Cassandra | Maggio 2015 | Il caos

32

description

KAOSSSSSPAD

Transcript of Cassandra | Maggio 2015 | Il caos

2 | maggio 2015edjt

oria

leDomenico ha provato a farla finita coi sogni, ma non è servito. Ha rinuncia-

to alle sue paure pur di farcela, ma non è bastato. Chi lo avrebbe detto che si sarebbe ritrovato a Maggio così sperduto in un posto che, in realtà, cono-sceva meglio di tutti gli altri. Eppure insisteva con questa storia che l’inter-vallo non era più la stessa cosa, che il sole, stavolta, non gli faceva male solo agli occhi ma anche al cuore. Doveva scrivere un editoriale ma le parole mancavano, erano assenti, forse per paura dell’ennesima interrogazione. Non ci riusciva proprio, poverino. Fra i pianti dei ricordi e le ultime interro-gazioni voleva solo poter tornare un attimo indietro. Gli avevano detto che il tema del prossimo Cassandra sarebbe stato il caos ma non si aspettava una tale immedesimazione. E poi l’idea che quella fos-se la “penultima” volta che scriveva su quel dannato giornale lo distruggeva. Gli dava come l’illusione che ci sarebbe stato ancora del tempo per evitare la fine. Si ricordò di quei giorni, doveva avere 7 anni, che passava sempre in cortile col cugino giocando “a rigori”. E quando il padre lo veniva a raccatta-re dicendogli che era ora di cena, Domenico lo supplicava di aspettare: “Pà’ aspetta, il penultimo tiro, ti prego”. Perché Domenico non voleva mai che le cose dovessero terminare, non diceva, come gli altri, “l’ultimo”, il suo autoin-ganno pensava a un’immortalità, che, in quel momento, si andava sgreto-lando dietro ogni angolo della stupida scuola pubblica che aveva scelto. E non aveva mai trovato giusto il dover abbandonare qualcosa solo perché “è ora di prendersi le proprie responsabilità”.

Da dove il vento come ogni giorno m’infrango.

Domenico allora prova a reagire, si alza dalla sedia in un qualsiasi cambio dell’ora e scappa, per una volta scappa, e mentre i pullman cambiano la destinazione lui non scende alla fermata del suo futuro, lui non si ferma, e continua a correre anche quando non dovrebbe, e ve lo dice forte, che vor-rebbe poter ritornare per sempre al Sarpi. Desidera tanto vomitarvi addos-so tutti i suoi ricordi ma si sente così stupido e melodrammatico che quasi vorrebbe cancellare tutto quello che ha scritto.

“O scemo, guarda che ci sono ancora gli esami” “kazzi miei”

Paolo Bontempo, IIID

P.S: Volevo ringraziare il Piè e il Sabbone per la possibilità di skrivere l’edi-torial, e anche tutti quelli che non lo hanno letto. E anche Domenico che si immola da protagonista di smatti. E uno scusa al personale Ata per lo scor-so Cassandra. Seiv de cildren.

maggio 2015 | 3

somm

ario

SARPI L’imbarazzo della scelta | pagina 4Il caos dell’immobilità | pagina 5Che cosa salverà il mondo? | pagina 6

ATTUALITÁRestiamo umani, ma tutti | pagina 8Flusso sul ginepraio che ci circonda | pagina 9Matto da legare | pagina 10

CULTURAFino a quando l’entropia non... | pagina 11L’arte del caos | pagina 12Victoria | pagina 13

NARRATIVAAspirante morte 4 | pagina 13Un nuovo inizio 3 | pagina 15Quattro poesie | pagina 16

SPORTGli incapaci | pagina 18Fatela l’invasione | pagina 19

TERZA PAGINAPorco Puttino | pagina 20Casino assurdo | pagina 20+ Ipse Dixit + Pubblicità+ Vignetta + Grandi foto inutili

IL CAOS.

4 | maggio 2015

sarp

iL’imbarazzo della scelta

Il momento di decidere a quale università iscriversi, di scegliere a quale disciplina dedicare la propria esistenza, è uno dei più signifi cativi nel percorso di studi di un sarpino. C’è chi ha le idee ben chiare in par-tenza e c’è chi non sa ancora cosa vuole fare della propria vita dopo il liceo classico. Vi proponiamo i con-fl itti interiori di due studenti di terza che, spinti da diversi moventi, hanno passato notti insonni sull’importante scelta che tutti dovremo fare prima o poi nella vita.

AFFIDARSI ALLA PROVVIDENZA

Cos’è un lavoro? Un semplice do-vere di contorno in una vita che può essere resa appagante in mille altri modi, o una vocazione? La mia gran-de propensione all’idealismo mi ha sempre indirizzato verso la seconda ipotesi. Lungi dal voler essere una donna in carriera dedita solo al la-voro, ho però sempre voluto un’oc-cupazione da amare e che mi coin-volgesse (senza peraltro mai tener troppo conto degli aspetti pratici ed economici della faccenda, sem-pre per l’idealismo di cui sopra). E come conciliare questa aspirazione con quello che risulta essere il mio interesse principale, il Diritto? Può esserci un punto d’incontro fra un’oc-cupazione che mi faccia vivere, crea-re, viaggiare e fare qualcosa di utile e altri cinque anni passati a studiare per una Laurea i cui sbocchi più co-muni non sento come miei? E come faccio a sapere se una materia che

non ho mai studiato e di cui non so nulla mi piacerà davvero o no? Penso che certi dubbi non si risolvano solo perché si è fatta una scelta, penso che certe domande (è giusto quello che sto facendo? Mi rende felice?) continuino ad accompagnare le per-sone nel corso della vita, o almeno lo spero. Adesso ho scelto di studiare, mettendo in secondo piano le altre considerazioni, ciò che ora mi attira e che penso mi possa interessare di più, più di tutte le altre cose che co-munque mi piacciono, perché penso che la base di ogni buona scelta sia l’amore per quello che fai, cosa di cui la mia scelta liceale mi ha già dato conferma. E quando verrà il momen-to di scegliere la mia strada, confi do che questo criterio mi porterà ancora alla scelta giusta.

Anonimo

QUESTIONE DI OPEN DAY

Lettere, scienze politiche, storia, giurisprudenza, sociologia, beni cul-turali. Il mondo universitario si di-spiega davanti a me in tutte le sue possibilità, tante quanti i miei interes-si. Partendo dal presupposto che la sfera scientifi ca non abbia mai eserci-tato una notevole forza attrattiva su di me, le facoltà fra cui muovermi sono comunque ancora troppe. Come orientarmi in tutto ciò? Seguire solo ed esclusivamente la passione o guardare ad ipotetici sbocchi profes-sionali e lavorativi? E poi, su che base scegliere il luogo? Milano, Pavia, o altro ancora? I dubbi sono molti e

maggio 2015 | 5

sarpispesso mi ritrovo abbandonato a me stesso di fronte all’inestricabile selva oscura dei siti universitari. Verifi che e interrogazioni, unite all’esame che si-lenziosamente si avvicina ed incom-be minaccioso, fi niscono poi per ap-parirmi più importanti di quello che effettivamente verrà dopo e riescono così a spostare la mia attenzione lon-tano dal pensare concretamente al mio futuro.

Ciò che mi sarebbe davvero utile in questo momento, forse, più che i vari open-day nelle diverse università, credo sia un open-day di me stesso, guardarmi dentro e fare chiarezza,

cercando di capire a cosa sarei di-sposto a rinunciare lungo il mio per-corso e di cosa invece non potrei fare a meno, senza temere le novità. Tro-vare quell’aspetto di me che potreb-be tradursi in una professione sod-disfacente e, magari, utile agli altri. Un socratico “conosci te stesso” che, combinato con un po’ di coraggio e di determinazione, gli stessi che dal-la terza media mi hanno portato qui, darà luogo, più o meno presto, ad una scelta. Per gli effetti collaterali, ci risentiamo l’anno prossimo.

Leonardo Zanchi, IIIA

Il sistema circolatorio è perenne-mente in movimento nonostante il suo moto sia invisibile.

Il cervello appare statico, sembra non compiere alcun movimento ep-pure è in moto grazie ad impulsi elet-trici continui.

Così la nostra scuola può apparire statica, immobile, ma, nonostante questa assenza di movimento appa-rente, è in attività.

Respira quando la mattina vengo-no spalancate le sue porte. Sgrana gli occhi ogni volta che in un’aula vengono aperte le ampie fi nestre.

Si commuove per i successi dei suoi studenti e crolla davanti agli insuc-cessi. Si disgusta nell’assistere ad un qualunque atto di bullismo nei corri-doi. Si irrigidisce davanti agli sguardi curiosi di chi la scruta. Si piega din-nanzi al vento. E’ caos ad ogni nuovo suono di campanella che è liberazio-ne e prigionia.

“Nella staticità del silenzio assapori il caos dell’eternità”

Sveva Guizzetti, IVC

Il caos dell’immobilità

6 | maggio 2015

sarp

iR I T O R N O A L F U T U R O

Che cosa salverà il mondo? Vaniloqui di un’ex-sarpina

Il 1996, anno del topo nel calenda-rio cinese, è ricordato per le prime elezioni legislative e presidenziali in Palestina, l’incendio del teatro La Fenice a Venezia, lo scioglimento dei Take That, l’arresto del boss ma-fioso Giovanni Brusca, la clonazio-ne a Edimburgo della pecora Dolly, l’aggressione mortale al rapper USA Tupac Shakur, l’uscita del videogioco Tomb Raider, la conquista da parte dei Talebani della capitale afghana Kabul, il ritiro dalle scene dei Ramo-nes con l’ultimo concerto a Los An-geles, le Olimpiadi di Atlanta, la sto-rica visita di Fidel Castro in Vaticano...

Io ricordo in particolare una mattina grigia d’inizio settembre, nella quale, insieme a una piccola folla di coeta-nei per la maggior parte sconosciuti, aspettavo, in Dr. Martens impazienti sui sassi tondi di Piazza Rosate, di var-care per la prima volta l’incombente, colonnata soglia del Liceo Sarpi di Bergamo. Una scuola vestita da tem-pio, dove la cultura, senza perdere la sua aura, si sarebbe mescolata con le vite di tutti noi, accompagnando gli umori e le stagioni, i cambiamenti delle mode e dei colori di capelli, ali-mentando passioni letterarie, amoro-se, politiche.

Non sono stata un’allieva model-lo. Non ho mai avuto più di otto in condotta e ho partecipato a due occupazioni. Il mio lieve ma cronico ritardo mattutino, aggravato dall’esi-

lio in Torretta che colpì la classe col passaggio al liceo (cui seguirono, fra l’altro, depressione generalizzata e rischi incendiari nelle toilette per l’impossibilità fisica di scendere in terrazza, fumare una sigaretta e risali-re nei dieci minuti dell’intervallo), mi fece guadagnare un provvedimento ad personam grazie al quale ero te-nuta a fare cordiale visita alla preside e a restare fuori per l’intera lezione se arrivavo in aula appena dopo il suo-no della campanella.

Eppure, inconsciamente, percepi-vo la scuola come un luogo protet-to, dove la complessità del mondo arrivava filtrata da secoli della più eccellente umana ricerca di senso. Per questo credo di aver vissuto quel periodo come se fosse destinato a durare in eterno. Per questo alcune cose di quel periodo durano ancora e tendono, nel loro piccolo, all’eter-nità. Anna mi si avvicinò timidamente a pochi mesi dall’inizio dalla quarta ginnasio per chiedermi se i ragazzi di cui avevo le foto nel diario fossero i miei amici di Sondrio (città dove ave-vo frequentato le medie seguendo un trasferimento familiare). Erano i Sex Pistols, punk band inglese di fine anni ’70. Cercando un modo educa-to per rispondere, guardavo John-ny e Sid (dopo il ritorno a Bergamo davvero i miei unici amici) sporchi e cattivi in quel bianco e nero sgranato e, senza accorgermene, ero già con-quistata dalla delicatezza di Anna.

maggio 2015 | 7

sarpiSiamo ancora migliori amiche, anzi se ho scritto di lei senza chiederle il permesso, so che non me ne vorrà...

Il periodo del liceo è una riserva di ricordi inesauribile. E pericolosa per-ché, seguendo il filo della memoria, il sentimentale redattore perde quel-lo della consegna. Ma come passare sotto silenzio l’esperienza più forte di quegli anni? Un giorno il professor Mangini entrò in classe e comunicò che Andrea Viterbi, illustre scienzia-to di origini bergamasche emigrato bambino negli Stati Uniti in seguito alle leggi razziali del regime, aveva deciso di sostenere un’iniziativa nuo-va per il Sarpi e che noi saremmo stati i primi a parteciparvi. Così par-timmo insieme al professore e ai co-niugi Viterbi, Andrea e la dolcissima moglie Erna, alla volta dell’Austria e della Repubblica Ceca e in pochi, densissimi giorni, fummo nella Sali-sburgo di Mozart e salimmo la terri-bile “scala della morte” del campo di concentramento di Mauthausen; lì, di fronte al forno crematorio, Andrea indossò la kippah e lesse per noi la poesia di Primo Levi Se questo è un uomo. Macinando chilometri e cam-pi di fiori gialli a perdita d’occhio in una primavera quasi oltraggiosa, ec-coci a Praga a fare incetta di bellezza, e poi di dolore nel vicino campo di Terezín...

Sono uscita dal Sarpi nel 2001, altro anno che sarà ricordato per eventi di ben più grande portata. L’11 set-tembre passeggiavo per Bergamo con Anna, quando radio e tv hanno cominciato a trasmettere confuse no-tizie da New York. Da quel momento il mondo è cambiato, mentre comin-

ciavano a cambiare anche le nostre vite.

Gli anni dell’università non sono stati meno intensi, ci vorrebbe una seconda puntata. Riassumerò: dopo quattordici anni, oggi mi ritrovo a varcare la colonnata soglia del nostro venerando istituto come consulente per il progetto ImpreSarpi, perché nel frattempo ho preso una laurea triennale in Scienze dei beni cultura-li e una magistrale in Storia e critica dell’arte all’Università degli Studi di Milano, dove ho avuto per docenti alcuni fra i più stimati storici e critici italiani contemporanei e seguito le-zioni che ogni giorni mi portavano in altri luoghi, in altre epoche. Non ho mai interrotto il mio legame con Bergamo; anzi, l’essere cresciuta nel centro storico di questa città, tra le sue pietre, è stato il movente affetti-vo per cui ho scelto di specializzarmi in Storia dell’arte medievale. È anche il motivo per cui ho scelto di non emigrare in cerca di miglior fortuna: in questo momento di crisi le oppor-tunità lavorative nel settore non sono molte, ma ho fiducia, per me e per voi sarpini futuri storici dell’arte, che le cose cambieranno. E questo cambia-mento porterà alla riscoperta di beni poco noti, di una bellezza oppressa che aspetta solo di essere guardata e spiegata. Come speriamo avvenga per il Sarpi e il suo patrimonio.

Se qualcosa salverà il mondo, sarà la bellezza.

Asia Pedrini

8 | maggio 2015attu

alit

àLe celebrazioni del 25 aprile anzi-

ché presentarsi come manifestazio-ni di libertà sono state, purtroppo, scenario di episodi di intollerante e perverso antisemitismo nei confronti della Brigata Ebraica, elemento es-senziale della Liberazione che con i suoi quasi cinquemila volontari – su un numero totale di partigiani che non superava nell’aprile ’45 le cen-tomila unità e che nel dicembre ‘44, secondo le documentazioni del Cl-nai, erano appena novemila- contri-buì prima alla lotta contro le truppe nazi-fasciste e poi contro il razzismo antisemita che esse diffusero.

Cinquemila ebrei, cinquemila vo-lontari e cinquemila partigiani a pie-no diritto.

Così però non hanno pensato dei benpensanti idealisti che, in nome di una qualche banalissima veduta ma-nichea del confl itto mediorientale, hanno costretto la sezione romana della Brigata Ebraica a non parteci-pare all’anniversario della Liberazio-ne (un ossimoro, no?) e hanno scre-ditato quella milanese al grido di “siete disumani”.

Non è solamente un episodio, tant’è che la sentenza – che pare emessa dal Politburo dei bei vecchi tempi – per la loro espulsione dalla mani-festazione suona come la riproposi-zione dell’espulsione dal consorzio umano che ha da sempre accompa-gnato il popolo ebraico, ancor prima di Israele.

L’espulsione, che fu leit motiv della politica nazista, si ripropone in quella estremista di Paesi come l’Iran – che ancora oggi divide il mondo in dar-al-Islam, cioè la terra musulmana, e in dar-al-Harb, la terra di guerra- e di certi pazzi che qualche mese fa – ricordate #jesuischarlie?- ammaz-zarono degli ebrei in un Kosher. O ancora di certi personaggi che han-no programmato un convegno inter-nazionale a titolo “Israel: Legittimacy, Responsability and Exceptionalism” all’Università di Southampton sotto-scritto da 900 intellettuali, volto a ne-gare a Israele il diritto di esistere. O dei quattro morti al Museo Ebraico di Bruxelles lo scorso maggio.

Accolgo allora anch’io l’appello ap-parso sull’ultimo numero di Cassan-dra di “Restiamo Umani”. Facciamolo, ma per davvero: non sia un demago-gico slogan “per procura”, per parla-re d’altro, di antiamericanesimo mi-litante e di antisemitismo ignorante. La pace non si fa dividendo i fogli a metà e contando quanti morti di più ci siano stati da una parte piuttosto che dall’altra (perché se partissimo dalle ciminiere di Auschwitz non avrebbe alcun senso) o le colpe di una parte e dell’altra. Quelle cose le fecero a Versailles nel ’19, e produs-sero revanscismi, nazismo e un’altra Guerra Mondiale.

Perché non basta fare cherry pi-cking – cioè scegliere i dati che fanno comodo – senza ricordare gli human shield – cioè gli scudi umani, in que-sto caso di bambini - operati dai mili-

Restiamo umani, ma tutti

maggio 2015 | 9

attualitàziani di Hamas.

Non saranno poche righe a spie-gare 60 anni di confl itto – ma voglio (ri)celebrare due “colossi” di questo confl itto: Sadat e Yitzhak Rabin. Sa-dat, il successore di Nasser che nel ’79 mise la fi rma sul primo Trattato di Pace tra Israele e l’Egitto; gli valse l’e-spulsione dalla Lega Araba e la mor-te – fu ucciso da un estremista arabo

locale – ma soprattutto ne valse la pena per il percorso di pace. Yitzhak Rabin, primo ministro israeliano, che per aver intavolato un negoziato di diciotto mesi e per aver siglato gli Accordi di Oslo con i Palestinesi fu ucciso da un estremista ebreo locale.

Restiamo Umani, ma tutti.

Jacopo Signorelli, V C

Flusso di coscienza sul ginepraio che ci circondaOggi è il 25 aprile. É la Festa della

Liberazione, di tutti i partigiani che insieme agli alleati hanno strappato via quel miasma che poco tempo prima gli italiani stessi osannavano, e a scuola (parlo almeno per la mia classe) si è detto poco o niente. É buffo quanto siamo superfi ciali nel ricordare. Tanti di noi oggi sono a casa a poltrire senza neanche sapere perché è festa nazionale, sembra im-possibile che abbiamo nelle vene lo stesso sangue di chi stava sulle mon-tagne a combattere. Nostalgia di patriottismo canaglia. Di sicuro qual-che adulto oggi dirà che noi giovani dobbiamo essere come quelli del ‘45 e cambiare questa Italia che fa schifo. A me dà fastidio questa cosa che noi dobbiamo sistemare i casini che hanno combinato le generazio-ni precedenti. Studiamo in scuole che cadono a pezzi, abbiamo tante

prospettive di lavoro quante ne ha l’Expo di essere fi nita entro maggio e adesso ci dicono che dobbiamo essere gli Avengers del tricolore. Ma perché noi? Perché siamo giovani nel periodo della crisi? Che poi io non ho ancora capito come sia possibi-le che l’uomo crei l’economia e poi ne sia vittima. Perché siamo giovani nel periodo dell’Isis? E ci va di gran fortuna che non siamo quelle bambi-ne di 9 anni che subiscono stupri di gruppo o quei bambini che vengo-no addestrati a combattere. Perché siamo giovani nel periodo di Salvi-ni? Ma più che altro mi domando perché la gente sostenga uno che a colazione si mangia populismo e raz-zismo insieme a dei deliziosi cereali Cheerios. Va be’, fatto sta che noi ora siamo qui. Viviamo in un mondo che copre con ghirlande di fi ori le ferree catene (per citare Rousseau), che

10 | maggio 2015attu

alit

à

La mente umana è un universo di cui non si conoscono i confi ni. Il caos è assenza di confi ni, di regole, di certezze. Quindi nella nostra mente c’è caos, essa è caos e complessità. Questo caos, che vive dentro di noi e che ci permette di essere persone, a volte esplode, diventando anco-ra più incontrollabile di quanto non sia già. Allora si diventa “matti” e di conseguenza si ha bisogno di aiuto, bisogna curarsi per non diventare un pericolo per sé e per gli altri. Essere curati però implica anche la necessi-tà di poter usufruire di strutture adat-te a questo scopo. Per questo, nei secoli precedenti sono stati edifi ca-ti i manicomi, luoghi in cui persone (non sempre veramente) affette da problemi mentali venivano rinchiu-se in condizioni spesso disumane e abbandonate a loro stesse. Nel 1975 il loro nome è stato cambiato in “Ospedali psichiatrici giudiziari”: una sorta di mix tra una prigione e un ma-nicomio, queste strutture non hanno svolto nessuna delle due funzioni per cui si presupponeva esistessero, ov-vero curare e permettere ad un “mat-to” di ricostruire la propria vita. Con la legge 9/2012 si è stabilita la data limite per la chiusura degli ultimi sei

Opg presenti in Italia, il 31/03/15. Dalla volontà di abolire i luoghi in cui le persone venivano rinchiuse con una bassissima speranza di essere dimesse nasce l’invito a riconoscere e ad accettare che uomini e donne con questo tipo di problemi venga-no sostenuti e soccorsi, senza essere considerati soltanto un pericolo o un peso per la società. Ciò che spinge a considerare pericolosa una perso-na è la paura che noi proviamo per la stessa. In questo caso la paura è generata dall’impossibilità di con-trollare ciò che chi ci sta accanto dice o fa. Noi, che non riusciamo a sape-re con sicurezza neppure quello che faremo nell’arco di poche ore, crol-liamo di fronte a una mente che non ragiona secondo la logica comune. Per questo motivo si sta cercando di sensibilizzare ed educare l’opinione pubblica non soltanto a non temere la pazzia, ma anche a trovare soluzio-ni che permettano ad una persona affetta da disturbi psichici di stare meglio con se stessa e con quelli che la circondano, affi nché possa vivere davvero.

Carmen Musitelli, IV E

Matto da legare

manda gente nello spazio e poi non permette ai gay di sposarsi, che lotta per i diritti dei chihuahua e poi dice “meglio, 700 in meno” quando affon-da un barcone con persone dispera-te sopra. É un mondo incasinato che sostanzialmente fa schifo, però noi siamo giovani: se ci incazziamo e ci impegniamo possiamo anche far-

cela. Quindi leggiamoli ‘sti giornali, seguiamo la politica e andiamo a vo-tare. E, sia chiaro, non perché ce lo dicono quelli che i guai li hanno fat-ti, ma perché ci meritiamo di più di questo gran caos.

Sara Latorre, II D

maggio 2015 | 11

cultura

Kandinsky, Pollock, Joyce, John Coltrane. Entropia. Entropia diver-sa. Per quanto questi artisti possano risultare distanti, sono legati da una cosa: l’utilizzo della caoticità nel-la loro materia. Kandisky e Pollock lo sappiamo, esprimono l’entropia universale attraverso la pittura, l’uso anticonvenzionale della linea, del co-lore, della sfumatura. Joyce sviluppa il caos nel fl usso di coscienza: con-cetti slegati, uniti da un fi lo sottilissi-mo, che nessuno vede, che nessuno può interpretare allo stesso modo. John Coltrane, l’entropia nella mu-sica, Jazzista di fama internazionale si esprime col disordine. Ma le note su un pentagramma, le lettere su un foglio, i colori su una tela devono, per emozionare, seguire un ordine armonico? Devono assecondare dei canoni estetici? No. Proprio i nomi fatti prima sono l’esempio lampante che non è necessario un ideale ar-monico rispettato per giudicare una cosa bella rispetto ad un’altra. Pos-siamo decidere quanto vogliamo di razionalizzare la vita, di capire l’uni-verso, di interpretare l’uomo, ma per fortuna non ci riusciremo mai. L’uo-mo tende alla perfezione, ma non la raggiungerà mai e ciò rende lo stes-

so uomo triste, ci dice in sostanza Leopardi. Se ci fossimo arresi prima a questa realtà della vita, l’avremmo vissuta meglio? Se avessimo accetta-to tragicamente questa verità, come ci proponeva Nietzsche, saremmo tutti “Oltreuomo”? Forse no. Forse sì. Alla fi ne è proprio questa l’entro-pia, il forse, la casualità, il disordina-to avvenire degli eventi nel sistema universale. L’uomo forse riuscirà a raggiungere la perfezione, o forse morirà prima di riuscirci. L’importan-te è continuare a provare, continuare a sperare di raggiungere la Fine. Fino a quando l’entropia non prenderà il sopravvento.

E’ successo che io mi sono lasciato trascinare scrivendo l’articolo, che ho scritto uno schifo, slegato, senza con-nessione, senza senso. Ma quindi? È davvero un problema? Io ho battuto sui tasti come Coltrane chiudeva le chiavi nei suoi assoli, come Pollock spargeva il colore sulla sua tela. Beh, ok fl usso di coscienza, ma basta così.

Andrea Sabetta, III C

Fino a quando l’entropia non prenderà il sopravvento

12 | maggio 2015cult

ura

Chiudete gli occhi e immaginate di essere solo per un secondo alla National Gallery di Washington. Camminate lungo i corridoi e guarda-te distrattamente i quadri, siamo nel-la sezione degli espressionisti; ad un tratto vi fermate davanti ad uno sca-rabocchio secondo alcuni critici…ad un capolavoro secondo altri. Si tratta di Lavender mist, Jackson Pollock.Fermatevi a guardarlo e rende-tevi conto della mente incasina-ta che ci sta dietro, che l’ha crea-to e a tutto quello che ha passato. Pollock ha una breve e drammatica esistenza (1912-1956), scandita da una costante lotta con l’alcool che lo porta a sottoporsi a diverse sedute di psicanalisi, ma è proprio grazie a queste visite e ai dottori, che lo esor-tano a dipingere il suo stato d’animo, che nasce il genio che ancora oggi viene studiato tra gli espressioni-sti; Pollock dipingeva già da diversi anni, tuttavia la psicanalisi lo esorta a dare valore alla sua arte. Non viene apprezzato da subito, le sue prime mostre sono infatti l’emblema del fi asco totale. All’osservatore veniva presentata una ragnatela di linee in-tricate, apparentemente senza sen-so, assemblate in maniera caotica con la prevalenza del bianco e del nero o di colori molto freddi; l’osser-

vatore non poteva guardare un pun-to preciso a causa di questa grande confusione, dunque veniva da pen-sare “Ma che cavolo vuol dire!?” . Con i suoi quadri Pollock introdu-ce un nuovo modo di dipingere, l’Action painting; infatti Pollock com-pone i suoi quadri stendendo la tela per terra e facendo gocciolare il co-lore. Questa nuova tecnica chiamata Drip Painting, che si è diffusa tra gli anni ‘40 e ’60, permette all’artista di dipingere in maniera impulsiva e to-talmente data al caso. Dai suoi qua-dri traspare un’evidente irregolarità di movimenti e di forme che nasce da forze come la pittura (appunto lo sgocciolare della tempera),tutta questa irregolarità dà vita al caos; ci perviene anche un forte dramma, un pesante senso d’angoscia e una tota-le sfi ducia nelle possibilità dell’uomo di realizzarsi, che ha pervaso l’anima dell’artista. La tecnica di Pollock mi ricorda molto una poesia, con diver-se sfumature alternate a momenti di quiete e rifl essioni e momenti di im-pulsi caotici. Non sono una critica, ma guardando un quadro del genere la prima impressione che mi da è quel-la di caos, solo e unicamente caos.

Eleonora Valietti, IE

L’arte del caos

maggio 2015 | 13

narrativa

Le mie idee sono sempre terrifican-ti, ma questa le batte tutte. Papà è furioso con me e penso che lo sarà per sempre. Mi guarda anche ora tor-vo. Per lo meno ora mantiene la sua forma umana e non quella da schele-tro. Meglio ritornare alla mia terribile idea.

“Papà,” gli dico finito di parlare con Olive. “Ho deciso che domani posso diventare tristo mietitore.”

Papà abbassa il giornale per veder-mi meglio: “Sul serio?”

Annuisco.

“Per quanto tempo ho aspettato

questo momento. Hazel, va in ca-mera tua con questo DVD e guarda-lo.” Mi porge un film che si intitola: “Come diventare tristo mietitore in cinque semplici lezioni.” E riprende: “Domani ti aspetto puntuale per il tuo primo giorno.”

*

“Olive, svegliati.”

Apro gli occhi e trovo davanti a me Hazel che mi tende una toga nera: “Stai per diventare la Morte. Veloce. Non ti ho fatto guardare il DVD per niente ieri sera. Papà non si accor-gerà di niente se indossi la mantella. Siamo simili di fisico.”

A S P I R A N T E M O R T E u l t i m a p u n t a t a

VictoriaC’è un libro del 1908 di un borghe-

se cicciotto di nome Gilbert Keith Chesterton. Il libro si chiama L’uomo che fu Giovedì e alcune persone se-rie dicono che senza che nessuno se ne accorgesse più di tanto questo romanzo ha influenzato la letteratura del novecento, di nascosto. Il quadro iniziale è quello di un crepuscolo in-glese: là, in piedi, c’è un anarchico che parla di poesia e dice che solo il caos genera poesia. Dice che l’ordi-ne non ha niente a che vedere con la poesia. Gli risponde Syme, un uomo che sembra aver capito tutto di tut-to (ma che poi vedremo crescere).

Risponde affermando che gli orari della metropolitana siano la cosa più poetica del mondo, perché ogni treno che arriva dove deve arrivare è una vittoria dell’uomo sul caos, per-ché fra tutte le possibilità ingarbu-gliate del reale l’uomo dice “Victo-ria” e il treno arriva a Victoria, non da un’altra parte.

Questa cosa boh mi ha lasciato un po’ così. Non l’avrei mai detto e non so quanto io sia d’accordo con Syme, ma il punto non è questo. Leggetevi il libro perché poi succede di tutto. È il caos più ordinato di sempre.

14 | maggio 2015narr

ativ

a“Ma io non ho mai detto che voglio

diventare il tristo mietitore.” Protesto.

Hazel mi liquida e mi spinge, prima che io me ne renda conto, giù per le scale vestita di tutto punto.

“Hazel!” urla papà, vedendomi. “An-diamo, mia cara, veloce.”

Se sapesse che sono Olive…

“Cosa devo fare?” chiedo.

“Ora devi prendere la tua falce e colpire un uomo che deve essere uc-ciso.” Mi spiega rapidamente.

“E dovrei farlo fuori?”

“Esatto. In questo modo diventi la Morte.”

Annuisco. Un normale uomo di mezz’età cammina verso di me fi-schiettando.

“Colpiscilo.” Urla papà.

Obbedisco e il poveretto si accascia per terra per il colpo subito. Tutto si ferma.

“Perché non esce l’anima?” Papà è perplesso.

La terra trema sotto i nostri piedi, scuotendoci con forza. Il cappuccio mi scivola dalla testa, rivelando chi sono in realtà.

“Olive?? Hai ucciso tu quell’uomo? Dov’è Hazel?” strilla.

“Non lo so. Semplicemente ho pre-so il suo posto.”

“Io ammazzo tua sorella! Anzi, non sarà necessario.” Borbotta papà.

“Cosa vuoi dire?”

“La terra si sta rivoltando. Solo il pri-mogenito può essere la Morte. Guar-da le catastrofi che stanno succeden-do.” Indica davanti a sé.

Una schiera di persone si muove compatta verso di noi. Impiego qual-che minuto a capire che quelle per-sone sono dei morti, o meglio dei morti viventi.

“La terra si sta popolando di zom-bie?” chiedo.

Papà annuisce.

“Ora cosa succederà?”

“Il mondo si popolerà di zombie. Tutti diventeranno zombie. Ci ucci-deremo a vicenda per mangiare i cervelli altrui, quei pochi che rimar-ranno. Infine la razza umana svanirà nel nulla.” Dice papà. “Tradotto: non avrò il piacere di farla pagare a Ha-zel.”

*

Olive ha fatto del suo meglio. Papà mi ha guardato male finché non si è trasformato pure lui in zombie. Pro-babilmente queste sono le mie ulti-me ore da normale, poi andrò a cac-cia di cervelli!

Perlomeno non sono finita in puni-zione e non sono stata il tristo mieti-tore. Ho ottenuto quello che volevo.

Matilde Ravaschio, IE

maggio 2015 | 15

narrativa

Come se fosse un automa ripeté lo stesso, identico procedimento con gli altri due animali. Infine si guardò le mani, ricoperte di sangue; guardò il pugnale, tinto di rosso; guardò i corpi inermi, sporchi e freddi di mor-te. Rivide come in un film la sequenza delle sue azioni e in quel momento sentì il cuore esplodergli, gli occhi bruciargli, il tremore farsi preda del suo corpo e di nuovo tutto iniziò a sfumare: si confondeva, appariva, scompariva, si attorcigliava intorno al suo petto e stringeva, come un’a-naconda che sta uccidendo la sua preda. E nuovamente le risate, la bambina, le grida, la donna, il fumo, i fiori, i canti, i pianti, “Non è colpa tua, ragazzo”, “Non è colpa tua, ragazzo”, “Non è colpa tua, ragazzo”.

E invece sì, sì che era colpa sua! Avrebbe dovuto correre, prenderla, sacrificarsi, salvarla e non rimanere fermo, immobile, paralizzato dal ter-rore. I ricordi si dissolvevano e altri prendevano vita.

Riappariva di nuovo la bambina, così piccola, così indifesa, così inno-cente. La bambina rideva, il fiume ruggiva e la divorava. Un bambino poco più grande era seduto sulla riva e guardava il fiume scorrere portan-dosi via la bambina e la donna, che tentava di salvare la piccina. Il fiume le trascinava lontano insieme ai pesci e ai ciottoli e il bambino rimaneva sulla riva e non capiva, non capiva.

“Non è colpa tua, ragazzo”.

Un piccolo mostriciattolo si appen-deva al suo collo: “Ti voglio bene fratellone”. Una donna lo stringeva a sé: “Quanto sono orgogliosa del mio piccolo amore”. Una mano si appog-giava sulla sua spalla: “Non è colpa tua, ragazzo”.

Loro erano morte e lui era lì, a uc-cidere altri innocenti. Era colpa sua, era solo, tutta colpa sua.

Pietra che Ascolta si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla: ”Non è stata colpa tua, ragazzo. Ti sei punito abbastanza, è arrivato il momento di vivere per loro”.

Vento che Soffia scoppiò a piange-re: piangeva, urlava, picchiava i pu-gni a terra, gridava al mondo tutta la sua disperazione.

Pietra che Ascolta si accovacciò ac-canto al ragazzo, o meglio, all’uomo e lo abbracciò, mentre lui lo stringe-va convulsamente, continuando a piangere. In quel momento un for-te vento prese a spirare, Pietra che Ascolta sorrise, si scostò dal giovane uomo, gli circondò le spalle con un braccio e disse : “Lo senti adesso, il vento che soffia?”.

Adriana Lirathni, VD

U N N U O V O I N I Z I O u l t i m a p u n t a t a

16 | maggio 2015narr

ativ

a

Scrivo

sotto effetto

di caos

sotto agli alberi che non ricordi

ci trovi mostri

statue di santi

e vecchi quaderni

ci trovi tuo padre

che aspetta la vita

i fiori del resto

son sempre i tuoi giorni.

Ho distrutto i fiori

dato tempo al cuore

non è servito a niente

ti prego

Paolo Bontempo, IIID

Non riesco

a intuire

nemmeno

questo albero

che scopre

la mia meraviglia

come la tua maglietta

sui tuoi fianchi

sulla tua sfuggente

definizione di silenzio.

Non sono capace

di dirti

nemmeno

da cosa mi senta

così lontano.

Pietro Raimondi, IIID

Q u a t t r o p o e s i e

maggio 2015 | 17

narrativaCome nessuno mai.

ritorno dall’inferno della paura

la ricerca di senso ammazzata

dalla fine.

ti parlo della mia vita ma non so

io cosa è giusto

ci vomito sopra

ci perdo giornate

a inseguire niente

per poi arrivare

a volere altro

ti prego

se cielo

il mare

lo inseguo

scomparso di nuovo

disperso per sempre

Paolo Bontempo, IIID

Cosa c’è?

Mi basta vederti

per poi perdermi,

annego in

domani

soffoco senza

distinguere,

e mi dispiace,

implodo,

all’ombra in terrazza,

imploro,

ed è la mia certezza,

ma davvero

non so

Pietro Raimondi, IIID

18 | maggio 2015

spor

tRimpiango gli anni delle elementari,

quando fare sport signifi cava correre a perdifi ato inseguendo un pallone di spugna. Era un’attività condivisa da tutti, tranne da quei pochi timidi che se ne stavano in disparte. Qual-cuno, a distanza di tempo, mantiene tuttora quell’idea fi abesca di sport come gioco e momento di aggre-gazione; altri invece si sono via via orientati verso sport agonistici, seri e impegnativi, in cui la voglia di met-tersi alla prova e superarsi permette di affrontare con piacere duri alle-namenti, allenatori severi, rinunce e sacrifi ci. Certo, i timidi delle elemen-tari sono rimasti tali e quali, anzi, nel frattempo sono aumentati di numero e hanno cominciato a distinguersi in palestra al liceo o alle gare scolasti-che. In peggio, naturalmente: quan-do questi poveretti si trovano a dover affrontare una partita di pallavolo con quelli appartenenti alle prime due categorie di sportivi è chiaro che non hanno ancora imparato tutte quel-le abilità fi siche di cui c’è bisogno e sembrano ormai irrecuperabili. Sono chiamati incapaci, impediti, imbra-nati (per citare solo i termini più sim-patici e meno frequenti) e si notano per quella strana capacità di spedire palloni in direzioni casuali, farsi male senza muoversi e soprattutto irritare quei compagni che sono invece ver-satili in tutto. La conseguenza è una sola: un clima di ostilità generale.

Il problema è che chi è bravo in tutte le attività sportive non tiene in considerazione le reali diffi coltà de-gli incapaci. Non hanno mai avuto

interesse nel rincorrere una palla o nel liquidare chilometri alla veloci-tà della luce, bisogna farsene una ragione: c’è chi ama sudare e chi preferisce poltrire. È terribile essere costretti a seguire una partita senza alcuna voglia di farlo, perché la fati-ca, già pesante per chiunque, risulta ancora più fastidiosa se non si ha la motivazione per affrontarla. Ma c’è un’altra conseguenza della demoti-vazione: gli incapaci non riescono ad imparare le varie regole degli sport in cui si trovano malaugurata-mente coinvolti, nemmeno a lungo andare. Quindi per loro l’esperienza il campo si trasforma in una caotica lotta per la sopravvivenza: contano i lunghi minuti, non sanno dove an-dare, scappano da eventuali palloni e/o avversari, diventano intrattabili. Poi ovviamente la loro confusione aumenta all’aumentare della com-plessità dello sport. Provate a inseri-re un Antisport in un campo di Ulti-mate Frisbee: probabilmente n o n capirà nemmeno dove rivolgere lo sguardo.

C’è chi dice che questi incapaci non siano solamente dei fannulloni, ma che non conoscano nem-meno quei valori che gli sport insegnano, come lo spirito di squa-dra e l’importanza del sacrifi cio; penso invece che ci siano moltissimi altri contesti in cui sono fondamentali (scuola, la-

G l i i n c a p a c i

mate Frisbee: probabilmente n o n capirà nemmeno dove rivolgere lo sguardo.

C’è chi dice che questi incapaci non siano solamente dei fannulloni, ma che non conoscano nem-meno quei valori che gli sport insegnano, come lo spirito di squa-dra e l’importanza del sacrifi cio; penso invece che ci siano moltissimi altri contesti in cui sono fondamentali (scuola, la-

maggio 2015 | 19

3°paginavoro, passioni varie), quindi il proble-ma in realtà non esiste, a meno che siamo davanti a un caso disperato di pigrizia.

In conclusione vorrei dire solo que-

sto: vogliate un po’ bene a questi in-capaci, perché anche a loro dispiace rovinarvi la partita. E incapaci, non of-fendiamoci se ci chiamano così.

Matteo Fenili, II E

E' il 6 maggio 2013 e nella ridente città di Cosenza si sta svolgendo una partita tra le “Big” della terza catego-ria calabrese, ovvero Tarsia-Marcel-lina, scontro molto sentito dai tifosi, poiché il vincitore passerà in secon-da divisione.

Essendo questa divisione poco se-guita l'unica testimonianza di questo scontro epocale è un video (purtrop-po o per fortuna) fatto da un tifoso del Marcellina dalle idee abbastanza confuse, ma andiamo con ordine: è il 89' e le due squadre sembravo equivalersi tant'è che il risultato è di 3-3 (in Serie A un 3-3 non si vede dai tempi di Zico).

Tutti hanno capito che la partita si concluderà con un pareggio che di fatto non accontenta nessuno, ma al 93' succede qualcosa di sensa-zionale e visto che non sono degno di parafrasare il resoconto del “Tifo-so-Cronista” mi limito a riportare le sue esatte parole: “Nicola non batte dritto in porta e spizzica; stop e spiz-zicata, fallo laterale per il Marcellina.” Già qui dal video si può capire che gli animi dei tifosi si stanno scaldan-do, poichè ne vediamo già un paio

appollaiati sulle transenne che divi-dono gli spalti dalle gradinate. Con-tinua la telecronaca: “Con le mani; crossa... RUMMOLO, LUIGI LUIGI ED E'GOOOOOOL!

LUIGI RUMMOLO!” Inutile specifi -care che da qui in poi la situazione degenererà fi no a toccare livelli d'i-gnoranza mai vista prima.

A questo punto l'appassionato “te-lecronista” continua dicendo la frase (epica) che da il nome a questo arti-colo, ovvero “Fatela l'invasione!” Tra l'altro da quest'affermazione possia-mo anche capire lo stato confusiona-rio dell'uomo poiché sta di fatto inci-tando i tifosi della squadra avversaria ad entrare in campo. Il video si con-clude con il Tifoso che dice stranito “E che é? Ma no! Ma sono entarti in campo Fausto.” La partita si conclude con due feriti e un totale di ben 16 costole rotte. Da molti questa è stata defi nita la pagina più nera dello sport amatoriale, ciò può anche essere, ma sta di fatto che da quel giorno il cal-cio non fu più lo stesso, ma cosa più importante, Luigi Rummolo si dovet-te ritirare a causa dei traumi riportati.

Guido Sacerdote, IVC

Fate la l ’ i nvas ione

equivalersi tant'è che il risultato è di 3-3 (in Serie A un 3-3 non si vede dai tempi di Zico).

Tutti hanno capito che la partita si concluderà con un pareggio che di fatto non accontenta nessuno, ma al 93' succede qualcosa di sensa-zionale e visto che non sono degno di parafrasare il resoconto del “Tifo-so-Cronista” mi limito a riportare le sue esatte parole: “Nicola non batte dritto in porta e spizzica; stop e spiz-zicata, fallo laterale per il Marcellina.” Già qui dal video si può capire che gli animi dei tifosi si stanno scaldan-do, poichè ne vediamo già un paio

20 | maggio 2015narr

ativ

aArtefice artefatta articola artigianali

artifici architettando artificiose artrosi per il partner.

Quando torno a casa ti faccio un secco su fresco che nemmeno ti im-magini. Ma a casa non ci vediamo, perché non hai più il diritto di passa-re oltre l’esedra.

Prenota pure uno spazio nel reli-quiario, non credo che resterai vivo per molto.

Tu e il tuo contrafforte cilindrico potreste tornare utili alla sezione di reperti archeologici del British Mu-seum, tanto a me non servite più.

L’ho sempre saputo che eri una sta-tua acefala, ma non immaginavo fino a questo punto.

Davvero, sembra che non sappia in-crociare due costoloni, ma per chi mi hai preso?

Per mille ogivali, se non vuoi che la tua faccia diventi a fasce bicrome ti conviene nasconderti nell’iconostasi.

Dovresti farti vedere da un profes-sionista, tipo Renzo Piano, che ti ri-metterebbe in riga. Lui con compassi e squadre ci sa fare.

Adele Carraro, IC

Ma porco puttino!

Come fare una ver-sione di Latino bene? Fatti bocciare e vai al Sec-co che son più facili Se non diventi il miglio-re della classe vai al Mamoli Se dovessi fallire anche in que-sto caso buttati in politica (estera)

Intervista al preside “Preside, preside… non c’è il presi-de? Dov’è il preside?”

Un passante si aggira circospet-to verso di me, è il momento di tirare fuori la fatidica domanda “Cosa ne pensa della Buona Scuola?” “ … ” Era un tedesco.

Vagando around Val Brembana “Cosa ne pensa dei preti?” “ … ” “Me lo può ripetere senza bestem-mie?”

Berlusconi scivola durante un comi-zio, ma il governo non cade

C a s i n o a s s u r d o BATTUTE IN PARTENZA

SOTTOSOTTOTITOLO SOTTOSOTTOSOTTOTITOLO

maggio 2015 | 21

narrativaMigliaia di migranti a Lampedusa.

L’Italia piange come un bambino: “UE, UE, UEEEE”

S E X - P O Cose sconce nei padiglioni vicino al fiume

Giro d’Italia. In Spagna un’altra Vuelta. I francesi tentano il boicottaggio con la canzone “tu tu tu mi piaci tour, tour tour tour”

Voto di fiducia ai professori. Non ci sono più professori.

Corsi per la cogestione… e mi ven-ne un gran fiatone.

Non tornare mai indietro ne-anche per prendere la riccona -Ernesto Che Guevara infatuato per un’aristocratica Cubana.

Alle poste “Scusi potrei farle qualche domanda per il giornalino della mia scuola?” “Adesso no, sto lavorando” “Ah usi non sembrava”

Fabio e Mingo licenziati da Striscia. Il “buon Fabio” prendeva anche uno stipendio?

[…] OMISIS : parti di mondo cancel-late dal terrorismo islamico

Edipo: m’illumino d’incesto

ATVB: pullman degli innamorati in provincia di Bergamo

1A Città Alta Chi è questo riccone? (Se non la ca-pite rivolgetevi al conducente dell’ar-ticolo)

SERENATTA: canzone d’amore in un istituto tecnico del centro (A volte si spacciano anche per liceo tecnolo-gico)

“Paolo Sappi: hai sba-gliato Liceo Classico” (saggio autoconsiglio)

Nessuno è in Grado di capire la temperatura esatta

Penelope al ritorno di Odisseo: “Tela do”

Il concepimento di Gesù? Un errore Madonnale

Annusa Milano: tanto smog e poca igiene

Bar Bone: vicino alla stazione puoi dormire gratis e con belle donne

Orange Joyce: stream of succo

Gara di salto in alto in palestra fem-minile: chi si fa più male alla testa vince

Notiziona: siamo a Secco di presidi

Scrutinho: attaccante del Brasile...a rischio bocciatura

Scorrentino: regista puzzone

Personale Ata-Lanta: dal 1907 al vo-stro servizio

C a s s a n d r a , solito delirio.

Paolo Bontempo, IIID

22 | maggio 2015

spor

tIPSE DIXIT

1AGambe:”E’ stata una parallela tra in-segnanti più che tra studenti” Cortinovis:”No, è stata una paralle-la tra autistici”

(Leggendo Petrarca) Lucio:”Capelli d’oro a l’aura sparsi...beh,anche qui il riferimento alle metastasi di Ovi-dio”

Introducendo il Decameron Cortinovis:”dopo pane e cipolla, fi -nalmente siamo arrivati al fi letto” Michi:”Boccaccio se l’era già man-giato”

Parlando dell’elettronegatività....Sofi elenca quella di molti elementi Ferrario:”si, però fatti una vita!

Ferrario:”Mendeleev” Michi:”Dimitrij” Ferrario:”Dimitrij solo per gli amici”

Cortinovis:”Guido, ora facciamo pure sentire l’ascella al compagno!?”

Gambe:”E’ una metonimia conteni-tore per contenuto” Cortinovis:”Contenitore?”

Gambe:”Pensavo alla bottiglia” Cortinovis:”come quella che ti sei appena scolato in bagno?”

Leggendo i temi.... Cortinovis:”Guiduccio caro, senti....dove arrivano a New York gli immi-grati?” Guido:”Sull’isola antistante la città” Cortinovis:”Sì,ma non su Shutter Island! Avevo paura che a un certo punto Di Caprio uscisse dal tema!” Guido:”Prof, non può penalizzarmi per un nome sbagliato.....” Cortinovis:”Io, Guido, infatti ti pena-lizzo anche per lo stupro linguistico delle subordinate”

Vero:”E qualche parola sui temi delle ragazze?” Cortinovis:”Beh,quello di Michael mi è piaciuto davvero molto!” Sara offesa:”Ma....Michael non è una ragazza”

Ruggeri:”L a disequazione non può essere risolta così....cosa devi fare?” Calvino:”smontarla”

22 | maggio 2015

spor

t

maggio 2015 | 23

sportIF

MESSI: Non facciamo la poesia co-rale quest’anno perché se no a set-tembre vi guarderò nelle palle degli occhi e vedrò il bagnino che dirà “TI SALVO IOOOO!!!!”. Matteo so che stai pensando a Baywatch!

*guardando una tabella con pallini sul libro di greco*

MESSI: Vedete? Archiloco è l’unico con due palle!!

ANTONINI: Seconda la logica del ragionamento di Aristotele, non bi-sogna dire proposizioni scollegate fra loro come “Oggi piove”, “Domani vado a fare la spesa” e “Fra quattro giorni è Natale”.

*lezione di fi losofi a su Aristotele*

DAVIDE: Se neghiamo il principio di non contraddizione, diciamo che questo tappo (verde) è rosso, giallo, blu, W, K, la profe e....il pavimento!

*disegnando una parabola*

TRIVIA: Eh, non sarà Miss Mondo delle parabole, ma vabbè..

*parlando di un alunno*

MESSI: Francesco risponderà delle sue azioni, buone o cattive che sia-no. Sarà sempre punito ed io sarò il suo strumento di sofferenza.

*parlando del carme 10 di Catullo riguardante il ritorno dell’amico Vi-sanio*

MESSI: Catullo non bacia il collo dell’amico stile Twilight! Della serie “mm che bella carotide!!”.

MARIA *contestando una correzio-ne nella versione*: Ma insomma, è uguale!

CHIARA: Rinunciaci, non lo convin-cerai mai. Tu sei nuova...è così da tre anni.

MESSI *risata da sadico*

SOFIA: Ma non va bene tradurre “polvere più forte”?

MESSI: Ma come fa la polvere ad essere più forte? Serve il nuovo swif-fer? Ma io non lo so...

MESSI: “Il cane che dorme nella cuccia morde il bambino” è diverso da “Il cane morde il bambino che dorme nella cuccia”

DAVIDE: Pensa se fosse “La cuccia morde il cane che dorme nel bam-bino”!!

IVA-Strocchia: “Qual è il terzo nucleo

di leggende sulla fondazione di Roma?”

Alunno: “Quella di Romolo e Re-molo”

-Un alunno alza la mano.

Ferrario: “Non alzare la mano trop-po in alto; potrei vederti”

24 | maggio 20153°pa

gina

3°pa

gina

3°pa

gina

maggio 2015 | 25

3°pagina

26 | maggio 20153°pa

gina

VATRIVIA: Sari, ti do un pezzo di gesso per sostituire la cicca!

TRIVIA: Le facce dei nostri fi dan-zati ci stanno qui davanti (si tocca

- Ferrario: “Ci sono stelle blu, bianche, gialle, arancio e rosse. Quali sono le più calde?”

Alunno: “Le verdi!”

la fronte), dovrebbero starci anche i numeretti!

MISSALE: Ecco, questo è Macrino. Vedete quanto è brutto?!

DANNY : How do you say “badge” in Italian? Spi-spi, spinello! (risposta esatta: spilla)

3°pa

gina

maggio 2015 | 27

3°pagina

28 | maggio 20153°pa

gina

28 | maggio 20153°pa

gina

283°pa

gina

283°pa

gina

maggio 2015 | 29

3°pagina

maggio 2015 | 29

3°pagina3°pagina

30 | maggio 20153°pa

gina

maggio 2015 | 31

3°pagina

ci riuniamo ogni sabato in sesta ora | piacici la pagina facebook | visita cassandra.liceosarpi.bg.it

DIRETTORE: Pietro Raimondi, IIID VICEDIRETTORE: Andrea Sabetta, IIIC SEGRETARIE: Margherita Briozzo Niang IVE, Beatrice Caniglia VA CAPOREDATTORI; ATTUALITÁ: Sara Latorre IID CULTURA: Giulia Argenziano IIIB NARRATIVA: Matilde Ravaschio IE SARPI: Giovanni Testa VC SPORT Selene Cavalleri, IIIE TERZA PAGINA: Paolo Bontempo, IIID COMMISSIONE TOGNI; IMPAGINAZIONE: Piero, IIID COPERTINA: Claudia Pezzini, IL-LUSTRAZIONI: Adele Carraro IC, Federico Lionetti IIIC, Michele Paludetti IIIC, Claudia Pezzini IC, Clara Rigoletti IE REDATTORI Marco Balestra IE, Mariavittoria Brevi IVC, Sofi a Brizio IIE, Alessandra Brucchieri IVG, Giulia Burini VA, Alice Castelli IVB, Chiara Cattaneo VA, Elisa Cecchini IVB, Rafael Chioda IVD, Francesca Cima IVH, Alessandro Comi IC, Lau-ra Cornelli VD, Martina Di Noto IIE, Beatrice Duina IVC, Valentina Fastolini VC, Alberto Fe-nice IVA, Matteo Fenili IIE, Sofi a Filippi IVD, Leyla Gatti VD, Clara Gerelli IVC, Biancamaria Gotti IVC, Eleonora Grieco IVH, Gaia Gualandris IF, Sveva Guizzetti IVC, Clara Invernizzi IVH, Luca Latorre IVE, Eleonora Limongelli IVB, Adriana Lirathni VD, Alice Maccarini IVD, Marta Maffeis IIC, Lucia Manzoni VD, Lucia Marchionne IE, Samia Marzaki IVD, Roberto Mauri VD, Pietro Micheletti IB, Carmen Musitelli IVE, Ester Negrola IC, Davide Pedroni IIID, Riccardo Pizzighini IIIB, Maria Porta VD, Maria Roncelli IVG, Chiara Ruggeri IVC, Gui-do Sacerdote IVC, Michela Saccone IVC, Alice Scanavaca IVB, Giorgia Scotini IC, Elena Seccia IE, Jacopo Signorelli VC, Marianna Tentori IIIB, Sara Testa IF, Manuela Ticali IVH, Alice Tomasini VC, Annarina Tomasoni IVA, Eleonora Valietti IE, Giulia Vitale IID, Marcello Zanetti IIIB, Federico Costa VF, Nicolò Signorelli VF

DIRETTORE: Pietro Raimondi, IIID VICEDIRETTORE: Andrea Sabetta, IIIC SEGRETARIE: Margherita Briozzo Niang IVE, Beatrice Caniglia VA CAPOREDATTORI ATTUALITÁ: Sara