Cassandra - Ottobre 2011

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Ottobre 2011

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Mese Anno 2Editoriale

All’alba di fine ottobre torna tra i banchi Cassandra! E’ stata una lunga as-senza, lo sappiamo, ma speriamo che almeno ne sia valsa la pena. Ci eravamo lasciati qualche mese fa quando ancora la situazione politico-economica era molto incerta. Adesso torniamo a scrivere dopo un’ estate ricca di proteste. Oltre alle manifestazioni degli studenti cileni guidati dall’ affascinante Camila Vallejo e gli scontri in Val di Susa, si sono diffuse in tutto il mondo le proteste degli indignados. Quanto a questo permettetemi alcune riflessioni, in partico-lare riguardo al movimento italiano.Indignamoci, va bene. E poi? Non basta definirsi indignati per cambiare il mondo. Servono idee, dibattiti, alternative ma soprattutto serve cultura. Il sapere è alla base di tutto, se non c’è, non si va da nessuna parte. E’ il nostro turno, va bene. E allora? Beh noi non possiamo fallire, lo ha già fatto la generazione precedente, noi non abbiamo scusanti. I risultati del ’68 si vedono oggi, i rivoluzionari di allora adesso occupano le poltrone a Mon-tecitorio e Palazzo Madama.Non ci lasciano spazi. Dunque? Sapere aude, diceva Kant. Finchè esitiamo a metterci in gioco in prima persona è inevitabile che non riusciremo mai ad ottenere visibilità. Impegniamoci in prima persona, iniziando con lo studio. Scendiamo in piazza, va bene. Ma come? Manifestiamo con intelligenza. Non bisogna aver letto Pasolini per capire che se spacco le costole ad un poliziotto paga la sua povera famiglia e non il potere. Il sapere è nonviolenza. Non è una questione di destra o di sinistra, non limitiamoci sempre a questo trito manicheismo. Andiamo a fondo nelle cose , non fermiamoci alla forma: assaporiamo la sostanza. Smettiamola di studiare, votare e pregare per rito, occupiamoci dei contenuti. La cultura è bellezza e la bellezza ci salverà.E Cassandra, modesto giornalino di una scuola con molte pretese e poche iscrizioni, cosa c’entra? Beh anche noi, nel nostro piccolo, faremo del nostro meglio, ognuno a modo suo. Siamo tanti e vogliosi di renderci utili, di met-terci in gioco. La cultura è anche giornalismo, quello serio, non quello dei pa-parazzi che venderebbero la madre per una foto con le chiappe del Briatore di turno. Certo, non saremo noi a cavalcare Ronzinante contro il qualunquismo in difesa della cultura, ma, appunto, faremo del nostro meglio. La speranza è quello di creare un giornalino vivace, aperto alle idee e alle critiche, che non abbia mai il timore di buttarsi con intelligenza nella mischia. I presupposti ci sono, ora tocca a noi.Buona lettura!

Davide Rocchetti III A

P.s.: La redazione si ritrova tutti i sabati in sesta ora in aula magna, chi volesse iniziare a farne parte è benvenuto!

La Cultura Ci Salverà

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Sarpi

Attualità

narrativa

cultura

sport

terza pagina

Sommario

- Gli Anni E I Giorni: Intervista al regista

- Indignados Made In Italy- L’uomo e la Crisi- Indifferenza: la nebbia si fa sempre più spessa e pericolosa- Antonio Gramsci- Stay Hungry, stay foolish

- The Black Angels: la nuova via della psichedelia- Giovani Aquile- Un Sogno Eretico

- Un foglio- Parabola nell’ombra- Fuoco- Rosso

- Test: dove dovresti essere in questo momento?- Ipse Dixit

-La strana estate delle proteste dei privilegiati

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October 2011 4Sarpi

1) Come è nata l’idea di girare un “docufilm” sul Sarpi? Penso che la migliore risposta sia riassunta nel primo paragrafo del nostro “progetto”:Il progetto di un docufilm sulla scuola italiana nasce da un’esigenza, quella di raccontare il mondo della scuola con gli oc-chi di chi vive quel mondo in pri-ma persona, ovvero gli studenti, che quasi sempre sono stati te-nuti ai margini del dibattito sulla scuola perché le logiche polit-iche hanno avuto il sopravvento. L’idea di un docufilm sulla scu-ola italiana nasce quindi proprio da qui, dalla volontà di riportare l’attenzione sul mondo scolasti-co, sottostimato per importanza, valori e prospettive in funzione di una crescita sociale, culturale ed economica del Paese. Nella scuo-la, infatti, c’è tutto quello che sarà il nostro Paese nei prossimi anni: gli studenti di oggi che saranno gli Italiani di domani. Se poi dovessi dire “perché il Sarpi”, darei tre motivazioni ti-piche di un documentario: per-ché è stata la mia scuola, perché è in Città Alta (quindi è bella da riprendere) e perché raccontare tutte le scuole d’Italia sarebbe stato impossibile e dovevamo sceglierne una sola. Ci tengo a precisare, comunque, che non è un film “sul” Sarpi, ma “al” Sarpi.

2) In cosa consiste esattamente il progetto? Ha qualche fine o significato particolare?Per trattare l’ampio tema della scuola ho scelto di incentrare l’attenzione sugli studenti perché sono loro che vivono in prima persona quel mondo, che posso-no raccontare realmente la scu-

ola di oggi e perché sono proprio loro i primi ad essere esclusi nei dibattiti sul mondo scolastico, quando, probabilmente, sono i primi a volersi esprimere. Allo stesso modo, è fondamentale as-coltare anche chi, ora 30/35enne è entrato a far parte del mondo del lavoro, e può raccontare il proprio percorso scolastico in rapporto all’attuale professione e posizione. Il progetto è quindi quello di seguire un intero anno scolastico di alcuni studenti di terza liceo da settembre a giugno, e paralle-lamente la vita degli ex-studenti che hanno frequentato lo stesso liceo, e ora vedono le loro gior-nate scandite dagli orari di lavoro e famiglia. Il fine, se ci penso, è uno solo: parlare di scuola.

3) Sono stati coinvolti anche in-segnanti? Quali e con quali cri-teri?Si parla di professori e si ve-dono anche, ma tutto è filtrato dall’occhio della “componente studentesca”, per dare maggiore attenzione al punto di vista per noi è fondamentale: saranno gli alunni a parlare di professori, di insegnamento, di docenti, e già dalle prime interviste mi ha stu-pito vedere come si accalorino quando parlano di un insegnante particolarmente capace. Vuol dire che il rapporto docente-stu-dente è sentito fortemente da en-trambe le parti, e spesso anche di questo si parla poco.Sicuramente i docenti sono e saranno coinvolti in questo pro-getto perché la scuola non esiste senza di loro: vogliamo che siano i ragazzi a parlare, ma l’appoggio

del corpo docente si sta rivelando fondamentale, per le riprese per il sostegno concreto, ma anche per le dritte in tema scuola-alun-ni!

4) Da esterno, come le sembra l’ambiente della nostra scuola? Che idea ne aveva prima, a par-tire dalla sua esperienza (se era già stato a contatto con esso in passato) o dai racconti di altri? L’ha vista confermata o smen-tita? In cosa?Quando lo frequentavo forse nemmeno mi rendevo conto di quello che stavo vivendo in que-gli anni: me ne rendo conto ora che la sono tornato al Sarpi da ex.Perché alla fine credo che tutti, con la propria scuola, abbiano avuto un rapporto di amore/odio.Se ci faccio un film forse la parte di amore ha prevalso: in effetti ho sempre vissuto bene la scuola, il Sarpi in particolare; ripenso agli anni di studio con estremo pi-acere e un pizzico di malinconia, senza rabbia né con frustrazione, come ho sentito raccontare da al-cuni coetanei. Una cosa è certa: quando sono tornato dopo tanto tempo al Sarpi mi sono reso conto che non è cambiato davvero nulla. Aule, corridoi, strutture, banchi, lavagne…tutto è rimasto uguale al 1999, quando ho fatto la ma-turità! Ed è proprio così che ci siamo immaginati la scuola: un teatro, fermo, fisso, immutabile, in cui cambiano solo, anno dopo anno, gli attori che la interpre-tano.

Gli Anni e i Giorni: INTERVISTA AL REGISTA

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5) C’è qualcosa che l’ha colpita (in positivo o in negativo) in modo particolare e a cui darà spazio particolare nel film?Sembra una risposta banale, ma mi hanno colpito gli studenti. Colpisce vedere dei ragazzi di 18 anni con tanto entusiasmo per l’attività scolastica, per quello che si apprende, per il valore che danno all’amicizia e alla condivi-sione di tempi, spazi e idee con i propri coetanei. Non mi sento assolutamente un “vecchio” (ho 31 anni) ma sento la differenza di generazione e mi interessa cosa pensano di ciò che li circonda perché saranno gli Italiani di domani.

6) È stata un proposta accettata di buon grado da tutte le compo-nenti o ci sono state resistenze o attriti? Se si sono verificati con-trasti, a quali motivazioni erano legati?Sicuramente qualche docente non ha visto di buon occhio la nostra proposta, ma lo capisco. Noi arriviamo con il nostro car-ico di entusiasmo e sono consa-pevole che potrebbe stravolgere la quotidianità della scuola. Cap-isco che gli insegnanti abbiano “paura” che si perda attenzione alla lezione, ma abbiamo sempre cercato di non essere invaden-ti. Certo, qualche rimbrotto l’abbiamo già preso quando ab-biamo fatto arrivare qualche rag-azzo in ritardo alla lezione…e per me è stato come tornare ai tempi del liceo quando “il profe” ti sgri-dava per il ritardo!!Colgo l’occasione per sottolin-eare come invece l’appoggio e l’entusiasmo della Preside siano stati immediati, e per questo la ringraziamo pubblicamente.

7) La nostra scuola ha un grave problema di calo delle iscrizioni. Pensa che un lavoro di ques-to tipo e la sua divulgazione potrebbe avere una qualche in-cidenza?Non ci avevo pensato né sapevo che il Sarpi avesse un calo di is-crizioni, quindi non ho mai visto il film in questo senso. Non mi sen-to di caricare il film di così tante aspettative rispetto all’aumento o meno delle iscrizioni: preferirei sapere che l’unico liceo classico pubblico della mia città ha avuto un aumento delle iscrizioni da qui in avanti per meriti propri. Non credo sarei così contento sapendo che un 13enne ha scelto il Sarpi perché “ha visto il film”. Preferirei sapere che il 13enne in questione, dopo aver visto il film, si informi attingendo a var-ie “fonti” (studenti, ex studenti, Preside e professori) e infine scelga il Liceo classico. E allora lì sarei contento se dicesse: “Per fortuna che quella sera sono an-dato al cinema!”.

8) Qualche domanda più tecni-ca. Quanto dureranno i lavori? Che bella la domanda: “Quanto dureranno i lavori?”, perché sembra una domanda che si può fare quando si vede un cantiere in costruzione. E il nostro in ef-fetti è un cantiere.Siamo partiti il 12 settembre, con gli studenti, il primo giorno di scuola. Finiremo a luglio, con la maturità, e ipoteticamente finire-mo con i quadri esposti nell’atrio del liceo. Non so se quella sarà l’ultima immagine del film per-ché forse poi, alla fine, il voto fi-nale non è la cosa principale che ci interessa…

9) Quanti alunni sono stati coin-volti e sulla base di cosa sono stati scelti? In che modo vengo-no “seguiti” (semplici interviste, riprese in vari momenti della loro giornata dentro e fuori da scuola…)?Vorremmo che questo progetto coinvolgesse davvero tutti gli stu-denti! Anzi, colgo l’occasione di questa intervista per invitare tut-ti gli studenti a contattarci tram-ite il sito www.gliannieigiorni.it o la pagina Facebook, scriverci e tutto ciò che viene loro in mente. I “protagonisti” sono circa una decina, di sezioni diverse, e sono stati “scelti” in base alla loro dis-ponibilità e interesse al progetto dopo una serie di colloqui rivolti alle 2’ liceo. Riprendiamo alcuni momenti della loro giornata e della loro vita in ambiente scolastico ed ex-trascolastico.

10) Dove e quando sarà proiet-tata la prima?Un piccolo sogno-speranza è quello di fare la prima, anzi una super-anteprima, la domenica sera prima dell’inizio dell’anno scolastico 2012-13 proprio sulla terrazza del Sarpi: una sorta di cinema all’aperto di fine estate!Sarebbe stupendo – anche se ho già l’ansia del meteo se ci dovessi pensare…! – ma dob-biamo capire se sarà montato in maniera definitiva per quella data: l’alternativa comunque è presentarlo al Festival di Roma dell’anno prossimo, verso fine ottobre-inizio novembre.

Sara Moioli II A

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ottobre 2011 6Attualità

Indignados Made In Italy

Homo Novus, il Sarpino per antonomasia rubato dalle vignette dell’anno scorso, nel di-alogo recita la parte del Giovane Universitario Italiano in attesa del suo imminente ingresso nella Società e nel Mondo del Lavoro Gryllus Loquens è il Grillo Par-lante, ma non rappresenta la Coscienza di Homo Novus, bensì chiunque sia leader di un’istituzione (politica e non) che potrebbe/dovrebbe avere l’interesse nel porre rimedio alla situazione di Homo Novus

Gryllus Loquens: Dovresti inizi-are a pensare al tuo futuro.Homo Novus: Dovrei iniziare a pensare alle mie vacanze!GL: Il futuro è una cosa seria... Non hai qualche as-pettativa, qualche as-pirazione?HN: Beh... Dopo gli ultimi due anni di specializzazione ho intenzione di entrare nel settore della ricer-ca...GL: E poi?HN: E poi sarò cos-tretto ad arruolarmi nelle fila dei disoccupati... E se sono fortunato ottengo la pro-mozione per entrare nel plotone dei precari... GL: La solita polemica sterile... Appartieni ad una generazione abituata ad ottenere tutto e su-bito. Ai miei tempi, prima di fare carriera, erano obbligatori alcuni anni di gavetta... E non pensare che i genitori ti potessero sempre sostenere!

HN: I soliti luoghi comuni... Ap-partengo ad una generazione abituata ad ottenere tutto e sub-ito, eccetto ciò che davvero desi-dero per la mia vita: indipenden-za economica dalla mia famiglia, la possibilità di costruirne una mia, l’opportunità di fare proget-ti a lungo termine. Anche ai miei tempi si fa gavetta: la differenza è che non è una condizione con un termine definito, ma è diventata l’eterna attesa di diventare “qual-cuno”... Nel 1997 i dirigenti con meno di 35 anni erano circa il 10 per cento del totale, ormai siamo scesi al 7 per cento. Non parlia-mo dell’ascensore sociale... Evi-dentemente è guasto, perché solo il 3 per cento dei figli degli operai riesce a salire ai piani alti del grattacielo sociale per diventare imprenditore o libero profession-

ista. A me l’appoggio dei miei genitori non manca affatto... Anzi, io, come sei under-30 su dieci, vivo grazie al portafoglio dei miei: anziché supportarli, dipendo dalla loro pensione. È umiliante non avere il diritto di governare la propria vita e doversi lasciar

governare dalle circostanze e dalla propria condizione.GL: Piagnucolare non è costrut-tivo... E in ogni caso è scorretto pensare che tutti debbano neces-sariamente fare carriera e che un titoletto di studio autorizzi a pre-tendere un mestiere qualificato. HN: È molto più grave accettare che non si abbia diritto a sceg-liere un’occupazione adeguata alle proprie capacità, qualsiasi

esse siano, e retribuita in modo equo.GL: Solo in un mondo ideale og-nuno riceve uno stipendio alto per fare il mestiere che prefer-isce. E il mondo ideale non esiste.HN: Non ne sono convinto. Sen-za la prospettiva di un migliora-mento costante non esisterebbe il progresso. Bisognerebbe non solo accettare, ma investire sulla aspirazione degli Homines Novi a competere con la generazione precedente.GL: Alla fine la responsabilità è sempre nostra, dei Grylli Lo-quentes, soprattutto se siamo in politica. Accusare chi governa è facile per chi non conosce quel mondo e, come te, non è capace di trasformare l’amarezza in im-pegno.HN: Tra gli Homines Novi ci sono molti aspiranti Grylli e alcuni di loro si stanno già impegnando per un’inversione di tendenza. I parlamentari al di sotto dei 35 anni sono ancora il 5,6 per cento del totale, mentre la fascia d’età tra i cinquanta e i sessanta anni è sovrarappresentata. Tutto può cambiare, ma perché ciò avvenga manca ancora un personaggio...(Homo Novissimus entra in sce-na)Homo Novissimus: Homo No-vus, ti porto rispetto, ma da adul-to non voglio recitare la tua stes-sa parte. Gryllus, non mi piace il tuo copione; il prossimo lo scriv-erò io. Io impegnerò il mio tempo e le mie energie. A te chiedo solo una cosa. Di darmi fiducia. Ah, dimenticavo... È urgente.

Alice e Benedetta Montanini, IIA

“Appartengo ad una generazione abitu-

ata ad ottenere tutto e subito, eccetto ciò che

davvero desidero per la mia vita”

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7 ottobre 2011 attualità

l’uomo e la crisi

Basta sfogliare qualche giornale, basta ascoltare la ra-dio, basta cliccare qua e là in rete per rendersi conto della drammatica situazione che la nostra comunità internazio-nale sta affrontando. Basta guardarsi intorno per avver-tire quel sentimento di scon-forto, quella preoccupazione per sé stessi, per il proprio futuro e per quello del proprio popolo. Possiamo continua-re a distrarci accendendo la televisione, possiamo conti-nuare a nasconderci nei centri commerciali, ingozzandoci di luce artificiale e prodotti spu-doratamente inutili, possiamo continuare a far finta di nien-te, ma la realtà è una: stiamo cadendo sempre più in basso, il futuro è spaventoso. Il no-stro Paese rischia seriamente il famoso “crack”, la povertà divora sempre più famiglie - anche quelle che meno ci si aspetta -, le persone che dor-mono in Piazzale degli Alpini, coperti solo dalle pagine di un quotidiano dell’altro ieri e da qualche miliardo di stelle, sono sempre di più; i nostri politici reagiscono con pro-poste discutibili, tra le quali l’ennesimo urlo di battaglia del buon Bossi, un turpe, me-schino, egoista ed egocentrico ”Via l’Italia, via la crisi”. I ra-gazzi Italiani vedono sfumare i loro progetti di vita, vedono il proprio futuro allontanar-sisempre di più (in particolar modo coloro che sognano di diventare insegnanti, ai quali

verranno presto chiuse le por-te delle scuole pubbliche per molti anni al fine di far spazio ai “precari”); la maggior par-te dei ricchi (ma anche classi meno abbienti, che continua-no a condannare altri invece di rimboccarsi le maniche) sembrano non accorgersi del-la situazione, sembrano disin-teressati a un reale sacrificio per il proprio popolo. Oltre il mediterraneo ragazze e ragaz-zi lottano per nuovi paesi liberi (dai quali non sappiamo cosa aspettarci...), ma sulle loro te-ste fischiano gli aeroplani degli alleati NATO; nel semi silenzio delle TV l’Africa conti-nua a soccombere sotto al peso della fame, dello sfrutta-mento e della po-vertà... insomma: il dubbio è tiranno del nostro mondo. In questo caso il termine “dubbio” indica quando ti senti crollare la terra sotto ai piedi, quando non sai come affrontare un imminente futuro che, ahimè, ti spaventa soltanto, quando realizzi che, forse, hai sbaglia-to qualcosa. Insomma, la crisi non riguarda solo l’economia o la cronaca internazionale, il dramma è più che mai uma-no, riguardante noi uomini: piegati da un relativismo che ci mette solo paura di tutto ciò che abbiamo intorno, piegati alla spietata logica del con-sumo, inginocchiati all’altare delle distrazioni, attenti solo a noi stessi e ai nostri inte-

ressi, più fragili che mai e af-famati di certezze. Certezze: la chiave di volta di ogni vita individuale e, di conseguen-za, di ogni forma di società. Per combattere il dubbio che si impone pesantemente, per vedere la realtà così com’è e non filtrata da millenari er-rori di prospettiva, dobbiamo essere certi. Ecco quello di cui abbiamo bisogno, ecco cosa dobbiamo cercare per non avere più paura del futuro, per ritrovare la speranza, per riscoprirci diversi, rinnovati. Ma, in un mondo tanto ostile

e malconcio, dove troviamo le certez-ze? Da dove comin-ciamo? In realtà si comincia a trovare certezze appena ci si rende conto, che nonostante questa situazione dramma-tica, noi restiamo uomini, un fondo di umanità capace di

grandi cose resta nel nostro cuore e nulla ci potrà mai im-pedire di essere vivi, nulla ci potrà mai impedire di essere felici. Nemmeno il ventennio che ci voleva fascisti, prima che esseri umani c’è riuscito, e nemmeno la crisi ci riuscirà. Forti di questo fatto, consape-voli che siamo noi i protago-nisti della nostra vita, noi pos-siamo cambiarla, rinnovarla, ammettere gli sbagli, cercare l’eterna ripercussione delle nostre azioni e nessuno ci può imporre dall’alto un’esisten-za dubbia e triste, vedremo la crisi come quell’avvenimento

“un fondo di umanità capace di grandi cose resta nel nostro cuore e nulla ci potrà mai impedire di

essere vivi”

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ottobre 2011 8Attualità

che (dal greco κρίνω) ha cam-biato il nostro modo di giudi-care, di vedere il mondo; una crisi (quasi “Bluvertighiana”, a buon intenditore poche parole) che s’impone come colmo della nostra società secolarizzata e ne mostra uni-versalmente i lati drammatici, fino a piombarci dentro, fino a scavare nel fondo del nostro cuore e cambiarci, cambiare ciò in cui eravamo convinti. Così ci sveglieremo alla mat-tina, ci guarderemo allo spec-chio, e vedremo il nostro volto rinvigorito, il nostro sguardo diverso, capiremo di essere realmente vivi e di poter cam-biare non solo la nostra situa-zione, ma di poter aiutare an-che gli altri. Perché “Le forze che cambiano il mondo sono le stesse che cambiano il cuo-re dell’uomo.”

“Tu stai marcendo” disse [O’Brein] “Stai cadendo a pezzi. Che sei? Un sacco d’im-mondizia. E adesso voltati e guardati allo specchio. La vedi quella cosa che ti sta guardando? Quella è l ulti-mo uomo. Se tu sei un uomo quella è l’umanità”

(George Orwell - 1984)

Pietro Raimondi, V F

Salve a tutti. Cominciamo dal presupposto che sono un po’ nervosa perché ho più o meno la vostra età e so che l’argomento “attualità” è per la maggior pare dei ragazzi una “barba”, quindi ho la responsabilità di scrivere una cosa seria (che secondo me è indescrivibilmente appassio-nante) senza appesantirla. Ma sono allo stesso tempo fiduciosa perché so anche che noi vivi-amo nel periodo della vita in cui si ha voglia di “spaccare tutto” e di cambiare il mondo. Quindi se sentite di avere il lato ribelle (o diligente, in questo caso sono sinonimi) un po’ più pronunciato di quello menefreghista, state leggendo l’articolo giusto.Ed ora inizio il mio modesto con-tributo a Cassandra.Innanzitutto, questo articolo ha un breve antefatto: la mattina del 30 settembre ho chiesto alla giornalaia vicino casa mia un quotidiano: lei mi ha guardato stupita e mi ha detto: “ma è per te? non si vedono molte raga-zze che leggono i giornali…” per poi fornirmi l’esempio delle sue figlie, il resto della spesa e un cor-diale saluto di congedo. Questo episodio ha fatto scattare la scin-tilla. Avete presente quelle frasi tipo “fatti i fatti tuoi” e “chi fa da sé fa per tre”? sicuramente le avrete dette o ve le sarete sentite dire (io un sacco di volte, con l’aggiunta di “la curiosità uccide Ulisse” e “ma a colazione latte e cavoli tuoi mai, vero?”). Beh, forse gli uomini e le donne di oggi le hanno prese nel senso sbagliato: voglio dire che credono di scrivere e leggere

delle vite altrui su Facebook vada bene, ma parlare e preoccuparsi di cose serie… sia inutile.Inutile. Sì, perché la frase più gettonata quando c’è un prob-lema nell’aria è “tanto io che ci poso fare? Ci penserà chi di dovere.” Il fatto è che pare che anche “chi di dovere” abbia al-tro da fare ma adesso non voglio mettermi a criticare gli “addetti ai lavori”, altrimenti non arrivo più al dunque.Il punto è questo: c’è il rischio che stiamo diventando una man-ica di indifferenti. E se c’è una cosa che non giova all’umanità è l’indifferenza.È impossibile infatti, non accorg-ersi di quella sorta di torpore che ci sta avvolgendo piano piano: stiamo lentamente diventando individui egoisti e disinteressati a ciò che va oltre il nostro naso. Non ci informiamo su quello che non ci riguarda da vicino o, se lo facciamo, siamo solo in grado di elaborare commenti scoc-ciati o disillusi, senza nemmeno provare a capire il perché e il per-come del fatto e quale sia il nos-tro ruolo in esso. Come ha detto il fondatore di “Medici senza frontiere” qualche tempo fa, i bambini scheletrici che si vedono negli spot tv non impressionano più. Mi permetto di aggiungere che fa più breccia nel cuore degli spettatori il troni-sta di turno che sceglie la sua corteggiatrice prediletta. Siamo arrivati al punto di tener aperto un bar per non deludere cento clienti in arrivo, anche se nel bag-no c’è il cadavere di un suicida e i poliziotti vanno e vengono (è successo a Torino), o di accusare

INDIFFERENZA. LA NEBBIA SI FA SEMPRE PIÙ SP-ESSA E PERICOLOSA

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9 ottobre 2011 attualità

persone preoccupate delle crepe sui muri di casa loro di voler solo incassare l’assicurazione, per poi mostrarci le immagini delle macerie che restano della loro palazzina. Il problema principale è che le persone hanno perso la voglia di impegnarsi e di farsi valere. Una canzone dei Tiromancino dice “le incomprensioni sono così strane, sarebbe meglio evitarle sempre”. Secondo me, invece, è bene parlare di ciò che succede nel mondo, discutere delle nos-tre idee e non essere d’accordo, cambiare opinione grazie alla spiegazione di qualcuno se ci si accorge di avere torto, oppure mantenere una linea coerente. È sconvolgente che ci siano ancora Paesi in cui non sono rispettati i diritti umani, le donne sono con-siderate inferiori ed è applicata la pena di morte. E ciò che dovreb-be scuoterci di più è il fatto che NOI, i cosiddetti “paesi ricchi”, potremmo cambiare le cose us-ando i nostri mezzi se solo non li sprecassimo e imparassimo a non crearci delle complicazioni da soli, a non perderci in un bic-chier d’acqua e a rimboccarci le maniche.Ci siamo accorti che l’Italia è un Paese stanco. Stanco della crisi, stanco dei politici, stanco dei problemi, ma anche toppo stanco per pensare ed agire. Preferisce rimanere tranquillo al centro dell’Europa mentre la sua stessa pigrizia ne annulla le forze, tra chi lo vuole dividere, vendere, comprare e sfruttare. Ed è proprio per questa debolez-za generale che le persone hanno cominciato ad evitare di provare a risolvere i problemi, a lasciare che tutto scorresse. Ma… gutta

cavat lapidem (la goccia scava la pietra). Ora gli Italiani stanno pagando l’accumulo di troppo permissivismo e stanno capendo che la loro fiducia incondizionata era malriposta, affidata ad “ad-detti ai lavori” troppo occupati a fare scandalo.Detta molto chiaramente: è ora di svegliarsi, ma prima dobbiamo capire come impostare la sveglia prestando attenzione a questo mondo, che gira vorticosamente e non si ferma ad aspettarci.

Sara Latorre, IV D

“L’Apple ha perso un genio creativo e visionario, il mondo un individuo straordinar-io”. Cosi Apple, sull’homepage del proprio sito, ha annunciato la scomparsa di Steve Jobs, proprio fondatore. Genialità. Passione. Energia. Sono queste le qualità di uno dei più grandi uomini del nostro tempo, che si è spento il 5 ottobre 2011. Adottato da una coppia di “blue collars” che non avevano frequentato l’università, non si laureò mai al Reed College, dove i genitori adottivi lo avevano is-critto a fronte di grandi sacrifici, frequentò solo i corsi che repu-tava interessanti, in particolare uno di calligrafia, che influenzò la sua scelta di inserire nei pro-grammi di workprocessing una serie innumerevole di “font” (caratteri) che fanno parte della nostra cultura moderna. Nel garage di casa, creò con Steve Wozniak, cofondatore di Apple, il personal computer, rivoluzion-ando il mondo dei computer e la vita di molti. In grado di concili-are estetica e informatica, ha reso quest’ultima un’arte. Nel 2005 fu invitato a pronun-ciare il discorso che si tiene alla consegna dei diplomi alla pres-tigiosa Università di Stanford, in cui si può dire che parlò indiret-tamente della sua filosofia di vita, narrando tre storie della sua vita. “That’s it. No big deal, just three stories” sono le parole esatte da lui pronunciate, tre semplici sto-rie personali, che affrontano im

STAY HUNGRY. STAY FOOLISH

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portanti tematiche come “con-necting the dots”, la passione, la perdita e infine la morte. Ma quello che emerse maggiormente dalle sue parole furono l’amore per ciò che aveva creato, per il proprio lavoro e la volontà di non arrendersi. E infatti, riguardo al suo licenziamento dalla Ap-ple a soli 30 anni, affermò che fu una delle cose migliori che gli potessero accadere, perché l’amore per ciò che aveva inven-tato e “il peso del successo che era stato rimpiazzato dalla leg-gerezza di essere nuovamente un debuttante, senza più certezze su nulla” gli permisero di non arren-dersi e di ritrovare la creatività. “You got to find what you love” affermò, infatti, subito dopo, sia per quanto riguarda il lavoro, sia per quanto riguarda gli affetti, perché la passione per ciò che si fa è lo stimolo a migliorarsi e a non arrendersi mai. Proseguì, quindi, il suo discorso trattando un tema “scomodo” per tutti gli uomini, che lo tocca-va direttamente, perché sei mesi prima gli era stato diagnosticato un tumore al pancreas, la morte. Raccontò con un po’ di umor-ismo di aver letto da giovane su una rivista la seguente frase: “If you live each day as if it was your last, someday you’ll most cer-taintly be right”, invitando i gio-vani a seguire il proprio cuore, perché essendo la morte “the best invention of life” a cui nes-suno può sfuggire, bisogna con-vincersi che non si ha nulla da perdere per vivere seguendo le proprie più sincere inclinazioni. Concluse, infine, con un augurio: “Stay hungry. Stay foolish”, trat-to da una rivista definita la Bib-bia dei suoi tempi “The Whole

Earth Catalog”. Un augurio che io non posso fare altro che riv-olgere a tutti indistintamente, in memoria di Steve Jobs, un uomo creativo, visionario e di assoluta integrità, un esempio per tutti noi.E a tutti coloro che ritengono quest’uomo un semplice im-prenditore, vorrei permettermi di porre un invito: date giudizi scontati o maligni su Steve Jobs solo dopo aver compiuto un quarto di quello che lui ha fatto in 56 anni di vita (il che include avere un’idea rivoluzionaria con un amico, creare un azienda nel garage di casa e poi renderla una delle più importanti al mondo).“Stay hungry. Stay foolish”.

Elena De Leo, IIB

Quando ho scoperto di dover leggere le “Lettere dal carcere” pensavo che vi avrei trovato qualche teoria politica, le motivazioni per cui Gramsci si trovava in prigione, dei com-menti su vicende di attualità -era il primo decennio fascista- o delle riflessioni morali partico-lari: e invece no, niente di tutto questo. Nella maggior parte delle lettere sono anzi descritte la sua vita in carcere, le sue condizioni fisiche o gli spostamenti da un carcere all’altro, ma in esse si può trovare qualcosa di più che delle riflessioni, dei commenti o delle teorie: si può trovare un uomo. A mano a mano che si procede nel-la lettura si delinea sotto i propri occhi il profilo di quest’uomo nel-la sua complessità e -mi si passi il gioco di parole- umanità, con i suoi valori, le sue idee, le sue de-bolezze e le sue forze. Il carcere, e dunque la prolungata lontananza dagli affetti e la forzata solitudine permettono a Gramsci di vedere con estrema lucidità e chiarezza la propria personalità: egli stesso riconosce di essere abituato fin da bambino a contare solo su sé stesso e a vivere in condizioni anguste, ed è quello che cerca di trasmettere al fratello Carlo nella lettera 24. “Perché ti ho scritto tutto ciò? Perché ti convinca che mi sono trovato in condizioni terribili, senza perciò disperarmi, altre volte. Tutta questa vita mi ha rinsaldato il carattere. Mi sono

ANTONIO GRAMSCI: UN CARATTERE PER

GLI ITALIANI

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11 ottobre 2011 attualità

convinto che anche quando tutto è perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricom-inciando dall’inizio. Mi son con-vinto che bisogna contare solo su se stessi e sulle proprie forze; non attendersi niente da nessuno e quindi non procurarsi delusio-ni. Che occorre proporsi di fare solo ciò che si sa e si può fare e andare per la propria vita. La mia posizione morale è ottima: chi mi crede un satanasso, chi mi crede quasi un santo. Io non voglio fare né il martire né l’eroe. Credo di essere semplicemente un uomo medio, che ha le sue convinzioni profonde, e che non le baratta per niente al mondo.” Credo che questo passo per-metta di rendersi conto appieno della profondità e della ricchezza umana di Gramsci, che si presen-ta nelle lettere senza veli, senza voler sembrare un eroe, senza volersi ricondurre a un tipo uma-no: si presenta come un uomo la cui peculiarità è la pazienza, la pazienza di resistere. Dalle let-tere traspare la continua volontà dell’autore di mettersi in gioco e di cercare di comprendere la complessità del mondo: nello scrivere alla moglie, alla madre, alla cognata e ai figli non cade mai in generalizzazioni o giudizi affrettati e banali ma cerca sem-pre di entrare in rapporto con l’altra persona, comprenderla, tenerne vivo l’interesse. Quando scrive alla cognata, ad esempio, cerca di capire che cosa le inter-essi per consigliarle delle letture e presta attenzione a come lei re-agisca alle varie questioni che lui pone; ai figli chiede dei giochi che fanno, di ciò che interessa loro, e in cambio delle loro risposte rac-

conta episodi della propria infan-zia in Sardegna. Anche dai racco-nti dell’infanzia, della Sardegna, delle tradizioni del paese, dei giochi che faceva da bambino emerge una persona viva, esis-tita davvero, che ha vissuto fino in fondo, non un personaggio di un libro la cui esistenza si ferma a quelle pagine, oltre cui non si può andare. Colpisce di certo la grande serenità interiore che Gramsci ha e cerca di trasmettere ai corrispondenti, invitandoli ad avere pazienza e ad accettare ciò che verrà, che è proprio quello che fa lui: dalle lettere emerge chiaramente la stoica rassegna-zione di un uomo che ha scelto il proprio destino e affronta con pa-zienza, serenità e lucidità ciò che la sua scelta comporta, perché ha dei valori radicati nell’anima in cui crede profondamente e a cui non può rinunciare. Gramsci at-traverso le sue parole e i suoi at-teggiamenti ci fa capire quanto l’uomo sia davvero padrone della propria vita e quanto la seren-ità e la soddisfazione di sé non dipendano da qualcosa di ester-no ma dalla nostra capacità di re-agire di fronte ai problemi e non lasciarci scivolare tutto addosso. Ci mostra che la libertà di scelta non è meno preziosa se compor-ta la responsabilità di sopportare ciò che ne consegue. In un peri-odo in cui la tendenza generale è delegare, pur di non avere la responsabilità di pensare, tanto che si arriva a delegare il proprio diritto di essere cittadini e si ac-cetta di essere sudditi, Gramsci ha la forza di urlare che la scelta spetta a noi, che la nostra vita non è determinata da un’imposizione dall’alto, ma dalla nostra volontà

e soprattutto dalla nostra capac-ità di reagire. Credo sia questa la lezione più grande di Gramsci.

Arianna Piazzalunga, II C

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ottobre 2011 12cultura

Scrivere di un concerto a cui si è assistito mi sembra molto difficile. Ritengo arduo esprim-ere a pieno le emozioni provate durante l’evento, anche per il fatto che sarei in grado di co-municarle correttamente solo “a caldo”, pochi minuti dopo la fine del concerto. A questo si aggi-unga che il gruppo in questione è poco conosciuto in Italia, e anco-ra meno tra i nostri coetanei (al concerto, l’età media degli spet-tatori si aggirava tra i 25 e i 30 anni) Per questo, prima di racco-ntare quanto accaduto durante il concerto che i Black Angels han-no tenuto il 14 Settembre al Live Club di Trezzo sull’Adda, per dedicarmi invece ad una sorta di introduzione al gruppo.I Black Angels nascono ad Austin (Texas) nel 2004. Se qualcuno non l’avesse già capito grazie al titolo dell’articolo, la loro è mu-sica psichedelica, e affondano le loro radici musicali nella miglio-re tradizione di questo genere, ispirandosi ai Velvet Under-ground, come prova il fatto che il loro nome derivi dalla canzone “Black Angel’s Death Song” e il logo non sia altro che un ritrat-to di Nico, la cantante che col-laborò con Lou Reed e soci per il famoso album “della banana”. I membri del gruppo sono cinque: Alex Maas (voce e percussio-ni), Stephanie Bailey (batteria), Nate Ryan (chitarra), Christian Bland (chitarra), Kyle Hunt (tas-tiere, chitarra e percussioni). La band non ha un bassista fisso, e lo strumento passa di mano in mano a Maas, Ryan e Hunt.

THE BLACK ANGELS: LA NUOVA VIA DELLA PSICHEDELIA

Hanno all’attivo tre dischi: Pass-over (2006), Direction To See A Ghost (2008) e Phosphene Dream (2010). Al contrario di quanto possa sembrare, visto il popolare collegamento tra musi-ca psichedelica e droghe, i Black Angels escludono totalmente gli stupefacenti dal proprio modo di fare psichedelica e questo si sente nella loro musica, stilisticamente più curata e meno “sfattona” rispetto ad altri gruppi (penso, ad esempio, ai Brian Jonestown Massacre). Da un intervista che ho recentemente reperito in rete (su “ondarock.it”, se siete inter-essati a leggerla) traspare la netta idea musicale che il gruppo è de-ciso a portare avanti, soprattutto dopo l’ultimo album (eseguito quasi integralmente nel concerto del 14); il gruppo è convinto del potere della Musica sulle per-sone, come “luogo” dove rifu-giarsi e, in un certo modo, stare assieme, definendola “la nuova Religione”. Per chiudere la parte divulgativa dell’articolo, una pic-cola curiosità sui componenti del gruppo: tutti loro collaborano alla scrittura della nota serie tv “CSI Miami”.

Personalmente, prima di assis-tere al concerto di Trezzo, rite-nevo che i Black Angels fossero un buon gruppo, di medio livello. Circa due ore dopo, la mia opin-ione era totalmente cambiata: Maas e compagnia, dal vivo coin-volgono totalmente il pubblico, costringendolo ad entrare nel cli-ma di semi-estasi che li pervade. Nate Ryan, in particolare, appar-entemente fuori dal mondo, ri-sulta il più trascinante, con la sua

abilità chitarristica. Alex Maas (di cui era visibile solo la barba, il resto della faccia nascosta dietro il cappellino, diventato quasi un simbolo) si muove poco (come tutto il gruppo del resto), ma co-munica un rapimento che non può non ammaliare, tanto che risulta difficile non guardare lui, nel corso del concerto. La cosa che stupisce di più è che tutto questo avvenga senza una vera e propria interazione col pubblico: escludendo un “Grazie” a inizio concerto, il gruppo non si riv-olge a noi per tutta l’esibizione, suonando un brano dietro l’altro, cosa sufficiente per trascinarci con loro. Anche i saluti finali sono più che composti: Maas si leva momentaneamente il cap-pello, viene agitata qualche mano e Hunt alza le dita a fare il segno del “Peace&Love”, e niente di più. Come già detto, il repertorio proposto proviene quasi intera-mente da Phosphene Dream, ma ovviamente non possono man-care i brani di maggior successo del gruppo, come Bloodhound On My Trial, Young Men Dead o Science Killer. Concludendo, non posso non consigliarvi di provare ad ascoltare qualcosa di questo favoloso gruppo, che si è impos-to come la migliore formazione psichedelica del momento. Una volta approfondita la loro musica nelle registrazioni, monitorate frequentemente il loro sito inter-net, perché passano spessissimo in Italia, e vi posso assicurare che andare ad un loro concerto è un’esperienza di grandissimo livello.

Glauco Barboglio, IIC

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13 ottobre 2011CULTURA

Prima di ac-cingermi a scrivere questo articolo mi sono a lungo soffer-mata a pensare con quali parole presen-tare ai lettori di Cas-sandra un film che i critici più severi giudicano banale e prolisso, mentre io lo giudico ben fatto e ricco di importanti valori umani. Certamente la cosa più imparziale sarebbe trafilarvi la trama e raccoman-darvi di vederlo, se non per convincervi delle mie idee, al-meno per spingervi a farvene delle vostre. Ma io proverò, an-cora una volta, a descrivere le emozioni e i valori che questo film trasmette e le consider-azioni che se ne possono trarre.Giovani aquile (Flyboys) è un film franco-americano del 2006, diretto da Tony Bill, con James Franco, Martin Hender-son e Jean Reno. Il film, ispirato ad una storia vera, è ambientato nel periodo della Prima guerra mondiale, sul fronte occidentale, e descrive le gesta della Squadri-glia Lafayette contro le truppe tedesche. Era il 1916, la Prima Guerra Mondiale continuava a provocare il caos in tutta Eu-ropa ormai da due anni. Anche se gli aerei erano stati inventati solo di recente, essi vennero ve-locemente adattati a macchine da guerra. Le potenze alleate, Francia e Inghilterra, combat-tevano una guerra di trincea contro la Germania, mentre gli

USA continuavano a dichiarare la loro neutralità. Molti giovani statunitensi sentivano il dovere di dare il proprio contributo alla Francia: alcuni di loro sogna-vano di diventare degli eroi, altri volevano scappare da una spi-acevole realtà. Così un gruppo di loro si unì nella squadriglia francese Lafayette come piloti di aeroplani, comandati dal Capi-tano dell’ Aeronautica Francese George Thenault (interpretato da Jean Reno). In 2 mesi furono addestrati a volare, a sparare e vennero insegnate loro le prin-cipali tattiche di combattimen-to. I volontari cominciarono i combattimenti e la squadriglia Lafayette si scontrava con i ben più equipaggiati aerei tedeschi. Nel film si intrecciano le storie personali di ciascuno di loro; c’è Blaine Rawlings (James Franco), un ex proprietario ter-riero che si unisce alla squad-riglia perché costretto ad ab-bandonare la sua città; William Jensen (Philip Winchester), figlio di un ufficiale della caval-leria; Eugene Skinner (Abdul Salis), un pugile di colore che si è unito alle forze francesi in segno di gratitudine verso un paese che si è dimostrato tol-

lerante con i neri, che in America venivano considerati ancora schiavi. Le battag-lie della squadriglia Lafayette continu-arono fino al termine del conflitto, dopo il quale Jensen con-tinuò a volare, Skin-ner diventò uno dei primi piloti dell’ US

Airmail Service, Rawlings tornò a Parigi ma non riuscì mai più a ritrovare la fidanzata Lucianne incontrata in guerra, quindi, tor-nato nel Texas, costruì uno dei più grandi ranches dello stato.L’attore, regista, produttore ol-tre che pilota e collezionista di cimeli della Prima Guerra Mon-diale, Tony Bill, firma il film con un senso di profonda devozione nei confronti di quei giovani vo-lontari, mettendo in luce i loro conflitti personali e la loro forza d’animo. Loro erano “un gruppo di americani senza niente in co-mune, se non la voglia di impa-rare a volare”: così li definisce Rawlings all’inizio del film. Ma più passavano le settimane e più i ragazzi si univano e le loro storie così diverse si assomigli-avano per il loro destino: fare in modo che la propria pallot-tola fosse più veloce di quella del nemico. I giovani arrivati come sognatori compirono una rapida crescita, che andò oltre le loro stesse aspettative, che li portò ad essere uomini, ovvero a dividere le differenze che sul suolo sembravano evidenti, ma che in cielo venivano annul-late dai colpi di mitragliatrice. Giovani aquile non è solo un film

Giovani aquile

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ottobre 2011 14cultura

Da quando si esibì sul palco di San Remo con lo pseudonimo “Mikimix” ad oggi, con l’usci-ta dell’ultimo album, è passato molto tempo. Dal 1996 (anno che si può considerare quello dell’ap-proccio di Michele Salvemini alla scena musicale italiana) ad oggi Salvemini ha pubblicato 6 album con lo pseudonimo di “Caparez-za” e due come “Mickimix”. Vo-lendo prendere in considerazione esclusivamente la carriera che ha compiuto come Caparezza, dato che agli esordi ebbe poco succes-so, l’evoluzione dell’artista ha compiuto un salto esponenziale, quasi paragonabile al Big Bang e alle forze che ora a quanto pare stanno provocando “La Fine di Gaia”, evoluzione che però non ha in alcun modo influito sull’i-ronia satirica che lo caratterizza tutt’oggi. Nel 2000 pubblica tre demo, che saranno le canzoni di spicco del suo primo album: “?!”. In questo album la parte musicale non era eccessivamente curata e il sound poteva risultare un po’ grezzo, ma il primo di-sco dell’artista venne comunque approvato dalla critica. L’album che davvero lo consacrò alla mu-sica italiana come rapper fu: “Ve-rità Supposte”, uscito nel 2003 e dal quale furono tratte canzoni come: “Vengo dalla Luna” , “Jo-dellavitanonhocapitouncazzo” e, forse la più importante e ricorda-ta, “Fuori dal Tunnel”. Su questo ultimo singolo nacquero nume-rose diatribe tra l’artista e i me-dia. Caparezza infatti voleva che questo singolo non fosse sfrutta-to eccessivamente da emittenti

della guerra, sulla brevità della vita e sull’intensità delle emozi-oni. Che cosa sono il coraggio, il fulgido senso dell’onore e della giustizia, i bombardamenti, i ve-livoli che precipitano in fiamme, le lacrime sparse per la morte di un compagno, le pallottole spa-rate nel petto di un uomo che ha “il tuo stesso identico umore, ma la divisa di un altro colore”? Che cos’è innamorarsi in guerra e ricevere in regalo un orsacchiotto dalla nipotina della tua ragazza? Cos’è risparmiare un nemico a cui si è inceppata la mitragliatrice, uc-cidere colui che ha falciato metà della tua squadriglia? Che cos’è trovarsi in quattro in taverna, quando si è partiti in nove, e bere per la disperazione? Cos’è alzarsi nel mezzo della notte e andare a prendere in aereo la donna che ami con i suoi tre nipotini, sotto la pioggia di pallottole tedesche? Tutto questo, e altro ancora, molt-iplicato per un milione e anche di più, è la guerra. Vite spezzate, sogni infranti, non poter fare pro-getti, pietà e crudeltà, clemenza e castigo, lealtà e inganno, fiducia e unità è la guerra. La guerra è non sapere come finisce, però poi “fin-isce e tu non hai cambiato niente e ti chiedi perché tutti i tuoi amici sono morti” “Ma allora perché fai sempre missioni in più?” “Per colpire chi ho mancato: chi ha ucciso tutti i miei compagni. Do-potutto, un significato lo devi pur dare alla guerra.” Se un signifi-cato va dato, trovatelo. Io non ci sono ancora riuscita. E se anche lo troverete non giustificherà la morte di innocenti, perché è triste pensare che il fato ha reso quei ragazzi (e quanti altri anco-ra) amici per poi renderli fratelli

in guerra, e se tocca il cuore sa-pere che il coraggio li ha resi leg-genda, non consola affatto. Ma ai posteri non tocca più giudicare il passato: ora si deve miglio-rare il presente e costruire il fu-turo. E ricordare ancora gli eroi che sono stati alle nostre spalle.

Insieme trovammo la forza del nostro valore perché quando rischi solo il cielo è il limite. Rawlings

Giulia Testa, IB

Un sogno eretico

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15 ottobre 2011CULTURA

“Caparezza espri-me senza mezzi termini ciò che pensa e lo fa

spesso con un linguaggio for-bito, inusuale”

non puramente musicali o disco-teche, in quanto il brano era sta-to composto con l’intenzione di distogliere lo sguardo da aspetti mondani (quali le discoteche, appunto), “uscendo dal tunnel” della routine. Dopo l’album del 2003 il successo dell’artista an-drà man mano accrescendosi e, dopo “Verità supposte”, verrà pubblicato il nuovo lavoro “Le dimensioni del mio caos”, di cui fanno parte le notissime “Eroe”, “Ilaria condizionata”, “Io diventerò qualcu-no” e, la più pubblica-ta dell’album, “Vieni a ballare in puglia”, canzone che ovvia-mente si pone contro alle condizioni della mediocre accoglien-za turistica pugliese e della scarsa atten-zione all’igiene e alla qualità di vita dei cittadini di Taranto e din-torni (situazio-ne che posso confermare , da assiduo fre-quentatore) . Dopo l’album del 2008, pub-blica nel 2011 il nuovo la-voro: “Il so-gno eretico”. I singoli più noti estratti da questa ul-tima raccolta sono “Legalize the premier” e “Goodbye Malinconia”. A mio parere questi non sono i brani migliori di questo album, ma c’è comunque da sottolineare che la visione dell’Italia che queste due canzoni offrono, guidata da un

premier corrotto e che sta an-dando a rotoli, è probabilmente quella corretta. Anche in questo album, l’artista conserva quella sfrenata critica satirica che ose-rei definire quasi fanciullesca. Caparezza esprime senza mez-zi termini ciò che pensa e lo fa spesso con un linguaggio forbi-to, inusuale, oppure ricorrendo a intelligenti metafore e inserendo i concetti attuali in condizioni storiche assai distanti dal mondo

di oggi, vedi ad esem-pio “Sono il tuo so-gno eretico”, singolo che dà il nome all’al-bum e che tratta ar-gomenti attuali come lo scandalo sui preti pedofili, paragonato nella seconda strofa ad una possibile si-tuazione analoga ai tempi di Savonarola.

Tralasciando la capillare analisi di ogni pezzo e guardando inve-ce la parte riguar-dante i contenuti e come questi vengono espres-si, troviamo, oltre alla solita ironia satirica, un piz-zico di denuncia in più, tanto che nella canzone “Ti sorrido mentre affogo” l’artista si pone il dilem-ma del “Fare di-

schi di denuncia o fare dischi da denuncia?!”. Ed è probabilmente nella sottile linea che si inter-pone tra queste due condizioni che possiamo collocare l’ultimo album di Caparezza. Probabil-mente però per molti il titolo sa-

rebbe dovuto essere “Un sogno comunista, cribbio”, frase politi-cally s-correct , ma a mio avviso necessaria.

Andrea Sabetta, V C

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ottobre 2011 16narrativa

Un Foglio

La vita è come un foglio bi-anco. All’inizio, prima di nascere, esiste solo un quaderno pieno di fogli vuoti, poi qualcuno ne stacca uno solo per te. Inizial-mente sarà solo un pezzo di carta vergine con righe da riempire o colorare. Finalmente puoi dare una forma a te stesso: scegliere se usare una penna per scrivere cose che non cancellerai, se es-sere una scritta nera, rosso fuoco o una sbavatura. Puoi decidere, invece, di usare una matita per lasciare segni incerti che, se non ti piacciono, puoi eliminare e ri-fare. Puoi essere un testo, un dis-egno, un insieme di simboli o nu-meri: qualunque cosa tu voglia. Ovviamente prima ti dovranno insegnare a impugnare la penna e a comporre le prime lettere. Faticherai molto, fallirai, ti senti-rai incapace e non autonomo, perché da solo non saprai scri-vere… Poi man mano che ti eser-citerai, la tua mano, il tuo polso e le tue dita acquisteranno sicurez-za e sapranno muoversi da sé. A questo punto sentirai il foglio nelle tue mani e potrai iniziare a scrivere da solo, riversando tutta la tua anima sulla carta e di-ventando un tutt’uno con questa. Darai forma ai tuoi pensieri cer-cando di trovare l’aspetto miglio-re, con una bella calligrafia e una forma corretta, stando attento a fare meno errori possibili. Certo, qualche sbaglio lo farai, perché niente può essere perfetto, e non sempre ci sarà qualcuno a cor-reggerti; ma con l’esperienza sarai in grado di rettificare ogni tuo errore, anche se i segni dei tuoi fallimenti rimarranno sem-

pre stampati sulla carta come un marchio indelebile. Però ti senti-rai leggero, libero di pensare, di esprimerti, di sbagliare, di cor-reggerti, di essere o fare ciò che vuoi. E forse gli altri, quando ti leggeranno, ti potranno giudi-care, ma tu saprai che non ti im-porta, perché quel foglio sei tu, e quello è il tuo stile. Più passerà il tempo e più la tua mano sarà stanca e ti accorgerai che ti man-cano le forze, ma sai che devi fini-re l’opera per completare te stes-so. Ad un certo punto percepirai che rimangono solo poche righe. Ti fermerai, rileggerai tutto più volte per poter decidere il finale più adatto alla tua storia. La fine sarà la parte più lenta. Ogni cosa peserà, ogni parola dovrà essere pensata a lungo, perché non puoi rovinarti proprio ora. L’ultima parola sarà il colpo grosso: per un attimo rimarrai fermo con la penna in mano a fissare sen-za parole il foglio. E poi? E poi potrai rileggere tutto di nuovo, piangere, ridere, apprezzare o meno te stesso e quello che hai composto. Però saprai che ti è costata tanta fatica per arrivare a ciò che sei, e ripensadoci, forse, inizierai a piangere coprendo di lacrime il foglio. Infine, mentre incantato rivedrai tutta la tua vita scorrere tra le righe e attraverso il suono delle parole, una mano estranea ti prenderà dall’alto e ti accartoccerà. Sarai debole e non riuscirai a opporre resistenza, perdendo sempre più consape-volezza. E alla fine, con un pic-colo lancio, verrai gettato in un cestino insieme a tanti altri fogli esattamente come te.

Iaia Paganoni, II C

Un giorno, quel giorno, gli uomini decisero, ciascuno per sé, di liberarsi della loro ombra. Che valore poteva avere - dissero - una cosa così fatua e volubile, alterabile da un cappello come dall’inclinazione dei raggi solari rispetto alla Terra? La nostra ombra cambia sempre, non è mai la stessa, si allunga e accor-cia a ritmo e non è mai proprio quella, è incoerente. L’ombra è nulla, è astrazione e basta. Liberarsene in fretta - dissero. Cominciarono con la “discarica dell’ombra”. Cercarono un luogo chiuso e illuminato, vi si misero tutti dentro. Installarono un in-terruttore e instaurarono un Ad-detto all’Interruttore. Chiusero la porta e l’Addetto spense la luce. Fuggirono in fretta ma non ab-bastanza. Un sole nemmeno troppo convinto li riunì al loro prolungamento di etere, di nulla o quasi perché esiste. L’Addetto all’interruttore prese in mano il popolo. Basterebbe – disse - un interruttore al sole. Noi – disse - il problema lo risolviamo alla ra-dice. Giù il sole. Off, tutto perfet-to, o quasi perché venne la luna. Magari più fioca, magari velata, magari calante ma lì fissa, a fare ombra. L’Addetto all’interruttore tentò una improvvida fuga ma gli uomini gli dissero che or-mai che era lì ci doveva stare e gli misero in mano un inter-ruttore della Luna. L’Addetto non si convinceva e tentennava e si dimetteva e tornava. Nem-meno l’Addetto era obiquo. O la luna o il sole - disse. Gli uomini

Parabola Nell’ombra

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17 ottobre 2011narrativa

non si capacitavano più di tanto perché quello era l’Addetto e se non lo sapeva lui, proprio loro non potevano saperlo. Ci furono spontanei atti di disperazione, fughe solitarie a portare l’ombra sotto terra. Gli uomini riconob-bero che nonostante il loro oscu-rantismo ci sarebbe sempre stato un misero lumicino pronto per fare om-bra. L’Addetto or-ganizzò una adu-nata spontanea e spiegò che se pro-prio ci tenevano la soluzione ci poteva essere. Siete voi il prob-lema- disse tra boati imposti con la violenza-. Gli uomini un po’ titubanti si montarono person-ali interruttori convergenti ad uno unico, globale. L’Addetto fu rapido a spegnerli tutti, stramaz-zanti al suolo, a baciare asfit-ticamente l’odiata ombra. Nulla, etere e basta. Ora l’Addetto era potente e solo, ma perlopiù vice-versa. Faceva ombra all’ombra e a tutti gli uomini. Aveva un’arma di controllo di massa molto più potente della paura dell’ombra: la morte. Fece On,click! Alzatevi- disse - fate come dico io o torner-ete giù, per sempre. In quel mo-mento le ombre, tutte le ombre si alzarono, presero l’Addetto, gli misero un interruttore e lo inghi-ottirono. Sparì in un buco nero. Perché la rivoluzione non è un interruttore, è un atto di violen-za. La società tornò a fare i conti con sé stessa, con la sua propria diversità, con l’ombra.

“E il Giusto stava in piedi, nel terrore bluastro/dell’erba dopo che il sole si spense”- Rimbaud

Davide “Accio” Gritti, II A

2.35Mi sveglio, di nuovo. Sento fred-do, molto freddo: la coperta a lato del letto, prostrata dal mio incessante scuotermi. Ripenso

a lui, che solo ieri sera mia aveva regalato un sorriso prima che mi addormentassi: di nuo-vo mi assale il pianto.Ripercorro gli istanti successivi alla telefona-

ta di lei che mi comunica la noti-zia mortale, cercando poi parole di consolazione, meravigliose quanto vane.“Lui mi ha tradito” penso. O al-meno ci ha provato, proprio con lei, lei che mai mi avrebbe colpito in maniera così subdola e infame.“Ha tentato di tradirmi con lei e non ha provato vergogna riv-ersandomi addosso le sue infi-nite parole d’amore, di affetto eterno. Io mi sono bevuta tutto, come una cretina, come una ra-gazzina…”. Mi sento scuotere da tremori, che mi provocano un intenso dolore alle costole. Non ho mai pianto così intensamente e ferocemente. Lacrime bollenti mi solcano i pori della pelle, mi lacerano, corrompono il mio animo di adolescente: in esse mi annego, il suono della sua colpa mi appare remoto e lontano, quanto prossimo. Come dimen-ticare questi mesi d’amore, come cancellare attimi fulminanti e intensi, in cui ogni fibra del mio corpo si tendeva verso quella speranza che ancora sforzavo a riconoscere come mia?

La magnifica apparenza nas-condeva una lancinante delu-sione.Il suo ricordo mi scuote, mi dev-asta, mi percuote, sfinendomi. A tratti desidero morire, a tratti sento un fuoco vitale bruciare dentro il mio dilaniato petto.“E’ stata un’idiozia, una speranza vana, un inutile sogno da bambi-na. Ora l’ho dimenticato”. Men-tre fuori sto bruciando.“Ora sono più calma” penso “ora posso cercare le parole adatte per sputargli in faccia quell’amore tiepido e avvolgente che lui ha profanato, dissacrato. Gli mos-trerò quanto mi ha resa forte. Gli mostrerò l’errore che ha commesso. Gli mostrerò cosa succede a chi si prende gioco di me”.E intanto fuori brucio.

Stefano Martinelli, II B

Fuoco

“Perché la rivo-luzione non è un

interruttore”

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ottobre 2011 18narrativa

Mi piacciono le ragazze rosse. Mi sono sempre piaciute. Ho avuto una passione, anzi una malattia per loro. Ap-pena vedevo una ra-gazza dai capelli rossi mi saliva una voglia irrefrenabile che non riuscivo a controllare e che spesso sfociava in azioni terribili.Era successo con mia sorella e da allora mi ero ripromesso di cercare di controllare questa voglia e ci ero riuscito…fino a quando non entrò nella mia vita Debby.Debby era la mia fidanzata. Era bellissima: alta, slanciata, con enormi occhi azzurri e labbra rossissime. Era perfetta. Aveva un solo difetto: i capelli. Aveva lunghi e fluenti boccoli rossi, del-lo stesso rosso del sole al tramon-to. Fu questo la causa di tutto.Ricordo perfettamente. Era la sera di Halloween e io stavo ri-accompagnando a casa Debby dopo una festa svoltasi presso un nostro amico. Ricordo che io ero travestito da morte e lei da

anima. Sicuramente se qualcu-no ci avesse visti sarebbe morto di paura. Debby faceva impres-sione: era bianca. La sua carna-gione chiara era stata accentuata

da tutto il cerone che aveva messo; gli oc-chi erano cerchiati di nero; era vestita di bianco, un bianco ac-cecante. L’unica nota di colore erano i suoi capelli, rossi come il sangue che le scende-vano spettinati sulla schiena. Ricordo che per tutto il tragitto

dalla casa del nostro amico alla sua continuavo a fissarla e più la guardavo più cresceva dentro di me quella voglia che non riuscivo a reprimere. Era come la lava di un vulcano che saliva lungo i camini prima di eruttare. E il vul-cano purtroppo eruttò.Debby era distesa immobile sul pavimento bianco della sua cuci-na. Tutto lì intorno era bianco. Le uniche macchie di colore erano i suoi capelli simili ad un’aureola rossa intorno al suo viso angeli-co, e la macchia rossa che lenta-mente si stava allargando sul suo petto macchiandole il vestito.

I miei occhi distolsero lo sguardo da quello spettacolo orribile per posarsi sullo spettacolo orribile nella mia mano destra: un lungo coltello da cucina era sporco fino al manico di sangue scuro che pi-ano piano stava scendendo mac-chiandomi la mano.Fu allora che tutto mi ritornò alla mente. Ricordai che arrivati da-vanti a casa di Debby lei mi invitò ad entrare poiché i suoi genitori non c’erano. Era andata in cuci-na e io l’avevo seguita. La cucina era bianca. Un bianco luminoso, abbagliante. E in mezzo a tutto quel bianco spiccava la macchia rossa dei suoi capelli. Ricordo che li fissavo intensamente e la mia voglia era arrivata ormai al culmine. Con uno scatto afferrai un coltello e prima che potessi rendermene conto lo affondai nel petto di Debby. Non ricordai altro, solo la sensazione che pro-vai quando compii quel gesto: un orribile gusto nel farlo. Ricordo anche che a mano a mano che il coltello affondava nella sua ten-era carne la mia voglia diminuiva fino a scomparire del tutto. Mi resi conto solo più tardi di quale orribile gesto avevo compiuto. Avevo ucciso la mia ragazza, così come avevo ucciso mia sorella tanti anni fa. Ancora una volta avevo lasciato che la mia voglia prendesse il sopravvento. Quella voglia che mi portava a uccidere delle ragazze innocenti solo per-ché avevano i capelli rossi. Quella voglia che mi portò a uccidere la persona a cui tenevo di più: Deb-by.

Elena Giozani, IV F

Rosso

“Mi piacciono le ragazze rosse. Mi sono sem-pre piaciute. Ho avuto una passione,anzi

una malattia per loro”

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19 ottobre 2011 sport

L’estate appena conclusa passerà agli annali come l’estate del “gran rifiuto” dei profession-isti di alcune delle leghe più im-portanti nel mondo - NBA, NFL, LFP (Lega calcio spagnola) e Se-rie A italiana - a scendere in cam-po, in protesta contro i dirigenti e le federazioni di appartenenza.Per non rischiare di cadere nel populismo più gretto o, di con-tro, di difendere a spada tratta una categoria di “privilegiati”, in questa sede ci limiteremo, per quanto possibile, di esporre sem-plicemente le questioni, lascian-do alla coscienza individuale le considerazioni sull’opportunità o meno di tali “rivolte”. NBA / NFL Negli Stati Uniti gli sportivi più popolari hanno minacciato (nel caso della NFL) e dichiarato uf-ficialmente (in NBA) il “lockout” - l’equivalente di una “serrata” - per le prime partite della sta-gione; ma se le franchigie della lega più ricca del mondo e i pro-pri giocatori hanno trovato un accordo in tempo per l’inizio della regular season, così non è stato in NBA, dove i cestisti più forti e più pagati al mondo si sono opposti alle richieste avan-zate dai dirigenti delle franchigie per porre un freno ai debiti con-tratti da 22 di esse, per un totale di circa 430 milioni di dollari: tali richieste erano la redistribuzione degli introiti annuali, attual-mente a favore dei giocatori in un rapporto di 57 a 43,e soprat-tutto la revisione del regolamen-to riguardante il famoso salary cap - il “monte stipendi” che ogni

squadra deve rispettare - che at-tualmente presenta una serie di clausole e di eccezioni che per-mettono di stipulare contratti faraonici anche al di fuori del tetto ingaggi, come ad esempio la MLE, l’ “eccezione di metà livello” che consente di offrire ingaggi da 6 milioni l’anno a un giocatore senza che essi vengano considerati nel monte stipendi, e soprattutto i bird rights, clausole per le quali un veterano che gi-ochi da anni nella stessa squadra (ad esempio Kobe Bryant) non vada a gravare sul salary cap, così che per i campioni sia possibile richiedere e ottenere contratti fantascientifici da oltre 20 milio-ni l’anno. I giocatori non hanno accettato queste misure, consid-erate troppo inique, e così si è arrivati al lockout fino almeno al mese di novembre: nei prossimi due mesi si lavorerà per salvare la stagione, cosa possibile solo se una delle due parti rinuncerà alla logica del muro contro muro (ed è auspicabile che siano i profes-sionisti a calare le pretese).Caso analogo in NFL, dove però si è giunti a una soluzione che prevede un calo del monte sti-pendi soprattutto in relazione agli esagerati contratti di rookies e veterani. LIGA SPAGNOLA I calciatori spagnoli hanno at-tuato un vero e proprio sciopero (trasformato d’ufficio dalla lega in rinvio delle partite, come in Italia) a fronte di alcune spinose questioni come il mancato pa-gamento degli stipendi di circa 200 giocatori in squadre minori che però hanno potuto “regolar-mente” iscriversi al campionato e

come le pretese, in un certo senso assurde, dei club di considerare come periodi di vacanza - e cioè non retribuiti - gli impegni con le nazionali: l’opposizione, a mio parere a buon diritto, dei calcia-tori ha fatto saltare, e successiva-mente rinviare, la prima giornata della nuova stagione. La situazi-one si è sbloccata in tempo per la seconda giornata, quando i club hanno rinunciato alle pretese ci-tate in precedenza e i calciatori da parte loro hanno istituito una sorta di fondo comune per coloro che non hanno ricevuto gli ultimi stipendi, con l’impegno delle so-cietà a risanare al più presto il debito. SERIE A ITALIANALa situazione italiana è purtrop-po nota sotto aspetti differenti dalla realtà dei fatti: l’opinione pubblica ritiene infatti lo “sciop-ero” (che non è tale poiché nes-suno ha perso giornate di lavoro) dei calciatori un capriccio di cal-ciatori viziati che non vogliono pagare le tasse, attribuendo al “contributo di solidarietà” pre-sente nella Manovra finanziaria di metà Agosto (in breve, un 10% in più di tasse per i redditi oltre i 150 mila euro) l’unico motivo del contendere, cosa non vera poi-ché i calciatori hanno da subito accettato (e ci mancherebbe) di pagare la nuova tassa -i motivi del contenzioso principalmente di natura legale su chi dovesse pagare questo 10% riguardano i contratti non al netto delle tasse, cioè i contratti “lordi” che sono la stragrande maggioranza- rec-lamando però una revisione dell’ormai famoso articolo 7 dello statuto FIGC sul tema dei “fuori

La strana estate delle proteste dei privilegiati

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ottobre 2011 20sport

rosa”. Questo articolo permette a una società che abbia scriteriata-mente acquistato giocatori fino a rose sovrabbondanti di program-mare “allenamenti differenziati per ragioni tecniche tempora-nee” a quei giocatori considerati di troppo: la vertenza intorno a questo articolo è dunque un ten-tativo di tutelare quei giocatori minori che non hanno il permes-so (pur continuando a ricevere lo stipendio) di allenarsi con i compagni, perdendo quindi oc-casioni importanti per la propria carriera. Alla fine si è stabilito un accordo ponte della durata di 12 mesi per firmare il nuovo contratto collettivo, e la seconda giornata si è svolta regolarmente. Una breve considerazione per-sonale: ritengo che le motivazio-ni dei calciatori italiani e spagno-li, a differenza dei “capricci” dei professionisti americani, si siano rivelate quantomeno sensate, ma il punto della questione è sulla opportunità di serrate e scioperi vari nel mondo dello sport in un momento così difficile per i la-voratori di ogni settore in ogni parte del mondo. A mio avviso dimostrazioni e proteste, quali ad esempio l’avvio ritardato delle partite (metodo utilizzato in pas-sato) si sarebbero rivelate misure più adeguate e rispettose nei con-fronti delle “persone comuni”, e presumibilmente non avremmo assistito a tutta una serie di dis-corsi ipocriti e falsamente moral-isti, specialmente nel nostro Bel-paese, da parte dell’altra “casta”, quella politica, che cogliendo la palla al balzo ha ben pensato di strumentalizzare le proteste dei calciatori per distogliere

l’interesse dai veri problemi del Paese, messi per l’ennesima volta in secondo piano per la comodità di tutti.

Luca Parimbelli, III I

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Dopo novanta giorni di idilliaca libertà, dopo serate trascorse senza il pensiero del pullman la mattina successiva, dopo pomeriggi interi trascorsi nelle attività più inutili, siamo spiacenti di informarvi che non siete in un altro di quegli orribili incubi, stavolta non basterà svegliarsi con un pizzicotto, poiché siete davvero tornati di nuovo a scuola!!! Ma sognare non fa mai male (a meno che non lo facciate con la fronte appoggiata sul banco) dunque lasciate libera la fantasia e pensate al luogo in cui vorreste essere ora. Domanda 1: Cosa hai fatto in spiaggia?A. Ho fatto il bagno, preso il sole, mangiato il gelato e pensato a quanto cavolo è bella la libertà! B. Ho costruito un Sarpi di sabbia in scala 50:1 (completo di animali impagliati), ho letto tutto il libro di letteratura latina e ho condotto un’analisi dettagliata della fauna marina da mostrare al prof di scienze!C. Ho osservato il movimento della marea lento come un 1A che sale in città alta, ho ascoltato il rumore delle onde che mi accarezzavano i pensieri e parlano dolci come le crêpes del chiosco sulla spiaggia.D. Ho raccolto tutte le cicche di sigarette che trovavo

nella sabbia per cercare di costruire un barcone e tentare la circumnavigazione del globo. Il bagnino mi ha salvato a 10 metri da riva.

Domanda 2: La cosa più brutta che ti è capitata quest’estate?A. A 500 km (cambiate le cifre se siete andati in luoghi più esotici di quanto abbia fatto io) da quella maledetta scuola, NON E’ POSSIBILE INCONTRARE LA PROFE DI GRECO!!!!!B. Ero a metà di una versione di greco, quando, senza preavviso, avvenne la disgrazia: m’abbandonò per sempre la mia fidata biro, che mi aveva accompagnato per tante verifiche in classe, e non potei terminare la versione per almeno un giornoC. Ogni cosa ha le sue ragioni intrinseche e se il fato ha fatto in modo che ogni cosa che è accaduta accadesse, chi sono io, povero puntino sperduto e solo nell’universo, ritenuto essere pensante, per potersi lamentare?D. 18, ma solo perché ero a dieta.

Domanda 3: Quale è stata la tua colonna sonora dell’estate?A. Niente in particolare, non avevo voglia nemmeno di girare il canale della radio e allora ascoltavo quello che passavaB. Macché colonna sonora?!?! Chi aveva tempo per la musica???? Dovevo

studiare io!C. Non esiste musica migliore del rumore del vento che accarezza le fronde degli alberi, rinfresca dal sole e alza le gonne alle ragazze.D. “In the ocean blue” e “Put a banana in your ear” del famoso cantautore Charlie the Unicorn

Domanda 4: Quante volte hai pensato alla scuola durante l’estate?A. Sinceramente, non sto pensando alla scuola nemmeno adesso che la sto pronunciando. SCUOLA SCUOLA SCUOLA!! ecco… non ci ho pensato neanche una volta.B. Quante volte non ho pensato alla scuola durante l’estate?C. La mia mente ha vagato su temi ben più importanti della scuola! L’immensità dell’universo, la moltitudine delle stelle riflesse sul mare, la varietà di esemplari di esseri umani e/o esperienze antropologiche che popolano la Terra, se sia più buono il gelato del bar del bagno o quello della gelateria davanti all’hoteld Verde

Domanda 5: La cosa più bella dell’essere tornato a scuola?A. BELLA!?!? BELLA!?!?MUAHAHAHAHAHAHAHAHAHA!!!! ogni cosa… ogni cosa… ogni cosa… il mio tessssoro!!!C. La bellezza si può trovare ovunque: in massicce

test: DOVE DOVRESTI ESSERE IN QUESTO MOMENTO INVECE CHE NELLA NOSTRA BENEAMATA SCUOLA?

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colonne svettanti fino al cielo, nell’orizzonte rosa-viola visto da città alta, nella vuota pupilla di un cervo impagliatoD. . Il progetto di trasformare la palestra femminile in una piscina ad acqua piovana semplicemente aspettando il prossimo temporale e quello di creare un ring sulla terrazza della succursale, in modo da risolvere con un tête-a-tête tra studente e professore i casi di voti incerti prima dello scrutinio

Domanda 6: Qual è l’animale che ti rispecchia di più (non fate domande… volevo mettere una domanda in più ma non sapevo cosa scrivere allora ho preso dal Cioè)A. Un CANARINO ingabbiato in questa scuolaB. Una MOSCA perché io sono irritanteC. Un GUFO con quell’aria saggia e pensosaD. Bene, grazie

Ora sapete cosa fare, non c’è bisogno che vi dica di controllare se avete risposto la maggioranza di risposte a b c d π φ ω ¾…

PROFILO A: Potresti stare ovunque… ovunque tranne qua, ma a quanto vedo è come se non ci fossi davvero. Gironzoli per la scuola in bikini e chiedi a tutti se parteciperanno alla gara di limbo o a quella di scala 40. Ora però un consiglio e guardami negli occhi, senza

gli occhiali da sole: torna sulla Terra o avrai brutte sorprese quando andrai interrogato in greco con la tua granita in mano.

PROFILO B: Sei esattamente nel posto in cui dovresti stare. L’unica cosa che durante l’estate non ti ha fatto disperare sono stati i compiti delle vacanze: fare le versioni era un po’ come tornare in inverno sui banchi di scuola. Appena sei tornato hai fatto una festicciola privata con i tuoi amici professori per celebrare l’inizio di un nuovo entusiasmante emozionante ed oltremodo istruttivo anno scolastico… (sei disgustoso, spero solo che questo profilo si addica ad un’infima percentuale di studenti)

PROFILO C: Hai preso bene il tuo ritorno a scuola, nonostante i tuoi compagni siano rimasti piuttosto sorpresi nel vederti completamente rasato e vestito come se, perduto per qualche strano motivo ogni tuo abito, indossassi le tende arancioni del salotto di tua nonna. Il tuo animo è sereno, tranquillo ed equilibrato e levitando a due metri dalla sedia intrattieni amabili conversazioni con i professori di religione e filosofia… Ok la calma, ma diventi quasi preoccupante come il tuo amico del profilo B se prendi la scuola come se fosse un monastero buddista.

PROFILO D: Caro amico, tu hai dei problemi... La tua fervida fantasia ti trasporta ogni momento in un luogo inaccessibile a noi poveri esseri comuni, infatti in questo esatto momento stai saltellando in mezzo ad un campo di margherite insieme ad unicorni rosa e fauni… Il luogo in cui dovresti stare è quel manicomio che è il Sarpi, tanto immagino che a stare a stretto contatto con una mente geniale come la tua sia un po’ difficile rimanere sani di mente indifferenti alle questioni importanti della vita, come: fino a quanto sanno contare gli alligatori? Quanto ci metterebbe una cimice ad attraversare l’Europa? Per quanto tempo ancora dovrò scrivere cose senza senso?

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23 ottobre 2011 terza pagina

Ipse dixitEX V BTELI: E’ più facile trovare dell’acqua santa all’inferno che un “AD” più nominativo!

TELI: La Coca-Cola! Io la bevo solo in Quaresima per fare un fioretto!

TELI: L’uomo di oggi è un Artù senza Merlino.

COLLEONI: Tu quando pensi metti il cervello nel frigo! MESSINA: Ablativo di klimax. CARLO: Klimakos. MESSINA: Imbecille.

TELI: Fammi l’imperfetto indicativo medio di εροταω terza plurale. CARLO: εροτόντο.TELI: Lo sapevamo già.

SCABURRI: E’ inutile che guardi la luna come il gallo cedrone!!!

Per spiegare il vangelo apocrifo COLLEONI: Praticamente Gesù a quattro anni uccideva

i bambini e li risuscitava dandogli un calcio nel culo!

OLIVA: Vi ricordate chi era Solone? VILLA: Quello cattivo…

COLLEONI: Villa, con la tua lingua potrei farci una sciarpa oggi!

TELI: Vi chiudo in soffitta!!!

TELI: Quando fate una versione, siete come in un labirinto: il dizionario è il vostro filo di Arianna, e indovinate chi è il Minotauro?!

EX V I“massime” -Turno è l’Achille di turno! -Torna con il libretto o sopra di esso! EX IV I Dopo aver illuso la classe di andare in Aula Magna Moretti: Dai ragazzi, in fondo anche le infinitive hanno la loro bellezza! Moretti:Chi ha detto “quam scripsit scripsit?

X:Gesù! XX:Cicerone! Moretti : Studiate! Platone!!! X: Dai c’ero quasi! Moretti: Possibile che mi ricordi ste’ cose e voi no? Mica le studio..! Classe: Veramente prof... Zappa: Insomma, questa era proprio stonata... un piccolo cimitero vocale! Zappa: Proprio non ha voluto cantare! Neanche le avessi chiesto di fare cose sconce.... Zappa: Io non riderei così X, ho visto tua madre ai colloqui...X: Bella, eh? Piccirilli: Perché Teli, in fondo, non è poi così asessuato come sembra... (sorriso malizioso) Piccirilli: Secondo Freud tutto nei sogni ha un riferimento sessuale.... io mi sogno sempre Teli... cosa ne dite? ( sorriso malizioso 2)

Pensate che nell'ignoranza vi sia un barlume di Verità? Vi è stata espressa un' espressiva espressione e hai voglia di esprimerti con espressione per esprimere

quali espressioni si esprimono durante le espressioni in classe? Allora dateci una

mano a salvare i sarpini dalla che ci attanaglia e mandateci i vostri

. Classe per classe appuntatevi le battute più comiche, le situ-azioni più imbarazzanti, fantasiosi epiteti, precisando il Genio che li ha pronunciati. Inviate tutto a [email protected] e assicuratevi che i diretti interessati

non abbiano da sentirsi offesi o lesionati o ALTRO.Cordialmente,La redazione di Cassandra

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La RedazioneDirettore Responsabile:Davide Rocchetti, III A

Impaginatore-Grafico:Pietro Raimondi, V F

Caporedattori:Arianna Piazzalunga, II C Sara Moioli, II AGlauco Barboglio, II CPietro Valsecchi, III FLuca Parimbelli, III ILetizia Capelli, II A

Copertina:Stefano Togni, II A

Vicedirettrice:Martina Astrid Rodda, III C

Segretaria:Benedetta Montanini, II A

SarpiAttualitàCulturaNarrativaSportTerza Pagina

Illustratrici:Camilla Balbis, IBChiara Piantanida, IV F

La Redazione non condivide necessari-amente tutti i con-tenuti degli articoli

pubblicati.

Michele Soldavini , III IDavide Gritti, II A

Alice Montanini, II A Benedetta Montanini, II A

Elena De Leo, II BBenedetta Campoleoni, II B

Stefano Martinelli, II BFilippo Alessandro Boukas, II C

Isabella Manenti, II CIaia Paganoni, II C

Lorenzo Teli, II CAndrea Calini, II I

Lucia Cappelluzzo, II IGiulia Testa, I B

Micaela Brembilla, I C

Marta Cagnin, I DLeopoldo Biffi, V CAndra Savetta, V CFederica Sala, V EPietro Raimondi, V FSara Lattore. IV DSofia Marchiondelli, IV DGiulia Vitale , IV DSara Zanchi, IV DFederica Zonca, IV DElena Giozani, IV FElena Moreschi, IV FElena Occhino, IV F

La redazione si riunisce ogni sabato alla sesta ora in sede

Redattori

24 ottobre 2011