CASE DELLA CARITA’ - WebDiocesi · Don Mario vive una continua ricerca della volontà di Dio, ......

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LE SINTESI Sintesi sulla Congregazione Mariana Sintesi sulla Casa della Carità TESTO PREPARATO IN OCCASIONE DEL CAPITOLO GENERALE DEL 1990

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LE SINTESI

Sintesi sulla Congregazione Mariana

Sintesi sulla Casa della Carità

TESTO PREPARATO IN OCCASIONE DELCAPITOLO GENERALE DEL 1990

SINTESI SULLA CONGREGAZIONE MARIANA DELLE CASE DELLA CARITA’

La Congregazione Mariana delle Case della Carità è una Associazione pubblica di fedeli, laici e chierici, eretta e costituita nella Diocesi di Reggio Emilia dal Vescovo Beniamino Socche in data 11/2/1956.Il germe di questa Associazione lo troviamo a Fontanaluccia quando, il 28 settembre 1941, si apriva il “povero Ospizio di Santa Lucia” per accogliere alcuni poveri della parrocchia. L’apertura della Casa fu resa possibile dal comune contributo dei fedeli della parrocchia e di parrocchie vicine, animati e guidati dal parroco Don Mario Prandi; l’attenzione di tutti (parrocchiani e ragazze volontarie) è per i primi quattro Ospiti, sono loro il centro della Casa perchè in essi è presente il Signore Gesù bisognoso e sofferente. Già dall’inizio l’Ospizio S. Lucia non si presenta come una normale casa di accoglienza perchè la causa (originante/ultima: la fonte) di questa sensibilità umana non sta nell’altruismo, ma risiede nella Messa: è dal Gesù eucaristico che Don Mario prende le mosse per adorare e servire Gesù nei poveri (infatti la prima cosa che fece a Fontanaluccia fu l’introduzione delle SS.Quarantore). Tutta la sua opera di apostolato ruota attorno a questo fulcro, fino ad affermare che “noi non ci muoviamo perchè c’è bisogno”.“... ma come componente essenziale della propria quotidiana pietà cristiana, come vita di sequela a Cristo, come incarnazione di “fate anche voi come ho fatto io” - che cioé mi dedicherò personalmente a Lui in questa nuova sua presenza nei poveri. E’ essenziale per me cristiano vivere così.” (32 ‘“Come nasce la Casa” del 25/7/’83).La storia di questa associazione di fedeli è la medesima dello sviluppo delle Case della Carità, piccoli “cottolengo” intitolati a un mistero del Rosario dove si vivono le 14 opere di misericordia a servizio dei fratelli e per la santificazione personale e comune: non possiamo diventare santi da soli, ma in una comunità, stando a contatto con altre persone che col loro esempio o la loro provocazione (i Poveri) ci aiutano a progredire nella via della perfezione.E’ da sottolineare inoltre che il piccolo nucleo della Congregazione Mariana delle Case della Carità non mira unicamente al proprio bene interno, ma vive per la grande famiglia parrocchiale: possiamo così parlare di santificazione personale, comunitaria, parrocchiale.Lo sviluppo delle Case, attraverso nuove fondazioni nelle parrocchie, non è un mero sviluppo edilizio o di distribuzione di servizi assistenziali, ma la graduale formazione di un movimento di fedeli che via via si aggregano alle Case della

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Carità assimilando la loro caratteristica più evidente: servizio al Signore e sua adorazione nelle Tre Mense.Don Mario vive una continua ricerca della volontà di Dio, verificando il suo operato con i superiori ponendosi in ascolto dei segni e delle persone che incontra sul suo cammino.Anche la richiesta di approvazione ecclesiastica che presenta a Mons. Socche va letta in questa ottica: non dunque per fondare qualcosa di nuovo, non per soddisfazione personale, non semplicemente per mettere ordine, ... ma per sottoporsi alla volontà di Dio ... che non si fa attendere a lungo nella risposta.Arriviamo così alla famosa lettera del 7 ottobre del 1955 dove Don Mario presenta al Vescovo Beniamino Socche quello che lui stesso definisce “i suoi pasticci” (di don Mario): uno schema di statuto per l’erezione canonica e giuridica, e uno schema di regolamento interno, accompagnati da copia della Costituzione Apostolica “Bis Saecularis” e dalle “Regole comuni delle Congregazioni Mariane”. Dopo lunga meditazione, a Don Mario parve conveniente attenersi alla forma giuridica di “Congregazione Mariana” per inserire nel corpo ecclesiale il giovane movimento delle Case della Carità: “Secondo me offre la possibilità di partecipare alla Casa della Carità in modi svariati e ad ogni ceto di persone e conserva una unità di movimento e di direzione”.Il Vescovo Socche con decreto dell’11 febbraio 1956 costituisce e dichiara eretta in ente giuridico ecclesiastico la “Congregazione Mariana delle Case della Carità” approvandone gli statuti, dandole così maggiore stabilità e incremento, da momento che la Pia Congregazione in questi anni aveva dato di se buona prova, aumentando di numero nei membri e dilatandosi in Diocesi.Principio di unità fra tutti i membri è la comune consacrazione battesimale; questi fedeli vivono la chiamata personale alla santità partecipando alle Tre Mense che il Signore imbandisce per i suoi figli: mensa della Parola, dell’Eucaristia e dei Poveri; le Case della Carità sono l’espressione e la manifestazione concreta del Signore presente nelle Tre Mense e del servizio liturgico che a Lui viene rivolto.Una caratteristica di questa Associazione è il “partire dal basso”, non dunque come emanazione di un Istituto Religioso, ma come naturale espressione della Comunità che si fa attenta ai Poveri presenti nella parrocchia.Si inizia con il volontariato spicciolo, si passa all’ausiliariato con la consegna del Crocifisso da parte del Vescovo come segno di un ministero di carità, mentre, alcuni con la consacrazione si pongono al servizio permanente alle Tre Mense. Partire dal basso significa che ogni membro dell’Associazione ha un suo ruolo, una sua responsabilità, un suo carisma da esercitare in seno alla stessa; significa che dalla comune consacrazione battesimale si sviluppano le varie chiamate del Signore, tutte indirizzate al servizio della triplice mensa, ma non

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tutte uguali. Ecco nella Congregazione Mariana trovano posto non solo le suore e i frati ma ogni cristiano che vi voglia far parte : uomo donna, religioso, prete o laico, sposato, nubile, celibe vedovo, seminarista, probando, possidente o nullatenente, professionista, lavoratore, disoccupato, carcerato, militare, civile, mendicante, emarginato, ammalato ... tutti i battezzati possono farvi parte condividendo lo spirito della Casa della Carità e impegnandosi a partecipare spiritualmente e, potendo, anche materialmente, alla sua vita. Va chiarito che compito della Congregazione Mariana non è quello di organizzare la carità, ma di dare una possibilità a qualsiasi membro di accedere alla più alta santità e contemplazione in grazia della possibilità di costituire all’interno della Congregazione medesima sezioni o rami che hanno una loro autonomia, un proprio governo, un proprio statuto. Unica vocazione quindi, ma vissuta in modi diversi. Unica vocazione che lega tutti i vari “rami”: Carmelitane Minori, Fratelli della Carità, Ausiliari, Crocifissi, Consacrati nel Mondo, Consacrati Sposati nella medesima famiglia, nel medesimo spirito “di seguire il Signore più da vicino, di credere all’amore, di servirlo nei poveri, di essere legati alle Case della carità”.I “rami” sono legati tra loro da un Regolamento comune (i 12 articoli) che “... tenta di delineare per un cristiano un certo cammino di conversione e l’aiuta a richiamarsi e ricondursi all’ “essenziale cristiano” in una pratica libera, ma costante e dinamica del S. Vangelo.” (31 - “Tentativo di identikit” del 5/3/’83).Ogni “ramo” poi ha un suo cammino particolare in cui vive la sua vocazione specifica secondo il proprio Regolamento, il proprio stato di vita, nell’obbedienza ai propri responsabili. Questo insieme di “rami” dunque forma un’unica famiglia in cui ciascuno ha la sua mansione e forma di vita o stile o regolamenti o normative proprie, ma in cui ciascuno cerca di scoprire sempre di più quello che è comune e che unisce e dove ciascuno arricchisce la propria vocazione in uno scambio di doni attraverso la comunione. La Congregazione Mariana delle Case della Carità, come segno visibile di unità e di comunione, ha un Superiore Generale che ha il compito di vigilare, di custodire, di scoprire e armonizzare tra di loro i doni che il Signore ha suscitato in Don Mario e suscita ancora oggi in ciascun membro attraverso l’eredità che Don Mario ha lasciato.

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SINTESI SULLA CASA DELLA CARITA’

- STORIA -

La prima casa della Carità è nata il 28 settembre 1941 nella parrocchia di Fontanaluccia per iniziativa del parroco Don Mario Prandi. E’ un dono del Signore alla sua Chiesa, a una parrocchia fatto attraverso il cuore di un parroco.

“A Maggior Gloria di Dio, della Beatissima Vergine del Carmine, di S. Lucia V.M., inizio la cronaca degli avvenimenti più considerevoli della parrocchia.Spero con l’aiuto di Dio, che servano solo a testimoniare a me e a chi leggerà, una minima parte delle numerosissime, non certo registrabili, Grazie e Benedizioni che il Buon Dio, nella sua immensa Bontà, elargisce continuamente alla sua Chiesa e alla parrocchia. Ovviamente non vengono notate le miserie e infedeltà che purtroppo sono immancabili, perchè spero saranno perdonate e dimenticate dalla Divina Misericordia e dagli uomini...” (dal diario della parrocchia dal 30/10/38 - - 3 -).

Così Don Mario inizia il diario il 31 Ottobre del 1938 appena arrivato come parroco a Fontanaluccia. Subito inizia a prendere contatto con la sua gente, con la sua parrocchia e vede alcune cose già ben chiare:“... La Chiesa è bella... la cara gente di Fontanaluccia riempie ad ogni funzione la Chiesa” (1/11/1938);“... Ho approfittato della buona stagione nei giorni scorsi per visitare e celebrare nei vari oratori e rendermi conto della vastissima e disagiata parrocchia...” (20/11/1938);“... Ottime impressioni della parrocchia nel campo religioso e morale. Infelici nelle abitazioni e nel campo economico, almeno per buona parte delle famiglie. Molti emigrano stagionalmente, dall’autunno all’estate, in prevalenza in Toscana, ma anche in Corsica, Algeria, Francia e Belgio. Molte ragazze a servizio. Deo Gratias et Marie” (diario 31/12/.1938).In tutte le pagine del diario di questo primo periodo si nota la partecipazione di tutta la parrocchia alle liturgie, ai momenti di preghiera già esistenti e come Don Mario, pur accogliendo e continuando tutte le tradizioni che ha trovato, comincia una sua pastorale. Leggiamo:

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“Avendo da tempo notato con rincrescimento che non si tengono in parrocchia (e in nessuna del Vicariato) le SS. Quarantore, dopo ripetute adunanze della Confraternita del SS.mo Sacramento (molto numerosa!) e la debita autorizzazione vescovile, concessa con paterna vivissima gioia da Mons. Vescovo, vengono fissate le SS.40 ore per la nostra parrocchia nei giorni di venerdì, sabato e quarta domenica di Quaresima di ogni anno, da tenersi in modo che siano effettivamente 40 ore di adorazione solenne, con invito speciale ai Confratelli e Consorelle e alle associazioni per i turni di ogni ora e con invito ai Sacerdoti del Vicariato per le Confessioni e possibilmente a un predicatore forestiero. Così Dio ci aiuti” (3 - Diario dal 30/10/38 al 1945).“... comincia l’Ora Santa di Adorazione, da tenersi possibilmente ogni giovedì sera... per la pace... e anche per il futuro Congresso Eucaristico” (7/9/1939).Già anche i parrocchiani, cominciano, guidati da Don Mario ad avere un’attenzione e sensibilità particolari alla situazione della parrocchia.“... Simpatica iniziativa promossa dal Gruppo Uomini e Donne di Azione Cattolica. Nell’occasione della festa della S. Famiglia, vengono invitati in canonica per un pranzo per loro i più anziani... - si è cominciato a parlare con l’Azione Cattolica di fare qualche cosa per i minorati e per i vecchi. Si vedrà.” (diario 12/1/1941).In parrocchia infatti ci sono parecchi minorati che non vengono curati nel modo appropriato dalle famiglie molto povere e disagiate e che colpiscono il cuore di Don Mario che già ai tempi del seminario aveva scelto di fare il prete per i più poveri:“... trovai alcuni elementi deficienti e minorati che non erano ben trattati in famiglia... pensai di sistemarli presso qualche istituto. Provai al “Cottolengo”, ricoveri, amici. Non era possibile; non c’era posto e occorrevano troppi documenti e condizioni. Ne parlai con alcuni amici di parrocchia: - e se li tenessimo noi?” - (pensiero di Don Mario sulla C.d.C. 24/11/51).Questo interrogativo che Don Mario si pose e pose ai suoi parrocchiani sembrò ben presto una cosa da pazzi e così lo considerarono in molti: l’estrema povertà, la mancanza di una casa, la mancanza di persone che si occupassero stabilmente di quei poveri erano tutte motivazioni reali, ma che non spaventarono la fede di Don Mario. Portò avanti la sua intuizione e la propose anche ai suoi confratelli in un incontro a Cervarolo:“... tra le altre cose si parla anche di un possibile Ospizio-ricovero a Fontanaluccia per raccogliervi i casi più disperati della parrocchia e forse di altre parrocchie. Vari confratelli sono favorevoli, ma non credono

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possibile realizzare un Ospizio in questi posti e in questi tempi. Il priore di Cervarolo dice, che forse con molta fede si potrà fare” (diario 5/5/41).Il Signore nella sua provvidenza, cominciò a suscitare in qualche parrocchiano idee e iniziative in sintonia con il progetto di Don Mario:“... Espongo come già siamo daccordo alcuni dell’Azione Cattolica e Gigli Leonilda, proprietaria della vecchia osteria della Chiesa sia disposta a cedere quel vecchio fabbricato cadente per riattarlo e accogliervi le sue due figlie sordomute. Così pure sono daccordo alcune famiglie della parrocchia che hanno poveri disgraziati in casa e si trovano a mal partito per dover compiere molto più lavoro nei campi a causa dell’assenza di molti uomini partiti per il militare... - il parroco di Romanaore segnala una brava ragazza, la Maria... che potrebbe dare una mano. Si vedrà. “ (diario 5/6/1941).Questo “si vedrà” che Don Mario scrive spesso nel suo diario dice molto della mancanza assoluta di ogni sicurezza e della estrema fiducia nella Provvidenza che è l’unica certezza che lui ha. Così arriva il 28 settembre 1941 e si apre l’Ospizio di S. Lucia:“... venne effettuato il trasporto della statua di S. Lucia... dalla Chiesa parrocchiale alla Casa... per riporla in un luogo adatto presso l’ingresso, a custodia di questo Ospizio per i poveri deficienti o abbandonati...Quasi tutte le famiglie della parrocchia hanno contribuito con qualche suppellettile o altro all’attrezzatura della Casa... La Provvidenza è la Padrona della Casa. Il parroco ha già cominciato a cercare delle Religiose da varie parti per assicurare l’assistenza ai poverini. Il Vescovo ha già benedetto l’iniziativa e promesso il suo appoggio per trovare alcune suore per l’Ospizio. Gli Ospiti sono i Padroni perché in loro c’è il Signore.Speriamo che Dio ci aiuti”. (3-diario 28/9/1941).Don Mario continua intanto la sua ricerca di qualche istituto religioso che possa garantire il servizio ai poveri, ma tutte le suore arrivate a fontanaluccia rinunciano per l’estrema povertà e precarietà incontrate.E’ il Vescovo, che guidato dallo Spirito Santo, dà il mandato a Don Mario di fare lui le suore, cercandole tra quelle brave ragazze dell’Azione Cattolica che già hanno dimostrato tanta disponibilità. Così Don Mario trova tra le ragazze che già prestavano servizio nella Casa, quattro che accettano di donarsi interamente al Signore, nei poveri, ma ci sono alcuni problemi con le loro famiglie. La vigilia del Carmine và dai genitori per chiedere il loro consenso e “... Il mattino dopo, festa del Carmine, tre delle quattro ragazze furono vestite da suore”. (3 - diario del luglio 1942)

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In quel giorno Don Mario fa un’omelia che diventa il primo regolamento interno delle C.d.C.: i fondamenti sono l’Eucaristia, la Madonna del Carmine, i santi della Carità, una vita intensa di preghiera per consacrarsi al “... regale servizio degli infelici di qualsiasi specie, che la provvidenza vorrà mandare al povero Ospizio di S. Lucia”. (4 - primo regolamento 1941).Intanto scoppia la guerra e l’Ospizio non è esente, anzi diventa un luogo di rifugio, di riparo, un’ospedale per tanti italiani e stranieri sbandati e colpiti dai disagi della violenza e dell’odio:“... l’Ospizio divenne un rifugio, un’ospedale, un centro di rifornimento per sbandati e parrocchiani alla macchia; soprattutto un luogo di fiducia, di preghiera e di ristoro per tutti...” (pensiero sulla C.d.C. 24/11/1951); “... tutto concorreva a rendere sempre più vera la Casa. Una Casa di Carità completa: dove si viveva, si moriva, si pregava, si soffriva e si gioiva insieme a tutti ...” (33 - Esame documenti - Cronistoria del 28/7/1983).Una parrocchiana di Fontanaluccia, nel giornalino fatto in occasione del quarantesimo delle prime tre suore scrive: “... Feriti inglesi, feriti partigiani, feriti tedeschi sono curati all’Ospizio nel nome della Bontà di Dio che non conosce nemici. E la piccola Casa è ampliata, nuovi locali, nuovi mobili, tacite offerte di chi forse piange sulla rovina di una casa bruciata”. (dai Ricordi più vecchi 1943-44 Clotilde Pataccini).Già nel 1943 Don Mario ha l’intuizione che la Casa della Carità non dovrà essere una esclusiva di Fontanaluccia, ma che dovrà diffondersi in altre parrocchie: è di questo periodo il suo ricovero in ospedale a Castelnovo Monti dove arriva in condizioni fisiche disagiate, ha patito la fame, si è dato molto da fare per l’inizio dell’Ospizio e viene invitato a fare una visita medica: si teme per la sua salute. Don Mario è in una condizione di estrema povertà e miseria: cominciano i problemi, ci sono delle incomprensioni con gli altri preti. Durante uil suo ricovero in ospedale ha tempo di fermarsi e rivedere un pò la sua vita, guarda alla sua storia,al suo essere parroco, agli anni trascorsi a Fontanaluccia e si mette così com’è con tutta la sua povertà davanti al suo Vescovo, scrivendogli una lettera-rendiconto in cui apre il suo cuore:“... Il piccolo Ospizio di S. Lucia è nato così, quasi impensatamente per rispondere a tre bisogni che erano e permangono grandi e reali per me.1) un bisogno di affiancare alla mia povera opera di parroco, un aiuto che

riparasse in parte le mie deficienze e ottenesse un pò di assistenza dal Buon Dio sulla parrocchia.

2) un bisogno intimo e potente di riparare le mie miserie personali con un pò di carità che lo Spirito Santo suggerisce come mezzo per coprire una moltitudine di peccati.

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3) un bisogno reale e, a mio povero giudizio, imprescindibile, di sistemare alcuni poveri esseri infelici della mia parrocchia. Non dico che assolutamente non vi potessero essere altri modi, ma avendo tentato varie altre strade non ho trovato per allora diversa soluzione”. (5 -“lettera di Don Mario al Vescovo Brettoni” 16/7/1943).

“... L’idea è questa: che la Casa della Carità potesse sorgere come un quasi necessario prolungamento della Chiesa parrocchiale, almeno nei tempi presenti, a fianco e a somiglianza delle scuole di religione, delle case dell’Azione Cattolica, degli Oratori, ricreatori, saloni e teatrini parrocchiali. Secondo la mia grande presunzione credo anche che avrebbe un vantaggio di ideale precedenza e di più immediata rispondenza a reali bisogni perchè “i poveri li avrete sempre con voi” e l’esercizio della carità ai poveri sarà sempre, come è sempre stato, una delle più regali mansioni della Chiesa” (idem).

Pian piano arrivano nuove vocazioni e la Casa della Carità comincia a partire per altre parrocchie: si aprono S. Giovanni di Querciola nel 1947, poi Sassuolo nel 1950, Villa Cella nel 1953, S. Girolamo nel 1955; nel 1956 Mons. Socche emana il decreto del riconoscimento canonico in cui dichiara eretta in Ente Giuridico Ecclesiastico la Congregazione Mariana delle Case della Carità con sede in Fontanaluccia e ne approva gli statuti: “... La Pia Congregazione ha dato di se buona prova, poichè ha di anno in anno aumentato il numero dei suoi membri, e fondato in Diocesi varie opere di Carità... ( dal decreto di approvAzione di Mons. Socche, 1956).Con il crescere e il diffondersi, le Case incontrano parecchie difficoltà sia in campo ecclesiastico che in campo sociale per gli attacchi provenienti dalle autorità politiche. Però questi momenti di grossa tribolazione diventano momenti per crescere nella fede e per dar modo a Don Mario e alle suore di scoprire sempre di più la grandezza e il dono delle C.d.C..Non crediamo sia ancora maturo il tempo di approfondire e guardare la storia delle difficoltà in campo ecclesiale, perchè è storia ancora recente e solo al crogiuolo degli anni sarà possibile una lettura serena nella fede. La cosa che emerge con certezza è l’obbedienza di Don Mario e il suo amore per la Chiesa e per il Vescovo. Anche per quel che riguarda le difficoltà in campo sociale non vale la pena parlarne perchè non aggiunge niente alla storia delle Case, potrebbero solo provocare polemiche che non hanno niente a che fare con la carità. Da questi fatti si evidenzia la fermezza di Don Mario nel rendere sempre più chiara la fisionomia della Casa della Carità e distinguerla dalle opere assistenziali.

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I periodi di sofferenza e di prova sono tempi di preparazione che fruttano una grande apertura delle Case, anche nei territori di missione fino ad arrivare alle attuali 22 in Italia, 6 in Madagascar, 1 in India.E’ con l’arrivo in Diocesi di Mons. Baroni che inizia l’apertura missionaria delle Case della Carità che nel 1967 arrivano in Madagascar: “... Preso atto dei risultati della votazione, e considerato che la fondazione di Madagascar per una Casa della Carità esprime le finalità missionarie della Chiesa reggiana, secondo la volontà del suo Fondatore, Cristo Gesù, e risponde alle sollecitazioni attuali del Papa, secondo il rinnovato fermento, che anima tutta la Chiesa, ritengo corrisponda alla volontà di Dio l’inizio con il prossimo ottobre, della fondazione di Madagascar... (lettera del Vescovo 13/8/1967). La missione iniziata dalla Casa della Carità è un fatto molto importante per la Diocesi, perchè è un modo nuovo per ripartire: “... non un missionario isolato, ma una continuità missionaria della quale la Casa della Carità è il cuore, dove si può ritrovare il calore di una famiglia, il riposo contro ogni stanchezza, il conforto di una preghiera comune e di un dialogo fraterno, che possono poi irradiare tutt’intorno. (da “Ed entrò in una casa” pag. 134).L’allargarsi della famiglia, il diffondersi delle Case della Carità rende urgente la realizzazione di quel progetto che Don Mario ha già dagli inizi: l’apertura della Casa della Preghiera a Pietravolta.

“... Ogni quindici Case, una della preghiera, possibilmente di clausura e di contemplazione... la Casa della Preghiera è la “riserva” delle Case della Carità” (13 Doc. F “Piano del I Rosario della Carità” del 27/12/1954).Anche il Vescovo caldeggia questa nuova Casa: “... poi occorrerà pensare alla Casa - la centrale della preghiera - nella quale si attui l’adorazione perenne al SS.Sacramento e che rappresenta e sia la nave ammiraglia delle Case della Carità, dando loro ispirazioni e spirituale alimento... “(dalla lettera del Vescovo del 13 luglio 1965).Così si apre nel 1968 la Casa della Preghiera di Pietravolta come sostegno della preghiera e della vita di tutte le altre Case.Nell’aprile del ‘80 la Casa della Carità arriva anche in India, a Bombay, dove per volere del Vescovo Mons. Baroni e di Don Mario la Casa ha l’adorazione eucaristica perpetua, giorno e notte. Il 10 ottobre 1986 Don Mario muore a Reggio, nella Casa della Carità di San Girolamo, lasciandoci un testamento, la sua vita, che ci interpella e ci chiama tutti a spenderci per la diffusione della carità.Il 10 ottobre 1987, Mons. Baroni approva le nuove Costituzioni della Congregazione Mariana delle Case della Carità: “... Rendiamo grazie a Dio per i

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numerosi doni con cui ha voluto arricchire la nostra Chiesa di Reggio Emilia-Guastalla anche negli anni recenti della sua storia, e in particolare per il sorgere delle Case della Carità: “Case dell’Amore” e “Case dell’Eucaristia”. (dal Decreto di Approvazione del 10/10/1987).

“... se saranno “cosc che durano” andranno avanti con l’aiuto di Dio e della Madonna; se dovranno finire, spero che abbiano contribuito per un pò a preparare e concimare la porzione di terreno della Santa Chiesa per la nascita o la crescita di qualche anima veramente santa che faccia quello che io - e ne chiedo perdono a Dio -, e forse anche altri, non abbiamo saputo fare”. (28 - testamento di Don Mario del 6/7/79).

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- I D E N T I K I T -- P A R R O C C H I A L I T A’ -

La Casa della Carità, la sua storia, il suo sviluppo, il suo spirito, il suo identikit è un tutt’uno con la storia di un parroco, Don Mario e di una parrocchia, Fontanaluccia. Dice Don Mario in uno scritto nel quale cerca di fare la storia della Casa della Carità:“... c’è un parroco che pensa lungamente e tenacemente, pregando, soffrendo, consumandosi, come ridare un volto veramente cristiano alla comunità parrocchiale...” (33 Cronistoria 28/7/1983).Don Mario si rende conto che nella parrocchia tradizionalmente molto buona, ricca di vita di pietà, di celebrazioni eucaristiche, di liturgia della parola, manca un posto, una cura particolare per i poveri.“... perchè dar via quelli che sono riconosciuti perle della parrocchia? poi, non è forse un obbligo nostro di cristiani provvedere ai fratelli minorati della nostra comunità?” (9 “Pensiero” di Don Mario sulla C.d.C. 24/11/1951).Già dai tempi del Seminario Don Mario sentiva forte di essere chiamato dal Signore a servirlo nei fratelli più poveri e arrivato a Fontanaluccia è particolarmente attento alla povertà di quella parrocchia. Scrive già nel 1929: “... Io non so una cosa: come tanti cristiani, tanti sacerdoti passino davanti a un infelice, un povero e non si fermino... Quando sarò prete, se (Dio) il Signore vuole, mi dedicherò in gran parte agli umili, ai poveri, ai disgraziati: essi che nulla pretendono meritano molto” (1 - Diario... del ‘29).L’intuizione grossa di Don Mario è che la parrocchia non farà dell’assistenza, non curerà solo i bisogni materiali ed immediati dei poveri, ma si preoccuperà soprattutto dei loro bisogni spirituali facendoli partecipare alla vita di pietà, alla catechesi della parrocchia, e in modo preminente alla Santa Messa. E’ ancora Don Mario che ci aiuta:“... Primo sintomo cristiano nell’animatore: dar da mangiare... l’Eucaristia a tutti... ma chi ne ha più bisogno (di Eucaristia ecc.) sono i più poveri, i più vecchi, i più ammalati che non sempre possono essere presenti alla Messa comunitaria parrocchiale...” (32 “Come nasce la Casa” del 25/7/1983).Dunque nella Casa il primo ospite da accogliere è Gesù e accanto a Lui, allargando il Tabernacolo si mettono i suoi amici preferiti, i poveri, facendo famiglia con loro in uno spirito di apertura, di accoglienza e di coinvolgimento di tutti: “... ma è la comunità parrocchiale che si vale di operatori anche specializzati e preparati altrove, per una propria inderogabile presenza pastorale con i poveri”. (42 - “Nasce dal basso” 14/11/1984).

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E’ chiara a questo punto una caratteristica fondamentale della Casa della Carità: non è un istituto che partendo dalle suore e dai frati accoglie via via una fascia più ampia di persone, ma è una famiglia di cristiani che cerca insieme di rispondere alla chiamata comune alla santità, sviluppandosi nelle varie vocazioni (cfr.”Nasce dal basso” 14/11/1984).Questo modo di essere nella parrocchia, di vivere la parrocchialità fa sì che la Casa della Carità “... diventi un luogo di incontro, una cellula, una sede della santa cospirazione per il ritorno delle anime del Regno di Dio e della Madonna. ... io penso a una forma di collaborazione... Quello che loro credono, sperano, fanno ecc. è il medesimo di tutti gli altri fratelli di parrocchia, o almeno dei migliori di quelli che hanno capito come sia fondamentale per una equilibrata vita cristiana apostolica la testimonianza d’amore dei fratelli più diseredati... sentano come loro il bisogno di vivere le cinque realtà della Casa, di sentirla continuamente scoprire ed apprezzare dai fratelli.”. (8 - Doc. B - “Il mio pensiero è questo” del 1947).La prima di queste cinque realtà di cui parla Don Mario e che sono poi gli effetti della presenza della Casa della Carità nella parrocchia è quella che ha illuminato Don Mario quando, arrivato a Fontanaluccia ha trovato la parrocchia strutturata in borgate poco unite fra loro: il servizio ai poveri della Casa della ccarità sarà un fermento di ricostruzione comunitaria, un aiuto a ricreare la comunione, l’unità intorno a Cristo :“...la Casa della Carità è un fermento, una cellula iniziale di un ritorno del genere umano alla sua unità nell’Amore alla comunità nel senso più evangelico e positivo di questa parola...” (11 “Le Case della Carità” - Premessa del 26/11/52).La Casa della Carità sarà un grande lenzuolo che copre una moltitudine di peccati, cioè “... una Casa dove altri gesti, con o senza fede, liturgici o profani, ispirati o occasionali possono essere compiuti da alcuni o da molti, anche fra quelli che non trovano facilmente la “Chiesa”, o che non sono condotti a quegli altri gesti... E forse non sono meno graditi al Buon Dio e possono essere veicoli di grazia, di compunzione, di conversione, di ritorno a Dio, di pace, di serenità”. (25 “Come è possibile in certe Case vivere l’art. 3” del 12-25 gennaio 1971).La casa della Carità sarà un parafulmine della divina Giustizia perchè è un luogo dove si prega, si serve, si soffre in silenzio, si cerca di vivere in un clima evangelico, quindi sarà un segno, una risposta di Amore al male che c’è nel mondo e “... una partecipazione visibile al sacrificio redentivo della croce poichè il segno e la manifestazione suprema della misericordia è la Croce-Risurrezione” (da Art. 5 punto A delle n. Costituzioni).

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La Casa della Carità sarà una scuola e palestra dove si va a imparare, ad allenarsi per vivere in ogni luogo e praticare le 14 opere di misericordia. Ogni cristiano può imparare nella Casa uno stile di accoglienza, di disponibilità, di servizio, di comunione, di donazione che poi si porta addosso, vive in ogni momento della sua giornata. (cfr. “Come è possibile in certe Case vivere l’Art.3”).La Casa infine sarà una dimostrazione palese della bontà della Divina Provvidenza, vivrà di assoluta carità, come segno di abbandono e di fiducia nel Signore che non fa mancare niente a chi si abbandona in Lui. La fiducia nella Provvidenza è segno anche della nostra condizione di poveri che nulla possono senza il loro Signore e la Provvidenza assicurerà anche la presenza di persone che aiutino a tirare avanti la baracca:“... un primo cerchio di simpatizzanti si forma attorno a questa opera di umanità. Qualcuno comincia a capire che sono i fratelli più bisognosi che un cristianesimo ben inteso non può ignorare... e ... il resto viene da sè, pian piano, senza strombazzature, si forma così una comunità di intenti e di servizio...” (9 Allegato al documento C ”La Casa della Carità” 24/11/51).E’ però chiaro in Don Mario che la Casa della Carità ha un suo ordinamento, un suo spirito, che pur nella sottomissione, nella obbedienza al parroco, deve essere mantenuto e portato avanti: “...il parroco è il naturale assistente o il capo famiglia, ma non l’unico e assoluto dirigente di Casa...” (24 “C.d.C. cosa sono?” 15/10/1966 Santa Teresa).Nel cuore della parrocchia la Casa della Carità è l’Amore. L’Amore non può rimanere chiuso in se stesso, ma brucia per infiammare tutti. Allora la Casa della Carità non chiude in sè i suoi tesori, ma forma dei cristiani “professionisti” (cfr. Manuale pag. 41) e li “proietta” nella vita di tutti i giorni, nella vita di famiglia, nel lavoro e prima di tutto nella vita della parrocchia. “I Congregati Mariani avranno una particolare cura nel partecipare alla vita parrocchiale nel modo più esemplare”. (art. 5 §2 delle Costituzioni) in comunione con il parroco e cercando di diffondere lo spirito delle Case della Carità.

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- S P I R I T O D I F A M I G L I A

La Casa della Carità è una famiglia che nasce dal cuore della parrocchia: è elemento integrante ed espressione di carità dell’intera comunità, frati, suore, ospiti, ausiliari, amici uniti tutti col medesimo intento di accogliere il progetto del Signore che ci invita a vivere e a dare un pò di amore, di quell’amore di Cristo e per il Cristo.E’ famiglia sia perchè ha nel suo intento il donare una famiglia a chi non l’ha più, sia perchè vuole conservare, alimentare, diffondere quelli che sono gli aspetti, i ritmi di vita, le finalità di una famiglia cristiana.“... Perchè il primo scopo di mettere insieme quei “poverini” (piccoli o grandi, maschi e femmine) è quello di ricostruire una famiglia nel vero senso della parola, con un “padre”, una “madre”, qualche zia o tata e qualche nonno, ma anche con la presenza di piccoli e con tutte le esigenze di vita di una famiglia (assistenza, scuola, cura, sistemazione, trapasso) ma anche con tutte le esigenze e gli accorgimenti di una famiglia cristiana...” (33 – “Esame documenti - Cronistoria” 28/7/83).E’ una famiglia patriarcale varia, aperta a tutti che sotto la paternità esercitata dal parroco, proprio perchè nasce dal cuore della parrocchia, è un richiamo a vivere quel legame di amore e solidarietà non solo fra tutti i membri, ma anche tra questi e le famiglie della comunità, le quali trovano in essa il modo di allargare, esprimere, espandere il loro amore e il loro essere cristiane. L’articolo 5 delle Costituzioni al paragrafo 1 e 2 dice: “Un fermento di ricostruzione comunitaria nella Carità di Cristo” (cfr. Ef. 4,1-16).Il Parroco, le suore e i fratelli eserciteranno nella Casa della Carità la paternità e la maternità e con tutti i parrocchiani e con chi li frequenta, saranno responsabili della sua crescita nella fedeltà ai doni in uno spirito di famiglia” (da Art. 5 §2).Il Vescovo ci parla delle Case della Carità come di una famiglia in mezzo alle altre: “... Una famiglia speciale dove la piena consacrazione delle suore permette una disponibilità di servizio totale, dove la collaborazione di tanti giovani e di tante famiglie realizza il miracolo di una carità gratuita e generosa” (omelia del 15/10/1988).La vita nella Casa è fatta di cose semplici, preghiera, lavoro, nelle quali ognuno è chiamato a partecipare e a portare il proprio contributo ciascuno secondo la propria possibilità così come spetta a ciascuno favorire quel clima proprio di una famiglia che condivide tutto: gioie, dolori, esperienze di fede, difficoltà speranze ... è una comunione che si trova ed è alimentata innanzi tutto nella preghiera; preghiera intesa sia nel senso più ampio e pieno di offerta di tutta e

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di ogni momento della giornata sia fatta di pratiche di pietà (preghiera del mattino, adorazione, rosario ecc.) che “puntellano” la giornata e culminano nella S. Messa quotidiana. E’ proprio in questa varietà e globalità che la preghiera diventa accessibile a tutti e nel contempo è la prima fondamentale espressione di accoglienza e di attenzione verso il fratello.Il rosario che risuona entrando nelle nostre Case nei momenti più svariati della giornata, è la preghiera dei poveri, dei semplici, che arriva a tutti, quella tradizionalmente recitata dalle famiglie cristiane.Anche il lavoro che ognuno è chiamato a svolgere privilegiando, valorizzando quelle che sono le attitudini, le possibilità e responsabilità di ciascuno è elemento di condivisione, coinvolgimento, collaborazione ed unione, ma è da intendersi soprattutto come l’espressione più naturale di quella dedizione di quell’aiuto reciproco e rapporto d’amore che viene a legare i vari membri della famiglia. E’ bene ricordare che la dimensione famigliare propria delle Case della Carità è stata valutata positivamente anche da un punto di vista terapeutico, scrive infatti il prof. Chesi: “Se è lecito un accostamento l’intuizione pedagogica di don Bosco è nella pedagogia quella che le Case della Carità sono nella terapia e nella lotta alla emarginazione da handicaps psico-fisici. Noi ritroviamo nelle Case molti degli elementi che sono venuti maturando nella cultura degli ultimi lustri: l’interazione tra ambiente interno ed esterno ( con la comunità circostante: le famiglie, la chiesa, le feste, le fiere ...) la minidimensione, il coinvolgimento di tutti i membri, ospiti e “staff” (suore, parroco, ausiliari), l’apertura totale nel rispetto della libertà personale (niente cancelli, inferiate ecc.) ... il pluralismo delle tipologie (l’anziano solo, lo spastico, il piccolo mentale, l’epilettico, il mongolino, ecc.) e dell’età (l’anziano e il bambino) l’uno in aiuto all’altro ...”. Elementi questi tutti estremamente importanti ma riconducibili in ogni caso a quella che rimane la motivazione di fondo, l’elemento che caratterizza fortemente la Casa e cioè il rapporto d’amore! “Il tempo che si impiega per costruire la fraternità tra il personale di una Casa non è tempo perso; é vero i poveri sono esigenti e numerosi, non si arriva mai a tutto. E’ vero che non sii arriva mai a tutto e neppure serve che si pretenda di arrivare a tutto: ci si esaurirebbe senza vantaggio. Vale meglio spendere il tempo necessario per costruire rapporti fraterni di conoscenza, di stima e di aiuto. Questo renderà il servizio certamente più sereno e affabile credo, anche non meno efficiente. Mettere insieme la propria esperienza di fede, comunicarsi i desideri, le paure, i motivi di sofferenza e aver un immenso rispetto delle sofferenze degli altri e della loro esperienza non è un cammino facile ma è certamente un cammino fecondo. “(omelia del Vescovo 16/8/1985).Questo è quanto ci esorta a fare il Vescovo ed é la cura e la tensione che chiunque frequenta la Casa deve avere per giungere ad una sempre più profonda

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condivisione ed apertura nella sincerità e schiettezza. Da qui l’importanza degli incontri di famiglia, della questua. (cfr. Manuale pag. 113-114) Ma è anche un invito, proprio perchè il nostro essere famiglia nasce da una mozione dello spirito, a portarci gli uni gli altri al Signore, ad aiutarci perciò a scoprire e camminare con fedeltà nel progetto che egli ha per ciascuno di noi (cfr. art.6). “Ogni Congregato avrà una particolare attenzione nell’aiutare ognuno a vivere fedelmente la propria vocazione. Ciò avverrà in modo speciale per coloro che nella famiglia hanno ricevuto il dono della consacrazione e/o dell’ordinazione perchè possano essere segni viventi della chiamata universale alla santità e della partecipazione alla vita secondo lo spirito”.

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- L E T R E M E N S E -

Lo spirito che anima la vita della Casa della Carità è ben rappresentato nel simbolo dei tre pani. Il Vescovo Gilberto esorta perchè siano “non solo una formula bella e corretta ma uno spirito che vi illumina e vi fortifica ogni giorno” (da “Caro Padre Gilberto” pag. 72).Tre pani di cui nutrirsi: Mensa della Parola, Mensa dell’Eucaristia, Mensa dei Poveri in un unico cestino segno dell’unità e della complementarietà tra di essi. Cambiano i tempi e i modi ma è sempre lo stesso Gesù che si adora, che si serve, che si ama e alla cui presenza si vive ogni momento nella giornata. Don Mario nel commento alla regola art. 2 punto c) e d) dice:

“... è questo anche il senso della fiducia nel comandamento nuovo di Gesù: come Lui ha amato, e ogni cosa avrete fatto a uno dei più piccoli... c’è qui tutto il Culto, la nuova Liturgia le Tre MENSE, i Tre Pani, i Tre P.P.P (come dicono a Fosdondo).E’ la Parola che continua e si prolunga, è la Messa che diventa interminabile, è l’Adorazione continua ... Altro che assistenza o servizi-socio sanitari; altro che Istituzioni, opera, organizzazione, struttura ecc.. Perfino il diavolo ... potrebbe fare queste cose: ma la Carità no!!!” (30 - “Commento alla Regola” 1981).Parola - Eucaristia - Poveri formano così un cerchio che permette di vivere 24 ore su 24 l’incontro con il Signore; tutti e tre sono nutrimento indispensabile nel nostro cammino di cristiani. (cfr.Manuale pag.31).La Messa, L’Eucaristia continua e si completa nel servizio ai più poveri, i preferiti del Signore che sono membra del Suo Corpo: non si tratta di assistenza, di servizio all’uomo ma di servizio liturgico; la Casa della Carità è “omissis... espansione della mia Eucaristia cioè del dono più grande che Dio mi ha fatto, ai miei fratelli, a tutti, nessuno escluso, ponendomi un “disturbo” interiore continuo, che porterò con me in ogni istante della mia esistenza, in ogni luogo, in ogni tempo finchè non sarò arrivato a essere una lode perenne di Gloria, un inno continuo di lode e di adorazione: cioè un

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apostolo uno che ha visto e creduto perciò evangelizza, non ne può da meno : “ la carità mi urge dentro come un fuoco “ “- sono venuto a portare il fuoco sulla terra e che cosa voglio se non che si accenda?”

“Senza di me non potete far nulla” - “ma se sarete uniti a me porterete molto frutto e il vostro frutto rimarrà”.Ma questa è la più alta unione con Dio e la continua presenza di Lui nella mia vita ...” (32 - “Come nasce la Casa” del 25/7/83).Si realizza così quella Messa continua che dovrebbe essere tutta la nostra vita in cui l’Eucaristia è fonte e culmine di un continuo movimento di amore. E’ questo amore che muove e dà la vita. Gesù ha donato la sua vita e non solo ... chiama tutti a donare la vita insieme a Lui per rinascere come continuo dono offerto in rendimento di grazie al Padre in un servizio totale e perenne. (cfr. Manuale pag. 134).

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- M E N S A D E L L A P A R OL A -

“... Custodiamola così com’è. Fiumi di acqua viva scorreranno dal suo seno. Questo fiume è la parola di Dio, è come un fiume che mentre scorre depone.(Il Nilo straripa e poi depone l’humus che è una ricchezza)... è il Nilo la loro ricchezza... Il fiume della Parola di Dio che scorre dentro di noi quando leggiamo, è il fiume sacro che scorre, allaga, poi si ritira e depone; depone lo Spirito Santo sciolto come una melma. Nella Parola di Dio c’è sciolto lo Spirito Santo”. (dagli appunti di una omelia del 28/3/1966).

“Un’altra roba grossa è la Parola di Dio che ci viene donata dalla Santa Chiesa ... io ... adopero quello che mi dà la Chiesa ... è meglio un salmo di “18 centimetri” ... ma datoci dalla Chiesa giorno per giorno che non un salmo intero che vado a prendere in una qualche Bibbia ...io tutta non la posso tirar fuori la Bibbia ... tiro fuori quello che mi dà ogni giorno la Chiesa. Questa è una Griglia ragazzi, se voi vi attenete a questo diventa più semplice la vostra vita ... omissis... Vi prego di mangiare quello che vi mette davanti, la nostra mamma che è la Chiesa. (bobina n° 49 del 13/1/84 lezioni di noviziato - “Griglia per filtrare la Parola”).

Nella Casa della Carità la Parola è il nutrimento che la Chiesa ci dà ogni giorno nella Messa, nell’Ufficio e nei vari Misteri Liturgici di Cristo, della Madonna e dei Santi. (cfr. Manuale pag. 112 “Griglia di lettura”).Non una Parola generica, ma la Parola del giorno, fiduciosi che la Chiesa, come una madre premurosa, sa di che cosa abbiamo bisogno e ce lo dona. E’ con questa Parola che ci nutriamo e che cerchiamo la volontà del Signore. Alla Casa della Carità si cerca di cantare sempre l’Ufficio, di darsi tempo e di avere attenzione, perchè sia espressione e segno solenne e gioioso della lode che si celebra in modi diversi, in ogni momento della giornata che è Messa continua.Nella Casa della Carità la Parola di Dio è nutrimento per tutti anche per i piccoli e poveri. Viene celebrata ed ascoltata insieme a loro, coi poveri e da poveri, cioè nella semplicità e nell’umiltà di accoglierla così com’è; come Parola viva che dice oggi qualcosa a ciascuno, senza toglierle o aggiungerle nulla, senza fare “l’autopsia”, ma lasciando che penetri e trasformi con la sua grazia la nostra vita e mentalità mondana in una vita e mentalità sempre più evangelica. Don Mario per aiutarci a fare tesoro di questa grazia e, perchè tutti nella Casa possano ricevere questo nutrimento, ha cercato dei modi per renderla digeribile, semplice, proprio perchè nelle cose semplici ci capiamo tutti

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qualcosa. Ricordiamo le sue omelie ricche di esempi, di coloriture, di parabole, di gesta e di urla...Attraverso un’Ave Maria, attraverso una giaculatoria, ripetuta tante volte con i nostri poveri, il Signore ci parla: è il senso della Casa della Carità che parte dagli ultimi, dal livello più basso, perchè così possiamo starci dentro tutti. Per questo Don Mario ha arricchito il Rosario coi 35 Misteri: è un modo di sbriciolare a tutti un pò di Vangelo e di teologia, è un modo di ripercorrere le tappe della vita di Gesù, è un mezzo che permette di far risuonare la Parola di Dio nella Casa in diversi momenti della giornata.“... Osservare la legge dell’Amore e vivere la presenza di Dio (e qui si sta veramente bene) è il fine di tutto il Vangelo. Soprattutto vivere di fede: pensare e giudicare secondo la Scrittura, vedere le cose nella loro interiorità e intimità (dove si ... vede Dio)”. (da V° Mistero Misericordioso).La Parola di Dio è nutrimento per la nostra fede, per l’intelligenza della fede, ci porta a vedere al di là, a guardare il mondo con gli occhi di Dio, a non fermarci alle apparenze, ma a vedere le cose nella loro realtà, cioé come le vede Dio. Non possiamo nasconderci agli occhi di Dio; la sua parola ci interpella, ci giudica, ci disturba, esige la schiettezza, la lealtà la limpidezza. E’ per questo che alla Casa si dà molta importanza al Capitolo, agli incontri, alle revisioni, perchè tutto possa essere messo in comune nella ricerca della verità e volontà di Dio e possa essere verificato alla luce della Parola e della Comunità. La vita della Casa della Carità è una vita evangelica; è un modo di incarnare quella Parola che il Signore ci ha lasciato: per esempio i Misteri Misericordiosi ci possono far vedere un modo per penetrare nella ricchezza del Vangelo e per lasciarci trasformare dal suo messaggio. La sigla del messaggio di Gesù è la Croce, e la Casa della Carità nasce, si forma attorno a dei poveri, attorno alla Croce e all’Eucaristia che trarrà tutti a sè (cfr. I° Mistero Misericordioso), le beatitudini ed il discorso della montagna: la Casa della Carità è incarnazione delle Beatitudini attraverso le 14 Opere di Misericordia (cfr. II° Mistero Misericordioso); parabole e similitudini (non ragionamenti logici): la Casa della Carità non si fonda su una logica umana, su delle sicurezze, su dei ragionamenti, ma si fonda sulla fiducia in Dio, nella sua Provvidenza, diventando testimone del messaggio di Gesù con il suo modo di vivere nella semplicità, naturalezza e spontaneità (cfr. III° Mistero Misericordioso); i miracoli, i segni che confermano la divinità di Gesù e del suo messaggio: La Casa della Carità testimonia Gesù e il Suo Messaggio con le “opere”, rende visibile agli occhi del mondo la possibilità e la beatitudine della vita evangelica; attraverso i suoi poveri è annuncio che Gesù è venuto a salvarci, che Gesù ci dona una vita e che le cose che valgono sono quelle di lassù. (cfr. IV° Mistero Misericordioso).

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- M E N S A E U C A R I S T I C A -

“Case in cui si rende grazie a Dio per il suo Amore - questo vuol dire Eucaristia - e dove questo rendimento di grazie trasforma ogni cosa. (da ‘Caro Padre Gilberto’ 16/8/1985).Il Signore ci chiama al suo banchetto ed è indispensabile avere:

“... una chiara e completa visione e comprensione della Messa come il centro normale, naturale, obbligato di ogni pratica di vita cristiana...” (32 - “Come nasce la Casa” del 25/7/83).

La Messa rendimento di grazie e dono di Cristo al Padre è il centro della vita della Casa della Carità.Il Vescovo Gilberto dice che: “... la Casa della Carità deve diventare una Casa Eucaristica: sì perchè vi si celebra l’Eucaristia con fervore e con rispetto, ma soprattutto perchè vi si “vive” l’Eucaristia con l’amore e col servizio ... omissis... Se Gesù ha dato la sua vita per noi, anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli; questa è la legge dell’Eucaristia, e questa diventi la legge, la Carta Costituzionale delle Case della Carità, ivi proclamata e vissuta”. (da “Caro Padre Gilberto” pag.67).Mensa Eucaristica quindi è il nutrimento che trasforma la nostra vita in una vita eucaristica. Gesù ci assimila a sè, vuole unire il nostro pane, che è la nostra vita al suo Pane che è la sua Vita per offrirla al Padre nella donazione ai fratelli. Ecco la vera realtà della Casa della Carità: rendere visibile agli occhi di tutti gli uomini l’Amore, quell’Amore che instancabilmente si dona per salvare e per rendere gradita l’umanità a Dio, che sa trasformare le sofferenze, la morte in gioia e risurrezione, che sa bruciare il peccato e l’egoismo, creando nel suo amore, creature nuove.Don Mario per aiutarci a prendere come modello della nostra vita l’Eucaristia ha aggiunto alle giaculatorie, che si recitano tra un mistero e l’altro del Rosario:

“Signore aiutaci a capire che nell’Eucaristia tu sei Via Verità e Vita”.

E’ l’invito ad entrare sempre più a fondo nel mistero dell’Eucaristia, della Messa e cercare di vivere, di nutrirci sempre di più della vita di Gesù e di approfondire sempre di più la nostra vocazione e quella della Chiesa. La Casa della Carità è la risposta, l’amen all’invito di Gesù di rendere grazie e di offrire con Lui la nostra vita al Padre: ognuno a seconda della propria vocazione e

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situazione. Ecco perchè è importante nella Casa della Carità l’Adorazione Eucaristica: è il prolungarsi della Messa che dà la dimensione del servizio. L’Adorazione Eucaristica è il momento della Messa in cui il sacerdote innalzando l’Ostia, dice “per Cristo, con Cristo, in Cristo”.E la nostra risposta alla chiamata all’invito di offrirci con Lui è una risposta piene: Amen.Nella Casa questi momenti di Adorazione ci ricordano e ci portano ad avere sempre presente quella realtà che stiamo vivendo. Ci riportano alla Contemplazione, al primato del Signore nella Casa e nella nostra vita, a riconoscere che tutto ci è donato da Dio e per questo restituiamo la nostra vita a Lui, a ringraziarlo per ogni cosa, a scegliere l’ultimo posto, quello dove si serve, a non respingere il cammino di una vita di sofferenza e di umiliazione, ad imitazione di Gesù, perchè non è nella mentalità del mondo, ma in quella di Dio che troviamo la beatitudine; a costruire dei rapporti di comunione.Dice il nostro Vescovo Gilberto: “... il dono di sè stessi nasce dal Rendimento di Grazie! Fino a che ci sentiamo padroni della nostra vita, non riusciamo a staccarci da noi stessi nella generosità del dono: ma quando scopriamo che la nostra vita è Cristo, che lui solo ce l’ha data e ce la può salvare, allora diventa possibile “rinnegare se stessi, prendere la propria Croce e seguirlo” ... omissis ... Servendo gli altri noi restituiamo a Cristo quello che Egli ci ha donato”. (da “Caro Padre Gilberto” pag. 72).Alla Casa ci sono le persone che hanno tempo: i poveri che sono liberi dagli impegni di lavoro e possono fermarsi ad adorare il Signore anche per quelli che non hanno tempo, per tutta la comunità, per tutti gli uomini.Fin dall’inizio nelle Case si è curata ed amata l’Adorazione qualche ora al giorno, qualche mezza giornata o settimanalmente, poi da quando nella Casa della carità di Bombay si è cominciata l’Adorazione continua, in tutte le altre Case, per essere in comunione e per sostenere l’ Adorazione a Bombay, ci si è divisi secondo un calendario, in modo che in ogni momento del giorno e della notte almeno in una Casa ci sia qualcuno che sta facendo l’Adorazione per tutti. (oltre alle Case altri amici, monasteri, parrocchie, seminario si sono uniti nel calendario). Questo è un aiuto ad essere in comunione perchè insieme cerchiamo di essere sempre fermi a Messa (almeno qualcuno per tutti).Allora dobbiamo esserne responsabili, l’Adorazione non può essere solo una preghiera personale ma riguarda tutta la Famiglia, tutta la Chiesa.La Casa della Carità mettendo al centro l’Eucaristia diventa quella luce, quel faro che annuncia che Gesù aspetta tutti gli uomini; annuncia che gli uomini non valgono per le loro doti, ma perchè Dio li ama, anche se peccatori, li considera preziosi, li vuole salvare e li chiama alla comunione con sè nella vita eterna.

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“Dio ci ascolta e ci vuole liberare dal male interiore e ci vuole onorare e ci vuole saziare con la vita eterna che comincia di qua. Cominciamo a gustare la vita eterna nella Risurrezione di Cristo e cominciamo a pregustarla cibandoci dell’Eucaristia ...” (dagli appunti di un’omelia del 26/2/.1966).

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- M E N S A D E I P O V E R I -

“... I poveri e gli infelici sono le immagini più somiglianti a Gesù Cristo stesso ... Uno che vedendo un povero o un disgraziato, non lo solleva, perde una grazia; è come quegli che vedendo passare il SS.mo Sacramento non si inginocchia in atto di adorazione ... Si perdona molto a chi ama molto ... bisogna avere il cuore della carità, bisogna avere la comprensione della miseria...” (1 - Diario ... dal 18/02/29).La presenza di Gesù si prolunga in modo particolare in tutte quelle persone che sono segnate dalla malattia e dall’emarginazione.Don Mario spesso faceva un parallelo tra il pane consacrato e i poveri e diceva che il pane consacrato è pane, ma non tutto il pane è consacrato; in ogni persona c’è l’immagine di Gesù, ma in chi è malato, handicappato, emarginato c’è l’immagine chiara del volto di Gesù. Nella Casa della Carità l’amore per Gesù si concretizza servendolo, lodandolo, ringraziandolo nei poveri, attraverso la comunione di vita con loro.Il servizio nella Casa della Carità ha i suoi modi, la sua regola nelle opere di Misericordia e nasce dalla compassione evangelica, dall’amore; servizio che non è assistenza ma è una liturgia un culto, perchè riconosciamo nel povero la presenza del Signore: il povero, la Casa della Carità sono un luogo sacro, un luogo dove il Signore ha posto la sua dimora. Questo servizio liturgico, si fonda sulla lavanda dei piedi: “... si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita ... cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto...” Gesù ha lavato loro i piedi, li ha serviti e dice loro “... Vi ho dato infatti l’esempio, perchè come ho fatto io, facciate anche voi...”. (cfr. Gv. 13). Gesù dunque è passato a servirli e poi dà agli apostoli il mandato di servire i fratelli. Questo mandato continua nei loro successori, nei Vescovi, sacerdoti, diaconi e in tutto il popolo di Dio.La Casa della Carità non è un istituto di carità, ma è espressione, strumento della carità del Vescovo: si sviluppa nella sequela del mandato dei vescovi.Un mandato specifico della carità che però non è mai slegato dagli altri due della Parola e dell’Eucaristia e che è indispensabile per la vita di ogni cristiano:

“... ma come componente essenziale della propria quotidiana pietà cristiana, come vita di sequela a Cristo, come incarnazione di ‘fate anche voi come ho fatto io’ che cioé mi dedicherò personalmente a Lui in questa nuova presenza nei poveri; è essenziale per me cristiano vivere così”. (32 - “Come nasce la Casa” del 25/7/83).

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E’ il mandato a donarsi ai fratelli nel servizio, come ha fatto Lui, e a donarsi a Lui, scoprendo poi in essi il suo volto.“Venite benedetti dal Padre mio, perchè avevo fame e mi avete dato da mangiare”. E’ il mandato ad esercitare le opere di misericordia, perchè è in base ad esse che saremo giudicati.Quindi il servizio ai poveri è nutrimento essenziale che ci sostiene nel cammino di cristiani. E’ la Mensa a cui andiamo per nutrirci, per incontrare il Signore, per crescere nel rapporto con Lui e vivere in un continuo rendimento di grazie e di donazione a Gesù presente nei fratelli.Attraverso i poveri si arriva poi a vivere tutti i rapporti in un spirito di servizio - contemplazione umile e attento ai veri bisogni dei fratelli.

“... allora non vivo che per inventare modi scoprire strade, dedicarmi a tutto pur di fare arrivare a tutti Cristo. Per Lui tutto sopporto, tutto soffro, tutto mi va bene ecc...” (32 - “Come nasce la Casa” del 25/7/1983).

Lo stare coi poveri porta a considerarsi niente, ad aspettarsi tutto dal Signore, a confidare solo in Lui, e aiuta anche noi a riconoscere come siamo realmente, facendoci scontrare ogni momento con la nostra poca pazienza, il nostro egoismo. Don Mario dopo una vita trascorsa accanto ai poveri, ringrazia il Signore nel suo testamento e dice:

“... Grazie soprattutto ai poveri che mi hanno aiutato a conoscere di più il Signore e una ricchissima fetta di umanità, piena di tesori e risorse di ogni genere”. (27 - ultimo Testamento del 6/7/79).

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- A S P E T T O M A R I A N O -

“... Tutto lo spirito della Casa della Carità è impregnato di questa luce e profumo mariano (di Maria) dal suo titolo “Congregazione Mariana” ... omissis ... nell’intitolazione di ogni Casa a un mistero del santo Rosario, alla pratica della recita quotidiana del Rosario intero, dal suo riferimento alla Regina del Carmelo come patrona principale della ‘Famiglia’ fino alle indicazioni più particolareggiate dei Grandi Ordini, che furono tutti sommamente devoti e legati alla Vergine SS.ma; dalla squisita tenerezza della Madre di Dio verso il suo Figlio e la sua Chiesa, fino alle più umili e modeste ispirazioni che pervadono ogni articolo delle Regole e Principi di vita; tutta l’esistenza, l’operare e il diffondersi delle Case della Carità è intessuto di Maria...” (32 - “Come nasce la Casa” del 25/7/83).

Ogni Casa della Carità si affida a Maria perchè la guidi e le mostri la strada per crescere sempre di più nella carità.Per sottolineare meglio questo affidamento, questo essere Madre di ogni Casa, il Signore ha condotto le cose in modo che sia venerata particolarmente con il titolo di Decoro del Carmelo.Questo significa che la Casa guarda a Maria e vede in lei quella madre tenera ed amorosa che ci invita e ci indica la Gloria di Dio come fine principale della nostra vita, quindi ci conduce alla ricerca di Dio e alla sequela di suo Figlio Gesù.

“... Ecco la ricchezza del Monte (Carmelo) = si passa dalla Madonna per arrivare a Dio...”. (23 - appunti presi dalle suore di un’omelia del 15/7/65).

Allora Maria è modello e guida di una sequela autentica di Gesù Cristo nella fiducia, nell’abbandono, nell’ascolto, nella gioia del servizio (ci insegna a santificare coloro che soccorriamo), nella prontezza... nell’adorazione perchè sotto la croce è l’adoratrice per eccellenza e ci insegna a vivere la legge dell’Eucaristia, legge di morte e di spogliazione, di rendimento di grazie e di risurrezione. (cfr. Manuale pag. 34).Maria è una creatura proprio come noi, per questo ci è così vicina, ma a differenza di noi ha ricevuto dal Signore il dono di non conoscere il peccato. Maria sa che tutto questo è dono della Misericordia immensa di Dio Padre, sa che solo in Lui, con Lui e per Lui c’è la vita, la gioia, la speranza, l’amore... Maria non tiene niente per sè, è totalmente donata, è una madre sollecita che vede e accoglie le persone con le loro povertà per portarle a Gesù, intercede presso di Lui e accompagna le persone a compiere la volontà di Dio. Questa maternità di

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Maria è modello per tutti nell’attenzione alle persone in un rapporto speciale che porta Gesù.Don Mario nel 1955 descrive “La prima Corona della Regina del Carmelo” il primo Rosario vivente di Case della Carità distribuite nella Diocesi e oltre. Questo Rosario è attaccato al chiodo che è l’Ospizio di Fontanaluccia, la prima Casa della Carità intorno a cui e da cui nascono tutte le altre Case ognuna con il suo mistero.

“... Ospizio S. Lucia V.M. Fontanaluccia (è il chiodo dove si attacca la Corona del Rosario nella “Casa del Buon Padre di Famiglia” che è la Santa Chiesa Reggiana)” (12 “La prima Corona della Regina del Carmelo” - doc. E del 21/5/53).“Piano del primo Rosario della Carità15 Case intitolate ciascuna a un Mistero del S. Rosario. Quello può diventare l’ispiratore del “clima spirituale” della Casa della Carità. E’ il modesto omaggio alla nostra Regina, ogni 15 Case una della Preghiera...” (13 - doc. F “Piano del primo Rosario della Carità” 27/12/54).L’intitolazione ad un mistero non è una formalità ma deve dare un tono a tutta la vita della Casa per partecipare profondamente alla preghiera del Rosario, preghiera insieme così popolare e così meditativa.Il Rosario è la preghiera dei poveri e questo lo rende ricco e gradito a Dio. Nel Rosario c’è posto per tutti: anche i più “poveretti” riescono a partecipare attraverso queste semplicissime parole ripetute che salgono a Dio. Il Rosario è anche la preghiera dell’umiltà; per chi non sa come pregare e per chi non può più leggere o meditare è un aiuto per entrare nei misteri di Dio, è una vera e propria fonte alla quale può attingere chiunque a seconda dei suoi doni e delle sue possibilità. Per questo Don Mario ha cercato di arricchire il rosario proponendo 35 Misteri per cogliere meglio tutte le tappe del Vangelo. Inoltre nei misteri ecclesiali si è formata una semplice ma essenziale ecclesiologia. Meditando il Rosario dei 35 Misteri si può entrare in un modo di fare pastorale, di vita, di scelta e di pensiero; c’è molto dello spirito di fede, di preghiera, di amore di Don Mario; bisogna solo entrare e scavare per scoprire le perle che vi sono contenute. (cfr. Manuale pag. 104).

Don Mario in una delle sue ultime omelie a Pietravolta ci ha raccomandato due cose e ce le ha lasciate quasi come un testamento: la sincerità e la diffusione del Rosario e ci ha detto che le nostre “baracche” sono per la diffusione del Rosario.

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- A S P E T T O C A R M E L I T A N O -

“La Pista Carmelitana è un pò entrata nella mia vita per una serie di circostanze, non so come specificarle, se non almeno per me, provvidenziali. Sono nato nella Parrocchia di Santa Teresa di Gesù di Reggio Emilia. Non esistendo allora nè in città nè in Diocesi alcun convento di Carmelitani scalzi, l’unico motivo ispirante per me che frequentai la parrocchia da 6 a 17 anni era il grande quadro dell’abside della mia chiesa dove risplende tutt’ora una Gloria di S. Teresa: con la Madonna, S. Giuseppe e addirittura la SS.ma Trinità.... il servizio al Duomo e la presenza di Don Zannoni, mi resero famigliare la “Beata Giovanna Scopelli” il cui corpo pare fosse stato rinvenuto ... nell’orto o nei pressi di S. Teresa.Durante il seminario (entrai credo l’anno della canonizzazione di S. Teresa del B. Gesù e alla morte di suor Elia di Bari). Fu un continuo scoprire la piccola santa di Lisieux nelle numerosissime pubblicazioni che fiorirono in quegli anni: alcune di eminenti e profondi scrittori.Santa Teresa d’Avila ... l’avevo già conosciuta da aspirante di Azione Cattolica, quando nel preparare la Bibliotechina del S. Tarcisio, circolo cattolico della mia parrocchia, avevo scoperto la vita e le opere in una edizione della Collana dei Carmelitani di Milano (l’Eucaristica?!?). Credo che il mio parroco poi me ne facesse dono quando entrai in seminario... (omissis) ... parroco a Fontanaluccia trovai la festa principale della B.V. del Carmine”. (36 - “Pista Carmelitana” del 19/11/83).

Nell’omelia del 15/7/65, 34° anniversario della sua ordinazione sacerdotale diceva:“... La Madonna del Carmine è stata un’indicazione del Signore, potevamo prendere un’altra Madonna. Io potevo andare in un’altra parrocchia dove era onorata un’altra Madonna e il Rosario mi avrebbe dato delle indicazioni per capire l’Ordine Domenicano. Ma siccome il Signore mi ha mandato qui dove da centinaia di anni si festeggia la festa del Carmine ... omissis ... si vede che è del Carmelo che dobbiamo prendere sostentamento. Dio fin dall’eternità sapeva che pian piano avremmo dovuto penetrare lo spirito carmelitano, prendere le mosse dai carmelitani, perchè questo era praticamente la nostra consistenza ...” (23 dagli appunti di una predica del 15/7/1965).

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Le caratteristiche della spiritualità carmelitana sono la Gloria di Dio, la sua lode, la ricerca della solitudine con Lui, in una dimensione contemplativa e di orazione in una vita di clausura e di separazione dal mondo: in Dio si servono veramente, totalmente, efficacemente tutti i fratelli. (cfr. Manuale pag. 36).Nella Casa della Carità c’è la medesima ricerca della Gloria di Dio. Leggiamo nell’intenzione della domenica:

“... Intenzione generale: la Gloria di Dio, la Lode e il ringraziamento ... la preghiera è il nostro mestiere, la nostra vita...”

Quindi il primato è di Dio e tutta la vita della Casa vuole cantare le lodi del Signore, vivere nell’unione piena con Lui:

“... La ricerca della solitudine con Dio per trovarlo, per trovare Lui Solo!La solitudine per l’incontro con Dio per distendersi davanti a Dio come davanti al sole; per prendere da Lui, quello che Lui vuole darci...”. (dagli appunti di una predica del 15/7/65).Però nella Casa della Carità questo primato lo si vive nella ricerca ed incontro con Cristo amato e servito nei Poveri : “... Ed avendo Gesù nella sua incarnazione scelto e prediletto i poveri, sulla sua strada e con il suo aiuto si cerca di incarnarsi totalmente nel mondo come Lui e si cercano i poveri come un modo inventato da Dio per essere veramente incarnati...” (26 “Credo che il Signore stia lavorando ..” 27/9/1972).La Casa della Carità è per l’orazione e per la contemplazione: fa accoglienza di tutti i fratelli, ma sempre imbevuta in una continua liturgia che diventa contemplazione e adorazione. Il Signore ci fa il dono dei poveri, perché, contemplandolo e adorandolo in essi possiamo essere aiutati ad adorarlo anche nel tabernacolo e nella Croce. Nella preghiera e nell’ascolto della Sua Parola sperimentiamo di essere incapaci, perché appena ci fermiamo davanti al Signore ci viene sonno, siamo distratti dai nostri pensieri, cioè vediamo subito quel poco che siamo. Questo diventa la nostra offerta che facciamo al Signore. Nella Casa della Carità non c’è il tempo per fare lunghe ore di meditazione e di riflessione, tante volte non c’è neanche la tranquillità per farlo e non possiamo neanche pretendere che ci sia, ma dobbiamo vivere la contemplazione con le situazioni di povertà e di debolezza che ci sono.S. Teresa dice di ricercare il Signore nel totale disprezzo del mondo: “… in grande solitudine e nel totale disprezzo del mondo cerchiamo questo tesoro, questa preziosa margherita (della contemplazione)”. (Cast, 5,1,2)Anche noi ricerchiamo il Signore nella solitudine del disprezzo del mondo: ci uniamo ai nostri poveri che, al di là di tutto quello che hanno o non hanno

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portano di dentro un male comune che è la solitudine. Riportano anche noi, ci mettono sulla strada della solitudine col Signore, per poter confidare solo in Lui e nella sua misericordia. Anche per noi la cosa su cui dobbiamo confidare, non sono i parenti, gli amici, le sicurezze, i soldi, ma soltanto il Signore. I poveri ci associano, ci uniscono alla loro solitudine: come partecipando all’Eucaristia ci uniamo a Gesù che si offre al Padre, così servendo i poveri diventiamo partecipi del loro silenzio, del loro fare senza di tutto, del loro essere abbandonati. (cfr. Man. Pag. 37)Questo è l’essere spogliati che ci insegna Gesù che ha scelto di privarsi di tutto, e di annientarsi per indurci a credere solo nella Grazia divina e non nei mezzi umani e naturali. (cfr. 3° Mist. Gaud.)Il Signore chiede anche a noi questo cammino di spogliazione, di abbassamento, di annullamento di noi stessi per renderci liberi e disponibili.Il Carmelo vive la clausura e l’estraneità al mondo e per questo è segno e affermazione del primato di Dio e del rifiuto della mentalità del mondo.Anche la Casa della Carità è segno e affermazione di questo perché vede i poveri con gli occhi del Signore, li riconosce come suoi prediletti e crede nella sua Parola “Beati quelli che soffrono…”. Per questo non cerca sicurezze perché ha fiducia nella Bontà di Dio e nella Provvidenza; non desidera ricchezze, perché ha scoperto che la povertà è una beatitudine e rende liberi…Il mondo invece disprezza i poveri, perché sono brutti, stancano, fanno scappare la pazienza, non corrispondono al modello di uomo che la società si è fatta, gli portano tristezza. Il mondo ricerca la sua sicurezza e la sua felicità nelle ricchezze e si affanna per ammucchiare, ma si ritrova sempre più infelice e meno in pace: vede con gli occhi sbagliati. Da qui nasce il nostro rifiuto della mentalità mondana, perché ci allontana dal Signore, perché crede in altre cose, ci allontana dai poveri che sono i suoi prediletti. Allora alla Casa della Carità fare clausura diventa vivere come ha fatto Gesù povero in mezzo ai poveri e con i poveri, nella continua unione col Padre: diventa vivere guardando con i suoi occhi, vedendo al di là con l’occhio della fede. Anche l’amore per la Chiesa è una caratteristica che la Casa della Carità ha ricevuto dalla spiritualità carmelitana. Scrive Don Mario: “… ma in qualsiasi evenienza come sono contento di avere avuto questa immensa fortuna di essere nato, vissuto nella Chiesa Una, Santa, Cattolica, Apostolica e aggiungo a scanso di equivoci Romana e Reggiana…Prego il Buon Dio di darmi questa grazia di morire nella Chiesa questa di oggi che è poi quella di domani e di sempre, con il suo Papa… omissis… con il mio Vescovo… omissis… spero che Dio mi conceda per pura grazia sua di morire anche per la Chiesa…” (27 – I° testamento del 24/8/76).

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E’ il dono più grande che Don Mario sa di aver ricevuto dal Signore: essere nella Chiesa e vivere per la Chiesa. Questo dono è cresciuto, si è sviluppato nella sua parrocchia, trasmesso in modo particolare dal suo parroco che lo ha aiutato a conoscere S. Teresa, patrona della parrocchia. Questa carica di amore per la Chiesa l’ha sempre vissuta, trasmettendola in ogni azione e gesto che compiva e ce l’ha lasciata in eredità.Per questa eredità, nella Casa della Carità si vive l’amore per la Chiesa che si manifesta nel ricercare sempre il suo mandato, nel non fare mai niente che non sia riconosciuto, avvallato dall’autorità della Chiesa; nell’obbedienza a ciò che essa, nella persona del Papa, del Vescovo, del Magistero ci chiede; nel vivere la Casa della Carità non come espressione di una carità personale, ma come la carità di tutta la parrocchia, di tutta la Chiesa; nell’essere segno e strumento di unità, nel ricercare sempre ciò che unisce, nel difenderla sempre, anche quando è disprezzata, riconoscendo che si è con Cristo solo se si è nella Chiesa. La Casa della Carità ha anche un amore speciale per i sacerdoti. Anche il Vescovo ci esorta a questo: “…Voglio aggiungere che ogni Casa della Carità è anche Casa di Fraternità Sacerdotale, a incominciare dalla Casa Madre di Fontanaluccia, il granellino di senape del Vangelo, alla Casa di San Girolamo e a tutte le altre …” (dall’omelia del 15/10/87).Un aspetto particolare di questo amore alla Chiesa è la devozione ai Santi che Don Mario ci ha insegnato, andando in giro nelle Chiese per solennizzare le loro feste, per chiedere il loro aiuto per camminare nella via della santità, per essere in comunione con la Chiesa del cielo che già gode della visione della Gloria di Dio.

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SINTESI DEI RAMI DELLA CONGREGAZIONE MARIANA DELLE CASE DELLA CARITA’

- L’ A L B E R O

L’unità di spirito e la varietà dei doni (e quindi anche di cammini) della Congregazione Mariana delle Case della Carità è ben figurata nell’immagine dell’albero, le cui radici sono nel Battesimo, come cammino di sequela di Cristo e come via per la santità.

Un modo particolare di vivere questa sequela di Cristo è la Congregazione Mariana delle Case della Carità che come unico tronco unisce nell’ unico spirito tutti coloro che ne fanno parte.Dice Don Mario: “… la sostanza è questa: un’unica Famiglia di intenti, di aspirazioni, di attese e di sofferenze – La Famiglia vera dei cristiani, la

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Chiesa vera ed efficente”. (8 – doc. B “Il mio pensiero è questo” senza data ma nel periodo che va dal 47 al 55).Questo unico spirito delle Case della Carità nasce dalla consacrazione di Don Mario parroco di Fontanaluccia, dai Tre Pani, dalla Diocesi e dalla Parrocchia.

“… mi pare conveniente che il raggruppamento delle Carmelitane Minori (sezione),quello dei Fratelli della Carità (sezione) quello degli ausiliari e crocefissi, quello di eventuali consacrati o sposati o di istituto secolare (cioè legati fra loro da questa forma canonica).

Vivendo tutti nel medesimo spirito:*di seguire il Signore più da vicino*di credere all’amore*di servirlo nei poveri*di essere legati alle Case della Carità,

mi pare conveniente, dico, che tutti formino un’unica grande famiglia, dove ciascuno ha la sua mansione o forma di vita o stile, o regolamenti e normative proprie, ma che più in quel che si distinguono e differenziano, cerchino di scoprire sempre di più e realizzare quello che unisce, quello che è comune, quello che lega…” (da appunti di Don Mario del 17/9/84).

Da questo unico tronco, quindi da questo unico spirito nascono, si sviluppano i vari rami, le vocazioni particolari di ognuno dei membri.

“I Congregati pur essendo distinti nei vari rami germogliati dalle diverse chiamate alla Sequela di Cristo, sono uniti dalla comune radice battesimale e dalla partecipazione allo spirito delle Case della Carità, alle tre mense della Parola, dell’Eucaristia e dei Poveri…”. (vedi decreto di approvazione del 1987).

“… Ogni ramo pur avendo una propria autonomia, un proprio governo ed un proprio statuto, condivide lo spirito e le finalità dell’intera Congregazione.I rami che in attesa che il Signore ne susciti altri, sono:

- i cooperatori- gli ausiliari- gli sposi- i secolari- le Carmelitane Minori della Carità- i Fratelli della Carità “. (Art. 7 delle Costituzioni)

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- C A R A T T E R I C O M U N I

Sintesi dello spirito che anima l’intera Famiglia delle Case della Carità sono i 12 Articoli. Essi sono il filo, la corda che lega ogni Congregato, sono i testimoni, i garanti e i provocatori dell’unità che c’è tra i singoli membri.Per cui chi ha incontrato il dono delle Case della Carità essi sono la sorgente a cui bisogna attingere, sono l’acqua che fa crescere e germogliare i semi del Battesimo, che innaffia la vita quotidiana, il cristianesimo di ogni momento. Essi sono per tutti e sono l’aiuto dal quale tutti i membri partono per vivere le diverse chiamate, per dare sapore alla loro vita, perché possano diventare sale, lievito e fermento nei luoghi dove vivono. (cfr. Manuale pag. 42-43-44)

Tutti i membri di ciascun ramo della Congregazione Mariana delle Case della Carità sono cristiani che trovano nei 3 Pani la strada, il nutrimento per il loro cammino di crescita verso il Signore. Servono Dio e cercano la sua volontà nella Parola quotidiana, preparata ogni giorno dalla chiesa; trovano nella Messa il centro della loro vita e vivono il servizio dei Poveri, la condivisione come culto, come liturgia e come nutrimento.L’unità e la continuità delle 3 Mense fa si che ogni membro sia chiamato a vivere una vita eucaristica, cioè di rendimento di grazie e di dono; tutte le sue attività, tutti i suoi momenti sono vissuti con questo stile.In questo modo continuano la Messa in tutta la loro giornata.Sull’esempio di Gesù Cristo che è venuto per servire e non per essere servito tutti i membri sono chiamati a farsi servi gli uni degli altri. Il servizio ai più piccoli è il segno e l’aiuto per vivere con spirito di servizio ogni momento e ogni rapporto.Ogni membro si prenderà cura dei più poveri, bisognosi e abbandonati per accogliere il dono della misericordia di Dio, il perdono dei peccati ed il dono della gioia cristiana.Ogni membro è chiamato a manifestare, rendere visibile in ogni luogo la fiducia nella carità e nel comandamento nuovo di Gesù come regola di vita.Una caratteristica fondamentale è l’amore per la chiesa e per i suoi ministri. La Chiesa è il dono d’amore con cui il Padre ci guida e ci fa camminare.Per questo tutti i membri, alimentati dallo spirito della Casa, partecipano attivamente alla vita della Diocesi e della Parrocchia (ognuno secondo la sua vocazione specifica) servendo e amando la Chiesa come una madre, sempre in piena comunione con i pastori che la guidano.

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La partecipazione, il servizio alla Chiesa terrena si completa con l’amore per la Chiesa celeste. Per questo cercano di avere una particolare devozione per la Vergine Santissima e per tutti i Santi ai quali si rivolgono come a coloro che hanno già portato a compimento il cammino battesimale,come a fratelli più grandi che sostengono e aiutano nel cammino.“… La vita di ogni membro deve essere impregnata della luce e del profumo di Maria… “ (da ‘Come nasce la Casa’ del 1983): Maria è protettrice e modello di ogni vita cristiana, è guida per crescere sempre più nella carità. Insegna a compiere con disponibilità e fede la volontà di Dio, a incarnare, a far diventare vita il messaggio evangelico; ad adorare il Cristo sotto la Croce, a vivere l’Eucaristia, il Rendimento di grazie nella lode perenne del Magnificat. Maria insegna la sollecitudine, il dimenticarsi di sé, l’esultanza, la gioia del servire. Ogni membro affida ogni giorno al Cuore Immacolato di Maria le preghiere, le azioni, le gioie e le sofferenze.Il Rosario, preghiera dei poveri, così come unisce le singole Case in un’unica corona, unisce e accompagna anche i singoli membri di ogni Ramo.Per questo ogni membro cerca di meditare e vivere il Vangelo sbriciolato da don Mario nel Rosario dei 35 Misteri.Ogni membro cercherà di vivere e offrire la sua giornata al Signore “secondo un’intenzione particolare e a lode di una Divina Persona o mistero” (dallo scritto ‘Dio è Amore’ di don Mario e confronta le Intenzioni del giorno).Nel cercare di dare sempre il primo posto a Dio in ogni scelta, in ogni attività, in ogni momento della giornata e nel cercare di fare tutto in comunione con Lui, c’è per ogni membro il modo di vivere lo spirito Carmelitano.I Poveri aiutano a vivere la contemplazione nella vita quotidiana, nell’attenzione e nella santificazione delle piccole cose.Ogni membro deve avere la preoccupazione, la tensione e l’ansia affinché ogni persona viva e cresca nella propria vocazione, credendo che il bene più grande, più prezioso del fratello sia la sua risposta al Signore, la sua santità. I membri, certi di non essere stati chiamati a camminare da soli e che i doni del Signore vanno ‘trafficati’ saranno missionari e preoccupati che la Civiltà dell’Amore cresca, si diffonda e arrivi ad ogni uomo.I membri di ogni singolo ramo si trovano periodicamente fra loro e con tutti gli altri per alimentarsi e crescere nell’unità della Famiglia.Momento d’incontro per tutti i rappresentanti dei Rami è quello del Consiglio Generale. Esso verifica la fedeltà e la crescita del cammino che si deve fare in base ai doni ricevuti, è segno e fermento di unità.

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- S T O R I A E I D E N T I K I T D E IC O L L AB O R A T O R I E A U S I L I A R I

I Collaboratori e gli Ausiliari sono il primo Ramo nato dal cuore di Don Mario, quelli che hanno dato vita alla prima Casa della Carità e dai quali sono nati poi i vari altri Rami.Nei primi tempi però non avevamo questo nome, erano i parrocchiani che, aiutati dal parroco, avevano accolto il dono prezioso della presenza dei poveri che la parrocchia doveva custodire come i tesori più cari. E’ così che a Fontanaluccia il 28 settembre del 1941 si apre l’Ospizio, e tutti i parrocchiani, in modi diversi, chi facendo un’offerta, chi portando qualcosa, chi dando un po’ del suo tempo, partecipano alla vita della Casa. (cfr. speciale Madonna del Camine 1982).Nell’84 Don Mario, approfondendo lo spirito della nostra famiglia dice:

“ … dall’ esigenza di base, cioè nella piccola comunità parrocchiale, si vede opportuno l’inserimento nel tessuto parrocchiale di un gruppo di poveri che formano una loro famiglia attorno a Cristo-Eucaristia. Tre-quattro poveri con Cristo fanno una famigliola; ci vuole qualcuno che … faccia compagnia a Cristo e ai poveri. Nasce spontaneamente un volontariato che si chiama aiutanti, ausiliari …” (42 – “la ‘nostra’ famiglia nasce dal basso” 14/11/84).E prima, nel 1951 dice: “ … Mi pare che un organismo simile che non calcola su alcuna consistenza patrimoniale per vivere, perché si fida della Divina Provvidenza …; ancorata ad una assistenza nelle Case della Carità, che diventa preziosa presenza di Cristo nei fratelli sofferenti, coi quali si divide in qualche modo il vitto, l’alloggio, le gioie e le ansie, possa costituire un buon fermento di santità nei singoli e un modesto apporto al rifiorire della comunità cristiana nel mondo”. (9 – doc. C “La Casa della Carità” 24/11/51).Inizialmente, la distinzione tra Cooperatori e Ausiliari, non c’era, è solo nell’Approvazione del Regolamento del ‘56 che si dividono i membri della Congregazione Mariana in sezioni, cominciando a parlare di Cooperatori e di Ausiliarie, intendendo per Cooperatori “i normali Congregati Mariani divisi per sesso” (Art. 4 par. 3 del Regolamento provvisorio della C.M. d. C.d.C.); scrive a questo proposito Don Mario: “… si è andata formando una specie di gradualità nelle varie persone che prestano la loro opera per la Casa: …

a) dei preziosi collaboratori o aiutanti generici che si configurano in benefattori, visitatori, oranti, sostenitori …” (43 – “Cos’è la Congregazione Mariana e com’è la nostra” 8/8/83).

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e intendendo per Ausiliarie persone che si fermano stabilmente nella Casa e che si aggregano ad essa con uno stile il più vicino possibile alla vita delle Case della Carità e alle sorelle Carmelitane Minori.Dopo gli anni 1960 si delinea la figura di un Ausiliario, che come dice Don Mario: “ … mentre qualcuno degli Ausiliari considera la possibilità di continuare per un certo tempo o per sempre nel servizio, si scopre anche la sacralità di quella prestazione a cristo nella sua multiforme presenza: nascono i ‘Crocifissi’ che sono un “ministero istituito e benedetto dal Vescovo …”. (42 – “la nostra famiglia nasce dal basso” 14/11/84).In uno scritto dell’anno prima diceva: ”… dei fedeli che s’impegnano con una certa continuità a vivere la vita piena della Casa (dalla prima ufficiatura del mattino a quella conclusiva della sera) o a qualche parte di essa, e a partecipare ad altre pratiche cristiane (Rosario, Adorazione, Via Crucis) e offrono la loro opera di ausiliariato in tutto quanto è richiesto durante la giornata. Chi si ferma stabilmente per vari giorni, o può partecipare in giorni scelti fra la settimana, può aderire alla Famiglia anche con un segno esterno e sono i “Crocefissi”.Viene loro consegnato un Crocefisso benedetto e prendono parte alla vita della Casa anche come investiti e incaricati dalla Chiesa per il servizio dei Poveri – pare questo un “ministero” di fatto a servizio dei poveri che si esercita per mandato della Chiesa”. (da ‘Cos’è una Congregazione Mariana e com’è la nostra ’ 1983).Come segno distintivo di questo mandato il Vescovo consegna un crocefisso, che invita l’Ausiliario a mettere il Cristo sofferente, presente nei più poveri, al centro della propria vita ed a diffondere lo spirito delle 3 Mense là dove è chiamato a vivere.Oggi, con le nuove Costituzioni, il Crocifisso è anche il segno che distingue gli Ausiliari dai Cooperatori.Il Ramo degli Ausiliari, che attualmente conta circa 500 membri (il numero è approssimativo in quanto non si sa bene la data in cui si è incominciato a dare il Crocifisso, la prima consegna accertata è nel 1961), ha un suo responsabile che è scelto fra uno dei fratelli sacerdoti.Un modo particolare di partecipare alla vita delle Case della Carità è la Leva. La Leva cominciò come possibilità per le ragazze di mettere, a disposizione dei fratelli più bisognosi, un periodo della loro vita.Dice il regolamento: “Si pensa che in molte parrocchie dove numerose ragazze, qualche volta senza nessuna preparazione e in troppo giovane età, partano per il servizio domestico o per il lavoro, alcune giovani ogni anno potrebbero con l’aiuto di Dio e la benedizione della Vergine, dedicare un anno della loro giovinezza anche al servizio dei fratelli infelici. Si spera con

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buon frutto e profitto spirituale delle medesime”. (Art. 72 della Regola del ’56)Guardiamo cosa dice Don Mario in alcuni scritti: “ … E che dire dei vantaggi in questo interrompimento dal lavoro usuale, dalla famiglia, da una cerchia di amicizie, più o meno pericolose, da ambienti spesso deleteri, per andare a vivere per un certo tempo in tutt’ altro clima? Perché si andrebbe in luoghi che hanno tutta una loro impostazione di ordine soprannaturale, dove è possibile una vita di pietà ordinata e nutrita, e una serie di prestazioni caritative che possono molto positivamente influire nella formazione di giovani generazioni, dall’orientamento per la scelta dello stato, nella preparazione alla vita qualunque essa sia. Dunque la leva; senza costrizioni certo, un volontariato – Ma tale che sia veramente utile. … dopo qualche settimana si possono inviare le reclute ad appositi centri di formazioni, adatti alle varie attitudini, dopo un paio di mesi sono pronti per un servizio di ausiliariato affiancati a veterani o a votati. Qualcuno può fare la firma e rimanere un tempo maggiore del consueto di Leva; qualcuno può rimanere sempre, se ci ha trovato “gusto” e se ha scoperto in lui qualche segno sicuro di vocazione “ (la Leva ultima stesura 18.4.58)Proprio in linea con questo linguaggio “militaresco”: “… la difesa del nome di Gesù Cristo, che diventa poi l’Apostolato del Salvatore, va fatta in clima e atteggiamento anche militaresco, nel senso più nobile della parola … Del resto è nel sacramento della Cresima che troviamo la fonte di questa nostra qualifica: siamo costituiti soldati; cioè difensori e propagatori del nome di Cristo che abbiamo acquisito nel battesimo. E’ dalla infusione dello Spirito Santo e dai suoi Doni che dobbiamo ricavare il coraggio cristiano. I Doni ci debbono (e di fatto lo fanno se non poniamo ostacoli) trasformare, come trasformarono gli Apostoli e questa è la caratteristica più appariscente nella Pentecoste: da timidi e vili che erano … balzano in primo piano … affrontando apertamente il mondo …” (da ‘Educare al coraggio 5.1.1958)Sempre a proposito della Leva c’è uno scritto che dice: “… con le caratteristiche di un vero esercito organizzato:

Centri di reclutamento =Esame e indagine di personalità e attitudiniSmistamento ai centri di formazione

Due mesi di preparazione intensa:SpiritualeLiturgicaDisciplinare nelle Case della CaritàSociale – pedagogica

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Apostolica… servizio attivo nelle parrocchie – Diocesi – istituti – fabbriche – Sempre coordinati da un “distretto” o “caserma” dove si rientra o ogni giorno o saltuariamente quando si è in missione – per il ritiro – rigoroso di un giorno intero …”. (la Leva 11.11.1960)

Pian piano la Leva si è sviluppata in una dimensione più vocazionale: “ … è un periodo di tempo in cui un ragazzo o una ragazza, vivendo stabilmente nella Casa della Carità, cerca di approfondire il rapporto con il Signore e di scoprire il progetto d’amore che il Signore ha per lui! “. (Costituzioni Art. 7 par. 2)Scoprire il progetto d’amore del Signore è lo stesso scopo che anima i ritiri vocazionali, che Don Mario proponeva alle ragazze già dai primi anni 1960.Don Mario li chiamò in seguito ritiri per “indiziati” usando questo termine per indicare persone nelle quali si intravedevano germi particolari di vocazione e stabilì di farli almeno una volta all’anno, il mercoledì della settimana Santa, per approfittare del bagno di grazia che si vive in quei giorni, così ricchi liturgicamente e spiritualmente. Il termine “indiziati” non voleva indicare una “caccia al frate o alla suora”, ma voleva sottolineare come l’invito a partecipare a questi ritiri non doveva essere rivolto a tutti indistintamente in quanto indicava piuttosto un invito a “fiutare” nelle persone quali indizi, quei doni particolari che hanno ,bisogno di essere messi a fuoco per poter permettere alle persone di capire verso quale strada vocazionale il Signore li chiama. Negli ultimi anni si è pensato di proporre questi ritiri con più frequenza e regolarità, in un primo tempo solo per le ragazze, poi, dalla fine del 1988 si sono uniti anche i ragazzi, sia per permettere ai Fratelli Sacerdoti di seguirli, sia per una maggiore ricchezza di scambio.

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- S T O R I A E I D E N T I K I TD E L R A M O D E G L I S P O S I

Il primo tentativo di costituire il Ramo degli Sposi c’è già negli anni che vanno dal 1945 al 1950, quando alcune coppie della Parrocchia di Fontanaluccia prospettano la possibilità di legarsi alla Casa della Carità, accettando e cercando di viverne lo spirito: per questo progetto Don Mario aveva pensato ad una casa vicina all’Ospizio che permettesse loro di conservare una certa libertà, pur essendo inseriti nella vita della Casa.“Un aspetto particolare potrebbe essere quello di coniugati oppure giovani o ragazze che dopo una temporanea permanenza della ‘ Casa ‘, pensino di formare una famiglia propria, con abitazione separata, ma con consacrazione al servizio di cui sopra. (Due giovani molto buoni, fidanzati da tempo, e due sposi freschi della mia parrocchia, mi hanno parlato di questo e stanno pensando ad un eventuale tentativo). Perché non dovrebbe essere possibile che una o qualche famiglia si leghi alla sorte della ‘Casa della Carità’, accettandone lo spirito? Per quanto riguarda la castità coniugale (retto uso del matrimonio e rispetto delle finalità del medesimo con merito di Religione, se è possibile questo voto) e per il resto obbligandosi i coniugi alla obbedienza e alla povertà, appoggiati alla Casa della Carità come a loro famiglia di elezione, la quale garantirà la meta con i mezzi di provvidenza e si gioverà della famiglia come elemento di formazione allo spirito di servizio nei figli propri, o all’educazione e assistenza di eventuali ospiti minorenni raccolti in tenera età ma normali in tutto”. (9 – “Casa della Carità” 24/11/51).

La cosa poi non si realizzò, ma Don Mario continuò a coltivare questo germe e nel 1954 sottopose a Padre Larraona, allora segretario della Congregazione dei Religiosi, questa prospettiva e si sentì rispondere: “…’caro Don Mario, ha levato gli occhi molto avanti. La cosa potrebbe essere possibile, ma lei si sentirebbe di … arrivare anche al martirio per portarla avanti?’Naturalmente un discorso di quel tenore faceva molto presto a … sedare eventuali impulsi in quel senso”. (da “Che cos’è una Congregazione Mariana” del 1983) Da questo momento, questa intuizione, questo germe che c’era in don Mario, rimane come ‘assopito’, ma non spento, in attesa che, come dice lui stesso: “… quanti più ferrati e generosi di me lo volessero affrontare”. (idem).Negli anni 1980 don Mario vede chiaro che i tempi sono maturi per riprendere questo Ramo e per suscitare persone che lo possono far nascere e portare avanti.

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E’ di questo periodo uno scritto di Don Mario che cercando di approfondire cosa sia la nostra Congregazione Mariana si interroga:“E se ci fossero dei giovani fidanzati o coniugi che domandassero di entrare a far parte viva e integrale della vita della Casa, sarebbe possibile? Non è facile e semplice rispondere adeguatamente a questa domanda. Giova qui ricordare che non è nuovo nella Santa Chiesa il fatto che dei coniugi veramente impegnati a vivere il proprio cristianesimo e il proprio sacramento, abbiano domandato ai grandi ordini una certa appartenenza allo spirito di questi anche aggregandosi e assumendo dei modi di vita ispirati a quelli. Ne sono derivati i Terzi Ordini che nei secoli hanno annoverato nelle loro file degli autentici Santi… Ma qui si vorrebbe vedere in che misura si possa offrire a degli Sposi, una possibilità di accogliere il servizio delle “Tre Mense” arrivando alla professione e pratica dei Consigli Evangelici, anche con la ricchezza veramente immensa dei Santi Voti…Un modo canonico di vivere i Santi Voti per gli sposi ( con gli opportuni adattamenti alle esigenze di una coppia), non mi pare esista nella Chiesa, anche se il problema è stato posto e teoricamente anche risolto per dei singoli casi. Ma che la Casa della Carità e la Congregazione Mariana possano “arruolare” delle coppie che, pur vivendo una particolare e separata vita di famiglia, possano prendere le mosse della famiglia della Congregazione Mariana; possano scegliere di vivere nei pressi della Casa, possano prendere parte a una quota della vita della Casa con l’ausiliariato comune;possano liberamente contribuire ed usufruire di “redditi” propri e della Casa, fino ad instaurare un clima di vita “comune” e arrivare anche a una esplicita “consacrazione” alla Casa e alle Tre Mense non parrebbe impossibile anche se non facile.Mi bastino questi pochi accenni per invogliare eventualmente qualcuno ad approfondire il problema …”. (43 – “Che cos’è una Congregazione Mariana e com’è la nostra “ 8/8/83).

Ed in questa ricerca della volontà del Signore per il Ramo degli Sposi che nel 1985, coadiuvato da due Fratelli: Fr. Daniele e Fr. Luigi Gibellini scopre alcune coppie desiderose di iniziare il cammino: riesce a fare con loro alcuni incontri e una Messa alla Casa della Carità di Fosdondo il 1 Maggio 1986. Così vennero gettate le prime basi ed il cammino degli Sposi continua, sotto la guida di un Fratello Sacerdote responsabile: Don Riccardo prima e alla sua partenza per il Madagascar Don Daniele, diventato da poco Sacerdote. Continuano anche i momenti di preghiera, le Messe mensili nelle famiglie e nelle Case della Carità,

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le revisioni dalle quali sta nascendo la traccia dello schema di vita degli Sposi. In aiuto al responsabile ci sono un Fratello e una Suora che hanno il compito di essere un tramite e un segno dello scambio dei doni fra i rami.Gli Sposi sono chiamati ad arricchire la loro vita matrimoniale, partecipando alla vita della Casa della Carità e vivendo, nel loro matrimonio e nella loro famiglia lo spirito delle Tre Mense. La ricerca comune di questo spirito e la fame di questi Tre Pani fa camminare gli Sposi insieme alle altre famiglie per vivere in pieno il loro matrimonio e per approfondirne la sacralità: il matrimonio, la famiglia sono luoghi sacri dove si vive la salvezza donata da Cristo e dove ognuno è coinvolto nel cammino di santificazione reciproca. (cfr. Schema di vita (provvisorio) punto 2 a) b) c).)Questo cammino di santificazione reciproca coinvolge ogni membro dei Rami in uno scambio di doni che porta ciascuno ad arricchire la propria vocazione e ad approfondirne la comunione.Le famiglie sono per i consacrati un esempio ed un aiuto per cogliere più a fondo lo stile del “far famiglia” caratteristica importante della Casa della Carità ma anche dei singoli consacrati, perché li porta ad accogliere tutti con la semplicità di fratello o sorella, di figlio o di figlia, di padre o di madre.I consacrati sono per le famiglie un esempio e un aiuto per cogliere più a fondo lo stile della “vita di donazione” caratteristica importante per gli Sposi che li porta a vivere per il Signore in abbandono a Lui e in rendimento di grazie per i doni che ha fatto loro, senza appropriarsi di nessuno di essi, nemmeno dei figli.In questa ottica si vede bene la complementarietà e l’importanza di ogni diversa chiamata nella vita della Congregazione Mariana della Casa della Carità e della Chiesa.Fondamentale per gli Sposi, come per ogni altro Ramo, è la centralità di Dio: sono il suo Amore, i suoi doni, la sua presenza, la via la verità e la vita che sostengono la vita matrimoniale. Come sviluppo di questa centralità di Dio e dell’amore per Lui , c’è la donazione reciproca, che poi si allarga, si dilata ai fratelli, e si concretizza nel fare accoglienza della vita, dei più poveri, di tutti quelli che hanno bisogno. Un ulteriore alimento alla vita matrimoniale sono i Consigli Evangelici che potranno anche essere vissuti come voti o come promesse: il Signore chiama a incamminarsi sulla strada che ha percorso Gesù, per essere sempre più uguali a Lui.Per essere aiutati in questo cammino gli Sposi fanno riferimento al loro Sacerdote responsabile col quale verificano il loro cammino per una ricerca approfondita della volontà di Dio.Nelle revisioni si affidano gli uni agli altri mettendo in comune con semplicità la loro vita di ogni giorno fatta di gioie, fatiche, progetti, sofferenze per trovare e vivere insieme una comunione profonda e un sostegno vicendevole. Il centro

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dei loro incontri rimane la Messa, celebrata mensilmente in una Casa della Carità e in casa di una delle famiglie.Questo sta a significare la centralità dell’Eucaristia nella loro vita di famiglia e nel loro cammino di Sposi legati alla Congregazione Mariana delle Case della Carità. Gli Sposi vivono l’Eucaristia e la loro vita diventa una vita eucaristica, una vita che unita a Gesù nella Messa diventa rendimento di grazie e donazione, si trasforma in offerta, sacrificio per i propri famigliari e in pane spezzato per tutti i fratelli in una continua lode al Signore. (cfr. Schema di vita (provvisorio) punto 3b).Questa vita “eucaristica” rimanda la coppia a vivere in pienezza la partecipazione alla vita di tutta la Chiesa che si concretizza nella partecipazione alla vita parrocchiale.I modi di presenza degli Sposi nella vita della Chiesa possono essere svariati, quelli già esistenti sono:

- nelle parrocchie prive della presenza stabile del Sacerdote o in aiuto a un Sacerdote ammalato

- nell’affidamento famigliare- nelle missioni- nella vita delle Case della Carità

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Se anche non abbiamo una storia scritta del Ramo dei Secolari, questo fonda le sue radici indietro nel tempo. Già nei primi anni si trovano riflessioni tra gli scritti di Don Mario che fanno storia e che dimostrano chiaramente che Don Mario lo aveva già in mente fin dagli inizi e che probabilmente, almeno al principio, le stesse suore potevano essere “Istituto Secolare”.

“Le attuali figliole sono undici e qualche aspirante. Sono disposte ad accettare un regime di vita più canonico e lo desiderano. Mi pare però che non pensino ad una Congregazione Religiosa. Almeno io non ci penso, anche se qualche aspetto occasionale ha potuto far pensare altri a ciò. Penso piuttosto ad un Istituto Secolare o senz’altro ad una Federazione di Istituti Secolari che abbiano uno spirito come ho cercato di chiarire sopra. Certo penserei ad uno maschile formato da qualche Sacerdote e di laici e ad uno femminile federati tra loro in una eventuale “Opera di Servizio Sociale” o “Opera per la comunità cristiana” o di altro nome che avesse pressappoco quegli scopi…” (9 – “La Casa della Carità” 24/11/1951).

“ Confraternita delle Carmelitane delle Carità.Pio istituto o società di anime religiose che si consacrano a Dio e alla Chiesa con i voti semplici e privati di povertà, castità e obbedienza per la gloria di Dio e della Regina del Carmelo, e per la propria santificazione, nella posizione permanente di disponibilità e di servizio per tutti i bisogni di carattere transitorio che possono presentarsi in una parrocchia o in un gruppo di parrocchie a cui non sia provveduto e non si possa in breve tempo provvedere stabilmente = purchè questo sia compatibile con lo stato e la condizione di consorelle – purchè vi sia il nucleo base di un gruppo di poveri da assistere e curare = per il Culto della Carità.Un tipo di Istituto Secolare che consenta ad un certo numero di membri che lo chiedano esplicitamente di vestire l’abito della Confraternita e per gli altri membri di conservare l’abito civile …”. (14 – “La ‘Corona’ della Madonna” 11/4/1955).

Prima ancora di questi due scritti ce ne sono altri due : “Se Dio lo volesse” che non ha data precisa ma sembra dei tempi del seminario o dei primi anni del sacerdozio in cui Don Mario dice :

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“… E i medici non potrebbero essere dei nostri?Una specie di frati laici, ma nostri,cioè pieni di queste idee della carità ?Come si aiuta il seminarista, nonsi potrebbe costituire dei collegi medici concriteri analoghi al seminario?

‘Certo Dio è onnipotente !!!!!”(2 – “Se Dio volesse” senza data)

e “L’Opera del Servizio Sociale” probabilmente nel 1947, che riportiamo integralmente, ma con alcune parole poco chiare, nel quale ci sono spunti che fanno intravedere dei riferimenti buoni per il formarsi dei Secolari.“Un complesso di persone con particolari attitudini e un complesso di attività o realizzazioni in mano alla Chiesa e quindi al Vescovo diocesano pronti a dare il loro modesto servizio nella diffusione del Regno di Dio.L’opera deve godere di una certa comprensione da parte anche dei poteri civili, delle istituzioni civiche e deve poter essere richiesta e usata per il servizio sociale e le attività a cui può dedicarsi che sono le più svariate. Tutti i bisogni nuovi e vecchi che si presentano nella vita vissuta della Chiesa.C’è però un ordine tassativo di prelazione – prima (io direi …) tutto quanto riguarda i poveri, gli umili, gli abbandonati, gli operai di qualsiasi categoria, o credo, o idea politica – i bracc. (braccianti) ecc… che non trovino già una conveniente assistenza e sistemazione da parte degli innumerevoli istituzioni che in ogni tempo hanno denunziato la meravigliosa fecondità della Chiesa.Per tutte le istituzioni esistenti l’opera deve avere un rispetto e una venerazione molto grandi e conservare con tutte, con ogni sforzo, i migliori rapporti di carità…(In generale mi pare che non siano mai le opere ad essere in contrasto fra loro ma gli uomini che le suscitano e le guidano che a volte, il Buon Dio permette che non vedano i fini stupendi che tutte le lega quando sono opera Sua).” (7 – “l’Opera del Servizio Sociale (come la penso e vedo io)” senza data).

Nel ‘61 Don Mario scrive:

“Il mondo ha bisogno: di luce = verità Cristo di calore = soprattutto = carità

‘Veritatem facientes in Charitate’ (la Verità si fa nella Carità)‘Et nos credidimus Charitati’ (e noi abbiamo creduto nella Carità)

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‘Questo è il mio Comandamento: amatevi come io vi ho amati’‘In questo conosceranno che siete dei miei’Ed erano unitamente perseveranti nell’orazione con Maria Madre di Gesù.

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1) Portare fuori questa roba = più con una pratica di testimonianza che con un insegnamento.

2) Riempirsi quindi di quelle cose.3) Liberarsi da ogni sorta di legame, impegni, preoccupazioni di ogni

sorta, per essere veramente sciolti e liberi e disponibili a tutto.4) Questa liberazione viene operata con l’assorbimento dello Spirito

Evangelico dei voti di castità – povertà – obbedienza.5) La propria casa è la Casa della Carità – la propria famiglia è quella

dei poveri = si fa tutto per loro – vivendo per loro – lavorando, studiando, guadagnando per loro – la prima pratica al servizio sociale si fa con loro e a loro – la Casa provvederà a tutti i bisogni ed esigenze dei membri.

6) Dopo una adeguata preparazione ci si pone a disposizione della Santa Chiesa, del Vescovo, dei parroci – per qualsiasi prestazione venga richiesta.

7) La propria opera può offrirsi alla Chiesa o temporaneamente o perpetuamente (dopo esperimenti temporanei).

8) La preparazione professionale, viene fatta con apposite scuole, lezioni, corsi e pratica.

9) La vita vera sarà alimentata dalla S. Messa, Comunione, Rosario, meditazione, esame, possibilmente ogni giorno – con Ritiri rigorosi ogni mese – con esercizi spir. ogni anno.” (22 – “Opera del servizio Sociale” 27/12/61).

L’ansia evangelica che è nel cuore di Don Mario non è mai a riposo, è alla ricerca continua di modi, di strade per poter arrivare ovunque a seminare lo spirito della Casa della Carità perché tutti possano conoscere il Signore, perché il mondo possa essere trasformato in una grande Civiltà dell’Amore. Ogni sua ansia anche se sopita o rimasta nel silenzio nel suo cuore prima o poi rispunterà messa più a fuoco, più chiara, forse anche più sofferta.Infatti la sua vecchia illuminazione dei secolari ritorna fuori con una spinta nuova. Anche lui è sorpreso e il 26/7/1980 chiedendosi se quella idea è nuova o non lo è scrive:

“S. Anna”

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“46.mo della prima Messa cantata qui:una idea… nuova?Non lo so: lo è e non lo è.Accanto a … tutto il resto:un gruppo impegnato di laici e laiche che restano quello che sono a Casa loro, nelle loro professioni, nel loro mondo, cercano Gesù Cristo nei poveri, ammalati, handicappati.Principi: crescere nell’umanità

1) e nella cristianità personale2) vedersi una volta al mese per una Messa e incontro (anche

di notte se non è possibile un altro momento)” (44 – “S. Anna” 26/7/1980).

Cerca poi di andare sempre più a fondo in questa sua idea e il 7/3/1981 scrive il suo pensiero su come vede la vocazione del secolare“ …

1) la Fede e convinzione di chi intende consacrarsi nel mondo, deve essere più viva, più profonda, più conosciuta più convinta di prima…

5) una continua verifica e revisione di vita e di mentalità si imporrà al ‘consacrato nel mondo’ (per non essere del ‘mondo’) che importa un impegno maggiore con Cristo e la Chiesa! Non certo facile!!

… cerco anzi di vedere una profonda ma nuova, indicazione della Chiesa ispirata e guidata dallo Spirito Santo; ma delicata, specializzata, contenuta (almeno nella fase … preparatoria dei soggetti) limitata a una elite, cioè a pochi, a scelti, a molto provati e collaudati soggetti ecc. ecc. ecc.” (45 – “Segue: Istituto Secolare” 7/3/1981).

Il 26/7/1982 Don Mario celebra in S. Teresa una S. Messa invitando alcune ragazze che gli sembrano “indiziate” per questo tipo di vocazione (tutte di nome Anna) per gettare il primissimo seme di questo ramo. Sarà Don Luigi, Fratello Sacerdote, che il 1° Aprile 1989, sostenuto da tutta la famiglia, inizierà il primo incontro con alcune ragazze e ragazzi nella Casa del Noviziato in S. Teresa iniziando con la S. Messa, come segno della centralità dell’Eucaristia nella vocazione di secolare della Congregazione Mariana delle Case della Carità e gettando le prime basi. E’ un dono, un’eredità anche questa che don Mario ha lasciato. Nel 1983 parlando della vocazione carmelitana delle suore e dei fratelli scrive:

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“Non è escluso che si possa arrivare a questa consacrazione completa al Signore nei poveri anche rimanendo nello stato laicale come le nuove molteplici forme degli Istituti Secolari … quest’ultima ‘forma di vita’ per laici consacrati nel mondo … avranno particolari norme di vita, come ne potranno avere, legati alla Casa o anche fuori … rimane costante l’aspirazione e il cammino di perfezione e di Santità che è ben dichiarato nel cap. 5 della ‘Lumen Gentium’ …” (32 – “Come nasce la Casa” 25/7/83).

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Possiamo dedurre che i Fratelli della Carità fossero nel cuore di Don Mario già agli inizi. E’ negli scritti del 1947 che lui ne parla, delineando la loro vocazione all’interno della parrocchia. Infatti:

“I Fratelli o le Sorelle della Carità vanno nelle parrocchie ad aprire l’Ospizio o Casa della Carità raccogliendo i più abbandonati e sofferenti della parrocchia: e poi si prestano a qualsiasi attività che sia utile o richiesta nella parrocchia”. (“Formula accettata” 29/8/1947 – 6 –).

E’ dello stesso periodo, ma non con data precisa, uno scritto in cui Don Mario cerca di fare un abbozzo di regolamento unico per i Fratelli e le Sorelle della Carità.

“… Dio è Amore … La Casa è retta e governata da personale maschile e femminile … il regime di vita che i Fratelli o le Sorelle della Carità avranno fra di loro è quello religioso secondo lo spirito della Costituzione Apostolica “Provvida Mater Ecclesia”…”. (10 – doc. D “Dio è Amore” senza data).

Nel 1959-60 c’è il primo tentativo di partire con un gruppo di fratelli, all’Ospizio di Fontanaluccia, ma finì nel 1963.Nel settembre del 1972 viene presentato al Vescovo un gruppo di giovani da cui sorgeranno i primi Fratelli della Carità: nel diario di quella giornata Don Mario scrive:

“Ufficio con suore: S. Vincenzo! Letture molto adatte. Salmo 100. Mi metto a scrivere dei pensieri su quel che può essere la vocazione nostra di Fratelli della Carità perché capisco bene che è finita la fola di dire agli altri fate … fate … siate … siate: ci vado cascando dentro tutto e ne ringrazio il Buon Dio … Poi andiamo dal Vescovo … c’è anche Don Zanni. concelebriamo con il Vescovo – letture programmatiche – Tre di S. Vincenzo! Ci saranno frati e preti – umiltà e donazione (?)”. (dal diario del 27/9/1972).

Quello stesso giorno Don Mario in una lunga e importante riflessione, medita sul nome da dare a questi frati, nome che deve essere soprattutto un programma

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di vita. Sembra comunque già chiaro che Don Mario sia orientato per Fratelli della Carità. Scrive infatti:

“… I Fratelli della Carità = non so come, o meglio lo so benissimo, Dio abbia guidato le cose oggi = S.Vincenzo de’ Paoli – SS. Cosma e Damiano m. -! le letture – il salmo 100!! – non so come chiamarli. Forse i Signori della Carità! In un certo senso mi piacerebbe: anche … il Signor Vincenzo chiamò (o furono chiamati i suoi) i Signori della Missione. C’è tutta la nobiltà e ricchezza del termine. Forse i piccoli Fratelli della Carità. Anche questo mi piacerebbe perché ci ricorda un grande Santo: Carlo de Foucauld. E’ tutto un programma. (a parte che … ci sono alcuni “giganti” che farebbero un po’ dire qualcuno).Don Dino Torreggiani vorrebbe farne dei Servi della Chiesa. Forse anche questo termine è molto pieno di significato, ma ci sono già loro: una certa parentela e affinità mi pare che ci sia; però c’è anche qualche cosa che li distingue…Ci sono anche i ‘Miles Christi’ di Giuseppe Lazzati di Milano che ci potranno aiutare un poco…”. (26 – scritto del 27/9/1972).

Di questi primi Giorgio Predirei è partito per il Madagascar l’ 11/11/1972 e Romano Zanni per l’India il 25/11/1972, gli altri prenderanno altre strade. E’ tra gli ausiliari delle Case che nasceranno poi alcuni giovani desiderosi di seguire il Signore come Fratelli, anche se delle linee concrete ancora non ci sono: stanno un po’ nelle Case, vanne anche all’Ospizio e vengono seguiti da Don Mario con ritiri e revisioni.L’obbedienza alla superiora nella vita di Casa non corrisponde al progetto di Don Mario per i Fratelli.

“Da quando si è aperta la Casa propria dei Fratelli della Carità all’Eremo della Macchiaccia, come Casa di formazione di incontro (di indipendenza da un clima troppo patriarcale che può affermarsi in certe Case della Carità), soprattutto di preghiera, i Fratelli della Carità cercano di seguire anche la pista monastica”. (da una bozza de regolamento del 17/9/1984).

Don Mario sente in questo periodo la necessità di un “eremo” nel quale formarsi, nel quale vivere uno spirito più monastico per i suoi frati. E sarà sempre a Fontanaluccia che i frati troveranno questo luogo: una vecchia casa, lascito della parrocchia, che pian piano viene restaurata e adattata. Così il 1 luglio viene aperta la “Macchiaccia”, che è il centro comune e comunitario, in cui ci si occupa soprattutto della formazione dei novizi. Vennero

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però subito dei poveri che non potevano essere accolti in una Casa della Carità per problemi di inserimento. E’ così che Don Mario intuisce che diventeranno i “primi maestri” dei novizi. Circa un mese prima dell’apertura della Macchiaccia i Fratelli della Carità vengono “approvati” dal Vescovo Mons. Baroni: “… E’ costituita sotto la tua paternità, direzione, guida, responsabilità, obbedienza, la Comunità dei ‘Fratelli della Carità’, in una casa di Fontanaluccia”. (5/6/1981).Intanto il seme dei Fratelli in Madagascar porta i primi frutti: due giovani, Maximin e Pascal, dopo il noviziato in Italia, diventano Fratelli il 23 settembre 1988.Il 7 ottobre 1986, giorno della Madonna del Rosario, frutto dell’amore e della sofferenza di Don Mario, si apre ad Albinea la Casa di Preghiera dei Fratelli. In questa Casa i Fratelli si dedicano alla contemplazione a beneficio di tutta la Famiglia delle Case e per aiutare tutti i cristiani a vivere e approfondire la propria vocazione.Il 14 febbraio 1989 sotto la protezione del SS. Cirillo e Metodio, chiamati al Servizio della Diocesi di Modena, si apre a Cognento una “Casa di accoglienza”: qui i Fratelli si dedicano in particolare all’accoglienza dei terzomondiali.Il Fratello della Carità è chiamato dal Signore a seguirlo più da vicino, consacrandosi a Lui con il dono-impegno di vivere i voti di povertà, castità ed obbedienza. Il Fratello della Carità pone sempre al primo posto Dio, perché illumini e armonizzi tutta la vita: “…sono venuto per cercare veramente Dio, sarò premuroso nel culto e nel servizio di Dio, sono venuto per obbedire, sono pronto anche agli obbrobri”. (dall’art. 1 del Regolamento provvisorio dei Fratelli della Carità).Questo primo aspetto fa vedere come i Fratelli, nel servizio di Dio si rifanno alla pista benedettina e cercano fra loro di vivere sempre nello spirito dell’obbedienza per vincere l’autonomia e attuare nella sottomissione gli uni agli altri una vera comunità.Cercare prima di tutto il Signore e la sua presenza è la pista carmelitana che per il Fratello della Carità si incarna nel servizio e nel rapporto con i poveri e nella liturgia delle tre Mense. Dice Don Mario:

“… è la medesima ricerca di Dio e della sua gloria ma non quella dell’ascensione verticale, ma della discesa od espansione orizzontale che rispecchia il dinamismo pellegrinante dell’Incarnazione del Verbo di Dio: quindi non clausura ed estraneità al mondo, ma apertura e immersione nel mondo… Carmelo attivo quindi ma nella continua ansia contemplativa o contemplazione attiva fuori del chiostro con oggetto immediato Cristo nei poveri… è una continua ascensione verso Dio sulle ali della contemplazione e azione; con la precisa clausola e condizione che: tanto si vola quanto le due

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ali crescono insieme e sono equilibrate, senza alcuna accentuazione per l’una o per l’altra, pena l’impossibilità di volare”. (26 – scritto del 27/9/1972).Il Fratello della Carità è pure chiamato a percorrere la pista monastica di S. Basilio, stando “sospeso alla memoria di Dio”, evitando di avere alla mente dissipata per vivere con sollecitudine il comandamento dell’Amore che si attua nella luce delle 14 Opere di Misericordia. Il Fratello della Carità cerca di vivere la presenza di Dio, la giornata è scandita da momenti di preghiera di lode a Dio e di servizio ai fratelli. Il Fratello della Carità accoglie con gioia le mansioni affidategli, avendo cura degli strumenti di lavoro. Cerca di coinvolgere gli ospiti nelle attività dando loro l’occasione di vivere con responsabilità la vita di comunità. Cerca di fare accoglienza senza mai escludere nessuno, badando soprattutto a dare nutrimento all’anima (…cercherà di scoprire un qualche spiraglio di lucidità per versarvi qualche goccia di amore di Dio, alla Madonna e ai Santi …).Cerca di fare accoglienza-apostolato ai giovani, per aiutarli a scoprire la volontà di Dio.Il Fratello della Carità deve realizzare la sua vocazione comunitariamente, con la Famiglia e con la Chiesa e nella continua ricerca della lealtà, schiettezza e sottomissione. Le strade in cui si realizza la sua vocazione ai preti malati e per il servizio liturgico; come Fratello alla Macchiaccia luogo di formazione e di più intensa vita monastica; come Fratello Diacono per il servizio, anche ministeriale delle tre mense; come Fratello sacerdote con il particolare taglio delle Case della Carità, ponendosi al servizio delle esigenze spirituali della Famiglia e della diffusione della Casa della Carità; come Fratello missionario, per la diffusione in tutto il mondo della Civiltà dell’amore. (cfr. Man. Pag. 139).

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16 luglio 1942, Madonna del Carmine, patrona di Fontanaluccia: tre le ragazze che già prestano servizio alla Casa ricevono l’abito di Carmelitane Minori della Carità le prime tre suore, sr. Maria del Carmine, sr. Giuseppina della Croce e sr. Gemma di S. Teresa di Gesù cui si aggiungerà l’8 settembre la quarta, sr. Lucia di S. Teresa di Gesù Bambino. E’ l’avverarsi del mandato del Vescovo Mons. Brettoni che a Don Mario in ricerca di un ordine religioso adatto aveva detto: “Falle tu le suore!. Queste suore erano ragazze che si erano rese disponibili al servizio ai poveri dell’Ospizio e proprio attraverso di loro avevano scoperto la chiamata del Signore ad una vita consacrata.Dice il primo regolamento del 1941

“… Consapevoli del grande favore a noi fatto dal Buon Dio, di averci chiamato ad amarlo nei sofferenti, con la benedizione dell’Angelo della Diocesi e con l’unica promessa di voto, ci consacriamo al regale servizio degli infelici di qualsiasi specie, che la Provvidenza vorrà mandare al povero Ospizio di S. Lucia…” (4 – primo Regolamento documento A del 1941).

I primi anni dopo la vestizione, le suore li trascorsero all’Ospizio, facendo vita di famiglia con i poveri e cercando di crescere nella vita di consacrazione, affidate alla paternità di Don Mario. Sono anni belli in cui sperimentano la Bontà del Signore, la sua Provvidenza e, con la guida di Don Mario, iniziano a penetrare nella spiritualità della Carmelitana Minore.Sono anche anni difficili per la povertà, per i disagi della guerra. Oltre ad essere sorelle dei poveri, ospiti della Casa, si trovano a dover assistere, portando loro da mangiare, i partigiani, datisi alla macchia nei boschi, a fare le infermiere e le sorelle dei feriti partigiani, tedeschi, americani, ecc. rifugiati all’Ospizio.Subito dopo la guerra,cominciano ad arrivare altre ragazze segno evidente che è giunto il momento in cui la Casa della Carità può partire per portare il suo messaggio. Le suore fanno un po’ fatica a capire questa loro separazione, però in spirito di obbedienza, nel 1948 Sr. Gemma e Sr. Giuseppina partono con un ospite per aprire a S. Giovanni di Querciola la Casa della Carità. Poi sempre con due suore e un ospite si apriranno le Case di Sassuolo e di Cella e via via tutte le altre. E’ significativo il fatto che fin dall’inizio le suore partono solo in due e in compagnia di un’ospite per aprire le Case: la Carmelitana Minore della Carità fa

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comunità con le persone che il Signore le manda, con tutti quelli che vivono nella Casa della Carità.Visto l’allargarsi della famiglia, l’11 febbraio 1956 Mons. Socche emana il Decreto di approvazione del Regolamento provvisorio, dando così a questo “Ramo” il riconoscimento ufficiale della S. Chiesa: “… La Pia Congregazione ha dato di sé una buona prova, poiché ha di anno in anno aumentato il numero dei suoi membri, e fondato in Diocesi varie opere di carità, assai promettenti: riteniamo perciò opportuno suffragarla della nostra Autorità Vescovile a maggiore sua stabilità ed incremento …”. (dal Decreto Vescovile dell’11/2/1956).In questo stesso anno 1956 c’è il primo Capitolo Generale delle suore e il Vescovo il 28/9 dello stesso anno va a Fontanaluccia e alla sua presenza le prime suore rinnovano i voti per tre anni. E’ il primo momento ufficiale in cui la Chiesa riconosce il “Ramo” delle Carmelitane Minori.Il 2/10/1959 fanno i voti perpetui le prime 8 suore: Suor Maria del Carmine, Suor Gemma di S. Teresa di Gesù, Suor Giuseppina della Croce, Suor Lucia di Santa Teresa di Gesù Bambino, Suor Teresa dell’Immacolata, Ssuor Giovanna di San Gaetano, Suor Pia di Sant’Anna, Suor Elisabetta della SS. Trinità.Gli anni seguenti sono tutti una testimonianza del diffondersi della Casa della Carità e quindi delle Carmelitane Minori: questo allargarsi richiede una formazione più solida delle suore.All’inizio la preparazione si fa stando nella Casa e vivendo con le suore, imparando dalla loro vita. Poi il Regolamento stabilisce:

“… il noviziato si farà metà a Reggio nella Chiesa di S. Girolamo concessa all’uopo dalla Ven.le Confraternita e metà a Fontanaluccia, culla della Congregazione Mariana e precisamente: da fine settembre (dopo gli Esercizi Spirituali) all’Annunciazione (25 Marzo) a Fontanaluccia; dal 26 marzo agli Esercizi Spirituali di settembre a Reggio. Volutamente si preferisce un inverno a Fontanaluccia per un’esperienza di disagio particolare di alta montagna, atta anche a temprare bene il carattere” (dall’art. 20 della Regola 1956).

Dal ‘61 al ‘65 si riesce a mantenere questo stile di noviziato con una maestra che segue le novizie. Dopo questi anni Don Mario cerca di fare un noviziato con uno stile nuovo. Prova a portare la sede a Pietravolta, dove le novizie vivono in comunità tra di loro in una vita di preghiera e di silenzio, seguite direttamente da Don Mario. Questa esperienza però non continua e il noviziato ricomincia nelle Case, a Fontanaluccia, dove le novizie vengono guidate da Sr. Maria per quel che riguarda la Casa e da Don Mario per la formazione della spiritualità

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della Carmelitana Minore. Sono tutti tentativi che portano poi Don Mario ad avere un’idea chiara su come deve essere il noviziato per noi.“… è necessario cambiare la nostra mentalità, il modo di vivere la nostra vita, insomma com’è necessario vivere secondo la fede e non secondo il mondo. Questo noviziato dovrà essere un periodo di allenamento a vivere la nostra vita interiore in contemplazione continua durante qualsiasi momento della giornata. E’ necessario per questo entrare nella “capsula spaziale” e cioè creare un ambiente ideale per questo allenamento; un ambiente che non lasci penetrare il mondo con la sua mentalità, in cui ci si alleni al silenzio (in determinati tempi e determinati luoghi), all’obbedienza, alla schiettezza, alla lealtà, alla limpidezza, al non agire con superficialità e con sentimento umano e così essere liberi di dentro per poter arrivare alla preghiera, alla lode, alla contemplazione continua.” (da appunti del 25/8/1979).Inizia un noviziato nuovo. Le novizie vivono con la maestra inserite nella Casa della Carità e seguite molto da vicino da Don Mario. Con l’esperienza degli anni però si vede sempre più chiara l’esigenza di una Casa per il noviziato, dove le novizie possano avere la loro sede, per poter essere più seguite e partecipare agli incontri di formazione. Il Prof. Chesi offre un appartamento in via Gabbi che diventa la prima sede del noviziato (“Casa della Madonna”). E’ una sede provvisoria in attesa che sia pronto l’appartamento nella parrocchia di S. Teresa. Il 25 gennaio 1986 si apre la nuova Casa del Noviziato.Il diffondesi delle Case della Carità le fa arrivare anche in missione. Il 24 novembre 1967 parte la prima equipe reggiana guidata da Don Mario per il Madagascar: è formata da due sacerdoti, tre Carmelitane Minori e cinque laici, con la consegna del Crocifisso e la Benedizione del Vescovo. Nel 1969 si apre la prima Casa della Carità, piccolo seme che frutterà il nascere di tante vocazioni: la prima sarà suor Jeanne D’Arc dell B.V. della Ghiara e farà la vestizione il 24/4/1971.Nel 1975 le Carmelitane Minori della Carità partono per una nuova missione: l’India, dove Fr. Romano era presente dal 1972. Per i primi tempi vivono con le suore del P.I.M.E. nel loro lebbrosario alla periferia di Bombay. Lebbrosario con il quale la Diocesi di Reggio Emilia si è impegnata a collaborare.Il 24 giugno del 1980 a Versova si apre la Casa della Carità con l’Adorazione perpetua. Il 1° ottobre del 1987 fanno la vestizione le prime due suore indiane: suor M. Jiuliana e suor Maria Goretti.Un sogno di don Mario fin dai primi anni dell’Ospizio è:

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“… ad ogni corona completa una Casa di Clausura per il rifornimento delle Case e come oasi temporanea ‘la Casa della Preghiera’…” (14 – “La corona della Regina del Carmelo” del 21/5/53).

Sempre nel 1953 Don Giovanni Riverberi rispondendo ad una lettera di don Maio scrive: “Bello e d’attuarsi subito, ma subito la Casa di clausura” (28/13/53); in un’altra senza data, ma pare dello stesso periodo: “faccia presto a trovare un posticino per le suore di clausura, queste saranno i parafulmini e sulle Case della Carità e sulle iniziative…”.Nel 1959 al Capitolo Generale delle suore è all’ordine del giorno l’argomento. Nella discussione sorge il timore che potrebbe nascere una discriminazione tra suore di vita attiva e di vita contemplativa. Ma parlandone, si risolve il problema, pensando che ci può essere la possibilità di un avvicendamento e si precisa poi che: “ognuna che entra fra le Carmelitane Minori deve impegnarsi ad accettare anche questo proposito l’obbedienza che i superiori daranno loro”. (dal Verbale del II° Capitolo Generale delle Carmelitane Minori della Carità tenuto in S. Girolamo il giorno del Santi Angeli Custodi 1959).Le suore, invitate a votare, aderiscono unanimemente per alzata di mano alla costituzione della Casa della Preghiera e alle suore di semi-clausura. (cfr. Verbale del II° Capitolo Generale delle Carmelitane Minori della Carità tenuto in S. Girolamo il giorno dei santi Angeli Custodi 1959).Soltanto nel 1970 si realizza il sogno della Casa della Preghiera, ma non ancora le suore di semi-clausura. Come desiderato da don Mario: forse i tempi non sono ancora maturi. Si trova la soluzione di iniziare con la presenza continua di una suora e di altre due che a turno, secondo un calendario prestabilito, faranno le loro settimane di preghiera. Anche se questa “specializzazione” della Carmelitana Minore della Carità cronologicamente nasce per ultima, si pone alla base della vita delle nostre Case e della consacrazione della Carmelitana Minore della Carità.La vocazione della suora di semi-clausura non è un’altra o una diversa dalla Carmelitana Minore: è infatti la vocazione a vivere in pienezza la contemplazione, la centralità di Dio, il suo primato … vocazione quindi che ogni Carmelitana Minore tende a vivere anche all’interno delle Case. Se però il primato di Dio la preghiera e la contemplazione sono fondamentali nella vita della Casa della Carità ci vuole almeno qualcuno che vi si dedichi in un modo particolare e completo a nome di tutti e a servizio di tutti…. Così crescerà anche il livello nelle singole Case; non solo ma la vita di chi sta alla Casa della Preghiera sarà aiuto ed alimento alla vita e al lavoro di chi è nelle Case, allo stesso modo di Mosè, che dal monte contribuiva più che efficacemente all’opera di chi lottava nella valle (vedi lettera delle sorelle del Consiglio del 7/4/87).

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Nell’immagine del bimbo esse saranno il cuore che permette la vita di tutto il corpo:“…Prima dobbiamo vedere com’è il bambino, che non è ancora completo; occorrono le 15 Case, la Casa di Preghiera (cuore), la missione (polmoni)…” (dal diario del 2 maggio 1961).La Carmelitana Minore della Carità è chiamata a questa vocazione da un atto di amore, di misericordia del Signore: da Lui ha ricevuto il dono di seguirlo più da vicino in una donazione e consacrazione a Lui nei poveri. L’articolo 13 della Regola del 1956 dice:“ Chiamata dalla divina Bontà al Regale Servizio di Gesù Cristo nei fratelli sofferenti e alla imitazione più completa della divina Madre…”.La Carmelitana Minore della Carità vive la sua consacrazione, la sua unione con Dio nella Casa della Carità che è il suo Carmelo, la sua clausura. Interiorizza talmente la Casa che se la porta dietro ovunque va “come fa la lumaca”, (diceva Don Mario in una lezione di noviziato).Per la sua consacrazione diventa quella lampada che tiene accesa la fede e la lode di Dio nella Casa. Quindi ha come scopo la continua ricerca di Dio, propria della spiritualità carmelitana, e il perenne servizio di Lui, attraverso la sua Parola, l’Eucaristia e i Poveri.Si pone quindi alla sequela di Gesù e con il suo aiuto cerca i poveri, perché in loro Dio continua a manifestarsi.“… stile e servizio ai fratelli più poveri nei quali come nella Parola e nell’Eucaristia vi è tutto Cristo:si serve, si adora, si celebra, si loda Dio in loro, con gioia e con premura come per la Parola e nell’Eucaristia. E si cerca Dio in loro come si cerca nella Parola e nell’Eucaristia. E si usano i poveri come si usa della Parola e dell’Eucaristia. Quindi si cerca di mettere tutto il culto e la Liturgia che si ha per la Parola e l’Eucaristia anche per i poveri…” (26 – scritto del 27/9/72).La giornata della Carmelitana Minore trascorre facendo famiglia coi poveri diventando per loro mamma o sorella o figlia e ad imitazione di Maria che vive con Gesù, lo ama, lo adora, lo serve, lo ascolta. La Carmelitana Minore vive con i fratelli poveri, prega con loro, mangia con loro, si ricrea con loro: li ama, li ascolta, li serve vedendo in loro Gesù e nello stesso tempo li assiste, li conforta, li aiuta a camminare nella fede e li prepara all’incontro con il Signore.Dai poveri impara a vivere nel sacrificio, nel silenzio, e nella solitudine e a vivere il Carmelo sul monte della sofferenza e nell’abbandono e nella fiducia nel Signore.La consacrazione e la vita di unione con Gesù anche attraverso i poveri porta ad essere testimoni di gioia la Carmelitana Minore nella Casa della Carità cerca di

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essere questa testimone, questa luce di fede sempre accesa, che accogliendo la misericordia del Signore esulta di gioia, vive nella fiducia nella Provvidenza, mette Dio al primo posto in ogni momento, in ogni situazione per salvaguardare così anche la consacrazione della Casa, non lasciando entrare la mentalità del mondo. Desidera che l’amore del Signore arrivi a tutti.“…Che novità grossa nasce di qui! …omissis…

-- che la mamma la sorella, la zia o la nonna che io debbo fare, non posso in alcun modo vederla …. nelle mamme o sorelle o zie ecc. come ci sono nel mondo anche se a volte sono preziosi esempi, ma nella mia condizione di religiosa: cioè sposata a Cristo e alla Chiesa; - che ha scelto questa condizione con tutte le conseguenze che ne derivano e che ha assunto questo preciso e proprio dovere di fondare nelle parrocchie ecc. (… omissis …)Allora il “motivo” che rende più essenziale quello che uno è, è proprio questa sempre maggiore intimità a Cristo, che prevale su tutti gli altri motivi. L’essenza di una suora Carmelitana Minore delle Case della Carità è essere tutta sempre più di Cristo e solo di Cristo e di fondare Case. Sono Carmelitane Minore per questo! (30 – don Mario Commento alla Regola 1981).

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Pro manoscrittoad uso interno

della Congregazione Mariana delle Case della Carità

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