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Bianca PitzornoExtraterrestre alla pari© 1979 La Sorgente – MilanoProprietà artistico-letteraria

riservataEdizione Euroclub Italia S.p.A.

BergamoSu licenza di La SorgenteEdizioni Marzo 1981INDICEExtraterrestre alla pari

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I Un estraneo fra noi……………………………………………………………………………………5

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II Alla ricerca di un sesso……………………………………………………………………………20

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III Evviva, è nato unmaschio………………………………………………………………………44

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60IV Vita da uomo

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V Vita dadonna…………………………………………………………………………………………82

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I Un estraneo fra noiMentre si lavava i denti in gran

fretta per non arrivare in ritardo ascuola, Caterina vide dalla finestra delbagno l’astronabus di Deneb cheatterrava nel campo di calcio dietro alMunicipio.

Lo guardò con interesse, perchél’arrivo di un astronabus non era unfatto che capitava tutti i giorni.Caterina sapeva che la congiunzionefavorevole al viaggio fra la Terra e lastella Deneb si verificava solo ogni 10anni. E non era detto che ogni voltal’astronabus dovesse atterrare vicino a

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casa sua.Ne parlò con suo fratello Andrea

mentre si dirigevano verso la fermatadel pullman che li avrebbe portati ascuola.

— Io lo so, perché si è fermato quiin città — disse Andrea. —Probabilmente a bordo c’era il ragazzodenebiano che gli zii hanno invitato acasa loro…

Deneb, la stella più brillante dellacostellazione del Cigno, dista dallaTerra soltanto 12 anni luce. Unadistanza abbastanza breve perl’astronabus spaziale, che lapercorreva in sole 22 ore. Perciò i duedenebiani avevano approfittato di un

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giorno di vacanza per accompagnarepersonalmente sulla Terra il minore deiloro figli, che sarebbe rimasto perqualche anno su quel pianeta, ospite diuna famiglia del luogo.

Solo da poco tempo l’I.R.T.D.(Istituto per i Rapporti Terra Deneb)aveva promosso la campagna per unoscambio reciproco di ospitalità fra iragazzi dei due pianeti, e il giovaneviaggiatore che quella mattina erasbarcato un po’ smarritodall’astronabus era forse uno dei primiad affrontare l’esperienza terrestre.

1Che la questione avesse per i

terrestri un’importanza fondamentale,

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Mo l’aveva capito fin dal primomomento.

Aveva un bel dire sua madre, che infondo era una faccenda trascurabile, unparticolare minimo che si sarebbechiarito più avanti e che non avrebbecambiato niente nei suoi rapporti con lafamiglia che l’ospitava…

“Quelli” lo volevano sapere al piùpresto, subito!

Anzi, lo DOVEVANOASSOLUTAMENTE sapere. Altrimentinon avrebbero tenuto Mo a casa lorocome era nei patti. E sarebbe stataproprio una bella seccatura tornare suDeneb dopo un viaggio così lungo, dopotanti progetti sulla vacanza terrestre,

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dopo che tutto era stato preordinatominuziosamente da vari mesi, soloperché nessuno sapeva se Mo fossemaschio o femmina!

Quando i due terrestri glieloavevano chiesto, la madre di Mo avevafatto una ri-satina di noncuranza e avevarisposto: — Dio mio, non ce lo siamomai chiesti!

Poi, davanti al loro sguardo stupito,aveva aggiunto cortesemente: —Perché?

Dovremmo saperlo? Non abbiamomai pensato che fosse una cosaimportante… Mo è ancora talmentegiovane!

Allora l’Uomo aveva trattenuto a

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stento un gesto di indignazione(ricordando evidentemente che stavaparlando con dei denebiani) e avevarisposto: — Scusate, certo che èimportante! Visto che Mo deve restaredieci anni a casa nostra. Se nonsappiamo se è maschio o femmina, inquale modo ci dovremmo comportarecon lui? O

con lei?… insomma, con Mo,accidenti, qualunque cosa sia!

A questo punto era stato il padre diMo a doversi trattenere, ma dal tonodella sua voce si capiva lo stesso cheera seccato. — Scusate — disse — cosasignifica “in che modo comportarvi”?Non capisco quali dubbi possiate avere.

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Era stato chiarito tutto nelle lettere, mipare. Vi eravate impegnati ad esseregentili con Mo, a comportarviesattamente come se si fosse trattato diun vostro figlio. Altrimenti non avrem-mo mai accettato l’invito dell’Istitutoper i Rapporti Terra Deneb.

— Ma certamente, che siamo pienidei sentimenti più affettuosi verso lavostra creatura — era intervenutagentilmente la Donna. — Non abbiamonessuna intenzione di maltrattarla…Però, vedete, da noi sulla Terra con unabambina ci si comporta in mododifferente che con un maschietto…

“Maschietto sarà tuo marito!” pensòMo a cui la faccenda cominciava a dare

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sui nervi. Anche se aveva studiato benela lingua terrestre, non aveva imparatoche parlando con i ragazzi molti adultiabbondano nell’uso di diminutivi soloper essere più gentili e “mettersi al lorolivello”.

— Questione di abitudini, nient’altro— concluse la Donna, — perciò cisarebbe utile sapere di che sesso è Mo.

La madre di Mo, come la donnaterrestre, non aveva voglia di litigare.Capiva che le civiltà dei due pianetierano differenti e che bisognava cercaredi adattarsi. Soprattutto se voleva che ilsoggiorno di Mo sulla Terra fossedivertente, istruttivo, sereno, come tuttala famiglia si era ripromessa quando

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avevano progettato il viaggio.— Vedete — cercò di spiegare —

da noi su Deneb nessuno si chiede se ipropri figli siano maschi o femmine finoa che non abbiano compiuto 50 anni.Sapete che noi cresciamo piùlentamente: rispetto allo sviluppo fisicotre dei nostri anni corri-spondono circaad uno dei vostri. Allora i giovani hannol’età per accoppiarsi, ripro-dursi eformarsi una famiglia, e la questioneassume una certa importanza. Anchefisicamente a 50 anni si notano delledifferenze, ma prima no, sebbene sia giàstabilito cosa diventeranno. Infatti conun esame del sangue molto complicato sipotrebbero identificare subito i

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cromosomi femminili o quelli maschili.Alcuni laboratori di ge-netica sono ingrado di effettuare questi esami. Ma nonvi ricorre nessuno, perchè a nessunointeressa. Per aiutarli a crescere cioccorre conoscere il carattere dei nostribambini, le loro tendenze, i lorodesideri, i loro punti deboli… non sesono maschi o femmine… Questointeresserà semmai loro, quando daadulti desidereranno metter su famiglia.Se ne avranno voglia, visto che suDeneb non è obbligatorio…

— Neanche da noi sulla Terra èobbligatorio — osservò l’Uomo.

— Davvero? Mi era parso di sì —rispose la denebiana. — Evidentemente

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sba-gliavo.I due terrestri erano molto perplessi.

Certo, a giudicare dall’aspetto, Mo eravenuto (o venuta? 1) su bene, in modo dasoddisfare i desideri dei genitori piùesigenti.

Aveva 29 anni denebiani, chesecondo le informazioni fornitedall’I.R.T.D. cor-rispondevano ai 9/10anni di vita terrestre. La sua statura e ilsuo linguaggio corri-spondevano aquelli di un ragazzino di tale età, bensviluppato e intelligente. La suaeducazione e gentilezza non lasciavanoniente a desiderare.

Parlava con una voce squillante chepronunciava con garbo — anche se con

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leggero accento straniero — le paroleterrestri più difficili. Indossava una tutacolor ar-gento, aderente, decorata sullespalle e sul petto da borchie luminose.Solo negli occhi e nei capelli differiva,ma poco, dai ragazzi della Terra. Icapelli, biondo cenere, lunghi fino allespalle, erano molto più lucidi e sottili diquelli terrestri, come fatti di unmateriale setoso. Gli occhi li avevaviola chiaro, con le iridi molto grandi,ma per il resto i lineamenti del viso etutta la corporatura erano quelli di ungrazioso bambino (o bambina?) di 9/10anni. I suoi genitori ne erano molto fieri,e pensavano che nessuno potesse trovarein lui qualcosa da ridire. Tanto meno

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quei ridicoli terrestri che facevano tantestorie per un particolare insignificantecome quello del sesso, o meglio, delnon-sesso!

1 Da questo momento, unicamenteper esigenze grammaticali (visto chenemmeno io so ancora se è maschio ofemmina) userò parlando di Mo ilmaschile. Infatti la lingua italianaadopera questo genere in luogo delneutro (che altre lingue conoscono)quando non si conosce il sesso di unapersona o ci si riferisce a un gruppo dipersone di sesso diverso. Sapete beneche se un padre ha sette bambine e unmaschio soltanto, nominandoli tuttiinsieme dovrà dire “i miei figli”. E così

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la padrona di casa che ha venti invitate edue soli signori, dovrà dire “i mieiospiti”. Ma ciò non vuol dire che aquesto punto della storia noi dobbiamoconsiderare Mo un ragazzino.

2I due terrestri da parte loro erano

disorientati.Erano iscritti da poco tempo

all’I.R.T.D., ma quando la Segreteriaaveva proposto loro di ospitare per 10anni un ragazzino denebiano, avevanoaccettato con entusiasmo2. Non lispaventava la durata del soggiorno.Anzi, essendo senza figli, spera-vanoche il piccolo ospite avrebbe fatto lorocompagnia portando un po’ di animazio-

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ne nella loro casa troppo tranquilla.Quando avevano compilato i vari

moduli presso la segreteria del centro,non avevano espresso nessunapreferenza riguardo al sesso del giovaneospite. Poi era arrivata una lettera cheannunciava l’arrivo di Mo, e avevanopensato che si trattasse di un maschioperché il suo nome terminava con la o(senza pensare ai vari Andrea, Nicola,Luca, Mattia, ecc..) e perché gliaggettivi e i pronomi che loriguardavano nella lettera erano almaschile. Troppo tardi purtroppoavrebbero capito che i denebianitraducono la loro lingua come possonoe, poiché in italiano non esiste il genere

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neutro, e i collettivi vengono indicati almaschile, quelli avevano usato questogenere per indicare il loro figlio dalsesso non ancora definito. I terrestridunque si erano preparati ad accogliereun maschio. Ma sarebbero stati dispostiad accogliere con uguale entusiasmo unaragazzina denebiana.

Purtroppo non erano assolutamentepreparati ad accogliere Mo, di cui igenitori non si erano preoccupati disapere se fosse maschio o femmina!

— Cosa importa, in fondo! — avevaconcluso stizzito il denebiano, menoconciliante della moglie. — Tanto Monon si fermerà a casa vostra fino all’etàdi sposarsi!

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Tornerà da noi molto prima di esserematuro per questo. Quindi trattatelocome vi pa-re!

Mo invece a questo punto avevavoglia di tornarsene a casa. Queiterrestri lo guardavano con una certaaria strana… Prevedeva che non sisarebbe affatto divertito a casa loro.

Ma la madre di Mo non volevaprivare la sua creatura di una esperienzache le sarebbe stata molto utile nellavita. Quando avevano preparato ilviaggio, avevano preso inconsiderazione anche l’idea che cisarebbe stata qualche difficoltà; chel’adattamento alle abitudini terrestri nonsarebbe stato sempre facile… Ora lei

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non voleva che Mo si dimostrasse cosìpusillanime da cedere le armi alla primascaramuccia. Lo aveva sempre stimatoun ragazzino (o ragazzina) in gamba.

Quindi sfoggiò verso i due terrestriil più luminoso dei suoi sorrisi edesclamò:

— In fondo stiamo qui a fare tantestorie solo per una questione di tempo!Sappiamo bene che le regole dei varipianeti sono diverse. Su Venere siconosce il sesso dei 2 Naturalmente ladurata della vacanza dipendeva dal fattoche solo ogni 10 anni si verificava lacongiunzione astrale che permettevaall’astronabus di percorrere in linearetta il percorso Deneb-Terra.

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bambini dall’istante in cui vengonoconcepiti; sulla Terra si devonoaspettare i nove mesi fino a che ilbambino sia venuto alla luce3, su Denebi 50 anni perché il giovane siaabbastanza autonomo e responsabile dasposarsi… Ma io credo che se portateMo al Laboratorio di Scienze e RicercheDenebiane di questa regione e spiegate imotivi, i nostri tecnici non sirifiuteranno di fargli l’analisi delsangue. Così in poco tempo potretesapere se è maschio o femmina. Non èuna cosa molto regolare, e su Denebl’etica professionale lo vieterebbe, maqui siamo sulla Terra. Non è un esamedoloro-so e mio marito e io non

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abbiamo niente in contrario, anzi, vifirmiamo una dichiara-zione perautorizzarvi a farlo, se ciò può risolvereun problema che per voi è molto grave.

I due terrestri respirarono sollevati.In fondo si erano allarmati per niente etutte quelle discussioni erano stateinutili. La soluzione era più semplice diquanto si pensasse. Mo non era unessere ambiguo e inquietante: eracertamente un maschio o una bambina eprestissimo lo si sarebbe saputo e ci sisarebbe potuti comportare diconseguenza. Chiarito l’equivoco, le duefamiglie si scambiarono i soliticonvenevoli, le promesse e icomplimenti d’uso fra la gente civile. I

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due denebiani abbracciarono la lorocreatura. Le raccomandarono le solitecose: di essere buona, ubbidiente,gentile…

Di scrivere a casa tutti i mesiattraverso l’I.R.T.D., di avvertire seavesse avuto bisogno di qualcosa. Eraun ragazzino in gamba, ma in fondoaveva solo 29 anni denebiani, ed era laprima volta che si separava dallafamiglia!

Mo versò qualche lacrima sullaspalla di suo padre, ma poi si fece forza,sorrise e agitò allegramente la mano,mentre guardava i genitori allontanarsiverso l’astronabus.

Quando i due denebiani furono

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spariti dentro il portello del veicolospaziale, la donna terrestre si rivolse aMo con un sorriso affettuosoesclamando: — Non lasciarti prenderedalla nostalgia. Lo so che i primimomenti sono i più brutti. Ma vedrai chequi da noi ti divertirai un mondo! Tantoper cominciare, vieni a vedere la tuacameretta!

3 A dire la verità i terrestri sonoimpazienti e vorrebbero saperlo prima.Ma nonostante tutti i tentativi e gliesperimenti, ancora non sono riusciti ascoprire un metodo per sapere se unadonna incinta aspetta un bambino o unabambina. A cosa gli servirebbe poisaperlo prima ancora di vedere il

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bambino in faccia lo sanno solo loro!

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3Non si trattava di una cameretta,

come Mo si aspettava, ma di una bellastanza ampia con un balcone sulgiardino. La signora aveva detto cosìper il solito vezzo dei diminutivi.

La camera conteneva tutti i mobili dicui Mo pensava di aver bisogno: letto,armadio, cassettiera, sedie, scrittoio,oltre ad alcuni oggetti tipicamenteterrestri, come soprammobili, tende,quadri e anche giocattoli, che Moriconobbe per averne visto la fotografiasulla Enciclopedia Terrestre allaBiblioteca dell’I.R.T.D. della sua cittànatale. Naturalmente si trattava di unaenciclopedia molto incompleta perché la

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conoscenza reciproca tra i due pianetiera solo agli inizi.

Mo abbracciò la stanza con unosguardo di approvazione, pensando chevi si sarebbe sentito a proprio agio. Mala donna terrestre non sembrava dellostesso parere:

— Che guaio, Mo! — esclamòpreoccupata e inquieta. — Eravamo cosìsicuri che arrivasse un maschio!… E tiabbiamo preparato una stanza adatta a unragazzino!

— Per me va benissimo, grazie —protestò Mo con un sorriso rassicurante.

— Ma se dopo scopriamo che seiuna bambina? Dovremo cambiaretutto… Mettere delle tende più chiare,

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dei fiori, un copriletto rosa, cambiare lestampe alle pareti, sostituire quelveliero e quel mappamondo… Nonvorrai tenere ai piedi del letto un posterdi macchine da corsa! E quei giocattoli?Come potresti giocare con quel pallone,col treno elettrico, col meccano, se fossiuna femmina?

— Non potrei giocarci lo stesso? —chiese Mo sconcertato. — Mi piaccionotanto il veliero e il mappamondo! E poi,non si preoccupi per i giocattoli. Hoportato con me da Deneb la miabambola di pelliccia.

Doveva aver detto qualcosa disbagliato. La donna si fermò di colpoaccanto alla finestra ed esclamò in tono

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di accusa, pallida di rabbia: — Dunquesei una femmina, in fondo? È tutto ilgiorno che ci prendi in giro! E anche ituoi genitori! Che bisogno c’era di faretante storie: non sappiamo, da noi non siusa… Si sa, eccome! Giochi con lebambole: dunque sei una femmina!

Mo stava per mettersi a piangere,tanto gli sembrava ingiustoquell’attacco…. Pe-rò si trattenne,pensando a quante volte gli istruttoridell’I.R.T.D. là a Deneb avevanoripetuto che la mentalità dei terrestri eradiversa da quella dei denebiani…

Ma quanta pazienza ci voleva conquesti terrestri! Cortesemente spiegò: —Veramente da noi tutti i bambini, quelli

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che da grandi saranno uomini e quelliche saranno donne, giocano con lebambole. È un gioco che piace molto atutti. Perché certi dovrebbero esserneprivati?

— Ma perché le bambine da grandiavranno dei bambini da curare e imaschi no.

Giocando con le bambole lebambine si allenano — rispose lasignora spazientita.

Non solo quella strana creaturaaveva delle abitudini anormali, mapretendeva anche di discuterne con igrandi.

— Mio padre è un uomo e ha unbambino da curare, che sono io — non

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potè fa-re a meno di osservare Mo. — Etu che sei una donna non ne hai. A cosa tiè servito giocare con le bambole dapiccola? — (Questo forse non avrebbedovuto dirlo. La signora ne parve moltocolpita, addolorata e quasi offesa.) — Epoi cosa c’entrano le bambole? Si giocaper giocare, non per imparare quello chesi farà da grandi… A Deneb almeno ècosì… — concesse indulgente4.

La signora abbassò le braccia,impotente a rispondere a queiragionamenti strampalati e soprattuttodelusa. Si era sentita per un momentocosì vicina alla soluzione del mistero!Come poteva sospettare che i denebianieducassero i loro figli maschi alla

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tenerezza, permettendo loro di giocarecon le bambole e tollerando che cre-scessero effeminati e rammolliti?

— Bene, Mo — disse cercando dicontrollarsi, — è inutile perdere tempoa fare supposizioni. Quando avremo irisultati delle analisi e sapremo cosarealmente sei, se sarà necessariocambieremo l’arredamento della tuastanza. Per ora tienitela com’è e cerca dinon affezionarti troppo, visto che èprovvisoria. Sistema la tua roba neicassetti e riposati un po’, mentre io vadoin cucina a preparare la cena. Se vuoigià cam-biarti, i tuoi abiti terrestri sononell’armadio.

Rimasto solo, Mo si guardò in giro,

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ormai senza curiosità, visto che lasistemazione forse era provvisoria. Nonera certo che quella fosse veramente lasua camera, anzi, non era certo più diniente… E pensare che aveva semprecreduto che i terrestri fosseroragionevoli e gentili!

4 Nota per i denebiani. Sulla Terraalcuni studiosi pretendono che i bambinidevono fare giochi “utili”; giochi cioèattraverso i quali imparare quello che sidovrà fare da grandi. Perciò in moltitrattati sul gioco si può leggere che iltale gioco “serve” a questo o a quello.Un bambino che gioca solo per giocareevidentemente perde il suo tempo e deveessere giudicato molto male.

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Nessuno di questi signori ha peròspiegato a cosa servono i giochi chefanno gli adulti. Cioè qualicomportamenti futuri impareranno igrandi che giocano a carte, al flipper, alcalcio…

4Aprì svogliatamente il contenitore

da viaggio. Aveva portato poche coseoltre al-la bambola di pelliccia dallaquale non si era voluto separare.All’Istituto si erano tanto raccomandatiche durante il suo soggiorno terrestreadottasse TUTTE le abitudini degliindigeni, i loro vestiti, i cibi, lesuppellettili… Nel contratto i terrestri sierano impegnati a fornirgli tutto ciò di

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cui potesse aver bisogno, come se luifosse proprio un loro figlio, venuto almondo nudo e senza alcuna proprietà.

Aprì l’armadio ed esaminò i capi divestiario che gli erano stati destinati.Biancheria di maglia di cotone bianca,azzurra, verde, marrone… Scarpe dipelle robusta, con grosse suole e lacciscuri, pantaloni, camicie e maglionisportivi nei toni del blu e del cammello,blue jeans… Un giubbotto impermeabileverde scuro…

“Ma non si mettono addosso nientedi allegro, questi bambini terrestri?”pensava Mo. Eppure ricordava di avervisto dall’alto dell’astronabus, mentre siabbassava sulla città, ragazzini con

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luminosi abiti bianchi, giallo chiaro,rosa (che con l’azzurro era uno dei suoicolori preferiti).

Rovistò in tutti i cassetti nellasperanza di trovare qualcosa di rosa,almeno un paio di calze, un pigiama, unfazzoletto… niente! Però c’era unmaglione di un bel rosso brillante equesto lo consolò un poco… Ligio alleistruzioni ricevute prima della partenza,si sfilò la tuta argentea, la ripiegò concura e la ripose in fondo al cassetto piùbasso della cassettiera. Poi, conattenzione, per seguire l’ordine esattodegli strati (a cui i terrestri danno moltaimportanza) indossò la biancheriaterrestre, gli abiti, le calze, le

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calzature…Si sentiva un po’ goffo e impacciato:

le cuciture e i bottoni stringevano etirava-no da tutte le parti; le scarpe glipesavano ai piedi e lo facevanoinciampare… “Se si abituano i bambiniterrestri, mi abituerò anch’io” si disseper farsi coraggio, anche se in quellebucce straniere si sentiva adesso un po’solo e abbandonato, estraneo a sé stesso,inquietante per i suoi ospiti…

Abbracciò stretta la sua vecchiabambola di pelliccia e uscì sul balconeper esa-minare il giardino.

Non era così bello come i giardini diDeneb, pieni di piante semoventi ezampilli d’acqua sonori, ma nel suo

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genere non era neppure brutto. Una retemetallica lo separava dalla strada, elungo il bordo crescevano cespuglifioriti attraverso i quali si potevaguardare fuori non visti. L’unico vialettoera coperto di ghiaia e c’era un alberodi acacia nel piccolo spiazzo, con unapanchina ai piedi del tronco. Sullapanchina c’erano alcuni utensili simili aquelli che i terrestri usano per cucinare icibi, ma molto più piccoli, e per terradue strane scarpe di metallo munite dipiccole ruote. Mo fu felice di capiresubito che si trattava di giocattoli. Neaveva visto di simili al Museo Terrestre,e provò subito il desiderio di usarli e diconoscere i bambini che ne erano

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proprietari. La tristezza di poco primaera già dimenticata.

A quel punto la sua attenzione fuattratta da un suono di voci cheproveniva dalla strada. Il cancello siaprì e due ragazzini terrestri entrarononel giardino.

Erano pressappoco della stessastatura e delle stesse dimensioni di Mo.Uno indossava degli abiti alquantosimili a quelli che il denebiano avevatrovato nel suo armadio, ma l’altroaveva una specie di tunica larga e corta,di un tessuto variopinto, calze chiare,scarpe leggere e scollate e — cosaancora più strana — portava i capellimolto lunghi e intrecciati, come i

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sacerdoti a Deneb o come gli antichipellerossa terrestri, benché fosseevidente che non si trattava di unpellerossa, ma di un bambino europeomoderno. A Mo parve poco correttostare a spiarli non visto, quindi tossìeducatamente per attirare la loroattenzione. I due bambini alzarono latesta e lo videro.

— Deve essere il denebiano ospitedella zia Lucilla — disse quello inpantaloni.

— Chissà che lingua parla? — dissel’altro.

Discorrevano di Mo sotto il suonaso, senza curarsi di essere sentiti,senza pre-occuparsi di salutarlo… Al

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denebiano questo sembrava il colmodella maleducazione.

— Non ha l’aria di un cretino… —commentò quello con la tunica a fiori,squa-drandolo sfacciatamente da capo apiedi.

Mo non si trattenne più: — Cretinisarete voi! — esclamò, accorgendosi dipos-sedere un vocabolario terrestre piùricco di quello che aveva creduto. —Parlo la vostra lingua e capiscobenissimo quello che state dicendo. E seavete qualche altro commento da fare sudi me, vi spacco il muso!

Più tardi dovevano riconoscere tuttie tre che si era trattato di un equivoco,ma in quel momento, non si sa bene

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come, si trovarono a rotolare avvinghiatisulla ghiaia, picchiandosi di santaragione. Mo era saltato giù dal balconecon una agilità che la differenza digravità fra la Terra e Deneb ancora gliconsentiva e che avrebbe dovutoperdere in poche settimane, abituandosiall’atmosfera locale. Quando gli adultiaccor-sero per separarli, Mo era quelloche ne aveva prese di più. D’altronde èlogico, visto che era solo contro due.Ma poiché era stato lui a cominciare,non se ne lamentava.

Aveva un labbro spaccato e unlivido sulla fronte, un ginocchioscorticato e uno strappo nei pantaloninuovi. Anche i pantaloni dell’altro

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ragazzo erano ridotti male.I grandi, cioè gli ospiti di Mo e altri

due che dovevano essere i genitori deidue bambini terrestri, li sgridavanoindignati.

— Bella ospitalità! — dicevano aidue giovani indigeni.

Ma l’ospite di Mo, fattosi raccontareil modo in cui era nata la rissa, dette unosguardo d’intesa alla moglie e aldenebiano parve di sentirgli dire a vocebassa: — Ha cominciato Mo! Lo vedi,deve essere proprio un maschio! — ec’era una nota di fierezza nella sua voce.Ma forse Mo non aveva capito bene. Infondo non era ancora così padrone dellalingua terrestre!…

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Il bambino con la tunica e le trecce,che aveva graffiato e morsicato Mo, etirato i suoi capelli con violenza, nonaveva un graffio, ma perdeva un po’ disangue dal na-so e si lamentava in modopietoso. Sua madre ne sembravapreoccupatissima. Gli premeva sul nasoun fazzoletto bagnato, gli carezzava lafronte… Poi si rivolse a Mo e disse intono d’accusa:

— Vergognati! Appena arrivato nontrovi niente di meglio che picchiare unabambina! Bei vigliacchi, voiextraterrestri!

Allora anche gli ospiti di Mo — cheprima erano sembrati soddisfatti di lui— si mostrarono molto indignati, forse

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per dare soddisfazione a quegli altri.Comunque lo sgridarono cosìseveramente da fargli capire una voltaper tutte che i piccoli terrestri contuniche corte e trecce sono dellebambine, e che le bambine non sidevono picchiare. Così Mo concluse cheessere bambine sulla Terra è di granlunga preferibile.

Infatti lui era ancora più malconcio,sanguinava dai graffi e dallesbucciature, inoltre era straniero,spaesato e pieno di nostalgia di casa.Ma nessuno asciugava il sangue dai suoigraffi né gli tamponava il labbrospaccato, né lo consolava…

Sentì che le labbra cominciavano a

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tremargli, cercò di farsi forza, ma nonriuscì a trattenere un pianto silenzioso.Subito la sua ospite gli fu addosso adasciugargli le lacrime e diceva fra iltenero e lo scandalizzato: — Su, su, nonpiangere! Non fare la bambina adesso! Einvece Mo desiderava ardentemente che,fatte le analisi dei cromosomi, larisposta degli scienziati fornisse proprioquella preziosa notizia, che lui, Mo, erauna bambina!

5Per fortuna da giovani i terrestri non

sono suscettibili come da adulti! Infattido-po cena i due fratelli, che abitavanoal pianterreno della villetta, salirono daMo per invitarlo a giocare con loro in

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giardino. Avevano dimenticato il litigioed erano pieni di sentimenti amichevolie di curiosità nei confronti dell’ospitedenebiano.

Mentre la ragazzina con le trecceraccoglieva i giocattoli e li riponeva,suo fratello e Mo sedettero sottol’acacia, tracciando pigramente righesulla ghiaia con un piede.

Dalla panchina si poteva vedereattraverso le finestre l’interno delle duecucine illuminate: quella degli Olivieri(così si chiamavano gli ospiti di Mo) alprimo piano, e quella dei Brandi (taleera il cognome dell’altra famiglia) alpiano terreno. Era un po’ come essere ateatro, davanti a due palcoscenici

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sovrapposti, ma le due scene che vi sirecitavano erano molto simili.

In entrambe le cucine le signore sidavano un gran daffare riordinando,lavando i piatti, scopando sotto latavola, mentre i due mariti sedevanodavanti al televisore acceso con ilgiornale sulle ginocchia e i piedipoggiati su uno sgabello.

— Stanno male? — chiese Mo allabambina terrestre.

— No, perché?— Come mai non aiutano anche loro

a mettere in ordine?— Perché quello è un lavoro da

donna. E poi loro hanno già lavoratotutto il giorno.

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— E le signore non hanno lavoratotutto il giorno?

— No. Loro non lavorano. Sonocasalinghe, cioè stanno a casa a farniente — rispose seccamente ilragazzino.

Veramente Mo ricordava di avervisto un documentario all’I.R.T.D. in cuivarie donne terrestri si agitavano comepazze nelle loro case a aggiustare letti,lavare, stirare, cucinare, rigovernare,spazzare, lucidare, cucire, maneggiareneonati, picchiare ragazzini, e poi fuoriper le strade a correre come inseguite,cariche di sporte e pacchet-ti, e poi dinuovo a casa a spazzare, cucinare,apparecchiare, pulire…

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— E a casa non lavorano? — osòchiedere.

— Forse… Un po’… Ma perché cipigliano gusto. Cosa vuoi che ci importia noi dei pavimenti lucidi e del bucatobianchissimo? — disse il ragazzino —… e poi che lavoro è, che nessuno lopaga?

— Un hobby? — azzardòtimidamente Mo. Ma non ottennerisposta.

— Vedi, Mo — spiegò la bambinapiù gentilmente, — nelle famiglie ci sidivide i compiti. I lavori di casaevidentemente sono più adatti alledonne. Gli uomini vanno al lavoro, inufficio, in fabbrica…

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— E le donne no?— Ne conosciamo tante che ci vanno

anche loro. La zia Anna per esempio —ammise la ragazzina conciliante. —

A quelle il marito magari le aiuta unpoco…

— Quando ne ha voglia! Non è micaaffar suo fare i mestieri! — concluse suofratello.

— Noi abbiamo delle macchine chefanno quasi tutto — osservò ildenebiano —

però nelle famiglie non c’è unapersona sola incaricata di usarle ancheper gli altri.

Chi ne ha bisogno in quel momento,chi ha sporcato, chi ha fame, fa quello

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che gli serve. Se mio padre sporca unpiatto, se lo lava lui, se ha fame, siprepara il pasto e se perde unautomatico della tuta, se lo riattacca dasolo… — Aveva osservato, durante lacena, che il signor Olivieri avevacontribuito abbondantemente a sporcarei piatti…

Su Deneb sarebbe sembrata unadimostrazione di egoismo che nonavesse contribuito anche a pulirli.

Ma ai due ragazzini il discorso noninteressava più e si misero a parlared’altro.

6Il bambino si chiamava Andrea e la

bambina Caterina. Erano gemelli, cioè,

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spiegarono a Mo, erano nati insieme.Non proprio nel medesimo istante, mauno dopo l’altro nel giro di mezz’ora, eAndrea pretendeva di essere il maggioreperché era nato prima, mentre a Caterinail dottore aveva spiegato che quello cheesce dopo è il più vecchio, perché sitrova nella pancia della madre da un po’più di tempo. Litigavano continuamenteper questo fatto, perché Andreapretendeva di farsi ubbidire dallasorella.

Avevano anche altri due fratelli piùpiccoli: uno di quattro anni terrestri,l’altro di tre. Maschio e femmina ancheloro, si affrettarono a precisare. In quelmomento si trovavano ospiti dei nonni in

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una città vicina e sarebbero tornati acasa fra una settimana. In fondo eranodue ragazzini simpatici. Avevano diecianni terrestri, pressappoco l’equivalentedei 29 denebiani di Mo, ed erano decisia fare amicizia col nuovo arrivato. Motrovava che questo era molto gentile daparte loro.

— Come mai porti i capelli cosìlunghi? È un’usanza denebiana? —chiese con ammirazione Andrea, cheaveva i suoi tagliati cortissimi, così chesi poteva ammirare la forma rotondadella nuca.

— Ma li ho più corti di quelli diCaterina! — protestò Mo.

— Cosa c’entra? Caterina è una

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femmina! — esclamò Andrea con unasfumatura di disprezzo, e dal tono Mocapì che, se da un lato una femmina sullaTerra non può venire picchiataimpunemente anche quando èperfettamente in grado di difendersi (equesto sembrerebbe un vantaggio),dall’altro essere una femmina e portare icapelli lunghi non era considerata unacosa tanto lusinghiera.

— Da voi anche i maschi portano icapelli lunghi? — chiese Caterina, conl’intenzione di mettere pace.

“Ci siamo” pensò Mo, “qui siricomincia da capo” e disse nel tono piùdisinvolto che riuscì a trovare: — Io nonsono un maschio, e neppure una

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femmina. Due paia di occhi loguardarono sbalorditi.

— Alla mia età su Deneb nessuno sadi essere maschio o femmina — spiegò.—

Neppure io lo so.Chiarito questo fatto, i ragazzi però

fecero meno storie degli adulti.Trovavano, è vero, la cosa molto strana,ma non preoccupante. Era già tanto cheMo non avesse la pelle verde e leorecchie ad antenna come le figure deimarziani dei vecchi libri di fantascienza!Gli fecero però la domanda cheprobabilmente a questo punto dellastoria i lettori si saranno posti almeno10 volte. Se cioè, dalla nascita fino ad

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allora, nessuno avesse mai pensato aguardare Mo in mezzo alle gambe perstabilirne il sesso.

— Ai bambini terrestri è la primacosa che fanno — disse Caterina coltono di una che di neonati se ne intende.— Prima ancora di vedere se hanno tuttele dita dei piedi e delle mani, e gli occhie le orecchie a posto e se respiranocome si deve…

— A noi no — sospirò Mo — per idenebiani sarebbe inutile. Fino ai 50anni e-sternamente siamo uguali. I nostrigenitori per prima cosa chiedono: èsano? è bello?

A cosa gli servirebbe sapere ilsesso?

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— A cosa gli servirebbe? Ma ascegliere il nome, prima di tutto, e ilcorredino, e i giochi, e gli amici, e poila scuola e il mestiere e tutto il resto…Non vorrai che una bambina vengachiamata Giovanni e mandata a fare ilmeccanico! Oppure un bambinochiamato Rosella e vestito di rosa! Ahah ah…

Trovavano entrambi l’ipotesi moltoridicola e il povero Mo non capiva cosaci fosse da ridere. Sentiva però cheproprio il non capirlo faceva di lui unacreatura così diversa, estranea fra queigiovani terrestri già così “maschi” ecosì “femmine” a 10

anni. Questa incapacità ad afferrare

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la differenza lo rendeva più strano, piùdiverso da loro che non il fatto diignorare — per poco tempo ancora, perfortuna — il proprio sesso.

II Alla ricerca di un sesso1Nonostante tutte le emozioni di

quella prima giornata sulla Terra, lanotte Mo dormì profondamente.

I signori Olivieri invece nonchiusero occhio. C’era poco dadiscutere, ormai, ma mettetevi nei loropanni!

Non avevano mai avuto figli e Moera, in un certo senso, il loro primobambino, anche se aveva circa 10 anniterrestri. Era là, nella camera accanto,

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addormentato sotto le coperte, eppure lasignora Lucilla pensava a lui come a unacreatura non ancora nata. Non riusciva aconsiderarlo una “persona” concreta,una individualità diversa dalle altre. Eracome un feto già pronto per la vitaindipendente da sua madre, ma nonancora venuto alla luce.

E come due genitori in attesa che illoro bambino, nascendo, si definisca unpiccolo uomo o una piccola donna, gliOlivieri pensavano al risultatodell’analisi, alla risposta che loscienziato avrebbe dato su Mo, efantasticavano…

La signora Lucilla in fondodesiderava che Mo fosse una bambina.

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In questo ca-so avrebbe dovuto faremolti cambiamenti in casa, ma non lesarebbe dispiaciuto. Se Mo fosse statauna femmina, le avrebbe fatto moltacompagnia (tutti sanno che le femminesono più affettuose, soprattutto quelliche richiedono di adottare una bambinaper procurarsi una compagnia e un“bastone della vecchiaia”. Da unmaschio c’è da aspettarsi che da unmomento all’altro saluti e se ne vada peril mondo in cerca di avventure). Unabambina poi si intende con la madremolto più che un ragazzo. Le avrebbeinsegnato a lavorare a maglia, a fare letorte, magari anche a dipingere. Leavrebbe comprato una bambola con un

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corredo completo, la roulotte e lapiscina. La avrebbe iscritta a un corso didanza classica… E quando Mo fossecresciuta, le avrebbe fatto le sueconfidenze sulle amicizie, sulle primesimpatie per i ragazzi…

La signora Olivieri pensava diessere una donna moderna ecomprensiva: non aveva vissutoun’infanzia molto serena e desideravadare a una sua eventuale figlia tuttoquello che lei non aveva avuto.

Il signor Olivieri, che di nome sichiamava Nicola, invece era stato unragazzino felice. E desiderava che Mofosse un maschio per ritrovare con lui iricordi della sua infanzia.

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Lo avrebbe portato a pescare,avrebbero giocato a pallone insieme, efatto gare in bicicletta, e costruito unplastico favoloso per il trenino elettrico,con mille scambi e gallerie…Avrebbero allestito un laboratorio dimeccanica giù in cantina e tutte ledomeniche sarebbero andati insieme allapartita.

E poi Mo sarebbe diventato unfamoso scienziato, un ingegnere, unmedico… O

forse no, a questo non si sarebbearrivati, perché prima sarebbe tornato suDeneb.

Fantasticavano ognuno per proprioconto, ma su una cosa si erano subito

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trovati d’accordo: l’indomani mattinaentrambi avrebbero accompagnato Moal Laboratorio dell’I.R.T.D. e loavrebbero fatto sottoporre all’analisi delsangue.

Il laboratorio si trovava incampagna, a una cinquantina dichilometri dalla città.

Gli scienziati che vi lavoravano nonerano denebiani, ma uomini terrestri cheavevano trascorso su Deneb lunghiperiodi di studio, e che oraproseguivano sulla Terra le lororicerche. Erano gente piuttosto strana,perché la lunga assenza li aveva un po’disabituati alle usanze terrestri, e inoltreanche ora vivevano molto isolati, assorti

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nel loro studio, chiusi nelle stanze delLaboratorio… Bisogna anche aggiungereche non tutti sapevano dell’esistenza delLaboratorio, che era protetto dal segretomilitare. Le scienze spaziali infatti eranoancora agli inizi e ci si preoccupava dicircondarle del massimo riserbo.

Comunque, per gli studiosi chevivevano dentro il recinto delLaboratorio, i problemi concreti deglialtri uomini non avevano più la stessaimportanza.

Forse per questo il dottore a cui gliOlivieri si rivolsero quella mattina nonsembrò trovare ovvia la loro impazienzadi stabilire se Mo fosse maschio ofemmina.

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Si erano alzati di buon’ora, avevanofatto colazione in fretta, avevanocontrollato che Mo fosse vestito epettinato come si deve, ed erano saliti inmacchina.

Mo stava seduto sul sedileposteriore, zitto e tranquillo. Guardavadal finestrino sfilare le case, le strade,la campagna terrestri, simili a quelle chegli avevano mostrato nei documentariall’I.R.T.D., ma così diverse ora che lui,Mo in persona, ci viveva in mezzo il suoproblema!

I due terrestri erano gentili, pieni dipremure, ma la loro ansia si comunicavasi-lenziosamente a Mo, che respirò disollievo quando finalmente la macchina

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si fermò davanti al Laboratorio. Non erache una questione di poche ore, ormai!

Al Laboratorio, ovviamente, nonerano abituati ai visitatori. Chieseroloro di mostrare la tessera d’iscrizioneall’Istituto prima di lasciarli entrare. Poiun’infermiera li ascoltò con cortesia,dette loro un modulo da compilare, equando lo ebbero fatto li pregò diattendere e uscì dalla stanza. Tornòsubito dopo con un signore in camicebianco che portava appuntato sul baveroun cartellino col suo nome “DOTTORVIN-CENZO GIL”. A Mo riuscì subitosimpatico.

Aveva un non so che che lo facevasomigliare ai denebiani più di qualsiasi

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altro terrestre che avesse conosciuto.Certamente, pensò Mo, non si sarebbescandalizzato e indignato con lui perchénon era in grado di dichiarare il propriosesso.

Aveva intuito giusto. Il dottor Gilascoltò con attenzione la richiesta che lasignora Lucilla gli faceva con voceangosciata e imbarazzata, poi si rivolsea Mo in to-no di complicità, dicendoglinella sua lingua:

— Dunque, giovane amico, ti seitrovato in un bell’imbroglio! Questo nonte lo avevano spiegato lassù i tuoiistruttori! Ma non temere, che in qualchemodo ti aiute-remo a venirne fuori!

Poi disse cortesemente, ma con

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molta fermezza ai signori Olivieri:— La mia etica professionale mi

impedirebbe di soddisfare una richiestache, secondo le norme denebiane èinnaturale, inutile e prematura. Ma mirendo conto che questo più che a voinuocerebbe alla serenità del vostrogiovane ospite. Quindi cercherò diaccontentarvi. Purtroppo però ilprofessor Me Slow, l’unico in Europache sia in grado di effettuare l’analisiche richiedete, in questo momento sitrova in viaggio nel centro dell’Africa.È andato a fare delle ricerche laggiù enon tornerà prima di tre settimane. Nonha lasciato l’indirizzo, ma se ancheriuscissi a rintracciarlo, non potrei

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richiamarlo in sede soltanto persoddisfare una curiosità banale come lavostra. Fra l’altro ha vissuto anche lui suDeneb e non capirebbe. Abbiate perciòun po’ di pazienza. Per guadagnaretempo preleverò io stesso il sangue aMo e lo conserverò in cella frigorifera.Tornate qui esattamente fra tre settimanee tre giorni e avrete la vostra risposta.

Tre settimane! Pensava angosciata lasignora Lucilla mentre rientravano acasa.

Come se la sarebbero cavata con Moin tutto quel tempo?

2Non avevano ancora chiuso la porta

del garage dopo aver posteggiato

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l’automobile, che dalle finestre delpianterreno quattro volti curiosi già sisporgevano verso di loro.

“E allora?” era la muta domanda chesi leggeva nei loro occhi, anche senessuna parola venne pronunciata dallafamiglia Brandi. Il signor Nicola allargòle braccia, cercando di assumere un tonodivertito: — Niente di fatto! Ci darannola risposta solo fra tre settimane.

— Accidenti! — esclamò la signoraBrandi. — È un’analisi così lunga?

— No. È l’analista che è in viaggioin Africa — spiegò la signora Lucilla.

— In viaggio? Proprio quando si habisogno di loro! Ecco le belle abitudiniche vanno a prendere su Deneb, e con le

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borse di studio pagate con i nostri soldi!Io se fossi in voi andrei immediatamentea reclamare alla direzione dell’Istituto!— esclamò indignato il signor Brandi.

— Ma no, Osvaldo, non fa niente!Cosa vuoi che siano tre settimane?L’importante è che Mo si trovi bene connoi… — cercava di spiegare il signorNicola.

Ma i due cognati non erano moltoconvinti. I due gemelli invece se laridevano.

Se prima avevano aspettato ancheloro la risposta a quell’interrogativoinquietante, ora trovavano moltodivertente che proprio non fossepossibile sapere cosa era esattamente

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Mo. Fu anzi proprio Caterina a suggeriredi prendere la faccenda come unoscherzo, e sullo scherzo si accordaronoMo e i due Olivieri.

— Faremo così — suggerì il signorNicola, — nei giorni pari fingeremo cheMo sia una bambina, nei giorni dispariche sia un maschio.

— E in quale caso smetteremo difingere e faremo sul serio? — chieseMo.

— Forse il 29 febbraio di un annobisestile — scherzò Andrea.

— Non fare lo spiritoso — lo sgridòsua zia; — purtroppo faremo sul seriosoltanto fra un mese, quando avremo larisposta del laboratorio.

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A Mo questa storia di fingerecontinuamente non andava molto a genio.Tanto più che non era solo lui, in questocaso, a recitare una parte, ma tutti glialtri intorno si adeguavano e ciò dava untono un po’ falso a tutti i loro rapporti.

L’indomani era un giorno pari. Perl’esattezza, il 10 novembre, secondo ilcalendario terrestre. Fecero indossare aMo un abito chiesto in prestito aCaterina (infatti fino a che non fossearrivata la risposta dal Laboratorio, nonvolevano rischiare di spendere perniente comprandogli un completocorredo femminile), gli misero un nastrofra i capelli e lo mandarono con lagemella alla scuola femminile.

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Naturalmente anche sulla Terra c’eranodelle scuole, dove bambini e bambinestavano insieme nella stessa classe, maquando i gemelli avevano avuto sei anni,uno psicologo aveva consigliato isignori Brandi di mandarli in due scuoleseparate, perché è bene che i gemellisiano ognuno per conto proprio almenoqualche ora della giornata, altrimentifanno troppa fatica a sviluppare unapersonalità distinta.

Così Caterina e Andrea erano statiiscritti a due scuole diverse, e perchéciascuno dei due trovasse logical’assenza dell’altro gemello (a queltempo erano affeziona-tissimi) eranostati messi in due classi composte da

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sole femmine Caterina e da soli maschiAndrea.

Mo uscì portando nella cartella unbiglietto col quale la signora Lucillapregava la maestra di ospitare in classela sua figlia adottiva finché non avessericevuto tutti i documenti necessari aiscriverla regolarmente. Avvertiva cheMo avrebbe frequentato la scuolasaltuariamente, perché doveva ancoraessere sottoposta a dei controlli mediciper il suo adattamento al clima e al tipodi vita terrestri. E questo era verosoltanto in parte, ma serviva agiustificare i giorni in cui Mo avrebbe“finto” di essere un maschio e sarebbeandato alla scuola di Andrea.

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Così quel 10 novembre il piccolodenebiano passò la sua prima giornata discuola in una classe femminile. Eccocome lui stesso raccontò questasingolare esperienza in una lettera a Tar,che era il suo fratello (o sorella?)preferito.

Car Tar5 ,non devi essere triste perché non ci

sono, altrimenti divento triste anch’io.E poi tu hai gli altri ragazzi, papà emamma, la nostra camera, gli amici, iSapienti di sempre… Cosa dovrei fareio, che sono qui sol fra questi terrestricosì strani e diversi da noi? Però devoriconoscere che fanno di tutto perfarmi stare a mio agio. Purtroppo

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qualche volta non è possibile, ma nondipende da loro. Però non devi mettertiin testa che io qui sia infelice eabbandonat. Soprattutto non dirlo apapà. In fondo sono stat io a volervenire sulla Terra. E poi mi diverto,con tante novità. Senti questa:stamattina per la prima volta sonoandat a scuola. Io non so proprio comefanno i bambini terrestri a impararequello che gli serve! Qui non hanno lemacchine audiovisive e tutte leinformazioni le fornisce una tizia che sichiama maestra, tutto a voce.Naturalmente nessuno dei ragazzi puòcontrollare se quello che ascolta èesatto.

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Non ci sono neppure i laboratoricon i tecnici che ti fanno rifare tutti gliesperimenti come da noi. Sui libri c’èqualche fotografia e Caterina mi hadetto che una volta al mese proiettanoun film. Ma vuoi mettere con idocumentari che noi possiamoconsultare tutti i giorni nellevideoteche!

E poi, di maestra ti devi tenerequella che ti danno. Non è come da noi,che ognuno si può scegliere il Sapienteche preferisce e così i Sapienti menosimpatici restano senza allievi edevono cambiare mestiere! La maestrache è toccata a me e a Caterina è unadonna molto nervosa. Poveretta,

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chiunque lo sarebbe a dover fare tuttoda sola. Racconta, racconta cose cheognuno può cercarsi da solo in una na-stroteca o in una enciclopedia, e siarrabbia moltissimo se qualcuno lainterrompe 5 Nota per i terrestri. Non sitratta di un errore del tipografo. Lalettera — come tutte le altre scritte daMo ai suoi che riporteremo più avanti— è stata tradotta dal denebiano. Linguache prevede, per i ragazzi al di sotto dei50 anni, pronomi e aggettivi di genereneutro. In italiano il neutro non esiste,perciò — per non farvi pensare che aquesto punto Mo attribuisca uno dei duesessi a sé o a Tar —

abbiamo privato della lettera finale

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tutti gli aggettivi che li riguardano.con una domanda. Come farà a

rendersi conto se abbiamo capito benetutto, è un mistero.

Con me però è stata molto gentile.Mi ha fatto un mucchio di domande suDeneb e si è molto meravigliata dellemie risposte. Sai, mi sono accort chequi sulla Terra, di Deneb si saveramente poco o nulla! Gli scienziatisi tengono le notizie per sé e la gentepoco ci manca che creda che noiandiamo in giro con le antenne al postodelle orecchie e le squame come ipesci. Avessi visto come eranomeravigliate le compagne di Caterinaper il fatto che ero simile a loro e che

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sapevo parlare la loro lingua!Mi sono venute tutte intorno per

guardarmi da vicino; qualcuna mi haanche toccat con un dito per vedere dicosa ero fatt.

Sono tutte femmine. Questo fattodelle femmine e dei maschi te l’ho giàspiegato nell’ultima lettera. Quandohanno preso confidenza, mi hanno fattoun mucchio di domande sulla nostravita su Deneb. Naturalmente non hodetto niente sul sesso, co-me mi haraccomandato la signora Olivieri. Maquando mi hanno chiesto se andavoanche lì a una scuola femminile, nonsapevo cosa rispondere. Per fortuna miè venuta in aiuto Caterina che ha detto

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che da noi le scuole sono tutte miste.Che a pensarci bene non è neanchesbagliato. Queste ragazzine non sonoantipatiche, ma fanno una confusione!Parlano tutte insieme, si fanno idispetti, ridono per niente, litigano perniente! Vedessi poi quanta importanzadanno al proprio aspetto. Vannocontinuamente in bagno, ma non perfare pipì. Ci vanno per pettinarsidavanti allo specchio.

Poi stanno sempre a parlare divestiti e a confrontarseli. C’è tutto ungiro di braccia-letti, collane, spille,figurine di fiori o donnine… Se lìprestano, li barattano, se li perdono simettono a piangere. Davvero, se non lo

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avessi visto non ci avrei creduto.Poi hanno le lacrime in tasca!

Basta dar loro una spinta, unagomitata, che piangono disperate. Cen’era una molto simpatica che mi hainsegnato a saltare sui banchi e non leimportava se la gonna le andava disghimbescio. Abbiamo fatto a pugni ele è piaciuto molto. Ma non ha molteamiche in classe. Ho deciso che sarò iola sua amica.

La lezione, una volta capito comefunziona, naturalmente era moltonoiosa. Ma c’è stato un momentodivertente. Tutte avevano deibastoncini di metallo lunghi e sottili econ un lungo filo di lana facevano una

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specie di tessuto che qui si chiama“maglia”. A vederla sembraun’operazione molto difficile, maanche io alla fine ho imparato equando è suonata la campana (qui è ilsegno che la lezione è terminata) avevofatto un bel pezzo dì maglia. Quandotorno voglio insegnarlo a papà. Glipiacciono tanto i lavori manuali, maquesto certo non lo conosce.

Dopo pranzo siamo andate6 agiocare in un campo di pallacanestro,con tante bambine di altre classi.

Qui è più facile che a Deneb perchél’aria è più leggera e si deve fare menosforzo a tirare la palla nel cesto.

Perlomeno, a me sembrava facile, e

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ho vinto tutte le partite, proprio io chenella nostra squadra ero una schiappa!

6 Nota per i terrestri. Qui Mo usa ilfemminile perché si riferisce allamaggioranza delle scolare, che sonotutte terrestri e quindi senza alcundubbio di sesso femminile.

Naturalmente per tutto il giorno hodovuto fingere di essere una femmina, equando non sapevo cosa rispondere, miaiutava Caterina. È stata molto gentile,non mi ha lasciat un attimo sol. Menomale che ho trovato questi “cugini”terrestri, perché da sol non saprei comecavarmela.

Qui tutto è così strano: le abitudini,i materiali, la gente, l’aria stessa che

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si respira, la gravità, i suoni, il saporedei cibi… Certe volte mi sentofrastornat e avrei voglia di tornare acasa. Ma tutto sommato è unaesperienza interessante e credo che,quando mi sarò abituat, mi divertirò unmondo.

Sei soddisfatt del resoconto dellamia avventura terrestre? Se ti lamentiperché è troppo lungo, quando torno tispacco il muso. Mi raccomando,ricordati di dare da mangiare ai mieidrogopildi. La piantagione di barze vainnaffiata ogni 5 giorni. Aspetto tuenotizie, e soprattutto scrivimi chepunteggio ha fatto nell’ultimo incontrola nostra squadra di splugo.

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Un abbraccio affettuoso, Mo3L’indomani le cose si fecero un po’

più complicate.Tanto per cominciare, era un giorno

dispari. Mo indossò i “suoi” vestitidell’arrivo, poi andò in bagno apettinarsi, e poiché per la gravitàterrestre i capelli gli si erano fatti menoleggeri e gli ricadevano continuamentesugli occhi in modo fastidioso, li legòcol nastro come aveva imparato ilgiorno prima.

Ma quando si presentò a colazione,fu accolto dalle risate dei due cugini cheerano saliti a prenderlo peraccompagnarlo a scuola.

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Il signor Nicola invece lo guardòcon aria di disapprovazione:

— Via quel nastro, Mo! — disse intono deciso — Se oggi devi comportartida maschio, non puoi renderti cosìridicolo!

Ma i capelli di Mo erano gli stessidel giorno prima. Sugli occhi gli davanofastidio. Propose di fermarli con unamolletta, se proprio non poteva portareil nastro.

— Anche la molletta è una cosa dadonna! — sentenziò Andrea. — Nonpotrei mai portarti alla mia scuola cosìconciato. Ci riderebbero dietro per tremesi.

— È un bel problema, quello dei

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capelli — osservò la signora Lucilla. —Finché non abbiamo la risposta nonpossiamo azzardarci a tagliarglieli…

— Perché no? — rispose suo marito— Anche molte bambine portano icapelli corti. Basta non esagerare e nonfargli la sfumatura alta sulle orecchie…

Lei veramente aveva sempre sognatouna bambina con i capelli giù per laschiena, e se Mo si fosse rivelatofemmina, quanto tempo ci sarebbevoluto a farglieli ri-crescere! Ma decisedi non litigare per questo col marito.

Presero le forbici di cucina, ma icapelli di Mo erano di una materiadiversa da quelli terrestri e non silasciavano tagliare. Rimbalzavano, si

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piegavano, sfuggivano da tutte le parti,ma non si spezzavano in alcun modo.

Così dovette andare a scuola con ilciuffo sugli occhi, spostandoselocontinuamente con la mano. Gesto chegli divenne abituale tutte le volte che“fingeva” di essere maschio.

Alla scuola maschile ci si divertivadi più che a quella delle bambine, anchese il metodo usato dal maestro per farelezione era pressappoco lo stesso.

I nuovi compagni non mostraronoeccessiva curiosità nei confronti di Mo.Forse pensavano che la curiosità nonfosse un sentimento abbastanzadignitoso.

Solo qualcuno gli chiese delle

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notizie tecniche sul viaggio interstellare,sulla velocità, la distanza, il carburanteusato dall’astronabus. Nessuno siinformò dei suoi sentimenti, se glipiacesse la Terra, se avesse nostalgia, seavesse lasciato laggiù degli amici, comeavevano chiesto le bambine.

Fra una lezione e l’altra giocarono apallone in cortile, fecero la lotta, siarrampi-carono di nascosto su un alberoe da questo su una tettoia, chiusero perscherzo il bidello in gabinetto.

Poi tornarono in aula doveimpararono a costruire una prolunga perla corrente elettrica e piallarono unpezzo di legno.

Verso mezzogiorno Mo era un po’

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stanco. I compagni lo avevano fattocorrere troppo, e i suoi polmoni nonerano ancora abituati all’aria terrestre.Lo avevano spin-to, gli avevano dato unpugno in mezzo alla schiena che loaveva fatto tossire per cinque minuti…Sedette su una panca della palestra perriprendere fiato e riposare un po-co echiese a un ragazzo che gli stava vicino,così, tanto per attaccare discorso e fareamicizia:

— Tu sei capace di fare la maglia?L’altro lo guardò come se non avesse

capito bene e Mo ripetè gentilmente ladomanda. Allora il ragazzo, senzaavvisare, gli dette un pugno sul naso echiamò a gran voce Andrea:

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— Di’ un po’, ma dove sei andato apescarlo questo tuo cugino? Sono tutticosì i denebiani? Non si capisce bene seè deficiente o se ci vuole prendere tuttiin giro!

Era molto offeso e guardò condisprezzo Mo che, piangendo di dolore edi stizza, andava in cerca di protezioneverso Andrea. Ma neppure Andrea gli fudi molto conforto. — Non piangerecome una femminuccia — gli ordinòbruscamente — che figure mi fai fare!Se oggi devi fingere di essere unmaschio, fingi bene, accidenti. —

Era preoccupato di perdere la stimadei compagni per colpa di Mo.

Il signor Nicola, a casa, fu fiero del

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naso pesto di Mo.— Così imparerai a difenderti! — fu

il suo commento.Il pomeriggio Mo era stanco e

avrebbe preferito restare a casa con lasignora Lucilla, ma Andrea lo venne aprendere per andare a pattinare. Poiandarono da soli a comprarsi le figurinedei calciatori a un chiosco di giornalimolto lontano e non tornarono a casa cheall’ora di cena, senza che nessuno citrovasse da ridire. Non era stata unagiornata riposante, ma in complesso Mosi era divertito e aveva imparato tantecose nuove.

4Per tutte le tre settimane successive

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Mo continuò a imparare cose nuovesulle abitudini dei terrestri. Anche il suofisico andava pian piano adattandosi alnuovo ambiente: gli abiti non gli davanopiù fastidio, i sapori dei cibi glidiventavano familiari, i movimenti gliriuscivano uguali a quelli dei coetaneiterrestri, né più lenti né più veloci…

Inoltre si era abituato gradatamenteai cicli di sonno e veglia, alle abitudiniigie-niche, alle norme di comportamentodella comunità di cui era ospite.

Nel frattempo erano tornati dallevacanze i due figli minori dei signoriBrandi: Cecilia, di quattro anni e Luigidi tre. Erano due bambini pestiferi,aggressivi, mane-schi, piagnucolosi,

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prepotenti… Mo pensava che su Denebdue figli così nevrastenici sarebberostati portati con i genitori sullaMontagna, dove il più vecchio e saggiodei Sapienti avrebbe preso in cural’intera famiglia fino a eliminarne lecause che rendevano i suoi membri piùgiovani così inquieti e poco amabili.

Ma la cosa più strana per Mo erache i signori Brandi (la madre e la nonnaa dire la verità, perché il padre siinteressava poco dei due più piccoli chequando lui rincasava la sera erano già aletto) si preoccupavano solo per ilcarattere di Cecilia.

Ai capricci di Luigi sorridevano,magari gli allungavano uno scapaccione,

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ma lo consideravano un bambino dalcomportamento perfettamente normale.Spesso anzi sua madre se ne andava ingiro tutta fiera a raccontare le imprese diquella peste.

La povera Cecilia invece non avevauna vita altrettanto facile. Con la scusache

“ormai era una donnina”pretendevano che avesse cura dei proprivestiti. Se li sporca-va o strappavaarrampicandosi sul cancello o andandoin bicicletta, sua madre e sua nonna lamettevano in castigo. Se poi siazzardava a fare la lotta con qualcuno,erano tragedie.

Ma vivere insieme a quel prepotente

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di Luigi senza fare la lotta con lui, anchesolo per difendersi, era praticamenteimpossibile. Gli adulti però avrebberopreteso che Cecilia si lasciasse tirare icapelli, rompere i giocattoli, portar viala bicicletta, morsicare, senza reagire esenza passare a vie di fatto.

Le era permesso soltanto piangere ecorrere dalla mamma in cerca di aiuto,ma anche l’aiuto spesso le venivanegato, perché: “…Luigi è piccolo, epoi è tanto vivace, e tu perché pretendidi fare giochi da maschio?…” e via diseguito.

Caterina da piccola, raccontava lanonna, era stata molto più docile. Nonaveva mai preteso di competere con

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Andrea e non aveva creato problemi asua madre. Invece quella piccola furia diCecilia non voleva saperne della suaparte di “donnina giu-diziosa”. Strillava,picchiava, morsicava, andava anascondersi per delle mezze gior-natenel garage o in soffitta, mettendo l’interafamiglia in grande agitazione. Sua madreera disperata, ma la nonna che aveva piùesperienza per aver visto crescere tantefiglie e nipoti, la rassicurava checrescendo anche Cecilia avrebbe messogiudizio.

— Purché non diventi come Anna!— sospirava sua madre. Anna era lasorella minore delle signore Brandi eOlivieri. Mo non l’aveva ancora

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conosciuta, perché frequentava poco iparenti, ma aveva capito che eraconsiderata la pecora nera dellafamiglia.

A Mo Cecilia in fondo erasimpatica. Capiva che per lo più era laprepotenza di Luigi e l’indulgenza che igrandi avevano per lui (e non perCecilia) a renderla nevrastenica. Anzi,gli piaceva proprio perché era un tipovivace e intraprendente, e non capivaperché questo per i grandi fosse undifetto. Caterina in confronto era unagatta morta e qualche volta Mo avevavoglia di pungerla con uno spillo perfarla reagire.

Anche a Cecilia piaceva Mo e

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andavano molto d’accordo, nonostantela differenza d’età.

Questo fatto veniva guardato concompiacimento dalla signora Lucilla.Non aveva ancora perso le speranze cheMo, in fondo, si rivelasse una femmina,e le pareva che questo occuparsi conpazienza di un bambino più piccolofosse un “sintomo” di femminilità.

Suo marito però le faceva osservareche Mo non si occupava affatto di Luigi.

Eppure Luigi era più piccolo diCecilia e poi era un bel bambinoricciuto e tutte le donne adulteimpazzivano per lui.

A Mo invece Luigi era antipatico.Poveretto, forse non era colpa sua, ma

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non poteva sopportare che le avessetutte vinte e che non tenesse in alcunconto i desideri e le esigenze degli altri.Perciò, le rare volte in cui glieloaffidavano, Mo era inflessibile conLuigi. Con la conseguenza che ilbambino non lo poteva soffrire e appenalo vedeva si metteva a strillare.

Così che finirono per tenerglielo allalarga, e il signor Nicola da questo fattode-duceva che Mo, dal carattere cosìdeciso, inflessibile e insofferente, eracertamente un maschio.

5Una domenica mattina, mentre Mo

faceva colazione con i signori Olivieri,si sentì sbattere violentemente il

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cancello del giardino. Poi da bassoarrivò un suono di risate, e la voce dellanonna che esclamava: — Anna! maquando imparerai a muo-verti con un po’di grazia?

Dal tono allegro però si capiva chela nonna era contenta della visita. Mocorse alla finestra per vedere la nuovaarrivata, ma questa era già entrata dentrocasa.

Si sentì sbattere un’altra porta, eancora uno scoppio di risa.

— Cosa avrà da ridere quellaragazza! — osservò con disappunto ilsignor Nicola. — Se si decidesse unabuona volta a fare la persona seria!Ormai ha 25 anni!

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— Eh, purtroppo è un gran doloreper la mamma — sospirò la signoraLucilla.

— Proprio Anna, che era la suapreferita.

— Cosa ha fatto Anna di cosìterribile? — chiese Mo pieno dicuriosità. Sospettava che Anna fosse unaladra, una assassina, o una personafrivola che non prendeva niente sulserio, una fannullona che non volevasaperne di lavorare. Non aveva mai fattodomande prima per paura di affrontareun argomento proibito, ma quel giornoerano stati loro a cominciare ildiscorso…

— Di terribile? Niente. Solo che è

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andata a vivere da sola e non si decide asposarsi.

Tutto qui? pensò Mo. Su Denebc’era una quantità di gente che viveva dasola e non si sposava. Nessuno si eramai preoccupato per questo.

— Vedi, non è solo quello — spiegòil signor Nicola. — È che Anna studiatroppo. E questo non va molto bene peruna donna. Più avanti se ne pentirà.

— Perché se ne pentirà?— Perché si accorgerà di aver

sprecato la giovinezza sui libri; siritroverà sola e nessun uomo vorrà piùsaperne di lei. Se invece di leggere tantosi desse da fare per trovare marito!

— Ma va ancora a scuola?

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— No. Lavora all’OsservatorioAstronomico e passa lì dentro tutto iltempo. Se esce, va a una conferenza, avedere un film impegnato, a parlare condei professori vecchi barbogi… Mai apasseggio, mai a ballare, mai dalparrucchiere… Vedrai com’è conciata.E finirà anche per rovinarsi gli occhi,sempre attaccata a quei telescopi.

Mo pensò che la risata che avevasentito non sembrava quella di unapersona scorbutica, ma qualche volta lerisate ingannano.

Anche l’aspetto — pensò un’oradopo — qualche volta inganna.

Anna si era annunciata in casaOlivieri con una lunga scampanellata ed

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ora stava seduta sul bordo del letto nellacamera di Mo. Indossava un paio dipantaloni e un maglione e non eratruccata. I suoi capelli non denunciavanola mano del parrucchiere e le sue scarpeavevano i tacchi bassi. Ma eraugualmente molto bella e simpatica, noncerto un tipo da far fuggire gli uomini.

Almeno, Mo la pensava così.E così era, perché con grande

sorpresa della signora Lucilla Anna liinformò che si sarebbe sposata entro ilmese.

— Grazie al cielo! — sospirò lasorella maggiore abbracciandola. —Chissà che gioia per la mamma!

La nonna infatti era raggiante: — La

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pecora pazza è tornata all’ovile —ripeteva abbracciando la figlia minore.

E la signora Brandi le disse: — Vediche era tutta una recita, prima! Avevianche tu una voglia matta di sposarti,solo che non trovavi abbastanzaintellettuale con-fessarlo.

— No, davvero! — rispose Anna.— Prima non ne avevo proprio nessunaintenzione. Forse perché non avevoconosciuto Marco. Vedrai com’è bello!

— Senti questa! — osservò burberala nonna. — Un uomo non deve esserebello. Non è mica un soprammobile! Tupiuttosto, se ti occupassi un po’ di piùdel tuo aspetto, faresti meglio.Comunque mi auguro che tuo marito sia

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una persona seria e un buon lavoratore.— Temo che non sia né l’uno né

l’altro — sospirò ridendo Anna. —Come può essere serio uno che dimestiere racconta storie per far ridere lagente?

Risultò che questo Marco faceva loscrittore, e precisamente lo scrittore dilibri umoristici. In più componevacanzoni. La nonna strinse le labbradisapprovando.

— Ma dove te lo sei andata acercare?

Quando però sentì che con i libri ele canzoni Marco guadagnava come unvice direttore di banca, tornò subitoallegra: — Quando ce lo farai

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conoscere?— Più tardi. Passa a prendermi alle

5 e così lo vedrete.Le più curiose di conoscere il futuro

cognato erano le signore Brandi eOlivieri.

Non parlarono d’altro per tutto ilgiorno.

Anna invece, una volta fornite tuttele notizie che riteneva necessarie, se neandò in garage a chiacchierare con inipoti. Volle sapere tutto di Mo, equando si arrivò alla faccenda del sessosi mise a ridere divertita. Poi si feceseria: — Non è facile per te, vero Mo?È già così dura per noi donne… Ma nonessere NEMMENO una donna de-ve

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essere terribile, vero?— Mo se la cava benissimo — lo

difese subito Caterina.— Ed è in gamba quanto un maschio

— puntualizzò Andrea.— Non ne dubito — rispose la zia,

— comunque in fondo non è un fattomolto importante. — E con questol’argomento fu chiuso.

Parlarono invece moltissimo diDeneb e del viaggio interstellare di Mo.Anna era uno dei pochi terrestri che siintendesse un poco di rotte galattiche efece delle domande intelligenti.

Era appassionata del suo lavoro diastronomia e aveva una idea fissa.Voleva riuscire a filmare la coda di una

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certa stella cometa, per studiarne alrallentatore il movimento e lacomposizione.

— Ci riuscirò, vedrete — dicevacon serietà, come se parlasse con degliadulti,

— dovessi fare il giro del mondo inautostop per raggiungere l’osservatoriodi Monte Palomar.

Persino Andrea pendeva dalle suelabbra.

Alle cinque in punto, spingendo ilcancello con cautela, entrò in giardino ilfi-danzato atteso con tanta curiosità. Eradavvero un uomo molto bello, pensòMo, abbastanza bello perché una donnasi decidesse a sposarsi anche se prima

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non ne aveva avuto intenzione.Marco aveva gli occhi luminosi e le

guance lisce, una bocca infantile sempresorridente e la voce un po’ bassa, comese cantasse sottovoce. Era alto e snello esi muoveva leggero, con grazia, come unballerino.

— Che tipo strano! — commentòsottovoce la nonna stringendo le labbra.

— Cosa ci si poteva aspettare dauno che scrive canzoni! — disse lasignora Lucilla. Anna invece nonnascondeva di ammirarlo moltissimo: —Non avrei mai pensato che una similefortuna toccasse a me — continuava aripetere tenendolo per un braccio.

Alla fine anche la madre e le sorelle

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si intenerirono e congedarono i duefidanza-ti con un monte di auguri.

— Sembra un buon ragazzo —commentò la signora Lucilla. — Infondo deve essere intelligente, e poi haivisto com’è gentile?

— Troppo gentile — disse la nonna.— Non è certo il tipo di marito cheavrei scelto per mia figlia. Ma se a leipiace!… Comunque è sempre meglio diquei dannati telescopi!

— Vedrai che adesso, colmatrimonio, lascerà perderel’Osservatorio e i libri! —

concluse la signora Brandi.

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6Mancava ormai poco alla data che

avrebbe definitivamente dissipato ilGrande Dubbio, quando arrivò in casaOlivieri un biglietto del dottor Gil.

Quando trovò nella cassetta dellaposta la busta con l’intestazione delLaboratorio di Ricerche Denebiane, lasignora Lucilla fu presa da un fortebatticuore. Pensava che contenesse larisposta all’esame del sangue di Mo.

Quale non fu la sua delusione nelleggere le poche righe contenute nelbiglietto!

Il dottor Vincenzo Gil informava conrammarico che purtroppo il professorMe Slow non sarebbe rientrato alla data

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prevista. Infatti durante le sue vacanzenell’Africa nera aveva trovato una tribùdi pigmei che viveva ancora allo stadiodell’età della pietra o quasi. Poiché erainteressatissimo a quel tipo di civiltàper i suoi studi an-tropologici, avevadeciso di fermarsi con loro per studiarnele usanze. Aveva comuni-cato alLaboratorio che non sapeva quantosarebbe durata la sua ricerca e chequindi lo considerassero in trasferta perun tempo indefinito. Naturalmente nonpoteva essere raggiunto né col telefononé col telegrafo. Bisognava aspettareche fosse lui a farsi vivo. Perciò, a menoche i signori Olivieri non volesseropartire anche loro per l’Africa e mettersi

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alla sua ricerca, dovevano rassegnarsi aignorare chissà ancora per quanto tempodi che sesso fosse Mo.

Il signor Nicola era deluso efuribondo; aveva la sensazione di esserestato preso in giro. Ma una telefonataall’I.R.T.D. confermò che effettivamenteil professor Me Slow non era rientratoalla data prevista e che aveva richiestoun prolungamento indefinito dellatrasferta.

Nessun altro scienziato era in gradodi effettuare quell’esame. Non restavaaltro da fare che rassegnarsi.

Da principio non dissero niente aMo, che quando era arrivato il bigliettoera ospite della zia Anna per il fine

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settimana. Temevano di dargli unadelusione troppo grande, ma alloscadere del mese furono costretti ainformarlo.

Mo però non parve deluso opreoccupato. Solo un po’ seccato didover continuare ancora a lungo quella“commedia”.

— Non ci si potrebbe regolare inqualche altro modo? — chiese quellanotte alla signora Lucilla prima diaddormentarsi. — Non potrei finalmenteessere me stesso e finirla una volta pertutte di fingere di essere questo oquello?

— Hai ragione, Mo — esclamò lasua madre adottiva in tono risoluto. — È

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ora che la smettiamo di recitare tuttiquanti! Se non ci viene in aiuto lascienza denebiana, vuol dire che cirivolgeremo a quella terrestre. Tu dormitranquillo che ci penso io!

Più tardi affrontò con decisionel’argomento con suo marito: — Lasettimana prossima, — disse — portoMo dallo psicologo. Me ne hannoconsigliato uno bravissimo: è quello chetiene la rubrica “Conoscere se stessi”sui rotocalchi delle edizioni Slumper.Gli ho già telefonato e ho fissato unappuntamento per lunedì prossimo.

Sottoporrà Mo a un certo numero ditest e in base alle sue reazioni scopriràse è un maschio oppure una bambina.

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— Lo potrà dimostrare consicurezza? — chiese il signor Nicola.

— Con assoluta sicurezza. Lapsicologia è una scienza come tutte lealtre. Se eri disposto a credere a unesame cromosomico, perché nondovresti credere a un esamepsicologico?…

— Hai ragione. Mi dispiace soloche questa idea non ti sia venuta inmente prima.

Anna non era dello stesso parere.Quel giorno era andata a pranzo da suamadre e il pomeriggio era salita asalutare la sorella. — Secondo me quelprofessor Dotto non è un veroscienziato. Io non mi fiderei troppo —

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disse, quando fu informata della nuovainiziativa della signora Lucilla.

— Ma se scrive da 12 anni suigiornali della Slumper!

— Infatti. Uno studioso serio noninterpreta la personalità di una personada un solo sogno raccontato per lettera.Sognare un cavallo può significare unacosa molto diversa per uno che è andatosempre in automobile e per uno chedirige un maneggio.

Ma lui se ne infischia di saperequesti dettagli. Per lui il cavallosignifica sempre la stessa cosa… E poi,questo fatto di riconoscere il sesso dalcarattere mi sembra una gran fesseria!

— Tu dici così per puro spirito di

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contraddizione. Perché non hai maisopportato i settimanali di Slumper. Nonsono abbastanza intellettuali per te…

— Non è che non sono intellettuali; èche non ti danno delle informazioniesatte.

Comunque fate come vi pare: nonsono affari miei. Solo mi pare chedovreste chiedere l’autorizzazione deigenitori di Mo.

La signora Lucilla non ci pensavaneppure. Quei denebiani certo nonsapevano neppure cos’era la psicologia!E poi pensava che avevano perso ormaigià troppo tempo per permettersi diaspettare una risposta da Deneb.

Appena Anna se ne fu andata,

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ricevettero la visita della signoraBrandi. — C’è la mamma tuttascombussolata! — annunziò consoddisfazione.

Più che scombussolata, la nonna eraindignata contro Marco e soprattuttocontro Anna che “gliel’aveva portato incasa”.

Era successo questo. A tavola Annaaveva tirato fuori una fotografia fattaqualche giorno prima a una festamascherata, dove, raccontava, lei eMarco si erano divertiti moltissimo.

Nella foto c’era Anna vestita daufficiale prussiano, con un bel paio dibaffi di-segnati col carboncino e unadivisa piena di decorazioni. Stava

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benissimo, e la nonna e la mamma leavevano fatto un sacco di complimenti.

— E Marco dov’è? — aveva chiestola signora Brandi non riuscendo ariconoscere il futuro cognato nel gruppodelle maschere. — Eccolo! Guardacome stava be-ne! — aveva esclamatoAnna indicando sulla fotografia unacastellana medioevale con un copricaporicoperto di perle.

Questo fatto, che Marco si fossemascherato da donna, aveva mandato inbestia la nonna. — Che vergogna, chevergogna — ripeteva — con che uomo tisei andata a mettere!

Anna rideva, ma tutta la famigliaBrandi era d’accordo con la nonna.

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— Ma scusa — chiese Mo più tardi,— non ti sei arrabbiata perché Anna si èmascherata da uomo. E nell’album dellefoto ne ho viste tante della mamma edelle zie da piccole, mascherate dapirati, da marajà, da arlecchino…

— Non ne avrai certo viste di tuopadre o di tuo zio mascherati da fata oda da-mina dell’ottocento…

Infatti non ne aveva viste. Anche ilpadre e lo zio da piccoli a carnevale sierano vestiti da pirata, marajà earlecchino. Mo però continuava a noncapire.

— Se non hai trovato niente daridire perché Anna si è vestita daufficiale prussiano, perché trovi

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indecente che Marco si sia vestito dacastellana?

— Vedi, Mo — spiegò la signoraBrandi, — non c’è niente di male cheuna bambina o una ragazza ogni tantodesideri di travestirsi da uomo. Lesembra di essere più forte, più decisa, epoi è un gioco… Ma un maschio chedesidera travestirsi da donna non ènormale. È degradante… Ognunodovrebbe desiderare di sembrare megliodi quello che è, non di peggiorare…

— Perché, essere una donna vuoldire essere peggio?

— Cosa c’entra? È che è una cosadiversa, ecco.

Mo, a dire la verità non aveva capito

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bene la differenza. Ma aveva capito cheda quel giorno la stima per Marco infamiglia era molto diminuita.

7Qualche giorno dopo la signora

Lucilla disse a Mo che lunedì nonl’avrebbe mandato a scuola, ma loavrebbe portato da un dottore persottoporlo a un esame so-stitutivo diquello che il Laboratorio di RicercheDenebiane non era in grado di fare.

— Tu sai — spiegò — che lapresenza di certi elementi nel tuo sangueci avrebbe detto a che sesso appartieni. Ilaboratori terrestri non sono in grado diidentificare questi elementi. Ma i nostripsicologi sono in grado di riconoscerli

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nella tua psiche.Cioè di identificare altri elementi

caratteristici della psicologia femminileoppure di quella maschile. L’esame saràdiverso, ma il risultato sarà uguale.

A Mo il discorso non pareva troppoconvincente. A scuola, su Deneb, avevastudiato che ogni individuo differiscedall’altro a seconda della educazionericevuta, delle abitudini, delle qualitàfisiche e mentali ereditate dai genitori,dell’ambiente in cui vive… e chemaschi e femmine differiscono soltantonell’apparato riproduttore, cioè inquegli organi che servono a far nascerenuovi bambini.

Non capiva cosa c’entrassero col

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sesso queste differenze psichiche di cuiparlava la signora Lucilla.

Comunque era disposto a concederlela sua fiducia, pur di farla finita. Avevaanche un po’ di paura perché capiva chenon solo l’esito dell’esame gli avrebbeassegna-to una “parte” fissa, un ruolodefinito a cui uniformarsi per tutta ladurata del suo soggiorno sulla Terra, masi rendeva conto in modo ancora non deltutto chiaro, che quell’esame implicavaanche in un certo senso, un giudizio divalore.

Infatti sospettava che uno dei due“ruoli” possibili fosse ritenuto daiterrestri migliore dell’altro. Così che sefosse risultato che lui, Mo, apparteneva

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invece al “sesso di grado inferiore” leaspettative dei suoi genitori terrestri e ditutto il parentado sarebbero andatedeluse. Anche quelle della signoraLucilla, nonostante ripetesse semprequanto le sarebbe piaciuta una figliafemmina.

E naturalmente, come ogni ragazzinodella sua età, Mo desiderava con tutte lesue forze l’approvazione e il consensodegli adulti che gli stavano attorno.

Per fortuna il lunedì era un giornodispari. Mo quella mattina mise unagrande cura a vestirsi e a pettinarsi damaschio, nella inconfessata speranza diinfluenzare almeno un poco conl’apparenza lo psicologo che lo avrebbe

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esaminato e giudicato.Anche la signora Lucilla era molto

nervosa. Si rendeva conto di aver agitomale a non informare i genitori di Moma per lei il dubbio ormai era diventatointollerabile.

Si sforzava di essere di mentalitàaperta, come le aveva raccomandatoAnna, ma la vita quotidiana presentavauna enorme quantità di piccoli problemi,insignificanti forse se presi uno per uno,ma la cui somma minacciava disconvolgere l’equilibrio della suafamiglia.

Fu perciò con un senso diliberazione che si accomodò sullapoltrona nello studio dell’illustre

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psicologo.Il professor Sofronio Dotto infatti

per rincuorarla aveva appena ripetutoche, dall’esame che stava percominciare, sarebbe derivata per Mouna risposta chiara e ine-quivocabile.

Mo aspettava in piedi accanto allaporta, molto più imbarazzato di quantonon lo fosse col dottor Gil. Questoambulatorio non aveva apparecchiaturecromate, né pan-nelli con bottoni e lucielettroniche. Sembrava piuttosto unsalotto all’antica, con pol-trone, quadri,e un basso divano di pelle.

Avrebbe dovuto essere un ambienteintimo e confortevole, ma chissà perchéa Mo dava la sensazione di una trappola.

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Dopo i primi convenevoli (Mo capìbenissimo che la signora Lucilla e ilprofessore avevano già parlato a lungodi lui per telefono), ebbe inizio l’esame.

Ma ascoltiamone il resoconto che lostesso Mo ne dette quella sera in unalettera a suo fratello (o sorella?) Tar.

Car Tar,nella mia ultima lettera ti avevo

scritto che avrei dovuto fare un esamepsicologico. Be’, non potresti maiimmaginare come si svolgono questiesami sulla Terra!

Tanto per cominciare il professoreci ha salutato, me e la signora Olivieri,e ci ha fatto sedere. Dopo di che peralmeno cinque minuti non si è occupato

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più di noi.Si è messo a guardare con aria

assorta fuori dalla finestragiocherellando con la penna senza direuna parola. Io già stavo pensando cheera un bel maleducato a la-sciarci lìcome due cretini, quando,all’improvviso, ha preso unsoprammobile dalla scrivania e me l’hatirato addosso.

“Altro che maleducato! Questo è unpazzo furioso!” ho pensato, e mi sonoscan-sat in tempo. Naturalmente ilsoprammobile — era un cavallo alatodi porcellana —

ha colpito la gamba del divano ed èandato in mille pezzi. Quello mi ha

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guardato furioso, poi si è trattenuto esenza dire niente ha scritto qualcosa suuna scheda che aveva davanti.

La signora Lucilla, che era stupitaquasi quanto me, gli ha chiesto perchélo avesse fatto, e lui si è degnato dispiegare: “È un’antica provamedioevale, di cui però si riconosceancora la validità scientifica. Persmascherare le donzelle travestite dacavalieri e viceversa, si aspettava chefossero seduti e poi si lanciava loro unoggetto in grembo. Le donne aprivanole ginocchia per parare la sottana adaccoglierlo, e l’abitudine era tantoradicata che lo facevano anche seindossavano i pantaloni. Gli uomini le

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accostavano, per afferrare l’oggettostringendolo fra le gambe. Molti impo-stori vennero smascherati in questomodo.”

E così, dopo aver cercato dicolpirmi a tradimento con un cavalloalato, mi da-va anche dell’impostore…

Naturalmente la signora ha volutosapere cosa aveva dimostrato la miareazione.

“Che è un maleducato — harisposto il professore — e che non hamolto rispetto per gli oggetti deglialtri: Comunque l’ho classificata come«reazione non prevista».”

Poi ha continuato la visita, ma nonmi ha fatto più dei test a tradimento.

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Forse era molto affezionato agli altrisoprammobili dello studio e non volevacorrere il rischio di fracassare tutto.Mi ha fatto fare una quantità digiochetti strani. Se non fossi stat un po’preoccupat, mi sarei anche divertit.

Non capisco però cosa c’entrasserocol fatto di essere maschio o femmina.

Senti un po’: mi ha mostratodiverse strutture di alluminio a formadi cerchio e di triangolo, e mi ha dettodi sceglierne una. Erano delle striscecosì sottili, che ho preso il cerchio el’ho piegato a forma di rettangolo. Losai anche tu che è la mia figurapreferita, ma lui si è arrabbiato, forseperché temeva che gli rovinassi le

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attrez-zature. Poi mi ha dato dellecasette di legno e mi ha detto diformare un villaggio.

Naturalmente le ho messe in pilauna sull’altra. Non gli andava beneneanche questa: secondo lui le dovevodisporre sul piano del tavolo sparse,oppure raggruppate. Avevo un bellospiegargli che a Deneb le abitazionisono sovrapposte perché la forza digravità funziona in modo diverso!

Mi ha ordinato di guardarmi leunghie delle mani, immediatamente,senza pensarci. Ho guardato l’unghiadel pollice destro perché la mattina mel’ero pestata con la portieradell’automobile. In fondo poi le unghie

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sono tutte uguali e guardarne una ècome guardarle tutte. Il professore si èmesso a strillare: “Dovevi guardarle ovol-tando verso di te i pugni chiusi, ostendendo i palmi aperti rivolti versoterra! Mi scombussoli tutta la schedameccanografica con queste reazioniidiote!”

Che fossero idiote, lo diceva lui. Ame sembravano logiche e gliel’hodetto. Che ci pensasse lui ainterpretarle. In fondo era luil’esperto, non io.

Poi mi ha mostrato una specie ditrottola a spicchi di tutti i colori, e miha chiesto quale colore preferivo. L’hofatta girare per ottenere il bianco che è

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il mio colore preferito. Neanche questaandava bene! Vuoi sapere quali altritest mi ha fatto?

Disporre dei fiori in un vaso,aggiustare una lampada rotta,completare con una frase dei fumettilasciati in bianco, interpretare ilsignificato di alcune macchie, misuraread occhio il peso e la lunghezza dioggetti diversi, sfogliare unamargherita, mordere una pera tenendole mani allacciate dietro la schiena,dividere a mente per 3,14 un numero disette cifre, vestire una bambola,piegare una chiave di metallo tenero,fischiare con due dita in bocca,toccarmi il calcagno sinistro col

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gomito del braccio destro passandodietro alla schiena… e tanti altri chenon mi basterebbe la carta a scriverli.

Molte di queste prove erano giàstate pubblicate sui giornali e perciò lasignora Olivieri le conosceva anche leie sapeva la risposta giusta, manaturalmente non poteva suggerirmela.Però si accorgeva che per lo più la miareazione non andava bene e si vedevache era molto delusa.

Io non volevo farle fare una bruttafigura, ma non sono riuscit a capirecosa volessero da me.

A ogni test il professore scrivevaqualcosa sulla scheda. Qualche voltasembrava contento e diceva tra sé “…

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come volevasi dimostrare…” Subitodopo però faceva una faccia chechiunque avrebbe capito che nonriusciva a raccapezzarsi. Perconcludere, car Tar, temo che la nostrapsicologia denebiana sia troppocomplicata per i terrestri, anche sesono professori. Ti riscriverò al piùpresto, appena avrò saputo l’esitodell’esame. … Pensa che fra qualchegiorno avrai un fratello o una sorella!Te lo saresti mai aspettato?

Come stanno i miei drogopildi?Hanno nostalgia di me? lo ne ho tantadi tutti voi.

Bacioni, Mo8

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Effettivamente alla fine dell’esame ilprofessor Dotto aveva contemplato lascheda con aria desolata e si eraabbandonato contro lo schienale dellapoltrona sospi-rando:

— È meno semplice di quantopensassi!

Poi mostrò la scheda alla signoraLucilla. Era un cartoncino diviso adestra in tre colonne. A sinistra c’eral’elenco dei test. Una colonna erasormontata dalla lettera M

e lì andavano segnate con unacrocetta le “risposte tipiche dellapsicologia maschile”.

L’altra colonna era sormontata dallalettera F, e vi andavano segnate le

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risposte che rivelavano una “psicologiafemminile”.

La terza colonna portava in cima lalettera I, che significava “imprevisto” evi si annotavano tutte le risposte che nonerano ancora state codificate comecaratteristiche di uno dei due sessi.

La maggior quantità di crocette sottola lettera M significava che il soggettoesaminato doveva ritenersi di sessomaschile, mentre se le crocette erano piùnumerose sotto la F, il paziente risultavaessere femmina. La quantità dellereazioni “impreviste” normalmente nondoveva superare il 2% delle altre.

Ma la scheda di Mo non rispettavain alcun modo queste percentuali. Infatti

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su 237 test (tanti erano quelli effettuatinel corso dell’esame), dieci avevanoavuto risposte di tipo M, altrettantirisposte di tipo F, e ben 217 avevanoottenuto “reazioni non previste”.

C’era da mettersi le mani fra icapelli! Il professore però era calvo.Davanti allo sguardo deluso dellasignora Lucilla lo psicologo raddrizzòcon decisione la schiena ed esclamò:

— Nulla è impossibile alla scienza!Anzi, forse il caso di Mo servirà dastimolo a nuovi e affascinanti traguardi!Sono sicuro che a un esame piùapprofondito questa scheda non solo cirivelerà il sesso del giovane pazientestraniero, ma allargherà la nostra

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conoscenza permettendoci di separare inmodo ancora più chiaro e definito lapersonalità maschile da quellafemminile!

Poi congedò Mo e la signora Lucillacon la promessa che per il pomeriggiodell’indomani avrebbe fornito loro irisultati dell’analisi.

Quel pomeriggio, mentre i ragazzierano soli nella parte dello scantinatoadibita a stanza dei giochi, Caterinapropose un nuovo gioco. Si trattava ditrascrivere su un taccuino tutte le provea cui Mo era stato sottoposto dallopsicologo e di ripeterle a tutti iconoscenti come un giochetto di società,senza dire di cosa si trattava.

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I gemelli possedevano alcunimanuali di giochi da fare in tutte leoccasioni: al-l’aperto, in caso dipioggia, al buio o su un’auto inmovimento. Ma nessuna di questeraccolte conteneva 237 giochi cosìinteressanti come quelli del professorDotto.

I tre ragazzi si divertironomoltissimo sottoponendo ai test i duefratelli più piccoli, il portalettere cheera venuto a portare una raccomandata,la donna delle pulizie, persino lanonna… Evidentemente però né Mo né isuoi due cugini terrestri erano dei buonipsicologi e non sapevano eseguire allaperfezione i test.

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Infatti nessuno degli uominisottoposti al gioco dette risposte tuttecatalogabili sotto la M e nessuna donnafornì risposte tutte di tipo F. Inoltre ilnumero delle reazioni non previste,anche se non enorme come nella schedadi Mo, era sempre molto superiore al2%, come sarebbe stato normalesecondo il professor Dotto.

La nonna per esempio ebbe 15reazioni di tipo F, 52 reazioni imprevistee ben 170 reazioni di tipo M. Perciò inipoti, riferendosi anche al fatto che eranoiosa con le sue prediche e che quandoli baciava li pungeva, lasoprannominarono segretamente

“Il generale barbone”.

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Quanto al professor Dotto, non passòun pomeriggio altrettanto divertente. Lereazioni di Mo lo avevano veramentesconcertato. Mai, in tutta la sua carrieragli era capitato un paziente tanto pococomprensibile!

Neppure la scheda della donnabarbuta lo aveva messo tanto inimbarazzo Dopo una notte di dubbi edesitazioni, si decise a vincere l’orgoglioprofessionale e chiese un consulto aisuoi tre colleghi più famosi di tutta lanazione. Colleghi-rivali, perché ognunodi loro era seguace di un “maestro”diverso e diversissime erano lerispettive teorie. Ma davanti a unascheda interessante come quella di Mo e

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davanti al caso del primo denebianoesaminato sotto quel profilo, ognirivalità cadde e l’interesse comune perla scienza affratellò i quattro studiosidella psiche.

I quali, dopo una intera mattinata dicontrolli al computer, consultazioni disacri testi, telefonate intercontinentali,litigi e riconciliazioni , disputealtamente scientifiche, confermeesaltanti delle proprie teorie e strette dimano trionfali, compilarono il seguentereferto che entro le 24 ore promesse furecapitato alla famiglia Olivieri:SEBBENE AFFETTO DAPERICOLOSA SENSIBILITÀ, DAECCESSIVO SPIRITO DI

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COLLABORAZIONE, DAINCONSUETE DISPONIBILITÀ

AFFETTIVE E DA UNA STRANAINTUIZIONE,

PER LO SPIRITO DI INIZIATIVA,LA CHIAREZZA LOGICA, LA FORZAMORALE, LA AGGRESSIVITÀ, LAFANTASIA CREATRICE,L’ORIGINALITÀ, L’INDIPENDENZA,L’INTOLLERANZA DI SCHEMIPRECOSTITUI-TI, IL SENSOESTETICO SVILUPPATO, LAFIEREZZA D’ANIMO, IL PAZIENTEESAMINATO DEBBESICONSIDERARE APPAR-TENENTEAL SESSO MASCHILE.

Infatti dagli sforzi riuniti dei quattro

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scienziati era risultato che tutte lerisposte che Dotto aveva catalogatosotto la lettera I, dovevano invece per laloro “ORIGINALITÀ EINTOLLERANZA CREATIVA DISCHEMI IMPOSTI” (qualitàtipicamente maschili) venir spostatesotto la lettera M.

Con questo apporto, le reazioni chedenotavano una psicologia di tipomaschile ottenevano una vittoriaschiacciante su quelle di tipo femminile.Mo era un maschio!

L’entusiasmo e i festeggiamenti cheseguirono l’arrivo di questo responso incasa Olivieri non c’è bisogno che ve lidescriva io. Li potete immaginare

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benissimo da soli.III Evviva, è nato un maschio1Un mese dopo gli avvenimenti

descritti nel capitolo precedente, la vitadel ragazzino Mo era completamentecambiata.

Le cose ora sembrava che andasserocosì lisce da fargli quasi dimenticare ledifficoltà incontrate nel suo primoperiodo sulla Terra. Però ogni tanto Morifletteva su quanto gli era capitato ecercava di trarne delle conclusioni, manon era facile.

Infatti mai come in questo periodo incui tutti sembravano capirlo ecircondarlo di approvazione, Mo

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trovava i terrestri strani eincomprensibili nelle loro azioniquotidiane.

Prima preoccupazione della signoraLucilla dopo i festeggiamenti per la“masco-linità” di Mo, era stata quella direstituire a Caterina tutti gli abiti eaccessori presi in prestito per il“periodo del dubbio”.

Operazione che aveva svolto conevidente sollievo, mentre invece a Modispiaceva disfarsi di alcuni abiticolorati, di una camicia a quadri bianchie rosa, della corda per saltare, dellabusta di nastri e fermagli per capelli!

I capelli! Questo era stato un altrobel problema.

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Ora che Mo era definitivamente esenza dubbio un ragazzo, non potevaandarsene in giro con i capelli scioltisulle spalle, tanto più che la frangiadavanti — diventata lunga e nontrattenuta da nessuna forcina — gliimpediva di vederci bene e rischiava difargli venire gli occhi storti.

Bisognava proprio tagliarli. Mapoiché non ci riuscirono neppure con leforbici o il rasoio più affilati, dovetterochiedere istruzioni all’I.R.T.D.

Gli esperti risposero che se i capellidenebiani non potevano essere tagliati,potevano però essere bruciati.

Così il povero Mo fu portato da unparrucchiere di lusso del centro, il quale

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con l’aiuto di una piccola fiamma gliaccorciò i capelli ciocca per ciocca,fino a ridurgli la testa non esattamentecome quella di Andrea (perché acandela il taglio “marines” che tantopiaceva al signor Olivieri non si potevafare: era pericoloso avvicinarsi troppoalla cute con la fiamma), ma almenocome quella del riccioluto Luigi. Oanche, pensava Mo guardandosisconsolato allo specchio, come quella diun can barbone mal tosato.

Già era di pessimo umore a causadei capelli, ma il colpo di grazia glielodette la signora Lucilla, quel giorno, almomento di mandarlo a letto.

Come d’abitudine, indossato il

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pigiama, Mo andò a prendere la suabambola di pelliccia per portarselaaccanto sul cuscino. Ma quella seranella camera da letto (di cui per fortunanon avevano dovuto sostituirel’arredamento con uno più frivolo efemminile) della bambola non c’eraneanche l’ombra.

Mo cercò e cercò, aprendo i cassetti,ficcando la testa sotto il letto,arrampicandosi allo scaffale perguardare in cima all’armadio, fino a chela signora Lucilla si af-facciò alla portae gli chiese:

— Cosa cerchi, che sembri un’animain pena?

— La mia bambola di pelliccia —

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rispose Mo dall’alto dell’armadio.— Oh, quella! — rispose la signora

Lucilla — l’ho regalata a Cecilia. Lepiaceva tanto, poverina!…

— Come ti sei permessa di regalarela mia bambola! — gridò Mo incredulo.

— Credevo che tu fossi affezionato aCecilia… — lo rimproverò la signora.— E

poi non era il caso che continuassi agiocare con le bambole come unafemminuccia!

Be’, a farla breve, non ci credereste,ma la signora Lucilla non riusciva aconvincersi di aver fatto un’azione pococorretta e anche crudele dando via labambola di Mo senza il suo permesso.

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Insisteva che i maschi non devonogiocare con le bambole, che era unavergogna che Mo si disperasse tanto.Prometteva che gli avrebbe compratoqualsiasi giocattolo avesse chiesto,purché adatto a un ragazzo, ma che erameglio per tutti (e sottolineava queltutti), che Mo non si facesse più vederein giro con una bambola in mano. Mo,dal canto suo, cosa volete, a quellabambola era affezionato. L’aveva fin daquando era piccolo (era un regalo di suopadre per il suo dodicesimocompleanno); l’aveva portata con sé daDeneb, era abituato a dormirciabbracciato… Non voleva a nessuncosto rinunciarvi per un incomprensibile

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pregiudizio terrestre.E in quel momento malediceva in

cuor suo il responso “favorevole” delprofessor Dotto, che lo aveva“promosso” maschio.

Diremo subito che qualche giornopiù avanti Mo riuscì a corrompereCecilia con una fionda, un copricapo dapellerossa e quattro biglie di vetro, e sifece ridare indietro la bambola. Lanascose in fondo al cassetto più bassodella cassettiera e la tirò fuori pergiocarci solo quando era assolutamentesicuro che nessuno potesse vederlo.

Ma quella sera era talmentedispiaciuto e arrabbiato con la signoraLucilla, che rifiutò di scendere

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dall’armadio per andare a letto, piansefino a farsi gonfiare gli occhi e disseanche due o tre parolacce in linguadenebiana. Ma nessuno poteva scanda-lizzarsene perché nessuno era in gradodi capire quella lingua. E se l’avessesentito il dottor Gil, senza dubbio loavrebbe approvato.

Ma anche senza capire le parolacce,la signora Lucilla uscì dalla stanzatirando su le lacrime con il naso; sbattéla porta con stizza e non volle cenare.

Mo stava da circa un’orasull’armadio, intirizzito dal freddo e congli arti intorpi-diti, ma decisissimo anon scendere se non gli avesserorestituito il suo giocattolo, quando la

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porta della camera si riaprì dolcementeed entrò il signor Nicola.

Non accese neppure la luce, ma andòa sedersi sul letto e si mise a parlare aMo con voce calma e affettuosa.

— Sei un ragazzo di carattere, Mo— gli disse — e in un certo sensoammiro la tua fermezza, anche se per unabambola non è il caso di fare tantestorie… Un maschio poi, e piangere aquel modo come una mocciosa per unadecisione della mamma che anche a mepare ragionevolissima! Ma di questo nonvoglio discutere. Tutti i ragazzi hanno leloro stravaganze e compito dei genitori èproprio quello di aiutarli a correggersi,ad essere ragionevoli e equilibrati, a

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non fare tragedie per nulla…Non interverrò in alcun modo con la

forza, stai tranquillo. Ma vorreichiederti un favore speciale. Non farearrabbiare la mamma in questo periodo,Mo. Te lo voleva-mo dire più avanti, macon questo capriccio ci hai forzato lamano.

Il tuo arrivo evidentemente ci haportato fortuna, perché il dottore ci haconfer-mato che da un mese la mammaaspetta un bambino. Ormai avevamoperso ogni speranza, e anche per questoavevamo deciso di invitarti a casanostra. Stai tranquillo pe-rò che noncambierà niente nei tuoi confronti, anzi!

In un certo senso ti siamo

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riconoscenti, e una famiglia con duebambini è la cosa migliore che unacoppia possa desiderare. Però devipensare che la mamma non è più tantogiovane e che aspettare il bambino perlei è molto faticoso. Non provocarla,non farla arrabbiare, non entrare inpolemica con lei… Se hai dei problemivieni da me, ma per adesso lasciaperdere, ti prego, Mo! Siamo così felicidi averti a casa con noi!

Siamo così felici, da quando seiarrivato tu!

Cosa poteva fare Mo? Non aveva uncuore di pietra, e sua madre prima dellapartenza gli aveva tanto raccomandato dinon creare problemi e di non dare fastidi

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agli ospiti terrestri…Scese al buio dall’armadio e andò a

infilarsi in silenzio nel letto. Il signorNicola lo baciò e gli rincalzò le coperte.

Più tardi entrò in punta di piedi lasignora Lucilla, gli sfiorò la testa conuna carezza e gli infilò una busta sotto ilcuscino.

Appena fu uscita, Mo accese la luceper guardare la busta: conteneva unaban-conota e un biglietto “Per comprareil più bel giocattolo che un ragazzopossa desiderare. La tua mamma”.

2Col passare del tempo Mo si abituò

benissimo non solo a chiamare i signoriOlivieri ‘papà’ e ‘mamma’, ma anche a

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vivere come un vero ragazzo terrestre.Aveva subito smesso di andare a

giorni alterni alla scuola di Caterina.Ormai la sua classe era definitivamentequella di Andrea. Studiavano, facevanoginnastica, giocavano, litigavano,facevano delle bande per andare apescare o per darsele di santa ragione…Mo era più forte di tutti gli altri ragazziterrestri, forse sempre per effetto dellagravità, ma non ne approfittava.

Anzi in fondo non gli piacevaparticolarmente fare la lotta, se nonveniva provocato in modo grave. Perquesto non era riuscito a raccogliereattorno a sé molti ‘fedeli’, come l’altroforzuto della classe, che era assai

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ammirato e aveva un fitto seguito diestimatori.

Mo era tollerato, guardato con un po’di curiosità, ma in definitiva accettatoco-me uno né meglio né peggio deglialtri compagni, con molto disappunto diAndrea, cui sarebbe piaciuto moltissimopotersi vantare di un “cugino” denebianovaloroso e invincibile, una specie diSuperman casalingo.

Mo invece faceva di tutto per nonmettersi in vista e per mimetizzarsi fragli altri ragazzi.

Nonostante questo, Caterina ne eramolto fiera, anche se ormai lofrequentava molto meno.

La separazione era stata un po’ triste.

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Caterina, senza aspettare che qualcunoglielo ordinasse, aveva riportato in casadal giardino i giocattoli con cui lei e Monei giorni pari si erano divertite dopocena.

Era tornata in possesso dei suoi abitie delle sue scarpe, aveva smesso dichiamare Mo a giocare sotto l’acaciaverso sera.

Lo stava ad ascoltare ammirataquando lui raccontava storie denebiane,o anche le avventure quotidiane vissutecon Andrea fuori casa, ma non siproponeva più come compagna…

A Mo questo pareva strano. Nonaveva mai visto su Deneb un bambinocomportarsi con tanta rassegnazione…

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Per fortuna non era cambiatol’atteggiamento di Cecilia.

Anzi, più che mai fiduciosa Ceciliametteva la sua mano in quella di Mo epretendeva di uscire con lui, diandarsene in giro con lui, di giocarciinsieme, di farsi insegnare la lotta…Madre, nonna, zia la sgridavano, lefacevano prediche, la mettevano incastigo, ma Mo se la prendeva inbraccio di nascosto e andavano insiemeper le strade a guardare tutto quello chesuccedeva nel mondo.

Mo aveva molta stima di Cecilia,perché sebbene così piccola e“pettegola” co-me affermava Andrea,non aveva detto a nessuno di avergli

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restituito la bambola e conservava ilsegreto con grande discrezione.

Nel frattempo c’era stato ilmatrimonio di Anna.

Dopo aver visto sull’album difamiglia le foto delle nozze degliOlivieri e di quelle dei Brandi, Moaveva tanto sperato di poter assistere aun “vero” matrimonio terrestre, confiori, abito bianco, musiche, invitati ericevimento…

Anche la nonna ci aveva contato, maAnna come al solito aveva deluso lafamiglia sposandosi di mattina prestocon gli abiti di tutti i giorni, einformando amici e parenti a nozzeavvenute.

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Nelle foto del matrimonio, sebbenenon fossero più giovanissimi, lei eMarco sembravano due ragazzi a unascampagnata.

— Lo so, io, chi porterà i pantaloniin quella famiglia — diceva la nonnacon aria scettica, osservando lefotografie. Mo non capiva. Chiunqueavesse gli occhi in testa poteva vedere,sia nelle foto che nella vita reale, cheAnna e Marco portavano i pantaloni tuttie due.

Però, dopo neanche due mesi, Annadette una grande consolazione a suamadre e alle sorelle maggiori,informandole che anche lei aspettava unbambino.

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— Bene! Ora la smetterai finalmentedi passare il tempo fra i telescopi —aveva commentato la nonna. — Lasceraiil lavoro per accudire alla famiglia,naturalmente!

— Neanche per sogno! — avevarisposto Anna, e la nonna avevasollevato gli occhi al cielo.

Col passare del tempo la panciadella signora Lucilla cresceva, ma il suoviso non aveva un aspetto tanto florido eil suo umore non era molto sereno.

Mo di questo non aveva nessunacolpa, perché dopo le raccomandazionidel babbo si era comportato benissimo:non aveva mai contraddetto la signoraLucilla e la aveva aiutata sollecitamente

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in tutte le faccende che gli sembravanotroppo fatico-se. (Cosa che non sipoteva dire del signor Nicola, che avevacontinuato ad aspettarsi il pranzo prontoe le camicie stirate).

Naturalmente la mamma si occupavaanche di Mo con grande affetto e parlavacon grande entusiasmo del bambino chesarebbe nato (anzi, della bambina,perché visto che Mo era un maschio, civoleva una femmina per formare “unabella coppietta”).

Però un giorno il dottore, dopoaverla visitata, disse che era meglioricoverarla in clinica per un mese, pertenerla tranquilla e farle le cureappropriate, altrimenti rischiava di

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perdere il bambino.— Niente di grave — disse — non

preoccupatevi. Solo un mesetto divacanza servita di tutto punto.

La signora Lucilla però erapreoccupatissima, non tanto per sé,quanto per Mo e per il signor Nicola,che sarebbero dovuti restare soli in casasenza nessuno che si oc-cupasse di loro,visto che non si riusciva a trovare unadomestica in tutta la città neanchepagandola a peso d’oro.

Mo si stupiva di quelle ansie: —Non siamo paralitici, il babbo ed io, —diceva ridendo. — Perché mai qualcunodovrebbe occuparsi di noi? — SuDeneb, quando suo padre o sua madre

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andavano in viaggio, gli altri membri sela cavavano benissimo, a parte un po’ dinostalgia.

E anche sulla Terra, a dire la verità,una volta che il signor Nicola era statovia una settimana per un congresso, aMo e alla signora Lucilla non eracapitato niente di preoccupante.

Ma la signora Lucilla sospirava,facendo la valigia per l’ospedale: —Come due zingari!… Chissà in che statomi ridurrete la casa! E che porcherieandrete a mangiare in giro! Questaproprio non ci voleva!

Si fece promettere da Caterina e dasua sorella che ogni giorno sarebberosalite dai suoi “due uomini” a vedere

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come se la cavavano e chiuse a chiavein un cassetto i calici di cristallo e i suoisoprammobili preferiti.

Finalmente salì sull’auto soffiandosivigorosamente il naso per non piangere,e partì col signor Nicola, lasciando Mosul cancello del giardino, fra Andrea eCecilia.

3La signora Lucilla stette via un mese

esatto e quello fu uno strano periodo, nelsoggiorno di Mo sulla Terra.

Provate a mettervi nei panni di undenebiano, e di un denebiano giovane,gentile e servizievole come Mo.

Mo aveva creduto di capire, da tantisospiri e tante recriminazioni, che alla

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signora Lucilla dispiaceva che durantela sua assenza i pavimenti non venisseropuliti e lucidati, il bucato non venissestirato alla perfezione, i vetri nonvenissero lustrati e che infine lui e suopadre se ne andassero in giro per letrattorie sporchi e disordinati come duebarboni.

A Mo fare il barbone per un po’ ditempo sarebbe anche piaciuto, ma nonvoleva dare un dispiacere a sua madreproprio mentre era malata.

Perciò appena fu solo in casa, fecetesoro dell’abilità manuale tipica deidenebiani, e — grazie anche allaattenzione con cui aveva osservato leoccupazioni della signora Lucilla — fu

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presto in grado di scopare, fregare,lucidare, lavare, stirare, sbucciare,cucinare, rigovernare, esattamente comeavrebbe fatto lei.

Nella casa non si notava lamancanza della padrona, quando la zia ela nonna salirono a “dare un’occhiata”.

Non è che Mo si aspettasse deicomplimenti (in fondo sarebbe statomolto più divertente per lui in quelle oreandarsene in giro in bicicletta!), maalmeno un riconoscimento della buonavolontà. Invece le due donnesembravano perplesse e a disagio…

Non gli dissero bravo neanche persbaglio, non gli chiesero dove avesseimparato a fare così bene i lavori

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domestici. Anzi, guardavano condiffidenza i pavimenti lucidi, la cucinapulita, la pila di camicie stirate… Se neandarono con uno strano sguardo pienodi dubbi. Mo era sconcertato, masperava che almeno suo padre sarebbestato riconoscente. In fondo era un belpo’ di lavoro che gli veniva risparmiatodi ritorno dall’ufficio!

Il signor Nicola rincasò allegro,gridando dalle scale: — Su, Mo, vestiti,che andiamo a mangiare una pizza!

Ma Mo aveva apparecchiato concura la tavola. Nel forno cuoceva unbudino di verdura e tutto era come lesere in cui la signora Lucilla era a casa.

Il babbo non seppe nascondere la

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sua delusione.— Bravo ragazzo, — disse senza

entusiasmo — ma non era necessario. Tipor-tavo a mangiare fuori. Ci saremmoanche divertiti a andarcene in giro comedue scapoli!

Tuttavia Mo non capìimmediatamente cosa i grandi siaspettavano da lui, fino a che, un paio digiorni dopo, suo padre gli disseesplicitamente di smetterla di curare lacasa, di non perdere tempo in “faccendeda donne” facendosi ridere dietro daAndrea.

Quando la polvere sotto i lettidiventava lanuggine, il signor Nicolachiamava la cognata o Caterina a dare

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una pulitina d’emergenza. La biancheriala portava la nonna in lavanderia e lacucina non fu più utilizzata se non perpreparare tè o caffè, o al massimo lattecaldo prima di andare a letto.

Esattamente come succedeva in casadi Anna. Mo non riusciva a capireperché per loro due andava bene, mentreAnna veniva accusata da tutta la famigliadi essere una pessima padrona di casa.

A mezzogiorno Mo restava amangiare a scuola e la sera o andava intrattoria con suo padre o erano entrambiinvitati in casa Brandi. Certo la vita inquesto modo era meno faticosa, ma Mosoffriva pensando al dispiacere dellamamma al ritorno davanti alla sua casa

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così trascurata.Molto spesso andavano a trovare la

signora Lucilla in ospedale. Lei stava aletto o su una sedia a sdraio nel giardinoe parlava, parlava come se non fossestata affatto malata. Naturalmenteparlava per lo più del bambino chestava per nascere.

Desiderava con tutte le sue forze chefosse una bambina.

Faceva dei progetti per lei, avevascelto anche il nome: Nicoletta. Edurante tutto il tempo lavorava a magliagolfini e magliette piccolissimi di colorerosa.

A Mo il colore rosa piacevamoltissimo e avrebbe desiderato un

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maglione così.Non osava però chiedere alla

mamma che glielo facesse, perché lavedeva troppo occupata col corredinodella bambina che doveva nascere.

A furia di stare seduto a fianco alladonna che sferruzzava, non avendo altroda guardare nella stanza d’ospedale chequelle mani in movimento, Mo sentìtornare alla memoria tutte le nozioniimparate nei primi tempi terrestri,quando ancora andava al-la scuola diCaterina.

Un pomeriggio, solo in casa, preseun paio di ferri e un gomitolo dal cestinoda lavoro della mamma e ci provò.

Dopo pochi tentativi, si accorse di

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ricordare perfettamente: sapeva lavorarea maglia! Dritto, rovescio, coste, granadi riso, aumenti, diminuzioni, borditubolari, tutto!

Pieno di soddisfazione, come gliaccadeva ogni volta che portava a buontermine un lavoro manuale, Mo sferruzzòtutto il pomeriggio e anche un paio d’oredopo cena seduto sul letto.

Non disse niente a nessuno perchévoleva fare una sorpresa a sua madre.

Un golfino da neonato cresce infretta. Mo pensava alla sorellinaterrestre che fra poco sarebbe nata elavorava veloce per farle anche lui ilsuo regalo di benvenuto.

Quando fu terminato, lo involse in

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carta velina bianca e decise di portarloin clinica alla mamma il pomeriggiosuccessivo.

Per combinazione quella mattinatelefonò il dottor Gil, il quale — saputoche la signora Lucilla era all’ospedale— si era offerto di andare a trovarlaanche lui, portando Mo con la suaautomobile.

Il dottor Gil non aveva fatto alcuncommento quando aveva saputodell’esame psicologico e del suorisultato. D’altronde nessuno avevachiesto il suo parere.

Così arrivarono insieme alla clinica,il ragazzino denebiano con i capellichiari tagliati a candela e lo studioso

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terrestre, sempre un po’ impacciato negliabiti del suo pianeta natale.

C’erano anche Andrea e Caterinacon la loro madre.

Vincenzo Gil si chinò sulla poltronaper stringere la mano alla signoraLucilla e Mo le depose in grembo ilpacchetto del regalo.

— L’ho fatto io, mamma! — esclamò— l’ho fatto io per Nicoletta!

Se si era aspettato dei ringraziamentie delle esclamazioni di meraviglia eammirazione (era davvero un belgolfino) ancora una volta si erasbagliato sulle reazioni dei terrestri.

La signora Lucilla guardavasconcertata il lavoro, ancora mezzo

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avvolto nella carta… lo teneva ingrembo senza toccarlo, pensò Mo, comeun animaletto pericoloso e un po’schifoso…

Sua cognata guardava fuori dellafinestra con le labbra serrate. Fuoridella finestra non c’era niente diinteressante e dalle labbra della ziapareva uscire un fumetto con la scritta:“Non parlo, perché direi qualcosa dimolto sgradevole. Ho deciso di nonimmischiarmi, ma questo è decisamentetroppo!”

Dopo un attimo di gelo, in cui nientefu detto, ma ognuno sottintendevaqualcosa di sgradevole, e soprattutto diincomprensibile per Mo, il dottor Gil

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ruppe il ghiaccio.Prese in mano il golfino, lo sollevò

contro la finestra, lo rigirò da tutte leparti per osservarlo bene…

— Bravo, Mo — esclamò — SuDeneb non si fanno di questi lavori. Haiimparato in fretta e molto bene. Bravo!

— Ci manca anche che lei sicongratuli! — sbottò allora la signoraLucilla non riuscendo più a trattenersi— Ci manca che lo incoraggi!

— Non ti piace il mio lavoro? Cosaho fatto di male? — chiese Mo con unagran voglia di piangere. — Me l’hainsegnato la maestra di Caterina! Eanche Caterina lavora a maglia. E anchetu, mamma! Me l’hai fatta venire tu la

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voglia di fare un golf a Nicoletta.Nessuno rispose a Mo. La zia disse

invece al dottor Gil con fredda cortesia:— Vede, dottore, noi non siamo

denebiani…— Noi sì! — rispose con fierezza il

dottore. Prese Mo per mano e condecisione lo portò fuori della camera.

4Mo era molto addolorato per aver

fatto arrabbiare la mamma. Temeva cheadesso si sarebbe ammalata di più.Forse Nicoletta non sarebbe nata… Maonestamente non riusciva a capire cosaavesse fatto di male.

Il dottor Gil cercò di spiegargli: —Vedi, Mo, sulla Terra ci sono dei lavori

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che sono considerati “femminili”.Specialmente quelli destinati albenessere fisico della gente:l’alimentazione, la pulizia della casa, laconfezione e la conservazione degliabiti… Tutti ne hanno bisogno, ma chi licompie, “serve” chi ne usa. Perciò gliuomini, intendo i maschi terrestri, liconsiderano troppo umili e non li fannovolentieri, non dico per gli altri, maneppure per se stessi. Tutti gli scapoli,appena possono pagarla, prendonoalmeno una donna delle pulizie, mentreconsiderano normale che una donnanubile provveda da sola a sé e allapropria casa.

Servire qualcuno — fosse anche se

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stessi — in fondo da noi è consideratodegradante, e nessuno, se appena può,desidera degradarsi. Anticamentec’erano anche dei lavori che venivanoconsiderati esclusivamente “maschili”.Oggi i maschi terrestri permettono anchealle donne di fare questi lavori, almenoin teoria. Soprattutto quando un maritopensa che lo stipendio della mogliefarebbe comodo in casa. E così credonodi aver concesso alle donne un grandeprivilegio. Infatti se fare un lavoro

“femminile” degrada un uomo, fareun lavoro “maschile” nobilita unadonna…

— Ma se non fate che vantarvi cheormai sulla Terra le persone sono

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considerate tutte uguali! — osservò Mo.— Così dovrebbe essere — rispose

il dottor Gil. — Nella realtà peròevidentemente i maschi pensano divalere più delle donne. Ti faccio unesempio: ogni padrone è molto fiero seil suo cane impara a parlare, scrivere efare i calcoli, ma nessun cane e nessunpadrone sarebbero contenti se un essereumano se ne andasse in giro ab-baiandoe camminando a quattro zampe…

— Cosa c’entra questo col lavoro amaglia? — chiese Mo.

— C’entra che il lavoro a maglia èun lavoro “femminile” e tu, che lo haifatto senza esservi costretto dallanecessità, e ti è anche piaciuto, ai loro

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occhi ti sei degra-dato. Potevi parlare, eti sei messo ad abbaiare.

E questo non vale solo per il lavoroa maglia: ogni uomo che sceglie disomigliare in qualcosa a una donna,sulla Terra viene disprezzato dai suoisimili, e spesso anche dalle stessedonne. Ora sei tu che devi scegliere. Sevuoi avere la loro approvazione, devicomportarti da maschio e non sgarraremai. Se no, puoi benissimo infi-schiartene. Capito?

Mo rispose che non aveva capito.Con quale criterio avrebbe deciso,

di volta in volta, quale era ilcomportamento richiesto a un maschio?

Su Deneb c’erano le cose che

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piacevano e quelle che no, i lavorimanuali e quelli intellettuali, le attivitàsedentarie e quelle che richiedevanomovimento; quelle fatico-se e quelle ditutto riposo. Ogni individuo sceglievaazioni e atteggiamenti a seconda dellesue attitudini personali, o del momento,dello stato di salute, delle esigenze dellacomunità. Mai secondo il proprio sesso.A parte naturalmente determinate azionile-gate alla riproduzione, doveoccorreva (Mo ne era perfettamenteinformato, anche se per lui il problemasi sarebbe posto solo di lì a 21 anni) cheuno dei due individui fosse maschio el’altro femmina e che ognuno avesse unruolo definito, perché nascesse-ro dei

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nuovi piccoli denebiani.In base a quale criterio, si chiedeva,

potrò decidere come comportarmi damaschio?

Neanche il dottor Gil era in grado dispiegarglielo.

— Sai — sospirava — ho vissutotanto tempo su Deneb che certe cose leho di-menticate.

Per qualche giorno Mo tenne ilbroncio alla signora Lucilla, che nonaveva ap-prezzato il suo regalo e nonaveva voluto (o saputo) spiegargliene ilmotivo.

La domenica andò a pranzo da Annae Marco, che abitavano in un vecchioap-partamento in periferia, e si lamentò

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con loro per il comportamento di suamadre.

Pensava che Anna, come al solito,avrebbe dato ragione a lui. Invece Annadifese sua sorella e raccontò a Moquesto episodio.

Quando la signora Lucilla erapiccola, in quarta elementare,frequentava una classe “mista”. Ungiorno la maestra aveva proposto che,per le ore di “lavoro manuale”, i maschicostruissero un castello medievale dicartapesta, e le bambine facesseroognuna un quadrato di maglia ai ferri percomporre una coperta da regalare a unpovero. La madre di una bambina, chepure era bravissima a lavorare a maglia,

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aveva protestato per questa separazionedei lavori. La maestra allora avevaconcesso che se qualche bambina lodesiderava con particolare intensità,poteva andare anche lei a costruire ilcastello.

Quella mamma allora aveva chiestose anche qualche maschio chedesiderasse intensamente lavorare amaglia, potesse fare il suo quadrato dilana invece che la cartapesta.

Ma la maestra aveva risposto che:primo, nessun maschietto di certodesiderava lavorare a maglia. Secondo,se per ipotesi assurda questo fossesuccesso, il padre di questo bambino sisarebbe arrabbiato moltissimo e forse

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sarebbe arrivato a schiaffeg-giare lamaestra. La maestra avevaevidentemente molta paura degli schiaffie non fosse che per questo non avrebbemai permesso a un maschio di fare unlavoro “femminile”.

— Evidentemente — commentò Mo— le mamme delle femmine, adifferenza dei padri dei maschi, sullaTerra non hanno l’abitudine diminacciare schiaffi alle ma-estre.

— Perché? — rise Marco.— Perché altrimenti quella maestra

non avrebbe osato rispondere a quelmodo alla signora che protestava.

— Non solo, — aggiunse Anna —ma la trattò con molta durezza. Non le

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bastava che la sua bambina fossesollevata dall’obbligo di fare la magliae potesse scegliere di costruire ilcastello come i maschi? Cosa voleva dipiù?

— Secondo te cosa voleva? —chiese Marco a Mo.

— Se le piaceva lavorare a maglia,forse voleva un po’ di rispetto per illavoro che aveva scelto. Lavorare amaglia è creativo come costruire uncastello, e chiunque dovrebbe poterlofare, se gli piace.

— Hai ragione — disse Anna. —Molti dei lavori cosiddetti “femminili”sono gradevoli e creativi come gli altri,ma gli uomini li disprezzano per riflesso

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del disprezzo che hanno per le donneche vi si sono dedicate per tanti anni.Saremo veramente liberi, noi terrestri,non tanto quando le donne diventerannominatori o guida-tori di locomotive, maquando gli uomini si stireranno lecamicie, ricameranno, cuci-neranno eaccudiranno con piacere ai propribambini. Ma a Lucilla, poveretta,avevano insegnato che la maestra hasempre ragione, e la maestra alloraaveva allontanato con disprezzo quellamamma chiamandola “esaltata” e“rivoluzionaria”. Perciò devi sforzartidi essere indulgente con lei.

Così Mo decise di perdonare a suamadre.

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5Non bisogna però credere che i

rapporti fra Mo e i suoi genitori terrestrifossero sempre così complicati.

In genere, anzi, erano ottimi. Il piùsoddisfatto di Mo era il signor Nicola, acui durante l’assenza della moglie ilpiccolo denebiano faceva moltacompagnia.

Era tornato anche lui come unragazzino, nei momenti liberi dal lavoro,naturalmente.

In un certo senso fu un meseentusiasmante per entrambi.

Costruirono dieci aquiloni senzariuscire a farne volare nemmeno uno.Andarono a pescare in un torrente e

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finirono entrambi nell’acqua gelata. Unanotte fecero persino un bivacco nelgiardino e dormirono in sacco a pelosotto l’acacia, con grande indignazionedella nonna che, trovandoli lì al mattino,si era messa a gridare sui gradinidell’ingresso:

— Nicola! Alla tua età! Ti verrannocome minimo i reumatismi!

All’inizio Andrea era un po’ gelosodi questa amicizia nata fra Mo e lo zioNicola. Ma Mo se ne accorse e invitòanche Andrea a partecipare alle lorospedizioni.

A dire il vero aveva invitato Andreae Caterina. Ma Caterina non era venuta.Richiesta di spiegazioni, aveva detto

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con aria infelice:— Mia mamma non mi lascia.A Mo come spiegazione non bastava,

e interrogò la zia.La zia disse che Caterina si sarebbe

certo presa il raffreddore, si sarebbestrappa-ta i vestiti, si sarebbe graffiatale gambe, sarebbe stata loro solod’impiccio…

A Mo questa non sembrava unaipotesi probabile, ma neanche tragica.Evidentemente però era sufficiente per iterrestri a impedire che una bambina sidivertisse.

Ma Caterina gli faceva pena, quandoli guardava partire restando vicina alcancello, con Luigi per mano e una

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corda da saltare abbandonata attorno alcollo.

L’amicizia, il cameratismo con suopadre però erano un’esperienza troppoentusiasmante perché Mo potesserattristarsi a lungo sulla sorte dellacugina.

Il signor Nicola gli insegnò agiocare a biliardo e persino a guidarel’automobile (in cortile, naturalmente,perché Mo era ancora troppo giovaneper circolare sulle strade).

— Bravo! — gli diceva — hai ilbernoccolo della meccanica!

Quando il caldo divenne soffocante,dopo cena i due se ne andavano spessoal cinema, in cerca dell’aria

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condizionata. Sceglievano con cura ilfilm sul giornale perché doveva essereadatto a Mo e piacere al signor Nicola.In genere erano film di cow-boys o filmcomici, e padre e figlio facevanoinsieme il tifo per i loro eroi e insiemesi sbellicavano dalle risate.

Una sera capitarono per sbaglio inun locale dove si proiettava “L’orfanasenza sorriso”, un film romantico diamori, corteggiamenti, sventure, che nonprometteva niente di buono. Ma ormaiavevano pagato il biglietto. Fuori facevaun caldo micidia-le e così decisero direstare e sorbirsi il film.

Però, con grande indignazione delsignor Nicola che l’aveva trovata noiosa

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e melensa, a Mo la storia piacquemoltissimo. Ci si appassionò, trepidòper l’eroina, e soprattutto pianse, piansedi commozione come una vite tagliata…

— Come una donnicciola! —esclamava scandalizzato il padreuscendo dal locale. — Soffiati almeno ilnaso! Non farmi fare figuracce perstrada! Crederanno che ti ho picchiato.Piangere al cinema come unafemminuccia! Vergogna!

Mo si vergognava, ma quel pianto equella commozione erano anchepiacevoli.

Era piacevole, pur sentendosi alsicuro, intenerirsi e crogiolarsi neldolore e sentirsi anche lui un po’ vittima

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come l’eroina del film…— Un film così idiota! — esclamava

disgustato il signor Nicola. Moconvenne che era proprio un film idiota.Ma anche molti western e film comiciche avevano visto erano altrettantoidioti, se non di più. Eppure loro due sierano lasciati coinvolge-re, avevanoparteggiato per l’eroe “Sparagli,sparagli! Sta’ attento che ti arriva allespalle!”, e il signor Nicola non si erasentito derubato dei soldi del biglietto.

Un mese passa presto, e dopo unmese la signora Lucilla tornò a casa. Manon ci si fermò per molto.

Di lì a venti giorni, esattamente alledieci del mattino, capì che Nicoletta

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stava per nascere, anche se un po’ inanticipo sul previsto. Perciò chiamòsubito un taxi per andare in clinica.

La accompagnò Mo, naturalmente. Ilsignor Nicola era in ufficio e nessuno siaspettava una partenza così improvvisa.

Mo era molto preoccupato. A Denebogni nascita era un fatto naturale esemplice, ma le donne terrestri facevanotante di quelle storie, quando neparlavano!…

Il dottore che li accolse però glidisse che andava tutto bene. Ci sarebbestato da aspettare almeno un paio d’ore,Mo intanto andasse a telefonare al padree alla nonna che per l’indomaniavrebbero avuto un bambino nuovo.

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Dall’ufficio però risposero che ilsignor Nicola era partito in macchinaper un sopralluogo in aperta campagna eche non sarebbe tornato fino al tardopomeriggio.

No, non sapevano come fare arintracciarlo prima, ma gli avrebberolasciato sulla scrivania il messaggio diprecipitarsi in clinica prima di tornare acasa.

La nonna, dal canto suo, quellamattina aveva pensato bene di slogarsiun piede lucidando i pavimenti e non sipoteva muovere.

La zia aveva Luigi a letto con lavaricella e non voleva portare ilcontagio al neonato, né poteva

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d’altronde lasciare quella peste solo conla nonna immobilizzata.

E così il povero Mo, dopo un giro ditelefonate inutili, rimase solo nella salad’attesa della clinica, a passeggiare su egiù guardando fuori nel giardino i malatiin pigiama che prendevano il sole.

Dopo un’ora venne un’infermiera aoffrirgli un caffè.

Quando vide che era un ragazzino glifece un sacco di complimenti e conl’aria di offrirgli chissà qualedivertimento, lo condusse al “nido”. Eraun salone dove dietro una vetrata sivedevano centinaia (così almeno parve aMo) di neonati urlanti, ciascuno nellapropria culla, come bambolotti caricati

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a molla nelle scatole di una vetrina.Mo li guardava incuriosito e

leggermente disgustato.Che piccoli! E che brutti, e che

piagnoni! E così deboli e fragili chebasterebbe un colpetto d’unghia aromperli in due! Anche lui, Mo, forse untempo era stato così, e così sarebbe stataNicoletta.

“Speriamo che si sbrighi acrescere!” pensò Mo con un sospiro.Tornato nella sa-la d’aspetto,passeggiava su e giù come un padrepreoccupato, guardando continuamentel’orologio.

In realtà si sentiva un po’ come unpadre in attesa: preoccupato, ma anche

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importante e lusingato di tantaresponsabilità, anche se il suo compitoera solo quello di aspettare e la mamma,fortunatamente, di là poteva contaresull’aiuto di medici e infermiere.

A mezzogiorno un’infermiera gliportò un toast e un bicchiere di latte e sifermò mezz’ora a chiacchierare con lui.

Gli fece un sacco di domande suDeneb, ma Deneb in quel momento a Mopareva così lontana!

Ciò che veramente importava eraNicoletta, che stava faticando a nascere,e che sarebbe stata così piccola e fragileche se le infermiere non stavano attentela potevano rompere maneggiandola inmodo brusco…

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“Com’era possibile — pensava Mo— che nella pancia della mamma, perquanto fosse cresciuta, ci fosse postoper un bambino intero? E per l’acqua eper tutto il resto che Mo sapeva bene findai tempi di Deneb?”

“Non sarebbe nata una bambinatroppo piccola per poter sopravvivere, osenza le gambe, o tutta rattrappita permancanza di spazio?”

L’infermiera parlava e Mo seguiva isuoi pensieri senza prestarle attenzione.

Poi rimase ancora solo per un belpo’. In giardino le ombre degli alberi sierano fatte lunghissime; un giardiniereaveva cominciato a innaffiare…

Mo trovò su un tavolino un album di

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cruciverba e cominciò a farne unocomplicatissimo. Mentre si chiedevaquali potevano essere le iniziali diRespighi, la porta a vetri si aprì el’infermiera, sempre la stessa, con unsorriso ebete sulla faccia rotonda,esclamò a voce troppo alta:

— Auguri, giovanotto! È nato! Ènato un bel maschio di quattro chili!

6Mo sentì le ginocchia diventare

molli, mentre la tensione invece disciogliersi, gli faceva un nodo duro allabocca dello stomaco.

“…natO, sanO, grande, bello… ma?…e Nicoletta?”

Come ci sarebbe rimasta male la

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signora Lucilla! Che ingiustizia — datoche per i terrestri il sesso era tantoimportante — che non lo potesserodecidere i genitori!… E

se si fosse potuto barattare questoneonato con una bambina nata nellostesso giorno e i cui genitoridesideravano un maschio?

— Vieni a vederlo, svelto! —incitava l’infermiera.

Mo la seguì strascicando i piedi pertutto il corridoio. Non aveva nessunafretta di affrontare la delusione dellamamma.

Pensava a quante volte lei avevaparlato della bambina, della fortuna cheavrebbe rappresentato per la famiglia

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una “coppietta”… Pensava ai golfini connastri rosa, alle bambole che erano giàstate preparate e che ora erano diventateinutili.

Veramente — si ribellò la suamemoria denebiana — niente avrebbeimpedito che il neonato, benchémaschio, ci giocasse ugualmente. Mogiocava tutte le notti di nascosto con lasua bambola di pelliccia e ancora nongli era successo niente di terribile…

Bussò piano alla porta, respiròprofondamente ed entrò.

— Mi dispiace, mamma — dissecon gli occhi bassi restando sulla soglia.Non sapeva come ci si comporta in talicircostanze, e avrebbe preferito essere

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mille miglia lontano. Ma era deciso afare il proprio dovere fino in fondo.

Dal letto gli arrivò una risata pienadi gioia.

— Ti dispiace per che cosa, Mo?Per essere stato solo ad aspettare? Mava! In questo modo è un po’ come se ilpiccolo fosse tuo figlio! Sei il primodella famiglia che fa la sua conoscenza.Guardalo! Ma guardalo! Non èbellissimo? Meraviglioso?

Mo alzò gli occhi incredulo. Lamamma non recitava per riguardo neisuoi confronti: era VERAMENTEfelice!

E Nicoletta? E tutti i suoi sogni diavere una bambina?

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— Lei è proprio fortunata, signora— interloquiva l’infermiera. — Due beima-schietti! E questo grande, avessevisto che giudizioso, tutto il giorno adaspettare co-me un adulto!

— Mo, su, guarda il bambino!Cos’hai? Sei commosso? — insisteva lasignora Lucilla.

Mo guardò nella culla. Il bambinoera piccolissimo e grinzoso, come quellidel nido. “Quattro chili — pensava Mo— in fondo sono ben poca cosa. Quantoun gatto, a conti fatti. Non è più grandedi un gatto… ma forse non è il caso dibarattarlo con una femminasconosciuta…”

Il bambino era tutto involto in una

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coperta azzurra e da quello che se nevedeva, avrebbe potuto benissimoessere una femmina. Mo non avevanotato proprio nessuna differenza.

— Sei sicura? — chiese alla signoraLucilla.

— Sicura di cosa?— Che sia proprio un maschio?— Cosa? Non farmi ridere, Mo. Sei

proprio fissato. Non siamo su Deneb,qui. È

stata la prima cosa che abbiamocontrollato. Per i terrestri non c’èbisogno di psicologi o di esame delsangue. Basta avere gli occhi in testa. Èproprio un maschio, un bellissimomaschio.

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— E Nicoletta? Non sei delusa chenon sia Nicoletta? — chiese Motitubante.

— Ma va! Certo avere una bambinasarebbe stato divertente… Ma avere unmaschio, un vero maschio… Per ilcognome della famiglia, sai… per tutto.E chissà come sarà felice tuo padre!

Infatti il signor Nicola fucontentissimo. Non aveva neanchedovuto aspettare in anticamera tutto ilgiorno come Mo. Quando avevatelefonato dall’ufficio gli avevano datosubito la bella notizia.

Dopo tanti discorsi che avevanofatto di come sarebbe stato bello avereuna bambina, sembrava che se ne

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fossero tutti dimenticati. Non parliamopoi della nonna, degli zii, dei cugini…Una festa grande! Più grande di quandoera arrivata la risposta degli psicologiper Mo; perché questo bambino era statofatto in casa, e si chiamava Olivieri, e isuoi figli si sarebbero chiamatiOlivieri…

E forse perché la sua “virilità” eraarrivata come un regalo gratuito, senzaango-sce, senza esami, senza dubbi.

Non crediate però che Mo venissemesso in disparte.

Come fratello maggiore aveva ilprimo posto nei festeggiamenti. Loringrazia-vano per aver portato fortunaalla famiglia, lo lodavano per essere

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stato così giudizioso ad accompagnarela madre all’ospedale, lo baciavano, glimettevano il neonato in braccio per poiriprenderglielo precipitosamente(temevano che lo lasciasse cadere aterra).

— Dallo a me, dallo a me! —diceva Caterina con aria esperta, comese avesse passato due terzi della sua vitaa maneggiare bambini piccoli.

E a lei lo lasciavano tenere senzatimore. Anche Cecilia lo volle prendereper u-n’attimo sulle ginocchia, sotto losguardo intenerito della nonna, ma neapprofittò per mettergli un dito in unocchio e farlo strillare a perdifiato.

Per fortuna i neonati terrestri sono

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più solidi di quanto sembri a guardarli.Il piccolo infatti superò benissimo i

festeggiamenti e i convenevoli inoccasione della nascita; uscì illeso datutte le mani che lo volevano sollevare,cullare, coccolare, e alla fine siaddormentò pacifico nella suacarrozzina.

— Come lo chiameremo? — si erasubito informata Caterina.

E i signori Olivieri (dimostrandoche avevano mentito quandodichiaravano di aspettare con certezza lanascita di Nicoletta) risposero ad unavoce il nome certamente già scelto econcordato in segreto: Maurizio!

Naturalmente per Maurizio non si

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poterono utilizzare che pochissimi deicapi del corredo preparato dallamamma.

Gli altri, quelli rosa con pizzi enastri, furono involti in un bel pacco emessi da parte per Anna, nel casodovesse nascerle una bambina.

Ma Anna non volle accettarli, e fecemale, perché tre mesi dopo le nacquedavvero una bambina, e non avevaniente di pronto da metterle, e la nonnadisse — Le sta bene!

La bambina di Anna e Marco, comefiglia di una astronoma, naturalmente fuchiamata Stella. E sua madre, congrande biasimo di tutta la famiglia, laiscrisse a un asilo nido e continuò ad

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andare tutti i giorni all’Osservatorio.Ma per tornare ai vestiti preparati

per Nicoletta, finirono a una donnapovera che aveva avuto una bambinapochi giorni prima della nascita diMaurizio nello stesso ospedale.

Cecilia ebbe in regalo le bambolegià acquistate. Mo però riuscì aintercettarne una e a farla sparire. Era unbambolotto morbido che somigliavastranamente a Maurizio (o forse tutti ineonati terrestri si somigliano, come icinesi per gli europei?). Lo conservò nelreparto segreto dell’armadio insiemealla bambola di pelliccia e ci giocò dinascosto quasi tutte le notti.

La bambola di pelliccia aveva un

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nome denebiano, ma il bambolotto sichiamava Nicoletta.

IV Vita da uomo

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1I bambini terrestri crescono molto

più in fretta di quanto un denebianopossa immaginare.

In tre o quattro mesi Maurizio avevaquasi raddoppiato peso e dimensioni,riconosceva Mo, mangiava dalcucchiaino… Non era più così brutto egrinzoso come al momento della nascita.Caterina anzi affermava che erabellissimo.

Gli avevano preparato una camerafra quella di Mo e quella dei genitori,con pochi mobili, adatti a un maschio.

Per quanto affermasse di esseresicura della nascita di Nicoletta — forseammo-nita dall’esperienza fatta con Mo

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— la signora Lucilla non avevapreparato in anticipo una camera da“femminuccia”, e così ora non avevadovuto cambiare niente.

Mo aveva accompagnato la mammaa comprare gli ultimi oggetti chedovevano completare l’arredamento. Lasignora aveva scartato con decisione lestampe di fiori, animaletti dai coloriteneri, palloncini, nuvole e stelle.

Per Maurizio, che un giorno sarebbeandato alla ventura per il mondo, avevascelto stampe di navi, aeroplani,cavalli… Sebbene non fosse ancora ingrado di stare seduto, Mauriziopossedeva già un triciclo, dei pattini, unpallone, un trenino elettrico con un

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plastico complicatissimo…Mo sospettava che fosse il signor

Nicola a giocarci di nascosto. Per Moinvece, tutto sommato, il giocattolo piùdivertente era Maurizio. Gli piacevastuzzicarlo per farlo agitare, ma anchestarlo a guardare quando eraaddormentato: è incredibile quantopossa essere liscia e tenera la pelle diun bambino, e quanto leggero il suo re-spiro…

Gli sarebbe piaciuto moltissimoportarlo in giro nella carrozzina, farlocorrere lungo i marciapiedi, ma questonon gli era permesso. Solo Caterina,dopo molte raccomandazioni di madre,nonna e zia, poteva spingere lentamente

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nei vialetti del giardino e lungo la stradache portava al parco il molleggiatissimoveicolo che conteneva il cuginetto.

Caterina poteva anche aiutare acambiare il bambino, a fargli il bagno, adargli il biberon… Mo non poteva. Nonglielo avevano detto esplicitamente, maavevano talmente biasimato Anna perchérincasava più tardi del marito e glipermetteva di lavare e nutrire Stella, ederiso Marco che si prestava senzaprotestare a tali incombenze, che Moaveva capito che per un maschio questeoccupazioni non erano opportune.

Evidentemente stava pian pianoimparando a ragionare come i terrestripiù intelligenti.

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Abbiamo detto che Maurizioriconosceva Mo e rideva quando neincontrava lo sguardo; gli tendeva lemani per essere preso in braccio esmetteva di piangere quando ne udiva lavoce.

Ma quella che amava più di tutti erala signora Lucilla. La accoglieva congrido-lini di gioia, piangeva se lavedeva uscire, le sorrideva spalancandola bocca sdentata fino alle orecchie edemettendo strani gorgoglii… Mo ne erapersino un poco geloso, e simeravigliava che non lo fosse il signorNicola, che da questa intesa era escluso.

Anche Mo, quando era piccolo,aveva avuto molte manifestazioni

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d’affetto per i propri genitori, e ne erastato contraccambiato. Ma allora eratroppo piccolo per ren-dersene conto.

Ora invece, osservando il rapportofra Maurizio e sua madre, scopriva didesiderare di avere anche lui un figlio,per poterne essere guardato in quelmodo speciale…

Ne parlava un pomeriggio conAndrea, mentre si trovavano sdraiatiall’ombra sulle rive del torrente doveerano andati ad acchiappare gamberi.

— Io — diceva Andrea — dagrande farò il dentista. È un buon lavoro,e si guadagna bene…

— Io — diceva Mo — da grandesarò tornato su Deneb e chissà cosa

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farò… Peccato che non sia una donna!Mi sarebbe tanto piaciuto da grandeavere un bambino come tua zia Lucilla!

Andrea lo guardava scandalizzato.Mo cercò di spiegargli perché trovavauna fa-coltà degna di invidia quelladelle donne, di “fare” materialmente, deibambini…

— È molto più che fare una musica,Andrea, o un quadro, o un libro, o unostrumento tecnico… Ci pensi? Una cosaviva, un uomo completo di tutto, con tuttigli organi che funzionano comeingranaggi perfetti… Altro che unrobot… È formidabile!

Non hai studiato ingegneria? Unmeccanismo perfetto come il corpo

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umano non lo trovi facilmente…— Ba’! — rispondeva Andrea — le

donne mica studiano ingegneria per farei bambini! Anche le coniglie fanno iconiglietti, e non capiscono niente…

— Noi maschi però, con tutte lenostre conoscenze, non ne saremmo maicapaci… Sapessi che rabbia mi dàl’idea di non essere in grado di avere unbambino!

“Che fanatico!” pensava Andrea eglielo si leggeva nello sguardo. Questodava a Mo lo spunto di riflettere che infondo, se lui era svantaggiato perché nonriusciva sempre a capire i ragionamentiterrestri, spesso però anche i terrestri sitrovavano in difficoltà a capire lui.

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2Maurizio aveva otto mesi quando le

due famiglie Olivieri e Brandi deciserodi fare una gita al mare.

I Brandi possedevano una villetta aun centinaio di chilometri dalla città epensavano che fosse arrivato il momentodi andare a darle una ripulitina e a farleprendere aria prima che arrivasse ilperiodo delle vacanze.

Partirono su due automobili, al grancompleto: la nonna, la signora Graziellache doveva dare una mano per lepulizie, il signore e la signora Brandicon i quattro figli, il signore e la signoraOlivieri con Mo e con Maurizio, in unaculla di vimini fornita di manici.

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Una volta arrivati, mentre le signorespalancavano le finestre, sbattevano itappe-ti, pulivano vetri e pavimenti, idue signori si misero a dare la verniceantiruggine alle parti metalliche e ilflating alle finestre e ai balconi di legno.

I bambini dal canto loro siscatenavano a correre nella pineta osulla sabbia umi-da della spiaggia.

Solo Caterina, in tanto fervore dimovimento, stava seduta, composta etranquilla, su un divano a dondolo,sorvegliando Maurizio che si sporgevadal suo cesto di vimini cercando diafferrare sassi, foglie e insetti peringoiarli.

Mo si divertiva moltissimo. Il mare

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terrestre era così diverso da quello diDeneb!

E così pure la spiaggia, con le suedune di sabbia da cui ci si potevalanciare rotolan-do senza pericolo difarsi male. Luigi e Cecilia avevanosabbia dentro le scarpe, in testa, perfinonelle orecchie!

Fecero due bande: Mo e Ceciliacontro Andrea e Luigi. Si cercarono duecovi fra i ginepri dove nascondersi; poifecero delle sortite, si picchiarono,rotolarono avvinghiati lungo le dune…Vinse la banda di Mo. Una giornatadavvero eccitante!

Quando fu l’ora di rientrare in città,Maurizio dormiva e la sua culla fu

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sistemata nel sedile posteriore dell’autodel signor Nicola, che era piùmolleggiata dell’altra, anche se piùpiccola e meno veloce.

Col babbo e con Maurizio andaronoMo, Andrea, Luigi e Cecilia. Tutti glialtri, compresa la signora Lucilla chevoleva continuare un’interessanteconversazione con la sorella, salironosulla macchina del signor Brandi.

Per non svegliare il bambino, ilsignor Olivieri guidava con moltaprecauzione, a una velocità ridottissima,e presto l’altra macchina li distanziò dimolti chilometri.

— Pazienza! — rise il signorOlivieri — arriveremo un’ora dopo di

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loro e trove-remo la cena già pronta.Ma era destino che quella sera loro

non avrebbero cenato a casa. A questopunto potrei raccontarvi i fatti creandouna atmosfera di suspense… Potreidescrivere come la signora Lucilla,apparecchiata la tavola, preparato ilbagnetto per Maurizio, fosse andatasulla soglia ad aspettare…

E avesse aspettato invano fino allequattro del mattino fra palpitazioni,sveni-menti e telefonate alla polizia eall’ospedale… Cosa era mai successo alsignor Nicola e ai bambini che eranocon lui? Cosa era successo al piccoloMaurizio che dormiva così beatamentenel suo cestino di vimini?…

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Ma non voglio tenervi così a lungosulle spine. I fatti erano molto semplici:lungo la strada che portava dal mare allacittà c’era un ponte. Questo ponte eramolto vecchio e in cattive condizioni ecirca un quarto d’ora dopo il passaggiodella macchina dei signori Brandi, unodei suoi piloni era crollato.

Per fortuna in quel momento non cipassava sopra nessuno, ma la PoliziaStradale, subito accorsa, avevaimmediatamente sbarrato il suo accessocon una catena e aveva vietato il transitofino a che non fosse riuscita a farloriparare.

Così che, quando mezz’ora dopo eraarrivata la macchina del signor Nicola

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col suo carico di bambini, un militecortesissimo ma deciso aveva ordinatoloro di tornare indietro. Per un paio digiorni sul ponte non si sarebbe potutoassolutamente passare, a rischio di farlocrollare definitivamente e di rovinarecon le macerie dentro al fiume.

Non era una tragedia e neppureun’avventura emozionante.

Avevano frenato in tempo al segnaledi stop, non avevano rischiato disbattersi né di precipitare nel fiume, ilmilite era stato gentile, non li avevaminacciati con la pistola né picchiaticon il manganello… Maurizio non si eraneanche svegliato. Però a casa nonpotevano tornare perché quella interrotta

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era l’unica strada.Per fortuna il signor Nicola aveva la

chiave della villetta. Non restava chetornare lì e aspettare il momento in cui ilponte fosse stato riparato. Niente piùche una vacanza non prevista, in fondo,se non ci fossero stati due grossiproblemi. Uno era la presenza diMaurizio, che aveva assolutamentebisogno della mamma; l’altro lamancanza, al di qua del ponte, di untelefono, un telegrafo o un qualsiasimezzo per informare la signora Lucilla ei Brandi dell’accaduto.

Il Signor Nicola, gridando al di làdel ponte, pregò uno dei vigili ditelefonare lui a casa per rassicurare la

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famiglia, ma quello, occupato dalleoperazioni di sorveglian-za e diripristino, non riuscì a farlo prima dellequattro del mattino.

E questo è il motivo per cui lapovera signora Lucilla e i Brandipassarono quella notte d’inferno,immaginando tutte le disgrazie chepotessero essere capitate agli altrimembri della famiglia.

Ma quando finalmente furonorassicurati sulla loro sorte e seppero cheavevano l’intenzione di ritornare allavilletta e di rimanerci per tutto il tempodell’attesa, invece di respirare disollievo, la signora Lucilla si gettò suuna poltrona lamentandosi:

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— Il mio Maurizio! Il mio bambino!me lo faranno morire quegli sciagurati!

Maledetto il momento in cui sonosalita sull’altra automobile!

Era fermamente convinta chenessuno, fra suo marito, Andrea, e Mofosse in grado di accudire al bambino.Su Cecilia e Luigi ovviamente noncontava, che anzi, essendo piccoli esenza mamma, probabilmente avrebberosofferto moltissimo anche loro.

— Almeno ci fosse Caterina! —sospiravano all’unisono le tre donnedella famiglia.

Mai in vita sua Caterina si erasentita così importante.

In effetti qualche volta Caterina si

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era occupata del piccolo. Aveva chiestospiegazioni sul modo di allevarlo e leaveva ottenute, mentre Mo alle stessedomande non aveva ottenuto risposta,anzi era stato allontanato con fastidio…

Ma neppure in quel momento didisperazione la signora Lucilla ebbe ilbuon senso di pensare che, se avesseabituato Mo e il signor Nicola a averecura di Maurizio, ora non si sarebberotrovati così a mal partito.

3Per quanto riguarda suo marito, la

signora Lucilla non aveva torto. Quandofu rientrato nella villetta e si videattorno i tre bambini (il cestino diMaurizio sempre addormentato poggiato

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sul pavimento del soggiorno), il signorNicola ebbe un attimo di panico. Comese la sarebbe cavata, lui che era soltantouno sprovveduto padre e zio? Aconfermare le sue paure Luigi cominciòa frignare: — Ho fame! Ho sonno!

Voglio fare la pipì! Voglio la miamamma!

Naturalmente svegliò Maurizio chesi mise a gridare anche lui. Fra l’altroera arrivata l’ora del suo biberon enessuno era preparato a dargli damangiare. Fortunatamente Cecilia ebbeil buon senso di stare zitta, perché seavesse cominciato anche lei,probabilmente il signor Nicola sarebbescappato via abbandonandoli tutti al

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loro destino.Non lo fece, perché in fondo era un

padre e uno zio coscienzioso eresponsabile, ma si gettò sul divano conle mani fra i capelli chiedendosi comeavrebbe fatto ad affrontare la situazione.

Ci pensò per un bel po’, senzavenire a capo di niente, ma era inutileche spre-casse tanta energia cerebrale,perché a prendere in mano la situazioneintanto ci aveva già pensato Mo.

Luigi si buscò un energicoscapaccione; gli furono sbottonati icalzoncini e fu spedito in gabinetto,accompagnato da Andrea, incaricatominacciosamente di so-vraintendere alleoperazioni, perché non c’erano

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calzoncini o mutande di ricambio.Maurizio fu sollevato dalla culla e

sistemato sulle ginocchia di Cecilia,mentre Mo andava in cucina a preparareil latte in polvere, di cui fortunatamentec’erano dei barattoli di scorta nelletasche della culla portatile.

Per amore di Mo, Cecilia non misele dita negli occhi di Maurizio, né glitirò i capelli e stette bene attenta a nonfarlo cadere per terra. Così che pocodopo il bambino potè bere il suo lattecon grande appetito e buonumore.

A questo punto, rassicuratodall’efficienza e dalla tranquillità delragazzino denebiano, il signor Nicola siera alzato dal divano e aveva deciso di

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collaborare con Mo.I tre giorni prima che fosse

ripristinato il traffico sul pontepassarono anche troppo in fretta per i“prigionieri”.

I ragazzi giocarono moltissimoall’aperto e il signor Nicola ebbe mododi fare amicizia con Maurizio, che fino aallora aveva sempre guardato dalontano, non per aridità di cuore, ma perla convinzione tutta terrestre che ibambini piccoli sono esseri fragilissimie che solo le donne sono in grado dimaneggiarli senza fare danni.

Il fatto che Marco, che non era untipo tanto per la quale, non avesseancora danneggiato in qualche modo la

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piccola Stella, non era che l’eccezioneche conferma-va la regola.

Per il mangiare, il dormire, ilvestirsi e il lavarsi, se la cavaronobenissimo. (Forse si lavarono un po’meno del necessario, ma per fortuna nonc’era nessuna mamma o nonna acriticare, e in definitiva nessuno siammalò per la sporcizia.) Mo era unorganizzatore nato. Assegnò a ciascunoun compito particolare, curò icollegamenti, mise agli arresti Andreache si rifiutava di sbucciare le patate, eli tenne tutti di buonumore.

Anche quello che sembrava ilproblema principale, la cura diMaurizio, fu risol-to senza drammi.

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Forse il piccolo non mangiava a orariesattissimi come a casa; non venivacambiato ogni volta che ce ne sarebbestato bisogno, non odorava di colonia-baby o di borotalco… Ma era allegro ein ottima salute: tirava i capelli a tutticon grande entusiasmo e non stava unattimo da solo perché gli altri cinque,non avendo niente da fare, se locontendevano: i ragazzi per portarseloappresso sulle dune; il signor Nicola perfarlo giocare sul tappeto mentre luifumava la pipa o per farselo saltaresulle ginocchia.

L’unico problema erano i rapportifra Mo e Andrea.

Non dimentichiamo che, dall’arrivo

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di Mo sulla Terra, erano passati circadue anni. In questo tempo Andrea eracresciuto col ritmo terrestre, e di anni neaveva do-dici. Era alto, robusto, con unprimo accenno di baffi e la vocestridula.

Si considerava ormai un ragazzogrande e si dava un sacco d’importanza.

Mo invece era cresciuto col ritmodenebiano, cioè assai lentamente. Eraancora poco più che un bambino delleelementari, un po’ magro e delicato,anche a causa dei disagi dellaacclimatazione e dell’adattamento alleabitudini e ai cibi terrestri.

Però ragionava benissimo, e avevauna forza di volontà superiore a quella

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dei coetanei. Ma per Andrea ricevereordini da quel “bambino” era una cosatroppo umi-liante.

Tanto più che spesso erano ordiniintollerabili per uno abituato come lui aandarsene in giro per i fatti suoi e atrovare tutto preparato a puntino dalledonne di ca-sa.

Non sopportava di dover tagliare lacarne a Luigi che ancora non era capace,di dover pettinare Cecilia, di rifarsi illetto, di lavare i piatti quando era il suoturno.

Solo l’autorità conferita a Mo dallasua origine denebiana e dalla grandeforza fisica che, nonostante l’aspettofragile, questa comportava, evitarono

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che i rapporti fra i due ragazzi finisseroa pugni. All’inizio Andrea avevaadottato la tattica che usava le rare volteche sua madre gli chiedeva qualcheaiuto in casa. Non si rifiutava, ma facevale cose talmente male che la voltasuccessiva sua madre preferiva chiederequel favore a Caterina.

Con Mo non aveva funzionato.Pretendeva che Andrea ripetessel’operazione anche dieci volte, fino aeseguirla a regola d’arte. Di rifiuti nonvoleva neppure sentirne parlare.

L’atmosfera era elettrica. Mo ormaiera impaziente e insofferente: noncapiva in virtù di quale privilegioAndrea pretendesse di essere l’unico a

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farsi servire dagli altri, quando ancheCecilia si dava da fare oltre al limitedelle sue giovani forze.

Andrea si sentiva feritonell’orgoglio e diminuito davanti allozio e ai fratelli minori. Dentro di ségiurava vendetta.

Finalmente arrivò un milite inmotocicletta ad annunciare che il ponteera stato riaperto al traffico.

Mo insistette che la villetta venisseriordinata e ripulita in modo da lasciarlaco-me l’avevano trovata; dopodichésalirono sulla macchina e partirono allavolta della città.

La signora Lucilla non era stataavvertita del loro arrivo. Non era

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neppure a casa ad aspettarli. Si eratrasferita in casa dai Brandi, dovepassava il tempo a lamentare la sorte delpovero Maurizio e ad elencare, a garacon la nonna, le sciagure che nelfrattempo potevano essergli capitate.

Sua sorella, dal canto suo, trepidavaper la sorte di Luigi. Per Cecilia nonnutriva eccessive preoccupazioni, primadi tutto perché ormai era grandina, e poiperché era noto il suo affiatamento conMo, che certamente avrebbe protettoalmeno lei dai peri-coli più gravi.

Il momento dell’incontro fucommovente: lacrime, abbracci,esclamazioni di gioia, ringraziamentialla sorte!

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Subito dopo Maurizio fu spogliatonudo per controllare che non avesseferite, bernoccoli, lividi o croste disporcizia. Fu pesato sulla bilancia,lavato e incipriato…

Gli controllarono persino — quandola fece — il colore della cacca…

La signora Lucilla sembrava quasidelusa del fatto di non aver riscontratonessun danno… Era talmente convintache i bambini piccoli avessero bisognodi una quantità di cose (di tre tipi peressere pignoli: quelle che diceva lapubblicità; quelle che dicevano ipediatri sulle rubriche dei rotocalchi equelle che dicevano le nonne) che ilfatto che Maurizio fosse sopravvissuto

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indenne a tre giorni in balìa di maschi,in una ca-sa priva di ogni confort civile,le pareva una cosa incomprensibile,assurda, inquietante, che mandavaall’aria tutte le teorie in cui credeva.

Comunque li riaveva tutti e tre acasa sani e salvi, e questo eral’essenziale!

— Però, che caratterino quel Mo! —le raccontò il signor Nicola prima diaddormentarsi. — Ci ha messo tutti inriga! Un’organizzazione perfetta come sein tutta la sua vita su Deneb non avessefatto altro che mandare avanti una casa.E anche per Maurizio, cosa credi, era luiche prendeva le decisioni, che glidosava la farina lattea, che stabiliva

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quando era ora di farlo dormire… Ionon avrei saputo da che partecominciare…

— Lo credo bene — rispose suamoglie. — Ma questi sentimenti maternimi in-sospettiscono. Che gli psicologiabbiano sbagliato? Che tutto sommato,Mo non sia un maschio ma una bambina?

— Ma va! Dovevi vedere come hatenuto testa a Andrea che oltre tutto è unpalmo più alto di lui! Non ho mai vistoCaterina fare niente di simile…

Però la signora Lucilla tardava adaddormentarsi… Se, nonostante ilresponso del professor Dotto, Mo fossestata una ragazzina, la “salvezza” diMaurizio avrebbe avuto una spiegazione

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logica. Così come stavano le cose, lasignora Lucilla era molto di-sorientata…

Due giorni dopo però Mo riportò acasa una medaglia vinta a un campionatoju-niores di boxe, si gettò a gambelarghe sul letto, imbrattando lasopracoperta colle scarpe infangate,chiese imperiosamente la sua merenda esi mise a sfogliare un gior-naletto dicowboys…

Decisamente era proprio unmaschio. La signora Lucilla tirò unsospirone di sollievo.

4Come a confermare la signora

Lucilla nella certezza che Mo fosse

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proprio un ragazzo, pochissimo tempodopo si verificò quella che, nell’epicafamiliare e per molte generazioni avenire, fu chiamata “l’invasione deitopi”

La storia era cominciata in sordina,e niente faceva prevedere che sarebbesfo-ciata in un dramma.

A Maurizio era spuntato un dente, eper alleviargli l’irritazione alle gengive,gli davano da succhiare dei biscottimolto duri. La signora Lucilla ne tenevasempre una riserva sul comodino, nelcaso Maurizio si svegliasse di notte.

Tutte le mattine però trovava qualchebiscotto rosicchiato. Non poteva esserestato Maurizio che non era ancora

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capace di camminare. Forse Mo? Monegò recisamente. Il signor Nicola, inuna crisi di insonnia? Negò anche lui esi offese un poco.

Mistero.Un pomeriggio la signora Lucilla, la

signora Brandi e la nonna si eranoriunite nella stanza di Maurizio alavorare a maglia. Andrea, Cecilia eLuigi erano rimasti a casa loro aguardare i cartoni animati allatelevisione, ma Mo e Caterinagirellavano attorno alle signore perchéstavano aspettando il momento adattoper chiedere il permesso di andare atrovare il dottor Gil al Laboratorio diScienze Denebiane. Per Mo non era un

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problema, per Caterina sì.Bisognava trovare sua madre in un

momento buono, e che la nonna nonavesse niente in contrario.

Mo e Caterina andavano moltod’accordo, anche se la ragazzina ormaisorpassa-va Mo di tutta la testa e glimetteva senza fatica un braccio attornoalle spalle con aria protettiva.

Sembrava un pomeriggio come tuttigli altri: tranquillo, un po’ noioso,monoto-no…

Quand’ecco, da sotto l’armadio,sbucarono all’improvviso tre topi e sidiressero verso la culla del bambino.

Per prima li vide la nonna. Lanciò unurlo acutissimo, indicando il pavimento

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con un dito tremante. Immediatamenteanche mamma e zia guardarono, e quasinello stesso tempo strillarono e salironoin piedi sulle rispettive sedie.

Mo non aveva fatto in tempo arendersi conto dell’accaduto: avevasentito delle urla, aveva visto le tredonne saltare sulle sedie… ma nonaveva capito perché.

Si girò verso Caterina per chiederlese fossero impazzite, ma anche Caterinacorreva strillando verso un tavolino,stringendosi la gonna attorno alla gambe.Naturalmente Maurizio, spaventato, siera messo a piangere.

E Mo non riusciva a capire l’originedi tanto trambusto.

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Finalmente, seguendo gli sguarditerrorizzati delle donne, vide i tre topiche ormai erano arrivati ai piedi dellaculla. Li riconobbe subito per avernevisto la foto nell’Enciclopedia discienze naturali terrestri. Sapeva chequesti topolini grigi di campagna sonoinnocui. Tutt’al più mangiano il granonelle dispense, ma in quella stanza granonon ce n’era e quindi Mo non capiva ilterrore che madre, nonna, zia e cuginasembravano provare.

La signora Lucilla, di solito cosìsollecita nei confronti di Maurizio,nonostante il bambino piangesse aperdifiato, non lasciò la sedia perandare a consolarlo.

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Strillava: — Il bambino! Il bambino!Si avvicinano al bambino! Fatequalcosa!

— Ma da parte sua non muoveva undito.

Fu Mo a sollevare il fratellinourlante dalla culla, ma a questo suomovimento i topi spaventati si misero acorrere per la stanza come impazziti.Allora fu il caos.

Ciascuna delle donne strillava,incitava le altre a fare qualcosa ecercava di arrampicarsi ancora più inalto di quanto già non fosse.

La nonna tentò anche unosvenimento, ma era in bilico su unapoltroncina di vimini un po’ traballante e

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la prospettiva di cadere svenuta sulpavimento in balìa dei topi, la fecesubito rinsavire. Mo era l’unico con ipiedi sul pavimento, e a dire il vero nonne subiva alcun danno.

Appena, attraverso il frastuono e laconfusione, gli riuscì di ragionare, capìsubito che in tutta la stanza i piùspaventati erano i topi; ed erano gliunici probabilmente ad averne unragionevole motivo. Una volta stabilitoquesto, fece l’unica cosa che c’e-ra dafare. Sempre tenendo in braccioMaurizio, si avvicinò alla portafinestrache da-va sul balcone e la spalancò.Come tre saette i topi varcarono lasoglia e per lo slancio saltarono giù in

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giardino.A Mo non sembrava di aver fatto

niente di eccezionale; ma questa eral’opinione della signora Lucilla. Unavolta scese dalle sedie e ricomposte, letre donne lo abbracciaronoringraziandolo, lo salutarono come unsalvatore, lo lodarono, andarono araccontare del suo valoroso coraggio atutto il vicinato.

— Pensa, — diceva la signoraLucilla a suo marito — quelle orribilibestie stavano già per raggiungereMaurizio, e lui, Mo, incurante delpericolo, si è slanciato ed ha strappato ilnostro bambino alla sua orribile sorte.

Quanto dovevano essergli

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riconoscenti!Caterina dal canto suo prese a

nutrire per Mo una ammirazione senzapari, molto superiore a quella chenutriva per Andrea.

Andrea invece non si lasciòimpressionare così facilmente. Anche luiin fondo sarebbe stato capace diaffrontare tre topi e di metterli in fuga.

— Ti avrei voluto vedere allaprova! — diceva sua madre scettica.

Ormai anche lei aveva perduto laantica diffidenza nei confronti diquell’essere ambiguo che le era apparsoMo nei primi tempi. Chi, se non unmaschio valoroso, le avrebbe saputesoccorrere a quel modo nel pericolo?

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5Stella, la figlia di Anna, era la più

giovane dei cugini terrestri di Mo. Masei me-si dopo la sua nascita, Anna eMarco avevano provveduto a fornirgliancora un altro cugino.

Non è che, in così poco tempo, fossenato loro un altro bambino;semplicemente avevano adottato unragazzino di sette anni i cui genitorierano morti in un incidente stradale.

— Incoscienti criminali! — avevacommentato la nonna. — Non hannoneanche abbastanza denaro permantenere la loro, di figlia, e siprendono in casa un estraneo!

Come farà Anna a star dietro a

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questo ragazzino, se con quel dannatoosservatorio che non ha voluto lasciarenon riesce a occuparsi neppure della suabambina?!

Marco però aveva spiegato a Moche il bambino, Giovanni, era figlio diun suo carissimo amico, e che non avevanessun parente al mondo. Perciò, unavolta morti i genitori, non avrebbe avutoaltra possibilità che andare a finire in unistituto.

— Lo potevano far adottare daqualcun altro! — protestava la nonna.

— Ma Giovanni a noi ci conoscevagià, e ci voleva già bene. Perchésarebbe dovuto andare da unorfanotrofio all’altro in attesa che

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qualche sconosciuto se lo portasse acasa? — protestava Anna. — Marcovoleva bene a suo padre, e non loavrebbe potuto sopportare… Pensa sedovesse succedere a Stella!

— Quante sciocchezze! A Stella cipenseremmo noi — sbuffava la nonna.

Comunque Giovanni era rimasto incasa di Marco e Anna e ormai lichiamava mamma e papà. Come Mo,aveva una grande ammirazione per illavoro di Anna, e Marco avevacomposto per lui una canzone cheavevano imparato a cantare insieme,accompagnandosi col flauto e lachitarra. Diceva così:

Mia mamma fa l’astronoma,

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conta le stelle e i pianeti;le macchie della lunaper lei non hanno segreti.Passa le notti a studiare,forse non ci crederete,cercando di misurarela coda delle comete.Perciò, perciòho deciso, sai, da grande che farò!— “Chissà, chissà,che mestiere vuole fare quello là?”Naturalmente farò anch’io

l’astronomoper esplorare gli universi più

lontani.Come la mamma anch’io sarò

bravissimo

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e arriverò a comunicare coimarziani.

Mille galassie sconosciute cicircondano,

ma la mia mamma le conosce tuttequante.

Anch’io da grande come lei saròbravissimo:

sarò un astronomo famoso edimportante.

— “Ma va’, ma va’!Vorrai dire bravo come tuo papà!”— Eh, no. Direiche la più in gamba a casa nostra è

proprio lei!A casa nostra non splendonoi vetri né il pavimento.

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A noi ci basta che brillinole stelle del firmamento.La mamma poi non si stancaa candeggiar le mutande:c’è la Via Lattea che è biancaed è più bella e più grande…Perciò, perciòho deciso sai da grande che farò…Vorrei, vorreidiventare forte e bravo come lei.Se usciamo insieme sono

orgogliosissimoanche se devo stare molto attentoperché non guarda dove mette i

piedie inciampa per scrutare il

firmamento.

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Mi insegna con pazienza a farl’astronomo;

risponde sempre a tutte le domande.Vorrei rassomigliarle il più

possibile,non vedo l’ora d’essere già grande.— “Ma va’, ma va’!Vorrai forse somigliare al tuo

papà!”— Macché, macché,mamma, voglio somigliare proprio

a te.Anche se dal punto di vista

scientifico la canzone non era moltocorretta, Anna tuttavia era moltoorgogliosa quando la sentiva cantare. Ladomenica invitavano molto spesso Mo a

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pranzo, e Mo ci andava volentieri,perché gli erano simpatici. Stella avevaormai quasi un anno ed era una bambinarobusta e vivace, nonostante le previ-sioni catastrofiche della nonna.

Oltre ai due bambini in casa c’eranoun cane, due gatti e un merlo parlante, equesto talvolta creava un po’ diagitazione. A Mo piaceva moltissimo, esi faceva insegnare anche lui a suonarela chitarra. Aveva imparato però che nonera prudente raccontare alla nonna o aisuoi genitori, al ritorno, quello che erasuccesso in casa di Anna. Se lointerrogavano, rispondeva a monosillabie cercava di non sbilanciarsi. Su Denebquesta gli sarebbe sembrata una

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ipocrisia, ma sulla Terra si chiamavaessere diplomatici.

Quel pomeriggio però la notizia eratroppo bella e importante per nonriferirla.

— Anna ha vinto una borsa di studioper andare a Houston a studiare la suastella cometa! — esclamò appena misepiede in casa, raggiante di felicità per ilriflesso della felicità di Anna.

— Come sarebbe a dire a Houston?Nel Texas? In America? — chiese lanonna.

— Sì. Proprio nell’osservatorio diHouston. Pensa che Anna è la prima inEuropa: la borsa di studio comprende unanno di soggiorno in America, spesata di

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tutto e ospite di quella università.— Un anno in America! — esclamò

la nonna indignata.— Calmati mamma. Naturalmente

Anna avrà rifiutato — la rassicurò lasignora Lucilla. — Come farebbe aportarsi dietro i bambini, specie ora chene ha due?

— Appunto, — rispose Mo — laborsa di studio prevede che si abiti alpensionato universitario e non copre laspesa di una casa e di una bambinaia.Però Anna ha accettato lo stesso:Giovanni e Stella tanto li tiene quiMarco.

— Questo è il colmo — gemette lanonna. — Sapevo che Anna era

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stravagante e irresponsabile, ma nonavrei pensato che fosse anche una madresnaturata.

— Scusa nonna, — osservò Mo —ma tu stessa mi hai raccontato chequando i gemelli erano piccoli lo zioOsvaldo è stato per un anno in Australiaa dirigere la fi-liale della sua ditta…Alla zia e ad Andrea e Caterina non èsuccesso niente di male, o sbaglio?

Gli dava rabbia veder rigirare a quelmodo una notizia che in casa di Annaaveva portato tanta gioia.

Marco aveva osservato: — Cimancherai molto, ma l’ho sempre saputoche quella cometa era il sogno della tuavita. D’altra parte quando io sono

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andato ai convegni degli scrittori tu nonhai mai fatto storie. Vuol dire che per unanno non andrò a nessun convegno eresterò a casa con i bambini. In fondo unanno non è poi così lungo.

Ci telefoneremo tutte le domeniche eci scriveremo spesso.

Era molto fiero che Anna, unica fratutti gli astronomi d’Europa, avessericevuto quella borsa di studio, che eraun riconoscimento internazionale allasua bravura. Era anche sicuro che suamoglie a Houston avrebbe fatto dellescoperte importantissime e che sarebbefinita su tutti i giornali.

Ma anche i familiari di Annasapevano che fin da bambina lei non

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aveva desiderato altro dalla vita.— Perché dovrebbe rinunciarvi,

visto che è stata così fortunata daottenere la borsa? — chiese Mo.

— Eh, caro mio, a voi giovanisembra tutto facile!… Quando si mettesu famiglia, si deve essere disposti atutti i sacrifici! — rispose la nonna.

— Disposte — corresse Mo. — Sefosse Marco a dover partire non tiarrabbie-resti tanto.

— Taci tu, che non capisci niente —lo interruppe la nonna stizzita. — Epazienza per te che vieni da Deneb. Maquei due ragazzi, cosa credono di fare?Non hanno il minimo senso dellarealtà…

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— Quello che mi meraviglia di più— osservava il signor Brandi — è cheMarco la incoraggi in questa pazzia. Selo facesse mia moglie, la denuncerei perabban-dono del tetto coniugale…

— Per carità! Ci manca che siseparino! — gemeva la nonna.

— Non agitarti tanto, mamma — laconsolò la signora Lucilla — la partenzaè prevista fra sei mesi. C’è tutto il tempoper cambiare idea. Vedrai che quandoAnna affronterà in modo concretol’organizzazione della casa e lasistemazione dei bambini durante la suaassenza, rinuncerà a partire.

Quando però la madre e le sorellecercarono di far ragionare Anna, Marco

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si arrabbiò moltissimo e ingiunse loro difarsi i fatti propri Anna continuò asognare sul prossimo viaggio, e nelfrattempo si iscrisse a un corso diaggiornamento astronomico e di ingleseche si teneva in una cittadina distantedalla loro duecento chilometri.

Poiché a viaggiare tutti i giorni sistancava troppo, andò a stare a pensionee tornava a casa solo al fine settimana.

— E così comincia subito adabbandonare al proprio destino figli emarito! —

concluse la nonna disgustata.6Erano ormai passati quasi tre anni da

quando Mo era arrivato sulla Terra. Tre

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anni sono un tempo molto lungosoprattutto per un ragazzino. C’è dentroabbastanza spazio perché succedaun’infinità di cose, e questo senzabisogno di vivere una vita avventurosa,ma solo nel trascorrere delle normalivicende quotidiane di una famigliaterrestre qualsiasi, come quella cheospitava Mo.

Il ragazzino denebiano intanto avevapassato per due volte le vacanze estivesecondo l’uso terrestre: una volta inmontagna e una volta al mare.

Poi aveva cambiato scuola,passando ad una classe superiore in unaltro istituto.

Nella nuova classe, provenendo già

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da una sezione maschile ed essendoormai abituato agli usi terrestri, nonaveva avuto nessuna difficoltà diinserimento. Aveva fatto molte amiciziee andava perfettamente d’accordo con icompagni, sebbene fosse il più piccolodi tutti, quanto al fisico. Con una dozzinadi amici aveva formato una banda.

All’inizio si riunivano per caso:perché abitavano nello stesso quartiere,perché avevano gli stessi orari e lestesse lezioni, perché le loro famiglie siconoscevano ed erano in rapporti diamicizia… Poi erano nate all’interno delgruppo le simpatie reci-proche… A Mopiaceva molto un ragazzino chiamatoSimone, e a Simone piaceva Mo, così

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che divennero inseparabili.Infine un certo Carlo che aveva letto

molti libri e visto molti filmd’avventure, aveva proposto che ilgruppo si organizzasse, si desse unregolamento, scegliesse una sede,inventasse un cerimoniale… neconseguiva che prima di tutto bisognavaelegge-re un capo.

Gli altri accettarono con entusiasmo.La sede c’era già: era una vecchia casaco-lonica diroccata, nascosta in unamacchia di pini dietro alla palestra dellascuola.

Il cerimoniale, complicatissimo esuggestivo, fu elaborato da quattrocomponenti appassionati di epica.

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Michele, Simone, Eugenio e Federicosapevano tutto sull’Ed-da, sull’Iliade,sulla Tavola Rotonda, sui Paladini diFrancia, sui romanzi di Salgari e diKipling, sulla epopea dei Pellerossad’America, sui boy scout e sui filmwestern…

Si può quindi immaginare che i ritidi ammissione alla banda e ilcerimoniale per le riunioni fosserocoreografici e coloriti.

Più complicata però era statal’elezione del capo.

All’inizio sembrava logico chevenisse scelto Carlo. In fondo l’ideadella banda era stata sua; lui avevadiretto i lavori di preparazione e di

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organizzazione…Ma al momento delle elezioni

inaspettatamente la maggioranza avevascelto Mo, e Carlo l’aveva presa moltomale.

Mo da parte sua non aveva fattoniente per mettersi in vista. Ma nonc’era dubbio che era il più forte di tutti,il più deciso, il più maturo, quello su cuisi poteva contare in ogni momento, e glialtri ragazzi se ne erano accorti.

Inoltre a Carlo piaceva comandare eumiliare gli altri con la propriasuperiorità.

Mo invece non sfoggiava la suaforza se non ci era trascinato per icapelli, ma tutti i ragazzini in giro — i

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compagni di scuola come quelli dellebande rivali — la conoscevano se nonaltro per fama.

E la sua origine denebiana gliconferiva un fascino e una autorità chenon rendevano troppo umilianti per glisconfitti le sue vittorie. Naturalmente erastato ben felice di diventare capo! Nonlo aveva desiderato in modo particolare,ma non era neanche un martire dimodestia! Aveva affrontato con grandegusto tutto il cerimoniale dellainvestitura: la lotta con gli altripretendenti, le danze attorno al totem, ifuochi e le corone di paglia… Avevascelto Michele come luogotenente eSimone come scudiero, aveva fissato il

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calendario dei raduni…A casa sua ridevano con indulgenza

di questa fase “eroica”. Anche il signorNicola da piccolo aveva fatto parte diuna banda e pensava che questo modo dipassare il tempo libero fosse utileall’inserimento sociale di Mo fra icoetanei terrestri. Fra l’altro questaattività teneva Mo lontano da Andreaanche nel pomeriggio, e questa eraun’ottima cosa perché evitava litigi ediscussioni in famiglia, visto che, dopole “vacanze forzate”, il dissidio fra i duecugini era diventato insanabile. Ancheper gli altri, ovviamente, i tre anniavevano portato delle novità, oltre allapresenza dell’ospite denebiano.

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Intanto alla famiglia si erano aggiuntiMarco, Maurizio, Stella e Giovanni.

Cecilia aveva cominciato ad andarea scuola. Il signor Brandi aveva avuto lapromozione a capufficio cui tenevatanto. La nonna si era fatta fare ladentiera completa e Caterina si erainnamorata.

Non di un ragazzo in carne ed ossa,ma di un attore-cantante che faceva dellecommedie strappalacrime allatelevisione.

Tutti a casa la prendevano in giroper questo motivo, però non leproibivano di tappezzarsi la camera coni poster del suo idolo, di collezionare isuoi dischi e di sognare che un giorno,

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chissà, magari Lui sarebbe passato daquelle parti su una rom-bante automobilemetallizzata e le avrebbe sorrisosalutandola con la mano.

Caterina negli ultimi tempi non erapiù serena e equilibrata come nelpassato.

Anche lei era diventata più alta e piùmagra, non era mai soddisfatta delproprio naso e della propria pettinatura.Aveva per le amiche delle infatuazionifuriose e subito do-po litigava per unnonnulla. Era nervosa, insofferente,aveva malinconie e scatti di collerasproporzionati agli avvenimenti che liprovocavano.

Mo ne era dispiaciuto, ma non

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meravigliato. Anzi, gli pareva chequesta crisi fosse arrivata anche troppotardi, considerate le condizioni disvantaggio in cui Caterina venivacostantemente tenuta rispetto a Andrea.

Erano alti uguali, forti uguali, belliuguali (anzi secondo Mo Caterina erapiù bella e più simpatica, ma forse nonriusciva ad essere obiettivo conAndrea), però Andrea se ne andava ingiro da solo; aveva gli amici che voleva,un motorino veloce.

Non si rifaceva il letto, anzi non sipiegava neppure i vestiti prima diandare a letto; trovava la tavolaapparecchiata a casa, e poteva andare inpizzeria con gli amici… E a sua madre,

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quando lo vedeva, si illuminava losguardo. Caterina niente di tutto questo.Per ogni cosa doveva chiedere ilpermesso. Ogni libro, ogni film, primabisognava vedere “se erano adatti”.Doveva restare a casa a far compagniaalla madre e alla nonna, badare aCecilia, a Luigi e anche a Maurizio, seoccorreva… Sparecchiava, ca-ricava lalavastoviglie, portava fuori il saccodella spazzatura… E nessuno le dicevagrazie.

E non era solo il fatto di lavorare dipiù. Tutto il comportamento dei grandiattorno, anche se erano gentili e inquello che ritenevano adatto a leicercavano di ac-contentarla, sembrava

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dirle, a ogni occasione di confronto colfratello: in fondo tu sei

“solo” una ragazzina! Mo al suoposto sarebbe diventato nevrastenicomolto più in fretta. Cercava di sobillareCaterina alla ribellione:

— E tu esci! — le diceva. — Cosavuoi che ti facciano? Non tiammazzeranno mica! E il letto nonrifartelo più, se lui non si fa il suo.Dopo che avrai dormito per unasettimana sopra le coperte, o tua madrete lo fa lei, come a Andrea, o costringeAndrea a farsi il suo. Se poi ti picchia,infischiatene, ma non ubbidire. Non te ledarà poi così forte, e nessuno è maimorto per un paio di sberle… Ti

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punirebbero, dici? Ma peggio di così,come ti possono punire? E se ti diconodi badare a Luigi, tu spingilo e fallocadere. La prossima volta lo porterannocon sé e tu potrai venire con noi allacorsa campestre!

Ma Caterina non osava. In verità,anche a volersi ribellare, non avrebbesaputo da che parte cominciare. Poiaveva davanti agli occhi l’esempio diAnna, che per aver voluto fare di testasua, si era giocata l’affetto e la stimadella famiglia… Anna aveva Marco, chele voleva bene, ma lei, Caterina, conquel naso e quei capelli, e quel carat-teraccio immusonito, non avrebbetrovato nessuno… La mamma non faceva

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che ripe-terglielo, quando non eracontenta di lei…

Mo invece aveva trovato un suoequilibrio. La nostalgia dei suoi genitoridenebiani e di Tar e degli altri fratelli (osorelle? ora si sorprendeva adomandarsi) si era fatta col tempo piùsopportabile. L’accordo con la famigliaterrestre era buono. A Maurizio eCecilia voleva un gran bene e sentiva diesserne ricambiato. La salute era buona,la scuola andava bene. Era nutrito evestito in modo gradevole, aveva auto-nomia e responsabilità pari a quelle deicoetanei terrestri.

In più per lui ogni esperienza avevaancora il sapore eccitante della novità.

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Cosa poteva desiderare di più?Infatti non desiderava niente di

particolare. Consumava un giorno dopol’altro, soddisfatto di se stesso e delmondo che lo circondava. Avevaraggiunto, sulla Terra, un relativo stadiodi pace.

E fu proprio questo il momento chequell’originale del professor Me Slowscelse per fare ritorno alla vita civile. Ilritorno avvenne in sordina, senzanessuna pubblicità e gli Olivieri non neseppero niente. Forse si erano ormaianche dimenticati della sua esistenza. Ilresponso degli psicologi aveva appagatoil loro bisogno di sapere: Mo era unmaschio e tutti ne erano soddisfatti.

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Ma il dottor Gil aveva conservatoper tutto quel tempo la fialetta delsangue di Mo in una cella frigorifera eper lui la questione non era da ritenersichiusa.

Perciò appena il professor Me Slowrimise piede nel Laboratorio, ladefinizione del sesso di Mo fu il primoproblema che gli venne sottoposto dalsuo assistente.

7Era una mattina di domenica come

tutte le altre. Il signor Nicola innaffiavail giardino, la signora Lucilla facevadondolare l’altalena di Maurizio e Mocostruiva una piattaforma all’incrociodei rami più grossi dell’acacia, per farci

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una casetta come quella di Tarzan. Nonaspettavano visite e fu con una certameraviglia che videro la macchina deldottor Gil fermarsi davanti al cancello.Mo scese svelto dall’albero lungo lascaletta di corda e corse ad aprire al suoamico, tutto sorridente per il piacere divederlo.

Ma il dottor Gil aveva una facciastrana. Non si riusciva a capire se fossepiù divertito o più imbarazzato.Stringeva in mano una busta conl’intestazione del Laboratorio diRicerche Denebiane. Salutòeducatamente, sedette sulla sedia divimini, fece una carezza a Maurizio. Poiattirò Mo al suo fianco e lo cinse con un

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braccio.— Troverete tutto in questa busta —

disse, porgendola alla signora Lucilla— il risultato dell’esame del sangue, deicromosomi, le percentuali degli x edegli y e tutto il resto. Abbiamocontrollato, verificato, telefonato aDeneb per conferma. Possiamoaffermare che non ci sono più dubbi.Troverete tutto dentro la busta, ma tantovale che ve lo dica subito io: Mo è unafemmina.

E strinse più forte Mo, come perproteggerla da una minaccia. Ma nelgiardino non c’erano altri che i suoigenitori terrestri che l’amavano tanto, eche ora che avevano anche Maurizio,

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non potevano che essere fieri della loro“coppietta”. Un maschio e una bambinanon era forse quello che avevano sempresognato?

E allora perché a Mo parve che ilmondo le fosse crollato addosso?

V Vita da donna1Cosa c’è, in fondo, di tanto

drammatico, nel fatto di essere unaragazzina e non un maschio?

Superato il primo attimo dimeraviglia, Mo riprese subito ilcontrollo del proprio cervello ecominciò a ragionare. Cosa cambiava, indefinitiva? Una parola scritta su unpezzo di carta. Mo era ben sempre Mo.

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Dal momento in cui il dottor Gil avevaparlato, non un solo atomo del suocorpo, non un briciolo del suo modo diessere fatta dentro (anima, carattere,spirito, intelligenza, psiche, chiamatelocome volete) era cambiato.

Quello che era prima, quello che erasempre stata fin dai tempi di Deneb, loera anche adesso che era stata dichiaratafemmina. Era assurdo dunque quel sensodi angoscia, come di un animale preso intrappola. Forse, meditò, aveva sentitotroppe volte la parola “domare” riferitaa Cecilia o ad Anna, e quella parolanella sua memoria si associavasoprattutto a cavalli liberi presi allaccio.

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Si sforzò di considerare la novitànelle sue giuste proporzioni. Uncambiamento, certo, ma chi diceva cheera un cambiamento in peggio? E quanticambiamenti non aveva affrontato, evolentieri, da quando aveva scelto divenire ospite sulla Terra?

Anzi, a pensarci bene questavariazione le permetteva una esperienzaterrestre veramente completa.

Anche le reazioni immediate degliadulti non facevano supporre che lanovità fosse negativa, sgradevole, maleaccetta. E in fondo quello che Modesiderava più di tutto non era di esseredefinita in un modo piuttosto che in unaltro, ma di venire accettata e amata

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dalla famiglia in cui viveva e dallacomunità in cui era inserita.

La signora Lucilla, superato il primoattimo di sorpresa, si mostravapiacevol-mente eccitata. — Quanticambiamenti in famiglia, in questi ultimitempi! — esclamava contenta. — Unaragazzina! Chi l’avrebbe mai detto?Sono proprio contenta, Mo, di avere unaragazzina! Ma già! Io l’avevo sempresospettato, fin dal primo momento…C’erano tante cose che nonquadravano… Quella bambola dipelliccia da cui non ti volevi separare anessun costo… Chissà che fine ha fatto?Che bellezza, una figlia! Come andremod’accordo, fra noi donne! Quanta

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compagnia mi potrai fare!Mo era contenta di procurarle tanta

gioia, ma osservava che la signoraLucilla si esprimeva come se in casafosse arrivata una persona nuova. Moperò era lì da tre an-ni. Dunque in tuttoquel tempo non le aveva fatto abbastanzacompagnia? Eppure negli ultimi tempi leera parso (gli era parso, veramente) chefra lei e la madre ci fosse un buonrapporto. Lei, lui, Mo insomma, cel’aveva messa tutta per farli contenti. E

infatti fino a dieci minuti prima nonavevano avuto niente da ridire. Valli unpo’ a capire questi terrestri!

Il dottor Gil si accomiatò in fretta.Sul cancello disse a Mo, guardandola

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negli occhi con molta serietà: —Ricordati che se hai bisogno diqualcosa, di qualsiasi co-sa, su di mepuoi sempre contare.

Di che cosa poteva aver bisogno,che non le fosse servito anche prima?Quale aiuto i suoi genitori potevanonegarle, per dover ricorrere a unestraneo? Perché ora si mettevano tutti aparlare in modo sconclusionato?

In tre anni, dei terrestri non avevacapito proprio quasi nulla.

Appena il dottore fu andato via igenitori dissero a Mo: — Per favore, da’un’occhiata a Maurizio. Noi andiamodentro a parlare. A parlare di lei,naturalmente. Si capiva dal tono

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complice della voce. Che bisogno c’eradi fare tanto i misteriosi? Cos’avevanoda dirsi, che non potesse sentire anchelei?

I suoi genitori denebiani l’avevanosempre consultata, tutte le volte in cui laquestione di cui parlavano lariguardava.

E poi Mo sarebbe voluta risaliresubito sull’albero, dove c’era una traveche aveva bisogno di essere inchiodataal più presto, se no rischiava di caderetrascinandosi dietro tutto il lavoro giàfatto. Perché doveva restare a terra abadare a Maurizio, che era saldamenteassicurato con le cinghie al seggiolinodell’altalena e gli si poteva dare

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un’occhiata anche dall’alto dei rami?— Stai lì buono! — gli disse e si

arrampicò agilmente lungo il tronco perprose-guire il suo lavoro. Ma i granditardavano a tornare (quante coseavevano da dirsi?) e il bambino si misea piangere di impazienza perché nessunolo spingeva. Mo era a un punto crucialedella costruzione. Si trovava nel belmezzo di un nodo incrociato, che tenevainsieme tre travi e le univa a unabiforcazione del tronco. Se mollava lacorda adesso, ci sarebbe voluta un’altraora di lavoro per rimettere i pezziinsieme. Quindi, visto che Maurizio nonaveva niente di grave, ritenne di poterlolasciar frignare per un poco senza

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intervenire. Dello stesso parere non erala signora Lucilla, che subito siprecipitò fuori infastidita: — È così cheesegui gli incarichi che ti si danno?Comin-ciamo bene! — disse con unosguardo carico di disapprovazione. —Scendi immediatamente e occupati di tuofratello!

Mo si era sempre occupatavolentieri di Maurizio, senza chenessuno glielo chiedesse. Ora che lacosa le veniva ordinata in modoperentorio, e proprio nel bel mezzo di unlavoro a cui teneva tanto, non le piacqueaffatto. Pensò di rifiutarsi di scenderedall’albero, ma poi, tutto sommato,concluse che non ne valeva la pena.

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Forse quel giorno la signora Lucilla eranervosa, magari proprio a causa dellanotizia portata dal dottor Gil.

Fino a allora era sempre stata cosìgentile, aveva chiesto la collaborazionedi Mo

— quando l’aveva chiesta — contanto garbo e l’aveva accolta con tantagratitudine, che non era proprio il casodi impuntarsi per uno scatto di nervi.

Mo lasciò con rammarico che lapiattaforma di travi si scomponessetutta; scese dall’albero e con un sospiroandò a spingere l’altalena di Maurizio.

2Quando l’indomani i signori Brandi

tornarono dal mare, la notizia che Mo in

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realtà era una femmina, fece moltoscalpore.

I due bambini più piccoli, moltoincuriositi, guardavano Mo con occhiindagato-ri, quasi a cercarle sul volto ilsegno di quella diversità. Caterina ebbeuna crisi di pianto e non seppe spiegarnea nessuno il perché. — Stupida, cosa c’èda piangere —

la sgridava la nonna — invece diessere contenta, che adesso avraiun’amica con cui stare… — Ma questaipotesi non consolava Caterina.

— È l’età! — commentò sua madreindulgente. Ma Andrea, che aveva lastessa precisa età di Caterina (a parte lamezz’ora della discordia) non pianse

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affatto. Non sapeva se essere seccatoper la vergogna di essersi lasciatotiranneggiare così a lungo da unaragazzina, o se gongolare dal trionfoperché finalmente quella presuntuosasarebbe stata “rimessa al suo posto”.

La signora Brandi strinse le labbra edisse alla nonna a mezza voce:

— L’avevo sempre pensato, io, checome ragazzino non era tanto normale…

A Mo non restava che sperare che,almeno come ragazza, sarebbe stataapprova-ta e accettata dalla zia. Tuttostava nel riuscire a capire in fretta comecomportarsi per essere “normale” comeragazzina. Quei cambiamenti che lasignora Lucilla aveva detto di temere

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prima del responso dello psicologo, orafurono affrontati rapidamente e conentusiasmo.

Per prima cosa fu disdettol’appuntamento con il barbiere che lasettimana dopo doveva accorciare icapelli di Mo con la candela.

— D’ora in poi li lasceremocrescere — disse soddisfatta la signoraLucilla. —

Starai così bene con i capelli lunghi!E poi ci potremo sbizzarrire a cambiarepettinatura tutti i giorni!

Poi si pensò ai vestiti. Il guardarobadi Mo fu completamente rinnovato. Eraanche divertente andare in giro per inegozi e i grandi magazzini, scegliere,

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misurare, confrontare… Gli abitifemminili erano più divertenti di quellida ragazzo, più fanta-siosi, piùcolorati… Mo si guardava allo specchiotutta eccitata, girava su se stessa,palpava stoffe morbide e multicolori,scopriva i modelli più diversi. …Anchela signora Lucilla si divertiva come unabambina… Era un po’ come scegliere ilcostume per una recita o per una festa diCarnevale…

Mo sapeva che il signor Nicolaaveva detto di non badare a spese per“il nuovo corredo della mia signorina” egliene era molto riconoscente.Accontentarono ogni suo capriccio.Ebbe scarpette lucide di vernice e

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zoccoli campagnoli, calzettoni bianchitraforati e altri variopinti, gonne apieghe e arricciate, abiti severi e altrimolto fri-voli, camicette, golfini,cinture, borsette… Cecilia e Caterinanon avevano niente di così bello.

I vecchi abiti di Mo, le scarpe, labiancheria, furono messi in un grandepacco e dati al robivecchi. — Potevateregalarli a noi per Giovanni — si eralamentata Anna.

— Ma se quando ti ho offerto ilcorredino per Stella lo hai rifiutato! —aveva protestato la signora Lucilla.

— Non era la stessa cosa!— No, che non lo era: quelli erano

abiti nuovi, e questi erano usati. Sei

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proprio una bella stravagante!Il pomeriggio, quando Mo uscì in

giardino col suo bel vestito giallo dallagonna larga, con le scarpe scollate eleggere e un nastro tra i capelli, eraproprio soddisfatta di se stessa. Dalpunto di vista estetico — lo avevacontrollato allo specchio — esserefemmina sulla Terra era molto piùvantaggioso.

Dal punto di vista pratico un po’meno. Ecco come arrivò a scoprirlo ecome lo comunicò a suo fratello (osorella?) Tar.

Car Tar,ti ricordi di quella capanna che

avevo cominciato a costruire

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sull’albero quando credevo di essere unragazzo? Temo che non riuscirò mai aterminarla, e tutto per colpa dei vestiti.

Non ci crederesti, ma questi vestitida femmina, che a guardarli sembranocosì belli, sono di una scomoditàincredibile. Le scarpe, prima di tutto.Per riuscire a arrampicarmi sul troncoho dovuto togliere scarpe e calze, equesto mi ha procurato la primasgridata. Non ti dico poi che fastidio tidà la gonna quando ti arrampichi! Se èlarga, si impiglia da tutte le parti. Se èstretta, non ti lascia aprire bene legambe… lo poi sono riuscita anche astrappare una manica sotto l’ascella,appendendomi a un ramo, e a perdere

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due bottoni. Non ti dico quanto si èarrabbiata la signora Lucilla, e avevaanche ragione perché quel vestito loaveva pagato molto caro.

Un’altra cosa che non sta bene eche bisogna assolutamente evitarequando stai su un albero, è che da sottoti vedano le mutande. La prima voltaho pensato che fosse perché prima erostata con Cecilia a fare scivolonisull’erba e me le ero sporcate di verde.Ma anche quando sono pulitissime,guai a lasciarle vedere! A dar retta atutto quello che una ragazza nondovrebbe fare, per non sciuparsi ivestiti, bisogne-rebbe essere paralitici.Tu ti chiederai perché, quando voglio

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fare dei giochi movi-mentati, non mimetto dei vecchi pantaloni… Prima ditutto la signora Lucilla si dispiace. Èun mese che non fa che ripetermi che“una ragazzina deve essere sempre aposto”. E poi, come faccio a sapere inanticipo se più tardi avrò voglia disgran-chirmi un po’? Devo ancheconfessarti che questi vestiti sarannopoco pratici, ma so-no così belli chemetterli è una tentazione. Come unatrappola, per intenderci. Non miriconosceresti neppure, tanto sembrobella! Tutti quanti mi fanno un sacco dicomplimenti, e i complimenti — lo sai— fanno sempre piacere, soprattutto aun denebiano che sulla Terra rischia

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sempre di essere guardato come unmostro. Però di correre, arrampicarmisul cancello, sedere sul marciapiedeper giocare a biglie, fare a botte conqualcuno, posso anche scordarmelo!Vuoi sapere che cosa mi ripetono tuttoil giorno? “Stai composta, non gettarele gambe all’aria, non essere sguaiata,non sudare, non fare la lotta, nonsederti per terra, non fischiare…”Pensa che avevo appena imparato afischiare con due dita dentro labocca… Ero così contenta… ma lanonna quando mi ha sentita, è quasisvenuta e me lo ha assolutamenteproibito. Ma anche se non mi dicesseroniente, solo la preoccupazione di non

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guastare il vestito mi riduce come unamummia.

Per fortuna hanno cambiato quasitutti i mobili in camera mia, e quellinuovi sono molto più belli. Le tende, lecoperte, il tappeto hanno colori piùchiari… Ho un grande specchio vicinoalla finestra e dei quadri nuovi allepareti. Qualcuno di questi quadri peròè proprio idiota, melenso, tutto fiori eragazzine dalla testa grande…

Caterina dice che sono stilizzate,ma a me sembra uno stile propriocretino…

Hanno portato via anche i mieivecchi giocattoli: il meccano, leautomobiline, i guanti da boxe, le

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scarpe da football e tutto il resto… Ilsignor Nicola mi voleva comprarebambole, carrozzine, servizietti dipiatti e posate, ma la signora Lucillagli ha detto che purtroppo ormai erotroppo grande per quel tipo digiocattoli. Meno male che se n’èaccorta! Neanche Cecilia li degna diuno sguardo! Però, così adesso sonosenza giochi. Mi hanno spiegato chenon sono più una bambina, ma che èancora troppo presto per darmicollane, rossetto e altri passatempifemminili… Perciò se non avessi i libri,qualche volta mi annoierei a morte.

Tu mi chiedi che effetto fa essereuna femmina e che cosa ti auguro di

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scoprire per te, quando avrai cinquantaanni… Non so cosa dirti. A me non fanessun effetto; se non me lo avessedetto il dottor Gil neanche cicrederei… Sono i terrestri che mi fannoun effetto strano: più sto in mezzo aloro e meno li capisco… Quanto poi acosa ti auguro di essere, non lo so,visto che tu non verrai qui ospite diuna famiglia terrestre. In fondo cosa tene importa? Ho paura di averviconfuso un po’ le idee anche a voi suDeneb, con questo mio continuocambiar sesso. Sembrerebbe quasi chefosse una cosa importante… E invecenon lo è: te lo assicuro. Io sono sempreuguale.

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MoDopo gli abiti e l’arredamento della

camera, la nonna aveva presol’iniziativa di rinnovarle la biblioteca.Le aveva regalato una serie di romanziper ragazze, libri la-crimosi i cuiprotagonisti erano orfani maltrattati,bambine smarrite e così deficienti danon essere capaci di tornare a casa,neonati rapiti, mamme lagnose e sublimi,infermiere di una pazienza e unadedizione quasi maniache, segretarie chefacevano di tutto per farsi sposare daqualche giovanotto ricco che prima leaveva trattate in un modo indegno… Iprimi due o tre romanzi, a dire la verità.Mo li aveva letti volentieri. Ma

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un’intera collana era troppo!E dei “suoi” libri di avventure, di

viaggi, di indiani, di scopertescientifiche, di animali, non se ne eravoluta privare a nessun costo. La nonnadiceva che non erano adatti, e che eranodiseducativi. Ma suo padre l’avevadifesa. Non trovava niente di male nelfatto che una bambina leggesse “La tigredella Malesia”. Forse che Marian-na, laperla di Labuan, non è un personaggiodolce e femminile? Un modello da imi-tare senza preoccupare gli adulti? ECora e Alice dell“‘Ultimo dei Moicani”non erano fragili, indifese, bisognose diprotezione quanto bastava per suggerireun giusto ideale di femminilità?

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I libri di avventure non potevanocerto offrire a Mo modelli di donnetroppo aggressive in cui identificarsi.

— Va bene, — ammetteva dimalavoglia la nonna — ma comunquecon quelle letture la bambina si esalta eperde di vista quella che dovrà essere lasua missione nella famiglia. Dico la suamissione normale, quotidiana, quandosarà grande…

A nessuno però passava per la testache Mo — come invece avveniva —conti-nuasse a identificarsi con TremaiNaik e con lo Sterminatore di daini, eche alla sua

“vocazione”, al suo futuro ruolo dimadre di famiglia — come diceva la

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nonna — non ci pensava proprio. Maper fortuna nessuno poteva leggerledentro la testa, tanto più che era unatesta denebiana.

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3Fino a quando era vissuta da

maschio, Mo aveva pensato che seCaterina veniva trattata dai grandi inmodo così diverso dal gemello, in parteera anche colpa sua. Se non si fosselasciata mettere i piedi sulla testa senzareagire, pensava a quei tempi Mo, glialtri l’avrebbero rispettata di più e nonle avrebbero imposto con tantanaturalezza una parte di secondo piano eun ruolo subordinato. Ora peròcominciava a dubi-tare che quel suoprimo giudizio fosse troppo severo enon tenesse conto del peso dei millepiccoli interventi quotidiani, tutti tesi aridurre Caterina “arrendevole e

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compiacente”. Col nuovo anno Moaveva cambiato scuola ed era passata aun Istituto femminile. Poiché ilcambiamento era avvenuto dopo levacanze estive, fortunatamente nonaveva dovuto dar spiegazioni ai vecchicompagni e ai professori sul perchélasciava la classe. Le era dispiaciutomolto, naturalmente. Però sperava direstare lo stesso in buoni rapporti diamicizia con quei compagni con cuiandava più d’accordo.

Pensava poi che quando fossero tuttirientrati dalle vacanze e la sua banda sifosse ricomposta al completo, ilcambiamento di scuola non avrebbe piùcostituito un motivo di separazione.

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Nel nuovo Istituto poi si era subitopresentata come una ragazzina, con abitie modi adeguati, senza rivelare anessuno il suo passato di falso maschio.Ora però che viveva tutto il giorno inmezzo alle ragazze, si accorgeva chel’eccezione non era la docilità diCaterina, ma la ribellione di Cecilia.

Naturalmente Mo, nella nuovaclasse, non era rimasta attaccata allesottane di Caterina, ma si era guardataintorno e aveva cominciato a fareamicizia anche con le altre compagne.

Fra queste ce n’era una chesomigliava stranamente a Simone, anchese non era sua parente neppure allalontana. All’inizio però fu proprio

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questa somiglianza ad attirarel’attenzione di Mo, che sentiva moltanostalgia del suo “scudiero”.

Comunque tra loro nacque subitoun’amicizia appassionata che per Mocostituiva una piacevole novità. Mariaera un tipo di poche parole: neppureAndrea che accusava tutte le femmine diessere pettegole e chiacchierone,avrebbe potuto coglierla in castagna! …Eppure quante confidenze riuscirono afarsi le due amiche nei momenti in cuierano sole! Mo ritrovava con Marial’intesa, l’intimità e la tenerezza cheaveva provato per Tar, e che fino aallora non aveva creduto possibile neirapporti fra i terrestri.

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Sentiva che Maria, anche se moltodiversa da lei, la capiva fino in fondo, eche all’occorrenza sarebbe stata suaalleata contro chiunque. Anche Simoneera stato un amico fedele, ma fra ragazzinon c’era l’abitudine di parlare di sé,dei propri pensieri, delle propriefantasie, delle proprie incertezze… Gliargomenti erano sempre più concreti, eper così dire, esterni alla propriapersonalità: lo sport, quello che erasuccesso a scuola, cosa si sarebbe fattol’indomani, le collezioni, i giornaletti, leprossime vacanze… Parlare dei proprisentimenti sarebbe sembrato assurdo eridicolo, e comunque nessuno con Mo loaveva mai fatto. Con Maria era

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tutt’un’altra cosa!Caterina, da parte sua, era un po’

gelosa delle nuove amicizie dellacugina, ma la gelosia sembrava essereuna cosa abbastanza frequente neirapporti fra le ragazzine e Mo non cifaceva molto caso. Il suo carattereottimista le faceva vedere gli aspetti piùvantaggiosi della nuova situazione, e seCaterina era gelosa, tanto peggio per lei!

Naturalmente c’erano in classeanche delle ragazze antipatiche.Specialmente una certa Gloria, che sidava un sacco di arie perché era la piùalta di tutte e portava già le calzetrasparenti e le scarpe con un po’ ditacco. Gloria all’inizio aveva cercato di

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accaparrare Mo tutta per sé: sapeva cheera denebiana e pensava che averlacome amica del cuore le avrebbe datoprestigio nella classe. Ma faceva deidiscorsi talmente noiosi, tutti a base divestiti, pettinature, ragazzi che lefacevano la corte, amiche bugiarde einvidiose, ville con piscina degli amicidi suo padre e altre stupidaggini, che Mosi era stancata subito e l’aveva mollata.E poi nel frattempo aveva fatto amiciziacon Maria e Gloria, in confronto, le eraapparsa proprio insignificante.

Naturalmente Gloria si era offesa eora fra lei e Maria c’era una specie diguerra sotterranea. La povera Mo, nuovaa queste sottigliezze, non se ne

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accorgeva neppure, ma ci pensavaCaterina a riferirle tutti i particolari, chepoi erano proprio delle stupidaggini!

Un giorno a ricreazione — quandoancora Gloria non aveva smesso lasperanza di conquistare Mo — era natauna discussione su cosa significasseesattamente il termine “femminilità”. Erastata Mo a sollevare il problema.Ricordava che nell’altra scuola lequalità che venivano apprezzate di piùerano l’energia, lo spirito di iniziativa,la lealtà, la decisione, l’indipendenza…tutte doti che — secondo Mo —facevano di Maria, un’amica ideale. Maquella mattina la loro amatissimainsegnante di lettere aveva sgridato

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Maria avvertendola che proprio quellecaratteristiche che Mo apprez-zava tantoin lei, erano pericolose “ai fini di unarmonioso sviluppo” della suafemminilità! Cos’era dunque questafemminilità?

Durante la ricreazione vennero fuorile definizioni più disparate.

— Essere dolce, servizievole,gentile, remissiva — aveva dettoCaterina.

— Essere perfida e bellissima eavere tutti gli uomini ai piedi — avevadetto Gloria.

— Essere servile, ipocrita e senzaspina dorsale — aveva detto Maria.

Mo era perplessa. Al suo cervello

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denebiano non sembrava una cosa nélogica né desiderabile servire gli altrisenza esserne serviti a propria volta (edessere servi-zievoli, lo avevasperimentato a proprie spese, non eraconsiderata una qualità per i maschi).Quanto a essere perfidi e schiacciare glialtri sotto i piedi, a Deneb questocomportamento veniva severamentepunito, ed essere bellissimi noncostituiva una at-tenuante. L’ipocrisiapoi non veniva scusata né presso iragazzi né presso gli adulti, maschi ofemmine che fossero questi ultimi.

Anche in questa scuola Mo era lameno alta fra le compagne. Loroavevano quasi 13 anni terrestri, ma per

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Mo i tre anni trascorsi sulla Terra, ai finidella crescita valevano come uno. Eraquindi come se ne avesse 11, e tutte latrattavano con una certa aria dicondiscendenza e protezione che le davamolto sui nervi, considerato che era lapiù preparata di loro in tutte le materie,e fisicamente di gran lunga la più forte.

Quest’ultimo era un segreto per tutti,come il “passato maschile” di Mo. SoloMaria ne era a conoscenza, ma sul suosilenzio Mo poteva contare.

4Nel frattempo la vita in famiglia

continuava come al solito. Annafrequentava il suo corso e, quando alfine settimana tornava a casa, aveva

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mantenuto l’abitudine di invitare Mo apranzo. Però adesso la signora Lucillaesitava, ogni volta che Mo le chiedeva ilpermesso di andare.

— Mo ammira troppo Anna —sospirava con la signora Brandi.

— Non vorrei che si facesse un’ideasbagliata della vita familiare. Temo cheAnna possa esserle di cattivo esempio.

— Proibiscile di andare, allora! —rispondeva la sorella. — Caterinafrequenta Anna solo qui, sotto i nostriocchi. Anche se penso che il disordine ela sporcizia di quella casa ladisgusterebbero e le demolirebbero infretta il mito della zia astronoma eindipendente.

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La signora Lucilla però non sapevadecidersi a privare Mo di quelle visitedo-menicali.

In casa di Marco e Anna poi nonc’era né sporcizia né disordine. Certo,non era tutto lustro e sistemato almillimetro come in casa Brandi eOlivieri, ma le stanze erano pulite econfortevoli e i bambini di buonumore.

— C’è odore di gatto — diceva lanonna storcendo il naso — sui vetri ci sipuò scrivere col dito e i bambinisembrano due zingari…

In realtà spesso sembravano duesoldati in tuta mimetica, perché Marconon aveva ancora imparato a caricare lalavatrice separando i capi colorati da

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quelli bianchi. Così qualche volta ilbucato veniva fuori a chiazze variegatedi tutti i colori. —

Però gli abiti sono puliti —precisava Marco — e quello cheimporta è l’igiene.

L’assenza di Anna durante lasettimana non aveva portato grandisconvolgimen-ti. Al mattino Marcoportava Stella al nido e Giovanni ascuola, poi tornava a casa a scrivere.Verso le quattro usciva, faceva la spesae andava a prendere i bambini. Per ilresto del pomeriggio giocava con loro, edopo averli messi a letto si occupavadella casa. Cosa avrebbe potuto fareAnna di più, Mo non riusciva a

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scoprirlo. Tanto, anche quando c’era,non passava certo le ore dietro allalucidatrice!

Un giorno che Mo tornava con la suaclasse dalla piscina dove erano andateper una lezione di nuoto, incontraronoMarco che, rincasando, aveva deciso difare un gi-retto per il centro. Spingevacon molta disinvoltura il passegginopieghevole di Stella, appesa al cuimanico c’era la borsa del supermercatocon la spesa. Per mano teneva Giovanni,che dal giorno dell’incidente in cuierano morti i genitori, aveva una paurafolle delle automobili e per stradadoveva sempre aggrapparsi a qualcuno.

Mo, quando li vide da lontano,

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cominciò a sbracciarsi per attirare laloro attenzione. Giovanni la vide e detteuno strattone a Marco per correrleincontro; Stella cercò di alzarsi inpiedi… e la borsa della spesa rovesciòsul marciapiede un fiume di patate epomodori. Rotolavano fra i piedi dellagente, e ce n’era sempre di più. Cosìalmeno sembrava a Caterina, che sivergognava come un ladro di fare unafigura così ridicola davanti a tutte lecompagne. Se almeno Marco avessefinto di non conoscer-le!

Invece eccolo lì, che si infischiavadelle patate lasciandole raccogliere aipassanti, e sollevava in alto Stellaurlando come un pellerossa in segno di

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saluto. Mo gli saltò al collo, poi corse achiamare Maria per fargliela conoscere,poi volle prendere la bambina inbraccio e si lasciò dare da Giovanni unbacio appiccicoso di gelato…

Quando finalmente le ragazzine sirimisero in fila e si avviarono versoscuola, mentre Marco spingeva ilpasseggino nella direzione opposta,Caterina respirò di sollievo.

Ma, rientrata a scuola, non potè farea meno di sentire Gloria chescimmiottava il modo di parlare diMarco e faceva la parodia della cadutadelle patate davanti a un gruppetto dicompagne. Caterina, umiliata, voleva farfinta di non aver visto né sentito niente,

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Mo invece si piazzò davanti a Gloria ele chiese: — Cos’hai da ridere?

— Ho — rispose Gloria in tonosprezzante — che gli uomini di quel tipoio li trovo ridicoli. Sono deipappamolla, delle femminucce!

Forse Mo avrebbe dovuto cercare didifendere Marco a parole spiegando aGloria quanto era in gamba eservizievole, quanto era gentile edivertente. Forse avrebbe dovutocercare di farla ragionare: può capitarea tutti di seminare patate sulmarciapiede. Il tono di Gloria però nonammetteva repliche e a Mo Gloria eraun paio di giorni che dava ai nervi.

In questi casi — vista

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l’impossibilità di discutere — allascuola di Andrea si si-stemava laquestione a pugni. Mo credette che l’usovalesse anche qui. Si piazzò davanti aGloria e le disse — Difenditi, se seicapace!

Cercava di non approfittare dellapropria superiorità fisica, e picchiavasenza molta energia, giusto per unaquestione di principio. Gloria però nonsi difendeva con i pugni, ma a morsi eunghiate. Strillava come se la stesseroscorticando viva e alla fine si lasciòandare a terra a corpo morto,lamentandosi come un martire cristianosbranato dai leoni.

Intanto l’insegnante e le compagne si

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agitavano intorno a loro come se fossesuccesso il finimondo.

Mo nel frattempo aveva mollato lasua avversaria: che gusto c’è a pestareuno che non reagisce?

Arrivò la direttrice furibonda. Mo fusgridata e strapazzata. Invano Mariacercò di difenderla, testimoniando cheera stata Gloria a provocarla. Mo fumandata per castigo per una settimananella classe delle più piccole.

Poi chiamarono sua madre peravvertirla che lei, Mo, era una bambinaviolenta, incontrollata e pericolosa.Parlarono addirittura di affidarla a unopsicologo, ma la signora Lucilla neaveva avuto abbastanza col professor

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Dotto.Quante storie, pensava Mo.

Nell’altra scuola una scazzottatura benpiù violenta non avrebbe suscitato altroche due urli del bidello. Quando lasignora Lucilla seppe l’origine dellalite, proibì definitivamente a Mo difrequentare la famiglia di Anna se non incasa Brandi.

5Un’altra delusione furono le lezioni

di applicazioni tecniche.— Vedrai. È uno schifo! — aveva

preannunciato Maria. Mo erameravigliata.

Era sempre stata una delle suematerie preferite, come mai a Maria non

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piaceva? Maria invece, come al solito,aveva ragione.

Tutte le altre lezioni: la storia, lageografia, la grammatica, la letteratura,la ma-tematica, la musica, le scienze,erano più o meno simili a quelle dellascuola che Mo frequentava l’annoprecedente. Una battaglia, per fortuna,era avvenuta nello stesso giorno sia peri maschi che per le femmine, e così perentrambi tre più tre faceva sei e il futurodi avere faceva avrò. Le applicazionitecniche per le ragazze invece erano unacosa tutta diversa.

Qui non si usava il tornio o ilsaldatore, non si costruivano pileelettriche, non si segava e inchiodava il

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legno o fondeva lo stagno, non si usavail trapano o il seghetto da traforo… Quidi solito si stava sedute in cerchioattorno al tavolo a fare all’uncinettopresine da cucina. Quando l’insegnanteaveva più iniziativa, si cucinava, sifaceva la nota della spesa e sismacchiavano stracci sporchi. Sistudiava cosa doveva mangiare unneonato, come si lavano le stoviglie(prima i bicchieri e per ultime le pento-le, mi raccomando!), e come si cuce lafodera di una poltrona.

Mo non aveva niente contro questeattività, a parte il fatto che era già abilein tutte perché le aveva imparateosservando la signora Lucilla, ma alla

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lunga le trovava poco divertenti.Un giorno fece meravigliare l’intera

classe riparando un rubinetto cheperdeva.

Scoprì così che nessuna dellepresenti, né alunne né insegnante, nonsolo non era in grado di riparare unrubinetto, ma neppure una valvolasaltata, né di aggiustare la cinghia di unatapparella, di mettere un tassello aespansione in un muro, di cambiare unvetro rotto a una finestra o unaguarnizione alla lavastoviglie… Eppurenel program-ma del libro che usavanoc’era scritto esplicitamente che: “leapplicazioni tecniche femminilidovevano fornire le nozioni atte al buon

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governo di una casa”.Anche ammettendo che l’unica

attività di una donna si dovesse svolgerefra le mura domestiche, pensava Mo,come può essere in grado di bengovernare una casa una che non è capacedi aggiustare un rubinetto o unatapparella? Forse turando il tu-bo cheperde con una presina all’uncinetto ofacendo un ricamo a punto croce sullacinghia rotta?

L’unica consolazione di Mo era chepersino Gloria, così piena di“femminilità”, detestava quelle lezioni.

Ma il vero guaio scoppiò quandoMo e Maria rubarono l’automobile dellapreside. Dire che la rubarono forse è un

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po’ eccessivo. In realtà la presero inprestito senza avvertirla, ma questa,anche su Deneb (Mo non avevascusanti), è comunque un’azionescorretta. La colpa però, sostenne piùtardi Mo con poco credito, era tutta diAndrea. Infatti più di una volta Andreal’aveva presa in giro perché a suo tempoil signor Nicola le aveva insegnato aguidare (e a lui suo padre no): — Cosate ne fai, adesso, della patente,mocciosa! — le diceva in tonocanzonatorio.

Mo in realtà la patente che occorreai terrestri per guidare l’automobile nonl’aveva, ma su Deneb non ce n’erabisogno, e poi alla sua età tutti i

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ragazzini guidavano i minireattori dacasa a scuola.

Forse fu per quello che non ci stettea pensare su tanto, quando vide lamacchina della preside aperta e con lechiavi nel cruscotto. Avevano due ore diintervallo perché un’insegnante si erasentita male e la preside l’avevaaccompagnata a casa col pulmino dellascuola.

— Maria, Caterina! — disse Mo —salite a bordo, svelte, che vi porto a fareuna passeggiata. — Caterina la guardavacon gli occhi sbarrati dal terrore, nontanto per paura che Mo potesse avere unincidente, ma per quello che avrebbedetto dopo la preside. Maria invece non

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si tirò indietro: — Sei capace davverodi guidare? — chiese sedendosi a fiancodi Mo, che aveva già girato la chiave diaccensione. Per tutta risposta Mo avviòil motore facendolo rombare perriscaldarlo.

Caterina non si lasciò convincere apartecipare alla gita. Giurò a ditaincrociate che non lo avrebbe detto anessuno e andò terrorizzata a rifugiarsiin gabinetto, dove stette rinchiusa perdue ore, per non tradire la propriaangoscia se avesse incontrato qualcuno.

Mo e Maria filavano a tutta velocitàsu una strada poco frequentata. — Dache parte andiamo? Scegli tul’itinerario, — propose Mo, magnanima.

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Maria puntò un di-to verso una stradasecondaria, attirata dagli alberi e daicespugli fioriti. — Andiamo là! —disse. Fu l’unico errore che, in tutta lavita, Mo fu disposta a riconoscere aMaria.

Perché quella strada, purtroppo,conduceva proprio alla casadell’insegnante che si era sentita male.Infatti dopo pochi chilometri superaronoil pulmino della scuola, fermo sul bordodella strada con una gomma a terra.

Gloria certamente avrebbeaccelerato e avrebbe cercato di non farsiriconoscere, ma Mo, non si riuscì mai acapire se per generosità o perincoscienza, frenò bruscamente, fece

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marcia indietro (con una manovraperfetta! si congratulava ammirataMaria) e si accostò alla vettura in panne.

Il bidello sudava tutto affannato, maera grasso e anziano e da solo nonsarebbe mai riuscito a cambiare la ruota.La preside sedeva affranta su un sasso,sorreggendo la professoressa che stavaper svenire dal caldo. Quando vide Moscendere svelta dalla SUA automobile,credette di avere un’allucinazione. —Serve aiuto? — esclamava intanto Motutta giuliva, rimboccandosi le maniche.In quattro e quattr’otto cambiò la ruotadel pulmino, poi si rivolse alla presideche la guardava boccheggiando: —Forse è meglio che lei torni a scuola,

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signora. La signorina Rossi laaccompagneremo molto più in fretta io eMaria… se lei ci lascia usare la suamacchina — aggiunse titubante,rendendosi finalmente conto di trovarsiin una situazione non esattamenteregolare.

La preside nel frattempo avevarecuperato l’uso della parola. Spedì lamalata a casa col bidello; fece salire ledue ragazzine sul sedile posteriore dellaSUA auto e fe-ce dietrofront verso lascuola.

Cosa disse a Mo e a Maria durante ilviaggio di ritorno, ve lo risparmio; maquando scesero nel cortile della scuolale due colpevoli erano distrutte. Per

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rimediare al mal fatto Mo si offrìtimidamente di insegnare alle compagne,nelle ore di educazione tecnica, ariparare una macchina e a cambiare unaruota, perché non si sa mai…

Maria la pizzicava di nascosto perfarla tacere, ma non riuscì a evitarle lanuova e più violenta sfuriata che seguìquesta proposta.

Mo scagionò eroicamente Maria,assumendosi tutte le responsabilitàdell’impresa e Maria se la cavò con unanota sulla pagella.

Per Mo vennero convocati d’urgenzai signori Olivieri: il consiglio d’Istitutoaveva messo all’ordine del giorno la suaespulsione dalla scuola. Solo

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supplicando e insistendo sulla originedenebiana che rendeva Mo poco praticadelle usanze terrestri, la signora Lucillaottenne che l’espulsione venissetrasformata in una sospensione di 15giorni. Venne fuori che era stato il signorNicola a insegnare a Mo a guidare. —

Ma cosa le è saltato in mente! —accusavano con sguardi di biasimoinsegnanti e genitori. E il poveretto nonpotè raccontare, per scusarsi edifendersi, che veramente lui avevainsegnato a guidare a un ragazzino.Infatti avevano deciso di tenere segretoa tutti, nella nuova scuola, il “passato”di Mo e neppure in quella occasioneritennero opportuno rivelarlo. Così il

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signor Nicola dovette subire a testabassa critiche e rim-proveri.

Ma durante i 15 giorni che Morimase a casa, tutta la famiglia le fece untale la-vaggio del cervello da farlepassare per sempre la voglia di salire suun’automobile.

Però le rimase la sensazione che —più che l’indignazione per il furto, piùche la paura che le fosse potutosuccedere un incidente — quello cheaveva fatto tanto arrabbiare i terrestriera il fatto che lei, una ragazzina, eracapace di guidare una macchina!

6Fra tutte le insegnanti, Mo preferiva

quella di lettere, che era giovane e

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allegra e sapeva spiegare in modoappassionante. Anche la signora Mucciaveva simpatia per Mo, e la trattava conindulgenza, senza farle troppe predicheperché si comportasse esattamente comele altre alunne. E questo non tantoperché Mo fosse denebiana, ma perchéera molto brava nelle sue materie equindi la signora si sentiva ricompensataper la sua fatica.

Ma ben presto i rapporti fra loro siguastarono, e tutto a causa dellapreferenza di Mo per un tizio chiamatoAchille. Questo Achille non era un uomoin carne e ossa, ma un personaggio di unlibro molto antico chiamato Iliade che leragazze studiavano nel corso di “epica”.

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Il corso comprendeva la lettura di branitratti da vari libri antichi che parlavanodi dei, eroi e guerrieri. Mo aveva giàimparato a conoscerli nell’altra scuola,anzi, con tutta la sua banda ne avevatratto ispirazione per riti e cerimoniali.

Quest’anno si era particolarmenteappassionata all’Iliade, che raccontavadi una guerra lunghissima combattutadiverse migliaia di anni fa a causa diuna donna molto bella che un giornoaveva lasciato suo marito e se n’eraandata con un altro. Mo trovava assurdoche per questo motivo che in fondoriguardava solo quella donna, chiamataElena, e suo marito, tanta gente passasseil tempo — ben 10 anni a dar retta al-

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l’autore! — ad ammazzarsi. È vero chesuo marito era re di Sparta e ne facevauna questione di principio, ma insomma,possibile che tutti gli altri lo seguisserocome pecore, senza un briciolo dibuonsenso?

Che ai terrestri il buon sensomancasse del tutto, Mo lo aveva giàconstatato in varie occasioni, ma questavolta, anche perché il libro era tuttosommato molto interessante e gradevolea leggersi, volle andare in fondo allaquestione, incoraggiata da Maria checondivideva con lei la passione perAchille.

Così oltre ai brani che leproponevano a scuola, si procurò e lesse

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tutta l’Iliade nella lingua originale. Ilmetodo con cui l’avevano preparata isuoi maestri denebiani infatti lepermetteva di capire facilmente —grazie agli essenziali elementi di lingui-stica comuni ai terrestri — tutte le linguedi quel pianeta.

Le sembrò così di scoprire che, adifferenza di quanto le insegnavano ascuola: a) quel tale Paride, insieme adElena, aveva portato via da Sparta“innumerevoli ricchezze”, e Mo sapevaquanto i terrestri fossero attaccati aldenaro, e come questo fosse in fondo lavera origine di tutte le guerre, b) ITroiani, quando un tal Ulisse con uncerto Nestore molto vecchio, erano

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andati a trattare, sarebbero stati forsedisposti a restituire Elena, ma lericchezze no, quindi l’assedio se l’eranoproprio andati a cercare, c) Inoltre, seera vero che il capo dei greci,Agamennone, aveva provocato tuttaquella carneficina per solidarietà versoil suo fratello più piccolo, il biondo egentile Menelao, era anche vero che ilcapo dei Troiani, un certo Ettore, moltodabbene e assennato, non aveva fattoniente per evitarla. E questo solo percoprire la “scappatella”

del suo fratello minore, Paride dallesplendide membra, un bellimbusto cheda parte sua aveva pochissima voglia dicombattere per la patria e lasciava agli

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altri il compito di difendere il suoprezioso corpo e la donna e le ricchezzemal acquistate.

A Mo questo Ettore non sembravatanto assennato quanto veniva presentatodalla signora Mucci e come sostenevaGloria. Sarebbe infatti bastato che desseun paio di scappellotti a suo fratello erestituisse con tante scuse quello che erastato rubato (Tar faceva sempre così,quando Mo ne combinava qualcuna dellesue) e tante “anime generose d’eroi” nonsarebbero andate anzitempo all’Orco,che poi sarebbe l’Aldi-là.

Ma questo semplice atto di giustiziaad Ettore non passava neanche per lamente, e Mo non era tanto disposta ad

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ammirarlo solo perché continuava alamentarsi che a lui la guerra nonpiaceva e che avrebbe preferito starsenea casa accanto al caminetto con quellasanta donna di sua moglie Andromaca.

E se qualcuno gliel’avesse rubata, lasua Andromaca, insieme a tutta lacassafor-te?

Mo sapeva che probabilmente lastoria dell’Iliade era l’invenzione di unpoeta, una parabola per raccontare laconquista dell’Asia Minore da parte deigreci. Conquista avvenuta non certo acausa di donne rapite (fra i terrestri ledonne non valevano tanto, neancheallora), ma per motivi economici moltochiari, come insegnava la storia terrestre

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a chi volesse studiarla. Ma le vicenderaccontate nel poema erano quelle, e sutali vicende lei faceva le sue riflessionie litigava con la signora Mucci.

Una cosa poi che la indignava oltreogni dire era il fatto che Elena, causa eorigine di tanto scompiglio e di tantiversi, non fosse mai stata consultata, néavesse potuto fare delle scelte riguardoal proprio destino.

Non l’aveva consultata Paride, almomento di rapirla, non Menelao almomento di riprendersela. Né Ettore leaveva chiesto se preferisse restarsene aTroia o tornarsene a casa. La trattavanocome un oggetto, un bellissimo gioiellofra i tanti del tesoro rubato. E lei stessa

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non protestava, non ci trovava niente distrano, proprio come Caterina…

Anche il litigio con cui cominciavail libro, era scoppiato per un motivo didonne prese, richieste, restituite,sequestrate come una gomma damasticare sui banchi di scuola…

Sui vari passaggi di proprietarionessuna delle signorine in questione erastata interpellata… Magaridesideravano restarsene dov’erano…Magari avrebbero anche preferitoandarsene per i fatti loro, piantandoall’accampamento padri, generali, eroi ecantori che se le giocavano ai dadi comese fossero state un prezioso tripode dibron-zo o una cintura istoriata (oggetti in

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uso fra i terrestri a quei tempi).Mo, se fosse stata al posto loro, non

sarebbe restata un solo istante fra genteche la trattava con tanto poco riguardo…È vero che questi fatti erano avvenutiqualche migliaio di anni prima, mal’esempio vivente di Caterina e le sueesperienze quotidiane facevanosospettare a Mo che in fondo le abitudiniterrestri per quanto riguarda le donne daallora non fossero poi cambiate molto.

Però aveva fatto la conoscenza diAchille e ne era rimasta conquistata.Achille era fantastico! In un certo sensoera il protagonista del libro. Si trattavadi un giovanotto di un’isola vicina,venuto a combattere a fianco degli altri

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greci in aiuto di Agamennone eMenelao. Era fortissimo e invincibile: ilpiù forte di tutti proprio come Mo. Èvero che da piccolo sua madre gli avevafatto fare un bagno speciale che lo avevareso invulnerabile, tranne che in uncalcagno. Quindi Gloria affermava chedella sua bravura non aveva moltomerito. — Bella forza! — diceva condisprezzo. Ma non teneva conto che daragazzino Achille era stato messo ascegliere fra una vita lunga e comoda,ma priva di avventure e di gloria, e unavita breve ma molto intensa. E Achille,proprio come avrebbero fatto Mo eMaria, aveva scelto la seconda strada.

Quindi sapeva di dover morire

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giovane, nonostante la suainvulnerabilità, e ogni volta che uscivain battaglia sapeva che forse nonsarebbe tornato al campo vivo.

E poi era bello e biondo e aveva ilsenso dell’amicizia. Per il suo amicoPatroclo avrebbe fatto qualsiasi cosa,come Mo per Maria o per Simone. A Mosarebbe piaciuto molto essere Patroclo.O forse le sarebbe piaciuto di più essereAchille; non sapeva decidersi… CertoAchille le somigliava molto. Fra l’altroanche lui, da ragazzo, aveva dovutofingere per un certo periodo di essereuna femmina, quando sua madre l’avevanascosto tra le figlie del re Licomedeper non mandarlo alla guerra.

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E invece del professor Dotto, erastato Ulisse a sottoporlo a una provapsicologi-ca per smascherarlo, quandol’aveva sottoposto al test di scegliere frale armi e i gioielli!

Achille però non era un maschiaccioviolento, come affermava la signoraMucci.

Era tenero e gentile, e quando avevada piangere non si vergognava pensandoche non fosse un atteggiamento virile…Insomma, Mo ne era proprio innamorata.

Invece la signora Mucci si era messad’impegno a convincerla che dovevaammirare Ettore. Perché? Perché era unbuon padre di famiglia, andava incontroalla moglie alle porte Scee e prendeva

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in braccio il piccolo Astianatte (peròevidentemente di solito non se neoccupava molto, se no il bambino non sisarebbe spaventato a vederlo coll’elmo!pensava Mo). Perché non amava laguerra ma la vita domestica, perchépensava al bene della sua città… Equando Mo sarebbe stata grande eavrebbe dovuto prendere marito —insisteva la Mucci — avrebbe certopreferito un tipo come Ettore a un tipocome Achille.

Mo era certa del contrario. Ettoreassomigliava al signor Brandi, che si“ammaz-zava di lavoro” per la suafamiglia e poi era troppo stanco enervoso per giocare con i bambini.

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Invece un tipo come Achille lesarebbe piaciuto moltissimo. Se nesarebbero andati insieme per il mondoin cerca di avventure e si sarebberodivertiti da matti.

La signora Mucci scrisse un bigliettoalla signora Lucilla: “Questa bambina èun po’ esaltata. Sarebbe meglio farlefare una vita più tranquilla, inculcarle labellezza della quiete domestica eallontanarla da letture e compagnie chela eccitano pericolo-samente”. Moinfatti a scuola non faceva che parlaredella sua banda e di come, quando neavesse radunato di nuovo i membri, liavrebbe organizzati in greci e troiani pergiocare una nuova guerra dei 10 anni,

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dove lei avrebbe fatto Achille e MariaPatroclo. Gloria la ascoltava scettica.Non credeva alla storia della banda.Pensava che Mo si fosse inventata tuttoper darsi delle arie con le compagne.

7Anche la signora Lucilla era

convinta che Mo fosse troppo esaltataper essere una bambina, ma non ebbe ilcoraggio di proibirle di frequentare labanda. Sperava che col tempo Mo stessase ne sarebbe stancata e avrebbe finitoper allontanarsene e per ridursi a giochipiù tranquilli con Caterina e le suenuove amiche.

E così avvenne infatti, ma non fu perstanchezza di Mo, o comunque per sua

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libera scelta. Fu la banda a non volernesapere più di lei. Simone, Michele,Carlo e tutti gli altri in classe avevanonaturalmente notato l’assenza di Mo e neavevano chiesto ad Andrea. Ma Andreasi era vergognato di rivelare la scopertadel vero sesso di Mo ed era stato cosìevasivo che loro avevano finito percredere che il loro capo fosseimprovvisamente tornato su Deneb.“Così, all’improvviso, senza salutarmi,senza lasciare nemmeno unmessaggio…” pensava Simone risentitoe dispiaciuto… Anche Michele eraaddolorato, ma Carlo sperava che ora,con l’assenza del rivale più forte, glisarebbe stato possibile conquistare il

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ruolo di capo… Sul primo momentoperò la banda aveva rischiato disciogliersi. I suoi componenti,disorientati, avrebbero ceduto allatentazione di disperdersi, se non fossestato per Simone che con tutte le sueforze cercava di tenere viva l‘“ereditàspirituale” di Mo. Anche Carlo, ora cheMo non c’era più, non ebbe difficoltà aadditarlo come esempio, tanto che allafine il periodo in cui la banda avevaavuto un comandante denebiano preseper tutti i componenti una di-mensionequasi mitica…

Mo venne a sapere che la banda siriuniva nella casa abbandonata perscegliere un nuovo capo, e decise di

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andare anche lei al raduno, senzaavvertire nessuno. Sarebbe stato moltopiù semplice telefonare a Simone e dire“Sono qui”. Ma la banda in fondo erastata formata per dare sfogo alla seted’avventura dei suoi componenti e unasimile, banale informazione non avevaniente di “avventuroso”.

Molto, molto più emozionante,pensava Mo, lasciarsi credere partitaper sempre, farsi piangere perduta e poiricomparire all’improvviso fra di loro eriprendere il proprio posto di capo conmaggior prestigio di prima.

Quante volte, nei romanzi diavventure, si incontrava una scena delgenere…

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Tom Sawyer che ritorna dall’isolamentre si svolgono i suoi funerali! Nonsi poteva desiderare niente di meglioper animare la vita della banda,diventata negli ultimi tempi prima dellevacanze, un po’ troppo monotona esedentaria.

Peccato che Maria fosse in vacanzaper una settimana e non potesse andarecon Mo ad assistere al suo trionfo!

Già Mo immaginava la scena: tuttitristi seduti attorno al fuoco a parlaredel ca-po perduto, di quanto era statosimpatico e valoroso, di comeavrebbero fatto a continuare senza la suaguida… e Mo lì, nel buio, vicino a loro,in attesa del momento più propizio per

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rivelare la propria presenza…Non avvenne esattamente così, ma

quasi.Intanto non era notte e non c’erano

fuochi accesi, quindi Mo dovetterinunciare alla comparsa d’effetto allaluce tremolante delle fiamme. E poi iragazzi non stavano parlando conrimpianto dell’amico denebianoscomparso. Niente affatto: stavano pro-gettando una spedizione nel giardino diun tizio con i capelli rossi… Peròquando Mo sbucò da dietro il muro dellacasa, furono felicissimi di rivederlo. Sialzarono tutti in piedi fra esclamazionidi sorpresa. Simone gli corse incontro egli dette un pugno di bentornato sulla

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spalla. Gli altri chi gli strinse la mano,chi gli arruffò i capelli, chi addirittura loabbracciò emozionato, come Michele, ilsuo fedele luogotenente che senza di luisi era sentito un po’ sperso. (Mi accorgoadesso di aver usato ancora per Mopronomi e aggettivi al maschile. È statala forza dell’abitudine, tanto più che tuttii ragazzi della banda, ignari dellanovità, pensavano a Mo “al maschile”).Per andare alla riunione Mo avevaindossato i suoi soliti abiti “dacampagna”: blue jeans, ma-glietta,scarpe da tennis… Niente nel suoaspetto poteva far sospettare che nelfrattempo si fosse rivelato per quelloche era in realtà: una femmina. Era il

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solito Mo, il Mo di sempre, più graciledi loro ma forte e deciso, a parte icapelli un po’ più lunghi.

Ma nessuno ci fece caso.Non era ancora stato scelto un nuovo

capo, e non se ne parlò più. Con grandesollievo di tutti, specialmente diMichele e di Simone che temevano laprepotenza di Carlo, Mo riprese connaturalezza il suo antico ruolo.

Si era aspettata forse più sorpresa,più curiosità nei confronti della suascomparsa. Evidentemente aveva giàperso l’abitudine a frequentare deimaschi: le ragazzine della sua classeerano così pettegole e curiose!

Comunque andava tutto bene lo

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stesso: loro non fecero domande e leinon dette spiegazioni. Si informò subitodella nuova impresa, della spedizionenel giardino del tizio con i capellirossi… Dicevano che ci fossero, inquesto giardino, delle grandi vasche perl’irrigazione di un aranceto; e duecavalli e cinque cani… Il proprietarioper la verità non li aveva invitati, ma labanda era abituata a andare dove lepareva, invi-tandosi da sola.

Fu davvero un pomeriggioemozionante! Intanto per entraredovettero scalare un muro piuttosto alto.

Poi, una volta dentro, ingaggiaronouna lotta furibonda con gli amici delproprietario, in un prato davanti a una

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grande vasca piena di acqua stagnante.Lottarono con dei corti bastoni tenuti daentrambe le estremità, come nel film“Robin Hood”; poi si tirarono dellepigne riparandosi dietro due cataste dilegna.

Naturalmente vinse la banda di Mo.Mo in persona, spalleggiata dal fidoSimone, mise a terra il tizio dai capellirossi e gli premette un piede sullaschiena.

Subito dopo decisero di celebrare lapace: in fondo erano tutti compagni discuola e fra loro non c’era nessunaantipatia. E poi il fatto che Mo fossedenebiano — e in quanto tale dotato diforza eccezionale — toglieva agli

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sconfitti l’onta dell’umiliazione.Accesero un fuoco sul bordo della

vasca e si misero a danzarci attorno allama-niera dei pellerossa. Se li avessevisti la signora Lucilla avrebbe trovatotutto ciò “i-nadatto” alla bambina Mo edanche estremamente pericoloso.

E non avrebbe avuto torto, anche senon fu Mo a rischiare la pelle, anzi fuproprio lei ad evitare che succedesseuna tragedia.

Quello spericolato di Carlo infattinon trovò niente di meglio che andare aballare proprio sull’orlo della vasca,facendo dei salti indemoniati e agitandoper aria un tizzone acceso.

E come era da prevedersi, a un certo

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punto scivolò sul muschio viscido ecadde in acqua. Non solo, ma nel cadereafferrò Michele, che era il più vicino, ese lo trascinò appresso.

Il tizzone si spense sfrigolando, tuttigli altri smisero di ballare eammutolirono di colpo. Carlo e Michelesapevano nuotare, ma quella non eral’acqua limpida di una piscina. Erastagnante, densa e verdastra, con lunghealghe viscide che dal fondo sali-vanoalla superficie e si attorcigliavano allegambe.

Irrigiditi dal panico, i due nonriuscivano a stare a galla. Si agitavanosbraccian-dosi e gridando aiuto, eottenendo di bere sempre di più e andare

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a fondo come due sacchi di cemento.Il ragazzino dai capelli rossi corse a

chiamare i contadini. Gli altri preserodei rami e si avvicinarono con cautela aibordi della vasca tendendoli ai duemalcapitati.

Ma il suolo era scivoloso; le scarpedi gomma non facevano presa, e invecedi salvare i due a bagno, si rischiava chefinissero dentro anche i soccorritori.

Mo non stette a pensarci tanto su. Sitolse le scarpe e si tuffò, riempiendosi ipolmoni d’aria. Prima si avvicinò aCarlo: — Smettila di agitarti tanto — glidisse con calma, tenendosi a distanza.— Se non stai tranquillo ti lascioannegare. Tira la testa fuori e respira

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quanta più aria puoi: i polmoni tifaranno da galleggiante. — Carloubbidì, e anche Michele lì vicino smisedi annaspare e cercò di fare “il morto”.Mo nuotò alle spalle di Carlo, gli miseun braccio attorno al torace — Se mimetti le braccia attorno al collo, ti dò uncolpo in testa e ti caccio sotto —minacciò tranquilla, come le avevanoinsegnato a scuola di nuoto, perché sechi sta affogando si avvinghia, trascinasotto anche il soccorritore.

Così Carlo si lasciò trasportareverso la sponda senza opporreresistenza. Molte mani si tesero a tirarlofuori, prime fra tutte quelle dei contadiniche erano accorsi spaventati.

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Salvare Michele fu per Mo ancorapiù facile.

Quando furono tutti e tre all’asciuttosi tolsero gli abiti e li appesero attornoal fuoco per asciugarli. I contadiniavevano portato delle coperte, e mentreli frizionava-no, li sgridavano per laloro imprudenza e lodavano il sanguefreddo di Mo. Il ragazzino dai capellirossi pregava che non raccontasseroniente ai suoi genitori, altrimenti non gliavrebbero più permesso di venire agiocare nel giardino.

— E sarebbe ben fatto! — risposeuno dei contadini. — Ma stai tranquilloche ci pensiamo noi. Domani stessofaremo cintare le vasche con una rete:

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sono diventate troppo pericolose. Ilmese scorso ci è annegata una vacca, eoggi, se non fosse stato per questobiondino qui!… e pensare che è il piùpiccolo di tutti voi… Se non fosse statoper lui, a quest’ora!…

Michele e Carlo rabbrividirono.Nell’acqua avevano avuto una pauraterribile, ma solo adesso realizzavanoveramente il pericolo che avevanocorso…

Michele propose di tornare tutti allacasa abbandonata e di festeggiare lì —lontano da vasche insidiose — l’eroicocoraggio di Mo. A questa non sembravadi aver fatto niente di eccezionale, ma èindubbio che le lodi e l’ammirazione le

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facevano un grande piacere. Qualecircostanza migliore per riprendere ilsuo ruolo di capo in seno alla banda?

Invitarono anche il gruppo rivale eandarono tutti alla casa abbandonata.Mo, Michele e Carlo ancora avvoltinelle coperte come tre capi indiani,mentre Simone portava i loro abitiancora umidi in cima a un lungo ramo,sventolandoli come una bandiera.

Sedettero in cerchio nella “raduradel consiglio” e Nicola suonò il tam-tam. Simone scelse proprio quelmomento per soddisfare una curiositàtardiva: — Come ci sei mancato, capo!— disse. — Dove eri andato anasconderti in tutto questo tempo?

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— e Mo, ormai senza sospetti einebriata dal trionfo, senza riflettererispose:

— Ho cambiato scuola. Vadoall’Istituto femminile di via Speroni.

8Non avrebbe mai immaginato il

putiferio che quella risposta e lesuccessive spiegazioni avrebberosuscitato fra i membri della banda. Lanotizia che Mo in realtà era unafemmina, che era sempre stata unaragazzina fin dall’inizio, suscitò lereazioni più varie e inconsulte. Per dieciminuti parlarono tutti assieme,litigarono, si insultarono a vicenda,insultarono Mo, vennero alle mani con i

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ragazzi della banda rivale…Mo non riusciva a capire cosa li

avesse tanto sconvolti: non era forse lostesso Mo dell’anno prima? Perché sisentivano traditi, ingannati, umiliati dalfatto di averla avuta come capo per tantotempo? Non aveva forse appena datoun’altra prova del suo coraggio? Carlo eMichele non le dovevano forse lasalvezza?

Quando mai si era divertita aprenderli tutti in giro, a far fare lorodelle figuracce, a svergognarli davantialle bande rivali? Eppure era di questoche l’accusavano, rossi in faccia dallarabbia, pieni di disprezzo…

— E l’avete preferita a me! a me! —

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rinfacciava agli altri Carlo picchiandosii pugni sul petto. Simone stava zitto in unangolo con aria infelice… non accusavaMo, ma neanche la difendeva… Simone,che succhiando il sangue che uscivadalla ferita del pollice di Mo — mentreMo faceva altrettanto con lui — avevagiurato: “Le nostre ossabiancheggieranno insieme nellajungla!”…

Alla fine Carlo salì sulla Pietra delDiscorso e parlò a nome di tutti:

— Sei un verme! — disse a Mo. —Tu e tutti i tuoi giuramenti di lealtà! Epassi per l’anno scorso. Abbiamo fattotutti la figura dei cretini, ma pazienza! Cisiamo coperti di ridicolo e di vergogna,

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ma pazienza! Ci siamo lasciati battereda una donna, comandare da una donna,ma pazienza! Noi non lo sapevamo chetu eri una donna, e neanche tu lo sapevi.Almeno la buona fede, non ce la puònegare nessuno.

Ma quello che hai fatto oggi passaogni limite. Oggi lo sapevi, lo sapevi fintroppo bene e ce lo hai fatto apposta, perumiliarci. Ma chi ti credi di essere, soloperché vieni da Deneb? Non sei altroche una mocciosa! Torna a giocare conle bambole, va’!

— Ma cosa vi ho fatto? — cercò didifendersi Mo col pianto nella voce.Aveva giocato, aveva lottato, avevaripescato Michele e Carlo… Quando

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mai li aveva umiliati, quando mai liaveva coperti di vergogna davanti alragazzino dai capelli rossi? Dovevanoessere fieri di lei, altro che vergognarsi!Cosa avevano, da prendersela con lei aquel modo?

— E hai anche la faccia tosta dichiederlo? Hai avuto il coraggio ditornare tra noi senza dirci niente… Tisei ripresa il posto di capo che spettavaa me… tu, una femminuccia! Ti seilasciata festeggiare, ci hai dato degliordini… E hai il coraggio di chiedercicosa hai fatto? Ci rideranno dietro pertutta la vita. “La banda della bambinadenebiana” ci chiameranno! Puah!Dovresti essere scorticata viva per

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questo. Perciò sai cosa ti dico? Cosa tidiciamo tutti? Vattene. Dimentica diaverci mai conosciuti!

Va via, va via!Mo lo guardava incredula. Guardava

Michele e Simone, i suoi fedelissimi, maneppure loro intervenivano in sua difesa.

Carlo le aveva sempre invidiato lasua supremazia, lo sapeva. Ma gli altrinon erano suoi amici? Nessuno alzò undito, nessuno aprì la bocca in suofavore. Nessuno disse: “Ma in fondocosa è cambiato? Mo non è sempre Mo?Non è forse la più forte, la piùcoraggiosa, la più abile fra tutti noi?”Erano queste le doti per cui l’avevanoscelta come capo, e nessuna di queste

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doti le era venuta a mancare colchiamarsi femmina.

Quanto poi alla lealtà, li aveva forseingannati sul proprio sesso? Nienteaffatto: semplicemente loro non avevanofatto domande e lei non l’aveva ritenutauna cosa abbastanza importante daparlarne a un raduno.

Nessuno disse queste cose perdifenderla, e neanche Mo le disse. Seall’inizio del

“Processo” aveva pensato discolparsi, di giustificarsi in qualchemodo, man mano che Carlo procedevanelle sue accuse, allo stupore subentravain Mo una grande rabbia.

E quando Carlo le disse “Vattene!”

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era più furibonda lei di tutti gli altrimessi insieme.

— Questo lo vedremo — disse concalma feroce. — Ho conquistato ilcomando vincendovi tutti alla lotta. Seora vuoi mandarmi via, se vuoi essere tuil capo, devi riuscire a vincermi. — E sidiresse verso di lui gettando a terra lacoperta.

— Riuscire a vincerti? Ma va’,pupattola! Io non combatto con le donne.Va’ a piangere dalla mamma, piuttosto!— disse Carlo fra i denti con disprezzo,e non si mise neppure in guardia.

Fece male, perché Mo lo agguantòper la vita, lo sollevò scalciante e logettò a gambe all’aria sulla sabbia.

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Ora stavano entrambi al centro delCerchio del Consiglio, e tutti gli altriintorno li guardavano in silenzio.

Carlo cercò di rialzarsi e Mo gli sibuttò addosso. Stava attenta a non farglima-le, cercando solo di immobilizzarlo.Adesso sì che lo voleva umiliare! In dueminuti lo stese bocconi, schiumante dirabbia, e gli poggiò il piede scalzo sullaschiena. —

Chi è qui il capo? — chiese rivoltaai presenti. — Chi vuole essere il capodi questa banda? Deve venire aprenderselo, il bastone del comando..Avanti! Chi vuole dimostrare di esserepiù forte di me?…

Ci provarono Antonio, Nicola,

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Marcello, Guido, Cesare e persino ilragazzino dai capelli rossi. Mo li mandòtutti a mordere la polvere. Nello stessomodo un anno prima aveva conquistatoil prestigio di capo, e tutti l’avevanoapplaudito e ammirato.

Grazie a un’impresa del genereMichele gli aveva giurato fedeltà eterna.

Oggi però, dopo il trionfo, glisguardi intorno erano ostili.

Stavano tutti a rispettosa distanza,non la sfidavano più, ma nel loroatteggiamento non c’era simpatia néammirazione.

Carlo intanto si era ritirato dietro uncespuglio, ribollendo di rabbia perl’umiliazione e cercando di escogitare

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qualcosa per prendersi una rivincita. Aquel punto tornò in mezzo ai compagni edisse, sputando per terra:

— Mo non ci ha vinto in un modonaturale. Mo non è una ragazza normale:è denebiana. — Lo disse come avrebbepotuto dire “È una strega!” Questospiegava tutto.

Bella forza batterli a quel modo! Belcoraggio, bella lealtà. Provasse adaffron-tarli alla pari, rinunciando ai suoiprivilegi di creatura “diversa”! Mo nonera come tutti loro. Ma proprio perquesto non volevano saperne niente dilei, di lei e dei suoi poteri eccezionali.Cos’era la forza di Mo se non un tipomoderno di stregoneria, un sortilegio

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spaziale?— Strega! Strega! — gridarono

allora anche gli altri. Che non siprovasse a tornare loro a tiro! Non sisarebbero certo più azzardati adaffrontarla in un corpo a corpo cosìsvantaggiato, ma l’avrebbero mandatavia a sassate!

Non era una di loro, e non eraneanche una ragazzina come le altre!Neppure le loro sorelle avrebberovoluto saperne più di lei. D’ora in poiavrebbe fatto meglio a girare alla largadai ragazzi e dalle ragazze terrestri!…

Mo questa non se l’aspettava. Eranostati così fieri di lui fino a allora,proprio per la sua forza denebiana! Ma

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si fece forza per nascondere la sorpresa,l’amarezza e l’umiliazione. In quelmomento pensò solo che era contentache Andrea non fosse presente, perchéAndrea avrebbe dovuto continuare afrequentarlo, mentre questi o-diosi,questi vigliacchi, non voleva vederlimai più…

Più tardi però, sbollita la rabbia,doveva rimpiangere la Radura delConsiglio, i bivacchi attorno al fuoco, ladevozione di Michele, la fedeltà diSimone… Con le nuove amiche, a parteMaria, nonostante ogni sforzo le riuscivaimpossibile ricreare un rapporto di queltipo. Alla “fratellanza”, ai patti disangue fra i maschi, non corri-spondeva

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sulla Terra una analoga “sorellanza” trafemmine. Era talmente raro trovare tra leragazzine lealtà e solidarietà… Rivalitàe competizione erano gli atteggiamentipiù frequenti, favoriti e incoraggiatidagli adulti… E se alcune ragazzinestabilivano un’intesa fra loro, si potevastar certi che più che di vera solidarietà,si trattava di complicità contro qualchealtro gruppo o persona.

Per concludere la giornata, quandoMo fece ritorno a casa con gli abitiumidi e sgualciti, spettinata, sporca diterra, senza una calza e con le ginocchiascorticate, la signora Lucilla la sgridò ela mise in castigo, lamentandosi di leicon la nonna e con il signor Nicola.

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L’anno prima, era normale che Morientrasse dai raduni con la banda

“conciato” in qualche modo. Ci silimitava a raccomandargli di indossaregli abiti più vecchi che avesse, e cosìaveva fatto anche questa volta. Ora peròsembrava estremamente riprovevole cheuna ragazzina rincasasse ridotta a quelmodo.

La signora Lucilla ne approfittò perproibirle una volta per tutte difrequentare la banda.

“Stai tranquilla” pensava Moinghiottendo per fierezza le lacrime,“sta’ tranquilla che anche se non me loproibissi tu, non ci sarei tornata maipiù”.

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9E non ci tornò.1 grandi credettero che lo facesse

per obbedienza e la lodarono molto,interpre-tandolo come segno di unaarrendevolezza più “femminile”. Nonerano poi così stupidi da non accorgersiche Mo nelle nuove vesti da ragazzina cistava stretta e a disagio, e che faceva deisacrifici per accontentarli.

I suoi genitori in particolaresoffrivano di questa situazione. Da unlato avevano il rimorso di non averlasaputa educare bene, di non averle datoa sufficienza il buon esempio. Dall’altroerano imbarazzati nei confronti dellagente sentendosi responsabili del

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disagio portato nella comunità dallapresenza di una ragazzina cosìrecalcitran-te.

Poi erano anche dispiaciuti perchévedevano che Mo non era felice:l’avrebbero voluta vedere serena econtenta, ma non sapevano cosa fare peraiutarla… Se non avesse avuto uncarattere così ribelle! Se non avessepreteso di criticare tutto quello che leaccadeva intorno!

Speravano nel tempo, come tutti igenitori impotenti, non conoscendonessun’altra medicina che la potesseguarire. Speravano che, superata l’etàdifficile, Mo sarebbe diventata unaragazza più dolce e femminile,

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soddisfatta della sua condizione efinalmente tranquilla. Per il momentopurtroppo era tutt’altro che tranquilla.

Adesso che la banda l’avevarinnegata, cercava sempre più difrequente la compagnia di Maria.

— Le amiche inseparabili! —diceva la signora Lucilla con un sorriso.Maria, che era più alta di Mo di quasi10 centimetri, le metteva un braccioattorno alle spalle con aria di protezionee insieme andavano a chiudersi incamera per delle ore.

— Cosa avranno quelle due daconfabulare? — si chiedeva la signoraLucilla con indulgenza, e qualche voltamandava Caterina in perlustrazione.

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Infatti se ai grandi veniva sbattuta laporta in faccia, Caterina era ammessa aquei conciliaboli perché aveva giuratodiscrezione e segretezza. E bisogna direche se la cavava bene a fare il doppiogioco, perché quello che poi riferivaalla signora Lucilla era così vago eimpreciso da non compromettere le dueamiche. Le quali invece stavanotramando il trasferimento definitivo diMaria su Deneb.

È vero che ci volevano ancora quasisette anni prima che tornassel’astronabus che avrebbe riportato Mo acasa, comunque quei progetti leconsolavano delle attuali delusioni.

Se a Mo bruciava ancora di essere

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stata rinnegata dalla banda, anche Mariaaveva i suoi guai a casa e a scuola. Daun po’ di tempo sua madre era diventatafredda con lei, non le sorrideva più, nonscherzava, non si mostrava orgogliosadei suoi bei voti. E sì che, dopo Mo,Maria era la più brava della classe!

Il motivo, Maria lo sapevabenissimo, era che lei non si comportavacome “una signorina a modo” sebbeneavesse quasi quattordici anni. Sua madreperò, a differenza dei familiari di Mo,non la rimproverava, non cercava dicostringerla, non la puni-va…

— Fai come vuoi — le diceva —sei grande abbastanza, e noi ti abbiamosempre lasciata libera… — Infatti

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Maria poteva uscire quando voleva,vestirsi come preferiva, scegliere leproprie amicizie. (Mo per esempio persua madre non era l’amica ideale, manon le aveva proibito di frequentarla.)Maria aveva già deciso da sola a qualescuola iscriversi l’anno prossimo, eanche che mestiere avrebbe fatto dagrande…

A Caterina, imprigionata in una retedi divieti, proibizioni, raccomandazioni,consigli, la libertà di cui godeva Mariasembrava un privilegio eccezionale.

— Sai che meraviglia! Cosa me nefaccio? — diceva Maria scettica — Miamadre non mi ha mai proibito di fareamicizia con i maschi, ma sono loro che

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non mi vogliono. Guarda un po’ cosa ècapitato a Mo con la sua banda! Possovivere in jeans e maglione, ma hai vistocome mi guardano le insegnanti e le altreragazze quando scoprono che non limetto perché sono di moda, ma perchénon possiedo una gonnel-la? A lezionesono quasi tutte in jeans, e vado beneanch’io… Ma alla festa di fine d’anno ilbidello non voleva lasciarmi entrare, ealla cresima di mio cugino mia zia halitigato con mia madre perché non avevoil vestito “adatto”. Una volta peraccontentarli sono andata con la mammain una boutique a provarmi qualche“vestito elegan-te”. Cosa vuoi che tidica: mi sembrava di essere in

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maschera! Allora tant’è che mi vesta daZorro, che è più divertente! Ma loro nonlo capiscono… Persino la Mucci non fache pregarmi di “essere più ordinata”,lei che non fa altro che parlare dilibertà.

Eppure non sono mai andata alezione sporca o spettinata. Ma lei fa lafaccia addolorata e mi prega “Fallo perme”. Un giorno mi sono scocciata e leho chiesto di che libertà andavapredicando se io non potevo vestirmicome volevo. Sai cosa mi ha risposto?Che ciò che dobbiamo salvaguardare èla libertà interiore, ma che la vita congli altri ha le sue esigenze”. Come seandassi in giro ad ammazzare i passanti!

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“Mi lavo tutti i giorni, sa — le horisposto — che fastidio posso dare a chimi sta vicino?”

Mi ha detto di non fare la stupida,proprio io che sono tanto intelligente.Fanno tutti così. Mi dicono “Tu che seicosì brava, tu che sei così dotata… Ciaspettavamo tanto da te… Non siamoarrabbiati, solo addolorati e delusi. Infondo cosa ti costa essere un po’compiacente?” Infatti non mi costerebbeniente andarmene in giro conciata comeGloria, ma non mi piace, e a loro cosagliene importa? Finché non faccio nientedi male, mi devono prendere così comesono.

Maria però con Caterina faceva un

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po’ la sbruffona. In realtà non erasempre così battagliera. Soffriva dellafreddezza degli adulti più che sel’avessero rimproverata o punita…

Qualche volta, quando era sola, leveniva il dubbio che avessero ragioneloro.

Forse anche lei, come Anna, non erauna ragazza normale. Forse era davverosenza cuore. Forse era nata con undifetto, le mancava qualcosa rispettoalle altre… In fondo desiderava contutte le sue forze essere normale, essereaccettata e amata dagli altri, e in queimomenti provava un senso di angoscia,una paura tremenda della solitudine…

Come sarebbe stato il suo futuro di

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donna adulta? Davvero non avrebbetrovato nessuno che le volesse bene,come profetizzava la signora Muccicompiangendola?… Allora valeva lapena di sforzarsi di cambiare; bisognavacercare di somigliare a Gloria, anche seera proprio il tipo di ragazza che leidetestava…

— Vai benissimo così come sei —la consolava Mo. — Ci mancherebbeche ti sforzassi di somigliare a quellagallina deficiente! Su Deneb nessuno siazzarderebbe a criticarti. Devi propriovenire a vivere su Deneb. I miei tiaccoglieranno volentieri…

Anzi, sai cosa farò? Ti farò sposarecon Tar, se a 50 anni vedremo che è un

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uomo…”— Ma Tar non ne vorrà sapere di

una come me…— Figurati! Sarà felicissimo. Ci

sono sempre piaciute le stesse persone.E poi, che bisogno avrai di sposarti?Non ci sarò io a farti compagnia?

Maria rideva: — Come seiprecipitosa, Mo! Devono passare ancoratanti anni…

Magari sarai tu nel frattempo asposarti con un terrestre, e allora addioDeneb! — Mo però era sicura che non sisarebbe mai ridotta a fare la moglie diun terrestre, neppure di uno gentile comeMarco.

Sebbene fosse la più piccola della

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classe, ormai aveva anche lei i suoicorteggia-tori, che le mandavanobigliettini e regali e la invitavano allefeste di compleanno.

Ma la sorpresa più grossa era statoun bigliettino di Simone, arrivato perSan Valentino. “Io ti voglio sempre bene— scriveva. — Te ne ho voluto fin dalprimo momento, ricordi? Vuoi diventarela mia ragazza? Ti difenderò contro tutti,ti proteggerò da ogni pericolo.” Il solitostile cavalleresco del suo ex scudiero.Ma questa volta Mo contemplava ilbigliettino piena di incredulità eindignazione. Proprio Simone, che adogni difficoltà correva da Mo in cerca diaiuto, che Mo aveva salvato in tante

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circostanze, che era il più timorosodella banda… Simone, che aspettava gliordini senza batter ciglio, che ammiravail suo capo e lo riteneva forte einvincibile, ora parlava di difenderla edi proteggerla!… Cosa aveva fatto, uncorso di coraggio e di muscoli nelfrattempo, perché le rispettive posizionisi fossero ribaltate a questo modo?

O forse credeva che Mo valessemeno di lui semplicemente perché erauna ragazza?

Come prima reazione, Mo volevaandare a prenderlo a pugni, e si sarebbevisto chi dei due aveva bisogno diessere difeso! Poi decise di limitarsi afare a pezzi il biglietto e di comportarsi

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come se non l’avesse mai ricevuto.10Mancava una settimana alla partenza

di Anna per l’America. La nonna era in-consolabile: — Quando penso a queipoveri bambini! — gemeva — comeposso aver allevato una madre senzacuore?!

— Ma se la caveranno benissimo,vedrai — cercava di consolarla Mo —Marco è bravissimo. In questi tre mesihanno fatto le prove generali e hannovisto che funziona tutto lo stesso.

La nonna però si rifiutava di andarein casa di Anna a verificare di personacome procedeva il menage. — E non ciandrò neppure dopo — aggiungeva

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minacciosa. —Non credano di poter contare su di

me. Non ho nessuna intenzione dimuovere un di-to per toglierli daipasticci…

Mo si stupiva: per quantobrontolona, la nonna era sempre statagenerosa con i nipoti. Quando la signoraLucilla era andata all’ospedale per lanascita di Maurizio, era sempre in casaOlivieri a controllare e a dare consigli.E quando i signori Brandi andavano aqualche congresso, si occupavavolentieri dei quattro ragazzini…

— In questo caso è diverso, —protestava la nonna — Lucilla nonpoteva fare a meno di andare in clinica,

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e Giulia ha il dovere di accompagnaresuo marito nei viaggi dirappresentanza… Anna invece ha decisodi andarsene da sola per il mondo ainseguire la sua cometa, e poteva farnebenissimo a meno. Che si arrangino, leie quell’incosciente che l’incoraggiainvece di farla ragionare!

Marco e Giovanni invece eranoeccitatissimi e facevano millepreparativi per la partenza: — Guai a tese non scopri la cometa di Betlemme! —diceva Giovanni, che faceva ancoraconfusione con la stella dei re magi.

Anche Mo era molto contenta chefinalmente Anna potesse appagare il suosogno e — se gli Olivieri glielo

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avessero permesso — l’avrebbeaccompagnata volentieri in America.

Le lettere che scriveva a Tar in quelperiodo erano piene di notizie sullericerche di Anna e sulla sua prossimapartenza.

… diventerà famosa in tutta laGalassia, vedrai Tar, e persino lanonna sarà fiera di lei. Per il momentoc’è solo Marco a incoraggiarla,poveretta. Questi terrestri sono davverostrani. Secondo loro non è normale cheuna donna sposata si interessiveramente al proprio lavoro! Unoscienziato può essere nevrastenico peril troppo studio, rinchiudersi tutto iltempo nel suo laboratorio, vedere i

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figli un minuto al giorno, stare lontanoda casa per anni per le sue ricerche…Anna invece dovrebbe smettere dilavorare e di studiare e, se proprio nonse la sente, dovrebbe farlo nei ri-taglidi tempo per non “sacrificare lafamiglia”, come dicono loro.

Car Tar, sono proprio contenta diessere nata a Deneb, visto che dovevonascere donna! Ma lo sai che qui sullaTerra una donna non è padrona diniente! Per esempio, una nasce con uncognome e una nazionalità, e crede chesiano suoi. Invece glieli ha prestati ilpadre, fino a che non si sposa. Infattipoi il marito gliene presta di nuovi, ese si risposa li cambia ancora.

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Potrebbe essere divertente, se unaqualche volta non si chiedesse “Ma chisono veramente?”. Lo sai che ci sononazioni, che af-fermano di essere civili,dove le donne fino a qualche anno fanon potevano votare, e tutti pensavanoche fosse normalissimo?

Lo sai che lo stesso identico tipo dilavoro, se lo fa una donna viene pagatodi meno? Lo sai che i genitoripreferiscono far studiare i figli maschipiuttosto che le figlie, anche se sonopiù stupidi, perché sono gli uomini chedevono far carriera e af-fermarsi nelmondo del lavoro? E che molte donneche credono di essere ricche perché ilmarito guadagna molto, se non vanno

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più d’accordo non se ne possonoandare per i fatti propri perché nonsono in grado di guadagnare un soldoda sole?

E lo sai Tar, che se una donna non èconsiderata bella, tutti la criticanoanche se è brava e intelligente e non vabene né per sposarsi, perché gli uominivogliono la moglie bella, né perlavorare, perché le richiedono la“bella presenza”. Invece un uomo puòessere brutto come un maiale e vienestimato lo stesso sia come marito chenel lavoro.

Poi le accusano di perdere troppotempo col trucco, il parrucchiere e lamoda, poverette, e le chiamano frivole!

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Quasi tutte le donne, per esempio,portano i tacchi alti, che sonoscomodissimi per camminare. Lo fannoperché gli piace — pensano gli uomini— cretine! Ma se una donna va in girocon i tacchi bassi, sono i primi atrovarla trasandata, racchia, laprendono in giro e non la trovanodesiderabile. Perciò poverette, i tacchise li fanno piacere per forza! Del fattoche in casa devono fare tutto loro,anche se il marito non è paralitico, tel’ho già scritto. In teoria possono farequalsiasi mestiere, ma se guardi bene,ci sono delle professioni dove non trovinessuna donna, o sono così rare che neparlano i giornali e la televisione,

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come di un cane a tre teste.Adesso ho capito perché i terrestri

ci tengono tanto a sapereimmediatamente se un neonato èmaschio o femmina! È chiaro; perchése non le allenano per un tempoabbastanza lungo, nessuna delle lorofiglie al momento giusto avràabbastanza pazienza per essere capacedi fare la donna! 7

E non credere che a essere maschioci si guadagni molto. Si hanno moltiprivilegi, ma si pagano cari… Perchéneanche un maschio, che crede diessere padrone della sua vita e diquella degli altri, è libero di farequello che vuole.

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Non si può commuovere, non puòavere paura, non può essere sensibile,non può essere tenero e gentile, nonpuò piangere in pubblico, non puòcantare e ballare, non si può metteredei bei vestiti, non può decidere dioccuparsi della casa e dei bambiniinvece di andare in ufficio, non puòfare certi mestieri, non può avere certi7 Nota per i denebiani. Questa non è unascoperta di Mo. Verso la metà del ‘700,un filosofo svizzero-francese chiamatoJean-Jacques Rousseau (che venivaconsiderato un tipo molto all’avan-guardia e un maschio ineccepibile anchese usava la cipria e i tacchi alti)scriveva in un trattato sull’educazione:

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“le donne siano educate sin dalprincipio a portare il giogo, in modo danon risentirne troppo il peso”.

hobbies… Guarda, non puòneanche cercare di sembrare più bellodi quello che è, a meno che non faccial’attore. Una donna, perché gli altril’ammirino, deve essere sempretruccata. Magari un trucco che non sivede, ma deve averlo… Se un uomo osauscire di casa col rossetto perché ètroppo pallido, altro che ammirarlo! 8Perché, non l’ho proprio capito, ma tiassicuro che forse quando micredevano un ragazzo, rischiavo distare peggio di adesso.

Comunque non vedo l’ora di essere

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di nuovo con voi a Deneb e didimenticare tutte queste stupidaggini.Vedrai come ti piacerà Maria!… Leipensa che i suoi genitori non sarannocontenti di lasciarla partire, ma allorasarà abbastanza grande e non avràbisogno di chiedere il permesso. Tuintanto prepara il terreno con mamma epapà.

Sono contenta di sapere che ì mieidrogopildi hanno avuto i piccoli. Haiabbastanza gabbie dove tenerli? Se no,riporta i più grandi nel deserto erimettili in libertà. Tanto sono sicurache si ricorderanno sempre di me.

Aspetto con ansia vostre notizie. Unabbraccio affettuoso dalla tua Mo

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8 Nota per i denebiani. I terrestri aquesto proposito sono davvero illogici.Sanno benissimo, per esempio, che iloro antenati europei nel ‘700 siincipriavano, si truccavano, portavanoparrucche e tacchi alti, ed erano personecivilissime e piene di dignità. E ancoraoggi se i maschi pellerossa o a-fricani sitingono la faccia, gli europei ligiudicano “selvaggi”, ma non pocovirili. Anzi, ne ammi-rano il coraggio ela “forza primordiale”. Quanto a certihobbies, si sa che il ricamo in Cina èconsiderato un’arte, e come tale affidatoprincipalmente agli uomini. E i famosiarazzi francesi, dal me-dioevo ai giorninostri, sono opera di artigiani di sesso

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maschile… Nonostante ciò i terrestrinon rie-scono a convincersi che l’usanzadi truccarsi o di ricamare — per imaschi come per le femmine —

non è un fatto negativo o positivo diper sé, ma semplicemente un’abitudine,che può variare a seconda dei tempi edei luoghi, ma che non fa male anessuno.

11Ormai mancavano solo due giorni

alla partenza di Anna. Questa aveva giàfatto il giro dei parenti per salutarli eper raccomandare loro Marco e ibambini. Aveva chiesto ai nipoti qualiregali desideravano dall’America,aveva anche versato qualche lacrima,

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ma soprattutto aveva scherzato sulle suefuture scoperte, incoraggiata da Marcoche prevedeva per lei trionfiinternazionali.

— Vedrete! diventerà così famosache non ne vorrà più sapere di noi. Se ciincontrerà per la strada, fingerà di nonconoscerci…

— Stupido — ribatteva Annatirandogli i capelli — tu piuttostoapprofitterai della mia assenza perscrivere un capolavoro, e quandotornerò ti troverò ricco sfonda-to…

— Su, fate le persone serie! —diceva la signora Lucilla, un po’ seccatadi non assistere a strazianti scened’addio…

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— Domani è domenica — disseMarco a Mo. — È l’ultima volta,quest’anno che pranziamo tutti assieme.Perché non vieni anche tu? Vero, Anna,che ti farebbe molto piacere?

Mo guardò sua madre con ariainterrogativa.

— Va bene. Per questa volta puoiandare! — concesse magnanima lasignora Lucilla, che in fondo aveva undebole per la sorella minore e nonvoleva guastarle le ultime ore infamiglia.

Così l’indomani a mezzogiorno ilsignor Nicola accompagnò Mo con lasua macchina fino al portone di Anna. —Ti passo a prendere alle cinque,

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d’accordo?— D’accordo. Ciao, papà, e grazie

del passaggio.Mentre l’ascensore la portava verso

il quinto piano, Mo si immerse inriflessioni un po’ malinconiche. A parteil dottor Gil, Anna era l’unico adultoterrestre con cui Mo si era sentitaveramente a proprio agio. Anche nel suoprimissimo periodo terrestre, quandol’incertezza sul suo sesso rendeva tutticauti e diffidenti, Anna l’aveva trattatacon simpatia e confidenza, con stima, dapersona a persona, senza riservementali.

Ora che Anna partiva per inseguirela sua stella, Mo era contenta per lei, ma

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anche un po’ triste: capiva che lagiovane zia le sarebbe mancata molto.

“Non voglio che se ne accorga, però.Deve andarsene senza rimorsi” deciseeroicamente suonando il campanello, ecomandò ai muscoli del suo viso didisporsi nel sorriso più rassicurante.

Poteva risparmiarsi la fatica: le aprìGiovanni, con una faccia da funerale. —

Ah, sei tu — disse sbattendo laporta, senza neanche salutarla. Stellapiangeva seduta per terra, in un mucchiodi abiti spiegazzati. Di Anna e Marconeanche l’ombra.

— Cosa c’è, Giovanni? Cosa èsuccesso? — chiese Mo sconcertata.

— C’è — rispose il bambino

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pestando i piedi — che adesso quellacretina non vuole partire più.

— Non dire cretina di tua madre…— lo corresse Mo meccanicamente…poi realizzò quello che aveva sentito. —Come, non vuole più partire? Il suo voloè domatti-na alle nove!

— Ha detto che ha cambiato idea. Èproprio una vigliacca e una stupida. —

Giovanni era talmente arrabbiato chenon si accorgeva neanche del piagnisteodi Stella, lui che di solito era cosìpremuroso verso, la sorellina. Mo presela bambina in braccio e cercò dicalmarla.

— Io non ci capisco niente. Mi vuoispiegare bene, per favore? Intanto,

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Marco e Anna adesso dove sono? —Giovanni indicò in silenzio la portadella camera da letto.

Ora che Stella non piangeva più, Mopotè avvertire degli altri singhiozzisoffo-cati che venivano dalla stanzavicina.

— Oh, insomma! — esclamòspalancando la porta — Si può saperecosa succede in questa casa?

Anna stava bocconi sul letto, con lafaccia nascosta fra i cuscini. Intorno, pertutta la stanza, valigie aperte e mezzodisfatte, in un disordine che — questo sì— avrebbe fatto inorridire la nonna.

— Sei tu, Mo? Scusami. Mivergogno come una ladra, ma proprio

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non ce là faccio.— Non ce la fai a fare che cosa?— A partire, a lasciare i bambini.— Ma c’è Marco. Non ti fidi di lui?— Non si tratta di fidarsi o no, Mo.

Chissà se riesci a capire… Mi hannofatto sentire tutti così colpevole…

— Anna, per piacere, calmati eragiona. Adesso ti porto un bicchiered’acqua e poi parliamo. Marco dov’è?

— Non lo so. È uscito sbattendo laporta. Abbiamo litigato.

— Per forza. Cosa ti è saltato inmente di fare il voltafaccia così,all’ultimo momento?

— Cerca di capire, per piacere.Cerca di capire almeno tu! Al corso

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preparatorio mi dicevano tutti che ero lapiù brava, che avrei fatto chissà qualiscoperte sulle stelle comete, che se tuttigli studiosi fossero stati come me… Poiquando sentivano che avevo due figlipiccoli e che partivo lo stesso, miguardavano con una faccia… Come sefossi una pazza o un’assassina…

— Scusa, ma gli altri borsisti, quelliche dovrebbero partire con te, non hannodei bambini?

— Sì. Qualcuno ne ha. Ma sonouomini, e li lasciano alle mogli.

— Vedi! Marco è certamente più ingamba della maggior parte delle mogli!

— Ti prego, non ricominciare. Lo soanch’io che Marco è bravissimo coi

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bambini. Però mi sentivo lo stesso unverme, e quando sono andata a salutarela maestra di Giovanni, mi ha detto“Poteva fare a meno di adottarlo,poverino. Chissà che trauma…” Io nonvoglio fargli del male, ne ha già passatetante!

— Guarda che il trauma gliel’haidato stamattina. È furibondo e delusoperché non parti. Era così orgoglioso dite!… Adesso non ti stimerà più comeprima.

— Ma non capisci che devoscegliere fra la sua stima e il suobenessere, il suo equilibrio, il suoaffetto? Se non parto mi disprezzerà, mase parto si sentirà abbandonato e da

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grande mi riterrà responsabile di tutte lesue nevrosi… E poi le puericultrici delnido di Stella mi hanno dato dell’egoistae della criminale. Mi hanno spiegato chela mia presenza è fondamentale per lasua salute fisica e psichica… “Se laporti dietro, mi hanno detto, se propriodeve partire. Certo che vivere in unpensionato, con la madre occupata tuttoil giorno a lavorare… Dove lalascerebbe, povera creatura?…” E io misentivo sempre di più una egoistaincosciente.

— Ma ci sarà Marco a occuparsi dilei! … I gemelli non si sono ammalati,quando lo zio Osvaldo è stato inAustralia… Anzi, ti sarai accorta che

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Andrea ammira e stima suo padre moltopiù di sua madre… La zia Giulia, infondo, la considera noiosa e pocointeressante…

— Non è la stessa cosa! Almeno,tutti dicono che non è la stessa cosa…

— Insomma, ti sei convinta di esserepiù importante di Marco… Tu sarestiindi-spensabile e lui no…

— Povero Marco! Non ho maipensato niente di simile. Più importantedi lui!

Ma se io sono un verme, una stupida,una vigliacca, una buona a nulla! Locapisco benissimo, quando riesco aragionare, che per i bambini uno di noidue vale l’altro, e Marco è anche più

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abile, più allegro, più paziente, mentreio perdo subito le staffe…

Ma non me la sento di vivere per unanno fra gente che mi giudica una madresnaturata, sapendo che anche qui tuttipensano che io sia egoista e criminale…E qualsiasi cosa dovesse capitare aibambini, mi sentirei colpevole per tuttala vita. E se anche non succedesse nienteadesso, quando da grandi avranno deiproblemi, penserò sempre che forse lacolpa è mia, che ho messo il mio lavoroprima di loro… È troppo per me: non cela faccio!

— Ma tu credi che i padri che sidevono allontanare da casa si ponganotutti questi problemi?

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— Non lo so e non me ne importa, dicosa pensano loro. Io so che da diecigiorni non riesco a dormire, sononevrastenica e sono arrivata al limitedelle forze. Non ce la faccio più, non hoscelta: devo rimanere.

— E la tua stella cometa?— La studierà qualcun altro: un

uomo che può lasciare la moglie a casa,una ragazza senza marito né figli… Ah,se non mi fossi mai sposata!

— Non sei generosa verso Marco everso i bambini… Non ti ha costrettanessuno a sposarti… Loro non hannocolpa di esistere.

— È vero. Sono egoista, penso a mestessa. Ma studiare quella stella era il

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mio sogno, e se non ci fossero loro, lopotrei fare.

— No, guarda, non dipende dal fattoche ci sono loro, tanto è vero che tutti glialtri borsisti hanno famiglia e continuanoa studiare le loro stelle. Dipende dalfatto che voi terrestri siete un branco dicretini! O prepotenti o vigliacchi. Matutti ugualmente cretini!

Mo era delusa e furibonda. CapivaMarco che era uscito senza dire doveandava.

Capiva Giovanni, che era cosìarrabbiato… Prevedeva anche che acasa sua la notizia sarebbe stata accoltacon soddisfazione, che la nonna avrebbetrionfato della sconfitta e della rinuncia

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di Anna. Avevano vinto loro, e icommenti sarebbero stati “Finalmente hamesso giudizio!”

E sarebbero stati tutti così gentilicon Anna, così affettuosi e riconoscentiper la sua vigliaccheria, daincoraggiarla per il futuro a non fare maipiù qualcosa contro quelle regole chesecondo loro erano le uniche buone eragionevoli.

A tutti piace essere approvati.L’avrebbero lodata per la sua saggezza,mentre Mo era sicura che stessecommettendo lo sbaglio più grande dellasua vita. Perciò se Anna sperava che Mola compiangesse, sbagliava di grosso.

— Piangi pure! Non sei capace di

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fare altro! — le disse sgarbata, e uscìrichiu-dendo la porta della camera daletto.

— Hai ragione, Giovanni, è propriouna stupida. Lasciamola stare eandiamoce-ne a mangiare una pizza perconto nostro. Dove sono i vostricappotti?

Appena usciti dal portone trovaronoMarco che stava seduto sul marciapiedecon aria truce. — Cosa fa? — chieseappena li vide.

— Piange sempre — risposeGiovanni disgustato.

— Non usare quel tono! — lorimbeccò Marco aggressivo — Deviessere gentile con lei, se no ti riempio di

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schiaffi!Giovanni lo guardò disorientato:

pensava che Marco neanche liconoscesse, gli schiaffi, e comunque sec’era qualcuno che meritava di essereschiaffeggiato in quel momento, non eralui.

— Allora sei d’accordo con lei! —rispose in tono d’accusa, sentendosidoppia-mente tradito.

— Povera Anna! Poverina… Nonbisogna lasciarla sola! — disse inveceMarco, mettendosi a piangere anche lui,e si infilò di corsa su per le scale.

— Che famiglia di matti! —concluse Mo affamata, sperando diavere in tasca abbastanza soldi per tre

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pizze.12Il lunedì il gruppo dei borsisti partì

con un astronomo in meno. Anna rimaseper dieci giorni chiusa in casa, senzavedere nessuno oltre Marco e i bambini.Rifiutava anche di rispondere al telefonoe se qualcuno andava a trovarla, sichiudeva a chiave in camera da letto. Senon altro — pensava Mo — non dava aiparenti la soddisfazione di congratularsicon lei.

Ma quando finalmente si decise auscire, Anna per prima cosa andòall’Osservatorio a presentare la letteradi dimissioni. D’ora in poi avrebbe fattola casalinga, disse al capo del

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personale. Suo marito guadagnavaabbastanza per mantenere lei e ibambini. Poi passò al nido e informò ladirezione che dalla settimana prossima,visto che non lavorava più, avrebbetenuto Stella a casa. Non poteva farritirare Giovanni dalla scuola, maavvertì Marco che d’ora in poi avrebbeaccompagnato lei il bambino e sarebbeandata a riprenderlo tutti i giorni…

— Ma avevamo deciso che ormaiera abbastanza grande per andare etornare da solo!… Gliel’avevamopromesso!

— E io allora cosa ci starei a fare infamiglia? A cosa servirei? Vuoi dirmiche sono proprio un essere inutile?

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Marco la vedeva così triste enervosa che non osava contraddirla.Giovanni però ci contava sullaindipendenza promessagli, e non siadattò di buon grado ad essere ancorasorvegliato come un bambino piccolo…Tutte le volte che Anna lo prendeva permano sul portone di scuola, sivergognava e cercava di svincolarsi…Era molto fiero di aver finalmentesuperato la paura delle automobili, e citeneva a dimostrarlo.

Mo stentava a riconoscere lagiovane zia che aveva tanto ammiratosolo pochi mesi prima. Adesso Annapassava tutto il tempo a pulire la casa,cupa, decisa, senza allegria…

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Comprava tutti i prodotti suggeriti dallapubblicità, tutti i giornali di lavoricasalinghi, di cucina, di suggerimentialle mamme. Era diventata maniacadell’ordine, aveva delle crisi di nervi seStella lasciava in giro il suoorsacchiotto… I due bambini nonavevano più un attimo di tregua. Annagli era sempre addosso, a insegnare “sifa così”, a punire, a controllare, aosservare… Non potevano più giocareda soli in santa pace, né prendere alcunainiziativa. Giovanni si sentiva soffocaree appena poteva ta-gliava la corda, maStella dopo un po’ cominciò a abituarsi,e da bambina autonoma e intraprendenteche era prima, cominciò a farsi timida e

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piagnucolosa… — Vedi come si èaddolcita, ad avere la mamma vicino! —diceva la nonna soddisfatta.

Anna sgobbava talmente durante ilgiorno per essere una “massaiaperfetta”, che la notte sarebbe dovutacrollare di stanchezza. Invece perdiverse notti Marco, sve-gliandosi disoprassalto, aveva sentito il letto vuoto.Anna stava in piedi vicino alla finestra aguardare il cielo in silenzio. — Torna aletto; prendi freddo, così — le diceva, esi sentiva un nodo alla gola. Ma nonsapeva cos’altro dirle… Quella non erapiù la ragazza allegra e decisa che luiaveva sposato!

Nei primi tempi di questa

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metamorfosi, Mo era solo arrabbiata conAnna. Poi col tempo si accorse che alposto della rabbia cominciava a nasceredentro di lei un senso di pena; non solo,ma anche una leggera sensazione dipaura… E se fosse capitato così anche alei? A Caterina, a Maria, a Cecilia?

Davvero non era possibile sullaTerra avere una famiglia, degli affetti einsieme un lavoro interessante?Bisognava per forza scegliere,sacrificare una parte delle proprieaspirazioni? Pensava ai suoi genitori,che erano stati impegnati nella stessamisura dal compito di allevare lei, Tar ei due figli maggiori… Nessuno si eramai sognato di pretendere che uno dei

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due “sacrificasse” la sua personalità peril resto della famiglia…

Che persone in gamba erano i suoigenitori! Quanta nostalgia si scopriva adavere per loro! Come sarebbe stata piùfelice su Deneb che sulla Terra! Ormainon si sforzava più di nascondere aiterrestri le sue considerazioni. Non solo,ma cercava di aprire gli occhi aCaterina e alle altre compagne,facendole ragionare sull’assurdità delleabitudini che regolavano la loro vita.Con la conseguenza che i grandicomincia-rono a guardarla con sospettoe diffidenza. Non solo era una ragazzina“anormale”.

Adesso si metteva anche a fare la

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sobillatrice!Ma quando scriveva a casa, per

essere alla altezza dei familiari, sifaceva forza e non diceva niente dellesue difficoltà. Tanto non c’era niente dafare. Per altri sei anni non c’era nessunapossibilità di tornare su Deneb, elamentarsi non avrebbe migliorato lasituazione. Fu proprio in quel periodoche gli Olivieri ricevettero lapartecipazione di nozze del dottor Gil.

— Sarebbe gentile che tu andassipersonalmente a fargli gli auguri —disse a Mo la signora Lucilla. — Io nonposso muovermi perché Maurizio ha unpo’ di feb-bre, ma se ti accompagnaCaterina potete prendere il pullman ed

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essere di ritorno per l’ora di cena.L’anno prima Mo aveva il permesso

di andare da solo al Laboratorio, ma daquando si sapeva che era una ragazzina,doveva viaggiare accompagnata.Evidentemente un solo cervellofemminile non era considerato capacedai terrestri di affrontare e risolveresenza aiuto i problemi di un viaggio piùlungo del percorso casa-supermercato.

Così Mo chiese a Caterina diaccompagnarla, e all’ultimo momentodecisero di portare anche Cecilia, cheera molto curiosa di vedere ilLaboratorio di Scienze Denebiane.

Il dottor Gil le ricevette con grandecordialità: aveva un debole per Mo e

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non lo nascondeva. Ora forse era l’unicoterrestre che la guardasse senza unlampo di diffidenza nello sguardo, conaffetto, con approvazione.

Il dottore ringraziò per il regalomandato dagli Olivieri e le fece entrarenella sua stanza, dove stava per chiuderele valigie già pronte per il viaggio.Infatti — raccontò

— sposava una denebiana e sitrasferiva definitivamente su quellastella.

— Anzi Mo — soggiunse — forse tula conosci, la mia fidanzata. Si tratta diXrizwur, il professore di antropologiavenusiana all’Accademia di scienzeinterplanetari.

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— Sposa un professore? — chieseCaterina incuriosita.

— Certo — spiegò Vincenzo Gil. —Eravamo compagni di scuolaall’Università. Abbiamo fatto tantericerche insieme, anche se lei è moltopiù brava di me. Naturalmente alloranon sapevamo che Xrizwur fosse unaragazza… era ancora troppo giovane perquesto. Però era già lo scienziato piùbrillante dell’Accademia… È sua lascoperta del radar auricolare deivenusiani, della spirale aureaintergalattica. Sua la classificazionedelle proteine nucleari di Sirio…Quante nottate abbiamo passato su quelmicroscopio!… e quante sulla terrazza

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dell’Osservatorio, a frugare coltelescopio i cieli interplanetari!

13Il dottor Gil sorrideva tra sé

intenerito a quei ricordi che le tre ospitinon potevano condividere. Per più didieci anni Vincenzo Gil aveva vissuto suDeneb a fianco di Xrizwur… erano staticompagni di camera nel pensionatouniversitario, ed era lì che avevanocominciato a fare amicizia. Compagni dicorso all’Accademia, compagni divacanza nelle spedizioni esplorative suDeneb… Se c’erano due amiciinseparabili, quelli erano loro due.Naturalmente avevano anche litigato,specie quando erano più giovani. Perché

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Xrizwur vinceva sempre Vincenzo allalotta e perché Vincenzo sosteneva chel’atomo del prudenzio fosse scindibilein particelle romboidali anzichéquadrate… Ma erano amici per la pelle,su questo non c’era dubbio.

Poi Vincenzo aveva completato ilcorso previsto dalla sua borsa di studioed era dovuto tornare sulla Terra. Neiprimi tempi lui e Xrizwur si eranoinviati messaggi tutti i giorni; poi, comecapita, i loro contatti si erano fatti menofrequenti.

Il denebiano era andato per un annosu Plutone con una spedizione scientificae Vincenzo ne seguiva con orgoglio glistudi e le scoperte sul Bollettino

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Interplaneta-rio… Aveva incontratomolti altri giovani terrestri, e anche altridenebiani, ma nessuno aveva sostituitoXrizwur nel suo affetto.

Finalmente, dopo un paio d’anni diassenza, il dottor Vincenzo Gil eratornato a Deneb per una vacanza e perriabbracciare il suo vecchio amico. Equi aveva trovato una novità. Infattiavendo Xrizwur nel frattempo compiutoi 50 anni, aveva ricevuto la suapergamena dal Saggio della Montagna eaveva così saputo di essere unafemmina. Naturalmente la notizia non leera sembrata così importante da doverlacomunicare in giro… Xrizwur, comedenebiana, era ancora molto giovane, e

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non aveva alcun progetto di mettere sufamiglia. Perciò aveva arrotolato la suapergamena e l’aveva cacciata in fondoal cassetto delle cianfrusaglie.

Per Vincenzo invece era stata unasorpresa. Non che si aspettasse qualcosadi diverso: o maschio o femmina,qualcosa Xrizwur doveva ben essere, e isuoi sentimenti non sarebbero cambiatiin nessun caso. Semplicemente,cresciuto fin da giovane fra i denebiani,non si era mai posto concretamente ilproblema. Ora però che il suo miglioreamico era una ragazza, fu spontaneo perlui, terrestre più adulto e un po’

spaesato sul proprio pianeta,progettare subito di sposarla e di

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stabilirsi con lei su Deneb.Nel giro di tre mesi — tanto durava

la vacanza del dottor Gil — ancheXrizwur si convinse che quella era perentrambi la soluzione migliore… Glianni in cui Vincenzo era stato sulla Terrale erano sembrati molto duri e non lesembrava vero di poterlo trattenereaccanto a sé per sempre.

Così ora i loro documenti eranopronti; gli amici e le famiglie erano statiavverti-ti, il professor Me Slow si eracercato un nuovo assistente e Vincenzoaspettava l’aerobus che lo avrebbeportato su Deneb per le nozze.

Mentre Caterina si commuoveva allaromantica storia d’amore, Mo fu colpita

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soprattutto dal fatto dell’aerobus. Eanche dalla notizia che di recente ildottor Gil aveva avuto modo di andaresu Deneb e di tornare.

— Ma come? — esclamò — iocredevo che il primo collegamento fra idue pianeti fosse possibile soltanto frasei anni, quando arriverà l’astronabus dilinea che mi riporterà a casa!

— Così era infatti fino a un anno fa— spiegò il dottor Gil. — Ma nelgennaio scorso è stata scoperta unanuova rotta intergalattica… È stataproprio Xrizwur a iden-tificarladall’osservatorio di Plutone. Per orasoltanto speciali aerobus denebiani lapossono percorrere, ma il viaggio è

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veloce e sicuro come quelli su rottetradizionali, con la differenza che quinon bisogna aspettare particolaricongiunzioni per avere via libera. Ilrazzo può partire e atterrare in qualsiasimomento…

Mo lo guardava incredula. La stradadel ritorno era aperta già da un anno; findal gennaio scorso lei sarebbe potutatornare a casa in qualsiasi momento, enon ne aveva saputo nulla!

— I tuoi genitori su Deneb losapevano — spiegò il dottor Gil — masi erano impegnati per dieci anni conl’Istituto Terra Deneb, e pensavano chevalesse la pena di completarel’esperimento. E poi, tu sai che su

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Deneb il tempo passa diversamente.— E io che nel frattempo ho sofferto

tanta nostalgia! E mi sono tantodisperata all’idea di dover crescerecombattendo con tutti quegli stupidipregiudizi terrestri! E

ho avuto tanta paura che riuscisseroa ridurmi come Gloria, come Anna!

— Però non lo hai mai scritto a casa.Credi che se i tuoi avessero saputo chenon stavi bene, non ti avrebberorichiamato al più presto? Ma tu gli hailasciato credere che fossi felice.

— E gli Olivieri? Loro, losapevano?

— No. Non sapevano della nuovarotta. Ma io credo che se anche fossero

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stati a conoscenza della possibilità dirimandarti a casa prima del tempo, nonlo avrebbero mai fatto di propriainiziativa.

E anche questo — riconobbe Mo —era vero. Il signor Nicola e la signoraLucilla, nonostante tutto, le volevanobene. Avevano affrontato con coraggiole difficoltà di educarla come una buonaterrestre, e non le avrebbero mai fattol’affronto di dirle:

“Sei un peso troppo grosso per noi.Non ce la facciamo a tenerti in casanostra. Tor-natene lì da dove seivenuta”. D’altronde non sospettavanoneppure che su Deneb per Mo la vitapotesse essere migliore, che a casa sua

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Mo non avrebbe incontrato tantedifficoltà per crescere come una personalibera e dignitosa.

Ma lui, Gil, lo sapeva! E sapevaanche che Mo, da quando era arrivata,non era mai stata perfettamente felice e asuo agio fra i terrestri…

Di fronte allo sguardo d’accusadella ragazzina, il dottore rideva sotto ibaffi…

— Eri venuta per fare un’esperienzadi vita terrestre… Non mi risulta che tiabbiano trattato peggio delle loro figlie.Hai forse avuto qualcosa in menorispetto a Cecilia e a Caterina?

Questo no — doveva ammettere Mo,stringendo le mani delle due cugine

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terrestri. Questo no, anzi le sue“stranezze” erano state affrontate conmaggiore indulgenza…

Eppure l’idea che bastava volerlo el’indomani poteva essere a casa sua, coni suoi genitori, con Tar, con gli amici, aDeneb dove nessuno l’avrebbe trattatada “ragazza”, le dava le vertigini…

Le dispiaceva, certo, lasciareMaurizio, i signori Olivieri, Anna eMarco, i cugi-netti, le amiche… Ma infondo non erano, non erano mai stati, lasua gente. E poi sarebbe sempre potutaritornare da grande, da “denebiano”,senza dover rendere conto a nessuno dicome era fatta…

E capiva anche che per loro,

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superato il dispiacere per la suascomparsa, sarebbe stato più grande ilsollievo per non avere più in casa unatale fonte di problemi e diinquietudine… e senza il rimorso diaver preso loro l’iniziativa di mandarlavia! Si, era proprio decisa a profittaredell’occasione!

14— L’aerobus parte fra un’ora —

disse il dottor Gil — quindi se pensi dipartire con me, sbrigati a deciderti!

— Posso portare anche Maria? —chiese subito Mo — Posso telefonarle?

— Sull’aerobus ci sono ancora deiposti vuoti — rispose il dottor Gil —Puoi portare chi ti pare. Basta che sia

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qui entro un’ora.— Ma i suoi genitori non le

permetteranno di venire — osservòCaterina.

— Questo non mi riguarda — disseil dottor Gil. — È un problema chedovrà risolvere Maria. Anche Mo,naturalmente, dovrà vedersela da solacon gli Olivieri.

Scusatemi: devo finire di chiudere levaligie. Il telefono è là nello studio.

Mo si precipitò sul telefono. Il cuorele batteva forte per la paura che Marianon fosse in casa. Invece risposeproprio lei.

— Senti, Maria, fra un’ora parto perDeneb. Sì, oggi. È troppo lungo da

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spiegare; te lo racconterò in viaggio…Certo, naturalmente che ti porto con me!Non eravamo già d’accordo? Adessonon vuoi più venire? Ah, ecco, losapevo bene! No, non c’è bisogno che tiporti nulla. Troveremo tutto a casamia… Solo devi sbrigarti a venire,perché l’aerobus non aspetta… Ah, enaturalmente, acqua in bocca! Non direniente agli Olivieri, altrimenti è capaceche vengono qui a cercare ditrattenermi… Puoi dirlo solo a Marco,ma fagli giurare il segreto, miraccomando. Non ti trattengo al telefono:è già tardi. Corri, Maria, corri!

Depose il microfono e si appoggiòsoddisfatta contro lo schienale della

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sedia —Ha detto che viene!A quel punto, contro ogni sua

aspettativa, Caterina scoppiò a piangere:— Non andartene, Mo! Non lasciarmi!

Mo la guardò preoccupata. Comeavrebbe fatto Caterina senza il suoappoggio, in quel mondo dove tutti eranopiù forti di lei, dove tutti usavano la loroforza e la lo-ro dolcezza per “domarla”?Ora che l’aveva abituata a ragionare inmodo “denebiano”

sulla propria condizione, potevadirle “arrangiati!”?

E cosa ne sarebbe stato di Cecilia,di Anna, di Stella, di Maurizio? Non seli poteva portare tutti dietro… ma

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Caterina e Cecilia erano lì… — Cistringeremo — disse eroicamente. —Potete venire su Deneb anche voi due.

Cecilia a dire la verità sembravadisinteressata a tutta la faccenda ecuriosava tra gli strumenti scientifici deldottore. Caterina invece tacevacombattuta fra la voglia di partire, lacuriosità e la smania di avventura, lapaura dell’ignoto, il rimorso per ildolore che avrebbe dato ai genitori…Per Mo era diverso. Sulla Terra nonlasciava che degli amici, degli ospiticortesi… La sua gente era a Deneb, lì isuoi affetti e le sue abitudini. Motornava a casa.

Per Caterina si trattava di

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abbandonare madre, padre, nonna,fratelli, parenti, amici, compagne discuola, casa, abitudini… Tutto quelloche le avevano insegnato, ora lemostrava che partire era impossibile.Solo una ragazza fortissima, e per giuntasenza cuore, poteva liberarsispontaneamente di tanti legami.

— Maria viene — disse Mo perconvincerla. — Di che cosa hai paura?Ci saremo io e il dottor Gil a occuparcidi voi, e i miei genitori, i miei fratelli…Siamo un popolo ospitale, noidenebiani. Starete bene. Io ero molto piùpiccola di te, più indifesa, più ignorante,quando sono venuta sulla Terra, tiricordi? Non conoscevo nessuno qui da

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voi, e a casa mia stavo bene, non avevoniente da cui fuggire… Voi, se rimane-te,farete la fine di Anna… — Caterinaesitava.

“Pensa alla tua mamma!” le dicevaintanto una vocina interna, una voce chena-sceva non solo dall’affetto, ma dalleconsuetudini, da tutti i libri di scuola, itelefilm, da tutte le frasi fatte, i proverbi,le pubblicità, le melensaggini che ilcostume terrestre aveva creato perapplicarle ai rapporti fra madre e figli..,“Pensa alla tua mamma che ti vuole tantobene!”.

— Spezzerei il cuore di miamadre… — cercò di spiegare.

— Non è poi così fragile — rispose

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Mo. — La zia Giulia soffrirà un po’,piangerà un po’, ma Andrea e Luigi laconsoleranno presto. In fondo voi duenon valete molto per lei, se impiega ognisuo sforzo per cambiarvi. Se vi amassedavvero, vi stime-rebbe, vi accetterebbecosì come siete, sarebbe fiera di voi…E poi, in fondo quello che desidera dipiù per voi, è che vi sposiate. Èpreparata al distacco, se lo augura.

Soffrirebbe molto di più serimaneste zitelle, a casa con lei per tuttala vita… Partendo ora non farete cheanticipare di qualche anno il distacco.Fingiamo di andare tutte su Deneb asposarci, se questo vale a rassicurare iterrestri… Piangeranno un po’ e si

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consoleranno in fretta!Caterina dovette ammettere che Mo

aveva ragione… ma partire così su duepiedi, senza abbracciare Andrea, senzaneanche uno spazzolino da denti, senzasalutare, senza chiedere il permesso…

— Telefono a casa e glielo dico —propose titubante.

— Se fossi in te non lo farei —rispose Mo; — riuscirebbero a farticambiare idea. Non hai ancora imparatoa conoscerli? — Caterina ammise chesarebbero riusciti a invischiarla con isoliti ricatti affettuosi, con i pianti,commuovendola, spaventan-dola,minacciandola, facendola sentire piùcolpevole di quanto già non pensasse…

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Ormai i meccanismi che regolano irapporti familiari terrestri le eranochiari come a Mo…

— Telefona tu, allora.— Fossi matta. Imbroglierebbero

anche me. Lasceremo un biglietto. Losapran-no quando noi saremo già inviaggio.

Si rendeva conto che era unavigliaccheria, un’azione subdola degnadi Gloria, un non voler combattere perle proprie scelte… Su Deneb non lesarebbe mai saltato per la testa dicomportarsi a quel modo

— Vedi come sono riusciti a ridurmiin pochi anni — esclamò seccata. Sivergognava, ma non riusciva a fare

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altrimenti. Era un brutto segno.Bisognava andarsene al più presto,prima che l’influenza della educazioneterrestre le togliesse ogni energia…

— Nel biglietto mi assumerò ogniresponsabilità, anche della vostra fuga— disse per riscattarsi. In fondo, cosa leimportava? Pensassero pure che avevarapito Caterina e Cecilia! L’importanteera sottrarle all’affetto, alla protezione,alla educazione terrestri, per permettereloro di crescere come delle creaturelibere.

Mo sapeva benissimo (come pure losapeva il dottor Gil, che accettando dipor-tarle con sé condivideva laresponsabilità della fuga) che tutte e

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quattro, e Cecilia in particolare,avevano ancora bisogno degli adulti percrescere in modo sereno e equili-brato.Ma aveva fiducia nei suoi veri genitori,nei suoi maestri, nei denebiani adulti ingenerale… Sapeva che le avrebberoaccolte e protette, che avrebbero offertoloro tutto l’appoggio necessario, che maie poi mai avrebbero imposto loro deicomportamenti, delle abitudini, dei gustie delle virtù prestabiliti. Sapeva che aCaterina, Cecilia e Maria, quandoavessero messo piede su Deneb, nessunoavrebbe chiesto di compilare un modulosbarrando la F. e non la M. per relegarledi conseguenza in uno scompar-timentodi seconda categoria.

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Il piccolo missile aspettava già sullarampa con i motori accesi. Fra qualcheminuto sarebbe stato pronto a staccarsidalla piattaforma. E Maria ancora non sivedeva!

— Se crede che rinunci a partire perlei, si sbaglia! — pensava Mo, irritata einquieta.

Finalmente si sentì una lungascampanellata, poi dei passi di corsaper le scale, un pianto infantile…

— Hai portato anche Stella! —esclamò Caterina sgomenta.

— Pesa più di una valigia! — sbuffòMaria ansimante, scaricando la bambinain braccio a Mo. — Per colpa sua horischiato di non arrivare in tempo!

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— Come hai fatto a portarla viasenza che se ne accorgessero? — chieseCaterina.

— Non l’ho portata via di nascosto:è stata Anna a pregarmi. Io non sapevoneanche se sul razzo c’era posto. Anna eMarco piangevano come due vitelli,quando l’hanno salutata. “Perchédiamine la mandate, allora?” ho chiesto.“Sappiamo che su Deneb sarà più felice— mi hanno spiegato — il nostrodispiacere non conta. Non è un oggettodi nostra proprietà. È una persona che hadiritto di sviluppare le sue qualità nelmigliore dei modi”. Mi hanno anchedato un biglietto per te, Mo, eccolo!

Il biglietto era di Anna: “Ti affido

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Stella. Non voglio che mi somigli. Sareivenuta anch’io con voi, ma devo restarecon Marco. Anche lui ha i suoi problemie sarei una vigliacca a lasciarlo solosulla Terra. Buona fortuna”.

— E così siamo in cinque! Speriamodi non viaggiare troppo strette! —concluse Mo avviandosi verso la rampadi lancio.

— Quattro — la corresse Cecilia.— Io non vengo con voi.

Si resero conto che nessuno avevachiesto il suo parere, né lei avevamanifestato l’intenzione di partire conloro.

Non è che Cecilia avesse pocospirito d’avventura, o che nutrisse per

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sua madre un affetto smisurato, o chenon potesse abbandonare il suo amato-odiato Luigi, o che avesse paura delleincognite del viaggio… Semplicementele piaceva la Terra e voleva viverci: nonaveva voglia di fuggire.

Avrebbe continuato a ribellarsi, agettarsi per terra, a strappare gli “abitida femminuccia”, a fischiare con duedita, ad arrampicarsi sugli alberi, anascondersi nel garage… Avrebbecontinuato a resistere con calma e conviolenza, a voler bene a sua madre e adisubbidirle, a picchiare Luigi e adifenderlo dagli estranei… Non c’era unragionamento alla base della suadecisione: era una questione di

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carattere. Cecilia si sentiva abbastanzaforte, con i suoi otto anni, da tener testaal mondo intero.

Non insistettero per convincerla apartire. Con un sottile senso diammirazione le affidarono la busta colmessaggio di addio. Cecilia eraabbastanza in gamba da affrontare earginare le furie e il dolore delle signoreBrandi e Olivieri, dei padri, dellanonna, alla notizia della fuga.

Il dottor Gil pregò un collega diriaccompagnare Cecilia in città dopo laloro partenza. Poi, dietro richiesta dellabambina ci ripensò. Cecilia eraperfettamente in grado di ritornare dasola. Aveva i soldi per il biglietto del

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pullman, conosceva la strada perl’autostazione… sapeva badare a sestessa esattamente come Andrea alla suaetà.

Le dettero l’orario dei pullman el’abbracciarono. Cecilia li seguì nelcortile, dove il modulo aspettava i suoipasseggeri con i portelli aperti. Mo salì,tenendo per mano Caterina. Mariaportava in braccio Stella. Il dottor Gilentrò dopo di loro e si chiuse il portelloalle spalle.

I reattori fischiarono più forte. Ilmissile tremò tutto: stava per staccarsidalla rampa e puntare verso Deneb.

Dal finestrino le tre fuggitivesalutarono con la mano la bambina che

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sotto la tettoia degli hangar agitava ilfazzolettino rosa senza una lacrima.

Con un grande sbuffo di fumo ilmissile partì verso l’alto. Ma il rombodei reattori non riusciva a coprire trevoci allegre che gridavano dall’internodel modulo: —

Arrivederci, arrivederci! Buonafortuna, Cecilia.

Cecilia ripiegò con cura ilfazzoletto, lo mise in tasca, contò lemonete che aveva nel borsellino.

Spinse il cancello del Laboratorio esi avviò verso il capolinea del pullmanche l’avrebbe riportata a casa. Buonafortuna, Cecilia.

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Table of ContentsExtraterrestre alla pari

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I Un estraneo fra noi……………………………………………………………………………………5

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4

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II Alla ricerca di un sesso……………………………………………………………………………20

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III Evviva, è nato unmaschio………………………………………………………………………

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IV Vita da uomo

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V Vita dadonna…………………………………………………………………………………………82

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