metà dei componenti ha origine industriale (derivato dalla lavorazione di carne bovina, suina e altre carni) e i prodotti freschi, specifici, rappresentano ben il 35%. Gli inglesi in media destinano circa 350.000 lire l’anno per nutrire il loro gatto, i tedeschi circa 230.000, i francesi 200.000, gli italiani soltanto 90.000 e gli spagnoli 55.000. Il mercato europeo è stimato in circa 6000 miliardi di lire (1,3 miliardi di tonnellate) e quello americano in circa 4500 miliardi per un totale mondiale di circa 40.000 miliardi di lire. Questo mercato è conteso da grandi imprese. Mars, numero uno mondiale con la marca Whiskas, è al primo posto nel mercato europeo, ma lo sfidante Friskies (Nestlè ) ha conquistato una buona quota di mercato grazie all’innovazione di prodotto. Quaker Oats, ideatore della marca Felix, ha ceduto la divisione alimenti per animali domestici in Europa alla britannica Dalgety e ad Heinz negli Stati Uniti. Negli ultimi anni nel mercato sono entrati altri rivali. Cresce la concorrenza delle marche dei distributori (private label) con il conseguente calo dei margini di utile per i produttori. Mars (Whiskas, Kitekat, Ronron, Sheba). Mars è al primo posto nel mondo per l’alimentazione per gatti con il 25% del mercato. Mars destina ciascuna delle proprie marche a un differente tipo di alimentazione: Whiskas (la marca principale) è destinata al segmento di qualità ; Kitekat occupa la parte centrale della gamma ed è destinata all’alimentazione equilibrata (alimentazione sana); Ronron è il prodotto a prezzo basso; Sheba si posiziona nella gamma alta (alimentazione che procura piacere al «gatto adulato»). Giorgio Pellicelli, Il Marketing, settima edizione, Wolters Kluwer Italia, 2017 (ISBN 978-88-13-36290-4) Parte 2 - Capitolo 1

Transcript of Giorgio Pellicelli Il Marketing settima edizione Wolters ... 2.pdf · Giorgio Pellicelli, Il...

ALI MENTI PER GATTI: FRISKIES (NESTLÈ ) ALL’ATTACCO DEL NUMERO UNO MONDIALE WHISKAS (MARS) Il mercato mondiale degli alimenti per gatti, stimato intorno a 40.000 miliardi di lire, è al centro di una accesa battaglia di marketing fra i giganti del settore: Mars e Nestlè . Il gatto è un animale che ama una alimentazione variata. Di conseguenza i produttori di alimenti industriali debbono proporre gamme ampie di alimenti, a forte valore aggiunto. I vincoli alle strategie di marketing sono resi ancora più complessi dal fatto che gli alimenti scelti sono molto diversi a seconda dei rapporti affettivi che il compratore ha con il proprio gatto. Per questo la comunicazione ha spesso un contenuto emotivo.

Il gatto è un animale indipendente che non si lascia imporre l’alimentazione dal suo padrone. Ama la varietà . Ha un comportamento alimentare complesso, che costringe i produttori di alimenti preparati a proporre un’offerta ampia, con prodotti di alta gamma a forte valore aggiunto. Ben diversa è l’offerta di alimenti per cani, i quali si accontentano in genere di un’alimentazione semplice e uniforme. Per i gatti, i produttori adottano una comunicazione più sofisticata che evoca spesso i messaggi adottati per l’alimentazione umana. I tecnici del settore dicono che il gatto non mangia, degusta. È capace di distinguere due piatti tra di loro anche se la differenza delle materie componenti è soltanto del 4%. L’universo dei proprietari di gatti è in prevalenza femminile, più sensibile ai messaggi basati sulle emozioni di quanto sia l’universo dei proprietari di cani. «Il gatto è nutrito in funzione del rapporto emotivo che esiste con il proprietario», afferma il responsabile del marketing Petfood di Nestlè . Questa distinzione si traduce in una comunicazione molto personalizzata da parte dei fabbricanti di prodotti industriali per animali, che distingue in genere tre tipologie di rapporti emotivi tra i proprietari e i loro gatti. 1) Il «gatto utile». È desiderato principalmente dai bambini; serve per distrarli, per farli giocare. In altri casi lasua missione è dare la caccia ai topi in una casa di campagna. Se questo è il rapporto, l’alimentazione scelta per il gatto è in genere di prezzo basso e non deve creare complicazioni o perdita di tempo per il proprietario. 2) Il «gatto di famiglia». È rispettato, fa parte della famiglia. Merita un’alimentazione di qualità.3) Il «gatto adulato». Ha una forte relazione emotiva con il suo padrone che gli attribuisce una sensibilità quasiumana. L’alimentazione scelta deve non solo nutrirlo ma procurargli anche un piacere. La scelta cade sui prodotti di alta gamma. Il mercato dell’alimentazione per gatti ha un forte potenziale in quanto soltanto la metà dei componenti ha origine industriale (derivato dalla lavorazione di carne bovina, suina e altre carni) e i prodotti freschi, specifici, rappresentano ben il 35%. Gli inglesi in media destinano circa 350.000 lire l’anno per nutrire il loro gatto, i tedeschi circa 230.000, i francesi 200.000, gli italiani soltanto 90.000 e gli spagnoli 55.000. Il mercato europeo è stimato in circa 6000 miliardi di lire (1,3 miliardi di tonnellate) e quello americano in circa 4500 miliardi per un totale mondiale di circa 40.000 miliardi di lire. Questo mercato è conteso da grandi imprese. Mars, numero uno mondiale con la marca Whiskas, è al primo posto nel mercato europeo, ma lo sfidante Friskies (Nestlè ) ha conquistato una buona quota di mercato grazie all’innovazione di prodotto. Quaker Oats, ideatore della marca Felix, ha ceduto la divisione alimenti per animali domestici in Europa alla britannica Dalgety e ad Heinz negli Stati Uniti. Negli ultimi anni nel mercato sono entrati altri rivali. Cresce la concorrenza delle marche dei distributori (private label) con il conseguente calo dei margini di utile per i produttori. Mars (Whiskas, Kitekat, Ronron, Sheba). Mars è al primo posto nel mondo per l’alimentazione per gatti con il 25% del mercato. Mars destina ciascuna delle proprie marche a un differente tipo di alimentazione: Whiskas (la marca principale) è destinata al segmento di qualità ; Kitekat occupa la parte centrale della gamma ed è destinata all’alimentazione equilibrata (alimentazione sana); Ronron è il prodotto a prezzo basso; Sheba si posiziona nella gamma alta (alimentazione che procura piacere al «gatto adulato»).

Giorgio Pellicelli, Il Marketing, settima edizione, Wolters Kluwer Italia, 2017 (ISBN 978-88-13-36290-4)Parte 2 - Capitolo 1

Il produttore americano ha la gamma più ampia (oltre 40 referenze). È presente anche nel circuito dei prodotti veterinari, nel latte per gatti, a basso contenuto di lattosio (con la marca Cat Milk) e nelle lettiere per gatti (marca Catsan). Nestlè (Friskies, Gourmet). L’alimentazione destinata ad animali domestici è una linea di prodotti alla quale Nestlè attribuisce molta importanza. Grazie a numerose innovazioni le marche Friskies e Gourmet (alta gamma) hanno conquistato il secondo posto in Europa. La strategia di marketing è stata orientata principalmente in due direzioni: acquisto di imprese specializzate e innovazione di prodotto. Acquistando Carnation (1985) per 3 miliardi di dollari, Nestlè è entrata in forze anche nel mercato dell’alimentazione per animali domestici. Successivamente ha acquistato Alpo (impresa specializzata in questo settore) dalla britannica Grand Meet. Non ha fatto mistero dell’interesse per la divisione alimentazione animale di Quaker Oats (successivamente venduta alla Dalgety e ad Heinz). Altrettanto rilevanti sono stati gli investimenti nelle innovazioni di prodotto. Nestlè è stato un pioniere negli alimenti a densità differenziata, nei patè , nell’uso di contenitori in vetro e di nuovi formati (800 grammi). L’obiettivo di fondo è di migliorare l’appetibilità dei prodotti attraverso la «cosmetica » del prodotto stesso e attraverso gli odori percepiti non solo dal gatto, ma anche dal suo padrone. Nestlè ha anche aumentato gli investimenti pubblicitari intorno a due marche principali. Friskies che punta su un messaggio di alimentazione equilibrata e Gourmet che punta su un messaggio di alimentazione che crea piacere. Friskies è adatta al «gatto di famiglia». In tutti i paesi è venduto con lo stesso packaging (stessi colori, stessa foto del gatto, stesso logo). Esistono varianti a seconda del paese per quanto riguarda la composizione degli alimenti: carne nell’Europa del Sud e pesce nell’Europa del Nord. Friskies è specializzato anche nei prodotti per piccoli animali (pesci, canarini). Anche Gourmet è venduto in tutti i paesi europei. Il simbolo è un gatto persiano bianco. Il messaggio è chiaro. Il gatto è presentato come una star, un «patriarca esigente», difficile da accontentare. Il posizionamento è nella gamma alta. Punta su un forte rapporto affettivo tra il compratore e il proprio gatto Domande 1. Come potrebbe il modello di decisione aiutare il marketing dei produttori di alimenti per gatti? È utile? 2. Per preparare un messaggio pubblicitario, giudicate più utili: informazioni sulla demografia di chi compra o informazioni sullo stile di vita di chi compra? Oppure altre informazioni ancora? Fate esempi di come usereste i vari tipi di informazione- . 3. Quale contenuto dareste ad uno spot televisivo per il «gatto utile», il «gatto di famiglia» e il «gatto adulato»?

MODELLI DI CONSUMO IN GRAN BRETAGNA

Negli ultimi trent’anni i consumi in Gran Bretagna sono cresciuti in media del 2-2,5% l’anno con oscillazioni considerevoli comprese tra -- 2% e + 7,5%. Il ciclo economico ha avuto un ruolo determinante in queste oscillazioni. Sono emerse nuove tendenze nei consumi di prodotti alimentari e nei consumi di abbigliamento. I prodotti audio-visual e i servizi legati al tempo libero hanno avuto ritmi di crescita nettamente superiori alla media. Alla fine del secolo il profilo del consumatore britannico era molto diverso da quello di trent’anni prima.

Negli ultimi trent’anni del XX secolo i consumi in Gran Bretagna sono aumentati ad un ritmo annuo medio compreso tra il + 2 e il + 2,5%. Le relazioni con il ciclo economico sono evidenti. Infatti su un lungo periodo di tempo, i consumi tendono a crescere ad un ritmo vicino a quello del reddito, che a sua volta è legato al ritmo di crescita dell’economia. Le punte minime coincidono con periodi di recessione. La parte centrale degli anni ’80 fu un periodo di forte sviluppo che può essere spiegato con una congiunzione di fattori in parte non ripetibili. Nuove tendenze. È cambiata la composizione dei consumi. Rispetto al totale dei consumi in valore, negli ultimi trent’anni è calata la quota percentuale dei consumi di prodotti di base come alimentari, bevande e tabacco, articoli per la casa ed energia con uno spostamento verso attività legate al tempo libero. La quota dei consumi destinata ai prodotti alimentari è calata in misura consistente a partire dal 1996, ma (all’interno di questi prodotti) le bevande alcoliche hanno guadagnato quote sia negli anni ’60 che negli anni ’70. Successivamente i cambiamenti nelle abitudini e l’aumento dei prezzi hanno ridotto la quota dei consumi di tali bevande. I consumi di abbigliamento e calzature sono aumentati molto lentamente negli ultimi trent’anni. Le spese destinate all’acquisto di articoli per la casa e di energia sono scese dal 21% nel 1975 al 18% negli ultimi anni del secolo. Queste tendenze sono destinate a continuare almeno fino al 2010. Alla fine del XX secolo, i beni di consumo durevoli rappresentano circa il 10% del totale dei consumi in valore, circa il doppio del livello che avevano raggiunto nel 1966. Negli anni ’80 e ’90 le spese destinate all’acquisto di autovetture sono cresciute più rapidamente della media dei consumi, ma la crescita più forte è stata realizzata dai prodotti audio-visual e dagli elettrodomestici. Gli esperti prevedono che anche nei primi anni del terzo millennio il ritmo di crescita delle spese di queste due categorie di prodotti sarà sensibilmente superiore alla crescita media dei consumi, sebbene ad un ritmo meno intenso rispetto al passato. Molti posseggono già questi prodotti. Inoltre cala la quota di giovani sul totale della popolazione. Queste due tendenze limiteranno la crescita della domanda di molti prodotti durevoli nei prossimi anni. I prodotti e i servizi legati al tempo libero hanno la natura di consumi discrezionali (possono essere rinviati nel tempo). La loro quota è cresciuta costantemente. Rappresentavano circa il 25% del totale dei consumi nel 1966, trent’anni dopo la quota era superiore al 30%. Articoli per lo sport e giocattoli, viaggi in aereo e prodotti finanziari hanno avuto i ritmi di crescita più forti. Anche per queste categorie di prodotti è prevista una crescita più lenta nei prossimi anni. Altri due settori con i consumi in crescita sono quelli della sanità e della formazione professionale. La popolazione della Gran Bretagna invecchia e ciò determina un maggiore aumento della spesa destinata ai prodotti farmaceutici e alle cure mediche. Tuttavia le spese destinate alla salute rappresentano una quota molto bassa della spesa totale. La domanda di cure mediche potrebbe crescere in futuro in rapporto al modo in cui i consumi saranno finanziati dallo Stato. L’invecchiamento della popolazione pesa negativamente sulla domanda di istruzione e formazione professionale, ma la contrazione è più che compensata da una maggiore sensibilità a questo tipo di servizi. Esaminiamo ora con maggiori dettagli le tendenze per alcune categorie di consumi.

Giorgio Pellicelli, Il Marketing, settima edizione, Wolters Kluwer Italia, 2017 (ISBN 978-88-13-36290-4)Parte 2 - Capitolo 1

Prodotti audio-visual. La crescita sarà superiore alla media. La discesa dei prezzi e lo sviluppo di nuovi prodotti sono fattori importanti. Sebbene la penetrazione della televisione sia molto alta, esiste una crescente domanda per il secondo e persino il terzo televisore. I videoregistratori avranno una buona domanda, ma il livello di penetrazione è già molto alto. Il calo dei prezzi di tutti i «prodotti neri» dovrebbe alimentare un ulteriore forte sviluppo della domanda. La crescita effettiva dovrebbe però dipendere dall’innovazione dei prodotti e dal loro adattamento a nuove esigenze (ad esempio multimedia). Elettrodomestici. Anche la domanda di questi prodotti dipende dall’innovazione e subisce andamenti ciclici. È però più legata ai cicli di sostituzione di quanto siano i prodotti audio-visual. Esiste una relazione stretta tra l’innovazione e la sostituzione di vecchi prodotti. Il lancio nel mercato di nuovi prodotti detta infatti il tempo e la natura del ciclo di sostituzione. La sostituzione è stimolata in misura modesta dall’obsolescenza fisica, molto più dal desiderio di migliorare le prestazioni ed integrarla con altri prodotti. Nel medio-termine l’innovazione sarà dunque il fattore dominante nelle tendenze della domanda. La penetrazione è alta per forni, lavatrici e frigoriferi, mentre è ancora bassa per forni a microonde e lavastoviglie. Alimentari e bevande. In periodi di recessione, la quota destinata ai prodotti alimentari sul totale tende ad aumentare (in quanto il calo del reddito disponibile riduce altri consumi), mentre tende a scendere in periodi di forte crescita del reddito. Ciò dipende dalla diversa sensibilità della domanda di prodotti alimentari rispetto al reddito. In particolare la domanda di bevande alcoliche è molto sensibile all’andamento generale dell’economia. Esiste una tendenza di lungo periodo che sposta i consumi dagli alimentari e dalle bevande alcoliche verso altri tipi di prodotti. La loro quota percentuale tende così a diminuire. L’incremento del reddito e il cambiamento degli stili di vita sono i fattori principali. 1) Alcuni segmenti del settore alimentare hanno consumi in crescita. Sono i consumi di pesce, zucchero, patate, biscotti, altri cereali e vegetali. Sono invece in calo i consumi di latte, formaggio, uova, carni bovine e suine. 2) Cresce la domanda di prodotti surgelati e quella di prodotti «healthy» (meno carne, meno grassi e zuccheri, più frutta e vegetali). A metà degli anni ’90 la domanda di carni ha subito un tracollo a causa dei legami tra BSE e l’equivalente umano, il morbo di Creuzfeld- Jacob (noto in Italia come il fenomeno di «mucca pazza»). 3) Negli ultimi quarant’anni i prezzi dei prodotti alimentari sono aumentati molto meno della media generale: 13 volte e 63 volte rispettivamente. Soltanto subito dopo la Seconda guerra mondiale i prezzi degli alimentari ebbero un fortissimo aumento (fino al 60% in un anno a causa della penuria di materie prime). Poi la crescita fu lenta, soprattutto dopo l’introduzione dei prezzi controllati avvenuta negli anni ’60. Abbigliamento. La domanda di calzature e abbigliamento ha avuto ritmi di crescita superiori alla media per lunghi periodi di tempo. Esiste tuttavia la tendenza a destinare una quota calante del reddito ai consumi di abbigliamento e calzature. Questa tendenza è stata attenuata dal calo dei prezzi che ha ripetutamente stimolato una nuova domanda. La domanda di abbigliamento per donne e ragazze ha ritmi di crescita in genere superiori a quelli dell’abbigliamento per uomo. Dagli anni ’70 in poi è emersa l’importanza del rapporto prezzo/qualità , ma con due poli estremi: forte attenzione da parte dei consumatori con redditi bassi, minore attenzione da parte di quelli con redditi alti (premiano l’immagine di marca). Le recessioni dell’economia hanno spinto tutti ad una maggiore attenzione al rapporto prezzo/qualità. Domande 1. Supponendo di esplorare la possibilità di entrare nel mercato britannico degli elettrodomestici, quale previsione fate per i prossimi anni? Quali tendenze hanno un effetto sulle strategie di marketing? E su quali elementi del marketing mix in particolare? 2. Quali legami esistono tra culture e tradizioni da un lato e consumi di prodotti «healthy» dall’altro? 3. Quali fattori agiscono sulla forte domanda di prodotti audio-visual?

QUICK: TRAMONTO DI UNA CATENA DI RISTORAZIONE Anche in Italia il consumo dei pasti fuori casa ha avuto negli anni ’90 una forte espansione. Ciò ha dato luogo da un lato allo sviluppo di nuove forme di ristorazione accanto a quelle tradizionali e dall’altro all’entrata nel mercato di nuove catene di ristoranti. Le due forme di ristorazione maggiormente innovative sono state il fast-food e il self-service freeflow, mentre le catene con la maggiore diffusione in Italia sono state Burghy, Quick e Wendy.

La catena Quick faceva parte del gruppo La Rinascente. Riproduceva il modello della Quick International (oltre 100 ristoranti in Europa) facente parte a sua volta del gruppo belga G.B. – Inno- Bm. Il rapporto tra la Serimo e la Quick International era regolato dal franchising. La prima fase di espansione della Quick fu affidata al fast-food. Il primo ristorante fu aperto a Milano in Galleria Vittorio Emanuele. Dopo tre anni la catena aveva già 10 ristoranti. «I punti di forza della rete Quick – ha dichiarato il Presidente della Serimo – possono essere individuati prima di tutto nell’ubicazione strategica dei punti di vendita che sono tutti localizzati in pieno centro città e in vie di grande traffico». «Altro punto di forza è la particolare cura data all’arredamento dei locali e all’ambiente in generale». Allo sviluppo del fast-food in Italia contribuirono vari fattori in parte legati al comportamento dei consumatori e in parte risultanti da un nuovo modo di organizzare la ristorazione. I fattori economico-sociali erano numerosi ma principalmente potevano essere ricondotti ai seguenti: a) le cambiate abitudini della famiglia; b) la necessità di controllare la dieta; c) l’esigenza di consumare pasti alla svelta e di spendere poco; d) l’aumento dell’occupazione femminile; e) l’accorciamento delle pause di lavoro. Il fast-food non era però soltanto un «servizio rapido», ma bensı` la risultante di una nuova organizzazione su basi industriali. I principi erano gli stessi che avevano decretato il successo della catena Mc Donald negli Stati Uniti: qualità , servizio, igiene e pulizia, convenienza. a) Per qualità non si intende soltanto un controllo sugli ingredienti e le materie prime, maanche sui prodotti finiti. Le maggiori catene adottano il principio di eliminare entro un certo numero di minuti i panini già preparati e non consumati. Lo standard elevato di qualità permette di compensare lo svantaggio di un menù ad assortimento ridotto. b) Altra caratteristica del fast-food è il servizio offerto. L’aspetto più evidente è l’abbandono dello schematradizionale del ristorante per sostituirlo con l’intervento diretto del cliente che effettua le ordinazioni alla cassa e trasporta i prodotti finiti al tavolo. In realtà però si tratta di una diversa impostazione dell’intero servizio. Il fast food offre infatti la possibilità di consumare un pasto in qualsiasi ora del giorno; offre la garanzia di trovare posto a sedere in un locale dall’arredamento curato e soprattutto consente di ridurre al minimo i tempi di attesa (in genere non più di 2-3 minuti). c) Fin dalle prime esperienze i fast-food hanno avvertito l’esigenza di garantire ai consumatori elevati standard diigiene e di pulizia dei locali. Ad essi vanno aggiunti poi la scelta accurata dei materiali di arredamento, il condizionamento e la climatizzazione. d) Infine, il prezzo del prodotto deve essere necessariamente basso, pari, se non inferiore, al costo delle materieprime e degli ingredienti necessari per preparare lo stesso piatto in casa. Pur restando un segmento in buona espansione, il fast-food verso la metà degli anni ’80, cominciò a dare qualche segno di debolezza. Lo «scontrino medio» era basso, la concorrenza molto forte, parte dell’opinione pubblica era contraria alla concessione di nuove licenze. Per queste ragioni la Serimo decise di esaminare la possibilità di entrare anche nell’altro segmento che prometteva un sicuro sviluppo: quello del self-service free-flow. Anche in questo caso si tratta di un modello già collaudato all’estero. Trae vantaggio dalle economie di costo derivanti dall’adozione delle tecniche di vendita self-service, ma l’innovazione sostanziale consiste nell’aver introdotto il

Giorgio Pellicelli, Il Marketing, settima edizione, Wolters Kluwer Italia, 2017 (ISBN 978-88-13-36290-4)Parte 2 - Capitolo 1

sistema di libera circolazione dei clienti nella sala. All’interno di questa sono create diverse isole che hanno lo scopo di presentare l’offerta secondo determinati requisiti: tavola calda (primi e secondi piatti), dessert, piatti freddi, e così via. Anche il self-service free-flow presenta un’offerta varia ma ad un prezzo contenuto. Alcuni anni dopo, principalmente a causa dei limiti posti dalle autorità all’apertura di nuovi fast food nelle principali città , Quick fu abbandonata e i ristoranti furono ceduti ad altre catene. Domande 1. «Fast-food» e «self-service free-flow» sono due mercati distinti? Perché? 2. Quali sono i fattori che hanno spinto sempre più la gente a mangiare fuori casa? 3. Se voi foste il consulente della catena Quick, quale suggerimento dareste per accelerare questa tendenza? 4. Elencare e discutere i principali motivi che spingono i clienti ad utilizzare queste forme di ristorazione. Quali sono i principali fattori esterni alla persona che decide e quali i principali fattori interni che riguardano tale persona?

HARRODS: COME VENDERE A UN BIG BUYER La storia del più noto department store inglese risale alla fine dell’800. Prende il nome da Charles Harrod che cominciò la propria attività commerciale nel 1935 come grossista di prodotti alimentari. Harrods fa parte ora del più grande gruppo inglese di department stores: House of Fraser. Harrods Group opera in Londra con questa insegna a Knightsbridge, con le insegne David Evans in Oxford Street e con Dickins & Jons in Regent Street. Di seguito è riportata la sintesi di un’intervista fatta al responsabile dell’Import Department del gruppo Harrods. Quanto importate? Circa il 70% di quanto venduto in Harrods è di origine britannica, il rimanente 30% è acquistato all’estero. È però difficile fornire dati precisi poiché parte dei prodotti provenienti dall’estero sono acquistati direttamente presso subsidiaries britanniche di imprese straniere. Di conseguenza questi prodotti per noi non risultano importati anche se non sono di origine britannica. La quota è inoltre molto diversa da un settore all’altro. È la quasi totalità per i vini. È molto alta per l’abbigliamento (acquistato principalmente in Francia, Germania e Italia). È bassa per gli altri prodotti alimentari. Quando date la preferenza a prodotti stranieri? Compriamo all’estero quello che non possiamo comprare sul mercato britannico. In genere acquistiamo all’estero: – prodotti fabbricati con materie prime locali: a) di origine animale (cuoio, pellicce, lana); b) di origine vegetale(cotone, legno); c) di origine minerale (giade, alabastro, marmo); – prodotti locali che non esistono altrove, ad esempio seta thailandese, tappeti cinesi, porcellane giapponesi;– per acquistare «ethnic skills» che non esistono altrove: ad esempio, coromandel dalla Cina e cameos dall’Italia;– per acquistare moda; nel 1962 compravamo mobili moderni in Scandinavia, nel 1982 abbiamo cominciato acomprarli in Italia. La risposta va ulteriormente integrata. Bisogna infatti distinguere tra quello che già esiste e che è già noto ai nostri clienti britannici, da quello che potrebbe essere venduto. Per essere creativi i nostri buyers debbono rivolgersi la seguente domanda: cosa comprerebbe il mio cliente se gli offrissi i prodotti che ho identificato in un mercato estero? L’Import Department di Harrods parte dal presupposto che le imprese estere non sempre hanno buoni designers, non sempre sono in grado di coordinare la moda e non sempre hanno tutte le conoscenze necessarie per fare un buon prodotto. Di conseguenza i buyers di Harrods debbono usare le proprie conoscenze e la propria esperienza per offrire prodotti che i singoli produttori esteri non potrebbero offrire da soli senza assistenza. Quali criteri adottate per selezionare un fornitore straniero? Non abbiamo dimensioni sufficientemente grandi per chiedere (come invece fa Marks & Spencer) ad un produttore estero di fare esattamente il prodotto che noi intendiamo vendere. Di conseguenza dobbiamo selezionare i prodotti e i produttori fra quelli già esistenti. I criteri che seguiamo sono principalmente i seguenti. – Analisi della capacità produttiva, delle tecnologie adottate, della qualità dei prodotti.– I volumi di acquisto devono essere accettabili. Riceviamo ad esempio offerte vantaggiose da parte di alcunipaesi in via di sviluppo, ma per quantità troppo forti rispetto ai nostri volumi di vendita e quindi di acquisto. Altre volte, al contrario, potremmo acquistare ottimi prodotti da artigiani che sono però in grado di fornirli in volumi troppo bassi per rendere conveniente l’acquisto e la successiva vendita. – Vorremmo pochi fornitori ma con fatturati elevati. In genere non abbiamo interesse a comprare poco da unostesso fornitore. Un’impresa dovrebbe quindi darci più cose in modo da rendere l’acquisto globale per noi «importante». – Stabilità finanziaria del produttore. Chi produce deve essere affidabile e deve garantirci stabilità delle forniture.Quando lanciamo un nuovo prodotto dei nostri department stores facciamo forti investimenti (pubblicità , esposizione, addestramento del personale, arredamento di nuove superfici, ecc.) e di conseguenza dobbiamo essere certi di raggiungere un certo grado di redditività.

Giorgio Pellicelli, Il Marketing, settima edizione, Wolters Kluwer Italia, 2017 (ISBN 978-88-13-36290-4) Parte 2 - Capitolo 2

– Tempestività delle consegne. Il fornitore deve essere in grado di rispettare i termini di consegna. – Buon rapporto prezzo/valore. – Capacità di fornire campioni di buona qualità . Non tutte le imprese sono capaci di fornire in anticipo un campione di qualità buona (e soprattutto) aderente alla produzione che poi sarà effettivamente realizzata. Quali canali di importazione adottate? Dipende dai prodotti. Tuttavia le principali fonti di acquisto dall’estero sono le seguenti: a) importazione diretta, da parte dei nostri compratori che prendono contatti col fornitore straniero; b) subsidiaries (britanniche) di produttori esteri; c) importatori (britannici); d) buyers operanti su mercati esteri. Quali procedure debbono seguire i fornitori esteri? Occorre distinguere tra nuovi fornitori e i fornitori esistenti. Per quanto riguarda i nuovi fornitori essi debbono tenere presente principalmente che noi cerchiamo novità , moda, un buon rapporto prezzo/valore e una capacità produttiva adeguata alle nostre esigenze. Per quanto riguarda i fornitori esistenti, cerchiamo in genere di mantenere con loro rapporti molto stretti. Contiamo in particolare su quelli che già conosciamo perché abbiamo investito nei rapporti con loro. Cerchiamo di lavorare insieme. Per rimanere nostri fornitori debbono rispettare alcune regole fondamentali come la costanza della qualità e il rispetto dei termini di consegna. Qual è la struttura organizzativa di Harrods? Cominciando dai livelli più bassi dell’organizzazione, la struttura può essere cosı` illustrata. a) Il primo livello è rappresentato dai sales assistants che sono a contatto diretto con i clienti. b) I sales assistants sono controllati da un primo livello di «junior management» rappresentato dai selling controllers. Oltre al controllo costoro hanno il compito di organizzare e assicurare al cliente uno standard di attenzioni e di servizi in linea con la tradizione di Harrods. c) Al livello successivo si trovano gli assistant buyers. Il buyer è responsabile dei risultati ottenuti dal department store dalla fase dell’acquisto dei prodotti a quella della vendita. È dunque responsabile dei livelli di scorta, dei prezzi e dei margini lordi. Nei department stores più grandi i compiti sono troppo complessi per essere assegnati ad una sola persona e pertanto le responsabilità di acquistare da un lato e di vendere dall’altro sono affidate a persone diverse. Il responsabile delle vendite è chiamato department sales manager. d) I department stores sono raggruppati in «sections» la cui responsabilità è affidata ai section managers. Ad esempio, nei Man’s shop opera un buyer per gli abiti, uno per le camicie, uno per le cravatte. Il section manager è responsabile dell’intero Man’s shop. Il section manager riferisce direttamente al divisional manager il quale è responsabile di una divisione. Harrods ha sei divisioni che corrispondono ad altrettante aree delimitate nei vari piani (food halls, ladies fashion, children’s shop, ecc.). In Harrods operano anche cinque non selling divisions che sono: customer service, personale e formazione, contabilità , store service, pubblicità e relazioni con la stampa. Sulla base dell’intervista che precede un’impresa italiana produttrice di calzature in pelle di qualità (maschili e femminili) decise di proporsi come fornitore abituale ad Harrods. Domande 1. Quali sono le fasi del processo di acquisto di Harrods? 2. Quali sono per le imprese italiane i principali fattori di successo sui quali puntare per ottenere una prima fornitura? E quali i fattori per diventare fornitore abituale? 3. Quale organizzazione dare al marketing dell’impresa italiana? È opportuno assegnare una responsabilità specifica per i rapporti con Harrods ad alcuni collaboratori? Come collegare la produzione con il marketing e con le consegne? 4. Tenendo conto dell’organizzazione di Harrods e indipendentemente dalle procedure formalmente richieste ai fornitori, quali pensate siano le persone più adatte per fornire loro informazioni circa le caratteristiche dei prodotti italiani?

THE REMARKETING OF INDUSTRIAL AMERICA Verso la metà degli anni ’90, le imprese americane di beni industriali (componenti) e di beni strumentali (macchinari, servizi alla produzione) avviarono un profondo cambiamento delle loro strategie che chiamarono «Revolutionary Marketing». Alla fine del decennio le loro innovazioni furono premiate: redditività elevata, forte capacità di competere, leadership mondiale in molti settori. Sullo sfondo l’economia americana stava vivendo il periodo di sviluppo più lungo della sua storia.

Negli anni ’80 l’industria americana realizzò con successo alcune trasformazioni dell’organizzazione interna: 1) semplificazione delle strutture organizzative; 2) otsourcing; 3) introduzione del Total Quality Management (TQM); 4) estesa applicazione del Just-in-time (JiT); 5) re-engineering dei processi produttivi principalmente sotto la spinta dei progressi nella Information Technology (IT) e nelle telecomunicazioni. Mentre gli anni ’80 furono descritti come il periodo «The Restructuring of Industrial America», gli anni ’90 sono stati «The Remarketing of Industrial America». La trasformazione con successo dell’organizzazione interna avviò nuovi sviluppi nei quali il marketing business-tobusiness ha avuto un peso determinante trascinando verso il cambiamento R&D e innovazione, strategie di segmentazione del mercato, comunicazione e strategie di vendita. Nuovi obiettivi furono posti all’orizzonte del «Remarketing». Più linee di prodotti. «Cosı` come i consumatori vogliono poter acquistare più prodotti in uno stesso punto vendita, i distributori di prodotti industriali vogliono poter comprare di più dallo stesso fornitore». «Se il fornitore ha pochi prodotti da offrire, il distributore deve spezzare gli ordini e gestire più processi di acquisto e approvigionamento». Una delle conseguenze è stato il ricorso a ricerche di mercato da parte dei produttori di beni industriali al fine di esplorare nuove opportunità . La forza vendita ha spesso suggerito nuovi candidati per linee di prodotti. Più attenzione all’utilizzatore. Clark Equipment Co. progetta e sviluppa carrelli elevatori e altre attrezzature per la gestione dei materiali. Per decenni ha progettato sulle intuizioni del top management: prezzo, velocità , capacità di carico. Poca attenzione era stata data agli operatori. A partire dai primi anni ’90 gli uffici acquisti dei clienti di Clark cominciarono a chiedere di «qualificare» i prodotti tenendo conto di chi li usava. Il comfort di guida era ai primi posti nelle richieste. Inoltre, dato che gli operatori erano sempre più spesso remunerati in base alla produttività, un fattore critico divenne l’affidabilità del mezzo. Clark chiese ai responsabili delle ricerche di mercato di costruire un profilo completo delle persone che usavano i veicoli e di rispondere a domande come le seguenti. Qual è il peso e la corporatura di coloro che guidano le nostre macchine? Quanto tempo passano sul veicolo? Quante volte e per quanto tempo innestano la retromarcia? Qual è il livello di rumorosità del veicolo percepito dall’operatore? Down the Value Chain. Crescente attenzione fu data alla parte della catena del valore più vicina al compratore finale. «Una delle sfide più difficili che dobbiamo affrontare alla Du- Pont» affermava il responsabile delle ricerche di mercato dell’impresa chimica americana, «È che noi siamo produttori di una materia prima. I nostri clienti, i loro clienti e i clienti dei loro clienti trasformano la nostra materia prima in un prodotto finito che deve rispondere alle esigenze di un consumatore» «Dobbiamo pertanto incorporare le caratteristiche del mercato finale nelle nostre decisioni». DuPont, oltre a comunicare regolarmente con i propri clienti, decise di estendere i contatti agli altri protagonisti della catena del valore, inclusi i consumatori finali. «Fummo trascinati oltre le nostre tradizionali pubblicazioni destinate ai clienti. Fu necessario ideare forme nuove per comunicare con i consumatori finali e fornire strumenti di promozione più efficaci ai nostri clienti. Un professore della University of Chicago intervenne ricordando che esistono almeno tre tipi di utilizzatori di un bene industriale. «I progettisti sono i primi ai quali per tradizione si pensa, ma ora l’attenzione va ai responsabili di stabilimento e di linea di montaggio». Per acquisire vantaggi competitivi i costruttori si rivolgono ai

Giorgio Pellicelli, Il Marketing, settima edizione, Wolters Kluwer Italia, 2017 (ISBN 978-88-13-36290-4) Parte 2 - Capitolo 2

responsabili della produzione per capire come esattamente i loro componenti siano innestati nel prodotto finale e quali siano i suggerimenti per migliorarli. «Altre imprese si rivolgono al terzo tipo di utilizzatore, quello finale» «Il tutto va sotto il titolo di “cercare di capire il consumatore”». Market-driven. Lo spostamento dell’attenzione verso il consumatore finale è parte di un movimento più ampio che spinge le imprese industriali ad essere «market-driven» anziché «technology-driven». Il cambiamento ha implicazioni profonde. In un’impresa «technology driven», in genere, i diversi prodotti sono progettati, fabbricati e venduti da distinte unità operative e divisioni, ciascuna delle quali ha un proprio mercato e propri clienti. Raramente il marketing delle varie unità è coordinato. «Alla DuPont, quando abbiamo deciso di muovere verso la parte finale della value chain, abbiamo anche deciso che nessuna delle nostre divisioni può rivendicare l’esclusività di un mercato». Mentre in precedenza le divisioni DuPont erano autonome nel marketing, dalla metà degli anni ’90 tutte assieme presentavano un sistema di prodotti per i vari settori clienti: autoveicoli, aerospaziale, elettronica. Più formazione nel marketing. «Alla DuPont per tradizione i nostri venditori ricevevano una formazione tecnica. Erano ingegneri e chimici reclutati negli stabilimenti di produzione. I nostri clienti apprezzavano la loro conoscenza tecnica dei prodotti; come erano fabbricati, come potevano essere usati». «Oggi assumiamo in prevalenza persone con una preparazione di marketing». Un’altra tendenza nuova, spinta dall’orientamento market-driven, è assumere persone che conoscano a fondo i settori in cui operano i clienti piuttosto che persone che conoscano i prodotti e il settore del venditore. Fonte: adattato da «Revolutionary Marketing», (1993), Business Marketing, March, pp. 34-50. Domande 1. Qual è la vostra reazione alla seguente frase? «Il comportamento delle organizzazioni nell’acquisto deve essere trattato come un argomento a se stante, autonomo, e non può essere esaminato con i modelli usati nello studio del comportamento dei consumatori individuali». 2. Quali implicazioni derivano sul marketing del venditore dalla necessità di tener conto delle esigenze dei propri clienti?

AL FA-LANCIA

L’acquisizione dell’Alfa Romeo da parte della Fiat ha segnato una svolta storica per l’industria automobilistica italiana che è così entrata in forze nel settore europeo delle vetture di prestigio. La vendita dell’Alfa alla Fiat da parte dell’IRI-Finmeccanica fu autorizzata dal Governo nel novembre del 1986. Poco dopo fu costituita la nuova Società Alfa-Lancia mediante gli apporti, da un lato, delle attività automobilistiche dell’Alfa Romeo e, dall’altro, delle analoghe attività dei marchi Lancia/Autobianchi. Alfa-Lancia operava così all’interno della Fiat Auto assieme alla Ferrari, alla Sevel e ad altre società. La Fiat Auto, a sua volta, fa parte del Gruppo Fiat assieme a Fiatagri, Fiatallis, Iveco, Magneti Marelli, Comau. Le marche Lancia e Alfa si posizionano nella fascia più alta dei segmenti di mercato dove sono presenti rivolgendosi però a targets diversi. Le immagini di marca sono ben distinte: più classica quella Lancia, più sportiva quella Alfa Romeo. La differenza tra le due marche è sottolineata da due distinte reti di vendita. Mercato. La domanda totale di mercato in Europa nel 1986 si aggirava intorno a 11,6 milioni di vetture l’anno. La domanda dei segmenti E ed F – dove Alfa-Lancia aveva la maggiore presenza – era di circa 1,7 milioni di vetture pari al 15% del mercato totale. Dopo la crisi del 1973 (che aveva fatto scendere la domanda a 7,4 milioni di vetture l’anno), vi era stata una forte ripresa fino al 1979 (9,9 milioni di vetture). Da allora però la domanda aveva segnato una lenta crescita. I due segmenti rappresentavano però un’eccezione. Da 1,5 milioni di vetture del 1980, si era passati a 1,6 milioni nel 1982 e si prevedeva di arrivare a due milioni nel 1990. Erano i segmenti con la crescita più forte. Segmenti. La nuova società Alfa-Lancia era presente con prodotti di qualità in più segmenti. Segmenti Prodotti B Autobianchi, Y 10 C Lancia Delta, Alfa 33 D Lancia Prisma, Alfa 75 E Lancia Thema, Alfa 90, Alfa 164 H Alfa Sprint e GTV I Fuoristrada, veicoli speciali Concorrenza. Le principali marche medio-alte occupavano le seguenti posizioni nel mercato: Mercedes (386 mila vetture), BMW (289 mila), Audi/Porsche (280 mila), Volvo (254 mila), Saab (59 mila). Alfa-Lancia si inseriva al secondo posto con un totale di 373 mila vetture, di cui 160 mila Alfa Romeo e 213 mila Lancia. Prodotti. La prima tappa del rilancio dell’Alfa cominciò con la presentazione di due nuove versioni della 75, la Twin Spark 2000 e la 6V America. Alla fine del 1987 fu presentata la 164. Entro il 1990 era in programma il rinnovo dell’intera gamma Alfa.

Domande 1. Ricostruite le principali decisioni prese dalla Fiat all’epoca dell’acquisizione dell’Alfa Romeo. Collocate talidecisioni nei tre livelli: strategie di gruppo, strategie prodotto/mercato e strategie funzionali. 2. Utilizzando una rivista specializzata aggiornate la tabella riguardante i segmenti e i prodotti Alfa-Lancia.Scegliete un prodotto con marca Alfa e uno con marca Lancia. Per entrambi simulare una strategia di marketing e un piano di marketing. 3. Quali vantaggi comparativi Alfa-Lancia presenta rispetto ai principali concorrenti?4. Esaminate un prodotto del segmento Fuoristrada. In che modo risponde alle nuove opportunità del mercato?Quali variabili dell’ambiente esterno agiscono sulla domanda di questo prodotto?

Giorgio Pellicelli, Il Marketing, settima edizione, Wolters Kluwer Italia, 2017 (ISBN 978-88-13-36290-4) Parte 2 - Capitolo 3

MERCK-MEDCO’S DATABASE Parte da un database contenente milioni di prescrizioni mediche. Seleziona attraverso il computer quali possono essere sostituite con i propri prodotti farmaceutici. Cerca di convincere i farmacisti a suggerire ai pazienti di sostituire le prescrizioni e di convincere i medici a cambiarle. Merck è una delle principali imprese farmaceutiche americane. Ha acquistato per 6 miliardi di dollari Medco un’impresa specializzata nella distribuzione di prodotti farmaceutici per corrispondenza e nella gestione di programmi di assistenza sanitaria finanziati da imprese per i propri dipendenti. Medco ha raccolto per anni informazioni sulle prescrizioni mediche utilizzate da circa 33 milioni di persone. Merck ha in programma di usare tali dati sia per convincere i medici a cambiare prescrizioni sia per comunicare direttamente con i pazienti suggerendo loro o di cambiare prodotto oppure di chiedere ai medici di cambiare la prescrizione. Questa strategia high tech, nonostante abbia un vincolo nel rispetto della privacy dei pazienti, secondo i piani di Merck dovrebbe rappresentare un nuovo modello per l’intero settore farmaceutico. Merck aveva in programma di perfezionare la tecnologia di Medco. Il modello dovrebbe funzionare nel seguente modo. Merck-Medco potrebbe prendere contatti con un cliente di Medco, ad esempio General Electric (di cui Medco serviva il programma di assistenza farmaceutica ai dipendenti). Attraverso analisi e testimonianze scientifiche che dimostrano come una categoria di prodotti farmaceutici destinati alle malattie cardiache possa ridurre i costi di ricovero in ospedale e i costi di cura dei pazienti (dipendenti di General Electric e da essa assistiti) affetti da cardiopatia congestiva. Se General Electric concorda sul fatto che i prodotti farmaceutici sono un trattamento adeguato, anche in termini di costi, Merck-Medco cerca nel proprio database quali pazienti assistiti dal programma GE (dipendenti/pensionati) usano il prodotto di Digoxin per curare la loro malattia. Merck-Medco prende contatti con i medici che curano tali pazienti e comunica loro che GE gradirebbe prendessero in esame la possibilità di prescrivere un ACE inibitore (inibitore di un enzima). Merck produce due ACE inibitori (inibitore di un enzima) – Vasotec e Primivil – approvati dalle autorità competenti per il trattamento delle «congestive heart failure»(Capoten prodotto da Bristol-Meyers Squibb è al terzo posto). Successivamente Merck-Medco prende contatti via telefono con i farmacisti suggerendo loro i vantaggi dei propri prodotti farmaceutici, come ad esempio quello di avere gli stessi effetti ma costare meno per il paziente. Per svolgere questa attività di promozione (sui medici e sui farmacisti) Merck aveva in programma di assumere 1000 laureati in farmacia. Per avere un’idea della portata dei piani di Merck occorre tenere presente che Medco gestiva 1500 programmi di assistenza ai dipendenti (da parte di imprese) e che elaborava e aggiornava formulari per almeno la metà di tali piani. Il formulario comprende più prodotti farmaceutici – come Vasotec e Capoten – all’interno del quale il medico che collabora al programma di assistenza (dell’impresa) sceglie la prescrizione. Un altro esempio riguarda Proscar un prodotto farmaceutico di Merck destinato alla cura della ipertrofia prostatica che fino ad allora aveva avuto scarso successo adottando le tecniche di vendita tradizionali. Il database di Medco avrebbe aiutato Merck a convincere i gestori dei programmi di assistenza (imprese) che Proscar dà risultati migliori e costa meno di un intervento chirurgico. Il database di Medco avrebbe individuato quali medici stavano curando pazienti con probabili ipertrofie prostatiche. Agendo direttamente sulle imprese e sui pazienti, Merck aveva in programma di incidere maggiormente rispetto alle forme tradizionali di vendita. Il problema, ovviamente, era di convincere i clienti di Medco ad accettare nuove prescrizioni. Un’altra barriera era rappresentata dai medici i quali avrebbero potuto reagire negativamente all’intervento di un’impresa farmaceutica nell’individuare la prescrizione più adatta alla cura dei propri pazienti. Il processo di raccolta dei dati Elaborato da: Cunningham W. & Cunningham I. (1981), Marketing. A managerial approach, South- Western Publishing Co., Cincinnati, Ohio. Domande 1. Quali vantaggi Merck Medco può trarre dall’applicazione di questo metodo di ricerca?2. Quali problemi critici può sollevare? Come risolverli o evitarli?

Giorgio Pellicelli, Il Marketing, settima edizione, Wolters Kluwer Italia, 2017 (ISBN 978-88-13-36290-4) Parte 2 - Capitolo 3

RICERCA DELLE OPPORTUNITÀ J. P. MORGAN: LA CORSA AL MERCATO EUROPEO DELL’ASSET MANAGEMENT Per lungo tempo i fondi di investimento europei avevano tipicamente destinato l’80% del denaro dei loro clienti a titoli pubblici e ad altre forme di investimento a basso rischio. Alla fine degli anni ’90 la scena cambiò drasticamente. Gli europei cominciarono a ritirare i loro depositi dalle banche e a vendere i titoli di stato per investirli in fondi con rendimenti, ma anche con rischi, più elevati. Di fronte alle imprese del settore il mercato aveva dimensioni enormi: 5200 miliardi di dollari l’anno con una crescita media prevista del 15% nel successivo decennio. L’accordo tra Banques Populaires Group, un consorzio di banche commerciali francesi, e una delle poche imprese globali di gestione di fondi, l’americana J. P. Morgan, fu stipulato nel 1998. Aveva per obiettivo immediato la vendita di quote di fondi ai 4,5 milioni di clienti del gruppo francese, ma aveva obiettivi assai più ambiziosi nel lungo periodo. I gestori di fondi di stile europeo avevano tipicamente parcheggiato circa l’80% del denaro dei loro clienti in titoli di stato e in altri investimenti a basso rischio. Barriere protettive (di origine legale) tenevano lontana la concorrenza straniera. Dal canto loro i consumatori europei potevano contare su un generoso sistema pensionistico e su elevati rendimenti dei titoli di stato. Tutto ciò sarebbe presto cambiato. La crisi della finanza pubblica costrinse i Parlamenti europei a rivedere le norme sulle pensioni e a ridurre il debito pubblico. La convergenza dei tassi imposta dall’introduzione dell’Unione Monetaria Europea abbassò il rendimento dei titoli di stato. Di conseguenza molti europei furono costretti a rivedere le loro politiche di investimento. Gran parte di loro spostarono il denaro dai depositi presso le banche e dai titoli di stato per affidarlo ai gestori di fondi. In un solo anno (1997) in Europa ai soli gestori di fondi azionari furono affidati 178 miliardi di dollari. Alle banche fu ben presto evidente che senza l’offerta di migliori prodotti a rendimento più alto rispetto al passato avrebbero presto perso gran parte della loro clientela. La deregulation e la mancanza di esperienza nell’asset management da parte delle imprese europee, aprì le porte ai grandi gestori di fondi americani come J. P. Morgan e Fidelity Investments. Tuttavia agendo da soli i gestori americani non avrebbero avuto molte possibilità di conquistare quote di mercato. Le banche europee come la tedesca Deutsche e la francese Crédit Agricole erano ai primi posti nei mercati nazionali grazie ad una ampia rete di vendite e ad una forte «name recognition», Anche i gestori di fondi britannici erano difficili da attaccare. La strada dell’alleanza era l’unica percorribile per entrare nei mercati europei in un breve periodo di tempo. Nel lungo termine, le prospettive sembravano però favorevoli agli americani. L’introduzione dell’Euro (nel 1999) avrebbe punito i gestori di fondi europei che avevano investito principalmente nei mercati nazionali ed avrebbe invece premiato i gestori con esperienza mondiale. Fonte: «Europe. Diving Into a Rich Pool» (1998), Business Week, April 6. Domande 1. Quali problemi di marketing di Banques Populaires Group e J. P. Morgan possono essere risolti dallericerche di mercato? 2. Quali informazioni pensate che debbano essere raccolte per approfondire l’esame di questi problemi?

Giorgio Pellicelli, Il Marketing, settima edizione, Wolters Kluwer Italia, 2017 (ISBN 978-88-13-36290-4) Parte 2 - Capitolo 3

CUSTOMER SATISFACTION INDEX

American Society for Quality nel 1990 avviò una ricerca al fine di costruire una metodologia in grado di creare un indice nazionale che potesse misurare le prestazioni di imprese operanti in settori differenti. Partirono da un modello esistente e già sperimentato: Customer Satisfaction Barometre (CSB) che la Svezia usava da tempo.

CSB è in grado di stimare quale percentuale di clienti avrebbe riacquistato un prodotto o un servizio. Questa informazione è molto importante nella pianificazione di marketing in quanto dà all’impresa la possibilità di stimare il flusso dei ricavi futuri e quindi orientare le decisioni di investimento. Dopo cinque anni di ricerche gli svedesi avevano dimostrato l’esistenza di una correlazione di grande importanza. Le imprese capaci di aumentare il loro indice di qualità di almeno un punto percentuale ogni anno per cinque anni consecutivi miglioravano la loro redditività in rapporto al capitale (ROA) durante tale periodo di almeno l’11,33%. Partendo dall’esperienza svedese, fu costruito American Customer Satisfaction Index (ACSI) basato su un survey di massa mirante a stabilire quale graduatoria i consumatori americani assegnano ad un’ampia gamma di prodotti e di servizi. La costruzione di ACSI era spinta da una sorta di frustazione che, dopo i successi iniziali ottenuti nel miglioramento della qualità negli anni ’80, aveva colto il management di molte imprese. Era ormai ampiamente dimostrato che i clienti fedeli – coloro che ripetono regolarmente l’acquisto – possono contribuire in modo sostanziale ai profitti di un’impresa in quanto il loro costo è inferiore a quello di attrarre nuovi clienti. Ma le imprese volevano un sistema di misura che fosse indipendente (rispetto a loro) e desse un valore alla fedeltà del cliente in rapporto al tempo e facesse confronti tra un settore e l’altro. Come ogni altro survey ACSI ha vari limiti. Riguarda i prodotti e i servizi acquistati dai singoli e dalle famiglie, non riguarda il business-to-business. Copre 200 imprese americane e poche imprese straniere, quindi una parte limitata del sistema di imprese. Tuttavia i limiti non possono oscurare il potenziale di queste valutazioni. I ricercatori hanno dimostrato una correlazione generale tra la customer satisfaction e le quotazioni medie del mercato azionario. Campbell Soup, Heinz e Procter & Gamble sono nel primo quartile della customer satisfaction e sono anche stars a Wall Street. Molte imprese che occupano il quartile più basso della customer satisfaction sono anche tra i perdenti a Wall Street. Per prevedere i corsi delle azioni gli operatori non ricorrono ora soltanto ai tassi di interesse, all’inflazione e alla «fiducia» dei consumatori nel futuro dell’economia o nelle proprie disponibilità finanziarie, ma anche alla customer satisfaction. I clienti di ACSI pagano 20.000 dollari l’anno per avere accesso ad un computer software che quantifica i risultati di interviste telefoniche a 50.000 consumatori ogni anno, più un rapporto che confronta i risultati di ogni impresa con quella dei suoi concorrenti. Possono anche ottenere un dato sintetico che rappresenti il valore attuale del vantaggio derivante dalla fedeltà dei clienti. ACSI non consiglia ai clienti quali strategie adottare, ma le informazioni fornite contribuiscono ad una diagnosi approfondita del problema. Mercedes-Benz. L’esame dei dati (1997) può ulteriormente chiarire l’interesse di questi dati per le imprese. Per la prima volta dopo quattro anni nel 1997 l’indice generale negli Stati Uniti segnava una ripresa. I settori dei prodotti non durevoli erano ai primi posti, quelli dei servizi erano agli ultimi. Mercedes-Benz era in testa alla classifica delle imprese, McDonald’s era, sorprendentemente, al 189o posto. Un’altra sorpresa era il crollo di American Airlines (_12,7% rispetto all’anno precedente). Come molte altre compagnie aeree, American aveva abbassato le tariffe riuscendo a riempire gli aerei, ma perdendo molti dei suoi clienti (a causa della congestione). Domande: 1. Per quali decisioni riguardanti il marketing mix possono essere utili le informazionifornite dal customer satisfaction index? 2. Quali sono i punti deboli di un’analisi di questo tipo?

Giorgio Pellicelli, Il Marketing, settima edizione, Wolters Kluwer Italia, 2017 (ISBN 978-88-13-36290-4) Parte 2 - Capitolo 4

FERRERO ROCHER Oltre ad essere tra le maggiori industrie dolciarie del mondo, la Ferrero è nota per la sua capacità di lanciare prodotti originali, unici, che aprono nuovi mercati. Nutella è stato il primo successo di una lunga serie. La crema di cioccolato spalmabile non esisteva in precedenza sul mercato e quindi non era richiesta. Ferrero l’ha ideata e prodotta. I consumatori l’hanno scoperta, accettata e ne hanno decretato il successo. A distanza di decenni non esistono ancora validi concorrenti di questo prodotto. Rocher ha seguito la stessa strada. Fu lanciato nel mercato italiano tra l’aprile del 1983 e il gennaio 1984. Il lancio fu preceduto, accompagnato e seguito da varie ricerche. 1) Idea di prodotto. Secondo la tradizione della Ferrero le caratteristiche del nuovo prodotto non furonoindividuate attraverso ricerche sulle esigenze allora sentite dai consumatori, ma furono il risultato di un’intuizione del management. L’idea di fondo era di creare un nuovo prodotto che si collocava tra le praline tradizionali da un lato – Mon Cheri e Bacio Perugina, in particolare – e gli snacks dall’altro. Gli ingredienti del Rocher erano (e sono): cioccolato, wafer, crema gianduja e nocciola. La prima fase fu dedicata a realizzare alcuni prototipi, a definire il nome e il suo posizionamento rispetto agli altri prodotti della Ferrero. 2) Blind test (maggio-luglio 1982). Alcune persone furono invitate ad assaggiare il prodotto senza che questofosse identificabile in alcun modo: sfuso, senza confezione, senza marchio o altri segni distintivi. Questo test confermò l’elevato gradimento del prodotto da parte dei consumatori. 3) Concept use test. Il prodotto fu consegnato nella confezione definitiva ad alcune famiglie facenti parte di uncampione. Trascorsi alcuni giorni i componenti di tale campione furono intervistati sulla base di un questionario. Le domande riguardavano in quali occasioni il prodotto era stato consumato; cosa evocava il nome Rocher; quali confezioni erano proponibili (singolo pezzo, tre pezzi, confezione regalo, ecc.) e quali suggerimenti dare per la campagna pubblicitaria. 4) Pre-test sulla pubblicità (fine 1982-inizio 1983). Sulla base delle informazioni raccolte nei test precedenti furealizzata una comunicazione pubblicitaria. Il messaggio di tale comunicazione fu sottoposto a verifica presso un campione di consumatori. Le domande miravano a stabilire quale immagine era stata percepita attraverso il messaggio; se il messaggio risultava comprensibile nei suoi elementi verbali e visuali; se il messaggio era coerente con le aspettative dei consumatori circa il Rocher. 5) Lancio. Tra l’aprile 1983 e l’inizio 1984 Rocher fu lanciato in Italia con il sostegno di una campagnapubblicitaria. Dapprima fu messo in commercio in confezione monodose per favorire l’acquisto d’impulso, poi fu commercializzato in confezioni. In questa fase furono sospese tutte le ricerche. 6) Test di lancio. Terminato il lancio, agli inizi del 1984 furono fatti test riguardanti in particolare ladistribuzione e il prezzo. Lo scopo era di verificare se fosse necessario modificare il programma di marketing. 7) Post-test sulla pubblicità. Nell’aprile 1984 iniziarono i test sugli effetti della campagnapubblicitaria. Essi riguardavano principalmente: a) il numero delle persone che ricordavano (spontaneamente) di aver percepito il messaggio pubblicitario (nelle precedenti 24 ore); b) l’impatto delle diverse componenti del messaggio (marca, caratteristiche del prodotto, ecc.); c) il confronto tra il messaggio pubblicitario del Rocher e quelli dei prodotti concorrenti; d) la selettività del messaggio (era facilmente comprensibile per tutte le fasce dei possibili consumatori?); e) il grado di ricordo del messaggio pubblicitario. Questi test furono ripetuti dopo due anni per confrontare i dati rilevati immediatamente dopo il lancio con quelli riguardanti una fase in cui il prodotto era già ben collocato sul mercato. 8) Packaging test. Poco dopo il lancio fu effettuato un test che mirava a raccogliere informazioni su packagingalternativi e in differenti canali di distribuzione. Fu sperimentata una confezione in cartone, poi abbandonata perché poco gradita ai consumatori e più delicata da immagazzinare. Ad essa fu preferita una confezione in scatola di plastica da 16 praline.

Giorgio Pellicelli, Il Marketing, settima edizione, Wolters Kluwer Italia, 2017 (ISBN 978-88-13-36290-4) Parte 2 - Capitolo 4

9) Immagine (gennaio 1986). In Francia, Inghilterra, Italia fu effettuata contemporaneamente una ricerca sia sul Rocher che sul Mon Cheri. Tale ricerca comprendeva una fase qualitativa (64 intervistati) ed una quantitativa (1500 intervistati). Gli obiettivi principali erano di definire il grado di conoscenza dei due prodotti da parte del consumatore, le occasioni e le frequenze di acquisto e di consumo, il luogo di acquisto, i destinatari dei prodotti, l’immagine nei confronti dei principali concorrenti, le aree di sovrapposizione. 10) Ricerca semiologica (settembre 1986). Furono studiati i «segni» inviati al consumatore dal prodotto Rocher. Si cercò di stabilire quali associazioni di idee, sensazioni e analogie il prodotto faceva sorgere nella mente degli intervistati. Domande 1. Qual è la logica che ha guidato il programma di ricerche sul prodotto Rocher ? 2. Distinguete tra le ricerche nel «prima» e le ricerche nel «dopo». 3. Come avreste scelto il campione di consumatori nei vari tipi di test (numero, composizione per età, professione, reddito, sesso)? 4. Come prevedere le vendite di Rocher nei primi tre anni? Quali metodi usare?

LA TECNOLOGIA RILANCIA IL GIOCO. LE NUOVE FRONTIERE DELL’INDUSTRIA PETROLIFERA

Vent’anni dopo l’ondata di nazionalizzazioni, tutti i paesi produttori, fatta eccezione per l’Arabia Saudita, il Kuwait e il Messico, hanno aperto le loro porte alle multinazionali. Il progresso Fattori dell’ambiente esterno Il progresso tecnologico offre nuove possibilità alla esplorazione, in particolare nei mari profondi. Contribuisce anche a ridurre i costi.

A metà degli anni ’80 i consumi di petrolio nel mondo erano pari a circa 60 milioni di barili al giorno. A quei ritmi e le riserve mondiali erano stimate a 710 miliardi di barili, pari a 32 anni di consumi. Dieci anni più tardi la situazione era radicalmente cambiata. I consumi erano aumentati di circa il 16% l’anno, ma le riserve erano salite del 46% e superavano i 1000 miliardi di barili pari a 42 anni di consumi. Politica. In modo discreto, quasi silenzioso, le multinazionali occidentali sono tornate nei paesi produttori di petrolio dai quali erano state cacciate con l’onda di nazionalizzazioni degli anni ’70. L’esempio più caratteristico dei nuovi rapporti tra paesi produttori e multinazionali è rappresentato dal Venezuela. Nel 1975 il Governo venezuelano aveva deciso di nazionalizzare le proprietà di Exxon, Gulf e Shell. Dieci anni più tardi, in crisi di risorse finanziarie e tecnologiche, la produzione del paese era scesa da 2,3 milioni a 1,6 milioni di barili al giorno. Il nuovo governo venezuelano decise di chiedere aiuto alle imprese occidentali. Conoco e Total furono le prime ad essere autorizzate dal Congresso ad esplorare le riserve dell’Orinoco. Le formule sono varie. Una tra quelle che ha avuto il maggiore sviluppo è il «contratto di riparto della produzione». È stato introdotto dall’Indonesia negli anni ’60. Ha un doppio vantaggio per il paese produttore; questi rimane proprietario del petrolio fino a quando il greggio non è salito alla superficie; non deve investire in attività di esplorazione; inoltre le imprese straniere finanziano a proprio rischio e pericolo. Il ricorso alle imprese occidentali si è rivelato tanto più necessario quanto più un paese è nelle fasi iniziali del proprio sviluppo. «È ragionevole che le entrate dello Stato siano destinate anzitutto agli ospedali, alle scuole e alle strade. Non resta molto per l’industria». I progetti di esplorazione petrolifera hanno forte interesse ad attrarre capitale. «Per meno di 100 milioni di dollari non si fa nulla. Un progetto significativo costa un miliardo di dollari, un grosso progetto tre miliardi di dollari». Tenendo conto dei rischi, i finanziamenti sono più facili da trovare quando l’impresa fa parte di un gruppo con orizzonti internazionali. Progresso tecnologico. Oltre alla riapertura dei paesi produttori, che ha dato alle imprese multinazionali la possibilità di intervenire in regioni ricche di idrocarburi sul mercato, ha agito anche il progresso tecnologico. Questo secondo fattore è fondamentale in quanto consente di ridurre i costi e quindi vendere a prezzi più bassi, estrarre maggiori quantità di greggio dai giacimenti e aprire alle esplorazioni nuovi spazi ancora vergini come l’off-shore profondo. Occorre tenere presente che gran parte del petrolio contenuto da un giacimento resta sotto terra. È possibile estrarne soltanto una parte. In dieci anni il tasso di recupero però è notevolmente aumentato. «Siamo saliti dal 35% (del giacimento) al 45%». «Dieci punti percentuali corrispondono ad un aumento del 30% delle riserve mondiali». I progressi maggiori, sia per l’esplorazione che per la produzione, sono venuti dalla sismica. È ora possibile «vedere» all’interno dei giacimenti. Questa tecnica ha ridotto i rischi di avviare uno sfruttamento di giacimenti che si rivelino entro breve tempo inconsistenti. L’aumento del tasso di sfruttamento dei giacimenti è determinato anche dallo sviluppo della perforazione orizzontale. Questo tipo di pozzi aumenta la superficie di drenaggio. Permette inoltre di esplorare giacimenti marginali che non sarebbe altrimenti possibile mettere in produzione. Gli specialisti riescono a pilotare le trivelle con una precisione sorprendente. Ad alcune migliaia di

Giorgio Pellicelli, Il Marketing, settima edizione, Wolters Kluwer Italia, 2017 (ISBN 978-88-13-36290-4) Parte 2 - Capitolo 4

metri nel sottosuolo, comandati a chilometri di distanza riescono a fare muovere gli escavatori in posizione orizzontale e ad entrare nei giacimenti nei punti voluti con errori non superiori ai 15 metri. Il terzo campo di progresso tecnologico è l’accesso ai giacimenti situati a grandi profondità nei mari. Oltre i 300 metri, le classiche piattaforme in metallo o in cemento diventano inutilizzabili. ELF al largo dell’Angola, ha messo in produzione un sistema (Girassol) che opera a 1300 metri di profondità . Il sistema opera con bocche (sono prese attraverso le quali passa il greggio) sottomarine che sono direttamente installate sul fondo del mare con robot telecomandati. «A questa profondità la pressione è di circa 150 atmosfere». «L’acqua non deve penetrare nei collegamenti elettrici». «Occorre inoltre un’elettronica di tipo militare, ultra-affidabile, in quanto deve operare senza interventi per almeno dieci anni». Un altro orizzonte che si apre riguarda il Venezuela e il greggio «pesante» della cintura dell’Orinoco. Era un vecchio fantasma della ricerca petrolifera. Questo grande giacimento di petrolio era conosciuto da tempo, ma non era possibile sfruttarlo a condizioni economiche e soprattutto non era possibile trasportarlo. «A temperatura normale ha la consistenza di una pasta molto densa». Total ha trovato una soluzione. Il greggio sarà diluito con nafta e poi trasportato in una raffineria che lo trasformerà in greggio standard. La cintura dell’Orinoco ha una riserva equivalente a 300.000 miliardi di barili che diventeranno così recuperabili. Ciò rappresenta un ulteriore aumento del 25% delle riserve mondiali di greggio. La conseguenza più importante di questi progressi tecnologici è di aver contribuito a ridurre i costi del petrolio prodotto. «Abbiamo reso economici a 15 dollari il barile giacimenti che dieci anni fa pensavamo di poter sviluppare soltanto con un barile a 30 dollari». Domande 1. Quali progressi delle tecnologie hanno agito sull’esplorazione e sulla produzione di greggio? 2. Quali vantaggi sono emersi per il marketing delle imprese petrolifere? 3. Quali vantaggi e quali svantaggi per i paesi produttori?

SHOPPERS SOTTO IL MICROSCOPIO Studiando cosa accade in un supermercato, E-Lab, una società di ricerche di mercato di Chicago, è stata in grado di consigliare a PepsiCo dove e come posizionare i prodotti negli scaffali e lungo i corridoi della grande distribuzione al fine di aumentare le vendite.

Osservare come le persone si comportano in differenti ambienti e come scelgono un prodotto può aiutare le imprese a risolvere specifici problemi come entrare in un nuovo mercato e sviluppare nuovi prodotti per rispondere ad esigenze che i consumatori non hanno ancora pensato di avere. «I ricercatori che vogliono capire di più circa il comportamento dei consumatori potrebbero imparare poco cercando di stabilire quante volte la gente visita un punto vendita, quanti prodotti acquista e quali». Usando la tecnica dell’osservazione diretta è possibile avere un profilo più completo del consumatore. Le ricerche basate sull’osservazione diretta sono molto versatili. In alcuni progetti seguono come il consumatore si orienta all’interno di un centro commerciale o all’interno di un aeroporto; in altri progetti i ricercatori rilevano come il consumatore usi il prodotto a casa propria o sul posto di lavoro. Trovare le persone giuste da osservare è un punto critico delle tecniche basate sull’osservazione. Mentre le ricerche di mercato convenzionali scelgono le persone all’interno di una particolare categoria, questa tecnica va alla ricerca di consumatori che rappresentino un particolare problema. Ciò significa ad esempio selezionare persone che siano «primi adottanti» di una nuova tecnologia o coloro che siano ad essa più resistenti, o ancora persone che usino il prodotto in condizioni esterne diverse da quelle normali. Un fattore che ha spinto lo sviluppo delle ricerche basate sull’osservazione diretta è la tecnologia. I progressi nella fotografia e nella videoregistrazione hanno reso più facile ottenere ed esaminare le osservazioni ed hanno aumentato il valore delle ricerche. In secondo luogo la tecnologia è essa stessa un’area in cui i consumatori non si trovano a proprio agio nell’individuare esigenze che possano essere soddisfatte da nuove generazioni di computers, telefoni od altri prodotti. Fitch, una società di ricerca dell’Ohio, ha assistito Compaq, produttore di computers, nella progettazione di Presario (personal-computer). «Lavorando con i consumatori a casa loro» – racconta Sitch – «abbiamo capito che un computer per la casa deve essere molto più facile da usare». «Abbiamo anche suggerito una forma esterna molto più simile ad un elettrodomestico ». Gli stessi ricercatori ammettono che se da un lato il metodo dell’osservazione diretta suggerisce che cosa la gente vuole, dall’altro lato non dice perché la vuole. Il problema è stato in parte risolto combinando da un lato l’osservazione diretta e dall’altro cosa i consumatori dicono circa quello che fanno; una sorta di controllo incrociato (cross-check). Leonard (1997) identifica cinque tipi di informazioni ottenibili attraverso l’osservazione. Oltre alle esigenze che i consumatori non hanno ancora esplicitato, esse sono: 1) le spinte, che stimolano la gente ad usare un prodotto o un servizio; 2) quale relazione esiste tra il prodotto o il servizio scelto e l’ambiente nel quale il consumatore vive; 3) come i consumatori adattano il prodotto alle proprie esigenze (e di conseguenza come i produttori potrebbero modificarlo essi stessi); 4) quali sono le caratteristiche intangibili che nella percezione del consumatore danno valore al prodotto; 5) quali sono le esigenze che non sono ancora emerse nella percezione del potenziale cliente, ma che la tecnologia dell’impresa potrebbe soddisfare. Alcuni ricercatori sono convinti che la tecnica dell’osservazione diretta possa dare contributi anche in aree come la «brand identity», purché le osservazioni siano adeguatamente valutate. In sostanza le applicazioni potrebbero andare ben oltre la soluzione dei problemi circa la facilità o la difficoltà di aprire un packaging o stabilire se un programma software sia facile da usare. «Ogni tipo di comportamento ha uno schema di riferimento, un modello». «Il problema è trovare modelli significativi». Steelcase (mobili per ufficio), dopo aver raggiunto il successo grazie alla eccellenza nella produzione, voleva capire come si svolgono certi processi del lavoro d’ufficio. Ricerche basate sulle osservazioni dirette aiutarono

Giorgio Pellicelli, Il Marketing, settima edizione, Wolters Kluwer Italia, 2017 (ISBN 978-88-13-36290-4) Parte 2 - Capitolo 4

Steelcase a sviluppare una nuova identità e a progettare le showrooms in modo da stimolare i clienti ad acquistare non solo in base alla qualità del prodotto, ma anche in base al contributo dato dai prodotti a risolvere problemi di lavoro. Fonte: Financial Times (1997), 5 Dicembre, Shoppers under the microscope. Domande 1. Come organizzare una ricerca sul comportamento nell’acquisto di soft-drink basata sull’osservazione diretta? 2. . Quali punti deboli e quali punti di forza può avere questo tipo di ricerca?

I CONSUMATORI DI PRODOTTI HIGH TECH SONO DIFFERENTI? Dopo aver bruciato 50 milioni di dollari in una campagna pubblicitaria per convincere gli americani a comprare il servizio WebTV, i due partners Sony e Philips Electronics avevano soltanto 50.000 abbonati. Il caso di WebTV non era unico. Le imprese che vendono telefoni cellulari, software per computer e servizi Internet hanno con una certa sorpresa constatato che la domanda (stimata in 280 milioni di dollari l’anno) non rispondeva come previsto. La prima spiegazione fu individuata in messaggi di marketing sbagliati. A differenza di una bevanda o di un detersivo, i prodotti tecnologici sono spesso complessi e soprattutto subiscono una rapida evoluzione. «L’approccio tradizionale basato sulla distinzione tra primi adottanti e followers non è sufficientemente precisa». Dopo gli insuccessi iniziali, le imprese specializzate nelle ricerche di mercato cominciarono a chiedersi se i consumatori si comportano in modo differente quando comprano tecnologie rispetto a quando acquistano beni di consumo. Per rispondere a questa domanda fu presto evidente che le ricerche dovevano andare oltre la demografia e i modelli di consumo per capire come la gente realmente usa la tecnologia giorno per giorno e come la percepisce. Alcuni istituti di ricerca concentrarono la loro attenzione su come i consumatori usavano Internet. Altri seguirono metodi più tradizionali combinando le informazioni demografiche con le analisi delle emozioni dei consumatori al fine di prevedere il comportamento dei compratori di prodotti tech. Uno dei tentativi più ambiziosi fu avviato da Forrester Research Inc. che, assieme ad un’impresa specializzata nei sondaggi di opinione, sviluppò un survey su 131 mila consumatori per esplorare le loro motivazioni, le abitudini di acquisto e la disponibilità di risorse per acquistare prodotti tech. I risultati sono riassunti nella matrice. Lo schema di Forrester Research (schema che segue) distingue 10 segmenti di potenziali clienti. Alcuni di questi – come Fast forwards che hanno in media 20 prodotti tech a casa e i loro colleghi meno ricchi noti come Techno-strivers – hanno dimestichezza con le tecnologie; le usano frequentemente a casa, in ufficio e per divertirsi. Altre categorie vanno da «New age nurturers», che spendono molto in tecnologia principalmente per usarlo in famiglia – agli «Hand-shakers», che raramente toccano il computer e preferiscono lasciarlo ai collaboratori.Per dare un’idea di come funziona lo schema, Forrester fa l’esempio di Cindy Williams, 46 anni, segretaria amministrativa di un’organizzazione operante nel settore della sanità a Tulsa (Oklahoma). Cindy e suo marito Gary, 44 anni, supervisor del reparto manutenzione, hanno un PC comprato tre anni prima, ma non hanno un collegamento Internet. Cercano un PC di livello superiore in quanto i loro due ragazzi, 11 e 12 anni di età , vogliono giochi più veloci di quanto offra la loro attuale macchina molto lenta. Grazie allo status familiare e al loro reddito – due criteri tradizionali di segmentazione – una ricerca sul comportamento dei consumatori di tipo convenzionale avrebbe collocato Cindy e Gary tra i potenziali compratori delle nuove tecnologie. Ma Forrester sostiene che questi fattori siano ingannevoli e che ogni impresa high tech se adottasse questi criteri per vendere prodotti sofisticati agli Williams sprecherebbe denaro. Lo schema di Forrester collocherebbe gli Williams fra i «traditionalists»: compratori con forte senso della famiglia, che hanno un discreto reddito, ma non sono ancora convinti che valga la pena di acquistare un PC con prestazioni superiori o passare ad una nuova tecnologia. Perché? Un fattore chiave nel caso degli Williams è l’età del loro PC. Ha tre anni; è vecchio secondo gli standards high tech. Un venditore on-line che avviasse la propria attività a Tulsa potrebbe usare le informazioni di Forrester per scartare gli Williams come potenziali clienti nonostante il loro profilo demografico. Diversamente da altri gruppi di consumatori con forte orientamento alla famiglia come i New Age Nurturers e i Digital Hopefuls, i Traditionalist «aspettano molto prima di passare ad un PC di potenza superiore. Non rappresentano dunque una parte fertile del mercato on-line» commenta Forrester. Lo schema potrebbe però essere utile per trovare nuovi compratori. Carol Linder, 46 anni, è un manager addetto al servizio clienti di Ameritech Corp in Milwaukee. Carol e suo marito Robyn, 53 anni, revisore ufficiale dei conti, hanno tre bambini

Giorgio Pellicelli, Il Marketing, settima edizione, Wolters Kluwer Italia, 2017 (ISBN 978-88-13-36290-4) Parte 2 - Capitolo 5

già in età scolastica, due pagers e tre PC. Entro la fine del mese hanno in programma di acquistare altri due computers. Robyn dedica molto tempo all’on-line per motivi di lavoro. Sebbene abbiano una struttura familiare e redditi simili a quelli degli Williams, sono anni luce avanti nell’uso della tecnologia. I Linder sono classici Fast Forwards, usano computers e altri gadgets per lavoro, famiglia e interesse personale. Pertanto, sempre secondo Forrester, l’impresa che venda uno strumento per accelerare i tempi di collegamento tra computers attraverso le linee telefoniche potrebbe usare i profili dello schema per individuare come target i Linders evitando gli Williams. Fonte: Business Week, Gennaio 26, 1998.

Domande 1. Lo schema di Forrester può essere veramente utile per capire quali siano le diversità tra le esigenze dei consumatori? 2. In che modo lo schema potrebbe essere utile per differenziare un collegamento Internet e servire i clienti meglio dei rivali

LE COMPAGNIE AEREE EUROPEE DI FRONTE ALLA CONCORRENZA DEI TRENI AD ALTA VELOCITÀ

In Europa i treni ad alta velocità hanno portato la minaccia più seria alle compagnie aeree da quando l’invenzione del motore a reazione ha aperto il mercato di massa del trasporto aereo negli anni ’60. La rete di ferrovie ad alta velocità ha una estensione limitata, ma in pochi anni ha dimostrato di essere in grado, con un futuro sviluppo, di conquistare ampie quote del mercato del trasporto passeggeri. Le compagnie aeree europee hanno immediatamente capito la gravità del pericolo e hanno fatto pressione sulla Commissione della UE affinché fossero limitate le sovvenzioni alle ferrovie. La Commissione ha risposto che le compagnie aeree da parte loro hanno ricevuto e ricevono forti sussidi dallo Stato e debbono pertanto imparare a competere. Quando fu aperta la prima linea ad alta velocità tra Parigi e Lione nel 1981, le compagnie aeree che operavano su questa rotta persero circa i due terzi dei loro passeggeri. Quando fu aperta la prima linea ad alta velocità tra Madrid e Siviglia nel 1992 la quota di mercato delle compagnie aeree scese in poco tempo dal 18% al 7%. Crolli analoghi sono stati originati dall’apertura delle linee ad alta velocità in Germania (250 km all’ora da Amburgo e Monaco), in Italia (al disotto dei 300 km) e in Svezia. La risposta. Alcune grandi compagnie europee sono convinte di avere la capacità di rispondere al treno ad alta velocità . British Airways sostiene di aver perso soltanto il 10% dei passeggeri sulla rotta Londra-Parigi e di non aver perso nulla sulla rotta Londra-Bruxelles. Ciò in quanto sono tentati di abbandonare l’aereo soltanto i passeggeri che viaggiano da una città europea ad un’altra (è quanto nel settore si designa con l’espressione «point to point»). Gran parte dei passeggeri che volano dall’Europa continentale a Londra, lo fa per prendere la coincidenza con un altro volo. Secondo British Airways la metà dei passeggeri che volano da Parigi a Londra usa la Gran Bretagna come punto di transito per trarre vantaggio dai numerosi collegamenti degli aeroporti britannici con varie parti del mondo (in particolare Heathrow). Se prendessero Eurostar arriverebbero a Londra alla stazione di Waterloo che dista almeno un’ora dall’aeroporto di Heathrow. British Airways ha sviluppato imponenti campagne di marketing sia negli Stati Uniti che in Giappone ed ora i viaggiatori di questi due paesi sono largamente rappresentati tra coloro che utilizzano Londra come punto di transito. La quasi totalità visita Londra e Parigi. Le ricerche di British Airways mostrano che le tre città europee più popolari per i viaggiatori giapponesi sono Londra, Parigi e Roma. Le compagnie europee riconoscono che nei viaggi point-to-point di durata inferiore alle tre ore il treno ad alta velocità è molto competitivo. Aggiungono anche però che la risposta migliore può essere nel concentrare le risorse sui voli intercontinentali. «Loro non possono muovere le linee ferroviarie, mentre noi possiamo spostare i nostri aeroplani. Se una rotta non dà la redditività attesa decidiamo di volare altrove». Cooperazione. Altre compagnie aeree sono convinte che sia preferibile cooperare con le ferrovie piuttosto che affrontarle. Sostengono che stretti legami tra le ferrovie e le linee aeree potrebbero dar luogo ad un sistema integrato (stazioni ferroviarie ad alta velocità e aeroporti). Le compagnie aeree potrebbero attrarre negli aeroporti i passeggeri che provengono da linee ferroviarie. Lufthansa è da tempo un sostenitore di questa strategia. La compagnia aerea tedesca già nei primi anni ’90 gestiva direttamente un servizio di trasporto ferroviario tra Du¨ sseldorf e l’aeroporto

Giorgio Pellicelli, Il Marketing, settima edizione, Wolters Kluwer Italia, 2017 (ISBN 978-88-13-36290-4) Parte 2 - Capitolo 5

di Francoforte. Per integrare il viaggio nel proprio sistema di rotte Lufthansa gestiva sul treno i chek-in e distribuiva pasti come a bordo degli aerei. Domande 1. Quali benefici acquista chi sceglie il treno ad alta velocità? 2. Quali suggerimenti di marketing dareste a British Airways per migliorare l’attrattività dei suoi collegamenti tra Londra e le principali capitali europee? 3. Avete viaggiato su un TGV? Se la risposta è no; perché? Se la risposta è sı`, cercate di definire il target di potenziali compratori.

STRATEGIE & VALUTAZIONI

Un capitolo tumultuoso nella storia del settore auto-mobilistico e della finanza tedesca è giunto al termine nel mese di luglio 2012 con la notizia che VW ha ac-quistato il rimanente capitale di Porsche. La vicenda aveva oscurato l’immagine delle due società fin dalla sua origine nel 2005. Davanti a vari tribunali resta l’accusa rivolta a Porsche di aver segretamente ac-cumulato una enorme derivative position durante il tentativo di scalata e di aver manipolato il mercato attraverso false informazioni inducendo grossi inve-stitori ad entrare in short sales di azioni VW. A causa dello stranglehold sulle azioni VW, i venditori short persero miliardi di dollari in meno di una settimana.

Il passaggio di Porsche da possibile proprietario di Vol-kswagen (VW) a una delle dodici marche del primo co-struttore europeo è una delle storie più sorprendenti degli ultimi anni. Nella primavera del 2005, Porsche, piccolo costruttore, ma primo per redditività nel settore, avvia un graduale takeover ostile di VW. Comincia una cac-cia, durata quattro anni, per impadronirsi di un'impresa che vendeva un numero auto 80 volte superiore. Porsche da costruttore di auto sportive si trasforma in un hedge fund. In un solo anno (2007) guadagnò attraverso opzio-ni su azioni VW tre volte di più che a produrre auto. Ma dopo quattro anni di scalata, Porsche si è trovata sull'or-lo del fallimento sotto il peso di 11 miliardi di euro di debiti. Chi l'ha salvata? La preda: Volkswagen assieme all'Emirato del Qatar. La storia è ricca di insegnamenti.

Il tentativo di scalata basato sull’uso di strumenti finanziari

2005. Nel mese di settembre Porsche comunica di avere il 10,3% del capitale di controllo del gruppo VW e di avere un piano per arrivare al 20%. La notizia è accol-ta con soddisfazione da quasi tutte le parti, compresi i sindacati. L'ingresso della casa di Stoccarda nel capitale di Volkswagen era visto come un utile rafforzamento dell'azionariato in vista della probabile bocciatura in sede Unione Europea della «legge VW», una legge tede-

19

sca risalente al secondo dopoguerra che di fatto proteg-geva VW dalle scalate in quanto limitava al 20% i diritti di voto di un singolo azionista e dava al Lander della Bassa Sassonia il diritto di blocco. In dicembre, Porsche comunica di aver conseguito profitti per 3,6 miliardi di euro attraverso l’acquisto di stock option su VW.

2006. Porsche continua a comprare azioni VW. Nel bilan-cio al 31 luglio 2006 ha il 21,2 per cento del capitale di VW, con opzioni su un ulteriore 3,9 per cento. Nell'autun-no arriva al 27,4 per cento e vara un aumento di capitale da 8 miliardi di euro, con l'intenzione dichiarata di salire ancora nel controllo di VW. Il consiglio di sorveglianza di Porsche approva un piano per acquistare il 50% di VW nei successivi 5 anni. Il responsabile della finanza Porsche, Harter, spiega ai giornalisti l’uso delle stock options e di altri strumenti finanziari per aumentare la quota azionaria in VW. Il CEO di Porsche, Wiedeking, chiede al governo tedesco l’abolizione della cosiddetta “legge VW”. Volk-swagen a sorpresa rimuove il CEO del gruppo, Pischttsri-eder, e lo sostituisce con il CEO dell’Audi, Winterkorn.

2007. A fine marzo la quota del capitale di VW con-trollata da Porsche supera il 30 per cento. È la soglia che fa scattare l'obbligo di Opa. Porsche offre ai soci di VW 101 euro per azione (minimo legale in base alla media dei tre mesi precedenti, quando il titolo era già a 114 euro). L'offerta va deserta, ma nell'estate, dei 35 miliardi di euro chiesti alle banche per finanziare l'Opa a condizione di favore, Porsche ne prende 10 milioni. che investe in opzioni su VW, mentre le banche rimangono bloccate con l’impegno di finanziamento che rende poco in un periodo che comincia a diventare difficile per la liquidità (primi sintomi della crisi finanziaria 2008). In giugno i proprietari di Porsche, i Porsche, e la famiglia Piech, decidono di costituire Porsche Automobile Hol-ding SE per gestire gli investimenti in Porsche e VW. In luglio, Harter (direttore finanziario Porsche) dichiara al Financial Times che l'impresa «si è assicurata opzioni per aumentare la quota necessaria». Le opzioni sono uno strumento (possibilità di comprare a un prezzo stabilito, ma non obbligo di comprare) che Porsche ha imparato

Volkswagen-Porsche: merger of unequals

di GiorGio PELLiCELLi

STRATEGIE & VALUTAZIONIVolkswagen-Porsche: merger of unequals

20

a gestire proteggendo i ricavi provenienti dalle vendite negli Stati Uniti, suo principale mercato, ripetutamente minacciato da fluttuazioni del dollaro rispetto all'euro. A un giornalista che gli chiedeva se la copertura non fosse troppo costosa, Harter rispose: “Lavoriamo con contratti stipulati apposta per noi che sono opzioni su altre opzio-ni su contratti forward”. “Come sono costruiti” chiede il giornalista?» “È il nostro segreto!” fu la risposta. Il bilancio Porsche al 31 luglio 2007 registra un volume di opzioni su azioni VW ben superiore a quello di dodici mesi prima. Un report della banca UBS scriveva “Porsche ha opzioni per salire oltre il 50 per cento in Volkswagen acquistando le azioni a un prezzo fisso di 70 euro.” A metà del 2007 Porsche aveva dunque superato il 30 per cento in VW e possedeva opzioni per una quota rilevante.Le ripetute smentite sull'intenzione di comprare altre azio-ni VW inducono molti a puntare su una discesa delle quo-tazioni. Scommettono contro Stoccarda, chi vendendo le azioni ordinarie VW allo scoperto, chi con un arbitraggio rispetto ai titoli privilegiati. Questa vicenda sarà all’origi-ne di una serie di cause milionarie contro Porsche.In ottobre,la Corte Europea di Giustizia si pronuncia contro una parte della VW Law. Dichiara illegale la blocking minority del 20%.

La società più capitalizzata del mondo grazie al panic buying

2008. Gennaio. Il Parlamento tedesco propone di cam-biare la “VW Law” che ancora dà alla Bassa Sassonia un blocco di minoranza del 20% e di attribuire al sindacato VW il veto sulla chiusura degli impianti. Approvata in maggio, la legge affronta una “legal challenge” da parte della Unione Europea.La seconda fase della scalata inizia il 16 settembre 2008. Il giorno prima il crack della Lehman Brothers ha scate-nato la crisi sui mercati finanziari, ma la notizia che apre la corsa alle ricoperture su azioni VW arriva il giorno dopo: Porsche comunica di aver raggiunto il 35,14 per cento delle ordinarie VW e conferma l'obiettivo di “sa-lire oltre il 50 per cento nei prossimi mesi”, una volta

ottenute le necessarie autorizzazioni. Chi aveva venduto allo scoperto corre ad acquistare azioni ordinarie, che in poche sedute salgono da poco più di 200 euro a oltre 400. Chi aveva in piedi l'arbitraggio vende le privilegia-te, che cedono il 20 per cento in poche sedute.A metà ottobre il mercato sembra aver “digerito” l'ecces-so di scoperto. Da giovedì 16 a venerdì 24 le ordinarie VW scendono da quasi a 400 euro a 210 - la quotazione di un mese prima - e il volume degli scambi cala pro-gressivamente. Domenica 26 ottobre, Porsche inaspettatamente comunica di avere in portafoglio il 42,6 per cento di VW e di dispor-re di opzioni per arrivare al 75 per cento. Il 75 per cento in mano a Porsche, sommato al 20,3 per cento di proprietà del Lander della Bassa Sassonia, lascia un flottante nel mercato intorno al 5 per cento. Il risultato è che di nuovo chi era scoperto corre a ricoprirsi, stavolta con quello che è stato definito un panic buying. Nella seduta di lunedì 27 le ordinarie di VW volano a 1000 euro, facendone per qualche minuto la società più capitalizzata del mondo. Cosa farà adesso Porsche, si chiedevano gli operatori? Le plusvalenze realizzate hanno permesso a Stoccarda di finanziare per buona parte l'acquisto del 42,6 per cento di VW. Ma per arrivare al fatidico 75 per cento manca ancora circa un terzo del capitale di VW, circa 100 mi-lioni di azioni che alle quotazioni del momento valgono 40 miliardi di euro. Ipotizzando che una parte consi-stente sia stata già “pagata” dai guadagni sulle opzioni, Stoccarda dovrebbe comunque sborsare parecchi miliar-di in contanti o contrarre nuovi debiti. Il raggiungimento del 75 per cento è però necessario (Lander permettendo) per far approvare dai soci VW il cosiddetto contratto di dominio, che permetterebbe a Porsche di impadronirsi non soltanto dei dividendi di VW, ma di tutti i flussi di cassa (di VW), ripagando con questi i propri debiti.

La scalata fallisce. Porsche perde l’indipen-denza

2009. Porsche ha il 50,1% del capitale di VW ma la crisi finanziaria mondiale esaspera i problemi. Le

STRATEGIE & VALUTAZIONIVolkswagen-Porsche: merger of unequals

21

banche rifiutano credito e le vendite di auto hanno un rallentamento. Porsche rende nota la dimensione della sua crisi, comunicando che i debiti netti sono saliti alla fine di luglio a 1l,4 miliardi di euro, contro i 3,1 miliardi di un anno prima. La stampa tedesca ri-porta la notizia che il CEO di Porsche Wiedeking e il Chairman Wolfgang Porsche hanno respinto l’offerta di Volkswagen di acquistare il 49,9 % della società ormai sull’orlo del fallimento. Alcuni giorni dopo Der Spiegel rende noto che VW ha dato un ultimatum: 49,9% per 3,4 miliardi di dollari. I due costruttori rag-giungono un un accordo.• Porsche si impegna a vendere il 49,9 per cento del

proprio capitale a VW per 3,4 miliardi di dollari entro la fine del 2009. L'accordo prevede la piena integra-zione di Porsche nel gruppo Volkswagen, che avverrà entro il 2011. La diligence ha valutato Porsche 12,4 miliardi di euro inclusi gli effetti attesi di sinergie tra i due costruttori.

• Le famiglie Porsche e Piech venderanno a VW nel 2011 il loro business nella dealership nell’automobi-le: il più grande in Europa con vendite annuali di 474 mila veicoli. Al business è stato dato un entreprise value di 3,55 miliardi di euro.

• VW aumenterà il proprio capitale nella prima metà del 2010 con la emissione di nuove azioni privilegiate (dopo che gli azionisti abbiano approvato la decisione in un’assemblea straordinaria). La vendita dovrebbe generare un’entrata di 4 miliardi di euro.

• Porsche emetterà nuove azioni con diritto di voto e privilegiate, entro il 2011. L’emissione dovrebbe por-tare circa 5 miliardi di euro.

• La Bassa Sassonia, Lander in cui VW ha la sede lega-le, manterrà il diritto di veto ed il diritto di nominare i due membri nei supervisory board di VW.

• VW spende 1,7 miliardi per il 20 per cento del costruttore di auto giapponese Suzuki. Contempo-raneamente promuove un'alleanza tra MAN e Sca-nia, costruttori di veicoli industriali in entrambi i quali VW ha un partecipazione. L’autorità che nell’Unione Europea disciplina la concorrenza blocca il piano.

A fine novembre Porsche comunica che il tentativo di acquisire VW ha portato la società sull'orlo della ban-carotta e ha generato 4,4 miliardi di euro di perdite prima delle imposte nel bilancio 2008, dopo un utile di 8,6 miliardi di euro l'anno precedente. Il fallimento della strategia ha determinato la fine dell'indipendenza di Porsche.

2010. Quattro hedge funds si rivolgono a un tribuna-le americano per chiedere un risarcimento di oltre 1 miliardo di dollari. Accusano Porsche e il precedente CEO Wiedeking e il direttore finanziario Harter di aver manipolato il mercato e di aver dato errate informazio-ni circa l'acquisto di oltre il 75 per cento delle azioni di Volkswagen. Secondo l’accusa, nei primi giorni del marzo 2008, Porsche stava acquistando azioni di VW segretamente per acquistare il controllo del gruppo. Attraverso un’at-tenta manipolazione del mercato e false comunicazio-ni, Porsche avrebbe convinto gli investitori a credere che le azioni VW fossero sopravalutate inducendoli ad entrare in short sales di azioni VW. A causa dello “stranglehold” sulle azioni VW, i venditori short perse-ro miliardi di dollari in meno di una settimana.

La fusione è rinviata.

2011. Febbraio. Porsche ha reso noto che la decisio-ne di un tribunale tedesco di inquisire il precedente CEO di Porsche Wiedeking e l’ex CFO Harter potreb-be far deragliare la fusione con VW. Entrambi furono costretti a lasciare Porsche a metà del 2009 dopo il loro fallito tentativo di acquisire VW. L’annuncio ha avuto immediate ripercussioni in borsa. Le azioni di Porsche sono scese dell’11% e quelle di VW del 3%. Porsche e VW hanno anche annunciato che la minac-cia di dover pagare forti imposte e le accuse di frode davanti ai tribunali americani potrebbero rinviare la fusione di almeno tre anni o addirittura annullarla. Ma la maggior parte degli analisti resta invece ottimista circa il futuro del piano di fusione.

STRATEGIE & VALUTAZIONIVolkswagen-Porsche: merger of unequals

Con il takeover su Porsche, Piech coro-na il turnaround di Volkswagen avviato 20 anni prima

Una vicenda che aveva diviso due dinastie legate alla storia dell’automobile, Piech e Porsche, si è conclusa nel luglio 2012, quando Volkswangen ha dichiarato l’in-tenzione di acquistare il rimanente 50% del capitale di Porsche per 4,5 miliardi di euro. Porsche è così entrata nel portafoglio dei 12 brands di Volkswagen, che va dai costruttori di veicoli industriali Scania e MAN, ai brand di lusso Bugatti e Bentley, ai costruttori low-cost Skoda e Seat e al costruttore italiano di motociclette Ducati. Dopo l’annuncio, in un solo giorno le azioni di VW sono salite del 6,1% a 135,8 euro, mentre Porsche ha guada-gnato lo 0,6% salendo a 42,23 euro.L’acquisizione di Porsche cementa il dominio di VW sul settore automobilistico europeo, mentre rivali come Fiat, PSA Peugeot Citroen, Ford e General Motors (Opel) stanno affrontando seri problemi di eccesso di capacità produttiva.L’acquisizione di Porsche, costruttore della famosa 911 sport car, è un colpo che sigilla la vit-toria di Ferdinand Piech, chairman di VW e nipote di Ferdinand Porsche, inventore del Beetle di VW. Piech è riuscito a ribaltare la situazione dopo che Porsche nel 2008 non è riuscita ad acquisire il controllo di VW. Il ten-tativo fallito aveva lasciato Porsche sull’orlo del fallimento. VW aveva acquistato il 49,9% di Porsche nel 2009 pagando 3,9 miliardi di $, ma le due imprese sono state costrette a ritardare la fusione che aveva pianifi-cato a causa di rischi “legali”. Con l’acquisto del luglio 2012, VW ha il controllo sul rimanente capitale di Porsche. Ha pagato un prezzo che gli analisti descrivono come un “buon affare”. Sebbene l’acquisizione abbia assorbi-

to 7 miliardi di euro del “net cash pile” di 15,8 miliardi di euro di VW (in quanto VW deve assumere anche 2,5 miliardi di euro di liquidità negativa per debiti di Porsche verso le banche) VW ha acquisito un’impresa in rapida crescita che genera uno tra i margini di profitto più alti nel business dell’automotive. VW iscrive in bilancio il valore di Porsche ad oltre 20 miliardi di euro, ben sopra il prezzo di acquisto.

Vantaggi. I due costruttori dovrebbero realizzare eco-nomie per 700 milioni di euro l’anno attraverso una più stretta cooperazione nello sviluppo di nuove auto, negli acquisti, nella produzione e anche nella distribuzione. “Dobbiamo concentrarci su ciò che VW e Porsche fanno meglio: costruire e sviluppare grandi vetture”, ha dichia-rato Martin Winterkorn, CEO di VW.

Non tutti felici. Non tutti hanno gradito la notizia. I politici tedeschi hanno criticato VW per essere riuscita ad evitare di pagare un miliardo di euro di imposte. Trasferendo una sola azione di VW a Porsche, in base alla legge tedesca la transazione deve essere classifica-

22

Struttura del nuovo gruppo Volkswagen

La Holding company è stata costituita dalle due famiglie Piech e Porsche nel quadro dell'accordo

STRATEGIE & VALUTAZIONIVolkswagen-Porsche: merger of unequals

ta come una riorganizzazione e non come un takeover. VW ha battezzato il political complaint come “irre-sponsabile e senza fondamento”. In effetti, sempre in base alla legge tedesca, se VW avesse atteso fino al 2014 – come era stato stabilito nell’accordo originario di fusione (in realtà un takeover) – avrebbe dovuto pa-gare un’imposta quasi trascurabile.

Rischi. Un grosso problema è che Porsche è soggetta ad una serie di cause per miliardi di euro intentata da grossi investitori che sostengono di essere stati fuorviati nelle loro decisioni quando Porsche improvvisamente rivelò nel 2008 l’ampiezza del suo controllo sul capitale azionario di VW. L’annuncio fece scattare un massiccio acquisto di azioni VW (per coprire operazioni allo scoperto) che tem-poraneamente trasformò VW nell’impresa con maggiore capitalizzazione nel mondo. Per coprire le posizioni gli investitori (che ora hanno intentato causa) furono costret-ti ad acquistare azioni pagando grosse somme. Porsche respinge le accuse, ma il caso è destinato a protrarsi per anni davanti ai tribunali ed agisce ancora come un peso sui prezzi delle azioni della holding Porsche.

La valutazione del “enterprise value” (se-condo Goldman Sachs).

Gli azionisti di VW dovrebbero essere grati. Il prez-zo pagato per il 50,7% di Porsche è molto attraente.

Significa che VW ha acquistato Porsche ad un prezzo pari a 4 volte gli utili stimati (EBIT). Inoltre, l’intera Porsche sarà acquistata ad un enterprise value di circa 11 miliardi di euro, che si confronta con i suoi ricavi annui stimati in 12 miliardi di dollari nei prossimi tre anni, secondo valutazioni di Goldman Sachs. VW avrà un no-cash gain di 9 miliardi di euro se rivaluterà la sua partecipazione esistente in Porsche.

Quale futuro per Porsche? L’accordo lascia Porsche con net cash, ma con molte passività per rischi legali che risultano dallo stake building del 2008. Senza una rapida soluzione in vista, la preoccupazione è che il discount della holding company possa allargarsi. Ciò significherebbe un misera ricompensa per gli investito-ri che hanno sborsato nella ricapitalizzazione del 2011 quando la fusione completa tra Porsche e VW sembra-va essere molto probabile.

Rischi legali. Porsche ha dichiarato che una precisa va-lutazione dei rischi legali è impossibile da stimare perché gli investitori americani hanno intentato cause davanti a più tribunali ed in alcuni casi si sovrappongono. Porsche, che respinge le accuse, non ha fatto accantonamenti per possibili passività, ma ha messo da parte circa 40 milioni di euro per costi legali. Nel 2011 i ricavi di Porsche hanno raggiunto 10,9 miliardi di euro, spinti da vendite record (117 mila veicoli) il 21% in più rispetto all’anno prece-dente. Il SUV Cayenne rappresenta la metà di tali vendite.

23

Fonti: vari numeri di Automotive News, Financial Times, The Wall Street Journal, Handelsblatt e Il Sole 24 Ore.

Master
Nota
Domande 1. Quali obiettivi hanno guidato gli azionisti di maggioranza del gruppo Volkswagen nel "salvataggio" di Porsche e nel suo inserimento tra i brand del gruppo stesso? 2. Una conseguenza dell'operazione é che Porsche entra a far parte del gruppo Volkswagen. Pensate che le strategie di marketing di Porsche debbano essere modificate? Come evitare sovrapposizioni tra le strategie di marketing di Porsche e quelle di altri brand del gruppo, come ad esempio Audi e Bentley?