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Chiese chiuse? No, chiese aperte, che non vuol dire in streaming, ma che voi, cristiani, “tempio di Dio” diceva qualcuno, siete aperti… Spunti a dare risposte umili e utili non per il mondo intero, ma per la nostra comunità vicina vicina .. che è …. Premessa Ho ricevuto la segnalazione dell’articolo in spagnolo (che segue sotto) dalla Sorella Maria dell’Armonia, madre Priora delle Sorelle Servidoras di Oristano, con l’indicazione che, se anche in spagnolo, tuttavia “si capisce”. Io anzitutto le ho risposto che «Si, ho visto ora. Si capisce, certo. E si capisce anche che il sito della Bussola Quotidiana in Italia abbia voluto approfittare di questo vescovo e della sua intervista. Infatti, La Bussola Quotidiana è voce molto critica, per dir poco, del Papa, e propugna un cristianesimo in cui, per stare al suo nome di "bussola", il “polo nord” solo loro sanno dove sta veramente. Il vescovo dice cose giuste per la Spagna, dove lo stato non ha dato (ancora) le norme che invece ha dato lo stato italiano. Ma è chiaro da quello che dice che qualora lo Stato spagnolo emani leggi simili a quelle dello Stato italiano, egli vi si adeguerà. Questo senza entrare nei suoi ragionamenti teologici, che piacciono molto alla Bussola, che però li interpreta a modo suo. Anche a questo vescovo, però, farebbe bene ricordare quello che in una parola lei l'altro giorno diceva citando san Tommaso: ”i sacramenti non sono Dio, ma strumenti che ci conducono a Lui”. La messa sarà anche “il Cielo in terra” (ma queste formule altisonanti cosa vogliono dire? in fin dei conti non sono forse senza contenuto? a che servono?), ma "il Cielo in terra" (cioè, per me, Dio nel suo Figlio incarnato) quando appunto è venuto sulla terra non è venuto a far morti né per contagio da ignoranza scientifica né per contagio per (mala)grazia religiosa ... Le rare volte che son dovuto entrare nel sito La Bussola Quotidiana confesso che non ne uscivo tanto edificato ... Sulla questione messa sì/messa no si leggono in Italia discussioni più equilibrate, ad esempio sul sito di Settimana News (ex Rivista del Clero Italiano, mi sembra), dove di recente c'era un articolo di due vescovi italiani, tanto per restare a livello di vescovi (e non di teologi, di cui La Bussola Quotidiana non è molto ricca a dir il vero ...). Vedo di ritrovarlo. Per il momento invio ...» Bene dopo aver inviato, mi è venuta l’idea di raccogliere alcuni di questi articoli e di farvene parte. Credo sia compito dell’Istituto di Formazione Teologica Permanente di Ales-Terralba, in questo momento, non solo continuare a rendere disponibili i sussidi che conoscete nell’ambito di un accompagnamento a distanza sui temi trattati negli incontri ultimi (cf pagine fb dell’Istituto), ma anche fornire gli strumenti per riflettere sui problemi che l’attuale situazione pone non solo ai pastori ma anche ai teologi, e da questa riflessione vedere se è possibile concludere qualche suggerimento teologicamente e liturgicamente corretto per una situazione di chiesa cosiddetta, e falsamente, “chiusa” o “senza tempio”. «Voi siete il tempio di Dio», mi sembra abbia detto qualcuno in tempi non migliori di quelli attuali … So che il Vescovo Fra Roberto attende su questo punto la collaborazione anche nostra. Tanto per un esempio, vi ho aggiunto in fine, un tentativo di “preghiera familiare” (domanda: ma i single non contano mai ?... ) proposta per domani, domenica IV di Quaresima, a partire appunto dal vangelo domenicale: a me sembra una buona cosa, soltanto mi pare costruita a immagine e somiglianza delle liturgie presiedute dal sacerdote, ma è comprensibile: non siamo abituati più a ricordare che la Pasqua nasce come rito fuori dal tempio, rito presieduto da laici in situazioni vitali di genitori con figli, e figli di vario tipo: e il “seder” pasquale, guarda un po’, cominciava con il dialogo appunto tra una generazione che ricordava (e scompariva) e una generazione che imparava (e cresceva). … Altre proposte di questo tipo, ma con un linguaggio più realistico per le nostre famiglie? E non in streaming inevitabilmente solo clericali… Vedere se gli articoli qui sotto vi fanno nascere qualche idea… e vi tolgono un po’ dal cliché indifferenziato che sta predominando nei vostri gruppi whatsapp di parlare del più e del meno («tutto è utile», diceva ancora qualcuno, che poi aggiungeva anche «ma non tutto giova» … ), dimenticando un po’ lo scopo principale dell’Istituto che è a servizio della comunità diocesana, magari per trovare qualche risposta attesa… Altrimenti, a cosa serve un Istituto di Formazione Teologica?

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Chiese chiuse? No, chiese aperte, che non vuol dire in streaming, ma che voi, cristiani, “tempio di Dio” diceva qualcuno, siete aperti… Spunti a dare risposte umili e utili non per il mondo intero, ma per la nostra comunità vicina vicina .. che è …. Premessa Ho ricevuto la segnalazione dell’articolo in spagnolo (che segue sotto) dalla Sorella Maria dell’Armonia, madre Priora delle Sorelle Servidoras di Oristano, con l’indicazione che, se anche in spagnolo, tuttavia “si capisce”. Io anzitutto le ho risposto che «Si, ho visto ora. Si capisce, certo. E si capisce anche che il sito della Bussola Quotidiana in Italia abbia voluto approfittare di questo vescovo e della sua intervista. Infatti, La Bussola Quotidiana è voce molto critica, per dir poco, del Papa, e propugna un cristianesimo in cui, per stare al suo nome di "bussola", il “polo nord” solo loro sanno dove sta veramente. Il vescovo dice cose giuste per la Spagna, dove lo stato non ha dato (ancora) le norme che invece ha dato lo stato italiano. Ma è chiaro da quello che dice che qualora lo Stato spagnolo emani leggi simili a quelle dello Stato italiano, egli vi si adeguerà. Questo senza entrare nei suoi ragionamenti teologici, che piacciono molto alla Bussola, che però li interpreta a modo suo. Anche a questo vescovo, però, farebbe bene ricordare quello che in una parola lei l'altro giorno diceva citando san Tommaso: ”i sacramenti non sono Dio, ma strumenti che ci conducono a Lui”. La messa sarà anche “il Cielo in terra” (ma queste formule altisonanti cosa vogliono dire? in fin dei conti non sono forse senza contenuto? a che servono?), ma "il Cielo in terra" (cioè, per me, Dio nel suo Figlio incarnato) quando appunto è venuto sulla terra non è venuto a far morti né per contagio da ignoranza scientifica né per contagio per (mala)grazia religiosa ... Le rare volte che son dovuto entrare nel sito La Bussola Quotidiana confesso che non ne uscivo tanto edificato ... Sulla questione messa sì/messa no si leggono in Italia discussioni più equilibrate, ad esempio sul sito di Settimana News (ex Rivista del Clero Italiano, mi sembra), dove di recente c'era un articolo di due vescovi italiani, tanto per restare a livello di vescovi (e non di teologi, di cui La Bussola Quotidiana non è molto ricca a dir il vero ...). Vedo di ritrovarlo. Per il momento invio ...» Bene dopo aver inviato, mi è venuta l’idea di raccogliere alcuni di questi articoli e di farvene parte. Credo sia compito dell’Istituto di Formazione Teologica Permanente di Ales-Terralba, in questo momento, non solo continuare a rendere disponibili i sussidi che conoscete nell’ambito di un accompagnamento a distanza sui temi trattati negli incontri ultimi (cf pagine fb dell’Istituto), ma anche fornire gli strumenti per riflettere sui problemi che l’attuale situazione pone non solo ai pastori ma anche ai teologi, e da questa riflessione vedere se è possibile concludere qualche suggerimento teologicamente e liturgicamente corretto per una situazione di chiesa cosiddetta, e falsamente, “chiusa” o “senza tempio”. «Voi siete il tempio di Dio», mi sembra abbia detto qualcuno in tempi non migliori di quelli attuali … So che il Vescovo Fra Roberto attende su questo punto la collaborazione anche nostra. Tanto per un esempio, vi ho aggiunto in fine, un tentativo di “preghiera familiare” (domanda: ma i single non contano mai ?... ) proposta per domani, domenica IV di Quaresima, a partire appunto dal vangelo domenicale: a me sembra una buona cosa, soltanto mi pare costruita a immagine e somiglianza delle liturgie presiedute dal sacerdote, ma è comprensibile: non siamo abituati più a ricordare che la Pasqua nasce come rito fuori dal tempio, rito presieduto da laici in situazioni vitali di genitori con figli, e figli di vario tipo: e il “seder” pasquale, guarda un po’, cominciava con il dialogo appunto tra una generazione che ricordava (e scompariva) e una generazione che imparava (e cresceva). … Altre proposte di questo tipo, ma con un linguaggio più realistico per le nostre famiglie? E non in streaming inevitabilmente solo clericali… Vedere se gli articoli qui sotto vi fanno nascere qualche idea… e vi tolgono un po’ dal cliché indifferenziato che sta predominando nei vostri gruppi whatsapp di parlare del più e del meno («tutto è utile», diceva ancora qualcuno, che poi aggiungeva anche «ma non tutto giova» … ), dimenticando un po’ lo scopo principale dell’Istituto che è a servizio della comunità diocesana, magari per trovare qualche risposta attesa… Altrimenti, a cosa serve un Istituto di Formazione Teologica?

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Raccolta di articoli (potete segnalarne altri, e nel mentre ringrazio anche chi mi ha segnalato alcuni di questi articoli: don Marco e don Giuseppe Pani) http://www.infocatolica.com/?t=noticia&cod=37211 «NO PODEMOS PRIVARNOS DE LA MISA AHORA QUE EL VIRUS HA DESENMASCARADO EL INDIVIDUALISMO»

Obispo de Alcalá de Henares: «La Santa Misa es el cielo en la tierra y sin ella el hombre desfallece» El obispo de Alcalá, Juan Antonio Reig Pla, explica Andrea Zambrano de La Nuova Bussola Quotidiana, la decisión que ha tomado para su diócesis de no privar al pueblo de la Santa Misa, tomando, claro está, las necesarias medidas sanitarias. 20/03/20 11:12 AM Ver también

Alcalá continúa con las misas, Madrid sin misas con publico pero con los templos abiertos y Getafe cierra las iglesias

(Andrea Zambrano/NBQ) «La Misa es el Cielo en la Tierra. No podemos privarnos ahora de ella, cuando la crisis del coronavirus está poniendo en evidencia el individualismo de la sociedad. Con esta decisión he querido enfatizar que Dios no nos abandona nunca». El obispo de Alcalá, Juan Antonio Reig Pla, explica Andrea Zambrano de La Nuova Bussola Quotidiana, la decisión que ha tomado para su diócesis de no privar al pueblo de la Santa Misa, tomando, claro está, las necesarias medidas sanitarias.

Excelencia, ¿por qué ha decidido mantener abiertas las iglesias, y celebrar las misas con el pueblo?

Como obispo he decidido mantener abiertas las iglesias y también el horario habitual de las celebraciones de la Santa Misa. Con ello quiero ofrecer a los fieles un signo de que la Iglesia no abandona a nadie que requiera los auxilios divinos, especialmente los sacramentos. Para ello disponemos las celebraciones siguiendo todas las indicaciones de prevención que recomiendan las autoridades sanitarias. Además, a las 12 y a las 20.30 horas las campanas de la Catedral anuncian dos toques de oración para rezar por las necesidades que provoca esta epidemia. Entre los bienes de la persona (bienes útiles, placenteros, el bien moral, etc.), el máximo bien es el espiritual, que va unido al destino eterno del hombre. Esta es la razón por la que no podemos privar a los fieles, incluso en circunstancias extremas, de los dones divinos y particularmente de la Eucaristía.

¿Es importante mantener las distancias de seguridad, pero es aún más importante dar a los fieles el pan del Cielo?

No solo mantenemos la distancia de seguridad, sino que tomamos todas las medidas para prevenir la infección: higiene en las manos del sacerdote, desinfección del suelo y de los bancos, de los vasos sagrados, etc. Todo ello es importante, sin embargo ninguna de estas cosas apaga el deseo de infinito que hay albergado en cada corazón humano. Por eso, junto a las medidas de seguridad, no puede faltar lo que especifica la obra de la Iglesia: ofrecer la salvación lograda por Jesucristo mediante la oración, la predicación de la Palabra y los sacramentos.

¿Qué significado hay que dar a la Misa en estos días? ¿Es indispensable?

La Santa Misa, en todas las ocasiones, y más en esta situación extrema, es el cielo en la tierra. Sin la presencia del cielo -hecho presente en la humanidad de Jesucristo y ahora en los sacramentos- el hombre desfallece. Se puede dispensar de acudir a la Eucaristía dominical, por esta situación extrema y con razones justas, pero no hay que negar el pan del cielo a cuantos, con las prevenciones indicadas por las autoridades sanitarias, pueden acudir y desean el consuelo de Dios. Los fieles que acuden son conscientes de su responsabilidad y ofrecen la Santa Misa por todos los que sufren la pandemia.

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¿Le han criticado? ¿Tal vez las críticas son la demostración que se piensa más en la salud del cuerpo que en la del alma?

De los fieles he recibido algunas indicaciones, sugerencias para mejorar las celebraciones y algunas dudas. Críticas directas no he recibido ninguna. Sí he recibido, en cambio, muchas muestras de gratitud. De todas maneras, es comprensible que entre los fieles se dé alguna incertidumbre. Saber que el bien espiritual es el máximo bien contrasta con el espíritu del mundo y este espíritu mundano también puede penetrar en la Iglesia. Para ello son consoladoras las palabras de Jesús: «En el mundo tendréis luchas; pero tened valor: Yo he vencido al mundo» (Jn 16,33).

¿Ha recibido presiones del gobierno, o le han obligado a cerrar las misas o suspender las misas? ¿Cómo se ha comportado el gobierno con ustedes, los obispos?

Gracias a Dios no he recibido ninguna presión del gobierno. En el Decreto de Alarma está previsto poder acudir a los actos religiosos tomando las medidas de prevención. A tenor de las circunstancias tomaremos las decisiones oportunas.

Un aspecto que vivimos en Italia es el hecho de que muchos capellanes de hospital no pueden entrar en las Unidades de Cuidados Intensivos, lo que hace que la gente muera sola. ¿Cómo es la situación en su diócesis? ¿Consiguen lo capellanes llevar los Sacramentos a los enfermos y moribundos?

La situación en los hospitales ubicados en el territorio de la diócesis es preocupante, por el número de infectados. Los sacerdotes ejercen su labor con la prudencia necesaria y con las prevenciones previstas. Hasta ahora las personas o los familiares que solicitan los sacramentos pueden ser atendidos. Para los enfermos que están en las unidades de cuidado intensivo hay medidas especiales y no siempre se puede acceder a ellas.

¿En qué medida el coronavirus nos interroga como castigo y purificación de Dios?

La pandemia del Coronavirus nos ha colocado en una situación límite. De momento ha puesto en evidencia la precariedad humana y ha desenmascarado la mentira del individualismo que ha propiciado la ruptura de vínculos con la familia, con la tradición y con Dios. La soberbia del globalismo y de la sociedad tecnocrática ha sufrido un duro golpe. Hoy hemos de reconocernos todos más humildes y dependientes los unos de los otros y dependientes de la sabiduría amorosa de Dios creador y redentor. De manera especial, Occidente necesita una purificación y una vuelta a la tradición cristiana, que ofrece una verdadera respuesta a los interrogantes humanos y promueve el modo adecuado de vivir desde la virtud. Este es un tiempo de prueba y, a la vez, un tiempo de gracia. Solo Dios puede convertir esta situación penosa en una ocasión de salud para el espíritu humano.

¿Qué le dice a la Iglesia, hoy, este virus? La Iglesia, ¿debe plantearse preguntas?

Evidentemente, esta situación afecta también a la Iglesia y nos hace volver a las cuestiones básicas que afectan a la salvación humana. La Iglesia no es una organización simplemente humana, una ONG. En sus entrañas lleva el ofrecimiento de la salvación eterna pagada al precio de la sangre de Cristo. Esta pandemia nos invita a todos a volver el corazón a Dios, a insistir en el destino eterno del hombre y a poner el énfasis en la gracia de Dios, en recomponer los vínculos humanos; resaltar la importancia de la familia, de la comunidad cristiana y de los medios de salvación (oración, Palabra de Dios, sacramentos, caridad, etc.). Frente a la soberbia del individualismo y la autonomía radical, esta es una ocasión de gracia para cambiar el concepto de libertad. La libertad no es simplemente independencia y ruptura de vínculos. Nuestra libertad creada es para la comunión y para la dependencia amorosa de la sabiduría de Dios. Redescubrir a Cristo, dejarnos abrazar por su gracia redentora y aprender a vivir en comunidad son los retos para poner en pie a la Iglesia y a la sociedad.

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Responsabilità e profezia 19 marzo 2020/ Nessun commento http://www.settimananews.it/pastorale/responsabilita-e-profezia/

di: Mariano Crociata - Antonio Staglianò

Mons. M. Crociata, vescovo di Latina-Terracina-Sezze-Priverno, ha inviato una lettera ai presbitei e ai diaconi indicando tre piste da seguire: 1) la riscoperta di alcuni temi dimenticati in un orizzonte più compiuto della nostra fede, 2) la valorizzazione delle relazioni come rete costitutiva di un tessuto ecclesiale capace di reggere al cambiamento e di guidarlo dall’interno, 3) la capacità di accompagnare con segni concreti di solidarietà i drammi che, in questi frangenti, si consumano sotto i nostri occhi. Cari confratelli,

ho pensato di scrivervi per condividere pensieri e sentimenti di questi giorni.

Innanzitutto vi ringrazio per il modo come avete vissuto questa prima domenica senza celebrazioni con il popolo. Ho colto diversi segni della vostra iniziativa pastorale volta ad offrire ai fedeli il sostegno della Parola di Dio, della fede e della preghiera.

Uno spunto di riflessione vorrei ora porgervi muovendo dalle considerazioni polemiche di qualche commentatore.

È vero che, per la prima volta, di fronte al diffondersi di un’epidemia, la comunità ecclesiale, attenendosi alle indicazioni delle autorità sanitarie e governative, ha risposto all’emergenza sospendendo ogni manifestazione, anche rituale, che preveda la partecipazione di fedeli. In passato, in circostanze analoghe, è talora successo il contrario: si intensificavano le celebrazioni e si promuovevano processioni, con grande partecipazione di popolo.

In verità, andrebbe verificato storicamente come siano andate di volta in volta le cose, ma non c’è dubbio che una sospensione generalizzata – che toccherà anche la settimana santa e la celebrazione della Pasqua – è la prima volta che viene adottata.

Fuori dall’ordinario Qualcuno grida all’affronto per la fede e alla diserzione degli uomini di Chiesa; la verità è che i cambiamenti culturali e scientifici intervenuti, e la crescita dell’esperienza della fede cristiana, ci fanno vedere le cose diversamente, ma non per questo con minor fede.

Oggi conosciamo più chiaramente le modalità di diffusione di un’epidemia e, responsabilmente, non possiamo permettere che per nostra responsabilità il contagio si diffonda ulteriormente: il virus non rimane fuori dalle porte delle chiese.

D’altra parte, la fiducia in Dio e la preghiera sono cosa diversa dal tentare Dio e sfidarlo con la pretesa di miracoli, i quali restano sempre dono gratuito e imprevedibile. Infine, la fede non è mai esentata

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dalla prova e quella che stiamo vivendo è anche una prova per la fede, attraverso la quale Dio ci vuole dire qualcosa che dobbiamo discernere.

L’aspetto più inquietante di questa prova è la congiunzione di due sofferenze: la minaccia per la salute (e per molti la malattia, la morte) e la privazione dell’eucaristia. In tempi ordinari, la malattia viene vissuta dai credenti con il sostegno della preghiera e, in particolare, dell’eucaristia. Ciò che nelle nuove circostanze ci tocca dolorosamente è proprio l’impossibilità di accostarsi all’eucaristia che, con la tradizione, chiamiamo «pane dei pellegrini» e «vero pane dei figli». Adesso i pellegrini e i figli – quali noi siamo – non possono nutrirsene.

Al di là del dolore e dello sconcerto, possiamo notare che ci sono circostanze nelle quali noi stessi – per cause eccezionali, di malattia o altro – non possiamo celebrare e ricevere l’eucaristia, inoltre che ci sono e ci sono state situazioni nelle quali intere comunità sono rimaste, per periodi più o meni lunghi, privi del sacramento, in tempi di persecuzione o per mancanza di sacerdoti.

La prova e la fede Proprio per la serietà della prova, alcuni dei nostri fedeli faranno di questo tempo un’occasione per rafforzare la fede: per questo noi preghiamo e ci adoperiamo con gli strumenti che abbiamo a disposizione.

In altri però – pochi o molti – si può insinuare un pensiero che mette in dubbio o indebolisce la fede, considerata alla fine irrilevante di fronte a problemi difficili e a sfide straordinarie come quelli che abbiamo dinanzi.

Insomma, agli occhi di qualcuno la fede sembra perdere di significato e di rilevanza, perché in realtà solo la medicina, la scienza, una efficiente organizzazione sociale risultano di aiuto in questi frangenti. Di qui la domanda, o il sospetto, che può sorgere: se la fede non è in grado di fare qualcosa e di dire una parola significativa per le situazioni limite della vita e della storia, come potrà illuminare l’esistenza ordinaria e la vita di ogni giorno?

La fase che attraversiamo è destinata a modificare la condizione spirituale di molti credenti, rafforzandone alcuni, ma mettendo in crisi altri, tentati appunto dall’idea di irrilevanza, se non di insignificanza, della fede cristiana.

Di fronte a questa eventualità dobbiamo maturare una coscienza all’altezza delle questioni e non limitarci a surrogare una pastorale per tempi ordinari. È difficile dire, ora, se questa sia una semplice parentesi, dopo la quale riprenderà tutto come prima, così come prevedere che cosa cambierà e come noi stessi saremo cambiati. In ogni caso, sarà opportuno interrogarsi: come accompagnare consapevolmente il processo di cambiamento, senza subirne supinamente il corso?

Nuovi orizzonti possibili Vedo – in continuità con le comunicazioni precedenti – tre piste da seguire, per cercare risposte, rimanere vigili dentro il processo di trasformazione, assumere atteggiamenti corrispondenti adeguati.

Esse sono: la riscoperta di alcuni temi dimenticati in un orizzonte più compiuto della nostra fede, la valorizzazione delle relazioni come rete costitutiva di un tessuto ecclesiale capace di reggere al cambiamento e di guidarlo dall’interno, la capacità di accompagnare con segni concreti di solidarietà i drammi che, in questi frangenti, si consumano sotto i nostri occhi.

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In primo luogo, abbiamo bisogno di attingere alle risorse della nostra fede nella loro integralità.

Senza panico e senza recriminazioni, dobbiamo lasciarci ispirare dal tempo liturgico di Quaresima e dal suo orientamento alla Pasqua di Cristo: chiamati a vivere al meglio la nostra condizione umana, nella solidarietà e nella fraternità, sperimentiamo il peccato e l’infedeltà che deturpano il volto delle persone e delle comunità umane, per riscoprire che abbiamo bisogno non solo di salute e di benessere, ma di vita nuova e di un cuore nuovo che solo il Crocifisso-Risorto può rigenerare in noi; non dobbiamo far altro che inserirci nel solco del suo cammino terreno orientato a una pienezza che, attraverso la croce, trasforma l’umano dall’interno e lo conduce verso la glorificazione in Dio.

Il segno di questa Quaresima spogliata di riti e di manifestazioni esteriori sta nella sua capacità di riportarci alle cose essenziali della nostra condizione e della nostra fede: la fragilità di fronte al male, il bisogno di reagire ad esso e di aiutarci per farlo, ma anche la potenza della morte e il bisogno di una salvezza che non si accontenta di guarire da una malattia, bensì annuncia e promette una vita piena dentro e oltre questa vita.

Questo deve diventare il momento per ridare vigore all’annuncio della risurrezione come senso del nostro cammino terreno e termine ultimo che trascende la nostra condizione temporale.

In questa prospettiva integrale, con la serenità gioiosa che è propria della speranza cristiana, non dobbiamo avere timore di annunciare la vita eterna, vera spinta e risorsa indispensabile fin da ora per una vita migliore, per una vita piena.

Risorse per lo spirito umano Ci sta stretto il ruolo di consolatori e di risorsa morale per una società in affanno; noi abbiamo ambizioni più grandi, che abbracciano l’incoraggiamento e la collaborazione da infondere nelle nostre comunità civili, ma guardano e orientano verso una pienezza di vita – umana e divina, terrena ed eterna – che ci viene da Cristo risorto. Ne abbiamo bisogno noi, ne hanno diritto i nostri fedeli, ne attendono l’annuncio e la testimonianza tutti.

Con questa consapevolezza, tutte le risorse che stiamo utilizzando assumono un’altra profondità; e allora possiamo continuare a servirci di streaming e video, registrazioni e suono di campane, celebrazioni e preghiera liturgica trasmesse, devozioni e formule di preghiera le più diverse, catechesi e predicazioni, e altro ancora, sapendo che tutto, insomma, diventa risorsa di un annuncio autenticamente cristiano, capace di reggere il peso di questi giorni e di prepararci al dopo-epidemia. Ad essere provato in questa fase è anche il tessuto delle nostre comunità ecclesiali, a rischio di dispersione e di smarrimento.

A questo scopo è necessario – insieme a tutte le forme di comunicazione, generaliste o per gruppi – prendersi cura delle relazioni personali. I fedeli vanno cercati uno per uno, con la discrezione necessaria ma anche con la cordialità e l’interessamento sincero.

In questo movimento di contatto personale devono essere coinvolti anche i collaboratori più stretti e i membri dei consigli, così da stendere una rete che copra l’intera comunità. È, questa, una circostanza propizia per far sentire a tutti il senso di un’appartenenza e di un legame più forti di ogni contrarietà e di ogni minaccia, mossi tutti come siamo dalla fede e dal desiderio di alimentare la certezza che il Signore è con noi, ci sostiene e ci aiuta, attraverso la comunità, ad affrontare le difficoltà presenti.

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Grazie a questa rete viva, potranno emergere situazioni di disagio e di solitudine, o anche un senso di abbattimento e perfino di depressione che può colpire alcuni. È il kairós della “consolazione” cristiana. Il sentimento di prossimità e la disponibilità a farsi carico gli uni degli altri diventano fattori umanissimi ma potenti di una fede che realmente ed efficacemente crea comunità attorno al Signore. Proprio in questa rete viva di comunicazione e di scambio sono destinate ad emergere le situazioni più gravi di indigenza e di bisogno di aiuto concreto.

Famiglie con malati e anziani in casa, famiglie con bambini e ragazzi bisognose di aiuto, famiglie senza alcuno che lavori e che le aiuti o persone sole in difficoltà: sono le situazioni ricorrenti in questi giorni più che in altri periodi. Siamo chiamati a farcene carico.

Il ruolo della Caritas La Caritas diocesana è attrezzata per supportare le Caritas parrocchiali e le iniziative straordinarie che si intraprendono.

Un altro servizio importante è favorire la disponibilità di giovani maggiorenni a svolgere servizi di volontariato per la distribuzione di viveri nelle Caritas parrocchiali e di pasti nelle mense della Caritas, nonché per altre forme di collaborazione secondo quanto disposto e organizzato dalla Caritas diocesana.

Senza trascurare la cura per la propria e altrui salute, dobbiamo far sentire che il cuore della carità batte ancora più forte in questo tempo in cui non si saprebbe dire se sia più pressante il soccorso di beni materiali o il sostegno spirituale a quanti sono nella prova e a quanti ne sperimentano, con inquietudine continua, la prossimità.

E infine, ma sopra a tutto questo, la condizione degli infermi e dei malati gravi. Le comunità cristiane conoscono e sono già impegnate nel vasto campo dell’assistenza spirituale e talora materiale agli ammalati. Ma non possiamo respingere il dato che l’attuale pandemia ci mette di fronte e cioè di persone che, rescisse da tutti i legami familiari per fini di profilassi e di cura, affrontano nella solitudine assoluta il tempo sospeso e doloroso della “terapia intensiva”, e, purtroppo, nella medesima solitudine, l’agonia e la morte. Noi dobbiamo trovare il modo di rendere vicina la Speranza di cui siamo animati a questi nostri fratelli.

Ho voluto in questo modo condividere ancora con voi, cari confratelli, alcuni pensieri, preoccupazioni e indicazioni per questi giorni, che purtroppo sono ancora i primi di un periodo che potrebbe non essere brevissimo, perché possiamo viverlo nella maniera più consapevole e nella più grande comunione tra di noi e con tutta la Chiesa, che condivide una pandemia che ormai ha superato tutti i confini.

Rimaniamo uniti nella preghiera, nello scambio delle comunicazioni, nel desiderio di contribuire a fare di questo un periodo di crescita per la nostra fede e per il nostro essere Chiesa. Noi stessi non abbiamo timore a condividere le nostre difficoltà, anche personali, e ad aiutarci a vicenda.

Il Signore vi benedica.

Latina, 16 marzo 2020

✠ Mariano Crociata

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La carne e l’anima http://www.settimananews.it/teologia/carne-anima/ 15 marzo 2020/ Nessun commento

di: Francesca Cocchini Forse mai come in questo momento della storia possono risultare attuali alcune espressioni che si leggono nella A Diogneto. In questo testo della fine del II secolo l’identità dei cristiani è presentata dall’anonimo autore come frutto di rivelazione. Egli la incentra sul rapporto conflittivo tra l’anima e il corpo – metafora del rapporto conflittivo tra i cristiani e il mondo – inteso come rapporto tra due realtà la cui opposizione non è però reciproca, tutt’altro: è il corpo che odia, mentre l’anima ama. «In una parola, ciò che l’anima è nel corpo, i cristiani lo sono nel mondo. L’anima è disseminata per tutte le membra del corpo, e i cristiani per le città del mondo. L’anima abita nel corpo, ma non è del corpo; così pure i cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo. Invisibile, l’anima è tenuta prigioniera nel corpo visibile: così pure, dei cristiani si sa che sono nel mondo, ma la loro religione rimane invisibile. La carne odia l’anima e le fa guerra, benché non ne riceva alcun torto, perché ne viene ostacolata nel godimento dei piaceri: così pure, il mondo odia i cristiani pur senza riceverne alcun torto, perché fanno fronte contro i piaceri. L’anima ama la carne che la odia, e le membra: così pure i cristiani amano coloro che li odiano» (6,1-6).

Può sorprendere, in questa presentazione, l’assenza di ogni riferimento alla prassi cultuale dei cristiani, nonostante fosse già incentrata sia sul battesimo sia sull’eucarestia, come pure a una diversificazione di ruoli ministeriali, anch’essi in gran parte già definiti: su questi aspetti l’intero scritto non entra in dettaglio, limitandosi, riguardo al culto, a sottolineare che non si celebrano sacrifici come avviene tra i pagani, riguardo alla presenza di una gerarchia ecclesiastica, parlando indistintamente di «cristiani».

Se «i cristiani sono nel mondo ciò che l’anima è nel corpo», risulta facile all’autore spiegare qual è lo scopo della loro presenza:

«L’anima è rinchiusa nel corpo, ma è lei che tiene insieme il corpo: così pure i cristiani sono trattenuti nel mondo come in un carcere, ma sono loro che tengono insieme il mondo» (6,7).

Ma anche il “tenere insieme il mondo”, cioè sostenerlo in ogni sua parte, garantendone la stessa esistenza, ha la sua motivazione nella rivelazione che Dio ha fatto loro di se stesso: è infatti da lui che i cristiani lo hanno ricevuto.

«Dio infatti ha amato gli uomini: per essi ha fatto il mondo, a essi ha sottomesso tutto quanto è sulla terra, a essi ha dato ragione e intelligenza, solo a essi ha permesso di alzare lo sguardo verso di lui, essi ha plasmato secondo la propria immagine, a essi ha inviato il suo Figlio Unigenito, a essi ha promesso il regno che è nei cieli, che darà a quanti lo avranno amato» (10,2).

Ma amare Dio – rivela l’autore – ha come conseguenza diventarne imitatore e così, nella concretezza più radicale quale quella illustrata nella pratica della carità, i cristiani sono presentati come coloro che, nel tempo della storia, sono in grado non solo di “tenere insieme il mondo”, ma di unirlo alle realtà celesti, testimoniando così l’avvenuta eliminazione di ogni muro separatorio tra terra e cielo.

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Il bisogno urgente di contesti di salvezza. Perché non possiamo rinunciare alla mediazione liturgica. (di Mauro Festi) di Andrea Grillo http://www.cittadellaeditrice.com/munera/il-bisogno-urgente-di-contesti-di-salvezza-perche-non-possiamo-rinunciare-alla-mediazione-liturgica-di-mauro-festi/

Pubblicato il 18 marzo 2020 nel blog: Come se non

La “emergenza” non è solo la risposta ad un problema sanitario, ma anche la occasione perché possa emergere, a tutto tondo, la nostra difficoltà a riconoscere che la liturgia è mediazione originaria del rapporto tra Cristo e la sua Chiesa. In questo testo Mauro Festi pone la questione della inadeguatezza delle risposte per ora avanzate di fronte al “divieto di assembramenti”. La medicina ha saputo adeguarsi alla emergenza, la Chiesa no. Che ne è dunque della liturgia come “linguaggio comune”? (ag

Il bisogno urgente di contesti di salvezza.

Perché non possiamo rinunciare alla mediazione liturgica.

di Mauro Festi

«Dicono che in questo tempo non possiamo incontrarci tutti. Tolleriamo i contatti familiari, ma anche questi li viviamo a una certa distanza. Avvertiamo la sofferenza di questa distanza, della “posizione innaturale” da assumere. E poiché questa sofferenza ci raggiunge in modo acuto, strappandoci di mano le sicurezze su cui ci siamo basati fino ad ora, non riusciamo del tutto a reggerla, e allora cerchiamo di aggirarla. Immaginando che la vita stia nell’evitarla, invece che nel provare a lasciarci afferrare da quel grido che emerge al cuore di questa sofferenza che non può essere messa a tacere».

Questa frase, profondamente vera in questo nostro oggi così duro, potrebbe essere pronunciata sensatamente anche a riguardo della presente mancanza di celebrazioni liturgiche partecipate. La risposta che è stata data fino ad ora alla situazione di emergenza ha relegato la liturgia ai suoi “contatti familiari”, rischiando di mediare un orizzonte simbolico di profonda gravità, come se fosse ancora possibile immaginarla dominio dei ministri ordinati, come se potessimo immaginare che il Signore convochi solo alcuni, come se la sporgenza che questi alcuni garantiscono nella celebrazione non sia esattamente perché chi ne partecipa ne faccia esperienza. Abbiamo enfatizzato per secoli la dimensione oggettiva della celebrazione liturgica, il suo essere dono di grazia, senza essere, in fondo, riusciti a recuperare la consapevolezza che essa è tale, dono di grazia, soltanto se è anche mediazione capace di ripresentarti all’evento di salvezza, rendendoti in grado di percepire che il Signore Dio ti sta chiamando a sé per immergerti nella sua salvezza. Questa esperienza non la può fare il ministro ordinato da solo, e non possono farla i fedeli da soli. Al cuore di questa frattura c’è un grido acutissimo, una sofferenza inconscia di chi, da un giorno all’altro, si trova a non poter più accedere ai “luoghi” certi e comuni dell’esperienza di salvezza.

L’assenza di celebrazioni partecipate: un grido profondamente umano

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Questo grido, pochi sanno ascoltarlo, e ancor meno interpretarlo.

Non poter celebrare non è semplicemente un problema di ordine giuridico: a chi spetta questa decisione, o chi deve sottomettersi a chi? Non è neanche soltanto un problema di ordine etico: sono consapevole che compiendo o non compiendo l’azione celebrativa, agisco sulla realtà, e ne sono responsabile? Non è neanche solamente un problema ecclesiologico: possiamo risolverlo facendo celebrare alcuni per tutti? È certamente tutto questo. Ma è molto di più. Celebrare o non celebrare è anzitutto un problema antropologico: se io, uomo-donna, non riesco mai da solo ad attingere al principio della mia vita, al suo fondamento, se non è nelle mie mani né il suo inizio, né la sua fine, e in un tempo di fragilità come questo ne ho la percezione certa, come posso fare esperienza di non essere abbandonato alla morte? Di non venire dal nulla e non sparire nel nulla? Come posso avere la speranza certa che la morte non è né la prima né l’ultima parola sulla vita, e sulla mia vita? Perché di questo, oggi, abbiamo bisogno più che mai. Ne abbiamo bisogno sempre. Ma oggi il nervo è scoperto, la morte incombe, e il suo odore acro e nauseante ci raggiunge. Non ci raggiunge, però, la speranza di alcuna unzione preziosa e profumata. Abbiamo bisogno di elaborare la morte, sempre. Oggi ne abbiamo bisogno di più. E da quando l’uomo è uomo, forse anche prima, conosce la forza delle azioni rituali e dei linguaggi simbolici per permettere alla morte di non schiacciarlo, e per ospitare questa speranza nella forma di un Volto promettente e affidabile, che proprio lì si rivela e ci afferra.

Rito ritualistico e interiorità immediata: l’inadeguatezza delle risposte

La risposta più diffusa, tra quelle più sensate, cioè tra quelle che non si limitano a proporre l’assistenza via schermo ad una celebrazione priva del necessario, fa appello alla meditazione della Parola, e ad una revisione di vita mediante l’esame di coscienza. Pratiche importantissime per la vita ordinaria del cristiano. Ma in contesto straordinario, come quello attuale, emerge urgente il problema, segnalato dal costante ricorso, a sostegno dell’esortazione, alla vacuità di riti che non toccano la vita.

Per cogliere quanto una simile affermazione sia problematica, faccio un parallelo azzardato, ma che mi sembra pertinente. È possibile invocare l’interiorità e l’immediatezza della relazione con Dio nella Parola solo a partire da un atteggiamento analogo a chi può scegliere di disobbedire alle norme sanitarie. Mi spiego. Non lo sai, non sei consapevole che puoi fare questi pensieri e puoi compiere questi gesti solo perché, in realtà, hai esperienza dell’esistenza di contesti vitali che te lo consentono. Tu sai che quel testo scritto è Parola di Dio perché da quando sei cristiano lo hai ricevuto nella forma della celebrazione e della testimonianza, sai che davanti a te c’è un Tu, perché da un tu ecclesiale l’hai ricevuto, e sempre lo ricevi ogni volta che celebri, e lì sai di essere dentro ad un contesto che ha la forza di trasformare la realtà. Garantendoti di essere nelle mani di un Dio che salva. Così come puoi disobbedire alle norme sanitarie, perché hai esperienza certa del contesto pubblico che si chiama Servizio sanitario nazionale, e si chiama cultura italiana profondamente solidale e umanistica, che è disposta a indebitarsi pur di non abbandonare alla morte i singoli che compongono la propria collettività, i “fratelli d’Italia”.

L’importanza dei contesti vitali per l’esperienza di salvezza

Nel grido che emerge al cuore di questa frattura abbiamo l’occasione straordinaria di cogliere che senza i nostri contesti vitali noi non possiamo vivere. Ma se viviamo la sospensione della liturgia con risposte inadeguate, compiamo l’atto più pericoloso con cui possiamo servire non la Chiesa, ma il suo disperdersi, se è vero che la Chiesa non solo si manifesta nella liturgia, ma anche è realizzata come tale partecipandovi. Rispondere all’impossibilità di celebrare spostando tutto il peso sul piano dell’interiorità, e motivando la sensatezza e la opportunità di questo spostamento con una interpretazione ritualista dei riti è un’azione analoga, mutatis mutandis, all’impedire al personale sanitario di compiere i loro atti per custodire la nostra vita. Mi spiego. Il ritualismo è la perversione del rito, come l’esercizio della professione sanitaria per la morte invece che per la vita è quanto un medico sa di non dover e non poter fare, la perversione della professione sanitaria, che pure può accadere. Ma è una possibilità, che non ne motiva la denigrazione tout court, né ci induce ad abbandonare questo contesto vitale, solo perché in alcune sue forme ha realmente manifestato problematicità, anche gravi. La medicina, come forma mediata di cura per la vita, mostra in questo tempo di avere profonde analogie con la liturgia, forma mediata altra di cura per la vita. Ora, il contesto vitale “medicina” è stato in grado in questo tempo di rielaborare e riconfigurare i suoi luoghi, i suoi tempi, le sue persone, le sue energie, le sue priorità, i suoi atti, le sue emozioni, le sue visioni, per continuare ad essere mediazione di vita. La Chiesa non è riuscita a fare questo con il suo contesto vitale “liturgia”. Che pertanto, oggi, non è messa nelle condizioni di mediare altrimenti la cura della vita, cioè di garantire la percezione certa di essere non solo nelle mani degli uomini, ma ancora più radicalmente nelle mani di Dio, e di un Dio dal volto affidabile. Di questo, anche di questo, si muore. Oppure si risorge, scegliendo di cogliere questa occasione, dura come la morte, per muovere a tentoni qualche piccolo passo possibile in quella strada maestra che non abbiamo ancora avuto seriamente il coraggio di percorrere, che si chiama adattamento della liturgia alla realtà delle comunità celebranti. Che oggi sono le famiglie chiuse in casa. Possiamo farlo, però, solo se scegliamo di ridare credito alla mediazione rituale.

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Prepariamo la Pasqua

È davvero possibile che non ci sia un minimo di celebrabilità realizzabile nelle nostre case, e che questo minimo realizzabile non valga lo sforzo di ripensare i nostri tempi, luoghi, persone, energie, visioni, atti…per poter fare Pasqua? La probabilità che la “clausura” continui è alta, e forse vale la pena prepararsi all’idea di una Pasqua non comunitaria, ma familiare e domestica. E questo passaggio va promosso, accompagnato, preparato. Se in un contesto così carico di morte non celebriamo la vita, consegniamo alla Chiesa del dopo pandemia l’eredità gravissima dell’avvallamento dell’irrilevanza della liturgia per la fede e per la vita della Chiesa. E consegniamo alla Chiesa della pandemia in corso di dover lottare nudi e soli contro la morte. Non perché tali, perché certamente Dio non resta a guardare. Ma perché noi in misura ridottissima potremo farne esperienza.

La tradizione ebraico-cristiana ci insegna che la Scrittura ha bisogno di contesti vitali per diventare Parola. Il sacrificio, i luoghi, i ministri possono cambiare nelle loro forme, ma per essere efficace il testo deve farsi racconto, in un contesto di comunità, con gesti simbolici e rituali. Nuda, la Scrittura resiste, perché sa di poter essere facilmente manipolabile, in senso ideologico, moralistico, in fondo idolatrico. Ho bisogno di una alterità perché la Scrittura si faccia per me Voce e quindi Parola, e ho bisogno di un contesto in cui l’esperienza di questa alterità si dia nella percezione di una vicinanza senza possesso, libera perché liberata da ogni presa.

Abbiamo dalla nostra parte la storia e la tradizione di una Pasqua che nasce domestica per Israele e ri-nasce domestica per il nuovo Israele che è la Chiesa. Può rinascere domestica, allora, anche oggi, per essere per noi mediazione di salvezza.

Occorre elaborare, e occorre farlo ora, le condizioni piccole, ma reali e concrete, di celebrabilità della Pasqua nelle nostre case, unico contesto vitale ecclesiale che possiamo realmente abitare in questo momento. Certamente la complessità dell’azione liturgica ci mette a dura prova, e non apre alla possibilità di pensare a soluzioni uguali per tutti. I contesti domestici sono profondamente diversi, e quindi diversamente in grado di ospitare azioni rituali e processi simbolici. Ma possiamo almeno provare a dirci la logica con cui tentare di pensare il possibile, il paradigma di azione liturgica dentro il quale collocare i nostri tentativi. Poter celebrare la Pasqua vale questo processo inedito ma non estraneo, creativo e al tempo stesso tradizionale. Facciamolo insieme

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Chiesa italiana: un’occasione 17 marzo 2020/ 4 commenti http://www.settimananews.it/chiesa/chiesa-italiana-occasione/

di: Francesco Cosentino

Celebrazione trasmessa in streaming sulla rete (foto: Nicola Marfisi/AGF/Sipa)

La durissima prova a cui siamo sottoposti in questo momento storico attiva le nostre forze interiori, che danno vita a quella resistenza e resilienza capace di accompagnarci psicologicamente e spiritualmente. Nondimeno, in questo laborioso lavoro interiore, è chiamata in causa la stessa fede cristiana, chiamata a essere antidoto contro la paura, lo smarrimento e l’angoscia, ma anche a far intravedere le possibilità nuove che Dio apre per noi, pur dentro una situazione difficile come quella a cui il coronavirus ci sta sottoponendo.

Un messaggio di speranza Da più parti – mi preme ricordarlo – la voce dei laici e dei loro pastori si sta facendo sentire anzitutto con un messaggio di speranza; da questo momento di grande prova e sofferenza avremo la possibilità di uscire in modo nuovo, anche dal punto di vista spirituale. Mentre camminiamo nel deserto, senza pane e senza acqua, chiedendoci anche se «Dio è con noi oppure no», coltiviamo anche la segreta speranza del cuore che il Signore ci sta purificando da molte cose e, a suo modo, ci sta conducendo verso una terra nuova dove scorrono latte e miele. Vedere i campi che già biondeggiano di grano, mentre ancora il gelo e il freddo ci fanno sentire solo come dei terreni aridi, è il contenuto di quella speranza cristiana che, in queste ore, prende corpo grazie a messaggi, riflessioni, omelie e molte altre parole quotidiane che circolano specialmente sui social. Cosa sta succedendo nella Chiesa italiana

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Tuttavia, non si può tacere che questa inedita situazione sta anche scoperchiando il vaso di pandora di una spiritualità cristiana e di una diffusa visione ecclesiologica, che meritano di essere affrontate forse ora più che mai. Per comprenderne tutta la portata, basta soffermarsi un momento su quel fiume carsico che si sta gonfiando di acque, da quando l’emergenza coronavirus ha “costretto” i vescovi italiani a sospendere tutte le celebrazioni, anche festive, e in certi casi chiudere i luoghi di culto.

Da quel momento, si sono attivate alcune reazioni che anche nelle ultime ore contribuiscono a generare confusione e, soprattutto, fanno emergere in tutta la sua prepotenza un aspetto non poco preoccupante della vita cristiana ed ecclesiale: l’insormontabile difficoltà di vivere – dopo decenni dal concilio Vaticano II – una spiritualità laica e laicale in una Chiesa realmente popolo di Dio.

Tre aspetti critici Per esigenza di chiarezza, cercherò di sintetizzare la questione in modo schematico.

“Messa sì, Messa no” Per alcuni il digiuno eucaristico che ci è stato imposto è insopportabile. Naturalmente, non si può negare che sia per tutti noi una sofferenza. Tuttavia, sta emergendo nel nostro cattolicesimo italiano qualcosa che ha dell’eccessivo: l’eccessiva sacramentalizzazione della vita della fede, più specificatamente l’eccessivo sbilanciamento dell’azione pastorale che riduce l’essere Chiesa a «una fabbrica di Messe» (celebrate per ogni occasione, a ogni ora, più volte al giorno) e la spiritualità cristiana al semplice – talvolta abitudinario e convenzionale – «andare a Messa». O la Messa o il nulla.

Scriveva il professore benedettino Elmar Salmann: «Fino ad oggi noi abbiamo o parrocchia o niente, o la Messa o niente, o uno si fa prete o non ha nessun ruolo, o si sposa in chiesa o non c’è niente, o viene battezzato o non c’è niente». Non può continuare così. C’è – e lo ha detto papa Francesco in Evangelii gaudium – un predominio della sacramentalizzazione su altre forme di evangelizzazione. Dispiace che dopo anni di riflessioni sull’importanza della Parola di Dio, della preghiera in famiglia e della «Chiesa domestica», oggi siano andate in confusione anche le menti più illuminate. Se in questo momento c’è più tempo per tutti, oggi potrebbe essere un’occasione unica per l’ascolto, la lettura e la meditazione della Parola di Dio; per pregare insieme in famiglia e coltivare un’altra qualità della relazione personale con Dio; per fare silenzio o leggere un bel testo di spiritualità. Per scoprire, cioè, che lo Spirito Santo abita nei nostri cuori e nella vita, prima ancora che nelle chiese.

Ma la domanda è: abbiamo educato il Popolo di Dio all’ascolto della Parola di Dio? A pregare nella vita quotidiana? A saper celebrare con la vita quella Messa che – come spesso pure diciamo nelle prediche – inizia e si celebra nei travagli dell’esistenza e di ogni situazione umana? Ite Missa est funziona ancora o la Messa è solo quella che si esprime nella ritualità liturgica? La Mensa della Parola di Dio esiste ancora o, non potendo celebrare, moriremo di fame spirituale? Chiese aperte, chiese chiuse

Posta in questi termini l’alternativa è abbastanza sterile. La Chiesa esiste per evangelizzare e non è certo un ufficio o un’agenzia che puoi chiudere quando vuoi. Per sua natura, come papa Francesco ripete da tempo, è sempre aperta e in uscita. Tuttavia, perdonatemi la franchezza, resto davvero di stucco se dopo 60 anni dal concilio Vaticano II e dalla sua ecclesiologia, noi pensiamo ancora la Chiesa nei termini del luogo fisico dell’edificio di culto; è davvero sconfortante per chi abbia studiato un minimo di teologia immaginare che, se domani non ci fossero più chiese fondate su pietra d’uomo, noi non saremmo più la Chiesa e la Chiesa non sarebbe più; è ancora più sconvolgente l’assordante scarsa comprensione del Vangelo, in cui Gesù relativizza il Tempio invocandone perfino la distruzione, indicando se stesso come vero Tempio e annunciandoci il dono dello Spirito Santo, che avrebbe reso anche noi Tempio del Padre.

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Lo Spirito che abbiamo ricevuto ci rende figli e, perciò, ci conduce ad adorare Dio né su quel monte e né in nessuna Gerusalemme umana, ma “in spirito e verità”; siamo diventati – secondo le parole di Paolo – un edificio spirituale fatto di pietre vive, ben ordinate in Cristo Gesù; e la nostra vita – non un rito esteriore – è il vero culto spirituale gradito a Dio. Questo significa che le chiese non servono? Sarebbe dire una grande sciocchezza. Ma – ci ha ricordato papa Francesco in un Angelus del 2014 e in altre occasioni – la Chiesa non è l’edificio di mattoni, ma il suo cuore fatto di pietre vive. Si comprende la fatica, la sofferenza, anche la buona intenzione di tanti parroci; forse – come ha giustamente scritto anche Andrea Grillo in questi giorni – tenere una chiesa aperta può anche essere un segno “fisico” di speranza in questo momento doloroso; tuttavia, la questione è tutt’altra: noi siamo, con la nostra vita, il nostro lottare e sperare quotidiano, la Chiesa viva e aperta al di là di tutti i decreti legge, anche se ci trovassimo in un regime che ci impedisse di riunirci e pregare. E la confusione generata in questi giorni non va bene, meno bene vanno quei banali commenti sul fatto che i supermercati sono aperti e la chiesa no. Niente affatto.

Le chiese sarebbero aperte se avessimo davvero aiutato le persone a scoprire il valore inestimabile del loro battesimo che li rende pietre vive del Tempio e membra vive del corpo di Cristo. Non solo: sarebbe ora di ascoltare umilmente la scienza, che insieme alle autorità che ci governano, ci invita a restare a casa, o la curva dei contagi non allenterà.

La spiritualità laicale Un’ultima parola vorrei spenderla sulla specificità della vocazione e della spiritualità laicale che, a quanto pare, subisce ancora gli effetti di un clericalismo e di un ecclesiocentrismo che spaventano. A cosa è chiamato un battezzato? Qual è il significato del suo sacerdozio battesimale? Il concilio Vaticano II parla dei laici – che non dimentichiamolo, sono la maggioranza del popolo di Dio – come coloro che “vivono nel secolo” e sono chiamati a vivere la propria vita e a compiere i propri doveri con spirito evangelico «in tutti e singoli i doveri e gli affari del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta» (LG 31).

I laici, cioè, cercano il Regno di Dio nelle cose ordinarie e secolari: contrariamente a certi moralismi dei linguaggi ecclesiali, la vocazione del cristiano laico è la secolarità, la quale è manifestazione di Dio. Il sacrificio spirituale offerto a Cristo dai laici, che partecipano del sacerdozio battesimale, è questo trovare Dio in tutte le cose e far fermentare il suo Regno nelle situazioni della vita e della storia. Il significato nudo ed essenziale della vita cristiana è questo «cercare e trovare Dio in tutte le cose», è questa «teologia del quotidiano» di un Dio incarnato che ci raggiunge nella finitezza delle nostre giornate prima ancora che nelle liturgie del Tempio, è questa bellezza della vita feriale che Karl Rahner definiva «lo spazio della fede, la scuola della sobrietà, l’esercizio della pazienza», che anche impercettibilmente, «nasconde il miracolo eterno e il mistero silenzioso che chiamiamo Dio» (Cose di ogni giorno, Queriniana, Brescia 1994, p. 10).. In tempo di coronavirus, invece, sembra che i laici senza la celebrazione dell’eucaristia siano privati di tutta la potenza del loro battesimo e a loro non rimane altro che affidarsi alle dirette streaming. Per la Chiesa italiana, oggi, è tempo di riflessione. O si coglie questo drammatico momento per cambiare o avremo perso un’occasione per sempre.

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https://chiciseparera.chiesacattolica.it/in-tempo-di-coronavirus-i-cattolici-sono-cittadini-italiani-la-chiesa-e-al-servizio-di-tutti/

In tempo di coronavirus. I cattolici sono cittadini italiani. La Chiesa è al servizio di tutti Oggi si è chiamati solo a rinunciare a qualche cosa, che ci verrà restituito in abbondanza domani: è un sacrifico che anche i cattolici devono fare con dignità e intelligenza.

Anche il Papa cammina da solo per Roma. Le chiese sono aperte nella capitale, ma si entra uno per uno, nel rispetto della salute pubblica che è anche rispetto del dono della propria salute. E come se il Signore ci chiamasse uno per uno e non in massa.

La Chiesa è come la nostra coscienza: non può entrarvi nessun altro. Hai voglia a gridare, ad agitarti, a fuggire: siamo soli, nati soli e moriremo soli. Oggi queste parole ci fanno paura. Suonano strane, eppure sono parte della grande saggezza cristiana che ha sempre amato le comunità ma che ha sempre professato la singolarità della fede, unica e comunque sempre personale.

Si leggono articoli di uomini di Chiesa o di intellettuali, che hanno fatto del loro parlare della Chiesa e sulla Chiesa la loro professione, che invocano il potere della preghiera contro il virus, richiamano l’indipendenza della Chiesa dal potere dello Stato, argomentano sul fatto che non si può sospendere l’Eucaristia, che la fede chiede che sempre e comunque si impartiscano i sacramenti. Si domandano dove è la Chiesa d’Italia, perché non faccia la Chiesa.

Ma che cosa vuol dire oggi “fare la Chiesa”?

Chiediamocelo. Non c’è nessuna paura ad affermare che oggi, in questa epidemia, comandino la scienza, la tecnologia e la politica. Perché loro possono guarire o trovare soluzioni razionali per tutti o per la maggior parte. Perché hanno alle spalle regole e certezze, perché parlano con l’autorità della Costituzione. Perché a loro, alla scienza e alla politica possiamo chiedere conto di ciò che fanno davanti a tutti. Mai come in queste circostanze il potere della fede e del clero si aggiunge e non può sostituirsi al potere civile. È così e talvolta non è un male. Il futuro del cattolicesimo passerà anche da una chiara presa di coscienza di essere dentro la complessità della vita contemporanea, non a parte.

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Quelli che si leggono sono ragionamenti doppiamente strani. Innanzitutto perché non mostrano sufficiente preoccupazione per ciò a cui potrebbero andare incontro il clero, i volontari, le persone più generose nell’attraversare le soglie di case, istituti, ricoveri, carceri, nel dare la comunione. Anche la carità, che è viva e generosa, dovrà adattarsi, dovrà trovare forme nuove. Chi scrive di una Chiesa che è scomparsa non dice che il virus non rispetta l’abito talare. Chi invoca processioni, liturgie, celebrazioni non sottopone il proprio ragionamento ad una semplice domanda: come fare per rispettare ciò che ci è chiesto per il bene comune? Vi sono dettagli pratici che vengono considerati secondari e che invece sono decisivi per salvare una vita.

Vi è poi un secondo motivo più serio da sottoporre a chi invoca decisione autonome della Chiesa:

i credenti sono prima di tutto cittadini responsabili.

Possono davvero permettersi di agire diversamente e magari mettere in pericolo gli altri? Non è forse un segno di grande misericordia se i fedeli rinunciano a qualche cosa di importante per la loro fede, al servizio del bene comune della nazione? Gli edifici religiosi possono aspettare perché la vita deve essere sempre tutelata e perché la fede non si ferma di fronte a chiese chiuse.

Non si sa come finirà la pandemia: si sa che ci saranno migliaia di morti, i più deboli e magari i più cari e i più buoni. Il virus non persegue finalità moralistiche e dunque va combattuto per quello che è: un avversario a cui rispondere con le armi dell’intelligenza, della competenza, del rispetto delle norme. Invece si sente bollire nel profondo di certi ambienti un sentimento premoderno di contrapposizione tra scienza e fede che non ha senso. Il problema è quello della competenza e di una scienza ispirata al valore dell’umanità. Bisogna essere chiari: la conoscenza scientifica e la collaborazione tra competenze diverse sono le vere armi e se lo Stato e i cittadini, in questa emergenza, riscoprono il valore della verità, anche di quelle non assolute, sarà un bene per tutti e un esempio per i ragazzi.

Inoltre, chi ha studiato la storia sa che l’umanità, anche l’Italia, ha patito sventure terribili e che il modo con cui vengono raccontate cambia spesso il loro volto e le rende meno terribili, anche se mai accettabili.

La scrittura, la parola, la comunicazione sono parte importante del problema ma anche della sua soluzione.

Se, ad esempio, si rilegge con attenzione Manzoni si vedrà che egli raccontava la storia della peste non per maledire o terrorizzare ma per mostrare come la stupidità umana poteva fare danni anche nelle tragedie.

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Oggi si è chiamati solo a rinunciare a qualche cosa, che ci verrà restituito in abbondanza domani: è un sacrifico che anche i cattolici devono fare con dignità e intelligenza.

Ritrovarsi oggi in un Paese chiuso, disciplinato, resistente, affidato a governanti con tanti limiti ma certamente almeno in questo caso operosi, è una consolazione. E se il linguaggio ufficiale della Conferenza episcopale, nei suoi documenti e nelle sue avvertenze, è preciso, umile, rispettoso dei decreti, attento alle nuove regole generali, è un bene: significa che i suoi vertici stanno lavorando fianco a fianco con chi governa e che rappresentano la Chiesa italiana nelle sedi politiche che oggi devono decidere della vita di tutti.

Anche i preti e le suore sono cittadini italiani e condividono con i loro fedeli la medesima condizione. Inventeremo nuove forme di assistenza e di pietà, ma prima di tutto saremo uniti di fronte alla nostra coscienza, la nostra prima chiesa. E a chi mastica di teologia, basta ricordare di andare a leggere le pagine di grandi uomini di fede e di Chiesa dei secoli scorsi, addirittura del Seicento: c’era la peste in Europa, ma c’era anche chi si chiedeva che senso avesse la cosiddetta “frequente comunione”. Non erano atei, ed anzi pagavano duramente la loro indipendenza spirituale dai poteri dei sovrani: erano soltanto uomini che avevano una così alta idea del Signore che non si sentivano degni di accoglierlo troppo spesso, per abitudine.

Giuseppe Tognon

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QUARTADOMENICADIQUARESIMA

PREGHIERAINFAMIGLIALasituazionechestiamovivendononconsenteatuttidipotersirecareinchiesaperprendereparte,insiemeallaComunità,allaCelebrazioneeucaristicadellaquartaDomenicadiQuaresima.SuggeriamodunqueunoschemaperunmomentodipreghieradavivereinfamigliaincomunionecontuttalaChiesa.Ognifamigliapotràadattareloschemasecondolanecessità.Lapreghierapuòessereguidatadalpapàodallamamma.G. NelnomedelPadreedelFiglioedelloSpiritoSanto.R. Amen.G. Benedettoseitu,Padrebuono, lucecheilluminachicredeinteesiaffidaallatuaParola.R. BenedettoneisecoliilSignore.G. Benedettoseitu,Gesùnostrofratello cheseivenutoperchécolorochenonvedonopossanovedere: liberainostriocchidallapresunzionedivedere.R. BenedettoneisecoliilSignore.G. Benedettoseitu,Spiritodiverità, forzanellaprovaefortezzanellatentazione:

apriilnostrocuoreariconoscerelaLuce.R. BenedettoneisecoliilSignore.L. Al centro del Vangelo di questa quarta domenica di Quaresima troviamo Gesù e un

uomociecodallanascita.Gesù,restituendolavistaalcieco,simanifestacomelucedelmondo.IlcieconatoeguaritorappresentaciascunodinoiquandononciaccorgiamocheGesùè «la luce del mondo», quando guardiamo altrove, quando preferiamo affidarci apiccoleluci,quandobrancoliamonelbuio.Ilfattochequelciecononabbiaunnomeciaiuta a rispecchiarci con il nostro volto e il nostro nome nella sua storia. Anche noisiamo stati “illuminati” da Cristo nel Battesimo, e in forza di ciò siamo chiamati acomportarcicomefiglidella lucerifuggendole luci freddeefatuedelpregiudizioe lefalselucidell’interessepersonale.Credo,Signore!ÈlaprofessionedifededelciecodelVangelo.Elanostra?

G. ODio,Padredellaluce,tuvedileprofonditàdelnostrocuore:

nonpermetterechedominisudinoilatenebra,maapriinostricuoriconlagraziadeltuoSpirito,perchévediamocoluichehaimandatoailluminareilmondo,ecrediamoinluisolo,GesùCristo,tuoFiglio,nostroSignore.

R. Amen.

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LATUAPAROLA,LUCEAIMIEIPASSI

SipuòacclamareallaParolanelcanto:IlSignoreèlalucechevincelanotte!

Gloria,gloria,cantiamoalSignore!

IlSignoreèlavitachevincelamorte!

Gloria,gloria,cantiamoalSignore!

IlSignoreèlagraziachevinceilpeccato!

Gloria,gloria,cantiamoalSignore!

IlSignoreèlagioiachevincel'angoscia!

Gloria,gloria,cantiamoalSignore!

DalVangelosecondoGiovanni (Gv9,1.6-9.13-17.34-38)

Inqueltempo,Gesùpassandovideunuomociecodallanascita;sputòperterra,fecedelfangocon la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va' a lavarti nella piscinadiSìloe»,chesignificaInviato.Quegliandò,si lavòetornòchecivedeva.Alloraiviciniequellicheloavevanovistoprima,perchéeraunmendicante,dicevano:«Nonèluiquellochestavasedutoachiederel'elemosina?».Alcunidicevano:«Èlui»;altridicevano:«No,maèunochegliassomiglia».Edeglidiceva:«Sonoio!».Condusserodaifariseiquellocheerastatocieco:eraunsabato,ilgiornoincuiGesùavevafattodelfangoegliavevaapertogliocchi.Ancheifariseidunqueglichieserodinuovocomeavevaacquistatolavista.Edeglidisseloro:«Mihamessodel fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano:«Quest'uomononvienedaDio,perchénonosserva il sabato».Altri invecedicevano:«Comepuòunpeccatorecompieresegnidiquestogenere?».Ec'eradissensotraloro.Alloradisserodi nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Eglirispose: «È un profeta!». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E locacciaronofuori.Gesùseppechel'avevanocacciatofuori;quandolotrovò,glidisse:«Tu,credinelFigliodell'uomo?».Eglirispose:«Echiè,Signore,perchéiocredainlui?».GlidisseGesù:«Lohaivisto:ècoluicheparlaconte».Edeglidisse:«Credo,Signore!».Esiprostròdinanzialui.ParoladelSignore.R. Lodeate,oCristo.

Per meditare sul brano di Vangelo suggeriamo di utilizzare la scheda per la quartaDomenicadiQuaresimapredispostadalServizioapostolatobiblicodiocesanoechetroviamoinallegato.ÈdisponibileancheilvideocommentoalVangelodelladomenicaproposto,comesempre,dalServiziomultimediaperlaPastorale(sitrovasulsitowww.diocesipiacenzabobbio.orgosuwww.youtube.com/multimediapastorale)

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ATESALELANOSTRAPREGHIERAG. Invochiamo sul nostro cammino la luce vera che illumina ogni uomo:Gesù, Figlio di

Dio,lampadaperipassidelnostrocammino,tantevolteincertiedisorientati.

L. OLucedaluce,orientailnostrocammino.T. Vieni,lucedeinostriocchi!

L. OLucegioiosadellagloriadelPadre,nonciabbandonaremai.T. Vieni,lucedeinostriocchi!

L. OLucebeata,rifulginelcuoredituttelecreature.T. Vieni,lucedeinostriocchi!

L. OLucedisperanza,riscaldailnostrocuore.T. Vieni,lucedeinostriocchi!

L. OLucedeicredenti,mantienivivainnoilafedebattesimale.T. Vieni,lucedeinostriocchi!

L. OLucedeipopoli,illuminaeguidachicercalaveritàT. Vieni,lucedeinostriocchi!

L. OLucecherianimi,sostieniquantisononellaprovadellamalattia.T. Vieni,lucedeinostriocchi!

G. Preghiamoancheperladifficoltàdeltempopresente:

T. SignoreGesùCristo,medicodellanostravita,tuhaiincontratonelcorsodellatuaesistenzadonneeuominiammalatinelcorpoenellospirito.Lihaicurati,lihaiconsolati,elihaiancheguariti,esemprelihailiberatidallapaura,dall’angosciaedallamancanzadisperanza.

Aituoidiscepolihaichiestodicurareimalati,diconsolarequellichesoffrono,diportaresperanzadovec’èsconforto.

Tipreghiamo,Signore:benedici,aiutaeispiratuttinoiequantisonoaccantoachièmalato.Donacilaforza,rinsaldalafede,ravvivalasperanza,eaccrescilacarità.

Ecosìsaremoincomunioneprofondaconchisoffreeincomunioned’amoreconte,Signore,medicodellanostravita.

G. Insieme a tutti coloro che lottano contro le tenebre del peccato, cercano il volto del

Padre e desiderano una vita nuova, preghiamo con la preghiera che ci è stataconsegnatanelBattesimo:

T. Padrenostro

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G. Grazie,SignoreGesù,perchésempretifermidavantiainostriocchispenti.Liberacidallapresunzionedivederebene.Apriilnostrocuoreallafaticadiseguirti.OdolceLuce,conduciiltuopopolosulletuevie.

T. Amen.

INVOCHIAMOLABENEDIZIONEDELPADRE

G. BenediciSignorelanostrafamiglia:(inomidimamma,papàedeifigli)Ebenedicituttelefamiglie,soprattuttoquellechehannobisognodiserenitàeconforto.Ricordatidi(nomidialcuniparentichesivoglionoricordareinparticolare)ecustodiscituttigliuominineltuoamore.

Ciascunotracciasudisésegnodicrocementrechiguidalapreghieraprosegue.

G. NelnomedelPadreedelFiglioedelloSpiritoSanto.T. Amen.

Siconcludeconl’antifonamarianaSottolatuaprotezione:T. Sottolatuaprotezionecerchiamorifugio,

SantaMadrediDio:nondisprezzarelesupplichedinoichesiamonellaprova,eliberacidaognipericolo,oVerginegloriosaebenedetta.