Cassandra - Novembre 2011

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Cassandra di Novembre!

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Novembre 2011 2Editoriale

Nel caso a qualcuno fosse sfuggito, siamo in un momento di passaggio. Per la precisione, siamo in quel genere di momento di passaggio in cui nessuno se la sente di festeggiare. Insomma, vien da chiedersi, è finita l’“era Berlusconi” e nessuno dice niente? Innanzitutto, forse, perché si fa una certa fatica a realizzare che sia finita. Una figura che ha dominato la scena politica per diciassette anni non può semplicemente sparire, dimissioni o meno; e in-fatti Berlusconi non è affatto sparito, a giudicare dalle sue promesse di continuare l’attività parlamentare. Ma il vero motivo per cui quasi nessuno tra coloro che evidentemente aspet-tavano la caduta del Presidente del Consiglio ha particolare desiderio di esultare è che la situazione attuale rimane estremamente preoccupante. Oltre a essere un momento di pas-saggio, questi giorni costituiscono soprattutto un momento di incertezza. Governo tecnico, governo politico, la Lega che dice no a qualunque proposta e chiede le elezioni, Napolitano che nomina Mario Monti, il “totoministri” che si è trasformato in un gioco su internet: in-somma, una discreta confusione in cui non si sa bene quali siano le prospettive immediate.Già, le prospettive. La cosa certa è che non sono rosee. Il sospetto è che manchino del tutto. Non nel senso che non ci sarà un futuro, evidentemente; nel senso che proprio la “man-canza di prospettiva” è uno dei rimproveri che più spesso vengono fatti alla classe politica italiana. Si fa sempre notare come ogni governo sembri prendere i provvedimenti che più sono utili sul breve termine, magari in vista di una rielezione, senza badare a quanto po-trebbe succedere in un lontano futuro in cui la responsabilità cadrà su altri. Ho pochi dubbi sul fatto che questo a Mario Monti non sarà concesso; anche se l’utilizzo continuo dei mer-cati come indicatori dello stato dell’economia può essere da questo punto di vista preoccu-pante. Il mercato, per sua natura, fluttua ogni giorno (anzi, molto più spesso): dunque non è adatto a valutare provvedimenti che dovranno essere efficaci sul lungo periodo, a meno di una notevole lungimiranza degli analisti. Ma non sono un’economista.Ecco il punto: non siamo economisti. Una buona parte delle persone che leggeranno questo articolo non sono neppure elettori, e una parte veramente minima potrà in un momento della propria vita definirsi “un politico”. I cittadini medi, normali – noi studenti, magari – cosa devono pensare della situazione in questo periodo? Le nostre prospettive sono altret-tanto preoccupanti di quelle nazionali, com’è naturale: giorno per giorno ci viene ripetuto quanto le nostre possibilità di inserirci nel mercato del lavoro (e ancora questo mercato!) siano ridotte, quanto un percorso universitario non ci garantisca più una carriera, eccete-ra. Tanto meno ci sembra di avere qualche possibilità di influenzare le vicende politiche, e neppure di avere voce in capitolo. Cosa possiamo fare? Cosa c’entriamo, noi?“Impegniamoci in prima persona”, scriveva Davide un mese fa su questa stessa pagina. Io aggiungo: laddove non possiamo farlo, o anche dove possiamo, parliamone. Che sembra una battuta di spirito, e invece è l’essenza della democrazia. Perché alla fine sarà sempre un interesse tra i tanti a prevalere, ci saranno sempre una maggioranza e una minoranza, ma in Parlamento le leggi devono essere discusse prima che approvate. Perché un politico è tenuto a rendere conto del proprio operato ai suoi elettori, anzi, a tutti i cittadini. Ma se non impariamo noi innanzitutto a discutere, a confrontarci, a essere in grado di ascoltare le ra-gioni degli altri e di spiegare le nostre (il che non è sempre facile come sembra), senza farci influenzare da discorsi vuoti o manipolatori da demagoghi, non saremo neppure in grado di chiedere conto. A manifestare si va sempre con gli slogan, ma le decisioni si prendono dopo aver riflettuto. E discusso. Si parlava un tempo di “governo del fare” come se fosse la più geniale delle invenzioni, ma forse un “governo del riflettere” non sarebbe una cattiva idea. Soprattutto oggi.Non resta che ribadire la cosa più ovvia: Cassandra è anche uno spazio di discussione. Chi vuole leggere è il benvenuto, chi vuole scrivere lo è altrettanto.

Martina Astrid Rodda, III C

Parliamone, anzi, discutiamone

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Sarpi

Attualità

narrativa

cultura

sport

terza pagina

Sommario

- Intervista doppia: Pusi VS Trivia- Ore da 57 minuti

- A Giocare col nero perdi sempre!- Il razzismo che non ti aspetti- Io quella volta lì avevo 25 anni- la politica degli Intermundia- WAR IS OVER! Sì, ma per chi?

- Keep Calm and... be an Austen Heroine- Un orecchiante- Drive: 5 lettere, tanta roba

- Reunion nella solitudine

- Il levriero e la bottiglietta

- Guida per interpretare i sogni- ipse Dixit

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novembre 2011 4Sarpi

1)Numero di scarpe.Pusi: 38 (guardando perples-sa le intervistatici).Trivia: Ho il 38. Ed è un problema perché non trovo le scarpe, dato che è un nu-mero da bambino… (Cubelli passando: “ma mio figlio ha il 38!”) Eh si, mio figlio ha il 42..

2) Nome e cognome.Pusi: Paola Pusineri, sopran-nome “Pusi” (ma non è vero! È stata la protesta dell'intervi-stata).Trivia: Gianluigi Trivia.

3) Che cosa canta sotto la doccia?Pusi: Per il bene della mia fa-miglia e dei vicini non canto sotto la doccia.Trivia: Guccini, in genere.

4) Sa che ore sono?Pusi: Le 11.Trivia: Si, 10.51.

5) Si farebbe tangere da una semiretta?Pusi: NO. Assolutamente, potrebbe infilzarmi… e nean-che da un retta, è ancora più pericoloso!Trivia: Mah dipende, se è li-neare no!

6) Archimede e Euclide: chi butterebbe giù da un dirupo?Pusi: Ma nessuno, poverini… dovendo scegliere butterei giù le intervistatrici.Trivia: In linea di massima nessuno, ma se proprio devo

scegliere Euclide perché Ar-chimede è il fondatore della matematica moderna.

7) Non pensa che la ma-tematica sia la peggiore delle opinioni?Pusi: …Ma chi ha fatto queste domande?... Non posso fare commenti sugli studenti, ma posso pensarli…Trivia: NO! Assolutamente!

8) Che cosa pensa della filosofia?Pusi: Ieri mia figlia voleva ripetermi Hegel: è stata un esperienza devastante.Trivia: Eh è difficile questa! Sono d'accordo con Einstein “la filosofia senza la fisica è vuota, la fisica senza la filoso-fia è arida”.

9) Come si sente in una scuola che molti studenti hanno scelto perché non amano la matematica?Pusi: Difficile questa doman-da… Potrei dire una banalità, che spero che quando escano abbiano cambiato idea!Trivia: Bene, dato che sono qui per farla apprezzare. E poi almeno in questa scuola i ra-gazzi apprezzano qualcosa! Ci sono scuole in cui non apprez-zano niente…

10) Perché i gatti guarda-no Alice?Pusi: In realtà è Alice che guarda i gatti…Intervistatrice: No, i gatti guardano le alici!

Pusi: Eh certo vogliono man-giarle!Trivia: Alice guarda i gatti. Boh, ma devo rispondere in modo matematico? Alice, Ali-ce… Come il coniglio di Alice nel paese delle meraviglie! Credo per avere da mangiare: bieco materialismo!

N.B.: la professoressa duran-te l’intervista era piuttosto provata a causa dell'interro-gazione di Martinelli appena conclusa.

La Sottocommissione Sarpi

INTERVISTA DOPPIAPUSI E TRIVIA

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5 november 2001 Sarpi

[Nota Bene: Questo articolo è incredibilmente sdolcinato e melodrammatico, ma in qual-che modo bisognava riempire le pagine della sottocommis-sione Sarpi, altrimenti la Ari ci rimane male, povera.]

Immagini sconnesse e non-sense si ripetono in continua-zione, cambia la situazione, cambia l’ambientazione, cam-biano i personaggi … mi sve-glio, apro gli occhi d’impatto. Sono le 6:31, non so per quale arcano motivo punto la sve-glia a quell’ora, fatto sta che la mattina mi piomba nelle orecchie con uno stramaledet-to bip-bip crescente. Guardo il soffitto nel buio, sospiro , alzo la testa e poi scendo dal letto. Prendo i vestiti dalla sedia con una manata e vado in bagno, accendo la stufetta elettrica e mi ci piazzo davanti, poi c’è la procedura di attivazione del corpo: mi lavo e mi vesto. Ri-emergendo dal torpore causa-to dalla stufetta e dal sonno, guardo l’orologio: minchia sono già le sette! Mi fiondo giù dalle scale, verso a casac-cio del maledettissimo latte, lo riscaldo a microonde per cinquanta maledettissimi se-condi, ci sbatto dentro il caffè, qualche maledettissimo cere-ale o dei biscotti dell’Esselun-ga. Mentre mi lavo i denti mi sto contemporaneamente al-lacciando le scarpe e pettinan-do i capelli con le mani, indos-so la giacca e lo zaino con un gesto veloce e sono fuori casa:

fa freddo e piove, maledizione. Cento metri per raggiungere la fermata del pullman dove mi aspettano il Bonti, il suo scazzo mattutino e l’Ago, miei compagni di ventura. Salgo sui vari pullman che prendo in automatico: 8; 10; Funi-colare in alternanza a 8; 1. In totale assenza mentale vedo e saluto gente, finalmente co-mincio a svegliarmi. Arrivo in città alta e camminando verso l’Oscuro Casermone mi rendo conto di aver paura di essere interrogato, di esse-re in ansia per una versione e di avere sensi di colpa per aver buttato via il pomeriggio il giorno prima. Così, entrato in classe, non degno di un sa-luto i miei compagni, ma apro i libri a caso e leggo senza ap-prendere niente, così l’ansia aumenta invece di diminuire. La mattina si presenta come di merda. La giornata si pre-sente come di merda. Ore, interrogazioni, testa sul ban-co, fuori una foschia malinco-nica, oltre la foschia il vuoto. Che schifo, che palle, che vita. Il Sarpi è ambientazione e an-tagonista di questa noia.

Ma poi, all’improvviso, dopo un pessimo voto, dopo una so-litudine attanagliante, eccolo. Lì, nelle frasi dei miei amici, nelle lezioni, nei corridoi. La pioggia mi bagna i capelli, ma resto a guardare - oltre la ter-

razza - Città Bassa che si sve-glia, sento il freddo alle mani, sento le foglie secche cadere, vedo gli alberi oltre la finestra. Ed ecco: mi sento vivo, all’im-provviso. Tutto quello che ho intorno è stupendo, ogni millimetro di muro secolare, ogni attimo di vita, ogni re-spiro che faccio, ogni sguardo amico, vedo tutto in un’ottica diversa, faccio parte di tutto ciò. L’unica condizione per

accorgersene è stare attenti, stare vigili, non farsi abbattere da un numero pari o inferiore al cinque, perché non siamo assolutamente defi-niti da un numero, ma dalla nostra ca-pacità di farci attrar-

re dal mondo stupendo che abbiamo intorno. Così non do più per scontato nulla: tutto, anche le lezioni più pallose, anche le scritte in Aula CIC, anche la puzza del seminter-rato, anche i sassi di Piazza Rosate sono segno di qualco-sa di infinitamente più grande e bello. E’ difficile da spiegare … ma sento la mia banalissi-ma vita, scandita in ore da cinquantasette minuti, come incredibile dato di fatto, come stupefacente dono d’immenso Amore.

un certoPietro Raimondi, V F

Ore da 57 MinutiOvvero: Quando mi accorgo di esserci

non do più per

scontato nulla

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novembre 2011 6Attualità

Le parole che troverete scrit-te qui sotto sono stralci che fanno parte del testo della co-siddetta “Legge Scelba” (dal nome del deputato democri-stiano Mario Scelba), appro-vata dalla Camera dei Depu-tati il 20 giugno 1952. Questa dovrebbe essere la legge che ci protegge dagli incubi del ventennio fascista e che pro-tegge gli alti valori della Re-sistenza. Dovrebbe. Perché proprio in Italia, il paese che ha la responsabilità storica di aver fatto nascere il Fascismo, secondo le stime, almeno cen-tocinquantamila giovani sotto i 30 anni vivono nel culto del Nazifascismo, che è stato in-dubbiamente il cancro del XX secolo. I loro miti sono Hitler e Rudolph Hess. Sempre in Italia ci sono almeno 5 partiti ufficiali (Forza Nuova, Fiam-ma Tricolore, la Destra, Azio-ne Sociale, Fronte sociale na-zionale), 6 se si considerano anche i rimasugli di An, a sua volta rimasuglio del M.S.I., che secondo questa legge non potrebbero esistere e che, se-condo il buon senso storico, non dovrebbero neanche es-sere pensati. Circa 203 circoli, associazioni e centri sociali su tutto il territorio italiano si ri-conoscono nella destra estre-ma violenta e xenofoba, più 63 sigle su 85 di gruppi ultrà (75% degli ultrà italiani) sono ultrafascisti, ricorderete le svastiche appese nello stadio di Roma. Incalcolabili sono le aggressioni a chiunque sia ritenuto nemico e diverso da

queste persone, che ha la sola colpa di essere nato lontano dall'Italia. Pochi forse sanno che ogni anno, da Bolzano, parte una comitiva di nostal-gici del Reich nazista in pelle-grinaggio verso Dachau, il pri-mo campo di concentramento operativo della barbarie na-zista, per “ricordare” davanti ai forni dell'orrore, col saluto romano bello in alto, al grido di “Sieg Heil!”, che per loro i veri martiri d'Europa non sono quei sei milioni di Ebrei massacrati (storia alla quale non credono), ma bensì le lu-cide menti di Hitler, Mussoli-ni e compagnia, gli unici che avrebbero cercato di rendere l'Europa un paradiso in terra, pulito dalle razze inferiori. Oppure ancora i giornali non parlano del fatto che ogni anno, nella notte tra il 23 e il 24 aprile, qualche centinaio di nazifascisti celebra in tutta la provincia di Varese (una del-le più infette d'Italia dal ger-me nero) la nascita di Hitler, tutto questo con cori contro gli ebrei e i comunisti, decan-tando la superiorità della raz-za ariana. Poi, per completare la serata, qualche pestaggio ai primi extracomunitari incon-trati per strada o a qualche capellone che viene scambia-to per “zecca comunista” solo per il look.Questi fatti stanno prendendo piede in tutta Italia, in modo particolare al nord, spesso ap-poggiati dagli esponenti locali della Lega. Il Fascismo è un male, e deve essere abbattuto

sul nascere. Ahimè sono molti i giovanissimi che si avvicina-no e si riconoscono in questi “princìpi”. Giovani che non sanno neanche quello che è stato il nazismo. Che vadano a leggersi le testimonianze da Auschwitz, Mathausen e Tre-blinka di Primo Levi o Simon Wiesenthal! Vorrei conclu-dere questo breve articolo (le cose da dire sono tante e ci vorrebbe un numero intero di Cassandra per elencarle tutte. Tanto per farvi capire che non ho inventato le informazioni sopra citate, vi aggiungo che la bibliografia di questo arti-colo è solo la consultazione di “Bande Nere”, di Paolo Beriz-zi, ed. Bompiani) con due ci-tazioni, sul fascismo storico, degli uomini tra i più brillanti che il Novecento ci abbia re-galato:• “Il fascismo per me non può essere considerata una fede politica, sembra as-surdo quello che dico ma è così. Il fascismo a mio avviso è l'antitesi delle fedi politiche, è in contrasto con esse. Non può essere definito tale perché col fascismo nessuno poteva esprimere la propria fede po-litica se non la pensava come lui. Se non eri fascista eri op-presso. Come si fa a definire “fede politica” l'oppressione delle fedi altrui? Io il fascismo lo combatto, sul terreno de-mocratico, da socialista quale sono.” [Sandro Pertini]• “Il fascismo non è stato uno scherzo. E' stata un'onda-

A GIOCARE COL NERO PERDI SEMPRE!

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7 novembre 2011 attualità

ta di barbarie che ha minac-ciato di travolgere il mondo e di trasformare l'Europa in un immenso campo di con-centramento nazista. In Italia sappiamo cos'è stato il fasci-smo: non solo la soppressio-ne di ogni libertà, non solo lo sfruttamento dei lavoratori, non solo la miseria e l'abban-dono delle regioni meridiona-li. L'asservimento al nazismo. Il massacro dei comunisti, an-che, tra pochi giorni cade l'an-niversario della morte del no-stro “capo”, Antonio Gramsci, assassinato scientificamente dai fascisti; il massacri di par-tigiani, di giovani che si oppo-nevano al fascismo e che di-fendevano la libertà.” [Enrico Berlinguer]Basta coi fascisti!

Art. 1 - (Riorganizzazione del disciolto partito fascista).Ai fini della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione, si ha riorganizzazione del di-sciolto partito fascista quando una associazione, un movi-mento o comunque un grup-po di persone non inferiore a cinque persegue finalità anti-democratiche proprie del par-tito fascista, esaltando, minac-ciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressio-ne delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzi-sta, ovvero rivolge la sua at-tività alla esaltazione di espo-nenti, princìpi, fatti e metodi

propri del predetto partito o compie manifestazioni este-riori di carattere fascista.

Art. 2 - Sanzioni penaliChiunque promuove, orga-nizza o dirige le associazioni, i movimenti o i gruppi indi-cati nell’art. 1, è punito con la reclusione da cinque a dodici anni e con la multa da due a venti milioni di lire .Chiunque partecipa a tali associazioni, movimenti o gruppi è punito con la reclu-sione da due a cinque anni e con la multa da 1.000.000 a 10.000.000 di lire .Se l’associazione, il movi-mento o il gruppo assume in tutto o in parte il carattere di organizzazione armata o pa-ramilitare, ovvero fa uso della violenza, le pene indicate nei commi precedenti sono rad-doppiate .L’organizzazione si considera armata se i promotori e i par-tecipanti hanno comunque la disponibilità di armi o esplo-sivi ovunque siano custoditi.

Art. 4 - Apologia del fascismoChiunque fa propaganda per la costituzione di una associa-zione, di un movimento o di un gruppo avente le caratte-ristiche e perseguente le fina-lità ideate nell’art. 1 è punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da lire 400.000 a lire 1.000.000. .Alla stessa pena di cui al pri-mo comma soggiace chi pub-blicamente esalta esponenti, princìpi, fatti o metodi del fa-scismo, oppure le sue finalità antidemocratiche. Se il fatto riguarda idee o metodi razzi-sti, la pena è della reclusione

da uno a tre anni e della multa da uno a due milioni. La pena è della reclusione da due a cinque anni e della multa da 1.000.000 a 4.000.000 di lire se alcuno dei fatti previsti nei commi precedenti è commes-so con il mezzo della stampa.

Art. 5 - Manifestazioni fascisteChiunque, partecipando a pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del di-sciolto partito fascista ovve-ro di organizzazioni naziste è punito con la pena della reclusione sino a tre anni e con la multa da 400.000 a 1.000.000 lire .Art. 9 - (Pubblicazioni sull’at-tività antidemocratica del fa-scismo).La Presidenza del Consi-glio bandisce concorsi per la compilazione di cronache dell’azione fascista, sui temi e secondo le norme stabilite da una Commissione di dieci membri, nominati dai Presi-denti delle due Camere, pre-sieduta dal Ministro per la pubblica istruzione, allo sco-po di far conoscere in forma obbiettiva ai cittadini e par-ticolarmente ai giovani delle scuole, per i quali dovranno compilarsi apposite pubbli-cazioni da adottare per l’in-segnamento, l’attività antide-mocratica del fascismo.Art. 10 - (Norme di coordina-mento e finali).[...] La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà in-serita nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.

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novembre 2011 8Attualità

Purtroppo, questo artico-lo non potrà mai avere fine. Concluso oltre una settimana fa, oggi (lunedì 14 novembre) mi tocca ritoccarlo alla luce di quanto letto su Repubbli-ca. Pare che un gruppo ar-mato neonazista tedesco, tale “Braune Armee Fraktion” (il nome, un'invenzione dei me-dia, è un ricalco della più nota “Rote Armee Fraktion”, grup-po armato di estrema sinistra della Germania occidentale negli anni '70), in tredici anni abbia commesso l'omicidio di almeno nove stranieri e una poliziotta. Ma la parte più inquietante è che da anni i servizi segreti per l'Interno sapevano del gruppo e non si capisce se abbiano sottovalu-tato la minaccia o, addirittura, favorito ai tre principali espo-nenti del gruppo dei passa-porti falsi. Esponenti che, ap-pena accerchiati dalla polizia dopo una rapina in banca, si sono suicidati a colpi di pisto-la, compiendo un'azione che avevano già anticipata ai vari simpatizzanti in caso di cattu-ra. In nome dei loro miti hitle-riani, 66 anni dopo la caduta del Reich nazista.

Andrea Calini, II I

Chi ha la stessa lingua fa par-te dello stesso popolo. Ep-pure avere lo stesso idioma non sempre porta ad essere “fratelli”. Il caso paradossa-le, capitato alla professoressa Sarah Williams di Pittsburgh, dimostra che spesso gli odi stratificati nei secoli vincono la “fratellanza linguistica”. In-somma, la storia prevale sulla lingua.Ma procediamo per gradi. Il tema del razzismo ha sempre fatto di-scutere i popoli. E’ assai deli-cato, sem-b r e r e b b e banale ma non lo è. E’ solo un po’ na-scosto, camuf-fato, in questa nostra società multietnica, ma pur sempre presente. Viene at-tribuito come piaga del pas-sato. E in effetti non se ne parla molto al giorno d’oggi, perché sui media si tende a privilegiare aspetti più con-creti, l’economia e il lavoro, la tanto chiacchierata politica. Dunque notizie riguardanti atteggiamenti discriminatori sono relegati in secondo pia-no. Appunto, come la vicenda di Sarah. La professoressa di lingua spagnola è stata discriminata dai latinos, etnia prevalente tra studenti e docenti dell’ate-neo. Attaccata ed “eliminata”

da persone della stessa cultu-ra e che parlano la stessa lin-gua per motivazioni ancestrali (dominazioni ispaniche). L’insegnante infatti era stata richiamata più volte dal capo dipartimento della scuola, bo-liviano. Le si imputava un ac-cento madrileno e non pote-va essere diversamente visto che aveva studiato spagnolo a Madrid e non a La Paz. Lei

sulle prime sottova-lutò il richiamo

finché ricevet-te la lettera di benservi-to. Troppo “iberica” in un mare di sudameri-cani, quasi

tutti emigrati di recente ma

ancora col den-te avvelenato nei

confronti dei conqui-stadores e della loro lingua. Ora l’arcigna e intransigente professoressa (sui voti e sul-la disciplina non scherzava) darà battaglia in un’aula di tribunale. Vuole giustizia.Questa vicenda dimostra che l’odio e la discriminazione verso l’altro colpiscono anche all’interno dello stesso mon-do, dello stesso ceppo cultura-le. La piaga del razzismo quin-di va intesa in senso lato e non si sviluppa solo tra ambienti, culture e popoli diversi.Leggendo questa notizia, mi sono sorpresa e stupita. In-fatti pensavo che il razzismo

IL RAZZISMO CHE NON T'ASPETTI

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9 novembre 2011 attualità

fosse il frutto dell’odio verso persone di altre culture o più semplicemente di altre carat-teri somatici. Avevo come ri-ferimento lo sterminio nazista degli ebrei, la Shoah, l’apar-theid dei bianchi nei confronti dei neri in Sudafrica, il geno-cidio turco degli armeni: tut-te testimonianze di razzismo sociale, biologico e culturale sfociato in violenza, in veri e propri massacri di popoli. Questo atteggiamento è de-rivato dalla xenofobia, dalla paura e dall’avversione pro-fonda per lo straniero. Frut-to, per lo più, di una mancata conoscenza che porta l’uomo a chiudersi anziché ad aprirsi verso l’altro.Risultato di un’insicurezza di fondo, di un complesso d’in-feriorità, che porta l’uomo ad aggredire e sopraffare l’altro in una sorta di difesa preven-tiva. E tuttavia è doveroso ri-cordare che la crescita delle maggiori civiltà è stata possi-bile dall’incontro-scontro tra i popoli. Quelle che si sono chiuse in una sorta di autodi-fesa sono scomparse, quelle che si sono aperte sono so-pravvissute.

Sara Zanchi, IV D

Grazie. Grazie al grande uomo che è stato Giorgio Gaber, per le sue canzoni, per le sue ma-linconiche riflessioni, ricche di un’ironia dolce e decisa, per i suoi testi capaci di ac-carezzarci e schiaffeggiarci al tempo stesso, linee guida per fermarci a pensare alla no-stra società, al nostro vivere toccando argomenti attuali e delicati. Questo che riporto è un monologo scritto alla fine degli anni ’90 da Gaber e Lu-porini, conclusione di altri sei monologhi nei quali un attore a partire dal dopoguerra fino al duemila si immedesima in un venticinquenne dell’epoca che racconta gli avvenimenti ed i cambiamenti del periodo in cui sta vivendo. Solo in quest’ultimo l’at-tore è un adulto di sessant’anni che dà le pro-prie considerazioni sulla sua società.“Io, quella volta lì, avevo ses-sant’anni. Eravamo nel 2000 ogiù di lì. Praticamente ora. E vedendo le nuove generazio-ni, i venticinquennidi ora così diversi mi doman-do: che eredità abbiamo la-sciato ai nostri figli?Forse, in alcuni casi, un nor-male benessere. Ma non è questo il punto. Vogliodire... un’idea, un sentimento, una morale, una visione del mondo... No, tuttoquesto non lo vedo. Allora ci saranno senz’altro delle col-

pe. Sì, il coro dellatragedia greca: i figli devono espiare le colpe dei padri.Siamo stati forse noi padri insensibili, autoritari, legi-slatori di stupideistituzioni? No. Allora dove sono le nostre colpe. Un mo-mento, era troppofacile per noi essere pacifisti, antiautoritarii e democratici. I nostri padriavevano fatto la resistenza. Forse avremmo dovuto farla anche noi, laresistenza. E’ sempre tempo di resistenza. Perché invece di esibire il nostroatteggiamento libertario non

abbiamo dato uno sguardo all’avanzata del-losviluppo insen-sato? Perché in-vece di parlare

di buoni e di cattivi non ab-biamoalzato un muro contro la mano invisibile e spudorata del Mercato? Perchéavvertivamo l’appiattimento del consumo e compravamo motorini ai nostri figli?Perché non ci siamo mai ri-bellati alla violenza dell’og-getto?Il Mercato ci ringrazia. Gli abbiamo dato il nostro pre-zioso contributo.Ma voi, sì, voi come figli, non avete neanche una colpa?Dov’è il segno di una vita di-versa? Forse sono io che non vedo. Rispondetemi:dov’è la spinta verso qualcosa

E’ sempre tempo di

resistenza

IO QUELLA VOLTA LI' AVEVO 25 ANNI

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novembre 2011 10Attualità

che sta per rinascere? Dov’è la vostraindividuazione del nemico? Quale resistenza avete fatto contro il potere,contro le ideologie dominan-ti, contro l’annientamento dell’individuo?D’accordo, non posso essere io a lanciare ingiurie contro la vostra impotenza.C’ho da pensare alla mia. Però spiegatemi perché vi ab-bandonate ad un’inerziacosì silenziosa e passiva? Per-ché vi rassegnate a questa vita mediocre senzal’ombra di un desiderio, di uno slancio, di una proposta qualsiasi? Forse ilmio stomaco richiede qualco-sa di più spettacolare, di più rabbioso, di piùviolento? No! Di più vitale, di più rigoroso, qualcosa che possa esprimerealmeno un rifiuto, un’indi-gnazione, un dolore…Quale dolore? Ormai non sappiamo neanche più cos’è, il dolore! Siamo cadutiin una specie di noia, di de-pressione... Certo, è il mar-chio dell’epoca. Equando la noia e la depressio-ne si insinuano dentro di noi tutto sembra privodi significato. Si potrebbe dire la stessa cosa del dolore? No!Il dolore è visibile, chiaro, lo-calizzato, mentre la depres-sione evoca un malesenza sede, senza sostanza, senza nulla... salvo questo nulla nonidentificabile che ci corrode.” (Giorgio Gaber e Sandro Lu-porini)

Sara Colombo, 2I

Non mi dedico alla notizia del momento, le dimissioni del premier Berlusconi: oltre al rischio di banalizzare un fatto che merita tutta la nostra lu-cidità, credo che sia ingenuo illudersi che abbattere una statua sia sufficiente a intac-care il sistema che l’ha eretta. Distruggere un simbolo non implica necessariamente far cambiare strada alla società da cui ha avuto origine: i pro-blemi della politica italiana vanno al di là di Silvio Chioma Folta, e temo che continue-ranno. Non ho la pretesa di analiz-zare i problemi della politi-ca italiana. Però ce n’è uno che in particolare mi colpisce molto, ed è un problema dei politici e dei cittadini insieme, perché credo che la politica sia lo specchio della società tanto quanto la società sia lo specchio della politica. Forse potrebbe essere il problema-sintesi tra la malattia della politica e quella della socie-tà, ed è la distanza. La di-stanza come assolutezza (nel senso etimologico di “libertà da legami” che certo voi dot-ti latinisti coglierete subito): assolutezza dei politici dalla responsabilità anche etica del loro ruolo e assolutezza dei cittadini dal loro diritto (che secondo me è soprattutto un dovere) di prendere in mano la loro sorte e chiedere con-to ai politici delle loro azioni. Forse quella che io chiamo

assolutezza è in realtà la vi-sione di un modo di far po-litica fondato sull’ipocrisia, in cui la legittimità del ruolo non è connessa alla credibili-tà personale di chi lo esercita, come se le istituzioni fossero un’entità astratta, avulsa dal-la realtà e che non ha nessuna necessità di incarnarsi nella persona di chi la esercita (tipi-ca frase davanti agli scandali di Berlusconi: “ma quello che in privato sono affari suoi, è inutile parlare di gossip: l’im-portante è quello che fa in po-litica”). È un grosso rischio: un meccanismo di questo ge-nere rischia di imporre un ri-spetto (che assume, mi pare, i tratti del disinteresse) dell’au-torità che impedisce di agire contro di essa nel momento in cui non è più adatta a guidar-ci: prendiamo la strada che ci viene indicata, perché viene dall’alto, a prescindere da chi ci siede, in alto.Ma perché è così marcata la percezione della distanza? Io credo che ci siano almeno due motivi. Uno è legato alla struttura legislativa che lega i cittadini ai loro rappresentan-ti, che votano ma poi perdono voce in capitolo riguardo al proprio vivere nello Stato: l’u-nico elemento di democrazia diretta di cui disponiamo è il referendum. Dice il costitu-zionalista Onida: “il popolo è uno strano sovrano: si limita a scegliere coloro che esercite-

LA POLITICA DEGLI INTERMUNDIA

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11 novembre 2011 attualità

ranno il potere, senza poterli legalmente indirizzare. Per di più, questo popolo sovra-no ogni 5 anni compie le sue scelte elettorali avendo scarse possibilità di discutere pre-ventivamente con i futuri elet-ti (anche se gli elettori ascol-tano molti discorsi e molte promesse): il popolo è, anche quando decide, un ‘sovrano muto’”.Non penso però sia solo que-sto il motivo. Una delle cause sta anche nell’habi-tus mentale che abbiamo assun-to nel guardare e nel fare politi-ca, sia nell’esse-re cittadino sia nell’essere poli-tico, ed è un habi-tus in cui la politica non è cosa dissimile dai rapporti privati, che ne costituiscono lo sfondo e la base, e la cui gestione nel modo più proficuo possibile rappresen-ta il fine ultimo della carriera politica. Il pub-blico è privato, ma non vale il contrario: il privato (e quindi, paradossalmente, l’effettiva gestione del pub-blico!) è segreto, riservato, da tutelare come privacy. Lo spaccato che negli ultimi mesi si è aperto (uno degli esempi più recenti è il caso Lavitola Tarantino) ha squarciato un velo che ci siamo concessi il lusso di ignorare per molto tempo. I politici usano lo Sta-to per farsi gli affari loro, sem-plicemente ignorando la no-stra esistenza come nazione a

cui si deve rispondere del pro-prio operato perché noi siamo solo carne da elezione. Noi da parte nostra assumiamo come normale il loro atteggiamento perché è sempre stato così, e se è sempre stato così è per-ché non c’è modo di evitarlo e se non c’è modo di evitarlo noi siamo impotenti e la po-litica è schifosa ma è lontana, lontana… ed ecco che così la loro irresponsabilità legitti-ma il nostro (comodissimo,

peraltro) disinteresse e il nostro disinteresse

regala terreno fer-tile ai loro abusi.

C o m e possia-

mo ri-spondere

infatti se non rivol-

gendo a no-stra volta l ’attenzio-

ne solo ai nostri affari? Non sentiamo la necessità di esse-re parte di una comunità cui dobbiamo contribuire, se per chi dovrebbe rappresentarla essa non è altro che un mezzo per affermarsi e potenziarsi. Gli anni che viviamo segnano il trionfo dell’individualismo, l’oppio delle nostre menti, in-teso come egoismo ma anche come esaltazione dell’indivi-

duo, messo su un piedistallo con tutti i suoi difetti, le sue sciagure, i suoi consumi, i casi della sua esistenza, glorificato senza il minimo interesse ad andare oltre e a dare all’idolo del momento (il protagonista di un reality, il modello di una pubblicità, il protagonista di una tragedia da telegiornale che non si capisce in cosa sia diversa da una telenovela di basso livello… insomma, tutte le rappresentazioni del sin-golo con cui i mass media ci bombardano quotidianamen-te) una pro- spettiva più ampia di sé stesso:

non esi-ste, nelle immagini dell ’uomo

comune per come ci viene rap-presenta- to, nessuna p r o s p e t t i v a collettiva e, di conseguenza, nessun tratto che lo distingua come citta-dino oltre che come semplice uomo.La democrazia non è una parte della nostra vita quoti-diana. E questo garantisce il perpetuarsi di una politica da brivido come quella attuale e, insieme ad essa, il nostro sen-so di solitudine. Sentimento pericoloso, per la democrazia, la solitudine. Il senso di impo-tenza e di abbandono, di esse-re soli contro un sistema che vuole schiacciarci e a cui non possiamo far altro che ade-guarci, il senso di distanza, spalancano sotto i nostri piedi il baratro della disgregazione sociale, che segna, innanzitut-to a livello ideale, la perdita di senso della democrazia. La democrazia è coesione, con-

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divisione, è capacità di auto-porsi un limite personale per consentire una libertà colletti-va, che sia fon-data sull’ugua-glianza. Le soluzioni? L ’ i s t r u z i o n e , certo. La re-sponsabilizza-zione, certo. L’abbattimento dei simboli, cer-to! Ma credo che sia altrettanto importante, ac-canto a questi percorsi a lun-go termine, trovare subito un punto di partenza immediato, anche in modo confuso e limi-tato, ideologico, acritico e gre-gario, il senso di essere parte e non solo relitto. Ecco perché le manifestazioni popolari, nonostante i mille difetti che hanno, sono importantissi-me: in esse si crea allo stato elementare e per certi aspetti antidemocratico paradossal-mente (si urlano slogan pri-vi di significato reale, spesso anche volgari, che non hanno dietro nessuna riflessione o dibattito critico) quel senso di essere insieme per andare da qualche parte come gruppo, perché se non ci vengo io non arrivi neanche tu, perché avrei l’interrogazione di greco però cosa me ne faccio del greco se non potrò contare su una so-cietà in cui seminare quel che so e contribuire a curare un giardino pubblico sempre più bello e ricco… vale lo stesso anche per i concerti: a che pro stare sotto un palco e sgolar-

Quando è iniziata la rivolta in Libia, qualcuno (e anche io a dir la verità) temeva l’entrata in guerra dell’Italia, ed effet-tivamente ci furono truppe italiane della NATO, ma la guerra non ha interessato di-rettamente l’Italia, né tanto-meno noi cittadini. Il nostro paese non conosce guerra da più di sessant’anni e, sostan-zialmente, si interessa poco delle altre, anche perché mol-to spesso la parola “guerra”, che magari può colpire un po’ troppo l’opinione pubblica, viene camuffata, mascherata, così indorata che nessuno la nota più. Però, se da una par-te è colpa dei media che per assurdi motivi spesso politici non ci danno le notizie così come dovrebbero essere ma come vorrebbero che fosse-ro, dall’altra molto spesso noi non abbiamo voglia di anda-re al di là di questo spettro di notizia che ci viene fatto pas-sivamente assimilare e rima-niamo nel nostro bel mondo Mulino Bianco idilliaco e per-fetto, dove ci giungono solo voci ovattate di quel che acca-de fuori. Ora, non vorrei essere sem-pre ambasciatrice di cattive notizie, ma il mondo è pieno di guerre invisibili a cui nes-suno fa caso. Chi sa dell’at-tentato suicida a Mogadiscio, Somalia, che il 4 ottobre scor-so ha fatto più di cento vitti-me, o dei ventidue pellegrini uccisi dai terroristi in Iraq e

si urlando “perché ci giunga un giorno ancora la notizia/ di una locomotiva, come cosa

viva/ lancia-ta a bomba contro l’ingiu-stizia”? For-se solo per il fatto che vale la pena, ogni tanto, ripeter-ci l’un l’altro che l’ingiu-stizia è qual-cosa contro cui bisogna scagliarsi. Per prendere la rincorsa in-sieme, andare oltre l’impo-

tenza del singolo, e lanciarsi davvero contro l’ingiustizia.

Sara Moioli II A

WAR IS

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13 novembre 2011 attualità

ritrovati il 13 settembre? Chi sa dei bambini morti in Paki-stan lo stesso giorno perché viaggiavano con lo scuolabus (lo scuolabus! Cosa c’è di più normale di uno scuolabus?!) in una zona di Mattani (vicino Peshawar), teatro di frequenti sparatorie? Chi sa dei manife-stanti morti in Yemen il 18 settembre perché la sicu-rezza ha sparato su di loro mentre chiedeva-no in piazza le dimis-sioni di Saleh? Chi si ricorda del conflitto tra Israele e Palesti-na, della Colombia, dell’Afghanistan? Fra qualche mese anche la stessa Libia sarà dimenticata… E chi sa che tra l’undi-ci settembre e il dieci ottobre di quest’anno sono morte circa 4.438 persone nel mondo? In un mese!Ma la cosa che mi ha stupito di più è l’aver capito che essere con-vinti che fare la guerra sia un mezzo barbaro per ottenere le cose o, più generalmente, essere onesti e coerenti con se stessi è una cosa molto rara, mentre credevo -illusa!- che fosse di pochi il non esserlo. E invece non è così. Le leggi spesso si fanno per impedire agli altri di fare quello che non è riusci-to a te, e per darti una par-venza di uomo giusto, mentre

in verità tutto è nato da un’in-giustizia fallita (esempio, la guerra di e per il petrolio in Colombia: finché il governo ci guadagnava, i campi di coca in montagna andavano bene per finanziare la guerra; ma q u a n d o s o n o

entrati nel mirino degli ameri-cani nella lotta contro la dro-ga, sono diventati illegali) . Ed è questa pseudogiustizia che fa più male, perché quando si scopre quello che sta sotto, ci si sente traditi da chi dovreb-be essere lì per te. Dicono che tocchi a noi ora, che sia arri-

vato il nostro momento per fare dell’Italia e del mondo un posto migliore. E allora fac-ciamolo, non deve essere dif-ficile, se si tiene in mente che non operiamo per noi, ma per un bene più grande. È il modo più semplice per non fare una guerra.“Ci si spara addosso in pochi minuti, ma servono generazioni per far guarire completa-mente le ferite” Gino Strada, fondatore di Emergency

Micaela Brembilla, I C

OVER! Sì, ma per chi?

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novembre 2011 14cultura

E adesso basta! Possibile che la massima aspirazione delle ragazze di oggi sia mostrare il “canale di Suez” e quella dei ragazzi vestire Frankie Gara-ge? A questo punto non c’è da stupirsi se la letteratura (ma mi vengono i brividi a chia-marla così…) moderna non fa altro che sfornare spazza-tura su spazzatura, da “Tre metri sopra al cielo” a “Ho voglia di te” oppure, in am-bito cinematografico, “Come tu mi vuoi”. Ma ciò che mi fa più ribrezzo è come viene rap-presentato l’amore. A cosa si è ridotto questo sentimento? È solo un’idea, un concetto, un’immagine di due ragaz-zi che stanno insieme, ma è completamente svuotato del suo potere e del suo va-lore. “Il vero amore è unico, profondo, esclusivo”. Sì, ma quello descritto oggi è turbo-lento e frivolo, vedasi Eclipse (mamma mia, che voltasto-maco). Scusate, che senso ha stare con un vampiro geloso e possessivo che non va aldilà dell’equazione “non riesco a leggerti nel pensiero=ti amo” (perché, onestamente, l’amo-re di Edward nasce da lì) e nel frattempo passare i più bei momenti adolescenziali con un licantropo che ti vuole solo perché sei la ragazza del ne-mico? Mi verrebbe proprio da dire: “Bella, vindica te tibi!”. L’amore è stato svuotato alle radici: adesso nasce da situa-zioni demenziali e degenera in atteggiamenti ancora più demenziali, come nel caso di “Come tu mi vuoi (perdonate la ripetizione: è il peggior film

che abbia mai visto), dove il belloccio finge di innamorarsi della secchiona e lei (poverac-cia) per piacergli elargisce ri-petizioni private e…andiamo avanti.Meno male che c’è ancora gente al mon-do in grado di apprezzare i sentimenti autentici. Per fare un esem-pio, mi ven-gono in men-te le lettrici e i lettori (perché ho scoperto che piace anche agli uomini, anche se a troppo pochi, pur-troppo) dei romanzi di Jane Austen.È di questa grande donna che ora vorrei parlare, e della sua visione al femminile del mon-do, ma un femminile libero da stereotipi e svincolato dalle convenzioni. Prima di comin-ciare però devo precisare che questa mia esigenza di scrive-re su di lei deriva da un disa-gio profondo e da un disgusto quasi disumano che provo nel muovermi tutti i giorni tra adolescenti decerebrati (non è il caso dei sarpini: non di tut-ti, almeno) e non da un’appro-fondita conoscenza del perso-naggio.Ebbene, Jane Austen nac-que il 16 dicembre del 1775 a Steventon, nello Hampshire. Tra il 1795 e il 1797 scrisse i suoi due primi romanzi, che in seguito si trasformarono in “Ragione e sentimento” e “Orgoglio e pregiudizio”, ma

pubblicò anche altri roman-zi quali Persuasione, Emma, Mansfield Park e L’Abbazia di Northanger.Pur vivendo nel periodo delle

guerre napoleo-niche, la Austen non tratta mai nei suoi romanzi gli avvenimenti bellici. Gli even-ti a lei più cari infatti sono le cerchie ristrette della provincia, le storie d’amore e la vita quotidia-

na. Con ironia e arguzia illu-stra i personaggi che popola-no la campagna inglese e che influenzano il sogno di felicità matrimoniale delle sue eroi-ne.Le donne sono il fulcro fonda-mentale di ogni romanzo e per questo motivo Jane Austen è considerata “una delle prime scrittrici a dedicare l’intero suo lavoro all’analisi dell’uni-verso femminile” o, con le pa-role di Virginia Woolf, “l’arti-sta più perfetta tra le donne”.Ma l’ironia di Jane Austen non risparmia nemmeno le sue eroine, di cui descrive pre-gi e difetti in maniera impar-ziale: con battute sarcastiche il lettore inquadra i personag-gi senza la necessità di lunghe descrizioni sui loro caratteri. La cosa più evidente da osser-vare sui caratteri delle eroine è la loro lenta e graduale, ma alla fine completa, maturazio-ne: le donne, qualunque sia il loro carattere e il loro punto di partenza, devono possedere

KEEP CALM AND… be an Austen heroine

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15 novembre 2011CULTURA

virtù come la moderazione e il buon senso che vincono sulla avventatezza e l’impulsività. Un esempio di virtù femmi-nile in questo senso è sicura-mente Elinor, protagonista di “Ragione e sentimento”, che, portando nel cuore per diversi mesi l’amore segreto nutrito per un uomo, e al tempo stes-so consolando e sostenendo la sorella minore Marianne, romantica, impulsiva, testar-da e intransigente, che viene delusa nella sua prima storia d’amore, alla fine riesce a rag-giungere la felicità coniugale. Grande donna Elinor: gran-de esempio di sicurezza e di riservatezza, di gentilezza e prudenza ma anche di forza e determinazione. A lei può es-sere accostata, per affinità di pregi e carattere, la dolce e ti-mida Anne, che secondo me è la più fortunata delle ragazze, visto che dopo otto anni dal-la rottura di un fidanzamento riesce a riprendersi, solo con la grazia del suo candore, il cuore dell’amato. Un caso a parte è invece la cara Emma, che si avvicina molto ad una principessina viziata più che ad un vero esempio di virtù; fatto sta che dopo una matu-razione imposta un po’ per forza Emma è costretta a ri-conoscere i numerosi difetti del suo carattere, perché solo così può ottenere ciò che le sta più caro: l’amore di un uomo che le è sempre stato accan-to, ma di cui lei non si è mai curata seriamente. Ma da non dimenticare è sicuramente la migliore (parere personale) delle creature di Jane: la si-gnorina Elisabeth Bennet. In-

telligente, testarda e determi-nata, sicura di sé e d’appoggio per gli altri, con quella punta di ironia e sarcasmo che non guastano mai (soprattutto se la sorella del tipo che ti piace è una vipera!), Elisabeth è un personaggio interessante sot-to più punti di vista. Innanzi-tutto perché non si lascia mai mettere i piedi in testa da nes-suno, ma al tempo stesso non è superba e non cerca mai di prevaricare sugli altri; in secondo luogo ammette i propri errori (cosa che tutti dobbiamo rico-noscere come la più difficile da fare nella vita) e abbatte i pregiu-dizi che l’hanno sviata dalla veri-tà. Ed ora vorrei aprire una pic-cola parentesi sugli uomini di Jane: perché è giusto che qualunque donna, oltre che femminista, sia anche un po’ maschilista, e così vale per ogni uomo, altrimenti come si potrebbe andare avanti?Non c’è dubbio: nella classi-fica degli eroi della Austen ai primi posti devono figurare Mr. Darcy, Mr. Knightely, il colonnello Brandon e il capi-tano Wenthwort.Essi rappresentano (nell’ordi-ne) l’innamorato di un amore così intenso da stregare “ani-ma e corpo”, l’uomo che de-sidera solo il bene dell’amata ma che ne corregge gli errori, con delicatezza e fermezza, il pazzo di un amore tenero, sincero, costante, impavido

e sicuro e il giovane fedele che ha legato il suo cuore non ad un corpo di donna, ma ad uno spi-rito e ad un’anima.Detto questo, vorrei sottoline-are come i rapporti tra donne e uomini in Jane Austen siano perfettamente (con poche va-riazioni) equilibrati: non esi-ste una sola coppia in cui un membro sia superiore all’altro, ma entrambi sono identici per qualità e opposti per difetti, in

modo da correg-gersi. Non è que-sto l’amore auten-tico? Un rapporto non basato sulle apparenze o sul-la menzogna, ma dove tutto vie-ne messo a nudo quando si parla di sentimenti. Ed è questo che forse

mi manca di più oggi. Ragaz-ze, non ci si deve far ingannare dalle convenzioni che dettano il modo in cui vestire o parla-re: ricercate le cose belle, gli sguardi sinceri e non emozioni e sensazioni superficiali. Trova-te in voi stesse quello che vale-te e tiratelo fuori. La vita non è fatta di cose, ma di valori e la dignità e il rispetto sono impre-scindibili in una società dove il primo nucleo è costituito da un uomo e una donna. Ricordatevi che “la donna è nata dalla co-stola dell’uomo, non dai piedi per essere calpestata né dalla testa per essere superiore, ma dal lato per essere uguale, sot-to il braccio per essere protet-ta e accanto al cuore per essere amata”. Trovate in voi stesse le eroine di Jane e fate vedere chi siete veramente!

Giulia Testa IB

La vita non è fatta di cose, ma di valori e

la dignità e il rispet-to sono imprescin-dibili in una società

dove il primo nucleo è costituito da un uomo e una donna

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Nella storia del fumetto italia-no uno dei posti più importanti è occupato da Andrea Pazienza, pugliese d’origine, adottato da mamma Bologna. Si iscrive al DAMS nello stesso anno in cui si iscrive lo scrittore Pier Vittorio Tondelli, un altro rappresentan-te dell’animo inquieto dei giova-ni italiani degli anni ’70. Prima di collaborare insieme ad altri nomi rilevanti nel panorama fu-mettistico italiano (Tamburini, Liberatore, Scozzari) nella re-alizzazione di diverse fanzine e riviste satiriche (“Frigidaire”,”Il Male”,”Cuore”), partecipa, gio-vanissimo, a “Linus”, storico giornale allora diretto da Oreste Del Buono. Una leggenda dice che Umberto Eco, direttore del DAMS ai tempi di Pazienza, ab-bia raccomandato le tavole del giovane Andrea a Del Buono, ma sono solo ipotesi dell’ini-zio di una fortunata avventura editoriale:”Le straordinarie av-venture di Pentothal”.Il nome della storia periodica,

uscita a puntate su “Alter Alter”, rivista parallela a “Linus”, pren-de spunto dalla sostanza stupefa-cente che il Diabolik delle sorelle Giussani utilizza come siero della verità per estorcere le informa-zioni alle povere vittime: allo stesso modo le tavole di Pazien-za sono il reportage disilluso di una quotidianità frustrante. Non solo, l’autore è allo stesso tempo somministratore del Pentothal e PAZiente, perciò il reportage è più simile a un viaggio oniri-co che a un rigoroso elenco dei fatti e dei misfatti. La Bologna di Pazienza è psico-geografica-mente surreale, simile a quella Felliniana:tuttavia, in Pentothal, sotto al labirinto di portici, c’è una passerella di manifesti e di scritte che rivelano il rancore de-gli anni di piombo (”Un trip non è mai trop”, “Mai tornare indietro, neanche per prendere la rincor-sa”). In particolar modo emerge il punto di vista dei giovani, nella narrazione degli eventi periodici ormai entrati nell’immaginario

collettivo (la fila in mensa, il ser-vizio militare), nel linguaggio in-novativo impiegato da Pazienza. Il lettering selvaggio caratterizza espressioni dello slang comune (“sono in para dura”, ”sono pro-prio flippato”) e modula la ripe-tizione di filastrocche e giochi linguistici, quali “cala aprile del settantotto/sulla capa del po-liziotto”, ”le idee sono come le diomedee:hanno tutte e duee le due e”, ”passa un giorno, passa un mese/anche il micio si ritro-va borghese”, ”immediapresto”. Eventi come i viaggi a Napoli e a Roma vengono rivissuti e riletti in maniera onirica, utilizzando topoi e riferimenti storico-lette-rari: così Napoli diventa un enor-me fogna che si affaccia sul Mar Tirreno, mentre Pazienza, a se-conda dei casi, è il fallito cadetto del generale Custer, un Don Chi-sciotte che difende i propri ideali apartiticamente e fanciullesca-mente o un esploratore delle fo-reste fantascientifiche dei mondi di Moebius. Esattamente come

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17 novembre 2011CULTURA

nel capolavoro di Cervantes, il protagonista cambia continua-mente nome (Pazienza, Andrew Patience, Pentothal, Pentodrin, Detective), alternando simulta-neamente i sogni, gli stili, i greggi di pecore e i mulini da combatte-re.Tuttavia, al di là di ogni signifi-cativa innovazione riguardo al linguaggio e alle tematiche, rara-mente affrontate prima, la novi-tà che balza all’occhio mentre si sfogliano le tavole è la forma: se Hugo Pratt è riuscito, con il suo Corto Maltese, a rendere più raffi-nato il fumetto italiano nei tempi della narrazione, nella caratteriz-zazione dei personaggi, Pazienza ha apportato un rinnovamen-to sul piano stilistico-formale. Quella di Pazienza è un’innova-zione a livello internazionale. La suddivisione dei riquadri è rara e sapientemente proporzionata (un esempio: l’incidente stradale che causa il primo dei viaggi oni-rici). In Pazienza Robert Crumb è messo sullo stesso piano dei cor-pi scheletrici di Schiele; il signor Antipyrine e il Dadaismo, insie-me alla contaminazione confusa di stili e arti, sono la regola im-perante di un interminabile gio-co dell’oca. Il bambino sognante di Little Nemo qui è cresciuto e deve far fronte alla realtà. In que-sta epopea moderna Pentothal-Pazienza è diventato sentinella del suo tempo, “un Orecchiante” che spia da sopra la cima elevata del suo letto le vicende e i vizi dei suoi contemporanei.“Ne avessi avuto il sentore, avrei aspettato e disegnato questo bel Marzo. 16 marzo ‘77”

Stefano Togni, II A

NO SPOILER: il mio scopo in questo articolo non è raccontarvi tutta la rava e la fava del film, ma semplicemente spiegarvi perché questo film è una figata. Perciò GIU’ LA TESTA e leggere.Drive: titolo facile e diretto. Refn: nome leggermente più difficile. Reef? Renf? Ronf? E che è? Un medicinale? Un’onomatopea? Assolutamente no. Nicolas Win-ding Refn, nato a Copenaghen nel 1970 spaccato, è a detta del sottoscritto uno dei registi più fighi sulla piazza. Conosciuto da tempo nel circuito semi-under-ground, sta acquisendo solo ora la fama internazionale che me-rita. Ha iniziato la sua carriera a soli 25 anni, con “Pusher” . Non è il film con Daniel Craig; non è quella tamarrata di “Push”; è “Pusher”, capostipite di una trilo-gia omonima, grandioso spacca-to della malavita danese che rivi-sita con vivacità il genere e lo stile gangster movie. Il film ebbe tra gli altri anche il merito di lanciare il mitico attore (danese pure lui) Mads Mikkelsen, sorta di feticcio di Refn, che ha poi recitato in al-tri grandi film nordeuropei come “Le mele di Adamo” (black co-medy grottesca e commovente) e “L’ombra del nemico” (film stori-co sulla “resistenza” danese degli anni ’40). La fama di Refn è cre-sciuta costantemente grazie alle opere successive, in particolare

DRIVE:5 LETTERE, TANTA ROBA

i recenti “Bronson” (2006), con Tom Hardy, storia romanzata in chiave folle e psichedelica del detenuto più violento d’Inghil-terra, e “Valhalla Rising”(2009), con Mikkelsen, mistica epopea vichinga che mi ha fatto cospar-gere di bava il telecomando. Ora questo idolo se n’è uscito con “Drive”, vincendo guarda guarda il premio per la miglior regia al festival di Cannes. Ma cos’è Drive? Mi sembra di averlo già detto: una figata. Uno di quei film che dopo che lo hai visto al cinema la domenica, ti rimbalza nel cervello per il resto della settimana. Drive è il Nuo-vo Cinema d’Azione. E’ la sco-pa che spazzerà via dalla vostra mente qualsiasi residuo di mon-nezza come Bad Boys o Mission Impossible. Vi farà saltare sulla poltrona. Rallenterà e accelererà bruscamente i battiti del vostro cuore. Forerà le vostre pupille e accarezzerà le vostre orecchie. L’energia e la potenza più pure affioreranno sulla superficie del-lo schermo, si staccheranno dalle immagini che le generano e len-tamente vi raggiungeranno e sa-rete nell’abbraccio della vecchia Magia del cinematografo, quella vera. C’è un driver. Pilota preciso, chi-rurgico, guida addirittura con in-dosso guanti di pelle. Porta una giacca sportiva bianca con uno

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novembre 2011 18cultura

scorpione dorato disegnato sul-la schiena, e quando riesce tiene in bocca uno stuzzicadenti (re-miniscenza da Clint Eastwood). E’ interpretato da Ryan Gosling, ottimo attore ora all’apice della sua carriera. Un personaggio si-lenzioso, misterioso, senza nome: esce da un passato oscuro, terribile, che lo ha reso capace di alter-nare silenzi e pacati sorrisi a picchi di vio-lenza quasi animale. Lui di giorno fa lo stuntman (“guida nei film”), ma di notte fa l’autista per rapine: “hai 5 minuti. In quei 5 minuti ti aspette-rò. Non mi interessa quello che succede prima. Non mi inte-ressa quello che suc-cederà dopo che ti avrò portato a desti-nazione”. Si innamo-ra di Irene, che non è una di quelle gnoc-cone che si vedono in TV, ma è dolcissima e incantevole. La loro storia d’amore è fatta soprattutto di sguardi (come ho visto scritto da qualche parte: “use your eyes: touch is overrated”), di parole ta-ciute, di mani che si sfiorano, e di silenzi carichi di intensità emoti-va e di tenerezza. Succederà qual-cosa di tragico e le loro vite cam-bieranno per sempre. Questa è la

trama, che di per sé è irrilevante. La vera bomba è la regia di Refn, secca e cruda e allo stesso tempo poetica. Quei lunghi silenzi, più potenti di mille dialoghi taran-tiniani, quelle esplosioni di vio-lenza brutale, artistica, ai limiti del gore (che mi hanno ricordato

“Bloody” Sam Peckinpah), quei ralenti epici, quasi leoniani, sono impastati con una drammaticità unica e una scelta esemplare di tempi e di suoni. Il tutto, accom-pagnato da una magnifica colon-na sonora, ti afferra per il collo e ti scaraventa anima e corpo al centro della storia. Le immagini respirano e ansimano, gemono, come lo schermo di Videodro-

me. La presenza di killer mafio-si, di Bryan Cranston (padre di Malcom nell’omonima serie te-levisiva e protagonista della serie “Breaking Bad”) e del grandissi-mo Ron Perlman (Hellboy) non fa altro che migliorare le cose. Con questa opera Refn rivolu-

ziona il cinema d’azione, incatenato com’era allo stereotipo americano (bot-te-inseguimento-sesso, esplosione-inseguimento-sesso…), e impone il suo personale concetto di in-trattenimento: un cinema sì adrenalinico ed emozionan-te, ma anche e soprattutto dotato di spessore artistico. Ed è compresa anche la mo-rale, per niente buonista: il mondo è un vortice di vio-lenza che ci trascina inevi-tabilmente nel suo occhio, per quanto ci sforziamo di sfuggirgli. Sarà possibile la redenzione?...Detto questo, posso solo consigliarvi di correre a ve-dere “Drive” (ormai dovrete recuperarlo in dvd; è rima-

sto poco tempo al cinema e non è stato pubblicizzato a sufficien-za. Mah…) e gli altri capolavori di Refn. Vi chiederei di gridare il suo nome ai vostri amici, e agli amici dei vostri amici. Perché non accetto che sia meno famoso di Michael Bay.

Il Teli, II C

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19 novembre 2011narrativa

In quei giorni di primi freddi gli occhi stanchi di Sandro si incen-diavano nel blu elettrico del ta-bellone partenze e seguendo un loop sballato di ritardi e cancel-lazioni e coincidenze finivano su una macchia d’orzo oltre il vetro temprato dallo smog; i tavoli bianchi del “Posta” gridavano spietati il contrasto cromatico.Il locale, affollato dal popolo del-la stazione, tantopiù quando l’a-ria sibilava tra i binari per tro-varti e ti segava le gambe.Cristina erano due-tre notti che s’era occupata il tavolino in fon-do a destra lontano dalla porta, il che faceva sperare in una so-pravvivenza: un inverno che è sempre troppo e a scaldarla le sigarette singhiozzanti di Pier, guardia notturna.Nottambulo Pier scivolato al bancone vede appannarsi un bicchiere vuoto, birra di qualità sempre peggiore.Nel buio Mara pensava sempre solo a lui e lui lo sapeva ma lui soltanto, che per gli altri Mara era una fantasia sua e non era mai esistita, forse un’angoscia.Angoscia delle notti fiacche acce-se coi fiammiferi, quando i treni inseguono i loro fantasmi in ri-tardo e se ne fregano dei passeg-geri addormentati su sedili.Le notti aspettano i pendolari,non meno morti e non meno puntuali. Mara non esiste. Le guardie notturne non sopravvivono all’alba,quando la notte soccombe spenta ai fanta-smi del giorno.

Reunion nella solitudine

Entro o non entro?La domanda mi rimbalza nella mente da diversi minuti. O sono ore? Difficile decifrare il tempo, quando ci si trova con lo spiri-to sulla vetta di una montagna, inesperto, e con il corpo nella mia città. Guardo il mio riflesso nella vetrina del locale: la mia at-trezzatura consiste in un paio di guanti consunti ed una sciarpa di lana grezza che mai mi è sembra-ta così leggera e inconsistente. La sensazione di gelo nelle ossa è amplificata dal silenzio più tota-le che avvolge ogni cosa intorno a me, interrotto solo dal suono metallico dei miei denti che sbat-tono.Mi stringo nel cappotto e sollevo il capo: accanto a me c’è una don-na, che sta osservando l’interno del locale attraverso la grande vetrata. Il candore dei fiocchi di neve si confonde nei suoi capel-li paglierini, sciogliendosi sul suo impermeabile blu. Mastica il filtro di una sigaretta nervo-samente, continuando a fissare qualcosa al di là della superficie trasparente.Distolgo lo sguardo, e torno a fis-sare la porta.Entro o non entro?Una sensazione di disgusto mi pervade, di nuovo. Tutte quelle persone sedute che considerano disinteressati il bicchiere davan-ti a loro mi mettono angoscia, per la mia incapacità di scavare le loro menti, di scrutare le loro anime. Come se non bastasse, la temperatura sta di nuovo scen-

dendo.Scorro di nuovo l’interno del lo-cale e rimiro attonito la solitu-dine di quel gruppo di persone. Quanto sono diverso da loro? La consapevolezza della mia scon-fitta nei confronti della civiltà mi eleva rispetto al loro oblio? O for-se sono più colpevole, perché non faccio nulla per cambiare questa situazione? Magari fossi ricco, o incredibilmente intelligente, tro-verei certamente un rimedio a tutto questo mal di vivere.Invece ho paura.Ho paura del confronto con loro, ho paura delle loro possibili pa-role, dei loro cenni di compren-sione alla mia situazione, ho pau-ra del calore che da loro potrebbe derivarmi.Ho paura di vivere una relazio-ne con ciascuno di loro. Potrei entrare nel locale, ordinare qual-cosa di caldo, e starmene seduto in mezzo alla gente, godere del silenzio, gioirne fino a sublimare delle salde certezze che dentro ognuno di noi ristagnano ferree.Guardo nel vetro lo squallore di me stesso. C’è qualcosa di nuovo: un sorriso, un’intenzione, forse anche solo il vagheggiare di una speranza.Apro la porta, ed entro.

Un altro sorso di birra e via. Cri-stina è abituata a quella scena, ormai era diventata una routine. E’ tutto così semplicemente per-fetto. Prima il lavoro: si spaccia-va sempre per una donna delle pulizie; bastava suonare il cam-panello, sfoggiare il sorriso più

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ipocrita ed essere convincente. Immediatamente tutti si fidava-no di lei. Era l’unico modo che aveva per entrare nella vita delle persone. Una volta padrona della casa, il piano cominciava. Fru-gando nei cassetti, osservando vestiti e accessori, analizzando il cibo nel frigorifero, la prove-nienza dei tappeti, le fotografie di famiglia, il colore delle tende, la marca di shampoo usata o le pantofole accanto al letto, po-teva farsi un’idea delle persone. Per un po’ di tempo cercava di immedesimarsi in loro. Dormiva nei loro letti, mangiava i loro cibi, indossava i loro gioielli, si lavava nei loro bagni e si divertiva con i giochi dei loro bambini. Ovvia-mente stava sempre attenta a non lasciare alcuna traccia delle sue ‘’intrusioni’’ e tutto era sem-pre come i proprietari l’avevano lasciato. Dopo questo periodo di conoscenza, iniziava la fase meditativo- organizzativa. Il bar era il suo rifugio. Ultimo tavolo nell’angolo. Dopo la solita serie di birre bionde bevute in tre sor-si, i pensieri iniziavano a fluttuare nella sua mente. Quando? Sem-plice: bisognava agire di notte, momento in cui le vittime erano più indifese, deboli e attaccabili che mai. Come? La tecnica prefe-rita era un colpo secco nel petto, dritto al cuore. Perché? A quello non c’era risposta. Lo faceva e basta senza riuscire a darne una spiegazione. L’idea che potesse tenere nelle sue mani l’esistenza delle persone e dirigerla nella di-rezione che lei voleva era potente e gratificante. E ancora più ecci-tante era sentire le loro grida di-sperate che supplicavano pietà, e i loro lamenti agonizzanti di chi è in fin di vita. Quella sera si prepa-

rava ad agire contro l’uomo che stava parallelamente di fronte a lei: Pier. Essendo una cliente abi-tuale del bar, lo vedeva spesso, talmente tanto frequentemente che aveva finito per interessarsi a lui. Non lo conosceva, ma una forza irresistibile e un bisogno impellente avevano supplito alle sue scarse conoscenze. Pier be-veva molto e fumava: non sapeva altro, eppure non riusciva ad ac-cettare l’idea di rassegnarsi e de-sistere. Per questo aveva preso a frequentare il bar più spesso e in particolare quegli ultimi tre gior-ni non le avevano lasciato tregua. Non riusciva a concentrarsi come avrebbe voluto, avendolo sempre sotto gli occhi. Riuscì finalmente ad ammettere che fosse attratta da lui, il che la confondeva ma la inebriava ancora di più fino a farle sperare che un insolito spo-stamento nell’aria pesante del locale, portasse fino a lei un filo del fumo delle SUE sigarette. Nel frattempo, struggendosi, lo os-servava cercando di dominarsi e costringendosi a restare seduta al tavolo aspettando l’occasione giusta. Si ripeteva continuamen-te che il giorno dopo sarebbe sta-to quello migliore per agire. In realtà aveva già progettato tut-to, sarebbe bastato seguirlo una volta fuori dal locale e aspettare di non essere vista per sorpren-derlo alle spalle e affondargli dol-cemente fra le costole il coltello che, anche ora seduta al bar, le scintillava nella mano, colpito dalla luce della lampada che fil-trava obliquamente fra le pieghe del cappotto. Eppure erano già passati tre giorni senza che si fosse decisa ad agire, quella sera rimuginava sulla sua insolita debolezza conscia del fatto che stava nuovamente posticipando il momento tanto atteso e chie-

dendosi come aggirare l’ostacolo rappresentato, per una volta, sol-tanto da se stessa. Si passò una mano fra i capelli riscuotendosi dal torpore che l’aveva assalita e vide di sfuggita gli occhi di Pier scrutare la stanza senza un mo-tivo apparente, posandosi anche su di lei; fu sufficiente. Aveva de-ciso, ormai non c’era più spazio per i dubbi, di lì a poco avrebbe risolto tutto.

Questa sera sono ancora qua, se-duto sul bancone di questo bar, in attesa del raggio di sole che aspetto da tre mesi. E lì, sul fon-do del bicchiere, mi sembra di intravedere il volto di lei riflesso, come avvolto in un alone di no-stalgia. Ricordo con malinconia il giorno del nostro primo incontro e in un istante ogni particolare diventa nitido nella mia mente… Il suo sorriso, i suoi occhi azzur-ro ghiaccio, che mi scioglievano ogni volta che i nostri sguardi si incontravano; sento il dolce pro-fumo di lavanda, lo stesso aroma che avevo respirato durante il nostro primo incontro nel parco, il delicato venticello primave-rile mi accarezza la pelle, con la stessa leggerezza con cui scompi-gliava il biondi capelli della mia Mara.I ricordi ora mi stanno velando gli occhi di lacrime mai cadute e la mia paura di perderla sta di-ventando quasi palpabile, viva. Ma non voglio apparire un debo-le agli occhi della gente nel bar, così inizio a fumare una sigaret-ta, l’unica mia vera salvezza da tre mesi.Poi, involontariamente, picchiet-to le dita sul bancone in legno e il piede batte nervosamente sul pavimento; lo sguardo vaga tra le bottiglie mezza vuote di Martini

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21 novembre 2011narrativa

e vodka, fino a scivolare oltre una porta dietro la quale si intrave-dono le cameriere indaffarate a cucinare.Tornando alla realtà il gelo che viene da fuori e dal mio cuore mi assale e non vedo vie di fuga da questo inverno senza fine, così accendo un’altra sigaretta. Un passato scomodo non si dimen-tica con uno schiocco di dita: è questo ciò che penso incessante-mente da tre lunghi, bui mesi.In un momento rivivo il fla-shback della mia insulsa vita, piena di rabbia, rancore, ferite non rimarginate e del lontano ri-cordo di Mara, l’unica salvezza, la ragione che mi permette di com-piere un respiro, poi un altro e un altro ancora…Erano tre mesi che l’aspettavo, seduto su questo bancone, ma l’avevo desiderata per tutta la vita.

Una sigaretta. La prima di una lunga serie, ne sono certa.D’altronde, è l’unica fonte sem-pre disponibile a cui posso attin-gere per trovare le forze necessa-rie per affrontare la vita; quelle forze che ora mi servono per tro-vare il coraggio di entrare nel bar Posta.Eccolo: lo vedo attraverso la ve-trata. Pier, appoggiato al banco-ne, è intento a fissare un bicchie-re vuoto di birra.Mi dà le spalle. Non mi vede. Non deve sapere che sono qui, non fino a quando non mi sarò decisa ad entrare.Mi stringo ancora di più nel mio cappotto e attingo di nuovo alla mia fonte di energia.Una panchina: isolata, semi illu-minata dalla luce fioca di un lam-pione, sembra fatta apposta per

accogliere una ragazza pensie-rosa con gli occhi arrossati dal-la stanchezza e dal gelido vento notturno.

Due sigarette.Non sono capace di amare. Più volte ho tentato, ma il ricordo che avrei voluto conservare si cancel-lava invece di aumentare e senti-vo che mi sforzavo di amare, che recitavo, di fronte al mio cuore, una commedia che non poteva ingannarlo. Fin dall’adolescen-za avevo capito di non essere in grado di provare un sentimento che andasse al di là del primitivo desiderio sessuale.Io che sono fatta di pietra e di fuoco.Ma non importa.

Un’altra boccata.Con Pier è stato diverso. Il cuo-re palpitava nel vederlo, una fitta allo stomaco mi impediva di re-spirare.Il desiderio sempre più costan-te di imprigionare per sempre il calore del suo corpo nella mia mano mi tormentava.Ho avuto paura. Temevo i miei stessi sentimenti.Ho avuto paura di aver trovato finalmente l’amore.Non potevo permetterlo: mai sa-rei appartenuta ad una persona. Nessun uomo mi avrebbe mai abbandonata. E mai, guardando-mi allo specchio, avrei visto una donna sola, con il cuore spezza-to e il volto rigato dalle lacrime, come mia madre, abbandonata da quell’uomo che devo chiama-re padre.Sono sparita dalla vita di Pier. Sono diventata un fantasma.“Ci vediamo domani sera al Po-sta, alle 9”, mi disse l’ultima not-te trascorsa insieme. Non ho avuto il coraggio di an-

darci.

Tre sigarette: era inevitabile.Il ricordo dei suoi occhi azzurri in quell’indimenticata, ultima notte di luna non mi abbandona.Sono davvero disposta a perdere l’opportunità di amare per pau-ra?Lui è lì, dentro il bar. Sono sicura che mi aspetta. Tutte le notti. Da tre mesi.E io vengo a sedermi su questa panchina. Tutte le notti. Da tre mesi. Per cercare la forza di en-trare nel bar.

Mentre la sigaretta brucia, guar-do nel vuoto; lasciando che il ri-cordo del suo sguardo e del suo sorriso mi fluisca dentro ancora una volta.Getto il mozzicone.Un respiro profondo e, senza esi-tazione, entro nel Posta.

N°1123- 9:45, questo treno non arriva più- N°5813- chi me lo fa fare questo lavoro, guarda in mezzo a che gente mi tocca stare..-N°2134- mai farci caso alle quote quando si tratta di ca-valli- N°5598: anche oggi è an-data, si torna a casa.- Che poi a me non è che me ne importa se son cenciosi o negri, mica sono razzista, - chi ne mastica di caval-li, come ce ne mastico io, non ci casca in questi trucchetti – altro che dormire stanotte, svengo sul divano.

“Bzz.. bzz…” ecco! Le 9:46, è mia moglie che rompe perché sono in ritardo.

Come “Furianera”, bel cavallo, gli allibratori lo tengono dentro la manica perché ha dei buoni tempi, ma non vince una gara

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novembre 2011 22narrativa

DA UN ANNO- che poi, finché si vive da soli, una birretta, una pasta al sugo … mica ci vuole il Gambero Rosso- solo mi faces-sero un po’ di spazio, diamine, si vede che son “qualcuno”- 9:47, certo che anche lei ha una bella faccia tosta, dopo che la manten-go facendomi un mazzo “così”-essenzialmente perché il fantino non ha carattere.

N°5813:”Scusi, ho visto il fogliet-to, lei gioca spesso?” N°2134: “Quando capita..” N°5813: “E si vince?” N°2134: “Basta saper giocare, alla fine son solo cavalli” N°5813: “Basta non esagerare, sa come si dice dell’ippica, che è un surrogato della masturbazione..” ridacchia

Cosa avrà da ridacchiare ‘sto qua, che fa domande senza nemmeno conoscermi? Scommetto che ci prova- ma poi ne valeva davvero la pena di fare avanti e indietro su ‘sto treno puzza-di-piscio per guadagnare un po’ di più?-come se le importasse se vengo a cena, poi a letto è sempre frigida -che burbero, era solo per fare quattro chiacchere.

*Gingle* “Il treno proveniente da ****** è in arrivo al binario 6”- 9:50, temo che lei mi tradisca.

La prossima volta vado a lavoro in macchina –certo che è strana la vita, sono anni che passo le giornate sui treni e sono ancora solo come un cane – alla fine mi conviene puntare su quelli che erano favoriti tre corse fa, mi tra-discono sempre meno...

*Gingle* “Il treno è in arrivo alla stazione di ****”

Oh finalmente, non ne potevo più di questo disperato qua vici-no – solo , in un oceano di perso-ne –eccoli che scendono, almeno quello la smette di farmi doman-de sui fatti miei.9:53 eccolo: “Si cara sto sa-lendo adesso sul treno” N°5813:”Guarda dove vai, imbe-cille! Non vedi che sto scenden-do?!”

-Cielo nudo, le notti passano sen-za stelle sulle teste dei pendolari, si torna a casa.

La commissione NarrativaIntro:

Davide “Accio” Gritti IIASandro:

Stefano Martinelli IIB, Elena Occhino IV F

Cristina: Marta Cagnin ID, Iaia Paganoni IIC

Pier:Federica Zonca IV D, Elena Moreschi IV F

Mara:Lucia Cappelluzzo II I

Pendolari:Pietro Valsecchi III F,

Davide “Accio” Gritti IIA

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23 novembre duemilaundici sport

Poche giornate sono bastate all’Atalanta per lasciarsi alle spalle la penalizzazione che per molti avrebbe dovuto ri-sultare un ostacolo insormon-tabile: la formazione orobica, sovvertendo tutti i pronosti-ci, si ritrova dopo 10 giornate con 4 punti di vantaggio sulla zona retrocessione (occupata dall’Inter, stranezze di que-sto campionato ancora senza padroni) ma soprattutto con un bottino di punti che, sen-za penalizzazione, sarebbe da Europa. Molti fra gli addetti ai lavori attribuiscono questo exploit inatteso alla rabbia per una penalizzazione vissu-ta come spropositata, ma le vicende giudiziarie, ancora in corso, non possono essere un motivo per i risultati di una squadra. E dunque di chi sono i meriti?Sicuramente al primo posto vi è la società; la famiglia Per-cassi ha indovinato tutte le strategie, a cominciare dalla scelta di Marino come diret-tore generale: questi, grande uomo di calcio, ha infatti per-messo alcuni degli acquisti più azzeccati dell’anno (da Denis a Moralez, passando per Ciga-rini), ma soprattutto ha con-fermato un tecnico quale Co-lantuono, grande lavoratore, consegnandogli in mano una squadra dall’indole guerriera ma dai piedi delicati, e i meriti del tecnico di San Benedetto sono l’aver indovinato la po-sizione migliore per il picco-lo Moralez, libero da schemi e con la facoltà di occuparsi

delle sue posizioni preferite, e le “coppie” a centrocampo e in attacco (Moralez-Denis e Cigarini-Carmona, raramente gioca solo uno dei due). E lo stesso Colantuono ha sicura-mente organizzato una pre-parazione estiva azzeccatis-sima, se è vero che l’Atalanta non è mai apparsa inferiore ad alcun avversario sotto l’a-spetto della corsa: bisogna peraltro considerare che Co-lantuono ha costruito la sua carriera lavorando prevalen-temente sulla difesa, che è il punto forte anche della Dea di quest’anno, perciò fino a quando arriveranno anche i gol l’Atalanta può sognare in grande.Ovviamente non vanno di-menticati i meriti dei singo-li, a cominciare dal ritrovato Consigli, additato come causa maggiore della retrocessione di due anni fa e ora esaltato tra i migliori portieri italiani: di certo il vero Consigli è que-sto, tornato ai livelli di quan-do era il titolare dell’under 21 e i vari Sirigu e Viviano erano le riserve, e non l’impacciata giovane promessa di due anni orsono; la difesa al completo poi, con gli innesti di Masiel-lo e Lucchini in aggiunta a Peluso, Manfredini e Capel-li, sembra già aver raggiunto un feeling da “Grande”: rara-mente si vedono movimenti sbagliati, più spesso i gol su-biti arrivano per invenzioni dei singoli; il centrocampo è costituito da giocatori che ve-dono il gioco in anticipo, qua-li Cigarini e Bonaventura, e i tipici “corridori” come Padoin

e il “Levriero” Schelotto, gran-de sorpresa di questo avvio di stagione: l’Atalanta gioca un bel cal-cio grazie anche a loro, e dove non arrivano i passaggi ci sono gli sfon-damenti degli esterni (Sche-lotto di prepo-tenza, Bonaven-tura di classe); infine l’attacco, dove il “Tanque” Denis sta superan-do le più rosee aspettative con 8 gol in questo avvio di sta-gione, e il piccolo “Frasquito” Moralez non è da meno, con il suo baricentro basso e una ra-pidità da mal di testa, in atte-sa dell’esplosione dei giovani Marilungo e Gabbiadini, che mai hanno sfigurato nei pochi minuti a loro concessi.Ma dove può arrivare l’Ata-lanta?Sicuramente non può reggere questo ritmo per tutta la sta-gione, e forse alcune alterna-tive tra difesa e centrocampo mancano, ma sicuramente un inizio così può dare una fiducia tale da far compiere imprese a questa formazione (salvezza anticipata? Euro-pa?) sull’onda lunga dell’entu-siasmo iniziale. La ricetta per proseguire di questo passo è non perdersi d’animo quan-do si presenteranno le prime vere difficoltà, per poter dav-vero sognare ad occhi aperti e tornare ad essere la “Regina” delle provinciali.

Luca Parimbelli, 3°I

Il Levriero e La Bottiglietta

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novembre 2011 24terza pagina

MANUALE D’INTERPRETAZIONE DEI SOGNI

Dai tempi più remoti fino alla psicanalisi freudiana, si è sem-pre cercato di trovare un senso sensatamente sensato all’inter-no di qualcosa di insensatamen-te insensato (o forse solo appa-rentemente senza senso) quali sono i SOGNI.Visto che sono volate per seco-li sciocchezze riguardo ad essi da parte di presunti indovini e strizzacervelli, abbiamo deciso di offrire a voi fortunati lettori di Cassandra parte della nostra infinita saggezza e darvi qual-che dritta su come interpreta-re i vostri sogni a partire dagli elementi che vi ricordate aver sognato. (Questo è solo un rias-sunto, la versione completa sarà messa in commercio per poche migliaia di sterline cingalesi)

- Un cammello in un cavolfiore: lo stress della scorsa settimana ti fa fare sogni che non c’entrano un cavolo quel quello che ti è successo e con quello che ti succederà, ma forse…. Del cammello non sa-prei dirti, ma molto probabilmente ti trasfor-merai in un alligatore a breve- Justin Bieber: FATTI DELLE DOMANDE!!!- Una mongolfiera: se passi la giornata con la testa tra le nu-vole, poi non ti stupire che sogni cosa del genere, eh! Comunque aspettati la visita di un lontano parente (vedi foto)

- Acqua di cascata che scen-de all’ingiù: be’, che ti aspettavi altrimenti????- Dente canino destro di fen-nec africano: ehm….- Scatola di fiammiferi: sei forse un piromane??? O forse ti piace solo l’odore dello zolfo? In ogni caso cerca di non portarne in tasca (come già ti è succes-so) durante la lezione di chimica in labora-torio o nello stanzino dei detersivi infiam-mabili delle bidelle (non riesco a trovare un motivo per cui qualcuno dovrebbe infilarsi in quel buco, o meglio, non lo voglio sapere…)- Un cavatappi: anche in sogno brami di utilizzare il prodotto del vignaiolo??? Probabilmente

il tuo futuro sarà esattamen-te come i tuoi sabati sera

passati (sempre che tu te li ricordi)- Un unicorno di

origami: non è che sei un androide, vero? In futuro probabilmente

vedrai cose…. Eccetera ecce-tera…- Una doppia punta: o sei tal-mente ossessionato dalla cura dei tuoi capelli che anche di not-te hai paura che si rovinino (vedi altra foto), oppure ti stai dando troppo alla nuova arte che hai in-ventato durante le noiose lezio-ni di storia: la TRICOMANZIA

ovvero la predizione del futuro attraverso lo schema apparente-mente casuale delle tue doppie punte. Dunque nel primo caso credo che il tuo futuro non ti in-teressi più dei tuoi capelli, quindi

anche se evito, nel secon-do immagino che un trico-mante come te veda molto più lontano di me nell’imper-scrutabile de-stino….- Un etto di bresaola: mi piace la bresa-ola, soprattutto sulla pizza con

grana e rucolaah, tu volevi che parlassi del tuo sogno? Si va be’, ma come potrei mai trovare un senso a un sogno riguardo alla bresaola?- il GI: NOOOOOOOOOOOOO MA CHE RAZZA DI SOGNI PERVERSI FAI?!?!?!?!?!?!?!!?

Mi rendo conto che questi sa-ranno i sogni prodotti solo dalle menti più deviate, ma che volete farci?(L’AUTRICE DI QUESTO AR-TICOLOCI TIENE A SOT-TOLINEARE CHE I SOGNI DESCRITTI NON SONO AUTO-BIOGRAFICI… OK VA BENE, LA MAGGIOR PARTE NON LO È)

Cape Taun (Letizia Capelli), II A

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25 novembre 2011 terza pagina

III IPICCIRILLI: quest’anno ho deciso di non fare niente…

PICCIRILLI: vi farò fare la-voretti di gruppo, a coppie di tre…

PICCIRILLI: per uno strano destino della sorte…

PICCIRILLI: lei era lì, che scavava nell’aria fritta…

(STE E MALVE ENTRANO IN RITARDO)MALVE: ci scusi profe, erava-mo col professor CampanelliSTE: si parlava di cozze, von-gole,...

PICCIRILLI: Carducci non è che poeticamente abbia fatto chissà che…MICH: eh no…

PICCIRILLI (dopo aver nuo-vamente detto un termine per un altro): oggi non so che mi succede, magari sto diventan-do dis… dis… come si dice… dis…

PICCIRILLI: siccome sul libro non c’è, scrivetelo che ci fate un piacere, a voi… OLLI: pluralis maiestatis?PICCIRILLI: no, siciliano

PICCIRILLI: Dai apriamo ‘sti “Sepolcri” e vediamo cosa c’è dentro…

PICCIRILLI: non è che nel Romanticismo vedi una don-na passare con una mucca…

CUBELLI: Lisistrata dice “I nostri uomini pensano solo alla guerra? Benissimo, non gliela diamo più”

(parlando della guerra dell’Oppio)GIACONIA: ho incontrato due ragazzi che mi dissero “La storia sono fatti”MICH: “e in questo caso direi che siamo d’accordo…

GIACONIA: c’è un secondo round, potremmo dire, visto che si parla della guerra dei “Boxer”

GIACONIA: il Romantico è uno che non ci sta dentro

OLLI: profe non vorrei subito criticare la proposta…GIACONIA: ecco, non lo fare

(Curtò entra in ritardo, trafe-lata)TOBALDO: Curtò è inutile che fai la scena tanto lo sappiamo che hai corso solo l’ultima rampa di scale della torretta!

(parlando della tangente)TOBALDO: potete scrivere “tg α” o anche “tang α”, basta che poi, non ridete perché è suc-cesso davvero, non me lo leg-

gete “TANGA”

TOBALDO (a Nello e Chiara): Piccioncini, la smettete?CHIARA: scusi stavamo par-lando dell’Inghilterra…TOBALDO: ah state già pro-grammando il viaggio di noz-ze?

PICCIRILLI: Corbani leggi il tuo tema, che ieri eravamo in quattro e nessuno è riuscito a leggere la tua scritturaNELLO: veramente, non si offenda, ma a giudicare dal lavoro sul tema sembra che non l’abbia proprio letto nes-suno…

PICCIRILLI: Foscarini, per esempio, che ha una bella scrittura da signorina…

PICCIRILLI: Per esempio là in fondo Palamini che sta fa-cendo?PALA: CHE SODDISFAZIO-NE!!! (sollevando e mostran-do il libro di italiano e i relati-vi appunti)

V EBONASIA (spiegando i tre si-gnificati di fio): essere fatto... non ha alcun vedere con la tossicodipendeza eh!

BONASIA: Fero è un verbo così carino, ha tutta una sto-ria dietro!

Ipse Dixit

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novembre 2011 26terza pagina

ZAPPA: Placate le vostre fiam-me verbali! Manco ci fosse il periodo dell’amore!

MORETTI: Mi dividete i pie-di?CLASSE: Eh?MORETTI: Quelli metrici, dai!

BONASIA: Ormai mi sento un reperto bellico!

EX IVF (2010-2011)GENTILINI: Shakespeare in-sisteva sul fatto che tutti gli uomini sono uguali…PIETRO: Io no, io sono più basso *abbassa la testa*

SALVATI: Ma i ragazzi hanno pensieri allegri: è un τòπος!PAOLO: Un gattos! (e la classe si accorse della qualità scarsa delle battute di Paolo)

SALVATI: Ma, Lorenzo! Tu fai i compiti d’Italiano alle otto di sera, quindi?!LORENZO: No, prima guardo Sanremo.

(Marcello Sensini è l’autore del libro di grammatica italia-na)SALVATI: Ehh, ma questo Sensini: Quanti errori!PAOLO: Sensini ha fatto pro-prio un Ma(r)cello!

PIETRO *toglie il sacchetto dal calorifero e ci mette il di-zionario*RONDI: Cosa fa adesso? Sten-de i panni?!

SALVATI leggendo: “Ed ecco: sono stato in Frigia e vidi tanti uomini Frigi!”PIETRO: Capitan Ovvio!

(si parla dell’oracolo di Delfi)PIETRO: Mia sorella ci ha fat-to la tesina su Delfi!SALVATI: Ah! Come si chia-ma tua sorella?PIETRO: Monica, il cognome come il mioSALVATI: Ma non mi dire!PIETRO: Come quando sono stato in Frigia, del resto!

RONDI: Bravo! Ti meriti un più zero.

GENTILINI: Barbara (pro-nuncia inglese)PIETRO: Streisand! Uuuuhuhuhhuuu!

AGOSTINO (interrogato): E questa è una subordinata in-finitiva soggettiva... RONDI: Ma nasconditi!

GIULIA (leggendo la tradu-zione): “Poiché perdo la forza dell’esercito…”RONDI: Il nervo! Il nervo dell’esercito! Giulia, ti puoi pure nascondere.

COLLEONI: Abbiamo qui la circolare numero XPAOLO: A me, se devo essere onesto, sembra rettangolare… (La classe assale Paolo)

LORENZO, interrogato, sem-plifica un’espressione alla la-vagnaRUGGERI: Lorenzo, io non sto capendo il tuo ragiona-

mento…LORENZO: Neanche io…

SALVATI (leggendo): “Gli dei filarono questo per i mortali infelici: vivere nell’amarezza; essi invece son senza pene” *s’interrompe e cala il silen-zio*CLASSE: Ahahahahahahahah

SALVATI: I greci volevano annientare i Persiani!PAOLO: Ma era una guerra PERSIA! (Pietro colpisce Pao-lo a colpi di materassino)

(Durante l’ora di scienze si parla di Guglielmini, che lan-ciò un grave da una torre per provare la rotazione della ter-ra)ANZALONE: Poi cosa abbia lanciato io non lo so…PIETRO: Forse la suocera....

RONDI: NonCorrereCo-meUnTrenoFreccirossa!

V FCOLLEONI: Ad esempio, pro-prio come un asilo cattolico, è esente dall’ICI anche un asilo ebraico o un asilo satanico…

PAOLO: I went to Sicily.GENTILINI: NEW ZELAND?!

PICCIRILLI: Volevo fare un lavoro a coppie, quindi... ac-coppiatevi!CLASSE: Ahahahahahahah PICCIRILLI: Non in senso ri-produttivo!

(Brusìo)GENTILINI (all’improvviso):

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27 novembre 2011 terza paginaALESSIACOMESIDICESCO-IATTOLO!?A L E S S I A ( d ’ i m p u l s o ) : SQUIRREL!GENTILINI: Ah, ok.

GENITILINI: Paolo, can you tell me the time?PAOLO: Mancan cinque e suona, profe!

PICCIRILLI: Il problema è che se noi facciamo schifo, l’u-nione europea ci dice: ”Guar-date: voi fate schifo.”

PICCIRILLI: Quando ho mal di testa sono intrattabile, po-trei fare una strage… dicono che la signora di Erba soffris-se di mal di testa… *Guarda la classe minacciosa*

GENTILINI: Lo ripeto, lo ri-ripeto e lo strapeto! CLASSE: AhahahahahGENTILINI: E non m’importa se la mettete negli Ipse Dixit!

PICCIRILLI: Guardate che i Troiani avevano una cultura come quella dei Greci… mica Umpa-Lumpa!

RONDI: Mi sembra di parlare cinese imparato dai miei vici-ni!CLASSE: Ahahahahahahaha-hahahahRONDI: Adesso non li vedo più, si vede che han freddo…

PICCIRILLI: Ma vedete che siete dei cavoletti!?

III CAGAZZI: Guarda che gli spiri-ti i’è mìa i fantasmi, eh!

AGAZZI: Come dire, oh, Euri-pide, osti, te la cerchi! Poi lui se n’è andato da Atene perché lo spintonavanosull’autobus...

AGAZZI: Non è che un padre vada a vendere le figlie per il sale e l’aglio, a meno che non sia propriosnaturato. Almeno un pollo arrosto!

RAFFAELLI: Anche qui i rag-gi devono... radere?”

AGAZZI: Cattaneo, se l’aves-si trovata tu questa versione alla maturità cos’avresti fatto? Avresti detto “vogliola mamma”!

GENTILINI: Svoltato l’ango-lo a destra c’è la vetrina degli animali impagliati. Chiedo a qualcuno di aprirla e dimettervi dentro.

PAGLIARINO (parlando di Persio): Probabilmente l’o-scurità è stata la sua fortuna, perché i copistidicevano “cos’è questa roba

qua? Copiamola che non si sa mai che sia qualcosa di impor-tante!”

AGAZZI: È l’undicesimo co-mandamento, “non citare la Mesopotamia invano”!

AGAZZI: Equivoco antichissi-mo: questa, sposata, al sesto mese partorisce. Oh, è stato Zeus!

RAFFAELLI: Questa è la di-spersione, non la diffrazione... ti sei dispersa?

BUONINCONTRI: Venere vincitrice... che cos’ha vinto? Al Totocalcio?

CATTI: Prof, lei è la nostra mamma chioccia!CAMPANELLI: To’ sorella!

(La classe è in aula di scienze. Si apre la porta, ma viene ri-chiusa immediatamente. Un minuto dopo rientraIsotta)RAFFAELLI: Eri tu anche pri-ma?ISOTTA: No, era la professo-ressa che si occupa dell’orien-tamento, ha guardato e se n’è andata...RAFFAELLI: Si è disorienta-ta?

Page 28: Cassandra - Novembre 2011

La RedazioneDirettore Responsabile:Davide Rocchetti, III A

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28 novembre 2011