CENTRO DI RICERCA SULLA FINANZA E FISCALITÀ … · somma fissa di 300 euro per ciascuna...

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CENTRO DI RICERCA SULLA FINANZA E FISCALITÀ INTERNAZIONALE Via G. Marconi n.103 - Villa Valmarana Morosini 36077 Altavilla Vicentina (VI) ATTUALITA’ FISCALE ...................................................................................... 3 1. Alcune delle principali modifiche alla Finanziaria 2003 e i chiarimenti ministeriali forniti con C.M. 12/2003 .................................. 3 1.1 Le modifiche in comune agli articoli 7, 8 e 9 ........................................... 3 1.2 Le modifiche all’art. 7 (concordato di massa) .......................................... 4 1.3 Le modifiche all’art.8 (dichiarazione integrativa) .................................... 5 1.4 Le modifiche all’art. 9 (condono tombale) ............................................... 7 2. I chiarimenti delle Entrate sul D.L. 209/2002 .......................................... 9 3. Costi relativi a beni immateriali e regime dell’art. 76, comma 7 bis, Tuir: elusività dell’operazione ..................................................... 10 3.1 Il parere reso dal Comitato Consultivo per le norme antielusive nel dicembre 2002 ................................................................................ 11 3.2 La precedente pronuncia del Comitato nel 1998 .................................... 12 4. Disapplicazione del regime CFC: nuove pronunce ministeriali ............................................................................................... 13 5. Società con esercizio “a cavallo”: tenuta del libro giornale e rateizzazione delle imposte .................................................................... 17

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CENTRO DI RICERCA

SULLA FINANZA E FISCALITÀ

INTERNAZIONALE

Via G. Marconi n.103 - Villa Valmarana Morosini 36077 Altavilla Vicentina (VI)

ATTUALITA’ FISCALE...................................................................................... 3

1. Alcune delle principali modifiche alla Finanziaria 2003 e i chiarimenti ministeriali forniti con C.M. 12/2003.................................. 3 1.1 Le modifiche in comune agli articoli 7, 8 e 9 ........................................... 3 1.2 Le modifiche all’art. 7 (concordato di massa) .......................................... 4 1.3 Le modifiche all’art.8 (dichiarazione integrativa).................................... 5 1.4 Le modifiche all’art. 9 (condono tombale) ............................................... 7

2. I chiarimenti delle Entrate sul D.L. 209/2002.......................................... 9

3. Costi relativi a beni immateriali e regime dell’art. 76, comma 7 bis, Tuir: elusività dell’operazione..................................................... 10 3.1 Il parere reso dal Comitato Consultivo per le norme antielusive

nel dicembre 2002 ................................................................................ 11 3.2 La precedente pronuncia del Comitato nel 1998.................................... 12

4. Disapplicazione del regime CFC: nuove pronunce ministeriali ............................................................................................... 13

5. Società con esercizio “a cavallo”: tenuta del libro giornale e rateizzazione delle imposte .................................................................... 17

GLI APPROFONDIMENTI.............................................................................. 18

6. La disciplina degli “interessi moratori” introdotta dal D.Lgs. 9 ottobre 2002 n. 231................................................................................. 18 6.1 L’ambito di applicazione ....................................................................... 18 6.2 Il contenuto della disposizione.............................................................. 19 6.3 Il tasso di interesse ............................................................................... 19 6.4 Modalità procedurali ............................................................................ 20 6.5 Accordi fra le parti sulle condizioni di pagamento ................................ 20 6.6 Particolare disciplina per le cessioni di prodotti alimentari

deteriorabili.......................................................................................... 21 6.7 Profili contabili e fiscali ....................................................................... 22 6.8 Applicabilità della normativa alle transazioni commerciali con

clienti esteri ......................................................................................... 24 7. Il regime di indeducibilità dei costi derivanti da operazioni

con paradisi fiscali................................................................................... 25 7.1 L’ambito soggettivo e oggettivo di applicazione .................................... 25 7.2 I presupposti per la disapplicazione del regime di indeducibilità

dei costi ................................................................................................ 26 7.2.1 Esercizio prevalente di attività commerciale effettiva.................. 27 7.2.2 Operazioni rispondenti ad un effettivo interesse

economico e che hanno avuto concreta esecuzione ...................... 28

L’ANGOLO DELLA GIURISPRUDENZA ..................................................... 29

8. La cartella esattoriale deve essere a norma di “Statuto del contribuente” ........................................................................................... 29 8.1 Il caso................................................................................................... 29 8.2 Lo Statuto del contribuente .................................................................. 30 8.3 La posizione della giurisprudenza......................................................... 30

9. La Corte Costituzionale dichiara valida la spedizione per posta del ricorso ....................................................................................... 30 9.1 La questione oggetto del dibattito: il deposito degli atti ai fini

della costituzione in giudizio avanti le Commissione Tributarie ........... 31 9.2 La “svolta” della Corte Costituzionale.................................................. 31

NOTIZIE FLASH............................................................................................... 32

10. Le retribuzioni convenzionali per i lavoratori italiani all’estero ................................................................................................... 32

11. Attività di agenzia svolta in forma societaria: la detrazione Iva sulle autovetture................................................................................ 32

12. Aggiornamento delle black list: uscita del Kuwait ............................. 33

13. Approvata la Legge comunitaria 2002: verso la fattura elettronica ................................................................................................. 33

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ATTUALITA’ FISCALE

1. Alcune delle principali modifiche alla Finanziaria 2003 e i chiarimenti ministeriali forniti con C.M. 12/2003

La conversione in legge del D.L. 282/02 (c.d. Decreto di Natale), avvenuta con Legge n. 27 del 21/02/2003, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 44 del 22/02/2003 Supplemento Ordinario n. 29, ha fornito al nostro legislatore l’occasione di intervenire in modo sostanziale su numerose disposizioni contenute nella Legge Finanziaria 2003 (Legge 27/12/2002, n. 289).

Di seguito si intende fornire un quadro di sintesi delle principali modifiche introdotte dalla Legge 27/03 al testo originario degli articoli della Finanziaria 2003 contenenti le tre principali “sanatorie fiscali”: verranno quindi evidenziati gli interventi normativi operati sugli artt. 7, 8 e 9 della Legge 289/02, anche alla luce dei chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare n. 12 del 21/02/2003, che ha integralmente sostituito le precedenti Circolari n. 3 del 15/01/2003 e n. 7 del 05/02/2003 le cui precisazioni risultavano in gran parte superate dalle modifiche normative successive.

Con decreto del 25 febbraio 2003 è stato inoltre approvato un unico modello denominato “Integrazione e definizione per gli anni pregressi – Definizione dei ritardati ed omessi versamenti”, suddiviso in più quadri, da compilare per le sanatorie di cui agli artt. 8, 9, 9-bis (di nuova introduzione per consentire la definizione degli omessi versamenti di ritenute ed imposte risultanti dalle dichiarazioni presentate entro il 31/10/2002), eventualmente da abbinare alla regolarizzazione delle scritture contabili prevista dall’art. 14 L. 289/02. Il modello è disponibile e scaricabile dal sito dell’Agenzia delle Entrate (www.agenziaentrate.it). Con risoluzioni del 27/02/2003 dalla n. 41 alla n. 51 sono stati inoltre approvati i codici tributo che consentono di utilizzare tutte le “sanatorie fiscali” contenute nella Finanziaria 2003.

1.1 Le modifiche in comune agli articoli 7, 8 e 9

Tra le modifiche legislative comuni alle tre principali sanatorie (art. 7 - Concordato di massa, art. 8 - Dichiarazione integrativa, art. 9 - Condono tombale) si annoverano le seguenti:

restrizione delle cause ostative all’utilizzo delle tre sanatorie: è stata inserita a livello normativo la possibilità di definire processi verbali con esito positivo, avvisi di accertamento e inviti al contraddittorio, notificati entro l’1/1/2003 con le procedure di cui agli artt. 15 (definizione delle liti potenziali) e 16 (definizione delle liti pendenti), al fine di poter accedere alle sanatorie previste dagli artt. 7, 8 o 9. Inoltre, detto accesso è precluso in caso di formale conoscenza entro la data di definizione automatica, non del semplice avvio di un procedimento penale in materia tributaria, ma dell’esercizio dell’azione penale. Infine, è stato precisato che gli avvisi di accertamento parziali divenuti definitivi entro l’1/1/2003

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non precludono l’utilizzo delle tre sanatorie, a condizione che il contribuente versi, entro la prima data di pagamento degli importi per l’utilizzo delle sanatorie (20/06/2003 per l’art. 7 e 16/04/2003 per gli artt. 8 e 9), le somme derivanti dall’accertamento parziale, escluse le sanzioni e gli interessi. Qualora, invece, alla data dell‘1/1/2003 sia divenuto definitivo un avviso di accertamento diverso da quello parziale, il contribuente potrà in ogni caso avvalersi delle sanatorie di cui agli artt. 7, 8 o 9, ma resteranno fermi gli effetti dei predetti avvisi definitivi.

modifica degli importi per la rateizzazione delle somme dovute e delle scadenze: l’unico riferimento per stabilire se vi è la possibilità di rateizzare le somme dovute è ora costituito dall’ammontare complessivo degli importi da versare. Qualora detti importi superino i 3.000 euro ovvero i 6.000 euro, rispettivamente per le persone fisiche ovvero per gli altri soggetti, l’ammontare eccedente rispetto ai 3.000/6.000 potrà essere versato in due rate di pari importo entro il 30/11/2003 ed il 20/06/2004, maggiorato degli interessi legali a decorrere dal 21/06/2003 (per il concordato di massa – art. 7) o dal 17/04/2003 (per la dichiarazione integrativa ed il condono tombale – artt. 8 e 9);

proroga generalizzata al 16/04/2003 (in luogo del previgente termine del 16/03/2003) dei termini per l’utilizzo della maggior parte delle sanatorie introdotte dalla Legge 289/02 (artt. 8, 9, 11, 12, 15, 16 e 17);

proroga di due anni dei termini per gli accertamenti ai fini delle imposte sui redditi e dell’Iva, per i periodi d’imposta incluse tra quelli condonabili e per quali il contribuente non si sia avvalso di una delle possibili sanatorie di cui agli artt. 7, 8 o 9.

1.2 Le modifiche all’art. 7 (concordato di massa)

La principale modifica alla procedura di definizione automatica dei redditi d’impresa e di lavoro autonomo per anni pregressi mediante autoliquidazione (c.d. concordato di massa) è costituita dalla introduzione di una differenziazione dei costi in relazione al rispetto o meno degli indici di coerenza economica per i soggetti a cui risultino applicabili gli studi di settore. I costi del concordato di massa sono ora così sintetizzabili:

a) tutti i soggetti, indipendentemente dalla circostanza che risultino o meno congrui o coerenti, potranno definire l’annualità 1997 mediante il pagamento di una somma pari a 300 euro;

b) il soggetto che risulti congruo e coerente in uno o più periodi d’imposta – dal 1998 al 2001 – potrà definirli con il versamento della somma fissa di 300 euro per ciascuna annualità. La C.M. 12/03, par. 3.6.5, ha chiarito che il requisito della congruità deve intendersi integrato nel momento in cui il soggetto abbia dichiarato, anche a seguito di adeguamento in dichiarazione dei redditi, ricavi o compensi non inferiori a quelli di riferimento “puntuale” e non ai soli ricavi minimi;

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c) per il soggetto congruo e NON coerente, il costo sale a 600 Euro per annualità;

d) i soggetti NON congrui e NON coerenti dovranno invece pagare le maggiori imposte ordinariamente dovute sui maggiori ricavi/compensi, da determinare in base alle risultanze degli studi di settore (mediante l’applicazione del programma Gerico) ovvero in base a metodologie che dovranno essere indicate in apposito decreto ministeriale, aumentate di una somma fissa pari a 600 euro. Si ricorda che le maggiori imposte dovute vanno ridotte del 50% per la parte che eccede i 5.000 euro per le persone fisiche e i 10.000 euro per gli altri soggetti. La C.M. 12/03 ha chiarito che il contribuente dovrà sommare tutte le maggiori imposte per ciascuna annualità ed effettuare quindi la riduzione del 50% sulla parte di tale somma che eccede i 5.000 ovvero i 10.000 euro, senza considerare l’incremento di 600 euro, che dovrà essere operato al termine del conteggio;

e) per i soggetti NON congrui ma coerenti, la somma da aggiungere alle maggiori imposte dovute scende a 300 Euro.

La C.M. 12/03 ha inoltre fornito un importante chiarimento (par. 4.6.4) in relazione alle previsione dell’irrilevanza delle perdite fiscali contenuta al comma 8 dell’art.7: i contribuenti congrui che definiscono le annualità mediante il pagamento di un importo fisso (300 o 600) non dovranno recuperare a tassazione la perdita di esercizio utilizzata, né la perdita riportata in un esercizio per il quale possono avvalersi della possibilità di pagare l’importo fisso di 300 o 600 euro.

Si ricorda, infine, che nelle situazioni descritte alle precedenti lettere a), b) e c), qualora il contribuente sia una società o associazione di cui all’art. 5 del Tuir, la definizione effettuata dalla società con il pagamento dell’importo fisso rende definitivi anche i redditi prodotti in forma associata (art. 7 comma 10), per cui il socio/associato non sarà tenuto ad alcun adempimento. Sul punto, la C.M. 12/03 ha, tuttavia, specificato che la perdita generata dalla società in un periodo in cui era congrua e riportata dai soci in esercizi successivi in cui la società non risulta più congrua, non potrà avere rilevanza per il socio, che dovrà recuperare a tassazione tale importo.

1.3 Le modifiche all’art.8 (dichiarazione integrativa)

In relazione agli effetti della dichiarazione integrativa, è stato chiarito, a livello normativo mediante l’inserimento del comma 6-bis nell’art. 8, che le maggiori imposte (e/o ritenute) che risultassero dovute in caso di accertamento su una annualità oggetto di integrativa, saranno limitate all’eccedenza rispetto alle maggiori imposte pagate per effetto della presentazione della integrativa, ovvero all’Iva o alle ritenute, aumentate del 100% (o del 50% per le ritenute).

Sarà inoltre possibile utilizzare la dichiarazione integrativa per regolarizzare la mancata emissione di autofatture o la mancata integrazione di fattura di acquisto intracomunitarie, con riferimento alla

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imposta sul valore aggiunto indebitamente detratta (art. 8 comma 4); in tal caso dovrà essere utilizzata la disposizione contenuta al nuovo articolo 9-bis introdotto nella L. 289/02, che consente di sanare omessi versamenti di imposte o ritenute risultanti dalle dichiarazioni presentate entro il 31/10/2002.

Analogamente a quanto previsto sin dalla formulazione originaria nel concordato di massa e nel condono tombale, anche nella dichiarazione integrativa il legislatore ha introdotto un importo minimo di somme da versare: 300 Euro per ciascun periodo d’imposta.

Sempre in termini di costi, si segnala la consistente riduzione del costo per la regolarizzazione dei “redditi conseguiti all’estero”, che passa dal precedente 13% all’attuale 6% (art. 8 comma 5). La definizione di “redditi conseguiti all’estero” è stata sostanzialmente modificata dall’Agenzia delle Entrate nella C.M 12/03, rispetto all’interpretazione fornita nella C.M.3/03.

Attualmente, secondo l’Agenzia “si considerano conseguiti all’estero i redditi di qualsiasi fonte, imponibili in Italia, percepiti direttamente all’estero dal soggetto che si avvale della regolarizzazione attraverso i quali, con qualunque modalità, anche tramite soggetti non residenti o loro strutture interposte, sono state costituite all’estero attività o realizzati investimenti all’estero”. Non rientrano pertanto tra i redditi conseguiti all’estero “le somme trasferite all’estero costituite da redditi o imponibili realizzati in Italia e sottratti ad imposizione (ad esempio, omessa registrazione di ricavi o imponibili in Italia e successiva costituzione di capitali all’estero attraverso l’esportazione della valuta)”. Sembra pertanto che il soggetto che si trovi in tale ultima situazione possa legittimamente utilizzare il condono tombale ex art. 9 (che – lo si ricorda – non copre per i redditi conseguiti all’estero).

Qualora una società dichiari redditi conseguiti all’estero ai sensi del comma 5 dell’art. 8, ma non abbia più la disponibilità delle corrispondenti attività all’estero poiché, ad esempio, i redditi sono stati attribuiti ai soci ovvero sono state interamente consumate, la C.M. 12/03 (par. 2.10) ha espressamente precisato – in tal modo chiarendo un dubbio che rischiava di rendere poco appetibile la dichiarazione integrativa in tali casi – che la copertura dai reati tributari di cui agli artt.2, 3, 4, 5 e 10 del D.Lgs.74/00 opera indipendentemente dalla regolarizzazione delle scritture contabili, dal momento che detta regolarizzazione di fatto non è possibile, non esistendo più le attività.

Nel caos in cui al 31/12/2001, le attività estere, prodottesi per effetto di redditi conseguiti all’estero da una società che intenda regolarizzarli, siano detenute dai soci persone fisiche, sarà necessario che questi ultimi utilizzino le disposizioni sullo scudo fiscale (art. 6 del D.L. 282/02), per potersi assicurare la non applicazione delle sanzioni relative al monitoraggio fiscale e l’esclusione della punibilità per i reati di cui agli artt. 4 e 5 del D.Lgs. 74/00, imputabili alle persone fisiche. Si segnala sul punto la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 13 del 24/02/2003, che ha riassunto le disposizioni sullo scudo per le persone fisiche , richiamando,

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per quanto applicabili, i precedenti chiarimenti ministeriali forniti tra il 2001 ed il 2002 a commento del D.L. 350/01 (prima versione dello scudo).

Per quanto concerne le modalità di presentazione della dichiarazione integrativa, qualora venga presentata in forma non riservata, potrà essere utilizzato esclusivamente il canale telematico (direttamente o tramite intermediari specializzati), anche con riferimento alle annualità 1996 e 1997, per le quali il testo originario della norma consentiva l’utilizzo del supporto cartaceo. Qualora, invece, il contribuente opti per la forma riservata (possibilità non concessa per la definizione dei ritardati o omessi versamenti ex art.9-bis), le istruzioni al modello, approvate il 25 febbraio u.s., impongono la presentazione del modello cartaceo da consegnare ad una banca o ad un ufficio postale.

Come conseguenza della proroga al 16/04/2003 del termine per la presentazione della dichiarazione integrativa, sono stati parimenti prorogati:

il termine entro il quale le banche e gli altri intermediari, ai quali i contribuenti potranno presentare la dichiarazione in forma riservata, dovranno rilasciare copia della dichiarazione al contribuente ed effettuare il versamento di quanto dovuto: 24/04/2003;

i termini entro i quali le società di persone o associazioni (soggetti di cui all’art.5 del Tuir) dovranno comunicare ai propri soci e associati di aver presentato la dichiarazione integrativa (16/05/2003) e i suddetti soci potranno presentare a loro volta dichiarazione integrativa, versando le imposte dovute (16/09/2003).

1.4 Le modifiche all’art. 9 (condono tombale)

Il condono tombale, che già costituiva la tipologia di sanatoria maggiormente allettante per i costi ridotti rispetto alle altre, a seguito delle modifiche introdotte dalla L.27/2003, è divenuto ancor più conveniente, se solo si considera la importante riduzione dei costi e l’ampliamento della copertura penale offerta.

Si sintetizzano di seguito le modifiche considerate maggiormente rilevanti:

Riduzione dei costi: la definizione automatica per tutte le imposte incluse nel settore delle imposte dirette (dal quale rimane esclusa solo l’iva, che potrà essere definita anche separatamente) si perfeziona con il pagamento di un importo pari all’8% delle imposte lorde e sostitutive risultanti dalla dichiarazione originaria. Se le imposte originarie hanno superato i 10.000 Euro, la percentuale applicabile all’eccedenza rispetto a 10.000 Euro scende al 6%, per scendere ulteriormente al 4% sull’eccedenza rispetto ad un imposta originaria superiore a 20.000.

Introduzione di specifiche modalità per soggetti congrui e coerenti e per soggetti congrui e non coerenti in base agli studi di settore: i primi potranno regolarizzare la loro posizione nei confronti del fisco,

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precludendo ogni accertamento, mediante il versamento di 500 Euro per ciascuna annualità; per i secondi (congrui e non coerenti), il costo sale a 700 Euro.

Modifiche degli importi minimi: sono state introdotte nuove misure degli importi minimi che dovranno essere versati dai soggetti esercenti attività d’impresa (incluse società di persone e di capitali) o arti e professioni:

per il settore delle imposte dirette: 400 Euro per ricavi e compensi sino a 50.000,00 Euro, 500 Euro per ricavi compresi tra 50.000 e 180.000 Euro, e 600 Euro per ricavi superiori a 180.000 Euro.

per l’Iva: 500 Euro se il volume d‘affari non supera i 50.000,00 Euro, 600 Euro se il volume d’affari è compreso tra 50.000 e 180.000 Euro, e 700 Euro se il volume d’affari supera i 180.000 Euro.

Possibilità di riporto delle perdite: è stata introdotta la possibilità di utilizzare le perdite formatesi in un periodo condonato e riportate in esercizi successivi, subordinatamente al pagamento di una somma pari al 10% delle suddette perdite (art. 9 comma 7). Sarà quindi sempre vantaggioso “affrancare” la perdite ancora riportabili nel 2002, in quanto a fronte di un costo del 10% sarà possibile recuperare il 34% dell’imponibile da abbattere utilizzando la perdita. Per quanto concerne, invece, le perdite formatesi in un periodo condonabile ed utilizzate in altro periodo condonabile (ad esempio una perdita del 1999 utilizzata nel 2001), risulterà conveniente procedere al ricalcalo dell’imposta lorda originaria, non dando rilevanza alla perdita riportata. Ancor più vantaggioso il regime in relazione alle perdite formatesi nel 2001 a seguito dell’applicazione dell’agevolazione c.d. Tremonti bis (art.4 L.383/01): il riporto di dette perdite è sempre consentito, senza costi aggiuntivi. A livello interpretativo, la C.M. 12/03 ha chiarito che le perdite prodottesi in periodi d’imposta non più accertabili (1996 e precedenti) ed utilizzate nei periodi condonabili (ad esempio una perdita del 1996 utilizzata nel 1999) non subiscono alcuna limitazione, per cui non si dovrà procedere ad alcun ricalcolo dell’imposta lorda originaria. Lo stesso dicasi per le perdite prodottesi nei primi tre periodi d’imposta e riportabili illimitatamente, a condizione che siano sorte in un periodo non condonabile.

Copertura penale più ampia: l’esclusione della punibilità per i reati tributari di cui agli artt. 2, 3, 4, 5 e 10 del D.Lgs. 74/00 è ora garantita anche se il contribuente non procede alla regolarizzazione delle scritture contabili di cui all’art. 14 comma 5, subordinata al pagamento del 6% sui nuovi valori dei beni iscritti. La regolarizzazione contabile continua ad essere necessaria al fine di garantirsi la copertura per i reati previsti dal codice civile (artt. 2621, 2622 e 2623 c.c.) e dal codice penale (artt. 483,484,485, 489, 490, 491-bis, 492 c.p.), sempre nell’ipotesi in cui esistano attività da regolarizzare.

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2. I chiarimenti delle Entrate sul D.L. 209/2002

Nell’occasione dell’ormai tradizionale appuntamento di “Telefisco”, organizzato dal Sole 24 ore, i funzionari dell’Agenzia delle Entrate, tra cui il direttore centrale normativa e contenzioso Vincenzo Busa e il direttore centrale accertamento Marco Di Capua, hanno fornito varie risposte a quesiti riguardanti le disposizioni fiscali della Legge n. 289/2002 (Finanziaria 2003) e del Decreto Legge n. 209 del 2002 (convertito con Legge 22/11/2002, n. 265) il quale, si ricorderà, ha introdotto modifiche sostanziali alla disciplina della Dual Income Tax e della valutazione delle partecipazioni di cui all’art. 61 Tuir. I chiarimenti di maggiore interesse sono stati raccolti nella Circolare n. 7 del 05 /02/2003 in forma di “domande e riposte”.

Mentre le precisazioni fornite dalla citata circolare sulle “sanatorie” della Finanziaria 2003 sono state integralmente sostituite da quelle fornite nella Circolare n.12/E del 21/02/2003 (come evidenziato al paragrafo precedente), i chiarimenti sulle disposizioni del D.L.209/02 (punto 13 C.M. 7/03) mantengono tutta la loro rilevanza ed attualità, tenuto conto che per molte imprese è ormai tempo di redazione dei bilanci. Riproponiamo pertanto in sintesi le precisazioni fornite.

Valutazione di partecipazioni

Le minusvalenze derivanti dal fallimento o dalla liquidazione volontaria della partecipata si considerano realizzate (e dunque non soggette alla deducibilità “per quinti”) solo al momento della chiusura della procedura di fallimento, ovvero alla chiusura della procedura di liquidazione della società partecipata.

Le disposizioni contenute all’art. 1 comma 1 del D.L. 209/02, che rendono irrilevanti le distribuzioni di utili nel calcolo della svalutazione fiscale, ex art. 61 comma 3 Tuir, delle partecipazioni in società non quotate costituenti immobilizzazione finanziarie, hanno una portata generale, per cui devono integrare quelle contenute agli articoli 96 e 96 bis del Tuir: l’effetto sarà la sterilizzazione dell’intera riduzione patrimoniale derivante dalla distribuzione di utile, indipendentemente dalla misura in cui detti utili hanno concorso alla formazione del reddito imponibile della partecipante.

Per i versamenti dei soci a copertura perdite, per la parte che eccede il patrimonio netto della partecipata dopo la copertura, continua a valere il regime di deducibilità immediata di cui all’art. 61, comma 5 del Tuir. Dal punto di vista tecnico, infatti, tali versamenti non attengono alla “valutazione” del valore minimo delle partecipazioni, ma costituiscono una spesa di esercizio, e quindi esulano dall’ambito applicativo del D.L. 209/2002.

Ai fini della sussistenza dell’obbligo di comunicare le minusvalenze di ammontare superiore a 5 milioni di euro derivanti da cessioni di partecipazioni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie, rileva l’originaria o preventiva iscrizione delle partecipazioni tra le immobilizzazioni finanziarie, a prescindere dalla circostanza che le

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partecipazioni oggetto di cessione siano successivamente riclassificate e inserite nell’attivo circolante.

Dual Income Tax

Nel caso in cui il calcolo della base DIT venga effettuato utilizzando il metodo indicato al comma 1-bis dell’art.1 del D.L. 209/02 (che consente di utilizzare le disposizioni del D.Lgs 466/97, sterilizzando gli incrementi delle consistenze delle partecipazioni rispetto a quelle risultanti dal bilancio relativo all’esercizio in corso al 30/09/96, a meno che essi non derivino da conferimenti in denaro ex art. 3 comma 2 D.Lgs. 466/97, ed applicando una aliquota media Irpeg pari almeno al 30%) la sterilizzazione degli incrementi delle partecipazioni ha carattere temporaneo, nel senso che può essere riassorbita se detti incrementi si riducono nei periodi successivi (sul punto anche C.M. n. 85/E del 26/11/02), ma va comunque rispettato il disposto dell’art. 5 della Legge 383/01, che non consente un incremento di base DIT successivamente al 30/06/2001. Pertanto “un’eventuale diminuzione della consistenza delle partecipazioni in anni successivi può dare luogo ad un ripristino della base DIT solo fino a concorrenza di quella esistente al 30 giugno 2001”

Per le ditte individuali e le società di persone, così come per le società di capitali, il calcolo della base DIT potrà essere effettuato utilizzando o il nuovo regime introdotto dal D.L. 209/02 (art. 1 comma 1 lett. c – non si tiene conto del moltiplicatore e si utilizzo come coefficiente di remunerazione ordinaria il saggio di interesse legale) ovvero il regime ordinario rettificato (comma 1–bis – sterilizzazione per gli incrementi delle consistenze delle partecipazioni e aliquota media Irpeg minima del 30%). Tuttavia, per ditte individuali e persone fisiche, le sole novità consistono, nel primo caso, nell’utilizzo di un CRO ridotto, poiché il moltiplicatore comunque non rilevava, e nel secondo nella sterilizzazione degli citati incrementi, poiché per detti soggetti, non scontando l’Irpeg, non rileva la previsione di una aliquota media Irpeg.

3. Costi relativi a beni immateriali e regime dell’art. 76, comma 7 bis, Tuir: elusività dell’operazione

In seguito ad una istanza di interpello, il Comitato Consultivo per l’applicazione delle norme antielusive si è espresso sulla fattispecie, ricorrente nell’ambito dei gruppi societari, del riaddebito dei costi relativi a beni immateriali, in rapporto alle disposizioni di cui all’art. 76, commi 7-bis e 7-ter, Tuir, contenenti il particolare regime di indeducibilità dei costi derivanti da operazioni intercorse con paradisi fiscali.

Accade spesso, infatti, che all’interno di un gruppo di società, ve ne sia una che eroga alle altre servizi di vario genere, che possono riguardare ad esempio l’information technology, l’impostazione contabile, il controllo interno, la consulenza in materia di marketing, etc. La centralizzazione di alcuni servizi è volta al conseguimento di economie di scala e

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contemporaneamente intende ottenere incrementi di efficienza nello svolgimento di alcune funzioni aziendali, nell’ottica di un’ottimizzazione dei processi produttivi. I costi sostenuti per l’erogazione dei servizi vengono successivamente ribaltati sulle singole società che ne hanno usufruito, talora in modo puntuale, altre volte con modalità più o meno forfetarie (si pensi, a titolo di esempio, al riaddebito sulla base del fatturato).

Se si tratta di gruppi multinazionali, l’impresa che presta il servizio potrebbe essere domiciliata in Stati o territori aventi regime fiscale privilegiato. Quest’ultimo è il caso preso in considerazione dal Comitato Consultivo per l’applicazione delle norme antielusive e che si intende analizzare in questa sede (per l’analisi della normativa in questione, si rinvia al paragrafo 7, nella sezione “Approfondimenti”).

3.1 Il parere reso dal Comitato Consultivo per le norme antielusive nel dicembre 2002

Con il parere n. 19 del 9 dicembre 2002, il Comitato si è occupato di una società svizzera (d’ora in poi la società X), facente parte di un gruppo multinazionale che, non essendo soggetta ad imposte cantonali e municipali, rientra a pieno titolo fra le società “black listed” di cui all’art. 3, punto 13, del D.M. 23/01/2002. La società X eroga alle consorelle, tra cui la società italiana Y, servizi di natura finanziaria, commerciale, di marketing nonché di public affair, sulla base di appositi contratti di fornitura.

L’impresa italiana Y, che ha presentato l’interpello, ritiene di aver sufficientemente dimostrato, ai sensi dell’art. 76, comma 7-ter, Tuir, la natura non elusiva delle operazioni che intende intraprendere con la società svizzera. In particolare, la società italiana ha precisato che:

“esiste un piano di ripartizione dei costi finalizzato a conferire criteri e valenza di obiettività alle funzioni e alla composizione dei costi da imputare alle società partecipanti”;

la società elvetica svolge un’attività commerciale effettiva consistente nell’erogazione di servizi di supporto finanziario, commerciale e di marketing;

i costi dei servizi erogati vengono ripartiti tra le diverse società senza applicazione di mark up.

Secondo il Comitato Consultivo le precisazioni fornite non sono idonee a superare la presunzione di elusività prefigurata dall’art. 76, comma 7 bis, Tuir.

La documentazione esibita non è stata infatti ritenuta sufficiente a dimostrare che la dislocazione in Svizzera di un segmento del processo produttivo è motivata da valide ragioni economiche “al di là di generiche argomentazioni in tema di ottimizzazione dei processi produttivi”.

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La tesi del Comitato tuttavia si incentra su di un altro elemento: la immaterialità dei servizi a cui i costi oggetto di ripartizione tra le varie entità del gruppo si riferiscono.

Secondo il Comitato, il corrispettivo pattuito per i servizi immateriali risulta di problematico riscontro in quanto a consistenza e congruità. Per di più, la valutazione sul criterio di ripartizione dei costi necessita di informazioni di tipo quantitativo che non sono fornite dall’interpellante.

Rilasciare quindi una pronuncia di ammissibilità significherebbe, sempre a detta del Comitato, “integrare gli estremi di una sorta di parere in bianco su una fattispecie per la quale ogni manifestazione di giudizio deve invece scaturire da bilanciata ponderazione di elementi circostanziali e da analisi su congruità e apparente fisiologia delle ragioni economico-produttive alla base della specifica soluzione prospettata”.

Il caso esaminato non può essere paragonato, secondo il Comitato Consultivo, ad una precedente pronuncia del 1998 riguardante costi relativi a beni immateriali. Lo scostamento tra la pronuncia del 1998 e quella recente del dicembre 2002, sarebbe rappresentato dal fatto che nel 1998 l’impresa italiana interpellante era riuscita a dimostrare le valide ragioni economiche del decentramento di una parte del ciclo produttivo all’estero (“concrete e comprovate esigenze di commercializzazione di prodotti nella specifica area geografica”).

3.2 La precedente pronuncia del Comitato nel 1998

Con il parere n. 10 del 22/06/1998, il Comitato aveva riconosciuto la non elusività di operazioni poste in essere tra una società italiana e la propria controllata domiciliata nello stato di Hong Kong. La società estera era stata costituita al fine di consentire all’impresa italiana di commercializzare i propri prodotti nel Sud est asiatico attraverso l’affidamento di un mandato di agenzia o rappresentanza.

L’impresa estera addebitava poi all’impresa italiana costi relativi a provvigioni di rappresentanza e parte delle spese generali di agenzia (affitto dei locali, vitto, viaggio in genere, partecipazione a fiere).

Pur trattandosi, in parte, di costi riguardanti servizi immateriali, la deducibilità veniva riconosciuta nei limiti e alla condizione che tali spese rispondessero “ai principi di inerenza, certezza e congruità”. In particolare, veniva sottolineata l’esigenza che le spese fossero strettamente inerenti all’attività di rappresentanza affidata alla società controllata per l’area del Sud est asiatico, che fossero giustificate da specifica documentazione e che fossero determinate per ammontare non inferiore al valore normale stabilito dall’art. 9 del Tuir e relative istruzioni ministeriali in materia.

A titolo esemplificativo, il Comitato sosteneva che l’inerenza e certezza dei costi potevano essere desunte da: dimostrazione dell’esistenza legale della società controllata; dalla sua struttura organizzativa; dal numero, qualifica e mansioni del personale adibito all’esecuzione dei rapporti di agenzia; dalle bollette doganali dimostrative delle spedizioni dei prodotti

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agli acquirenti esteri; dalla partecipazione della società estera agli affari che determinano la corresponsione delle provvigioni.

La congruità dell’ammontare delle provvigioni - continuava il Comitato - andava poi valutata, non tanto in rapporto alle condizioni contrattuali praticate in Italia quanto piuttosto a quelle praticate nelle aree di svolgimento dell’attività di rappresentanza (in quel caso, il Sud est asiatico).

4. Disapplicazione del regime CFC: nuove pronunce ministeriali

Dopo le risoluzioni ministeriali del mese di agosto 2002 (per le quali si rinvia alla newsletter di ottobre 2002), negli ultimi tempi sono state presentate all’Agenzia delle Entrate ulteriori istanze di interpello da parte di contribuenti interessati ad ottenere la disapplicazione del regime CFC di cui all’art.127-bis del Tuir. Si intende fornire di seguito una disamina degli aspetti di maggior rilievo desumibili dal testo delle risposte fornite, dalle quali è possibile trarre degli utili spunti al fine di comprendere quali prove fornire per ottenere la disapplicazione delle normativa CFC.

Nella risoluzione n. 343/E del 31/10/2002, l’Agenzia delle Entrate ha preso posizione in merito a quali possano essere i requisiti documentali e contabili idonei a provare un’effettiva attività industriale o commerciale da parte della controllata estera nello Stato di localizzazione e la circostanza che, comunque, la società italiana, dal possesso della partecipazione, non consegue l’effetto di localizzare redditi in Stati o territori privilegiati.

In particolare, la società istante aveva presentato i bilanci della controllata estera, da cui si rilevava che i redditi venivano conseguiti tramite un’effettiva attività commerciale di compravendita (come dimostrato dal contratto di affitto di un magazzino di 2000 mq, oltre che dalle polizze di assicurazione delle merci) diretta a tutto il mercato estero, e quindi anche nello Stato di localizzazione. A prova dell’effettiva attività, erano stati inoltre prodotti i contratti di lavoro con i dipendenti e le fatture emesse verso i clienti. I redditi da royalties, in base ai contratti esibiti ed alle fatture, derivavano unicamente da una controllata residente nel medesimo Stato.

Tali dati sono stati (giustamente) ritenuti sufficienti per dimostrare l’operatività della controllata e l’assenza di intenti elusivi nella detenzione della partecipazione di una società residente in un Paese a fiscalità privilegiata, e quindi idonei a consentire la disapplicazione dell’art.127-bis.

Si rileva come, tuttavia, l’Amministrazione finanziaria abbia insistito nel sottolineare che la pronuncia vale solo per il caso specifico, e non può essere estesa a contribuenti diversi ovvero a situazioni contabili e societarie difformi rispetto a quella esposta.

Nella risoluzione n. 358/E del 15/11/2002, è stata esaminata la situazione di un gruppo societario rappresentato nel grafico sottostante. La

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capogruppo (una banca italiana) detiene, per il tramite di una holding svizzera (XZ), una banca e una società fiduciaria, anch’esse residenti in Svizzera.

JY (ita)

XZ

YK WK

KH

100%

30% 100%

100%

La disapplicazione del regime CFC risulta evidente per la società non controllata “YK” (il controllo è requisito essenziale per l’applicazione del 127-bis) mentre per le società “WK” e “KH” il contribuente ha fornito documentazione ritenuta dall’Amministrazione finanziaria sufficiente a provare che si tratta di società che svolgevano un’effettiva attività industriale o commerciale. Tali società risultavano inoltre sottoposte a tassazione ordinaria in base alla vigente normativa fiscale svizzera senza privilegio alcuno. La risoluzione si focalizza quindi sulla holding elvetica “XZ”, la quale, nonostante abbia una delle forme incluse nella black list CFC che consentirebbero l’esenzione da imposte cantonali e municipali, ha ottenuto dalle autorità cantonali la possibilità di corrispondere le imposte locali in misura non agevolata. L’Agenzia delle Entrate ha ugualmente ritenuto tale società soggetta al regime CFC, in quanto esplicitamente elencata al punto 14 dell’art. 3, comma 1 della black list di cui al D.M. 21/11/2001. La disposizione, dove recita “…quali le holding, ausiliare e di domicilio”, non deve intendersi come una mera esemplificazione, bensì una presunzione assoluta di legge, che non può essere vinta dalla circostanza che la società abbia assolto maggiori tributi in Svizzera in forza dell’accoglimento di un ruling da parte dall’amministrazione finanziaria elvetica. Gli atti amministrativi emanati da autorità fiscali estere, privi delle garanzie di pubblicità e trasparenza che contraddistinguono le fonti del diritto, possono, viceversa, essere utilizzati esclusivamente per un’applicazione estensiva della normativa CFC (comma 2 dell’art. 3 del citato D.M.).

Restano, infine, da analizzare le recentissime risoluzioni del 19/12/2002 (R.M. n. 386, 387, 388 e 389), che forniscono ulteriori elementi utili per arricchire la casistica delle ipotesi in cui la disposizione antielusiva sulle controlled foreign companies non trova applicazione. In due di tali risoluzioni, l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto che l’art. 127-bis trovasse applicazione mentre, negli altri due interpelli, gli elementi forniti

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dal contribuente sono stati ritenuti idonei a provare che la controllata estera svolgesse un’effettiva attività industriale o commerciale.

Le due risoluzioni in cui l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto disapplicabile la normativa CFC (R.M. n. 386 e 389), si riferiscono:

al caso di una società controllata con sede in Hong Kong operante nell’ambito di un gruppo multinazionale che produce e commercia articoli sportivi;

al caso di una società controllata con sede alle Maldive che gestisce un villaggio turistico.

In entrambe le ipotesi, secondo l’Amministrazione Finanziaria, le prove documentali fornite dai contribuenti hanno dimostrato, in ottemperanza all’art. 5, comma 3, D.M. 429/2001 (regolamento emanato in attuazione dell’art. 127-bis, comma 8, TUIR), che le società controllate svolgevano effettivamente un’attività commerciale, come loro principale attività nello Stato con regime fiscale privilegiato nel quale hanno sede, con una struttura organizzativa idonea allo svolgimento delle citate attività oppure alla loro autonoma preparazione e conclusione. In particolare, le società controllanti hanno prodotto gli atti costitutivi, gli organigrammi societari, i contratti di lavoro, i contratti di locazione e i bilanci delle società controllate situate nei cosiddetti “paradisi fiscali”.

Da questo insieme di documenti è stato possibile desumere in modo inequivocabile che le società controllate esercitavano un’attività commerciale attraverso strutture organizzative autonome ed effettivamente operanti. Dall’esame dei bilanci, è emerso che le voci di conto economico e di stato patrimoniale maggiormente significative sono quelle tipiche di un’attività d’impresa (es. per il conto economico: ammortamenti, canoni di locazione, costo del personale, costi di acquisto merce e trasporto, vendita di merce; per lo stato patrimoniale: mobili, attrezzature d’ufficio, scorte di magazzino, debiti e crediti commerciali) e che tali voci si ponevano in un rapporto di netta prevalenza rispetto ad altre voci quali “provvigioni” e ai cosiddetti “passive income” (interessi attivi e compensi per la gestione).

Il fatto poi che la società di Hong Kong prestasse anche servizi a sostegno di altre società del suo gruppo e che svolgesse attività di holding di partecipazioni in via residuale, non è stato considerato elemento determinate poiché “si tratta di attività marginali e comunque coordinate sia con l’attività propria dell’impresa che con l’attività dell’intero gruppo”.

L’Agenzia delle Entrate sottolinea che in entrambi i casi, i bilanci sono stati oggetto di verifica contabile da parte di primarie società di revisione che li hanno ritenuti conformi ai principi contabili internazionali generalmente riconosciuti.

Passando ad analizzare le due risoluzioni (RR.MM. nn. 387 e 388) nelle quali l’Amministrazione finanziaria ha fornito risposta negativa all’istanza del contribuente, non riconoscendo la disapplicazione delle

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regole CFC, si possono sintetizzare i due principali motivi che hanno portato a tale conclusione nel modo che segue:

la mancanza di un’autonomia strategica e decisionale della controllata;

nei casi di controllo a cascata di società localizzate in paradisi fiscali, è necessario dimostrare per tutte la sussistenza di un’effettiva attività industriale o commerciale svolta nei rispettivi paesi di residenza.

Nella prima fattispecie (R.M. n.387), si tratta di una società con sede a Singapore che commercializzava i prodotti della controllante italiana nel Sud-Est asiatico. Dalla documentazione prodotta, emergeva che la controllata era gestita da un amministratore residente in Italia dipendente della controllante, coinvolto in “misura minima” dall’attività di direzione della società residente all’estero. La società di Singapore non era dunque dotata di alcuna autonomia strategica e decisionale. Inoltre, la controllata non disponeva di un magazzino in quanto le merci venivano spedite dall’Italia direttamente al cliente finale. La società italiana fatturava poi alla sua controllata estera che, a sua volta, rifatturava al cliente finale.

Nel caso in esame, non era invocabile nemmeno il secondo requisito per la disapplicazione della normativa CFC: localizzazione del 75% dei redditi della controllata estera in Stati o territori non inclusi nella black list e ivi sottoposti integralmente a tassazione ordinaria (art. 5, comma 3, D.M. 429/2001). Infatti, la maggior parte delle vendite veniva effettuata dalla società di Singapore, senza disporre, nei mercati di sbocco del Sud-Est asiatico, di stabili organizzazioni.

Nella seconda risoluzione (R.M. n.388), il contribuente chiedeva la disapplicazione della normativa CFC per i redditi prodotti da una società controllata con sede Svizzera e stabile organizzazione negli Emirati Arabi Uniti. L’attività svolta in Medio Oriente era espressamente esclusa dall’applicazione dell’art. 127-bis TUIR perché rientrante tra quelle del settore petrolifero e petrolchimico assoggettate ad imposta (art. 2, D.M. 21/11/2001). L’attività svolta dalla società svizzera era, invece, quella di gestione e coordinamento delle branches operative in Medio Oriente ma i redditi prodotti provenivano interamente dall’attività svolta oltre confine.

Si ricorda, come detto sopra circa la R.M. 358/2002, che le società svizzere sono incluse nella black list dall’art. 3 D.M. 21/11/2001 quando si tratta di società non soggette alle imposte cantonali e municipali, quali le holding, le ausiliarie e le società di domicilio.

Nella fattispecie concreta, l’aver dimostrato che le branches all’estero della società svizzera svolgevano un’effettiva attività industriale o commerciale, non esentava la controllante italiana dal dover provare che anche la controllata in Svizzera svolgeva un’attività economica attraverso una struttura organizzativa idonea allo scopo. Tale prova non è stata fornita e nemmeno si è dimostrato che i redditi della società svizzera venivano prodotti in misura non inferiore al 75% in altri Stati o territori in cui sono sottoposti integralmente a tassazione ordinaria. Da tutto ciò è

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conseguita la risposta negativa all’istanza di disapplicazione dell’art. 127-bis TUIR.

5. Società con esercizio “a cavallo”: tenuta del libro giornale e rateizzazione delle imposte

In tema di tenuta di registri contabili, l’Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione n. 9/E del 22/01/2003, ha precisato che, nelle società con esercizio non coincidente con l’anno solare, la numerazione progressiva delle pagine del libro giornale deve riferirsi al primo dei due anni di contabilità.

La risoluzione scioglie, inoltre, i dubbi delle imprese (anche quelle con esercizio coincidente con l’anno solare) che devono stampare sul libro giornale le scritture di assestamento e di chiusura dell’esercizio. Tali scritture, solitamente, si interpongono alle annotazioni dei primi mesi dell’anno successivo. Ad esempio, una società con esercizio coincidente con l’anno solare, dopo aver stampato le registrazioni contabili dei primi mesi del 2003 (con numerazione 2003/1, 2003/2, 2003/3 etc.), potrebbe dover annotare le scritture di rettifica relative al 2002 (ammortamenti, accantonamenti per rischi e così via). In questo caso, non era chiaro se era necessario sospendere la numerazione delle pagine con anno 2003 e proseguire con la numerazione del 2002 (interrotta al 31 dicembre).

Al riguardo la risoluzione precisa che le scritture di assestamento e chiusura del bilancio prenderanno il numero progressivo dell’esercizio in cui sono annotate e la data della loro effettiva rilevazione (nell’esempio, il 2003).

Sempre con riferimento alle società con esercizio “a cavallo”, la Risoluzione 390/E del 20/12/2002 ha chiarito che è possibile frazionare il primo acconto in un numero variabile di rate dalla data di scadenza del primo versamento fino alla data di scadenza del secondo acconto.

Nella risoluzione viene fatto l’esempio di una società di capitali con esercizio a cavallo che ha chiuso il bilancio il 30 giugno 2002. La società deve versare il saldo e il primo acconto entro il 20 dicembre 2002 (sesto mese dalla chiusura dell’esercizio), se il bilancio è approvato nei termini previsti dalle disposizioni di legge. La stessa società potrà frazionare il saldo e il primo acconto in un numero variabile di rate dalla data di scadenza del primo versamento, cioè dal 20 dicembre 2002, fino alla data di scadenza del secondo acconto, cioè entro il 31 maggio 2003 (undicesimo mese dalla chiusura dell’esercizio).

Il dubbio nasceva dalla circostanza che l’articolo 20, comma 1, del D.Lgs.241/97 consente che le somme dovute a titolo di saldo e di acconto delle imposte possono essere versate in rate mensili di uguale importo, con la maggiorazione degli interessi a partire dal mese di scadenza. In ogni caso, però, precisa la norma, “il pagamento deve essere completato entro il mese di novembre dello stesso anno di presentazione della dichiarazione o della denuncia”.

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All’articolo 20 ha fatto poi seguito l’articolo 17 del D.P.R.435 del 17 dicembre 2001, il quale, per i soggetti Irpeg con esercizio che non coincide con l’anno solare, individua come termine per il versamento della seconda rata di acconto, anziché il mese di novembre, “l’ultimo giorno dell’undicesimo mese dello stesso periodo d’imposta”.

Secondo l’Agenzia, dunque, per i soggetti Irpeg con esercizio non coincidente con l’anno solare, il termine del mese di novembre, previsto dal citato art. 20, per il completamento del pagamento delle rate, si deve intendere l’undicesimo mese dell’esercizio cui l’imposta è afferente.

GLI APPROFONDIMENTI

6. La disciplina degli “interessi moratori” introdotta dal D.Lgs. 9 ottobre 2002 n. 231

L’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 231 del 09/10/2002 (G.U. 23/10/2002, n. 249), in attuazione della direttiva 2000/35/CE del 29/06/2000, sebbene sia da accogliere favorevolmente per i benèfici effetti che potrà avere nel ridurre o eliminare i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, tuttavia rischia di porre alle imprese qualche problema di “gestione” sia dal punto di vista delle politiche commerciali, che da quello prettamente fiscale, ed è quindi opportuno approfondirne i tratti essenziali e le relative implicazioni contabili e tributarie.

6.1 L’ambito di applicazione

Il provvedimento in questione riguarda le “transazioni commerciali”. Con tale locuzione si intendono i contratti, comunque denominati, tra imprese (o professionisti) ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro il pagamento di un prezzo.

Rimangono esclusi dall’ambito di applicazione del citato decreto i contratti conclusi tra imprenditori o lavoratori autonomi e soggetti privati. Inoltre, per espressa previsione normativa la disciplina non si applica:

ai debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore;

alle richieste di interessi inferiori a 5 euro;

ai pagamenti effettuati a titolo di risarcimento del danno, ivi compresi i pagamenti effettuati a tale titolo da un assicuratore.

Si ricorda che la normativa introdotta dal D.Lgs. 231/2002 si applica ai contratti conclusi a decorrere dall’8 agosto 2002.

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6.2 Il contenuto della disposizione

La norma prescrive che gli interessi di mora decorrano automaticamente, senza che sia necessario un atto di messa in mora da parte del creditore, dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento. Nel caso in cui il termine di pagamento non sia previsto dal contratto, valgono i seguenti termini legali previsti dal decreto:

- 30 giorni dalla data di ricevimento della fattura da parte del debitore o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente, ovvero

- 30 giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla data di prestazione dei servizi, se tale data è successiva a quella di ricevimento della fattura o della richiesta equivalente di pagamento (ovvero se la data di ricevimento della fattura o della richiesta equivalente di pagamento non è certa), ovvero ancora

- 30 giorni dalla data dell’accettazione o verifica eventualmente previste dalla legge o dal contratto ai fini dell’accertamento della conformità della merce o del servizio, purché il debitore riceva la fattura o la richiesta equivalente di pagamento in epoca non successiva a tale data.

Viene lasciata nella disponibilità delle parti la possibilità di fissare termini di pagamento diversi da quelli sopra indicati, oppure un diverso tasso degli interessi di mora, comunque nei limiti consentiti dall’art. 7 del decreto in esame (cfr. infra).

Parimenti, è discrezionale la scelta della modalità mediante la quale spedire la fattura o la merce, al fine dell’ottenimento della prova dell’esatto giorno di ricevimento, per la necessaria determinazione dell’inizio del periodo di mora, come sopra definito.

In ogni caso, gli interessi di mora non sono dovuti qualora il debitore, secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico e specificamente dell’art. 1218 c.c., dimostri di non aver potuto adempiere all’obbligazione, o di non averle potuto dare esatto adempimento nel tempo previsto per cause a lui non imputabili.

Oltre agli interessi, il creditore avrà diritto al risarcimento dei costi sostenuti per il recupero delle somme non tempestivamente pagate (salva ovviamente la prova del maggiore danno subito), ove il debitore non dimostri che il ritardo non sia a lui imputabile.

6.3 Il tasso di interesse

Qualora le parti non prevedano diversamente, il tasso è determinato per legge “in misura pari al saggio di interesse del principale strumento di rifinanziamento della Banca Centrale Europea applicato alla sua più recente operazione di rifinanziamento principale effettuata il primo giorno di calendario del semestre in questione, maggiorato di sette punti percentuali”.

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Il saggio di riferimento in vigore il primo giorno lavorativo della Banca centrale europea del semestre in questione si applica per i successivi sei mesi.

A tal fine il Ministero dell’Economia dovrebbe dare notizia di tale saggio, al netto della maggiorazione, tramite pubblicazione in G.U. entro i primi dieci giorni lavorativi del semestre.

Nella Gazzetta Ufficiale del 10 febbraio 2003, n. 33, è stato pubblicato il comunicato del Ministero dell’Economia e delle Finanze recante indicazione del saggio di interesse da utilizzare per il calcolo degli interessi di mora per il 2° semestre 2002 (1° luglio - 31 dicembre 2002) e per il 1° semestre 2003 (1° gennaio - 30 giugno 2003). I tassi sono pari rispettivamente al 3,35% e al 2,85%. al netto della maggiorazione.

Tasso BCE Spread Saggio per interessi di mora

II° semestre 2002 3,35% 7,00 % 10,35 %

I° semestre 2003 2,85% 7,00 % 9,85 %

6.4 Modalità procedurali

Sull’automaticità della messa in mora si è detto. Rimane da aggiungere che, per rendere più efficace e rapido il procedimento per decreto ingiuntivo, vengono apportate alcune modifiche al codice di procedura civile, tra cui:

- l’introduzione di un termine di 30 giorni dal deposito del ricorso, entro il quale il giudice dovrà emanare, ricorrendone le condizioni, il decreto ingiuntivo;

- la possibilità di emettere l’ingiunzione di pagamento anche se il debitore risiede all’estero (UE e extra-UE);

- la concessione dell’esecuzione provvisoria parziale del decreto ingiuntivo opposto, limitatamente alle somme non contestate, salvo che l’opposizione sia proposta per vizi procedurali.

6.5 Accordi fra le parti sulle condizioni di pagamento

Anche se nella relazione governativa al decreto in commento viene espressamente stabilito che “le parti possano anche accordarsi nel senso di escludere (…) gli interessi di mora”, tale possibilità risulta di fatto fortemente limitata dal disposto dell’art. 7 del decreto, che considera nulli gli accordi sulla data del pagamento o sulle conseguenze del ritardato pagamento volti a produrre conseguenze “gravemente inique” per il creditore in relazione alla prassi commerciale in uso. E’ infatti ipotizzabile che una eventuale previsione di esclusione totale degli interessi di mora ricada in quest’ultima fattispecie, a meno di prassi commerciali di settori specifici, attualmente in corso di monitoraggio da parte delle rispettive associazioni di categoria.

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Il vizio del contratto, sanzionato con la nullità della clausola, può essere rilevato anche d’ufficio.

Si ritiene, tuttavia, che termini più lunghi di quelli legali, o un diverso tasso di interesse purché congruo, ovvero ancora la non automaticità della decorrenza degli interessi, siano tutti elementi che possono essere concordati mediante corrispondenza, o nella stessa fattura relativa all’operazione da cui sorge il credito.

Nella circostanza in cui, nel corso di esecuzione del contratto, vengano modificate le condizioni che regolano le dilazioni di pagamento, si deve distinguere il caso in cui le modifiche intervengano prima dell’originaria scadenza prevista dalle parti, dal caso in cui dette modifiche intervengano successivamente alla stessa. Nel primo caso si ha una semplice modifica alle condizioni contrattuali che non comporta alcun adempimento, se non quello di documentare l’avvenuta variazione, per evitare eventuali contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria. Nel caso in cui, invece, le modifiche intervengano successivamente alla scadenza originariamente prevista, è da rilevare come l’automatismo previsto dall’art. 4 del D.Lgs. 231/2001 faccia decorrere gli interessi di mora già dal giorno successivo alla scadenza. La revisione della dilazione di pagamento, successiva alla scadenza originaria, implica l’implicita rinuncia degli interessi intercorsi tra il giorno successivo alla scadenza originaria e il giorno di revisione della dilazione; si ritiene pertanto necessario stanziare in bilancio il credito per interessi di mora maturati e, in misura corrispondente, la relativa svalutazione necessaria ai fini fiscali, come precisato nel prosieguo (ciò se risulta applicabile la normativa in esame: si rammenta che l’automatismo non si applica a richieste per interessi inferiori a 5 euro). Ovviamente risulta necessario documentare le avvenute modifiche intercorse negli accordi tra le parti.

6.6 Particolare disciplina per le cessioni di prodotti alimentari deteriorabili

Il decreto in esame prevede una particolare disciplina per le transazioni commerciali aventi ad oggetto la cessione di prodotti alimentari deteriorabili. Per l’individuazione di tali prodotti si deve avere riguardo ad apposito decreto del Ministero delle Attività Produttive di prossima emanazione. Fino all’entrata in vigore di detto decreto, per prodotti deteriorabili si intendono quelli come tali definibili ai sensi dell’art. 1 del D.M. 16 dicembre 1993.

Per queste transazioni la norma prescrive che gli interessi di mora decorrono automaticamente, senza che sia necessario un atto di messa in mora da parte del creditore, dal giorno successivo alla scadenza dei termini legali che sono previsti in 60 giorni dalla consegna o dal ritiro dei prodotti alimentari deteriorabili.

Viene lasciata nella disponibilità delle parti la possibilità di fissare termini di pagamento diversi da quelli legali, a condizione che:

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- le diverse pattuizioni tra le parti siano stabilite per iscritto;

- rispettino i limiti concordati nell’ambito di accordi sottoscritti, presso il Ministero delle Attività Produttive, dalle organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale della produzione, della trasformazione e della distribuzione per categorie di prodotti deteriorabili specifici.

Per quanto concerne il saggio di interesse moratorio relativo a transazioni commerciali aventi ad oggetto prodotti alimentari deteriorabili, la percentuale applicabile si ottiene sommando al tasso di riferimento pubblicato in Gazzetta Ufficiale (il medesimo visto in precedenza), una maggiorazione di nove punti percentuali.

Tasso BCE Spread Saggio per interessi di mora

II° semestre 2002 3,35% 9,00 % 12,35 %

I° semestre 2003 2,85% 9,0 % 11,85 %

6.7 Profili contabili e fiscali

In conseguenza del disposto normativo ora in commento, e qualora non siano compiute previsioni diverse dalle parti, dal giorno successivo alla scadenza del pagamento prevista nel contratto, ovvero decorsi 30 giorni dai momenti sopra indicati, l’imprenditore/creditore dovrà iscrivere nella propria contabilità gli interessi di mora come proventi finanziari di conto economico, in base al principio di competenza economica. Al fine di consentire il differimento della tassazione al momento dell’effettiva percezione degli interessi, il credito indicato in bilancio, per interessi di mora, può tuttavia essere totalmente svalutato, con effetto neutro da un punto di vista reddituale per l’imprenditore.

L’art. 71 comma 6 del Tuir consente, infatti, al creditore, a fronte dell’iscrizione in bilancio dei crediti per interessi di mora, che come tali risultano imponibili per “maturazione” ex art. 56 comma 3 Tuir, di effettuare degli accantonamenti fiscalmente deducibili nei limiti dell’ammontare di detti crediti maturati nell’esercizio.

Si sottolinea tuttavia che la svalutazione del credito per interessi di mora è solo una possibilità, favorevole al contribuente, offerta dal legislatore fiscale, mentre l’iscrizione degli interessi di mora è un obbligo, la cui violazione, in caso di accertamento da parte dell’Amministrazione Finanziaria, verrebbe sanzionata quale sottrazione di materia imponibile. Ai sensi dell’art. 1, D.Lgs. 471/97, se nella dichiarazione è indicato, ai fini delle singole imposte, un reddito imponibile inferiore a quello accertato, si applica la sanzione amministrativa dal 100% al 200% della maggior imposta determinata.

Simmetricamente, in capo al debitore sussiste l’obbligo di stanziare gli interessi di mora per competenza, ai sensi dell’art. 2423-bis, n. 3, c.c. Qualora, infatti, il pagamento degli interessi di mora fosse effettivamente

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richiesto dalla controparte, il mancato stanziamento nel periodo di maturazione comporterebbe la loro totale indeducibilità dal punto di vista fiscale, ai sensi dell’art. 75, comma 1, Tuir. A fine esercizio il debitore dovrà, quindi, contabilizzare il rateo passivo per gli interessi di mora maturati a proprio carico.

Nel caso in cui i rapporti contrattuali non rendano opportuna l’esazione di interessi di mora, si consiglia comunque lo stanziamento dei medesimi, salva rinuncia da effettuarsi all’atto del pagamento del credito principale.

Tale rinuncia, in base a quanto recentemente specificato dalla Suprema Corte nella sentenza 29/08/2001, n. 11329, dovrebbe costituire un’insussistenza di attivo, considerata all’art. 66 del Tuir. La deducibilità di tali insussistenze, tuttavia, risulta condizionata sia dal presupposto della certezza della perdita, dato oggettivo che in seguito ad una rinuncia documentalmente provata non dovrebbe essere oggetto di contenzioso, sia da quello dell’inerenza della rinuncia stessa all’attività d’impresa, ai sensi del combinato disposto degli art. 66 e 75 Tuir. E’ necessario che l’imprenditore provi, pertanto, non solo l’effettiva sussistenza della rinuncia, ma le motivazioni economiche sottese alla stessa. Stante l’entità degli importi che teoricamente possono maturare quali interessi di mora, si ritiene opportuno un chiarimento ministeriale che precisi se l’opportunità di mantenere un buon rapporto con la clientela possa o meno essere considerato un valido motivo economico per rinunciare al credito.

Per quanto concerne il debitore, qualora negli esercizi successivi allo stanziamento il debito per interessi di mora venisse stralciato, si renderebbe necessaria la rilevazione di una sopravvenienza attiva da assoggettare ad imposizione, in quanto l’accantonamento per interessi dovrebbe essere stato considerato deducibile.

Per quanto concerne l’Iva, invece, non sussistono particolari problemi, in quanto ai sensi dell’art. 15, n. 1 del D.P.R. 633/72 (Decreto Iva), gli interessi di mora sono considerati proventi fuori campo Iva.

Si sottolinea che detti interessi, in base al disposto dell’art. 6 Tuir, sono considerati redditi della stessa categoria del provento principale cui sono correlati. Nel caso di compensi corrisposti a lavoratori autonomi, gli interessi di mora eventualmente pagati su tali compensi costituiscono dunque parte del reddito di lavoro autonomo, su cui, ai sensi dell’art. 25 DPR 600/73, è necessario effettuare la ritenuta. Pertanto, anche qualora il professionista avesse erroneamente escluso da ritenuta, nella fattura o nel preavviso di parcella, gli importi per interessi, il soggetto che erogasse il pagamento sarebbe tenuto, quale sostituto d’imposta, ad effettuare la ritenuta sull’intero importo, comprensivo degli interessi di mora.

Qualora gli interessi di mora vengano effettivamente corrisposti, il creditore potrà emettere una ricevuta recante l’indicazione dell’esclusione da Iva ai sensi dell’articolo sopra citato. Detta nota non sarà soggetta a registrazione nei libri Iva, ma solamente ad indicazione nel libro giornale,

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ai fini della deduzione del costo od imputazione del ricavo a fini civilistici e reddituali. L’eventuale indicazione nei registri Iva, quale voce “fuori campo”, non comporta tuttavia alcun problema contabile.

Si sottolinea, in ogni caso, la necessità di apporre sul documento apposita marca per l’adempimento dell’imposta di bollo di euro 1,29, qualora l’importo corrisposto superi la somma di euro 77,47, ai sensi dell’art. 13, tariffa parte I, del D.P.R. 642/72.

6.8 Applicabilità della normativa alle transazioni commerciali con clienti esteri

Per verificare se la disciplina introdotta dal D.Lgs. 231/2002 sia applicabile anche alle transazioni commerciali tra società di diritto italiano ed un cliente estero si deve avere riguardo a quanto disposto dall’art. 57 della legge 31 maggio 1995 n. 218 secondo il quale, salvo diversa previsione di eventuali convenzioni internazionali, trova applicazione la Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali del 19 giugno 1980. Pertanto, se tra gli stati di residenza delle parti contraenti sono state sottoscritte particolari convenzioni, si applicheranno le disposizioni ivi previste; in mancanza troverà applicazione quanto previsto dalla Convenzione di Roma.

L’art. 3 della Convenzione di Roma stabilisce che “il contratto è regolato dalla legge scelta dalle parti”. Ciò significa che le parti possono liberamente scegliere quale normativa deve ritenersi applicabile al contratto concluso tra le stesse; la scelta della legislazione applicabile può essere espressa ovvero può risultare in modo ragionevolmente certo dalle disposizioni del contratto ovvero ancora dalle circostanze.

Qualora la legislazione regolante il contratto non sia stata scelta dalle parti, l’art. 4 della Convenzione prevede che “il contratto sia regolato dalla legge del paese col quale presenta il collegamento più stretto”. Nella Convenzione si presume che il contratto presenti il collegamento più stretto col paese in cui la parte che deve fornire la prestazione caratteristica ha, al momento della conclusione del contratto, la propria sede principale ovvero, se a norma del contratto la prestazione deve essere fornita da una sede diversa da quella principale, quello dove è situata la sede diversa. Nei contratti per i quali la prestazione contrattuale caratteristica consta nella cessione di beni mobili, ovvero nella prestazione di servizi, in Italia, la legislazione applicabile, salvo diverse disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali e salva diversa pattuizione tra le parti, è pertanto quella italiana, per cui, anche ai contratti conclusi con clienti residenti in stati esteri trovano applicazione le norme sulla disciplina della dilazione dei pagamenti e degli interessi moratori di cui al D.Lgs. 231/2002.

Si ricorda, comunque, che la disciplina normativa qui in commento deriva direttamente da una norma europea, tra l’altro estremamente precisa nelle sue disposizioni, e che pertanto identica disciplina dovrà essere

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adottata a livello europeo, dai vari Paesi aderenti alla Comunità Economica.

7. Il regime di indeducibilità dei costi derivanti da operazioni con paradisi fiscali

La disciplina di indeducibilità dei costi di cui all’art. 76, commi 7-bis e 7-ter del Tuir mira a contrastare il fenomeno del trasferimento di materia imponibile dall’Italia a beneficio di Paesi a fiscalità “privilegiata”, dove la stessa materia imponibile subisce una tassazione ridotta, se non addirittura inesistente. Si fornisce di seguito una disamina di tale normativa antielusiva, con particolare attenzione ai comportamenti che le imprese possono porre in essere per ottenerne la disapplicazione.

7.1 L’ambito soggettivo e oggettivo di applicazione

La disciplina in questione riguarda le operazioni che coinvolgono:

imprese residenti in Italia, da un lato, e

imprese domiciliate fiscalmente in Stati e territori non appartenenti all’Unione Europea aventi regimi fiscali privilegiati, dall’altro.

Al riguardo si deve sottolineare che la norma interessa tutti i soggetti esercenti attività d’impresa residenti nei paradisi fiscali, e non solamente quelli a carattere societario, come era nella versione previgente dell’art. 76, comma 7-bis, precedente alle modifiche introdotte con la Legge 21/11/2000, n. 342. Inoltre, a differenza di quanto accadeva nel citato precedente regime, attualmente non è richiesto alcun tipo di legame partecipativo fra il soggetto residente e quello non residente, che pertanto ben potrebbe essere una parte del tutto “terza” rispetto all’impresa italiana.

Gli Stati e territori aventi regime fiscale privilegiato cui fa riferimento la norma sono quelli individuati dal Decreto Ministeriale del 23/01/2002, il quale prevede, in sostanza, tre “categorie” di paradisi fiscali:

a) Paesi a fiscalità privilegiata in ogni caso (art. 1);

b) Paesi a fiscalità privilegiata, tranne che per alcune tipologie di imprese (art. 2), da considerarsi a fiscalità ordinaria e quindi escluse dall’ambito applicativo dell’art. 76 (ad esempio il Principato di Monaco, in relazione al quale non sono a fiscalità privilegiata le sole società che realizzano almeno il 25% del fatturato fuori dal Principato);

c) Paesi in generale non a fiscalità privilegiata, tranne che per alcune tipologie di imprese (art. 3), da considerarsi a fiscalità privilegiata e quindi incluse nell’ambito applicativo dell’art. 76 (ad esempio la Svizzera, in relazione alla quale sono a fiscalità privilegiata le società non soggette alle imposte cantonali e municipali, quali le società holding, ausiliarie e “di domicilio”).

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Si noti che in relazione alla terza tipologia di Stati, elencati all’art. 3 del decreto, è previsto che le disposizioni dell’art. 76, commi 7-bis e 7-ter, si applichino altresì ai soggetti ed alle attività insediati nei medesimi Stati di cui all’art. 3, che usufruiscono di regimi fiscali agevolati sostanzialmente analoghi a quelli ivi indicati, in virtù di accordi o provvedimenti dell’Amministrazione finanziaria dei medesimi Stati.

L’art. 76, comma 7-bis colpisce con l’indeducibilità dal reddito dell’impresa residente “le spese e gli altri componenti negativi” derivanti da operazioni intercorse con soggetti residenti nei paradisi fiscali elencati nel decreto. La formulazione normativa è particolarmente ampia, tale da ricomprendere al proprio interno non solo i costi di acquisizione di servizi e materie prime (o prodotti), ma anche, ad esempio, le perdite su crediti vantati nei confronti di imprese residenti in Paesi a fiscalità privilegiata (in tal senso espressamente la circolare n. 39/E del 10/05/2002), o addirittura le quote di ammortamento di cespiti acquistati dai paradisi fiscali.

7.2 I presupposti per la disapplicazione del regime di indeducibilità dei costi

Come la maggior parte delle norme antielusive previste dal nostro ordinamento, anche quella in commento prevede dei casi in cui può essere disapplicata. Infatti, la deducibilità dei costi derivanti da operazioni con paradisi fiscali può comunque essere invocata, ai sensi dell’art. 76, comma 7-ter, qualora l’impresa residente riesca a fornire alternativamente la prova che:

l’impresa estera svolge prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero

le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta attuazione.

In ogni caso la deducibilità dei componenti negativi di cui all’art. 76, comma 7-bis, è subordinata alla circostanza che gli stessi siano separatamente indicati nella dichiarazione dei redditi.

In tale evenienza, l’Amministrazione finanziaria, prima di disconoscere la deducibilità dei costi in oggetto, deve notificare all’interessato un avviso con il quale gli concede novanta giorni di tempo per fornire le suddette prove. Nell’eventualità che l’Amministrazione ritenga le prove fornite non idonee, provvede all’emissione di un avviso di accertamento nel quale deve indicare, a pena di nullità, i motivi per cui le prove stesse sono considerate non sufficienti.

Si ricorda inoltre che, ai sensi del successivo comma 7-quater, le norme contenute nell’art. 76, commi 7-bis e 7-ter, non si applicano qualora ricorrano i presupposti per l’applicazione dell’art. 127-bis Tuir, recante la disciplina dei redditi prodotti da imprese estere controllate domiciliate in Stati e territori aventi un regime fiscale privilegiato (c.d. regime CFC, per il cui esame si rimanda alla nostra newsletter di ottobre 2002). Questo significa che, se il reddito dell’impresa domiciliata in un paese o territorio

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a fiscalità privilegiata e controllata da un impresa residente in Italia, è imputato per trasparenza all’impresa residente in base alle regole dell’art. 127-bis Tuir, non si applicano le disposizioni sulla non deducibilità dei costi di cui all’art. 76 Tuir. Le due disposizioni sono quindi alternative e l’art. 127-bis prevale sull’art. 76, che pertanto ha natura residuale.

Nel caso in cui l’art.127-bis non risulti applicabile, il contribuente che intenda disapplicare anche l’art.76 c.7-bis ha una sola possibilità: fornire all’Amministrazione Finanziaria una delle due prove contrarie indicate dal legislatore come alternative tra loro. Pertanto, il contribuente potrà scegliere di utilizzare il criterio ritenuto più agevole (più facile da provare) ovvero, se gli è possibile, potrà fornire entrambe le prove in tal modo rafforzando la propria posizione. Analizziamole distintamente.

7.2.1 Esercizio prevalente di attività commerciale effettiva

Sul significato da attribuire all’espressione “attività commerciale effettiva”, è da ritenere che la nozione di attività commerciale sia quella desumibile dall’art. 51 del Tuir, che contiene un espresso rinvio a tutte le attività indicate nell’art.2195 c.c.

Ciò detto, resta da capire in che modo il contribuente possa provare che l’impresa estera da cui ha acquistato beni o servizi svolge una reale attività d’impresa in via prevalente rispetto ad eventuali altre attività svolte dal soggetto estero: poiché la norma non indica alcun criterio direttivo, il contribuente sarà libero di ricorrere a qualsiasi mezzo di prova ammissibile.

A tal fine, anche facendo appello alle indicazioni fornite nella C.M. n. 23/2002 sui mezzi di prova da fornire per disapplicare la normativa CFC dimostrando che la partecipata estera svolge una attività commerciale effettiva nello Stato in cui ha sede, potrebbero costituire validi mezzi di prova i seguenti, qualora facilmente ottenibili o su richiesta diretta da parte della società italiana o perché normalmente forniti nell’ambito della prassi dei rapporti commerciali di fornitura:

supporto documentale attestante che la società estera è realmente costituita e svolge attività commerciale (atto costitutivo o statuto, iscrizioni in appositi registri pubblici locali, descrizione da parte del fornitore dell’attività svolta e della struttura organizzativa esistente dedicata allo svolgimento dell’attività, depliant pubblicitari e cataloghi dimostrativi dei prodotti commercializzati, ecc.);

esibizione di attestazioni, certificazioni, licenze etc. rilasciate dalle autorità estere;

esibizione dei bilanci della società estera, dai quali dovrebbero emergere elementi idonei a provare la reale operatività dell’impresa estera (ad esempio: evidenziazione di un certo fatturato, di spese amministrative, di costi del personale, etc.);

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La maggiore difficoltà nel fornire la prova in commento è legata proprio all’estensione dell’ambito oggettivo di applicazione della norma antielusiva, che non essendo limitato ai costi derivanti da operazioni intercorse con società da cui, per effetto dell’appartenenza al medesimo gruppo, poteva essere agevole ottenere qualsiasi informazione e documentazione di supporto sull’attività esercitata, comporta attualmente per una società italiana che saltuariamente (o nel caso limite anche una sola volta) acquisti della merce in un paradiso fiscale, l’onere di dover richiedere al proprio fornitore estero informazioni sull’attività da questi esercitata. L’impresa estera, tuttavia, soprattutto se con il cliente italiano non vi è un rapporto di fornitura continuativa avente una certa rilevanza economica, potrebbe non essere disposta a fornire tali informazioni, non avendo alcun interesse a farlo, in quanto, ad esempio, potrebbe considerare controproducente per evidenti ragioni di riservatezza rivelare a soggetti terzi informazioni rilevanti sulla propria politica commerciale (quali margini applicati sulle vendite, volumi di fatturato per aree geografiche, ecc.).

7.2.2 Operazioni rispondenti ad un effettivo interesse economico e che hanno avuto concreta esecuzione

Questa seconda prova presuppone di riuscire a dimostrare la sussistenza di due condizioni, di cui la seconda (concreta esecuzione) è tanto agevole da provare nel caso in cui l’operazione consista in una cessione di beni dal fornitore estero all’impresa italiana cliente, quanto difficoltosa in ogni caso la prima (effettivo interesse economico).

Il legislatore richiede innanzitutto che l’operazione sia motivata dall’interesse economico dell’impresa italiana: alcune indicazioni utili possono essere tratte dal parere del Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive n.10 del 22/06/1998. Nel parere citato – in relazione agli addebiti ad una società italiana di costi per provvigioni legate alle prestazioni rese da una propria controllata di Hong Kong, appositamente costituita per svolgere nell’area dell’Estremo Oriente attività di agenzia/rappresentanza per commercializzare i prodotti della controllante italiana - è stato riconosciuto “nel modo in cui sono state prospettate [le operazioni tra la società italiana e la società di Hong Kong], … il ricorrere in astratto di un effettivo interesse economico”. Sembra, pertanto, che il Comitato abbia ritenuto sufficiente che fosse stato provato - per quanto non sia dato sapere quali mezzi di prova fossero stati prodotti - che l’operazione rispondeva ad una determinata logica economica, senza richiedere la dimostrazione del raggiungimento effettivo dei risultati attesi.

Focalizzando l’attenzione sulle transazioni commerciali, per fornire la prova in esame, quindi, dovrebbe essere sufficiente che l’impresa italiana riesca a dimostrare al fisco che l’acquisto effettuato rientra nella ordinaria attività di gestione o che è economicamente vantaggioso, ossia rispondente ad una normale opportunità di gestione sfruttata. A tal proposito potrebbe, ad esempio, provare che:

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- i prezzi di acquisto della merce sono più competitivi rispetto a quelli applicati da altri fornitori residenti in paesi a fiscalità ordinaria, ad esempio per effetto di un minor costo del lavoro che spesso caratterizza i paradisi fiscali: a tal fine sarebbe quanto mai opportuno poter confrontare il prezzo applicato dal fornitore estero con quello di altri fornitori sulla medesima merce;

- la merce acquistata viene prodotta solo in una determinata zona geografica, per cui la società residente non sarebbe in grado di reperire altrove merce della medesima qualità e al medesimo prezzo;

- l’acquisto è finalizzato alla penetrazione in nuovi mercati, acquisendo contatti con fornitori locali al fine di commercializzare in un secondo momento i propri prodotti in quella determinata area geografica.

Certamente più facile – per gli acquirenti di beni rispetto ai committenti di servizi - la dimostrazione della seconda condizione a cui è subordinata la prova contraria, ossia la concreta esecuzione dell’operazione; si tratterà di documentare il più possibile ogni acquisto - documentazione che peraltro solitamente accompagna ogni reale movimentazione di beni da territori extracomunitari a territori comunitari - conservando:

- ordini di acquisto inviati per iscritto al fornitore estero;

- eventuale contratto di fornitura continuativa (se esistente);

- corrispondenza commerciale relativa a ciascun acquisto;

- documentazione doganale attestante che la merce è uscita da una dogana estera ed è stata introdotta nel territorio comunitario (o nazionale);

- fatture di acquisto, regolarmente registrate, e relative contabili bancarie che attestino gli avvenuti pagamenti.

L’ANGOLO DELLA GIURISPRUDENZA

8. La cartella esattoriale deve essere a norma di “Statuto del contribuente”

Anche la cartella di pagamento deve presentare i requisiti previsti dallo Statuto del contribuente in termini di motivazione. E’ questo il principio affermato dalla Commissione Tributaria Regionale di Venezia in una recente sentenza (n. 61 del 26/09/02) che ha confermato un (timido) orientamento in via di formazione presso alcune Commissione Tributarie Provinciali.

8.1 Il caso

La vicenda riguardava una cartella di pagamento della quale veniva contestata la legittimità in quanto priva di sottoscrizione e di motivazione. La Commissione Tributaria Provinciale di Padova

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accoglieva il ricorso del contribuente rilevando l’illegittimità della stessa per contrasto con le disposizioni dello Statuto del contribuente. Su impugnazione dell’Ufficio la vertenza approdava quindi alla Commissione Tributaria Regionale di Venezia.

8.2 Lo Statuto del contribuente

Come noto, l’articolo 7 della legge n. 212/00 (meglio nota come “Statuto del contribuente”) richiede che gli atti debbano essere motivati, secondo quanto disposto dell’articolo 3 della legge n. 241/90 sulla “trasparenza amministrativa”, imponendo altresì l’obbligo di allegazione dell’atto eventualmente richiamato cui si faccia riferimento nella motivazione.

La motivazione, per essere esaustiva, deve inoltre contenere l’indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione, non essendo sufficiente un mero richiamo alle norme, ma occorrendo la spiegazione della portata e dell’applicazione delle stesse con riferimento al caso concreto.

Tali prescrizioni sono state, in parte, mitigate con il decreto legislativo n. 32/01 che, per agevolare il compito degli Uffici, ha, tra l’altro, escluso l’obbligo di allegazione per gli atti richiamati il cui contenuto essenziale emerga comunque dal tenore della motivazione. E’ stato inoltre disposto che nel ruolo devono essere indicati il numero di codice fiscale del contribuente, la data in cui il ruolo è divenuto definitivo ed il riferimento ad eventuali atti di accertamento emanati in precedenza.

8.3 La posizione della giurisprudenza

La Commissione Tributaria Regionale di Venezia, pur non ritenendo viziato l’atto per carenza della sottoscrizione, dal momento che l’articolo 25 del D.P.R. n. 602/73 impone unicamente che la cartella sia conforme al modello ministeriale ma non richiede la sottoscrizione come requisito essenziale dell’atto, ha, invece, rilevato la sussistenza del lamentato vizio di motivazione.

Seguendo l’orientamento già espresso da altre Commissione in casi (peraltro ancora) isolati (C.T.P. di Milano sezione 29 del 10 /6/99 e C.T.P. di Catania n. 641 del 29/9/00), la Corte veneziana ha, infatti, ritenuto che la cartella di pagamento sia illegittima se non contiene gli elementi previsti dall’articolo 7 dello Statuto del contribuente, considerando tali prescrizioni come generalmente applicabili a tutti gli atti e, quindi, anche alle cartelle di pagamento emesse a seguito di iscrizione a ruolo.

9. La Corte Costituzionale dichiara valida la spedizione per posta del ricorso

Con una decisiva pronuncia (n. 520 del 06/12/2002), la Corte Costituzionale ha ribaltato l’orientamento della Cassazione che escludeva

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la possibilità per il contribuente di presentare il ricorso in Commissione Tributaria attraverso la spedizione dell’atto a mezzo del servizio postale.

9.1 La questione oggetto del dibattito: il deposito degli atti ai fini della costituzione in giudizio avanti le Commissione Tributarie

Come noto, l’articolo 22 del decreto legislativo n. 546/92 sul processo tributario prevede che il ricorrente, entro 30 giorni dalla proposizione del ricorso, a pena di inammissibilità, depositi nella segreteria della Commissione adita l’originale del ricorso già notificato all’Amministrazione.

L’interpretazione della disposizione era oggetto di un vivace dibattito, soprattutto relativamente alla possibilità che tale deposito venisse effettuato attraverso la spedizione per posta del ricorso in questione.

La Cassazione (con un orientamento sostenuto da ultimo con le sentenze n. 8829 del 2001 e n. 2255 del 2002), aveva escluso detta possibilità, ritenendo essenziale che la consegna fosse effettuata direttamente presso la segreteria della Commissione.

Secondo la Cassazione, infatti, “il deposito di un documento non è segnato dal semplice passaggio della sua detenzione, ma richiede un intervento presso il depositario del depositante, ovvero di chi sia munito del potere di rappresentarlo, cioè di costituire in suo nome e conto l’indicato rapporto. […] L’agente postale, incaricato di recapitare un documento, non è mandatario con rappresentanza del mittente. […] La consegna a mezzo posta non è quindi di per sé idonea a determinare deposito”.

9.2 La “svolta” della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale, ribaltando l’orientamento della Cassazione, è invece giunta a soluzioni opposte ed ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 22, primo e secondo comma, del decreto legislativo n. 546/92 “nella parte in cui non consente, per il deposito degli atti ai fini della costituzione in giudizio, l’utilizzo del servizio postale”.

Partendo da una prospettiva differente da quella seguita dalla Cassazione, la Consulta ha dato evidenza all’esigenza di semplicità nei rapporti tra cittadino ed istituzioni, rappresentata nel caso dalla possibilità di utilizzare il servizio postale invece della consegna a mano.

Tale possibilità, osserva la Corte, veniva ammessa dalla giurisprudenza fin dalla vigenza del codice del 1865, quando la legge richiedeva esplicitamente che il “ricorso coi documenti annessi e con l’atto originale di notificazione è presentato” e “deve essere consegnato alla cancelleria”.

Rileva inoltre la Consulta che “in occasione dell’esame di profili di inammissibilità di atti introduttivi di giudizi, sia il legislatore, sia la giurisprudenza di legittimità si sono, in più occasioni, richiamati alla esigenza di non contrastare la realizzazione della giustizia senza ragioni di seria

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importanza, e ai criteri di equa razionalità nella valutazione di profili di forma, quando questi non implichino vera e propria violazione delle prescrizioni tassativamente specificate nella legge processuale”.

La dichiarazione di inammissibilità del ricorso inviato per posta comporterebbe, invece, l’integrale sacrificio delle ragioni del contribuente.

Da qui la pronuncia di incostituzionalità.

NOTIZIE FLASH

10. Le retribuzioni convenzionali per i lavoratori italiani all’estero

Nella Gazzetta Ufficiale n. 22 del 28 gennaio 2003 è stato pubblicato il decreto del Ministero del Lavoro e del Ministero dell’Economia del 6 febbraio 2002 che fissa le retribuzioni convenzionali per il 2003 per i lavoratori dipendenti che prestano la propria attività all’estero. Le retribuzioni convenzionali vengono utilizzate, ai fini fiscali, per il calcolo delle imposte sul reddito di lavoro dipendente per i lavoratori che, pur residenti fiscalmente in Italia, prestano la propria attività all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto, come previsto dell’art. 48, comma 8-bis Tuir.

A decorrere dal periodo di paga in corso dal 1° gennaio 2003 e fino a quello in corso al 31 dicembre 2003, le retribuzioni convenzionali da prendere a base per il calcolo delle imposte sul reddito sono stabilite per ciascun settore produttivo dalle tabelle allegate al decreto (consultabile sulla banca dati legislativa del sito del ministero delle finanze): in molti casi evidenziano sensibili aumenti rispetto all’anno precedente.

La retribuzione convenzionale include eventuali compensi in natura come l’uso di auto o abitazioni. L’agenzia delle Entrate ha precisato che nel caso di retribuzioni corrisposte prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (quindi, per quest’anno, fino al 27 gennaio 2003) il datore deve fare riferimento a quelle dell’anno precedente, salvo conguaglio a fine anno

Si ricorda che le retribuzioni convenzionali devono essere altresì utilizzate per il calcolo dei contributi previdenziali nei confronti dei lavoratori italiani che prestano attività in Paesi con i quali non sono in vigore accordi di sicurezza sociale.

11. Attività di agenzia svolta in forma societaria: la detrazione Iva sulle autovetture

Con la risoluzione n.34 del 13/02/2003, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che la detrazione dell’Iva sulle autovetture, concessa agli agenti

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di commercio dall’art.19-bis1 comma 1 lett. c) del D.P.R. 633/72, è ammessa anche nel caso in cui l’attività di agenzia/rappresentanza sia svolta in forma societaria, in quanto l’art. 6 della Legge 240/1985 prevede che possa essere considerato agente di commercio anche un soggetto collettivo.

12. Aggiornamento delle black list: uscita del Kuwait

Con il decreto ministeriale del 27/12/2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 10 del 14/01/2003, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha modificato le black list sancendo l’uscita del Kuwait dal novero dei territori a fiscalità privilegiata.

L’art. 1 del provvedimento menzionato modifica il decreto 21/11/2001 con il quale sono stati individuati gli Stati e i territori aventi un regime fiscale privilegiato di cui all’art. 127-bis Tuir (normativa CFC) e il decreto 23/01/2002, con il quale invece sono stati individuati gli Stati e i territori aventi un regime fiscale privilegiato di cui all’art. 76 Tuir (indeducibilità dei costi derivanti da operazioni con paradisi fiscali).

Il provvedimento, come spiegato nel testo dello stesso, è stato adottato sulla base di due ordini di motivazioni:

“l’esistenza tra l’Italia e lo stato del Kuwait di una convenzione per evitare le doppie imposizioni sui redditi che consente un adeguato scambio di informazioni”;

“i redditi delle società localizzate nello Stato del Kuwait attribuibili al capitale di pertinenza di soggetti non residenti in quello Stato sono comunque assoggettati alle aliquote previste dall’Amiri Decree n. 3 del 1995, ovvero alle aliquote previste dalla locale legge n. 23 del 1961, entrambe non sensibilmente inferiori a quelle vigenti in Italia”.

Il decreto ministeriale 27/12/2002 è stato emanato in conformità alle disposizioni dell’art. 76, comma 7 bis, e dell’art. 127 bis, comma 4, che demandano al Ministero delle Finanze l’emanazione di appositi decreti con i quali vengono individuati gli Stati o i territori aventi regimi fiscali privilegiati in ragione del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia, della mancanza di un adeguato scambio di informazioni ovvero di criteri equivalenti.

13. Approvata la Legge comunitaria 2002: verso la fattura elettronica

Con la Legge comunitaria 2002 (Legge n. 14 del 03/02/2003, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 31 del 07/02/2003, S.O. n. 19) il Governo italiano è stato incaricato di recepire una serie di direttive comunitarie, tra le quali in particolare la direttiva comunitaria n. 2001/115/CE in materia di fatturazione elettronica: quest’ultima dovrà essere recepita entro il 1° gennaio 2004.

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