Capolavoro - numero 4

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Ancora arte, questa volta la vocazione di San Matteo vista da Caravaggio

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WE WANT YOU

SETTIMANALED’ARTE E VITA

n°04 - nov 2011

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SEGUIMI!Vocazione di san Matteo è un dipinto ad olio su tela di cm 322 x 340 realizzato nel 1599 dal pittore italiano Michelangelo Merisi detto Caravaggio.

È conservato alla Cappella Contarelli nella chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma.

Il dipinto è realizzato su due piani paralleli, quello più alto vuoto, occupato solo dalla finestra, mentre quello in basso raffigura il momento preciso in cui Cristo indicando san Matteo lo chiama all’apostolato. Il santo è seduto ad un tavolo con un gruppo di persone, vestite come i contemporanei del Caravaggio, come in una scena da osteria.

È la prima grande tela nella quale Caravaggio, per accentuare la tensione drammatica dell’immagine e focalizzare sul gruppo dei protagonisti l’attenzione di chi guarda, ricorre all’espediente di immergere la scena in una fitta penombra tagliata da squarci di luce bianca, che fa emergere visi, mani (per evidenziare e guidare lo sguardo dello spettatore sull’intenso dialogo di gesti ed espressioni) o parti dell’abbigliamento e rende quasi invisibile tutto il resto.La tela, inoltre, è densa di significati allegorici. In primo luogo proprio la luce, grande protagonista della raffigurazione pittorica, assurge a simbolo della Grazia divina (non a caso non proviene dalla finestra dipinta in alto a destra che, anzi, resta del tutto priva di luminosità, ma dalle

spalle di Cristo), Grazia che investe tutti gli uomini pur lasciandoli liberi di aderire o meno al Mistero della Rivelazione; non bisogna dimenticare, poi, che la chiesa di S. Luigi rappresentava la nazione francese, e l’allora Re di Francia, Enrico IV, s’era appena convertito al Cattolicesimo, scegliendo così la Salvezza.

E così, solo alcuni dei personaggi investiti dalla luce (i destinatari della “vocazione” insieme a Matteo il Pubblicano) volgono lo sguardo verso Gesù, mentre gli altri preferiscono restare a capo chino, distratti dalle proprie solite occupazioni. Forse non è casuale che uno dei compagni di Matteo porti gli occhiali, quasi che fosse accecato dal denaro. La luce inoltre ha la funzione di dare direzione di lettura alla scena, che va da destra a sinistra e torna indietro quando incontra l’umanissima espressione sbigottita ed il gesto di San Matteo che punta il dito contro se stesso al fine di ricevere una conferma, come se chiedesse a Cristo e a San Pietro “State chiamando proprio me?”. L’opera prende vita, movimento dalla luce ed i personaggi si muovono sulla tela come attori su un palco grazie ad essa. Il fatto, poi, che essi siano vestiti alla moda dell’epoca del Pittore ed abbiano il viso di modelli scelti tra la gente comune e raffigurati senza alcuna idealizzazione, con il realismo esasperato che ha sempre caratterizzato l’opera di Caravaggio, trasmette la percezione dell’artista dell’attualità della scena (il quale vuole comunicarci che la chiamata di Dio è universale e senza precisa collocazione nel tempo: ognuno di noi sarà chiamato), la sua intima partecipazione all’evento raffigurato,

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mentre su un piano altro, totalmente metastorico, si pongono giustamente il Cristo e lo stesso Pietro, avvolti in una tunica senza tempo. La gestualità dei personaggi dipinti dal Caravaggio (già di sicuro visti dal pittore nell’Ultima cena di Leonardo Da Vinci) danno un movimento e un coinvolgimento dei personaggi unico nel suo genere e fanno notare come il Merisi sia stato un frequentatore di locande dei “bassi fondi” romani del periodo e sia stato in grado di riprodurre atteggiamenti, espressioni e azioni (come nelle Scene di Genere da lui dipinte) di sicuro appresi da esso nella sua vita. Tale partecipazione viene espressa in modo ancor più efficace, se possibile, nell’altra tela di grandi dimensioni, raffigurante il Martirio del Santo, nella quale da una colonna sulla sinistra sbuca timido e pregno di compassione, volto che non è altro se non l’autoritratto di Caravaggio

stesso, che pare riaffermare la propria personale partecipazione all’evento narrato.

Di grande intensità e valenza simbolica, nella Vocazione, è il dialogo dei gesti che si svolge tra Cristo, Pietro e Matteo. Il gesto di Cristo (che altro non è che l’immagine speculare della mano protesa nella famosissima scena della Creazione di Adamo – Cristo è il “nuovo Adamo”! – della Cappella Sistina michelangiolesca, che Caravaggio avrà certo avuto modo di studiare ed apprezzare) viene ripetuto da Pietro, simbolo della Chiesa Cattolica Romana che media tra il mondo divino e quello umano (siamo in periodo di Controriforma) ed a sua volta ripetuto da Matteo. È la rappresentazione simbolica della Salvezza, che passa attraverso la ripetizione dei gesti istituiti da Cristo (i sacramenti) e ribaditi, nel tempo, dalla

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Chiesa. Tuttavia alcuni storici dell’arte hanno notato la stretta analogia del gesto di Cristo del Caravaggio con quello del Masaccio ne:”Il Tributo di Pietro”, suo capolavoro. Effettivamente come il Cristo del Masaccio sta indicando Pietro dicendogli:”va’al mare, getta l’amo e il primo pesce che viene prendilo,

aprigli la bocca e vi troverai una moneta d’argento”(vangelo di Matteo (17, 24-27)), così il Cristo del Caravaggio indica San Matteo per chiamarlo all’ordine. Grazie alla radiografia, sappiamo che nella prima versione, non era presente la figura di San Pietro, aggiunta successivamente.

Passando vide Levi di Alfeo seduto al banco delle imposte ... ... e gli disse: «Seguimi», Egli si alzò e lo seguì. Accadde che, giacendo egli a tavola in casa sua, molti esattori e miscredenti si adagiavano a tavola con Gesù e i suoi discepoli; infatti erano molti e lo seguivano.

I farisei scribi, vedendo che mangiava con i miscredenti ed esattori, dicevano ai discepoli: Perché mangia con gli esattori e miscredenti? Li udì Gesù e disse loro: «Non sentono bisogno del medico quelli che sono forti, ma quelli che stanno male. Non sono venuto a invitare giusti, ma peccatori».

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Con il suo invito Gesù apre una nuova e decisiva breccia nella discriminazione religiosa e sociale. Nella prima chiamata aveva invitato pescatori, uomini di buona reputazione. Ora, invece, dopo che la folla della «casa di Israele» ha ascoltato e accettato il suo messaggio universalista (2,1-13), invita senza vacillare un uomo di

pessima reputazione, un indesiderabile escluso dall’alleanza. Gesù non riconosce valide le barriere innalzate in nome di Dio o nell’opinione pubblica. Levi, prototipo dei «peccatori» o «impuri» che sono fuori di Israele2, è chiamato da Gesù a far parte del regno di Dio. Con la sua chiamata inizia la messa in pratica del messaggio dell’universalità del Regno, annunciata immediatamente prima nell’episodio del paralitico. Chiamandolo alla sequela, Gesù propone a Levi di percorrere con lui il cammino. Questo comporta il cambiamento radicale di condotta e l’adesione a Gesù, che libera l’uomo dal suo passato peccatore (2,5) e gli comunica nuova vita. Non importano i suoi precedenti; essere vissuto ai margini della legge religiosa o aver avuto una condotta morale più o meno torbida non impedisce la chiamata di Gesù. Levi segue Gesù come i pescatori: «si alzò» indica che lascia la sua professione (cambiamento di vita), come Simone e Andrea avevano lasciate le reti (1,18) e Giacomo e Giovanni il padre nella barca con i salariati (1,20). Con il suo gesto, Levi compie la condizione per la sequela, la rottura con il passato, e manifesta la sua adesione a Gesù, che lo libera da quel passato che lo costituiva «peccatore» (cfr. 2,5). Inizia una vita nuova.

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