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Capitolo XII IL PERIODO FASCISTA E IL DOPOGUERRA 1. Le riforme fasciste .................................................................................................. 1 2. Le corporazioni, i diritti civili e la ‘riconciliazione’ ........................................... 6 3. L’Italia dal codice del 1865 al codice del 1942................................................. 17 4. Nazismo e dopoguerra in Germania ................................................................. 21 5. Altri sviluppi politico-costituzionali in Europa.............................................. 29 6. Il crollo del fascismo in Italia e la breve esperienza di Salò .......................... 37 7. L’Italia dopo il fascismo: cenno conclusivo ..................................................... 40 1. Le riforme fasciste Con le nuove elezioni del ’21 fu lo stesso ceto dirigente liberale in crisi, che non aveva fatto i conti con gli effetti dirompenti di un sistema proporzionale per il quale i liberali tradizionali non avevano alcuna preparazione organizzativa, a favorire l’emersione del fascismo - come poi, nel ’22, fu la stessa monarchia a favorire la sua ascesa (più o meno) pacifica al governo. Perché allora, nel ’21, era stato lo stesso ‘trasformista’ Giolitti ad accoglierli in funzione antisocialista in un listone denominato ‘Blocco Nazionale’ e a favorire l’ingresso di una loro pattuglia alla Camera. Ma dopo l’affidamento del governo a Mussolini nel ’22, fu la famigerata legge Acerbo del ’23, poi subito messa all’opera nel ’24, a facilitarne l’ascesa (più o meno di nuovo) pacifica al potere del fascismo come maggioranza parlamentare. La legge infatti prevedeva un sistema maggioritario con premio dei 2/3 dei seggi alla lista che avesse conseguito la maggioranza. La lista fascista si trovò di fronte 6 liste eterogenee e litigiose, e per di più i fascisti quando poterono intervenirono nelle operazioni di voto con minacce e intidimidazioni. Fatto sta che poterono assicurarsi quel premio. Alla Camera i brogli furono denunciati coraggiosamente dal deputato socialista Giacomo Matteotti, che fu presto picchiato a morte da emissari di Mussolini. L’indignazione generale del Paese sembrò travolgere il fascismo. L’opposizione si ritirò all’Aventino, rifiutandosi di continuare i lavori parlamentari con degli assassini. Ma alla Camera, il 3 gennaio 1925, con un discorso rimasto famoso Mussolini sfidò l’opposizione dichiarando di

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Capitolo XII

IL PERIODO FASCISTA E IL DOPOGUERRA

1. Le riforme fasciste.................................................................................................. 12. Le corporazioni, i diritti civili e la ‘riconciliazione’ ........................................... 63. L’Italia dal codice del 1865 al codice del 1942.................................................174. Nazismo e dopoguerra in Germania.................................................................215. Altri sviluppi politico-costituzionali in Europa..............................................296. Il crollo del fascismo in Italia e la breve esperienza di Salò ..........................377. L’Italia dopo il fascismo: cenno conclusivo.....................................................40

1. Le riforme fascisteCon le nuove elezioni del ’21 fu lo stesso ceto dirigente liberale in crisi, chenon aveva fatto i conti con gli effetti dirompenti di un sistema proporzionaleper il quale i liberali tradizionali non avevano alcuna preparazioneorganizzativa, a favorire l’emersione del fascismo - come poi, nel ’22, fu lastessa monarchia a favorire la sua ascesa (più o meno) pacifica al governo.Perché allora, nel ’21, era stato lo stesso ‘trasformista’ Giolitti ad accoglierli infunzione antisocialista in un listone denominato ‘Blocco Nazionale’ e a favorirel’ingresso di una loro pattuglia alla Camera.Ma dopo l’affidamento del governo a Mussolini nel ’22, fu la famigerata leggeAcerbo del ’23, poi subito messa all’opera nel ’24, a facilitarne l’ascesa (più omeno di nuovo) pacifica al potere del fascismo come maggioranzaparlamentare. La legge infatti prevedeva un sistema maggioritario con premio dei2/3 dei seggi alla lista che avesse conseguito la maggioranza. La lista fascistasi trovò di fronte 6 liste eterogenee e litigiose, e per di più i fascisti quandopoterono intervenirono nelle operazioni di voto con minacce eintidimidazioni. Fatto sta che poterono assicurarsi quel premio. Alla Camera ibrogli furono denunciati coraggiosamente dal deputato socialista GiacomoMatteotti, che fu presto picchiato a morte da emissari di Mussolini.L’indignazione generale del Paese sembrò travolgere il fascismo.L’opposizione si ritirò all’Aventino, rifiutandosi di continuare i lavoriparlamentari con degli assassini. Ma alla Camera, il 3 gennaio 1925, con undiscorso rimasto famoso Mussolini sfidò l’opposizione dichiarando di

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assumersi ogni responsabilità, “politica, morale e giuridica”, per quanto eraavvenuto, pronto perciò a continuare nella sua opera di ‘risanamento’ delPaese. Da allora si assisté, con l’emanazione delle c.d. ‘leggi fascistissime’ del ’25e del ’26, alla distruzione sistematica del sistema politico liberale e delle consuetudiniinvalse nell’applicazione dello statuto albertino - s’impose partito e sindacato unico,l’eliminazione delle libertà politiche etc. - nel chiaro tentativo di costruire uno‘Stato totalitario’.Tale del resto pensava e si gloriava di essere il fascismo stesso in polemicacon lo Stato liberale in crisi, anche se il dualismo fascismo-Stato in fondorestò e Mussolini non lo poté colmare interamente, anche perché il fascismofinì per ereditare il ‘formalismo giuridico’ di cui si parlerà nel capitolosuccessivo, ossia l’ideologia giuspubblicistica costruita in particolare da V.E.Orlando e da Santi Romano.Il I Governo Mussolini del ’22, accogliendo cattolici e moderati, si dette unaveste accettabile perché si voleva presentare come legalitario, anche se nonseppe o non volle evitare le violenze squadristiche dei suoi seguaci. Mussolinicurò la facciata, il legalitarismo formale, facendosi concedere ripetutamentedeleghe di potere dalle due Camere, a partire da quella del novembre 1922‘per il riordinamento del sistema tributario e della pubblica amministrazione’.La forma fu rispettata, fino a un certo punto, ma nella sostanza?Il Re non fu più il vero reggitore dello Stato, perché lo divenne invece (a uncerto punto anche per legge) il capo del Governo. Il diaframma fu dato dal(poi molto prestigioso) ‘Gran consiglio del fascismo’, cui si dette in seguitoaddirittura il compito di esprimere un parere per ricoprire la reggenza del Regnoove ce ne fosse stato bisogno, contro quanto disposto dallo Statuto stesso.Mussolini all’inizio non rifiutò i contatti con i vecchi politici, inserendo nelGoverno liberali, popolari e democratici come s’è detto, ma creò quelConsiglio per averne ispirazione nell’azione di Governo. Formato da gerarchi,ministri e alti funzionari, da principio il Gran Consiglio funzionò in modoirregolare e le sue decisioni erano probabilmente in realtà di Mussolini, maesso serviva comunque per fargli sentire il polso delle sue turbolente schiereperiferiche.Così la prima riunione del 15 dicembre ’22 stabilì: che le camicie neredivenissero una ‘Milizia volontaria per la sicurezza nazionale’ (MVSN); che sitornasse al sistema elettorale maggioritario (auspicio eseguito con la legge Acerbogià ricordata); che i suoi sindacati si chiamassero ‘fascisti’.Pochi giorni dopo il Governo deliberò la costituzione della MVSN e il GranConsiglio dichiarò sciolte le squadre d’azione del partito fascista, che ‘entrano afar parte della MVSN’, cosa che - disse Mussolini - era un fatto nuovo, che

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faceva del Governo un ‘regime’, condannando a morte il vecchio Stato‘demo-liberale’. Solo dal ’24 i militi furono tenuti al giuramento di fedeltà alRe, ma varie disposizioni fecero sì che i suoi ufficiali venissero dalle normaliforze armate.Il Gran Consiglio ebbe un ordinamento proprio solo con la legge del ’28, dopoessere stato un organo che partecipò all’elaborazione di provvedimentiimportanti, come la stessa legge elettorale a lista unica (fascista ovviamente) chenel ’28 diede al Paese 400 deputati fascisti su 400! Allora si poté soltantoapprovare o respingere i candidati fascisti e fu solo una esigua minoranza dielettori a respingerli. La legge del ’28 dette al Gran Consiglio del Fascismo,‘organo supremo del regime’, competenze importanti:- scelta dei candidati deputati;- stabilire l’ordinamento del partito;- nominare e revocare gli alti gerarchi;- parere obbligatorio su tutte le questioni costituzionali (in particolare lasuccessione al trono e le prerogative della Corona, la composizione del Granconsiglio e delle due Camere);- su proposta del capo del Governo, tenere due liste aggiornate, una con inomi di possibili capi del Governo e una di ministri da proporre al Re in casodi bisogno.Fu un organo costituzionale, come si scrisse a suo tempo (D. Donati)? O pseudo-costituzionale, in quanto era tutto apparenza anziché sostanza? E chi dicevache il Re dovesse conformarsi alle liste? Comunque, come si capisce dal suoregolamento del 1929, era tutto regolato dal capo del Governo, che loconvocava e lo chiudeva quando credeva, fissando l’ordine del giorno,nominando i relatori e dando la parola...Importantissime invece - e contro la tradizione precedente - furono la legge del ’25sulle attribuzioni del capo del Governo e quella del ’26 sulla facoltàdell’esecutivo di emanare norme giuridiche. Il potere esecutivo fu cosìconcentrato nelle mani del capo del Governo e il Parlamento fu ridotto allesue dipendenze. Si negò, pur senza dirlo apertamente, la responsabilitàpolitica del Governo verso le Camere, il voto di fiducia etc. I ministri d’ora inpoi furono nominati e revocati dal Re su proposta del capo del Governo, chedesignava il ministro che poteva sostituirlo; nessun argomento poteva esseremesso all’ordine del giorno delle Camere senza il suo assenso!Più di quanto potesse fare Luigi XVI secondo la Costituzione del 1791 eCarlo Alberto secondo lo Statuto, il capo del Governo poteva richiedere cheun disegno di legge bocciato fosse rimesso in votazione dopo tre mesi dallaprima votazione. Dal regime ‘rappresentativo’ si passò ad un regime

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‘cancelleresco’ alla tedesca. Sergio Panunzio, uno dei teorici del regime, in unlibro del ’33 (Rivoluzione e Costituzione) scrisse che quella legge “era la piùrivoluzionaria del regime, perché dava la qualifica a tutto il sistema”.Tanto più che la legge del ’26 attribuiva al Governo il potere di emanarenorme in tutta una serie di materie così sottratte al Parlamento: non solo ilpotere regolamentare, di esecuzione, e di organizzazione, ma anche - udito ilConsiglio di Stato - di organizzare amministrazioni dello Stato e enti pubblici,servizi e personale dipendente; stabiliva che se i decreti aventi forza di leggenon fossero stati convertiti in legge entro due anni avrebbero comunqueconservato la loro validità come leggi provvisorie, salvo proroga di altri dueanni!Una legge del ’38 infine trasformò la Camera dei deputati in Camera dei fasci edelle corporazioni, entrata poi in funzione l’anno dopo, e i cui membriprovenivano in parte dal Partito unico e in parte dalle corporazioni senzaelezione popolare! Fu naturalmente la fine del parlamentarismo vero, perchéfu un’assemblea di semplice ratifica di quanto deciso altrove: tra l’altro percontrollare meglio i suoi membri, non vi era previsto il voto segreto...Per quanto riguarda la pubblica amministrazione, il fascismo - per acquisireconsensi borghesi - disse inizialmente di voler liberare lo Stato da ogni attivitàsuperflua, ma questo programma durò pochissimo, perché, anzi, subito sifece aumentare poderosamente l’intervento dello Stato, che mise persino unatassa sui celibi. In pratica si fu costretti a prendere la tessera per qualsiasiattività (oltre a vestire la camicia nera etc.).Durante il c.d. ‘decennio riformatore’ si fecero interventi comunque notevoli,molti dei quali ancora in vigore, grazie anche alla presenza d’un nucleo digiuristi preparatissimi fedeli o comunque fiancheggiatori del regime (perevitare il peggio a sé o alla Nazione?):- il Consiglio di Stato fu posto sotto la vigilanza della Presidenza del Consigliocon nomine e dismissioni su delibera del Consiglio dei ministri; si unificaronole sez. IV e V (creata nel 1907, giudicante nel merito per diritti e interessilegittimi: molto importante come si può immaginare);- per la Corte dei Conti fu emanato un nuovo testo unico nel ’24, per il quale ilsuo Presidente doveva essere nominato dal Governo, anche tra persone nonappartenenti alla corte, regola che vale anche oggi per prefetti, consiglieri diStato, diplomatici: la nomina avviene con decreto del Capo dello Stato suproposta del Capo del Governo;- nuove norme si ebbero riguardo l’Avvocatura detta dal 1930 ‘dello Stato’,con consulenza obbligatoria ampliata;

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- già un decreto del ’23 riguardò lo stato giuridico degli impiegati civili dello Stato,concorsi, requisiti delle promozioni, disciplina della valutazione e qualificaannuale: allora si mise fine a stipendi e carriere privilegiate (poi ricreati);il Prefetto era sempre al centro della legislazione con nuove competenze emaggior prestigio, perché la legge del ’26 lo mise al di sopra di tutti gli altrifunzionari della provincia con obbligo di coordinamento. Una circolare delcapo del Governo l’anno dopo (più importante di una legge, poi nel T.U.della legge provinciale e comunale del ’34) configurava il Prefetto come ilrappresentante del potere centrale a cui devono rispetto non solo i funzionaridello Stato ma tutti i cittadini, e in primo luogo i militanti fascisti. Nel discorsodell’Ascensione dello stesso anno alla Camera Mussolini disse che come ilSegretario del partito si recava tutte le mattine a prendere ordini da lui, cosìdoveva fare il Segretario federale (il c.d. ‘federale’) col Prefetto a livelloprovinciale. Egli aveva inoltre un potere molto penetrante nei confronti deglienti locali, ma non della magistratura e delle università (rettori e presidi erano dinomina ministeriale, però).Queste ultime furono colpite in altro modo. Nel ’31, su proposta di GiovanniGentile, il grande filosofo ideologo del fascismo creatore dell’Enciclopediaitaliana, giustiziato poi sommariamente dai partigiani fiorentini nel ’44, fuimposto un giuramento ai docenti “di esercitare l’ufficio di insegnante eadempiere tutti i doveri accademici col proposito di formare cittadini operosi,probi e devoti alla patria e al regime fascista”. Su circa 1200 professori inservizio solo una dozzina rifiutarono, tra cui lo storico del diritto FrancescoRuffini, specialista dei rapporti tra Stato e Chiesa, che nel ’29 da senatoreaveva votato contro i Patti Lateranensi. È una pagina tra le più ‘nere’dell’Università italiana...Per quanto concerne la magistratura:1) furono abolite le Cassazioni locali, e le sezioni civili ancora rimaste, nel ’23;2) ci fu il ritorno nel ’23 alla nomina regia, cioè governativa, per i membri delConsiglio superiore della magistratura, elettivi appena dal ’21.3) nel ’41 fu soppressa la garanzia della inamovibilità.Per i Comuni e le Provincie, nel ’23 si allargarono le ipotesi di scioglimentodei Consigli e di invio di commissari; nel ’25 si accrebbe la vigilanza e la tutelaprefettizia. Nel ’25 Roma fu posta sotto un Governatore, con 2 vice (nominaregia) e, nominati dal ministro dell’interno, con 10 rettori e 80 consultori(membri di una Consulta il cui parere era obbligatorio per bilanci, tributi,piano regolatore etc.). Un’altra legge, nel ’28, concentrò i poteri nel Governo,eliminò i rettori e diminuì i consultori a 12. Negli altri Comuni già nel ’27 siimpose il Podestà - rispondeva alla grande tradizione medievale italiana...

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Nelle Provincie nel ’28 fu istituito un Preside coadiuvato da un rettorato conmembri da 4 a 8 in base alla popolazione.

2. Le corporazioni, i diritti civili e la ‘riconciliazione’Mentre si moltiplicavano le Opere nazionali (Balilla, Invalidi etc.), gli Istitutinazionali (assicurazioni etc.), il fascismo - dichiarando di voler trovare unaterza via tra liberalismo e socialismo - valorizzò le corporazioni, rievocandomiti medievali. Addirittura si fuse il Diritto del lavoro con il Diritto costituzionalenel Diritto corporativo, parlandosi persino per questa via di eliminare il partito(senza successo).Insomma, si riteneva di aver trovato la chiave di volta per eliminare i conflittidi lavoro che avevano tanto turbato la vita sociale e pubblica nell’età liberale.Una legge del ’26 cominciò col vietare scioperi e serrate e, perseguendo il finedella sintesi degli interessi delle classi contrapposte, istituì una Magistratura dellavoro, prevedendo la ‘conciliazione’ tra le rappresentanze separate dilavoratori e datori di lavoro. Un regolamento previde Corporazioni nazionali ecostituite con decreto del Ministro delle corporazioni, organidell’amministrazione in luogo dei liberi sindacati del passato. Le spese diquesti organi sarebbero state a carico delle associazioni. Subito dopo fuistituito il Consiglio nazionale delle corporazioni (‘cervello pensante dell’economiaitaliana’), cui nel ’30 fu dato un Comitato centrale che sostituiva l’assemblea edava pareri sui problemi della produzione.Al Governo, intanto, con Primo ministro lo stesso Mussolini, eraSottosegretario al lavoro Giuseppe Bottai con la collaborazione diCostamagna, teorico della realizzazione della ‘fascistizzazione’ del movimentosindacale. A livello locale le Camere di Commercio furono trasformate inConsigli provinciali dell’economia, che divennero da organi di categoriaorgani dello Stato, specie di prefetture economiche.Il corporativismo voleva eliminare la ‘capitalistica’ lotta di classe e costruireun ordine nuovo nell’ “interesse nazionale”, che appariva ora il principalemotore del sistema. Particolarmente espressivo di questo orientamento, chefiniva per ‘pubblicizzare’ ogni momento dell’attività economica nell’interesse(presunto) della Nazione (e di fatto degli equilibri di potere inaugurati dalfascismo, e certamente non sgraditi alla grande industria, a partire dalla Fiat),è la Carta del lavoro del 1927, che divenne un po’ il manifesto del fascismo inmateria socio-economica e che comunque si presentò come integrativa dellaCostituzione del Regno. Leggiamola:

CARTA DEL LAVORO (21 aprile 1927)

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I. La Nazione italiana è un organismo avente fini, vita, mezzi di azione superiori per potenza e durata aquelli degli individui divisi o raggruppati che la compongono.È una unità morale, politica ed economica che si realizza integralmente nello Stato fascista.II. Il lavoro, sotto tutte le sue forme organizzative ed esecutive, intellettuali, tecniche, manuali, è undovere sociale. A questo titolo, e solo a questo titolo, è tutelato dallo Stato.Il complesso della produzione è unitario dal punto di vista nazionale; i suoi obiettivi sono unitari e siriassumono nel benessere dei singoli e nello sviluppo della potenza nazionale.III. L’organizzazione sindacale o professionale è libera. Ma solo il sindacato legalmente riconosciuto esottoposto al controllo dello Stato, ha il diritto di rappresentare legalmente tutta la categoria di datori dilavoro o di lavoratori, per cui è costituito: di tutelarne di fronte allo Stato e alle altre associazioniprofessionali gli interessi; di stipulare contratti collettivi di lavoro obbligatori per tutti gli appartenentialla categoria; di imporre loro contributi e di esercitare, rispetto ad essi, funzioni delegate di interessepubblico.IV. Nel contratto collettivo di lavoro trova la sua espressione concreta la solidarietà tra i vari fattoridella produzione, mediante la conciliazione degli opposti interessi dei datori di lavoro e dei lavoratori, ela loro subordinazione agli interessi superiori della produzione.V. La Magistratura del lavoro è l’organo con cui lo Stato interviene a regolare le controversie del lavoro,sia che vertano sull’osservanza dei patti e delle altre norme esistenti, sia che vertano sulladeterminazione di nuove condizioni del lavoro.VI. Le associazioni professionali legalmente riconosciute assicurano l’uguaglianza giuridica tra i datori dilavoro e i lavoratori, mantengono la disciplina della produzione e del lavoro e ne promuovono ilperfezionamento.Le corporazioni costituiscono l’organizzazione unitaria delle forze della produzione e ne rappresentanointegralmente gli interessi.In virtù di questa integrale rappresentanza, essendo gli interessi della produzione interessi nazionali, lecorporazioni sono dalla legge riconosciute come organi di Stato.Quali rappresentanti degli interessi unitari della produzione, le corporazioni possono dettar normeobbligatorie sulla disciplina dei rapporti di lavoro e anche sul coordinamento della produzione tutte levolte che ne abbiano avuto i necessari poteri dalle associazioni collegate.VII. Lo Stato corporativo considera l’iniziativa privata nel campo della produzione come lo strumentopiù efficace e più utile nell’interesse della Nazione.L’organizzazione privata della produzione essendo una funzione di interesse nazionale, l’organizzatoredell’impresa è responsabile dell’indirizzo della produzione di fronte allo Stato. Dalla collaborazionedelle forze produttive deriva fra esse reciprocità di diritti e di doveri. Il prestatore d’opera, tecnico,impiegato od operaio, è un collaboratore attivo dell’impresa economica, la direzione della quale spetta aldatore di lavoro che ne ha la responsabilità.VIII. Le associazioni professionali di datori di lavoro hanno l’obbligo di promuovere in tutti i modil’aumento, il perfezionamento della produzione e la riduzione dei costi. Le rappresentanze di coloro cheesercitano una libera professione o un’arte e le associazioni di pubblici dipendenti concorrono allatutela degli interessi dell’arte, della scienza e delle lettere, al perfezionamento della produzione e alconseguimento dei fini morali dell’ordinamento corporativo.IX. L’intervento dello Stato nella produzione economica ha luogo soltanto quando manchi o siainsufficiente l’iniziativa privata, o quando siano in gioco interessi politici dello Stato. Tale interventopuò assumere la forma del controllo, dell’incoraggiamento e della gestione diretta.X. Nelle controversie collettive del lavoro l’azione giudiziaria non può essere intentata se l’organocorporativo non ha prima esperito il tentativo di conciliazione.Nelle controversie individuali concernenti l’interpretazione e l’applicazione dei contratti collettivi dilavoro, le associazioni professionali hanno facoltà di interporre i loro uffici per la conciliazione.La competenza per tali controversie è devoluta alla magistratura ordinaria, con l’aggiunta di assessoridesignati dalle associazioni professionali interessate.XI. Le associazioni professionali hanno l’obbligo di regolare, mediante contratti collettivi, i rapporti dilavoro fra le categorie di datori di lavoro e di lavoratori, che rappresentano.

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Il contratto collettivo di lavoro si stipula fra associazioni di primo grado, sotto la guida e il controllodelle organizzazioni centrali, salva la facoltà di sostituzione da parte dell’associazione di grado superiore,nei casi previsti dalla legge e dagli statuti.Ogni contratto collettivo di lavoro, sotto pena di nullità, deve contenere norme precise sui rapportidisciplinari, sul periodo di prova, sulla misura e sul pagamento della retribuzione, sull’orario di lavoro.XII L’azione del sindacato, l’opera conciliativa degli organi corporativi e la sentenza della Magistraturadel lavoro garantiscono la corrispondenza del salario alle esigenze normali di vita, alle possibilità dellaproduzione e al rendimento del lavoro.La determinazione del salario è sottratta a qualsiasi norma generale e affidata all’accordo delle parti neicontratti collettivi.XIII. I dati rilevati dalle pubbliche Amministrazioni, dall’Istituto centrale di statistica e dalleassociazioni professionali legalmente riconosciute, circa le condizioni della produzione e del lavoro e lasituazione del mercato monetario, e le variazioni del tenore di vita dei prestatori d’opera, coordinati edelaborati dal Ministero delle Corporazioni, daranno il criterio per contemperare gli interessi delle variecategorie e delle classi fra di loro e di queste coll’interesse superiore della produzione.XIV. La retribuzione deve essere corrisposta nella forma più consentanea alle esigenze del lavoratore edell’impresa.Quando la retribuzione sia stabilita a cottimo, e la liquidazione dei cottimi sia fatta a periodi superiorialla quindicina, sono dovuti adeguati acconti quindicinali o settimanali.Il lavoro notturno, non compreso in regolari turni periodici, viene retribuito con una percentuale, inpiù, rispetto al lavoro diurno.Quando il lavoro sia retribuito a cottimo, le tariffe di cottimo debbono essere determinate in modo cheall’operaio laborioso, di normale capacità lavorativa, sia consentito di conseguire un guadagno minimooltre la paga base.XV. Il prestatore di lavoro ha diritto al riposo settimanale in coincidenza con le domeniche.I contratti collettivi applicheranno il principio tenendo conto delle norme di legge esistenti, delleesigenze tecniche delle imprese, e nei limiti di tali esigenze procureranno altresì che siano rispettate lefestività civili e religiose secondo le tradizioni locali. L’orario di lavoro dovrà essere scrupolosamente eintensamente osservato dal prestatore d’opera.XVI. Dopo un anno di ininterrotto servizio il prestatore d’opera, nelle imprese a lavoro continuo, ha ildiritto ad un periodo annuo di riposo feriale retribuito.XVII. Nelle imprese a lavoro continuo il lavoratore ha diritto, in caso di cessazione dei rapporti dilavoro per licenziamento senza sua colpa, ad un’indennità proporzionata agli anni di servizio. Taleindennità è dovuta anche in caso di morte del lavoratore.XVIII. Nelle imprese a lavoro continuo, il trapasso dell’azienda non risolve il contratto di lavoro, e ilpersonale ad essa addetto conserva i suoi diritti nei confronti del nuovo titolare. Egualmente la malattiadel lavoratore, che non ecceda una determinata durata, non risolve il contratto di lavoro. Il richiamo allearmi o in servizio della M. V. S. N. non è causa di licenziamento.XIX. Le infrazioni alla disciplina e gli atti che perturbino il normale andamento dell’azienda, commessidai prenditori di lavoro, sono puniti, secondo la gravità della mancanza, con la multa, con lasospensione dal lavoro, e, per i casi più gravi, col licenziamento immediato senza indennità.Saranno specificati i casi in cui l’imprenditore può infliggere la multa o la sospensione o il licenziamentoimmediato senza indennità.XX. Il prestatore di opera di nuova assunzione è soggetto ad un periodo di prova, durante il quale èreciproco il diritto alla risoluzione del contratto, col solo pagamento della retribuzione per il tempo incui il lavoro è stato effettivamente prestato.XXI. Il contratto collettivo di lavoro estende i suoi benefici e la sua disciplina anche ai lavoratori adomicilio.Speciali norme saranno dettate dallo Stato per assicurare la polizia e l’igiene del lavoro a domicilio.XXII. Lo Stato accerta e controlla il fenomeno della occupazione e della disoccupazione dei lavoratori,indice complessivo delle condizioni della produzione e del lavoro.

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XXIII. Gli Uffici di collocamento sono costituiti a base paritetica sotto il controllo degli organicorporativi dello Stato. I datori di lavoro hanno l’obbligo di assumere i prestatori d’opera pel tramite didetti Uffici. Ad essi è data facoltà di scelta nell’ambito degli iscritti negli elenchi con preferenza a coloroche appartengono al Partito e ai Sindacati fascisti, secondo l’anzianità di iscrizione.XXIV. Le associazioni professionali di lavoratori hanno l’obbligo di esercitare un’azione selettiva fra ilavoratori, diretta ad elevarne sempre di più la capacità tecnica e il valore morale.XXV. Gli organi corporativi sorvegliano perché siano osservate le leggi sulla prevenzione degliinfortuni e sulla polizia del lavoro da parte dei singoli soggetti alle associazioni collegate.XXVI. La previdenza è un’alta manifestazione del principio di collaborazione. Il datore di lavoro e ilprestatore di opera devono concorrere proporzionalmente agli oneri di essa. Lo Stato, mediante gliorgani corporativi e le associazioni professionali procurerà di coordinare e di unificare, quanto è piùpossibile, il sistema e gli istituti della previdenza.XXVII. Lo Stato fascista si propone: 1°) il perfezionamento dell’assicura-zione infortuni; 2°) ilmiglioramento e l’estensione dell’assicurazione maternità; 3°) l’assicurazione delle malattie professionalie della tubercolosi come avviamento all’assicurazione generale contro tutte le malattie; 4°) ilperfezionamento dell’assicurazione contro la disoccupazione involontaria; 5°) l’adozione di formespeciali assicurative dotalizie pei giovani lavoratori.XXVIII. È compito delle associazioni di lavoratori la tutela dei loro rappresentati nelle praticheamministrative e giudiziarie relative all’assicurazione infortuni e alle assicurazioni sociali.Nei contratti collettivi di lavoro sarà stabilita, quando sia tecnicamente possibile, la costituzione di cassemutue per malattia col contributo dei datori di lavoro e dei prestatori di opera, da amministrarsi darappresentanti degli uni e degli altri, sotto la vigilanza degli organi corporativi.XXIX. L’assistenza ai propri rappresentati, soci e non soci, è un diritto e un dovere delle associazioniprofessionali.Queste debbono esercitare direttamente le loro funzioni di assistenza, né possono delegarle ad altri entiod istituti, se non per obiettivi d’indole generale, eccedenti gli interessi delle singole categorie.XXX. L’educazione e l’istruzione, specie l’istruzione professionale, dei loro rappresentati, soci e nonsoci, è uno dei principali doveri delle associazioni professionali. Esse devono affiancare l’azione delleOpere nazionali relative al dopolavoro e alle altre iniziative di educazione.

Come si vede, è un documento molto complesso, che rappresenta unsuperamento netto delle concezioni liberali e liberiste in tema di rapporti dilavoro, non tanto perché prevede il lavoro come un dovere, quanto perchéprevede un intervento penetrante dello Stato nei rapporti di lavoro.Il lavoratore non è più solo - dice la filosofia del documento -, ma oltre aisindacati liberamente costituiti (e qui è di un’ipocrisia assoluta, perché èchiaro che la libertà sindacale era ormai da dimenticare nel clima direpressione instaurato nel ’25-’26), egli si trova protetto sia dalla legge statale,che prevede ferie, indennità di fine rapporto, mutua e così via, ma anche dallaCorporazione, quest’associazione che ha il monopolio grazie alla legge arappresentare un ramo produttivo e che stipula i contratti collettivi di lavoro conla controparte alla luce dei principi indicati nella Carta con efficacia erga omnes.Questa fu la funzione giuridica principale (e di lunga durata, perché passò poiin eredità ai liberi sindacati del dopoguerra) della Corporazioni.Inutile dire come questa fu presentata come una conquista dei lavoratori,anche se gli espliciti riconoscimenti all’iniziativa economica privata contenuti

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nella Carta fanno capire come si mirasse anche al consenso della parteimprenditoriale. Ciononostante il III congresso, nel ’28, dei sindacati fascistimostrò che l’antitesi lavoro-capitale era ancora ben viva, e gli stessi industrialifurono restii a trasformare la Carta in legge. Nello stesso anno la Confederazionedei sindacati fascisti produsse le 6 associazioni nazionali per branche diattività produttiva: industria, agricoltura, commercio, trasporti terrestri,navigazione interna, marittima e aerea, banche. Accanto ad esse vi era ancheuna Confederazione nazionale sindacale fascista dei professionisti e degliartisti.Lo scopo di tutte queste riforme era di rompere la solidarietà classista e crearela solidarietà ‘nazionale’, interclassista. Su questo piano il fascismo trovò unpoderoso alleato nel cattolicesimo, che da tempo, con le encicliche ‘sociali’dei papi - in particolare a partire dalla Rerum novarum di Leone XIII del 1891-richiamava l’attenzione sulla questione operaia e sulla necessità che sisuperasse l’orientamento egoistico delle classi detentrici di ricchezza condecisi interventi solidaristici degli apparati pubblici, ma condannando altempo stesso i movimenti sovvervisi come contrari alla cristiana carità esopportazione e al diritto naturale alla proprietà.Il fascismo appunto volle presentarsi nel solco di queste grandi richiesteumanitarie e riuscì a suggellare questo progressivo avvicinamento con un‘colpo’ clamoroso, quale i Patti Lateranensi, che riuscirono dove i governiprecedenti avevano assolutamente fallito: a sanare il conflitto con la Chiesa,quella ‘questione romana’ aperta dal lontano 1870 e rimasta come una spinanel fianco dei cattolici italiani nel loro rapporto con il nuovo Stato italiano. IPatti, conferendo una posizione assolutamente privilegiata alla Chiesacattolica, sanavano quella ferita e saldavano un’alleanza di rilevanza storica: ilfascismo si avviava ad avere un consenso di massa prima assolutamenteimpensabile!

I PATTI LATERANENSI (1929)[I] IL TRATTATO DEL LATERANOIn nome della Santissima Trinità, Premesso:Che la Santa Sede e l’Italia hanno riconosciuto la convenienza di eliminare ogni ragione di dissidio fraloro esistente, con l’addivenire ad una sistemazione definitiva dei reciproci rapporti, che sia conforme agiustizia ed alla dignità delle due Alte Parti e che, assicurando alla Santa Sede in modo stabile unacondizione di fatto e di diritto, la quale le garantisca l’assoluta indipendenza per l’adempimento dellasua alta missione nel mondo, consenta alla Santa Sede stessa di riconoscere composta in mododefinitivo ed irrevocabile la “questione romana”, sorta nel 1870 con l’annessione di Roma al Regnod’Italia sotto la dinastia di Casa Savoia;Che dovendosi, per assicurare alla Santa Sede l’assoluta e visibile indipendenza, garantirle una sovranitàindiscutibile pur nel campo internazionale, si è ravvisata la necessità di costituire, con particolarimodalità, la Città del Vaticano, riconoscendo sulla medesima alla Santa Sede la piena proprietà el’esclusiva ed assoluta potestà e giurisdizione sovrana;

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[…]Art. 1. L’Italia riconosce e riafferma il principio consacrato nell’art.1 dello Statuto del Regno 4 marzo1848, pel quale la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato.Art. 2. L’Italia riconosce la sovranità della Santa Sede nel campo internazionale […].Art. 3. L’Italia riconosce alla Santa Sede la piena proprietà e la esclusiva ed assoluta potestà egiurisdizione sovrana sul Vaticano […].Art. 8. L’Italia, considerando sacra ed inviolabile la persona del Sommo Pontefice, dichiara punibilil’attentato contro di Essa e la provocazione a commetterlo, con le stesse pene stabilite per l’attentato ela provocazione a commetterlo contro la persona del Re.Le offese e le ingiurie pubbliche commesse nel territorio italiano contro la persona del SommoPontefice con discorsi, con fatti e con scritti, sono puniti come le offese e le ingiurie alla persona delRe.[…].Art. 12. L’Italia riconosce alla Santa Sede il diritto di legazione attivo e passivo secondo le regolegenerali del diritto internazionale.[…].Art. 24. La Santa Sede, in relazione alla sovranità che le compete anche nel campo internazionale,dichiara che Essa vuole rimanere e rimarrà estranea alle competizioni temporali fra gli altri Stati ed aiCongressi internazionali indetti per tale oggetto a meno che le parti contendenti facciano concordeappello alla sua missione di pace, riservandosi in ogni caso di far valere la sua podestà morale espirituale.In conseguenza di ciò la Città del Vaticano sarà sempre ed in ogni caso considerata territorio neutraleed inviolabile.[…].È abrogata la legge 13 maggio 1871 n. 214 e qualunque altra disposizione contraria al presente Trattato.

[II]CONCORDATO FRA LA SANTA SEDE ED IL REGNO D’ITALIA.In nome della Santissima Trinità, premesso che fin dall’inizio delle trattative fra la Santa Sede e l’Italiaper risolvere la “Questione Romana” la Santa Sede stessa ha proposto che il Trattato relativo a dettaquestione avesse per necessario completamento un Concordato inteso a regolare le condizioni dellareligione e della Chiesa in Italia, […].Art. 1. L’Italia, ai sensi dell’art. 1 del Trattato, assicura alla Chiesa Cattolica il libero esercizio del poterespirituale, il libero e pubblico esercizio del culto, nonché della sua giurisdizione in materia ecclesiasticain conformità alle norme del presente Concordato; ove occorra, accorda agli ecclesiastici per gli atti delloro ministero spirituale la difesa da parte delle sue autorità.In considerazione del carattere sacro della Città Eterna, sede vescovile del Sommo Pontefice, centro delmondo cattolico e meta di pellegrinaggi, il Governo italiano avrà cura di impedire in Roma tutto ciò chepossa essere in contrasto col detto carattere.[…].Art. 5. Nessun ecclesiastico può essere assunto o rimanere in un impiego od ufficio dello Stato italianoo di enti pubblici dipendenti dal medesimo senza il nulla osta dell’Ordinario diocesano.La revoca del nulla osta priva l’ecclesiastico della capacità di continuare ad esercitare l’impiego ol’ufficio assunto.In ogni caso i sacerdoti apostati o irretiti da censura non potranno essere assunti né conservati in uninsegnamento, in un ufficio od in un impiego, nei quali siano a contatto immediato col pubblico.[…].Art 34. Lo Stato italiano, volendo ridonare all’istituto del matrimonio, che è base della famiglia, dignitàconforme alle tradizioni cattoliche del suo popolo, riconosce al sacramento del matrimonio, disciplinatodal diritto canonico, gli effetti civili.Art. 36. L’Italia considera fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica l’insegnamento delladottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica. E perciò consente che

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l’insegnamento religioso ora impartito nelle scuole pubbliche elementari abbia un ulteriore svilupponelle scuole medie, secondo programmi da stabilirsi d’accordo tra la Santa Sede e lo Stato.[…].Art. 38. Le nomine dei professori dell’Università Cattolica del S. Cuore e del dipendente istituto dimagistero Maria Immacolata sono subordinate al nulla osta da parte della Santa Sede, diretto adassicurare che non vi sia alcunché da eccepire dal punto di vista morale e religioso.

* * *

Si alternava così repressione e mano tesa per riconciliare gli animi. Da un latosi imponeva un giuramento di fedeltà al regime dei dipendenti pubblici, siperseguitavano in Italia con il Tribunale speciale per la difesa dello Stato e ancheall’estero gli oppositori (come Antonio Gramsci) per metterli a tacere -gravissimo l’assassinio in Francia dei fratelli Rosselli, Carlo e Nello, effettuatomaterialmente da fascisti francesi -; dall’altro si cercava di legare al regime gliintellettuali con grandi opere - come ad es. l’Enciclopedia Italiana Treccani ol’Accademia d’Italia - o con i GUF, Gruppi universitari fascisti, in cui siformarono non pochi dei grandi personaggi dell’Italia poi divenutarepubblicana.Nel ’34 si ebbe la costituzione e l’entrata in funzione delle Corporazioni,istituite con decreto del capo del Governo e presiedute da un ministro o unsottosegretario e anticipate da un discorso alla Camera di Mussolini, alla finedel ’33, che riveste un notevole interesse, perché è un po’ una ‘summa’ delpensiero fascista. Teniamo presente che esso interveniva dopo il crollo diWall Street (1929) e la grande crisi che aveva già fatto istituire l’IMI e l’IRI,inaugurando un intervento statale in economia mai visto in un Paese nonsocialista. Vediamone qualche passo:

[…] “Questa crisi che ci attanaglia da quattro anni - adesso siamo entrati nel quinto da un mese - è unacrisi ‘nel’ sistema o ‘del’ sistema?”. Domanda grave.[…]. Oggi possiamo affermare che il modo di produzione capitalistica è superato e con esso la teoriadel liberalismo economico che l’ha illustrato ed apologizzato.[…].Viene la guerra. Dopo la guerra e in conseguenza della guerra, l’impresa capitalistica si inflaziona. […].L’ideale del supercapitalismo sarebbe la standardizzazione del genere umano dalla culla alla bara. Ilsupercapitalismo vorrebbe che tutti gli uomini nascessero della stessa lunghezza, in modo che sipotessero fare delle culle standardizzate; vorrebbe che i bambini desiderassero gli stessi giocattoli, chegli uomini andassero vestiti della stessa divisa, che leggessero tutti lo stesso libro, che fossero tutti deglistessi gusti al cinematografo, che tutti infine desiderassero una cosiddetta macchina utilitaria.Questo non è un capriccio, ma è nella logica delle cose, perché solo in questo modo il supercapitalismopuò fare i suoi piani. […].Siamo a questo punto: che se in tutte le nazioni d’Europa lo Stato si addormentasse per ventiquattroore, basterebbe tale parentesi per determinare un disastro. Ormai non c’è campo economico dove loStato non debba intervenire. Se noi volessimo cedere per pura ipotesi a questo capitalismo dell’ultimaora, noi arriveremmo de plano al capitalismo di Stato, che non è altro che il socialismo di Statorovesciato! Arriveremmo in un modo o nell’altro alla funzionarizzazione della economia nazionale!

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Questa è la crisi del sistema capitalistico presa nel suo significato universale. Ma per noi vi è una crisispecifica che ci riguarda particolarmente nella nostra qualità di italiani e di europei. C’è una crisieuropea, tipicamente europea. L’Europa non è più il continente che dirige la civiltà umana. Questa è laconstatazione drammatica che gli uomini che hanno il dovere di pensare debbono fare a se stessi e aglialtri. C’è stato un tempo in cui l’Europa dominava politicamente, spiritualmente, economicamente ilmondo. Lo dominava politicamente attraverso le sue istituzioni politiche. Spiritualmente attraversotutto ciò che l’Europa ha prodotto col suo spirito attraverso i secoli. Economicamente perché eral’unico continente fortemente industrializzato. Ma oltre Atlantico si è sviluppata la grande impresaindustriale e capitalistica. Nell’Estremo Oriente è il Giappone che, dopo aver preso contattocoll’Europa attraverso la guerra del 1905, avanza a grandi tappe verso l’Occidente. Qui il problema èpolitico. Parliamo di politica; perché anche questa assemblea è squisitamente politica. L’Europa puòancora tentare di riprendere il timone della civiltà universale, se trova un minimum di unità politica.[…].Domandiamoci ora: l’Italia è una nazione capitalistica? Vi siete mai posta questa domanda? Se percapitalismo si intende quell’insieme di usi, di costumi, di progressi tecnici ormai comuni a tutte lenazioni, si può dire che anche l’Italia è capitalista. Ma se noi andiamo più addentro alle cose edesaminiamo la situazione da un punto di vista statistico, cioè della massa delle diverse categorieeconomiche delle popolazioni, noi abbiamo allora i dati del problema che ci permettono di dire chel’Italia non è una nazione capitalista nel senso ormai corrente di questa parola. […].Voi vedete subito da questo quadro come l’economia della nazione italiana sia varia, sia complessa, enon possa essere definita attraverso un solo tipo, […]. Questo specchietto vi dimostra anche comeavesse torto Carlo Marx, il quale, seguendo i suoi schemi apocalittici, pretendeva che la società umana sipotesse dividere in due classi nettamente distinte fra loro ed eternamente irriconciliabili.L’Italia a mio avviso deve rimanere una nazione ad economia mista, […].Non mi soffermo sui compiti conciliativi che la corporazione può svolgere, e non vedo nessuninconveniente alla pratica dei compiti consultivi. Già adesso accade che tutte le volte che il Governodeve prendere dei provvedimenti di una certa importanza, chiama gli interessati. Se domani ciò diventaobbligatorio per determinate questioni, io non ci vedo alcunché di male, perché tutto ciò che accosta ilcittadino allo Stato, tutto ciò che fa entrare il cittadino dentro l’ingranaggio dello Stato, è utile ai finisociali e nazionali del fascismo.Il nostro Stato non è uno Stato assoluto, e meno ancora assolutista, lontano dagli uomini ed armatosoltanto di leggi inflessibili come le leggi devono essere. Il nostro Stato è uno Stato organico, umano,che vuole aderire alla realtà della vita.[…].È perfettamente concepibile che un Consiglio Nazionale delle Corporazioni sostituisca in toto la attualeCamera dei deputati. La Camera dei deputati non mi è mai piaciuta. In fondo questa Camera deideputati è ormai anacronistica anche nel suo stesso titolo: è un istituto che noi abbiamo trovato e che èestraneo alla nostra mentalità, alla nostra passione di fascisti. La Camera presuppone un mondo che noiabbiamo demolito; presuppone pluralità dei partiti, e spesso e volentieri l’attacco alla diligenza. Dalgiorno in cui noi abbiamo annullato questa pluralità, la Camera dei deputati ha perduto il motivoessenziale per cui sorse.[…].Il corporativismo supera il socialismo e supera il liberalismo, crea una nuova sintesi. Ecco perchél’economia corporativa sorge nel momento storico determinato, quando cioè i due fenomeniconcomitanti, capitalismo e socialismo, hanno già dato tutto quello che potevano dare. Dall’uno edall’altro ereditiamo quello che essi avevano di vitale. Noi abiamo respinto la teoria dell’uomoeconomico, la teoria liberale, e ci siamo inalberati tutte le volte che abbiamo sentito dire che il lavoro èuna merce. L’uomo economico non esiste, esiste l’uomo integrale, che è politico, che è economico, cheè religioso, che è santo, che è guerriero. Oggi noi facciamo nuovamente un passo decisivo, sulla viadella rivoluzione. […] una rivoluzione per esser grande, per dare una impronta profonda nella vita di unpopolo nella storia, deve essere sociale. […] La rivoluzione francese fu eminentemente sociale, perchédemolì tutto quello che era rimasto del medioevo, dai pedaggi alle corvées; sociale, perché provocò il

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vasto rivolgimento di tutto quello che era la distribuzione terriera della Francia, e creò quei milioni diproprietari che sono stati e sono ancora una delle forze solide e sane di quel paese.[…].Non basta. Occorre, dopo il partito unico, lo Stato totalitario, cioè lo Stato che assorba in sé pertrasformarla e potenziarla, tutta l’energia, tutti gli interessi, tutta la speranza di un popolo. Non bastaancora. Terza ed ultima e più importante condizione: occorre vivere un periodo di altissima tensioneideale.[…].

Una bella sintesi dell’ideologia fascista che comportava la morte annunciatadella Camera dei deputati! In base a questo interventismo, il decreto istitutivodelle corporazioni indicava i membri del consiglio e nominava le associazionicollegate, che pur rimanendo autonome dovevano sottoporre i loro accordi alparere della corporazione. Su proposta dei ministri e con l’assenso del capodel Governo, le corporazioni procedevano all’adozione di regolamenti collettivinei loro settori, a fissare le tariffe dei servizi e il prezzo dei beni dei consumoetc., soggetti all’approvazione dell’Assemblea generale del Consiglio nazionale(che si riunì solo 5 volte) e obbligatori dalla loro pubblicazione con decretodel capo del Governo.Le corporazioni erano di fatto interamente dipendenti da Mussolini, perchéoperavano solo quando richieste. Importante fu solo la loro opera diconciliazione delle parti, mediante un ‘collegio di conciliazione’ dei membri dellacorporazione. Poi, prima ancora che un vero esperimento corporativo sirealizzasse, il disegno moriva con la legge che trasformava nel ’39 la Cameradei deputati in ‘Camera dei fasci e delle corporazioni’, formata – come giàanticipato - dai componenti del Consiglio nazionale delle corporazioni,nominati con decreto del capo del Governo. La farsa delle elezioni per laCamera, consumata ancora nel ’28 e nel ’34, con il ‘listone’ che assicuravaelezioni solo ai candidati fascisti, era finita.Più che nelle istituzioni formalmente rispettate, dal Re al Senato, allamagistratura etc., il fascismo ebbe l’accortezza di muoversi nel ‘sociale’ ovecercò di acquisire il consenso, che certamente fu molto alto negli anni ’30,quando ormai i traumi delle origini si erano attenuati e l’unica opposizionereale veniva dai comunisti clandestini, che operavano agli ordini di Mosca,ove risiedeva Togliatti, uno dei bracci operativi di Stalin e da pochi liberalicome Croce.Operare nel sociale per costruire la ‘dittatura di massa’, com’è stata chiamata,vuol dire che dai giovani balilla fino all’appello finale (la chiamata alle armiper la guerra), il fascismo seguiva i suoi adepti nella vita di tutti i giorni comecamerati. La parola d’ordine si legge nel decreto del ’27 istitutivo della GIL(Gioventù italiana del littorio, al posto dell’Opera Balilla): Credere-obbedire-

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combattere, frutto di un’ideologia totalitaria opposta a quella liberale da cuinacque lo Statuto.Lo Statuto però lasciava spazi di libertà e consentiva di fare o di non fare; ilfascismo imponeva invece obblighi a tutti e soprattutto ai suoi, iscritti in basea segnalazione degli organi locali con tessera - che divenne indispensabile pergodere dei diritti politici e accedere agli impieghi pubblici. I diritti di libertànon furono formalmente soppressi, ma ‘regolati’, ossia condizionati construmenti come l’ammonizione e il confino, ora di competenza dell’autorità dipolizia!Supremo era considerato il senso della Nazione, del ‘dovere’ piuttosto che quellodel diritto, l’incorporazione del singolo nella comunità anziché l’individuo; ciòche importava erano i fini ‘nazionali’ più che la libertà individuale. Eravamoallo Stato etico, giunto ad un livello anche più raffinato col Nazismo.Lo Stato fascista non operava per tutelare i diritti dei singoli, ma gli interessinazionali interpretati dagli uomini ‘più degni e adatti’. Quindi nell’azione diGoverno prevalevano i motivi politici rispetto a quelli giuridici.Fu travolto così, ad esempio, il principio di uguaglianza. Ad esempio, dopo il’29 i Patti lateranensi prevedevano a favore dei cattolici molti privilegi: inmateria di matrimonio, d’insegnamento religioso, con la repressione deldelitto di ‘vilipendio della religione’ (solo quando si trattava di quella cattolica,religione ufficiale dello Stato). Privilegiati in assoluto furono i giornali e isindacati fascisti (gli altri furono soppressi). Dal ’32 un decreto riservò aitesserati del partito i pubblici concorsi di ogni tipo e promozioni. Altredisposizioni sancirono privilegi agli ‘squadristi’ e ai fascisti della prim’ora,‘antemarcia’ su Roma!Coraggiosa fu la decisione della V Sezione del Consiglio di Stato del ’38, chenegò che il ritiro della tessera da parte del partito implicasse automaticamenteil licenziamento.Altre gravissime violazioni del principio di uguaglianza dopo quelle cheabolirono la libertà di riunione, di associazione e di stampa etc., furono quelleimposte dalle leggi razziali del ’38 e anni seguenti contro i ’non ariani’(adottate anche per compiacere l’alleato tedesco), per cui gli ebrei furonoesclusi dai matrimoni ‘misti’ e vennero allontanati dalle scuole, dall’esercito,dal Partito, dagli impieghi pubblici, ma soprattutto vennero schedati,ponendosi così le premesse della loro deportazione in Germania (perlopiùsenza ritorno).Più che all’ordine pubblico si badò all’ordine politico, controllando anche glisquadristi. Nel ’25 si sottoposero al controllo del Prefetto tutte le associazioni

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operanti con contributi di lavoratori o aventi per fine di aiutarli: i Prefettipotevano sciogliere i loro consigli e preporvi dei commissari.Nel Testo Unico delle leggi di Pubblica Sicurezza del ’31 furono vietate anche leassociazioni segrete (come la Massoneria, che fu sentita come non organica alregime, pericoloso vivaio di liberi pensatori!) e fu imposto che tutte le altrecomunicassero i propri statuti e i propri regolamenti alla polizia.Il codice penale del ’30 (‘Codice Rocco’, in gran parte ancora vigente e solomolto lentamente ‘ripulito’ dalle sentenze della Corte costituzionale) all’ art.270 sanciva pene per chi volesse instaurare la dittatura di una classe osovvertire l’ordine economico o politico dello Stato o contro il ‘sentimentonazionale’(= fascismo); altri reati furono previsti dalla legge speciale del ’26per la difesa dello Stato (pena di morte per attentati e delitti politici).La libertà di stampa avrebbe dovuto essere garantita dal capo del Governo(già giornalista!). Invece si ebbero continue intimidazioni, finché con ildecreto legge del ’23 si autorizzarono i Prefetti a diffidare i responsabili delladiffusione di notizie ‘false o tendenziose’ atte a turbare l’ordine pubblico ol’azione di Governo o a vilipendere il Governo, il Re, il Papa, la Patria, lareligione, le istituzioni, i poteri dello Stato. Dopo due diffide nello stesso anno ilgiornale poteva essere soppresso.La norma fu poco applicata all’inizio ma nel ’24, dopo le polemiche per ildelitto Matteotti, il Consiglio dei ministri approvò il regolamento applicativo,con cui si autorizzava anche al sequestro dei giornali della stampa ‘sovversiva’.Da allora la stampa non allineata fu impossibilitata ad operare e il colpo digrazia si ebbe nel ’28 con l’istituzione dell’Ordine nazionale dei giornalisti, cheescludeva chi non avesse dato prova di adesione al partito.Intanto, s’è visto, i professori universitari fedeli al regime, la quasi totalità, siimpegnavano a educare i giovani ai sani principi fascisti!Per quanto riguarda la ‘giustizia sociale’ e il ‘giusto salario’, il fascismo fucostretto ad occuparsene dal forte sindacalismo e perciò si ebbero lecorporazioni e i contratti collettivi di lavoro, ma anche molta legislazionespeciale, che riguardò il settore assistenziale e previdenziale, gli uffici dicollocamento, i premi ai lavoratori etc.Il principio ufficialmente proclamato era che le forze del lavoro avrebberodovuto assumere il Governo del Paese, e certamente gran parte dello Stato ‘sociale’oggi operante ha tratto le sue origini dal periodo fascista.Diritti come quello all’istruzione o alla legalità dell’azione amministrativafurono ovviamente mantenuti, come il diritto elettorale, né fu introdotto ilvoto ‘plurimo’, da concedersi ai privilegiati del regime. Ma la riformaintrodotta dalla legge provinciale e comunale tolse a tali enti l’elettorato attivo

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e passivo. Elettorato che fu tolto anche dal Consiglio superiore dellamagistratura e da quello della pubblica istruzione (‘confusionismodemagogico’). Non solo, ma il Consiglio dell’educazione perse i poterideliberanti, a favore ora del Ministero.Ma la giustizia amministrativa fu migliorata, con la V sezione giurisdizionale delConsiglio di Stato. Le cause fiscali avevano il privilegio del foro a favore dello Stato(attrazione da parte delle sedi dell’Avvocatura dello Stato).Il diritto alla cittadinanza fu regolato con una legge del ’26, per cui si potevaesserne privati per fatti commessi all’estero che turbassero l’ordine pubblico ointeressi nazionali (ad esempio anche chi avesse conseguito una sentenza didivorzio all’estero) o per essere oppositori politici. Poco dopo la privazione fuestesa anche a carico di chi assumesse incarichi in enti internazionali.Ma non va dimenticato che il fascismo volle soprattutto far valere i doveriverso il ‘tutto’, verso la Nazione. Perciò oltreché l’obbedienza, volle piuttostoil consenso e l’entusiasmo, imponendo l’uso della divisa, il saluto romano, il‘voi’, la propaganda radio etc., tutto dipendente alla fine del regimedall’apposito Ministero della cultura popolare (Minculpop).Il codice penale del ’30 pur ben fatto tecnicamente aveva come scopo la difesadell’occupazione fascista dello Stato; ad esempio, si parlava di prevenzionedella criminalità politica come ‘difesa delle pubbliche istituzioni e sicurezzadello Stato’.Dal ’26 poi operò uno speciale servizio di investigazione politicadisimpegnato dalla Milizia che finì per assumere la denominazione (maiufficiale) di Opera di vigilanza e repressione dell’antifascismo: la terribile OVRA,responsabile di persecuzioni e torture.Non era ufficialmente sancito l’obbligo di essere fascisti, ma ‘solo’ l’obbligo dinon essere antifascisti, con il motto tutto nello Stato, nulla contro lo Stato, nulla fuoridello Stato. La ‘voce pubblica’ bastava per ammonire e confinare le personeritenute ‘pericolose’ socialmente o per gli ordinamenti dello Stato (delitti disospetto). Altro obbligo nuovo era la preparazione pre-militare biennale per igiovani.

3. L’Italia dal codice del 1865 al codice del 1942

“Mezzo secolo senza riforme” fu definito il periodo di compreso tra l’entratain vigore del Codice Pisanelli del 1865 e l’inizio della prima guerra mondiale,caratterizzato da una notevole scarsità di interventi modificativi sul testo ditale codice (salvo alcune “notevoli” eccezioni quali l’abolizione dell’arresto

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per debiti nel 1877). E purtuttavia abbiamo avuto modo di vedere che a tale“calma piatta” sul fronte della riforma del codice civile (cui fece dacontraltare una vivace opera di riforma extra codicem nel campo dellalegislazione sociale a partire dagli anni ’80 e per tutto il periodo giolittiano)corrispose certo una continuità di dibattiti tra i giuristi, animataprincipalmente dai fautori del “socialismo giuridico” che a partire da finesecolo criticarono il Codice Pisanelli come agnostico e totalmenteinsufficiente a tutelare il lavoro e le classi lavoratrici. A questo si aggiunse poiil fatto che il varo del nuovo codice di commercio nel 1882, con laconseguente, perdurante separazione tra diritto civile e commerciale, fecesempre più apparire il Codice civile – come ha ben notato il Bonini – come il“codice della proprietà fondiaria” contrapposto allo “statuto della borghesiacommerciale” insito nel nuovo codice di commercio.

Nella genesi del codice del 1942 non possiamo non individuare, in una visualestorica di “tempi lunghi”, diversi modelli ispiratori: l’ormai un po’ “sbiadito”ma sempre importante Code Napoléon, la prova fornita dal Codice Pisanelliin decenni di esistenza, ma soprattutto il più recente BGB tedesco, quantomai “presente” nella mente dei giuristi italiani della prima metà del XX secolo(si pensi all’accoglimento, nei testi di diritto privato, del “negozio giuridico”,assente nel codice civile odierno ma tratto dal “Rechtsgeschäft” dellaPandettistica e del BGB).

Sui “tempi brevi”, però, non si può non constatare che il codice del 1942 èfiglio di necessità ed esigenze di riforma giuridica traenti la propria origine dalprimo dopoguerra.

La prima guerra mondiale e le sue importanti conseguenze giuridichesegneranno infatti l’avvio del più che ventennale iter che sfocerà nel codicedel 1942. E’ noto che il periodo 1915-18 sarà caratterizzato da unalegislazione bellica fatta di provvedimenti governativi adottati su delegaparlamentare i quali, se dal punto di vista dell’assetto costituzionale nonpotranno che pericolosamente indebolire le prerogative parlamentari di fronteall’esecutivo (come è stato notato dal Ghisalberti) in materia privatisticarestringevano per necessità belliche la pienezza della proprietà privata. Itragici eventi bellici non potevano poi non ripercuotersi anche sulla disciplinadel diritto di famiglia, specie in materia di assenza, morte presunta, statusmatrimoniale, figli illegittimi, ecc., senza contare che l’annessione, nel 1918, diprovince facenti parte dell’ex impero austro-ungarico (ove non esisteva

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l’autorizzazione maritale ma vigevano in compenso il divorzio e, in tema ditrasferimento di proprietà, il regime trascrittivo) e la ripresa dell’attività diriforma legislativa nell’immediato dopoguerra – abolizione dell’autorizzazionemaritale mediante la legge del 17 luglio 1919 – ponevano in termini urgenti ilproblema dei necessari adattamenti al “vecchio” Codice Pisanelli.

A metà del 1924, in seguito al non nuovo – già sperimentato con i codiciPisanelli e Zanardelli - strumento della delega al governo, votata con legge 30dicembre 1923, si costituisce una Commissione per la riforma del codice, asua volta suddivisa in diverse sottocommissioni nelle quali opereranno nonsolo giuristi di primo piano, tra cui Vittorio Scialoja, ma anche (come hanotato Bonini) romanisti quali Bonfante, Segre, Azara, FilippoVassalli. Si dàinizio in tal modo (la delega sarà rinnovata nel 1925) ad una prima fase deilavori preparatori, che vede protagonista lo Scialoja e che è contrassegnatadalla presentazione da parte di quest’ultimo al guardasigilli Alfredo Rocco, nel1930, di un primo libro intitolato “Delle persone e della famiglia”. Il progettodefinitivo del primo libro è poi pubblicato nel dicembre 1938 ed entra invigore il 1° luglio 1939, con quasi tre anni di anticipo rispetto ai restanticinque libri.

Fino al 1940, in effetti, il percorso di riforma civilistico non scalfisce l’ideadella tradizionale separazione tra diritto civile e commerciale.

L’impianto nuovo caratterizzato dalla fusione dei due elementi in un solocodice - ancora oggi oggetto di ricerche da parte degli storici del diritto -prende forma nel corso del 1940, probabilmente per energica iniziativa delGuardasigilli Dino Grandi (che tre anni dopo presenterà il famoso “ordinedel giorno” di sfiducia al “Duce” al Gran Consiglio) ma certamente con l’ideaevidente di “concretizzare” la massiccia entrata nel corpus civilisticodell’ideologia sociale fascista rappresentata dalla “Carta del Lavoro” del 1926.Accanto alla prosecuzione dei lavori sulle parti “classiche”, dedicate alleobbligazioni, alla proprietà ecc., si inizia così a concepire un libro autonomosull’ impresa e sul “lavoro”, tanto più che già formalmente il 30 novembre1940 il consiglio dei ministri delibera di attribuire alla Carta del Lavoro“autorità di principi generali dell’ordinamento e di premessa al CodiceCivile”. Sempre in tale ottica “politica”, o meglio “politicizzante” (che certopone agli storici tout court e del diritto il problema, ancor oggi irrisolto, delgrado reale di “fascistizzazione” della codicistica italiana e dei suoi “residui”post-fascisti), lo stesso consiglio dei ministri (4 gennaio 1941) spiega tale

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soppressione dell’autonomia del diritto commerciale sulla base delriconoscimento di una “doverosa” preminenza all’ordinamento corporativo.

Sulle nuove basi, l’opera codificatoria procede quindi rapidamente con lapresentazione al re, nel corso del 1941, dei restanti libri del codice (il secondoed il terzo, sotto forma di “progetti preliminari” completati, erano in “standby” dal 1937). Essi, coordinati in unico testo nei primi mesi del 1942,possono entrare ufficialmente in vigore il 21 aprile dello stesso anno.

Ovviamente, lo studio dettagliato e puntuale del codice civile vigente esuladall’ambito di questa analisi, che si vuole soprattutto storica. Tuttavia, econcludendo, non possiamo non notare alcune (evidenti) caratteristiche:

a) la rinuncia, alla fin fine in linea con la “tradizione” del Codice Pisanelli, adintrodurre una “parte generale” sulla falsariga del BGB. I suoi concettiastratti affascineranno infatti più il professore che non il legislatore. Senzacontare che il legislatore italiano si pone anche il problema di unascorrevolezza linguistica del testo, di difficile reperimento invece difficilmentenel lungo e complicato articolato del codice civile tedesco. Il codice del 1942sarà infatti rivisto dal noto scrittore Ugo Ojetti alla vigilia della sua entrata invigore;

b) lo “scardinamento” della tradizionale centralità della proprietà, la cuidisciplina si rinviene ora in un solo libro sui sei di cui il codice si compone. Eil concetto di proprietà è sempre più lontano da quell’assolutezza tipica deicodici dell’Ottocento, visto che gli articoli successivi all’832 prevedono nonpochi limiti;

c) il tentativo di mantenere l’unità della famiglia attraverso il rifiutodell’istituto del divorzio e l’accoglimento della figura del “matrimonioconcordatario” (=religioso con effetti civili), che rappresentava un evidentearretramento anche rispetto al doppio matrimonio, civile e religioso, dellanormativa precedente; inoltre, nonostante la definitiva abolizionedell’autorizzazione maritale, la condizione della donna e dei figli restavaancora subordinata rispetto a quella del marito (definito a chiare lettere“capofamiglia”);

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d) ennesima riprova della fine della “centralità” della proprietà risalente alCode Napoléon sono anche lo “sganciamento” da essa della materia dellesuccessioni e delle obbligazioni- non più viste come modi di trasmissionedella proprietà, ma oggetto ora di autonomi libri, il secondo e il quarto;

e) tracce evidenti di quella che si è definita (Galgano) “commercializzazionedel diritto privato” si notano nella massiccia entrata nel libro quarto delcodice delle c.d. obbligazioni commerciali, nonché nella evidente volontà dellegislatore di rendere “ipersicure” e “blindate” le transazioni: ecco dunquespiegata la ragione dei frequentissimi richiami ai concetti di “correttezza” e“buona fede” in materia contrattuale, nonché alla grande importanzaconferita al principio del legittimo affidamento (Bonini);

f) il quinto libro, destinato a favorire, come si disse, l’ingresso nel codicedell’ideologia corporativa, presenta come caratteristica principale, certo nonestranea a tale tentativo – e indipendentemente dalla questione se tale“politicizzazione” sia riuscita o meno – un rafforzamento della presenza dellostato: si disciplinano, ad esempio, tipi societari a forte dominanza pubblica esconosciuti al vecchio codice (le c.d.“società a partecipazione pubblica”,figlie dell’esperienza della crisi del ’29 e dell’IRI), e si rafforza il controllo sullesocietà per azioni (es. previsione di un capitale minimo iniziale).Ennesimi riflessi di un fenomeno che non è passato inosservato agli storicidel diritto, e che, se in Italia si ricollega ovviamente in primis alla naturaautoritaria del regime fascista, vive comunque il processo storico-giuridico piùgenerale, proprio del passaggio dal XIX al XX secolo: quello della progressiva“pubblicizzazione” del diritto privato.

4. Nazismo e dopoguerra in Germania

Lo scardinamento di uno stato. Il 30 gennaio 1933, in seguito alla recenteennesima vittoria elettorale del partito nazionalsocialista del 6 novembre 1932(33,1% dei voti, maggioranza relativa nel Reichstag), l’ormai ottantennepresidente della Repubblica di Weimar, generale Hindemburg, nomina AdolfHitler cancelliere. La nomina di Hitler, non diversamente da quanto successein Italia undici anni prima, poté sembrare sul momento all’elettore tedesco ilsegno di una vittoria più generale del “blocco conservatore”, alleanza più

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vasta in cui i nazionalsocialisti si erano momentaneamente inseriti e di cuierano garanti note personalità che entrarono a far parte del gabinettopresieduto da Hitler, come Franz von Papen, nominato vice-primo ministro ea sua volta cancelliere nel precedente governo.

Ma se il tedesco medio non si rese forse conto, nei primi mesi del 1933, diquanto stava accadendo, è però certo che in meno di un anno si assistette aduna presa del potere totale ed incontrollata da parte di Hitler e dei suoiseguaci. La repentina ed unilaterale decisione di sciogliere il Reichstag il 1°febbraio 1933, nonché una schiacciante vittoria elettorale con quasi il 44% deivoti nelle elezioni del 5 marzo seguente (le ultime sino al 1945!) diede alnazionalsocialismo (ormai padrone delle leve del potere) l’occasione discatenare un’azione volta a smantellare le strutture parlamentari ecostituzionali dello stato. Un’azione di smantellamento pseudo-legale (cfr. lac.d. “legge sui pieni poteri”) combinata con una brutale repressione epersecuzione di ogni avversario politico. E’ noto che l’azione nazista, se ebbecome obbiettivo immediato l’eliminazione dei partiti “marxisti”(socialdemocratici, comunisti), si scatenò però subito contro ogni forma diopposizione politica, sindacale, intellettuale, inglobando nel contempo, comeè ben noto, le sistematiche persecuzioni antiebraiche.

In poco più di un anno, in nome della presunta “rinascita” e del“rinnovamento” nazionali di una Germania di Weimar che i nazionalsocialistivedevano “decadente” e “umiliata” dal trattato di Versailles, si compie lasistematica costruzione di uno stato assoluto e totalitario. Possiamoriassumere così le tappe legislative della nascita della dittatura nazista, nondimenticando però che ad essa si accompagnò lo scatenarsi del terrore edell’illegalità violenta nelle strade e nelle piazze :

a) L’incendio del Reichstag del 27 febbraio 1933 fornì il pretesto perderogare, con un decreto del giorno seguente, ai diritti garantiti dallaCostituzione di Weimar. Il decreto del presidente del Reich 28 febbraio1933 “sulla tutela del diritto e dello stato”, più noto come “decretosull’incendio del Reichstag”, inferse un durissimo colpo al regimedemocratico di Weimar; esso permise infatti, sotto la veste formale deipoteri di “emergenza” propri del capo dello stato ai sensi dell’articolo48 della costituzione, di sospendere a tempo indeterminato le libertàpersonali, di opinione, di stampa, riunione, associazione, segretoepistolare ecc. nonché di inasprire severamente le pene (fino alla morte,

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frequentemente inflitta) per un numero considerevole di reati funzionalialla repressione degli oppositori al regime.

b) la “legge sui pieni poteri” (o, più esattamente, “legge di protezione delpopolo e del Reich”) del 24 marzo seguente scardinò poi totalmente ilmeccanismo costituzionale weimariano di divisione dei poteriaccentrando il legislativo nelle mani del governo (=di Hitler); si puòanzi affermare che il sistema weimariano stesso cessò in tal modo, defacto, di esistere. Di tenore analogo (probabilmente i nazionalsocialisti visi ispirarono) alle leggi “fascistissime” italiane del 1925, la legge recitavache “è facoltà del governo legiferare nelle materie previste dalla Costituzione delReich (...) salvo quelle aventi ad oggetto il Reichstag e il Reichsrat”, e il governonon abbisognava nemmeno più della promulgazione da parte del capodello stato, potendo immediatamente procedere alla pubblicazione delleleggi! Ponendosi come legge di revisione costituzionale, la “legge suipieni poteri” abbisognava formalmente di una maggioranza dei dueterzi dei membri del Reichstag: maggioranza che si ottenne intimidendouna camera dei deputati nella quale le formazioni politiche di centro edestra unirono i propri voti a quelli dei nazionalsocialisti. Ormaidisperso il partito comunista, l’unica (coraggiosa) opposizioneprovenne, compatta, dalle file socialdemocratiche.In tal modo, il governo otteneva una copertura di legittimità formaleper ogni suo futuro atto arbitrario, e tale legge conferì una sorta dilegalità formale alla nascita e al perdurare della dittatura nazista. E unalibi di continuità legale e costituzionale ad ogni giurista che volesseporsi al suo servizio. La “legge sui pieni poteri” fu poi oggetto diproroga una prima volta nel 1937 e successivamente, a tempoindeterminato, nel 1943.

c) l’eliminazione dei Länder come entità politiche autonome mediante lalegge 7 aprile 1933 pose fine alla secolare tradizione tedesca didecentramento e stabilì l’insediamento in ogni Land di una sorta di“prefetto” (Reichsstatthalter, “luogotenente del Reich”) con pieni poteridi controllo, scioglimento delle diete regionali ecc.; l’abolizione delReichsrat (camera delle regioni) il 14 febbraio 1934 completerà talequadro di assoluto accentramento;

d) le leggi sul divieto del partito socialdemocratico (quello comunista eragià stato abolito!) del 22 giugno e sul divieto più generale di costituzionedi nuovi partiti costituiscono ovviamente una tappa fondamentale

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nell’edificazione del totalitarismo nazista. I primi due (agghiaccianti)articoli di quest’ultimo testo di legge dispongono che “ 1) in Germaniaesiste come unico partito politico il Partito Nazionalsocialista del LavoratoriTedeschi. 2) Chiunque dia mano nel mantenere in vita la struttura organizzativadi un altro partito politico o nel formarne uno nuovo è punito (...) con pena detentivada sei mesi a tre anni.”

e) La “legge sulla tutela dell’unità del Partito e dello Stato”, del 1°dicembre 1933 conferisce al partito nazionalsocialista natura di organodello stato e personalità di diritto pubblico. Al primo articolo si leggeche “in seguito alla vittoria della rivoluzione Nazionalsocialista, il PartitoNazionalsocialista del Lavoratori Tedeschi rappresenta la filosofia tedesca dellostato ed è indissolubilmente unito a quest’ultimo”;

f) con legge 24 aprile 1934 è costituito un Tribunale speciale(Volksgerichtshof), dalle competenze analoghe a quelle del Tribunalespeciale per la difesa dello stato creato nel 1926 dal fascismo, edestinato ovviamente a reprimere gli atti di opposizione al regimenazista. Fino alla sua dissoluzione nel 1945 esso pronuncerà ben 5200condanne a morte (comprese quelle inflitte ai partecipanti al fallitoattentato ad Hitler del 20 luglio 1944)!

g) Da ultimo, con la legge “relativa al capo dello Stato” del 1° agosto 1934,che fonde nella persona di Adolf Hitler la carica di presidente del Reichcon quella (già detenuta) di cancelliere, possiamo dire che il processogiuridico di costruzione dello stato totalitario è compiuto. Al congressodel partito nazionalsocialista di Norimberga, il 5 agosto seguente, Hitlerpotrà proclamare che “la Rivoluzione nazionalsocialista in quanto processorivoluzionario e di potenza (...) è compiuta (...) nei prossimi mille anni non visaranno più rivoluzioni in Germania.” E la creazione del c.d.“Führerprinzip” (=la persona di Hitler è unica ed esclusiva fonte didiritto, oltreché identità assoluta tra popolo e “capo”, tale da annullareogni differenza tra stato e società civile) diviene la quintessenzagiuridica e politica del “nuovo ordine” totalitario.

Giuspubblicisti e nazismo. In poco più di un anno, ogni opposizione èannichilita; ovviamente, nella sua costruzione totalitaria, Hitler poté ispirarsi –ed evidenti sono le analogie - all’esempio italiano di un decennio precedente,anche se occorre dire che in Italia la costruzione del totalitarismo fascista furelativamente più lenta, come si è visto, e, a detta degli storici, non raggiunseforse mai i livelli di “assolutismo” della Germania causa l’esistenza nel nostro

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paese di “corpi estranei” difficilmente eliminabili quali la monarchia e lachiesa cattolica.Comunque stiano le cose, è certo che in Germania, forse ancor più che inItalia, la propaganda di regime fu instancabile nel presentare la presa delpotere da parte del nazionalsocialismo e la susseguente dittatura come unprocesso al contempo “legale” e “rivoluzionario”. A questo proposito – maforse non dissimilmente da quanto avvenne in Italia -, il nazionalsocialismopoté avvalersi dell’importante contributo di studiosi dello stato di chiarafama, quali Carl Schmitt o Ernst Forsthoff. Furono essi ad elaborare ilconcetto di “stato totale”, il cui presupposto, legato al “Führerprinzip”, era ilconcetto di “autorità” irradiantesi dall’alto verso il basso, cui facevano dacontraltare i postulati di “responsabilità” e “obbedienza” nei confronti dellapersona del dittatore. Per contro, poco importava ai loro occhi che laripartizione di competenze nel nuovo stato totalitario fosse vaga e nebulosa,giacché la figura centralissima del “Führer” avrebbe dovuto per naturasupplirvi col suo potere ordinatorio e di mediazione. Ed in effetti ipersonalismi, le rivalità e gli scontri, nel partito e nello stato, furonofrequentissimi (si pensi all’eliminazione delle potenti milizie SA di Röhm daparte di Himmler, o ai sempre più stridenti conflitti tra i militari, sempremeno inclini alla “nazificazione” e i vertici del partito).

Commentando la “legge sui pieni poteri” del marzo 1933, Carl Schmitt rifiutaad esempio la prospettiva “classica” del principio parlamentare e dellasovranità popolare (=voto del Reichstag) come fonte della legittimità di talelegge e della nascita del regime nazionalsocialista, ed afferma che la “legge suipieni poteri è una legge costituzionale provvisoria della nuova Germania (...) Larivoluzione tedesca è stata legale, vale a dire formalmente conforme alla precedentecostituzione. Lo è stata per la disciplina e il senso dell’ordine tedeschi (...) Il buon dirittodella rivoluzione tedesca non dipende dal fatto che qualche dozzina di deputati col loroconsenso fecero pendere la bilancia a favore di quel quindici per cento di differenza chesepara la maggioranza assoluta dalla qualificata, e il diritto dell’odierno stato tedesco nondipende certo dalle condizioni o dalle riserve mentali con le quali quel gruppo diede ilproprio consenso. Sarebbe politicamente, moralmente e giuridicamente insensato far derivarepienezza di poteri dall’impotenza, carpire forza da un sistema ormai inerte. Quello che èvivo e forte non trae la sua legittimità dalla morte o dall'inerzia (...)”.Lo stesso “Führerprinzip”, in quanto implicante unità e indissolubilità tra laresponsabilità di chi guida (Führer) e la disciplina di chi è guidato(Gefolgschaft), si oppone ideologicamente e giuridicamente allaframmentazione di poteri, di competenze e di responsabilità tipiche dei regimi

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democratici: “le competenze legislative affidate al governo del Reich sono un primo, felice epionieristico esempio della fine di queste artificiali frammentazioni. Occorre sostituireovunque il meccanismo della divisione e del trasferimento di responsabilità con l’unità dellaresponsabilità di comando del Führer, e l’elezione con la scelta.” A sua volta, ErnstForsthoff, noto amministrativista, sottolinea il “tutt’uno” rappresentatodall’amalgama Führer-popolo, che assurge a vera e propria categoria politicain sé: “quello della guida (Führung) è un processo politico vitale, in virtù del quale unamolteplicità di uomini politicamente attivi si uniscono e diventano seguito (Gefolgschaft) delFührer, elevandolo in quanto tale al di sopra di essi senza però farne il proprio superioregerarchico e pertanto senza scindersi da esso”. Quanto all’unità partito-stato, essaassurgerebbe a valenza ideologica, significando “la vincolatività, per ogni aspettodella vita dello stato, della visione programmatica del nazionalsocialismo. Solo a condizionedel perfetto compimento di tale unità, si è potuto realizzare, dalla fusione tra la macchinaamministrativa tradizionale e il principio-guida del partito, un omogeneo sistema dicomando”.

Il dopoguerra e la divisione della Germania: due diversi modelli costituzionali fino allariunificazione . Nei dodici anni di dittatura nazista la volontà individuale delFührer sostituì, come si è visto, ogni meccanismo legale o costituzionale. Lasconfitta nella seconda guerra mondiale e la resa senza condizioni dellaGermania, l’8 maggio 1945, segneranno però la fine del nazismo e loscoccare, per la Germania, di un’ “ora zero” in cui per un periodo venne amancare ogni potere centrale, essendo stati arrestati dagli Alleati i componentidell’ultimo governo nazista guidati dall’ammiraglio Dönitz. Le redini dellostato furono quindi assunte, a livello centrale e locale, dai rappresentanti dellepotenze alleate, e la Germania fu divisa in zone d’occupazione. Già ladichiarazione di Berlino del 5 giugno 1945 rendeva però evidente che unafutura annessione pura e semplice della Germania o una sua scomparsa dallacarta geografica non erano ipotizzabili. A Potsdam poi, i “tre grandi” (USA,URSS e Gran Bretagna) dichiararono congiuntamente (punto 14) che“durante il periodo di occupazione, la Germania è da considerarsi comeun’unità dal punto di vista economico”. Questo fatto pose le basi per unafutura ipotesi di rinascita politica tedesca, i cui contorni presero peròrapidamente una piega inaspettata. L’insorgere della “guerra fredda” con alconseguente fine dell’alleanza anti-nazista condusse infatti alla formazionenon già di una Germania riunificata, ma di due stati tedeschi separatipoliticamente e ideologicamente. I tre alleati occidentali (USA, Gran Bretagnae Francia) riunirono le proprie zone di occupazione, ove poté quindiprendere corpo un soggetto politico autonomo, mentre l’URSS si preoccupò

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di scindere la propria zona di occupazione da tale nuova entità.Costituzionalmente, la divisione tra le due Germanie si consumòdefinitivamente, e tale rimase per un quarantennio, nel corso del 1949: adovest si costituì la repubblica Federale Tedesca sulla base di una “LeggeFondamentale” promulgata il 23 maggio, mentre ad est si formò laRepubblica Democratica Tedesca, che si diede una propria costituzione il 7ottobre.Giuridicamente, la divisione non impedirà, soprattutto ad ovest, lo svilupparsidi una ‘teoria dell’identità” (Identitätstheorie) fondata sulla tesi della“provvisorietà”, per cui si accettava il dato della diminuzione territorialeprovvisoria della RFT, ma si riteneva che essa (come ebbe a dichiarare iltribunale Costituzionale federale in una sentenza del 26 marzo 1957) fossecionondimeno l’erede e la continuatrice dello “Stato tedesco” (DeutschesReich). Questa teoria dell’identità unitaria della Germania nonostante unadivisione che si vuole “provvisoria” emerge d’altro canto anche dalla frasefinale del preambolo alla Legge Fondamentale: “In tal modo, la presente LeggeFondamentale ha valore nei confronti di tutto il popolo tedesco”.

Uno dei compiti della Legge Fondamentale sarà quindi quello di dimostrarela perdurante esistenza dello Stato tedesco nella sua globalità; l’altro, piùimmediato ma non meno necessario, sarà quello di evitare “gli errori diWeimar”.

Ricordiamo, a tal proposito, che la Legge Fondamentale tedesca non fu maivotata da un’assemblea costituente, ma discussa a porte chiuse, approvata epromulgata da un “Consiglio parlamentare” formato da membri nominatidall’amministrazione alleata, per poi successivamente essere approvata dallediete (elettive) dei Länder tra il 16 e il 22 maggio. Per cui, a chi individuava unoriginario “deficit di democrazia”, e sosteneva la necessità di varare unanuova costituzione in occasione della riunificazione del 1989, la dottrinadominante ebbe buon gioco nel replicare che, comunque, una assensopopolare vi fu, pur se esso provenne in forma mediata dai rappresentantidelle comunità regionali. Per questo motivo, peraltro, ancora oggi una partedel costituzionalismo tedesco sostiene la natura statualmente “fondante” e“primigenia” (staatsbildend) dei Länder nell’ordinamento costituzionale dellaGermania, in quanto non solo essi sarebbero pre-esistiti rispetto allo statocentrale, ma la stessa costituzione federale sarebbe scaturita da un loro atto divolontà politica.

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Senza voler poi troppo addentrarci nello studio del diritto pubblico ecostituzionale comparato odierni, possiamo limitarci infine ad evidenziare cheil tentativo (peraltro brillantemente riuscito) della Legge Fondamentale di‘evitare Weimar” si è sostanziato in una previsione di “eternità” (Ewigkeit, maovviamente nel senso, tecnico, di immodificabilità) dei diritti di libertà (tra cuirientra ora il rispetto della dignità umana e il libero sviluppo della personalità)e della forma democratica dello stato, nella preminenza di un cancelliere cheora dipende esclusivamente dalle camere e non già più da un capo dello statodalle competenze puramente formali, nella previsione di un “voto di sfiduciacostruttivo” (il governo può essere sfiduciato in parlamento unicamenteladdove sussista una compagine alternativa – e una maggioranza!- pronta asostituirlo) e infine nella creazione di una Corte costituzionale “guardianadella Costituzione” (come in Italia) ma adibile anche dal semplice cittadinocon ricorso diretto per violazione dei diritti fondamentali.

La costituzione della Repubblica Democratica Tedesca del 7 ottobre 1949 èinvece caratterizzata da uno iato totale tra teoria e prassi. Approvata da 330deputati per fare da contraltare alla recente e “rivale” Legge Fondamentaledella RFT, essa costruisce un apparente sistema parlamentare e federalefondato sull’esistenza di Länder, sul rapporto fiduciario governo-parlamento,su una relativamente ampia garanzia di libertà ecc. In realtà, è noto che la“costituzione materiale” della RDT si incaricherà di creare un modellopolitico-amministrativo totalmente diverso, fondato sulla schiaccianteprevalenza della SED (partito socialista unitario, di rigorosa osservanzasovietica) e sulla pratica riduzione a comparse degli altri partiti, pur esistenti.Il modello parlamentare descritto sulla carta era così privo di ogni significatoreale rispetto ai veri centri di decisione politica, costituiti dalla dirigenza dellaSED, mentre il deficit di libertà (caratterizzato da frequenti forme di arbitrio,a da un’onnipotenza dell’apparato poliziesco) rendeva le garanziecostituzionali quanto mai insufficienti. Si pensi che una legge del 23 luglio1952 abolì di fatto i Länder della RDT in quanto “retaggio di un decentramentorisalente alla Germania imperiale e (...) incapaci ad assolvere i compiti posti dal nostroStato”. Ebbene....neanche una parola circa tale smantellamento delle regionifu aggiunta nella costituzione!Le successive costituzioni della RDT del 6 aprile 1968 e del 7 ottobre 1974non modificarono sostanzialmente tale dato di fondo.

La riunificazione tedesca, come è noto, assunse le forme giuridiche di una“adesione” (Beitritt) dei Länder della RDT (il cui valore si era ridotto ad

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essere puramente formale) alla RFT, sanzionata dal Trattato del 31 agosto1990 (c.d. “Trattato di unificazione”); la Legge Fondamentale della RFT potécosì restare in vigore (con adattamenti), “assorbendo” nella propria strutturafederale l’urto dell’ingresso nella propria compagine non già di uno “statoestero”, ma di cinque nuove regioni. La riunificazione tedesca si è dunquecompiuta attraverso una “federalizzazione” sotto forma di ampliamento dellastruttura federale già esistente.

5. Altri sviluppi politico-costituzionali in Europa.

La Francia : la crisi della “Terza Repubblica”. Anche in Francia, come in Italia,l’attività legislativa delegata al governo negli anni della prima guerra mondiale(1914-1918) aveva indebolito la funzione centrale del parlamento; la praticadel decreto-legge si generalizzerà poi negli anni ’30, aggiungendosi aiproblemi strutturali della “Terza Repubblica” quali il prevalere dei partitipolitici nella vita parlamentare, la formazione di maggioranze eterogeneerispetto alle quali il primo ministro funge da mediatore, sacrificando cosìl’unitarietà del proprio indirizzo politico ecc.Ma sarà la rapida disfatta di fronte alle armate tedesche nel giugno 1940 cheporterà la “Terza Repubblica” alla crisi finale. Il suo “atto di morte” ha unadata precisa : il 10 luglio 1940, un parlamento evacuato da Parigi occupata eriunito nella città termale di Vichy voterà alla maggioranza schiacciante di 569contro 80, e tuttavia con più di 180 assenti, i pieni poteri al marescialloPhilippe Pétain, l’eroe delle prima guerra mondiale; i pieni poteri includevanola facoltà di modificare la costituzione vigente (del 1875) e l’assetto dei poteriin essa previsto, “al fine di promulgare mediante uno o più atti una nuova Costituzionedello Stato francese”.

Vichy e lo “Stato francese”, 1940-44. Quello di Vichy sarà un regimecollaborazionista con le forze tedesche che occuperanno tutto il nord dellaFrancia e, dal novembre 1942, anche la parte meridionale. Esso riscuoteràinnegabilmente un ampio consenso nei primi anni del conflitto, quando lasituazione era positiva per la Germania e i suoi alleati. Molti francesi, spinti

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all’adesione anche grazie alla figura simbolica di Pétain, vi videro una sorta di“riscossa nazionale” attraverso cui dimenticare la disfatta patita nel 1940.Ideologicamente, poi, esso ebbe la caratteristica di unire in modo ibrido toni eparole d’ordine del fascismo (acceso nazionalismo in chiave di alleanza con laGermania nazista, odio per ogni forma di “lotta di classe”, nonchél’accentuato razzismo del vergognoso decreto sullo “statuto degli ebrei”dell’ottobre 1940, fino a coadiuvare i tedeschi nelle persecuzioni) con unconservatorismo più tradizionale, all’insegna del noto motto petainista“lavoro, famiglia, patria” (travail, famille, patrie).

Pétain emanerà di sua iniziativa, sulla base della suaccennata legge del 10luglio 1940, ben 12 atti costituzionali dal 1940 al 1942, atti che disegnerannouna forma di governo dai tratti indubbiamente autoritari e basata, in contrastocon il principio della separazione, un accentramento di poteri nelle mani diquello che verrà sommariamente e genericamente definito il “Capo delloStato francese”. Infatti, la “Terza Repubblica” non era ufficialmente abolita:semplicemente, il regime di Vichy le si era “sovrapposto”, con rilevantissimemodifiche costituzionali ma lasciando aperta la questione della forma dellostato.Il “Capo dello Stato francese” deteneva inizialmente tanto la funzionelegislativa che l’esecutiva; fino al 1942 avrebbe anche diretto l’azionegovernativa in qualità di presidente del Consiglio, seppur assistito ecoadiuvato da un Vicepresidente. Poi però la sua incisività istituzionale sistempera (complice forse anche l’età ormai avanzatissima del Pétain), e dal1942 si assiste ad un trasferimento di competenze a favore del governo.L’atto costituzionale n° 11 (18 aprile 1942) creerà ufficialmente la carica diCapo del governo, subito affidata all’abile e influente Pierre Laval, diorientamento ultraconservatore e già primo ministro nell’anteguerra. Lavaldiverrà il nuovo “uomo forte” di Vichy; ricoprirà anche i portafogli degliEsteri, dell’Interno e dell’informazione e, grazie al dodicesimo e ultimo attocostituzionale, datato 26 novembre 1942, otterrà che il potere legislativo passinelle mani del governo.Quanto alle assemblee parlamentari della “Terza Repubblica”, cheformalmente esiste ancora, esse non sono abolite ma solamente sospese. Adesse si aggiunge però nel 1941, in omaggio all’ideologia interclassista di Vichy,un “Consiglio nazionale” a carattere consultivo composto di membrinominati dal Capo dello Stato per una durata di 2 anni tra i rappresentanti

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delle categorie professionali, con funzioni consultive in materia di bilanciostatale.

Il progetto di costituzione di Vichy del 30 gennaio 1944. A partire dal 1941, a Vichysi elabora un progetto costituzionale di lungo termine per un regime che sipropone di “durare” oltre il conflitto in corso. Tale progetto sarà firmato daPétain il 30 gennaio 1944. Non entrerà mai in vigore, travolto, come Vichystessa, dagli avvenimenti dei mesi seguenti, che videro, nel giugno, lo sbarcoalleato in Normandia e la rapida liberazione della Francia. Nondimeno, sitratta di un testo oltremodo interessante nel panorama del costituzionalismofrancese, in quanto, oltre a prevedere un sistema improntato alpresidenzialismo, rimane fino ad oggi la sola costituzione francese chepreveda, in un paese a vocazione centralista, un ampio decentramentoamministrativo ai limiti del federalismo, con un Senato espressione degli entilocali. Ed in fondo, a ben pensarci, era ovvio, poiché Vichy aveva “rotto iponti” con la capitale storica della Francia, occupata dai tedeschi, edesplicava la sua attività (primo caso da secoli!) dalla provincia francese, di cuifu in fin dei conti l’espressione.Un’altra novità tecnica del progetto era la previsione di una vera e propriaCorte costituzionale composta in buona parte da magistrati di carriera.

Non mancava poi, in netta controtendenza rispetto al tradizionale sospettoverso i corpi intermedi, il riconoscimento, all’articolo 5, per la prima volta inuna costituzione francese, dei diritti delle comunità: “Lo Stato riconosce i dirittidelle comunità spirituali, familiari, sociali nelle quali l’uomo acquisisce il senso delle proprieresponsabilità sociali e trova sostegno per la difesa delle proprie libertà”.

Alla tradizionale gamma dei diritti individuali, elencati nei primi articoli, fa dacontraltare – secondo la tipica ideologia statualista/nazionalista di Vichy - lamenzione (articolo 9) dei doveri verso lo Stato, consistenti nell’obbedienzaalle leggi e nel compimento dei propri doveri civici “fino al totale sacrificio per lasalvezza della patria”. Anche la famiglia gode ovviamente di particolareconsiderazione in ossequio all’ ideologia anticlassista e al conservatorismosociale di Vichy, e quindi è istituito il doppio suffragio per il padre, oeventualmente la madre di famiglia (articolo 21); la proprietà poi è inviolabile,ma a condizione che provenga dal lavoro e dal risparmio familiare.

Il Capo dello stato, che finalmente – quasi a simboleggiare la fine dellaprovvisorietà del regime e il suo desiderio di “durare” - avrebbe dovuto

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prendere il nome di “Presidente della Repubblica”, è un potere “forte” manon assoluto. Eletto non dal popolo ma dalle camere del parlamento, nominail capo del governo e (su proposta di questo) i ministri, presiede il consigliodei ministri, dirige quindi l’esecutivo che può anche revocare. Ma alcontempo, detiene l’iniziativa legislativa in cotitolarità con i membri dellecamere, può sciogliere queste ultime unicamente su parere conforme delSenato, e i suoi atti debbono essere controfirmati dai ministri responsabili.La funzione legislativa è poi esercitata da due camere distinte, Senato ecamera dei deputati. Il Senato –qui risiede, coma si disse, l’originalità delprogetto- è l’espressione delle comunità locali, essendo composto in granparte di membri (250) eletti dai consigli di dipartimento e municipali, oltre a50 membri nominati dal capo dello stato fra i rappresentanti delle categorieproduttive, e agli ex presidenti della repubblica, membri di diritto. A suavolta, la camera dei deputati è composta da 500 membri eletti a suffragiouniversale. Le donne godono di elettorato attivo e passivo. Il governo, oltre adipendere dal capo dello stato, è responsabile (rapporto fiduciario) versoentrambe le camere. La due camere siedono in seduta comune in occasionedi revisioni costituzionali, per porre in istato d’accusa il Presidente dellarepubblica e i ministri, e per eleggere, quest’ultimo unitamente ai consiglieriprovinciali.

Come si vede, il progetto, nello stabilire la doppia dipendenza dell’esecutivodal capo dello stato e dal parlamento, trae ispirazione da Weimar; non è peròesclusa l’ipotesi che la vigente costituzione francese, creata nel 1958 e chefonda un sistema semi-presidenziale dalle stesse caratteristiche, si ispiri a suavolta implicitamente, e pur con tutte le evidenti differenze ideologiche delcaso, al modello di Vichy.

L’altra grande novità è la previsione di una “Corte suprema di giustizia”, unavera e propria “corte costituzionale” come organo giudiziario. Ed infatti laCorte suprema, composta in parte da alti magistrati, in parte da consiglieri distato e professori di facoltà giuridiche, controlla (in via incidentale, comeattualmente in Italia) la costituzionalità delle leggi, giudica sulle accuse mossecontro il capo dello stato e i ministri, verifica la regolarità delle operazionielettorali e (fatto interessante) si pronuncia sulla revoca dell’immunitàparlamentare. Tale istituto non sarà ripreso nelle successive costituzionifrancesi. Infine, si prevede l’assoluta inamovibilità per la magistraturagiudicante.

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La costituzione del 27 ottobre 1946 : la “Quarta repubblica”. A guerra finita, glielettori francesi sono chiamati a pronunciarsi sul mantenimento della formaistituzionale d’anteguerra. Il 21 ottobre 1945, essi devono decideresull’elezione o meno di un’assemblea costituente che elaborerà una nuovacostituzione abrogativa della “Terza repubblica”. La maggioranza sipronuncia affermativamente, e un’assemblea è eletta con tale preciso mandatocostituente. Fallirà nel suo intento a causa del duro confronto politico tra leforze di sinistra (comunisti, socialisti) e De Gaulle e i partiti di destra. Unanuova assemblea costituente è eletta il 2 giugno 1946 (in Italia in quel giornosi sceglieva: monarchia o repubblica), e un nuovo progetto di costituzione èsottoposto a referendum il 13 ottobre seguente. La costituzione della “Quartarepubblica” è promulgata il 27 ottobre 1946.

La costituzione del 1946 non fa che riassumere e cristallizzarecostituzionalmente quel parlamentarismo che già da tempo era stato“costituzione materiale” sotto la “Terza repubblica”: rapporto fiduciario tragoverno e camera bassa (Assemblea nazionale), creazione di una camera alta(il “Consiglio della repubblica”) avente poteri unicamente consultivi, unpresidente della repubblica dai poteri ridotti anche se formalmente presiede ilconsiglio dei ministri, un presidente del consiglio che costituisce invece lafigura centrale dell’assetto politico (ha l’iniziativa delle leggi, nomina agliimpieghi civili e militari, dirige le forze armate, negozia i trattati, dispone unoscioglimento dell’Assemblea che però è pronunciato dal presidente dellarepubblica). Ben presto, la prassi politica di frazionamento partitico e digoverni di coalizione instabili che caratterizzò la “Terza repubblica” riprendevigore. Basti pensare che, nei dodici anni dal 1946 al 1958, la “Quartarepubblica” ebbe 25 governi, con una media di un governo ogni 6 mesi! Esarà l’insoluto problema della decolonizzazione, scaturente dalla crisi e dallaguerra in Algeria, a decretare ancora una volta un mutamento istituzionaleche avrà come protagonista il generale De Gaulle.

La creazione della “Quinta Repubblica”. Il 1° giugno 1958, in seguito apronunciamenti al limite dell’illegalità da parte di reparti dell’esercito di stanzaad Algeri, che organizzano una vera e propria prova di forza contro ilgoverno legittimo, De Gaulle (il popolare “eroe della Liberazione”,conservatore, uomo di destra e da sempre avversario di quella “Quartarepubblica” della quale aborriva la “partitocrazia”) è designato presidente delConsiglio in sostituzione dell’appena nominato liberale Pierre Pfimlin (fautoredi una soluzione indipendentista per l’Algeria); egli ottiene dall’Assemblea

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nazionale la maggioranza necessaria per governare 329 voti contro i 224 dibuona parte della sinistra, sua acerrima nemica).Si tratta dell’ultimo governo della “Quarta repubblica”, governo che deve lasua origine ad azioni “di piazza” illegali ma che, come si vede, nasce esviluppa la sua azione secondo i crismi della legalità. Esso otterrà dalparlamento pieni poteri costituenti, proprio come era accaduto a Pétain nel1940. Un’incredibile somiglianza ma, ovviamente, un diverso contesto.

Il 3 giugno 1958, la legge sui pieni poteri a favore di De Gaulle, destinata aconsentire modifiche costituzionali nonché a risolvere la situazione diemergenza causata dal problema algerino, è votata a maggioranza qualificatadei tre quinti delle camere (come richiesto dall’articolo 90 della costituzionedel 1946 per ogni revisione costituzionale).

Ma non si tratta, ovviamente, di dare “carta bianca” a De Gaulle, come invecesuccesse con Pétain nel 1940, e tanto meno di ripetere l’esperienza di Vichy.L’intero processo di riforma costituzionale – questa è la ferma volontà deideputati - dovrà rimanere nell’alveo della democrazia, e per tal motivo la leggedel 3 giugno 1958 vincola la riforma costituzionale al rispetto di condizioniben precise: a) suffragio universale come base della sovranità; b) separazionetra esecutivo e legislativo; c) rapporto fiduciario governo-parlamento; d)indipendenza del potere giudiziario; e) rilevanza costituzionale delle relazionitra Francia e territori d’oltremare. Inoltre, la stessa legge prevede che ilprogetto di costituzione dovrà essere sottoposto al parere di un comitatoconsultivo composto in maggioranza da parlamentari (sorta di verifica ex postda parte del legislativo, in mancanza di una votazione finale da parte dellecamere) e, successivamente, al parere del Consiglio di Stato, nonché, alla fine,passato al vaglio di un referendum popolare.Come si vede, quindi, nella genesi della costituzione della “Quintarepubblica” è assente ogni attività di un’assemblea costituente, come fuinvece il caso della precedente costituzione francese del 1946 (o della vigentecostituzione italiana). Questo perché l’Assemblea si trovò essenzialmente asubire l’iniziativa del mutamento istituzionale da parte di “poteri esterni” adessa (De Gaulle innanzitutto). L’intero procedimento si svolse però nellalegalità, e il referendum popolare del 28 settembre 1958 sanzionò in viadefinitiva l’adozione del nuovo testo costituzionale con il 78% dei votifavorevoli (contrari i comunisti e una parte di socialisti e radicali).Nasceva così, al posto della centralità parlamentare della “Terza” e della“Quarta repubblica”, un sistema semipresidenziale incentrato sulla figura del

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Presidente della repubblica che è anche il titolare primo del potere esecutivo,pur se divide le sue competenze con il primo ministro. Un sistema che, purcon alterne vicende e con “alti” e “bassi” (=c.d. pratica delle “coabitazioni”tra presidente e primo ministro di diverso colore politico), è ancor oggi invigore.

La Gran Bretagna e le riforme costituzionali. L’assetto politico costituzionale dellaGran Bretagna, basato sulla centralità del Parlamento e - come si disse inprecedenza - su una “costituzione materiale” consistente in una serie di regoledi vecchia data, spesso consuetudinarie e accettate pacificamente dagli attoridel gioco politico, permise a quel paese di affrontare in modo solido anche lenuove sfide poste dal XX secolo: l’affermarsi della questione sociale, le dueguerre mondiali e l’emergere dei totalitarismi, la decolonizzazione.

Già il Parliament Act del 1911, approvato grazie all’energica iniziativa delriformista liberale David Lloyd George, innovava in modo netto l’assettocostituzionale britannico riducendo – cfr. capitolo precedente – lecompetenze legislative di una Camera dei Lords investita anch’essa, allastregua della camera dei Comuni, della funzione legislativa. In realtà, LloydGeorge e i liberali erano intenzionati a procedere ben oltre sulla strada delleriforme istituzionali: loro scopo era la vera e propria trasformazione dellaCamera alta britannica in un organo elettivo, e lo dichiararono apertamentenel preambolo (“atteso che l’obbiettivo è quello di sostituire la Camera dei Lordsesistente con una seconda camera su base elettiva e non più ereditaria, ma che talesostituzione non può essere posta in essere nell’immediato…”). Nel 1917, in pienoperiodo bellico, fu insediata una commissione bicamerale di 20 membri,presieduta da Lord Bryce, con lo scopo di studiare una possibile riforma dellaParia. Essa propose uno schema di Camera del Lords eletta al 75% damembri della Camera dei Comuni su base regionale, mentre il rimanente 25%avrebbe dovuto essere nominato da una commissione composta di membridelle due camere, facendo però pur sempre salva una quota di Lords ereditari.

Non se ne fece niente, e occorrerà attendere il secondo Parliament Act, del1949, varato su iniziativa del primo ministro laburista Clement Attlee e dellasua maggioranza ai Comuni, per procedere ad una successiva riforma dellaParia: ma abbandonando stavolta definitivamente il progetto di elettività elasciando inalterato il principio della nomina regia. Si dispose comunque cheil periodo di “blocco” alla Camera dei Lords di progetti di legge approvati daiComuni e “sgraditi” sarebbe passato da due ad un anno, e si stabilirono

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“principi guida” nella composizione della Camera alta : essa non avrebbedovuto concepirsi come “rivale”, ma “complementare” dei Comuni, nessunamaggioranza “permanente” di un partito (=dei conservatori) avrebbe dovutocostituirvisi, i “Lords del Parlamento” dovevano essere nominati sulla basedei meriti personali e dei servizi resi alla collettività, le donne dovevanogodere di pari diritti alla nomina, si introduceva il principio dellaremunerazione per permettere anche ai meno abbienti di farci parte, e sifissavano da ultimo norme volte a “squalificare” suoi membri che nonavessero adempiuto (o non fossero più stati in condizione di adempiere) ailoro obblighi. Così “democratizzata”, la Camera dei Lords sussiste nella suacomposizione e nelle sue competenze fino ad oggi. Oggi però essa, pur sesempre di nomina regia, ha però anche cessato in gran parte di essereereditaria. Infatti, conformemente al programma elettorale laburista di TonyBlair, lo House of Lords Act del 1999 ha limitato a 92 posti in tutto il numerodei Lords ereditari, prevedendo come ulteriore requisito di nominal’investitura da parte del partito di appartenenza.

Altre importanti riforme costituzionali attendevano la Gran Bretagna, e tuttepoterono essere gestite grazie a quella pienezza di poteri del Parlamento chegià si definì “onnipotenza parlamentare”. Lo “Statute of Wetsminster” dell’11 dicembre 1931, ad esempio, rappresentò la fine giuridica di buona partedell’impero britannico e l’inizio del completo autogoverno dei “Dominions”di Canada, Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica. Semplicemente, ilParlamento di Wetsminster statuiva sua sponte che nessun suo atto avrebbe piùpotuto trovare applicazione nei riguardi dei Dominions, “salvo il caso in cuiconstasse che essi l’avessero richiesto e vi avessero acconsentito”. Solo rimase, comepotere residuale, quello di poter emanare leggi riguardo alle costituzionicanadese ed australiana, potere poi definitivamente abolito nel 1982 (per ilCanada) e nel 1983 (per l’Australia).Con un altro atto di “onnipotenza” dalla vera e propria rilevanzacostituzionale, lo “European Communities Act” del 1972, il Parlamentobritannico ratificava poi l’entrata della Gran Bretagna nella ComunitàEuropea (effettiva dal 1° gennaio dell’anno successivo), e addiritturaautolimitava la propria “onnipotenza” nella misura rendeva possibilel’ingresso e l’incorporazione nel sistema giuridico nazionale – spesso inposizione di supremazia rispetto a quest’ultimo – di una fonte di diritto“estranea” quale il diritto comunitario.Allo stesso modo, infine, un'altra legge “costituzionale” quale lo “ScotlandAct” del 1998 decretava la nascita del decentramento. Votato su iniziativa del

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primo governo laburista di Tony Blair, lo “Scotland Act” creava e davaforma ad un altro parlamento, quello scozzese, ponendo al contempo le basidella competenza legislativa di quest’ultimo ed i suoi limiti: un elenco di“reserved matters” restavano infatti appannaggio esclusivo di Londra.

L’avvento sulla scena politica del partito laburista aveva del resto già mutato ilpanorama politico britannico e favorito l’adozione delle leggi di riformaappena menzionate: nato nel 1890, il “Labour” divenne ben presto l’alleatodei liberali sulla sinistra dello schieramento politico. Nel 1906 e fino al 1914,la cinquantina di deputati laburisti della camera dei Comuni collaboròfattivamente con il governo liberale di Lloyd George. Col declino dei liberalia partire dagli anni venti, i laburisti acquistarono una posizione di primopiano, e i governi guidati da Ramsay McDonald nel 1924 e 1929, pur seoffuscati dalle crisi economiche e sociali di quegli anni, poterono mettere asegno importanti riforme, quali la creazione di un diffuso sistema diprevidenza sociale e (1926) l’introduzione del suffragio universale femminile.Dalla strepitosa vittoria riportata nelle elezioni post-belliche del 1945, enonostante il formarsi, nel 1981, di un partito concorrente(socialdemocratico) a sinistra, il “Labour Party” continua a giocare un ruolodi primissimo piano nel quadro dell’alternanza al potere tipica delbipartitismo britannico.

6. Il crollo del fascismo in Italia e la breve esperienza di Salò

Per tutto il ventennio il Re e il Paese si trovarono sotto un regime dittatorialeche compresse i vecchi ordinamenti, rendendoli irriconoscibili. Dagli anni ’30il potere passò tutto a capo di un complesso apparato che poi, scoppiata laguerra, non seppe difendere gli interessi del Paese. Nel ’39 si era accolta conpiacere la neutralità dichiarata, ma nel ’40 ci fu l’entrata in guerra, non volutadalla popolazione. Già agli inizi del ’43 ci furono scioperi industriali al nord eanche tra i fascisti aumentò la preoccupazione per l’acquiescenza del Duce alvolere nazista.Ma successe qualcosa di simile all’apprendista stregone che non domina più leforze evocate. Il 25 luglio ’43 il Gran Consiglio convocato dal Duce affermò lanecessità del ripristino delle ‘normali funzioni statali’ chiamando alle lorofunzioni la corona, il Parlamento, il Gran consiglio delle corporazioni e siinvitò il capo del Governo a “pregare la Maestà del Re... affinché egli voglia

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assumere con l’effettivo comando delle Forze armate... quella supremainiziativa di decisione che le nostre istituzioni a lui attribuiscono”. La sera uncomunicato annunciava che il Re aveva accettato le dimissioni del cav. BenitoMussolini e informava che il Re aveva designato Badoglio a capo delGoverno militare del Paese con pieni poteri. Il 27 luglio si disponeva loscioglimento del PNF, del Gran Consiglio e del Tribunale speciale per ladifesa dello Stato; il 28 si vietava la costituzione di qualsiasi partito politico esi manteneva la censura sulla stampa. L’8 settembre ebbe poi comeconseguenza la drammatica dissoluzione dello Stato e delle forze armate pereminente responsabilità dei Savoia (non senza numerosi e strenui quanto vaniepisodi di resistenza contro le forze tedesche), e permise che il paesediventasse teatro delle operazioni militari tra i tedeschi che arrivarono,nell’autunno del ’43, ad occupare gran parte della penisola, e gli alleati, chelentamente la risalivano. Non solo: come è noto, si formarono, a Nord e aSud, due distinti e contrapposti “stati”: quello legittimo, a Caserta, dove il reaveva preso rifugio successivamente all’occupazione di Roma, e la c.d.“Repubblica sociale” a Salò, sulle rive del lago di Garda.

La RSI, la “costituente” e i progetti costituzionali. Quello di Salò fu indubbiamente,e forse ancor più di Vichy dato il particolare contesto italiano del 1943-45,uno “stato fantoccio” dipendente dal volere degli occupanti tedeschi, pur secon a capo un Mussolini liberato dalla prigionia del Gran Sasso.Politicamente infatti, e nonostante la presenza del “Duce”, ben poco spaziodi manovra vi era per un’azione “italiana” autonoma rispetto agli interessitedeschi (la cui priorità era ovviamente lo spregiudicato sfruttamento aipropri fini bellici della forza lavoro e dell’apparato industriale italiani), tantopiù che a Salò stessa i gruppi fascisti più estremisti, violenti e filo-tedeschiavevano nettamente preso il sopravvento.

In ogni caso, la RSI si pose immediatamente il problema della proprialegittimità, e cercò di accreditarsi come nato dalla necessità di “salvare l’onoredella patria” dopo lo sfacelo dell’8 settembre. Mussolini stesso, d’altronde,appena liberato (le ricostruzioni storiche di De Felice presentano un “Duce”stanco e inizialmente per nulla disposto a rigettarsi nell’agone politico, ma chepoi cambiò d’avviso su pressione dello stesso Hitler), preannunciò via radioda Monaco, oltre alla costituzione della nuova entità statale, che volle subito“repubblicana” in contrapposizione al governo (quello si, legittimo) del Sud,anche la prossima convocazione di una “costituente italiana” chiamata adecidere sul futuro destino istituzionale del paese. La “costituente” fu

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nuovamente menzionata nel c.d. “Manifesto di Verona” del 14 novembre1943, scaturito in occasione del congresso del Partito fascista repubblicano(successore del PNF), con il quale si annunciava un programma di“socializzazione delle imprese” dal sapore nostalgico-socialista dei primissimianni fascisti, e che comunque (come ben ha sottolineato R. Bonini) avràlimitata applicazione pratica.

Alla fin fine, la “costituente” resterà lettera morta, superata e travolta dagliavvenimenti, che vedevano la RSI ridurre sempre di più il proprio già deboleraggio d’azione di stato-fantoccio via via che nuovi territori venivano liberatidagli Alleati avanzanti e la lotta contro le variegate formazioni partigiane dellaResistenza si faceva sempre più dura, essendo ormai evidente che la disfattatotale era solo questione di tempo. In ogni caso, la dichiarazione diramata altermine del Consiglio dei ministri della RSI del 16 dicembre 1943, secondocui si erano approvati i criteri (corporativi) di composizione della futuracostituente, ma se ne sarebbe decisa la convocazione “quando l’Italia fascistaavrà ripreso il suo posto di combattimento”, significava in pratica un rinviosine die.

Finiva così, contemporaneamente, anche una breve stagione di progetticostituzionali durata dal settembre al dicembre 1943, che appunto traevano lapropria ragion d’essere dalla medesima prospettiva con la quale si ipotizzavauna assemblea “costituente”: “fondare” la nuova entità statale. Tuttosommato, quindi, anche Salò si poneva almeno inizialmente, e nondiversamente da Vichy, il problema del “dopo”, non escludendo di poterriuscire a “durare” e a consolidarsi istituzionalmente al di là delle vicendebelliche che ne avevano segnato la nascita.

Tralasciando il breve testo del giornalista Bruno Spampanato dedicatoperaltro esclusivamente alla “costituente italiana”, due furono i progetticostituzionali principali, assai diversi tra loro. Essi simboleggiarono forse,entro certi limiti, le diverse “anime” che per un certo tempo poteronoconvivere a Salò. Il primo, scarnissimo progetto costituito da soli 22 punti, fuopera di Vittorio Rolandi Ricci, ultraottantenne ex senatore del Regno eautore di un testo tutto sommato “moderato”, e “classico”, piuttosto scevrodi forti coloriture ideologiche, e da cui scaturisce un regime tutto sommato“presidenziale”, incentrato sulla figura di un “Presidente” eletto a suffragiouniversale, che dura in carica dieci anni e dirige un esecutivo che da luidipende, su un legislativo articolantesi in una Camera dei deputati eletta a

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suffragio universale ed un Senato eletto per metà anch’esso a suffragiouniversale, per un altro quarto eletto dalla categoria dei professori(universitari e di scuola) secondo i classici crismi dell’ideologia corporativa, einfine per il quarto restante nominato dal Presidente, nonché su un poteregiudiziario i cui membri venivano dichiarati inamovibili tout court.Il secondo progetto, molto più lungo e articolato (142 articoli), opera delministro dell’Educazione di Salò, Carlo Alberto Biggini, ha invece una fortecarica ideologica e disegna un regime “ultrapresidenziale”. Il “Presidente” viha infatti struttura e funzioni ancora più ampie di quello disegnato dalRolandi Ricci (potendo qui ad esempio sciogliere da solo e ad libitum lecamere, ed essendo anche cotitolare del potere legislativo, oltreché capodell’esecutivo). Ma quello che sta a cuore al Biggini sono i postulati ideologiciormai “classici” del fascismo, che egli non perde di vista. Non a caso, infatti,il primo articolo del progetto, inserito nel capo primo su “La Nazione-loStato” recita che “La Nazione Italiana è un organismo politico ed economico nel qualecompiutamente si realizza la stirpe con i suoi caratteri civili, religiosi, linguistici, giuridici,etici, culturali. Ha vita, volontà, e fini superiori per potenza e durata a quelli degliindividui, isolati o raggruppati, che in ogni momento ne fanno parte.” E la partededicata ai diritti individuali sarà dal Biggini confinata alla fine del progetto (econ il titolo “diritti e doveri dei cittadini”), mentre ampio spazio avrannoinvece le norme – di stampo corporativo e ricollegantisi alla “Carta delLavoro” del 1926 - sulla “produzione e il lavoro” (artt. 102-124) e quelle sulla“gestione socializzata dell’impresa” (artt. 125-134) ispirate direttamente dalManifesto di Verona sulla socializzazione delle imprese.

7. L’Italia dopo il fascismo: cenno conclusivo

La guerra di Liberazione, terminata il 25 aprile ’45, segnerà il ritorno allelibertà democratiche, la formazione dei governi di CLN, la ricostituzione deipartiti già operanti al tempo dell’avvento del fascismo oppure di nuovi, comequello d’Azione, ristretto ma culturalmente molto agguerrito.Si apriva il delicato periodo della ricostruzione, che investì naturalmenteanche la struttura giuridico-istituzionale del Paese. Che cosa conservare dellapesante eredità fascista divenne una questione primaria per i partiti di CLNriconosciuti e incoraggiati dagli Alleati.Il problema istituzionale della monarchia – conservarla o, come soprattutto laSinistra pensava, ritenendola coinvolta con il fascismo, condannarlaadottando forme repubblicane per il Paese? - venne risolto provvisoriamente

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con un compromesso tra Savoia e partiti di CLN approvato dagli Alleati, la cuipresenza consigliava la prudenza al Partito comunista, il più organizzato nelPaese, come aveva dimostrato la guerra di Liberazione.Vittorio Emanuele III in esecuzione del compromesso abdicò, mentre il figlioUmberto II divenne capo dello Stato provvisorio come suo ‘luogotenente’ inattesa che un referendum popolare potesse esprimersi sulla scelta ‘istituzionale’(conservare o meno la monarchia sabauda).Il governo era formato paritariamente dai partiti di CLN – dei quali nonpoteva conoscersi la consistenza rispettiva del consenso, in mancanza dielezioni – e il clima di libertà recuperato consentì libere riflessioni sul destinodel Paese, anche sul piano giuridico.Sul piano costituzionale si deplorava lo Statuto albertino, che avevadimostrato di non aver potuto evitare la dittatura, la gabbia corporativa cheaveva avvolto le forze del lavoro, e la legislazione di polizia (T.U. del 1933),ma solo i provvedimenti chiaramente liberticidi furono subito abrogati. Lalibertà di stampa e di parola furono prontamente recuperate e il Paese godette diuna ‘primavera’ culturale per tanti aspetti unica (cinema neo-realista ecc.).La discussione coinvolse anche il sistema giuridico dei privati, grazie a giuristiche posero il problema della conservazione del codice civile del 1942.Alcuni giuristi proposero persino di adottare il sistema di common law, chesembrava espressivo della libertà che gli Alleati incarnavano, ma non si andòoltre la ‘ripulitura’ del testo del codice da quanto si riferisse alle normecorporative (ricordate già nelle ‘preleggi’, all’art. 1 sulle fonti del diritto) edall’allegata Carta del lavoro, che aveva un forte significato simbolico, negativoper gli antifascisti vincitori.I giuristi e intellettuali, non solo di Sinistra (Pci e Psi), ma anche i riformistidel Partito d’azione, eredi della tradizione liberal-democratica alla Gobetti eRosselli, chiedevano uno stacco netto col passato – la discontinuità - che non cifu. Durante la luogotenenza si affrontarono solo le emergenze e siprepararono le elezioni e il referendum del 1946, che portarono per la primavolta anche le donne al voto politico.La Democrazia cristiana in particolare, guidata dal trentino Alcide DeGasperi, già giovane deputato a Vienna al tempo dell’Impero austro-ungarico,frenò le istanze più spinte, consapevole della difficile situazioneinternazionale che andava profilandosi con l’inizio della ‘guerra fredda’ traStati Uniti e Unione sovietica dopo la fine dell’emergenza nazista. Lo stessoPartito comunista, consapevole di operare in un’area di influenza americana –a differenza della Cecoslovacchia e degli altri Paesi sotto controllo sovietico,prontamente ‘indirizzati’ verso regimi comunisti nazionali -, non forzò più di

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tanto le richieste innovatrici. La stessa ‘epurazione’ di magistrati resisi troppoossequienti al regime fu condotta con molta moderazione sotto la guida delministro della giustizia Palmiro Togliatti, il capo del Partito comunistarientrato nel Paese da Mosca e perfettamente al corrente di quanto siprofilava a livello mondiale.Quindi, non si andò oltre l’abrogazione delle norme ‘fascistissime’, perché laabbondante normativa di diritto pubblico e privato emanata durante ilperiodo fascista rimase nel complesso vigente, anche grazie al suo alto profilo daun punto di vista tecnico.Il referendum istituzionale intanto dette una discreta maggioranza alla Repubblica(circa 12milioni di sì contro 10 a favore della monarchia), ma mostrò unPaese profondamente diviso. Il sud, che aveva ospitato il governo Badoglio enon aveva conosciuto la guerra di Resistenza essendo stato liberatoprecocemente, votò in maggioranza a favore della monarchia. Il risultato fucontestato dai monarchici che accusarono di brogli elettorali e solo unarevisione dei risultati operata dalla Cassazione mise la sordina al problema.Anche le elezioni, con un buon risultato elettorale per la Sinistra al centro-nord e una prevalenza democristiana al sud, confermarono la divisione delPaese e consigliarono prudenza alle forze politiche.Si spiega così anche la soluzione di compromesso intervenuta tra le principaliculture politiche presenti alla Assemblea Costituente, dove sederono giuristianziani pre-fascisti come il siciliano Vittorio Emanuele Orlando e giovaniteorici molto ascoltati, come il cattolico Costantino Mortati, calabrese.La Costituzione infine varata nel dicembre del ’47 dal capo provvisorio delloStato, il napoletano Enrico De Nicola, e controfirmata dal Presidentedell’Assemblea costituente Umberto Terracini e dal Presidente del Consigliodei ministri Alcide De Gasperi, accoglieva istanze delle tradizioni cattoliche,social-comuniste e liberali presenti nel Paese, mentre richieste più radicali nonpassarono.Questo avvenne, ad esempio, per quella del Partito d’azione, un partito riccodi intellettuali (come il processualista fiorentino Piero Calamandrei) ma conscarso peso elettorale, di non ‘costituzionalizzare’ i Patti lateranensi. Questifurono riconosciuti all’art. 7 grazie al consenso infine dato dal Partitocomunista e alimentarono una vivace polemica nel Dopoguerra, perché inconseguenza di quanto da essi disposto si rilevarono varie violazioni delprincipio di uguaglianza solennemente sancito all’art. 3 della Costituzione (adesempio per le possibilità giuridiche dei preti che abbandonassero lo stato diecclesiastici, oppure per la libertà d’insegnamento all’Università cattolica).

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Nel complesso la Costituzione fu ben studiata ed equilibrata, dando spazioalle istanze ‘sociali’ della Sinistra (diritto al lavoro, funzione sociale dellaproprietà) come pure a quelle solidaristiche cattoliche (centralità famiglia,libertà per scuole private, favore per cooperativismo) e ai diritti individualidella tradizione liberale.In particolare si adottò un ‘sistema parlamentare’ per contrastare il primatodell’esecutivo avutosi durante il fascismo, anche se non si escluse una figura‘forte’ di Capo dello Stato, sia pure con competenze esplicite molto limitate ela cui elezione era dipendente dal Parlamento. Altro punto molto discusso lacui soluzione ebbe un profilo condizionato dall’incertezza del futuro politicodel Paese, fu la questione delle autonomie.Il problema del separatismo vivace in Sicilia, Sardegna, Val d’Aosta, FriuliVenezia Giulia e Trentino Alto Adige fu risolto prevedendo delle Regioni ‘astatuto speciale’, dotate di amplissime competenze e risorse, mentre ancheper le altre a ‘statuto ordinario’ si ammisero competenze in taluni settoriesplicitamente elencati, un po’ per lo stesso motivo per cui si previde ilreferendum abrogativo della legislazione ordinaria (salvo alcune eccezioniimportanti). Si trattava di istituti di garanzia, perché i due blocchi politici che sifronteggiavano temevano che la maggioranza ad essi contraria potessedivenire in qualche modo e occasione dispotica; si trattava quindi diassicurare un’articolazione politico-amministrativa del Paese e garanzie che inogni caso consentissero di ‘resistere’ a un governo centrale eventualmentesfavorevole.Le elezioni politiche del 1948, che videro la sconfitta del Fronte popolare (Pci-Psi uniti), segnò l’inizio di un lungo periodo di predominio della Dc attorniatavolta a volta da partiti minori (Pli, Pri, Psdi) che contribuirono comunque adassicurare un profilo laico ai governi che si succedettero – e che nonintervennero mai, ad esempio, in modo eclatante a favore della scuolacattolica.Il periodo, che può considerarsi unitariamente fino al 1962 (primo governo dicentro-sinistra, ossia con il Psi, isolando i comunisti all’opposizione disinistra) fu contrassegnato da una rapida ricostruzione del Paese con l’aiutostatunitense (che comprese l’insediamento di basi militari Nato in funzioneanticomunista in Italia) e da un inserimento fruttuoso del Paese nel concertodelle Nazioni europee che andavano costruendo le relazioni più strette da cuisarebbe infine nata l’Unione europea.Durante quegli anni le riforme previste dalla Costituzione furono attuate conestrema lentezza. Solo nel 1956, ad esempio, cominciò ad operare la Cortecostituzionale, mentre rimasero sulla carta tanti altri istituti pur previsti. Gli

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stessi principi di uguaglianza e libertà furono interpretati dalla onnipotenteCorte di Cassazione come previsti da ‘norme programmatiche’, ossia chetracciavano dei programmi da attuare con leggi specifiche, anziché comeprincipi immediatamente precettivi. La magistratura tese a conservare ilquadro normativo e giurisprudenziale ereditato, mentre lo stesso governo eraprudente nelle riforme di normative pur evidentemente in contrasto con laCostituzione. Più di una volta le norme del Testo unico delle leggi di P.S.furono applicate in modo duro (ad esempio contro gli scioperanti), e la stessacensura su giornali e film si esercitò con fermezza discutibile.La Sinistra riuscì a ottenere interventi di vincolo degli affitti di immobili enormative a protezione del lavoro dipendente, oppure a influire sulle riformeagrarie tese a promuovere lo sviluppo dei coltivatori ‘diretti’ e l’eliminazionedel latifondo, ma nel complesso non a far riformare a fondo le normativevigenti.I governi a maggioranza democristiana garantirono comunque nel complessole libertà democratiche di così fresco acquisto e riuscirono ad evitare che ilconfronto degenerasse in guerra civile; non riuscirono però a alterare il profilonettamente parlamentare del sistema, perché la proposta di legge elettorale del 1953che prevedeva un premio di maggioranza a favore della coalizione vincentenon fu approvata a causa d’una campagna vastissima scatenata dalla Sinistra.Il risultato fu che il sistema proporzionale puro vigente condannò il sistema adavere governi assai poco stabili, esposti com’erano ai ricatti dei gruppimarginali che garantivano la maggioranza alle Camere.I governi ebbero perciò durata essenzialmente annuale, e si dovette spessopervenire ad elezioni anticipate, così come si fece spesso ricorso ad amnistie eindulti senza peraltro risolvere il problema dell’enorme arretrato giudiziario.Nessuna riforma strutturale del processo penale fu tentata, mentre rimaseroin vigore reati giudicati fuori del tempo (come il ‘delitto d’onore’) oppureinterpretazioni obsolete di alcuni divieti (ad esempio per gli ‘atti osceni inluogo pubblico’).Solo con il Centro-sinistra si tentò una stagione riformista, che si scontròpresto però con l’acuirsi della tensione sociale e l’affacciarsi del ‘brigatismo’,ossia degli attentati terroristici nel nome della rivoluzione politico-sociale, perfar fronte al quale si varò una legislazione di emergenza assai poco rispettosa deidiritti individuali. Lo sviluppo economico-sociale fu comunque rapido, eportò alla formazione di un apparato industriale pubblico mastodontico: le c.d. ‘partecipazioni statali’, ossia società di diritto privato operantinell’economia ma le cui azioni erano (per lo più totalmente) di proprietàpubblica (holding finanziarie tipo IRI, ENI e così via). Questa situazione,

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perdurando forti conflitti sociali, condusse a situazioni fortementecontraddittorie.I sindacati dei dipendenti (a partire dalla CGIL) ebbero un ruolo crescentenell’apparato pubblico, cominciando a partecipare alla cogestione di grandienti pubblici (INPS, ad esempio) e nella gestione del mercato del lavoro(contratti collettivi erga omnes, congedi sindacali ecc.), mentre i partiti furonosempre più coinvolti nella gestione dell’economia, in gran parte condizionata dallamano pubblica. La società civile manteneva una relativa indipendenza daglisviluppi politico-istituizonali, segnando anzi momenti clamorosi di frattura.Tali possono essere considerati i referendum sul divorzio e l’aborto, due leggi infineapprovate dal centro-sinistra grazie alla presenza al governo del Psi. Ebbene, ireferendum celebrati negli anni ’70, grazie al varo pur tardivo della legge diapplicazione della Costituzione, segnarono una sconfitta netta per laDemocrazia cristiana o i suoi dirigenti che avevano sperato di esser sostenutidall’elettorato.Fu un segnale importante che consentì un’ampia riforma del diritto di famiglia esuccessorio - fino ad allora inutilmente richiesta. Il codice civile finalmenteaccolse i principi di uguaglianza tra i coniugi e tra i figli, anche se nati fuoridel matrimonio, favorendo la sensibilizzazione per il problema dellainferiorità di fatto, se non più giuridica, della donna – aprendo dibattiti eproblematiche tuttora vivacissimi e di attualità.Un altro momento di ‘scollamento’ tra società politica e civile può essereindicato nella riforma regionale finalmente attuata anch’essa a partire dal 1972.Mentre talune regioni a statuto speciale davano cattive prove (in particolare laSicilia), quelle a statuto ordinario nel corso degli anni si mostrarono inferiorialle promesse, tendendo in generale a riprodurre i meccanismi centralisticicontro i quali erano state istituite e senza peraltro snellire realmente l’apparatocentrale dello Stato.I Comuni, del resto, continuarono di regola ad avere amministrazionidissestate dal punto di vista finanziario e a far pesare gran parte del propriodeficit sui bilanci statali, motivando l’eccezionalità della loro condizione con ivincoli burocratici e la mancanza di fonti di approvvigionamento fiscale. Trale riforme che aiutarono la loro autonomia, si ricorda l’eliminazione delleGiunte provinciali amministrative, strumenti di controllo della spesacomunale in cui aveva larga parte il governo centrale attraverso le prefetture,e il passaggio delle loro competenze ai nuovi Comitati regionali di controllo;questi si affiancarono ai Tribunali amministrativi regionali, primo gradino oradella giurisdizione amministrativa, nel profilare un apparato pubblico con

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maggiore presenza nei capoluoghi regionali, ma senza ridisegnarne realmenteil rilievo.Nel frattempo la Corte costituzionale svolgeva un ruolo notevole, avendo trai suoi giudici figure di alto profilo. Molte norme d’età fascista relative allasicurezza pubblica oppure norme penalistiche furono cancellate dal nostroordinamento, ma – d’altro canto – la Corte inaugurò anche unagiurisprudenza assai restrittiva in materia di ammissibilità dei referendum, il cuiabuso del resto ha finito poi per rivelarsi un boomerang controproducente negliultimi anni.Segnavano invece il passo le riforme del processo civile, sempre segnato daformalismi e da una lentezza divenuta proverbiale, e del processo penale,sempre impostato in modo prevalentemente inquisitorio in accordo con lanostra tradizione giuridica, anche se in contrasto con le sempre più vivacirichieste di adozione del rito accusatorio.Peraltro, ora le richieste di riforma provenivano dallo stesso corpo dellamagistratura. Dagli anni ’60, specie dopo il ’68 con l’incredibile aumento dellascolarizzazione universitaria e l’ingresso di nuove leve nella magistratura,cominciò una discussione tra i magistrati prima assente, quando ancoradominava l’idea del decoroso distacco dalla politica e dal pubblico.Ora, invece, cominciò l’organizzazione sindacale dei giudici e ciò, oltre aprovocare contrapposizioni inedite al loro interno, inaugurò un nuovorapporto col potere politico-legislativo. In primo luogo i giudici ottennerouno status d’indipendenza come mai prima, garantendosi oltreché stipendimolto dignitosi addirittura le promozioni di carriere automatiche (in luogodelle verifiche sul campo, ossia delle sentenze da parte dei giudici più elevati)e l’autogestione del corpo attraverso il Consiglio superiore della magistratura,ufficialmente presieduto dal Presidente della Repubblica, ma diretto di dirittoe di fatto dai magistrati stessi.In secondo luogo, tra i giudici si andò profilando un netto dissenso sul ruolodelle norme costituzionali: fino a che punto dovevano considerarsi prevalentisulla normazione ordinaria? Fino a che punto potevano modificarne lalettura? Negli stessi anni dei duri scontri sociali e culturali, tardo ’60-’70,mentre il terrorismo continuava a mietere vittime e a provocare unalegislazione processuale speciale, assolutamente discutibile dal punto di vistacostituzionale, come si diceva, si diffondevano dottrine come quelle su ‘l’usoalternativo del diritto’, che invitavano esplicitamente il giudice a divenireprotagonista del cambiamento sociale alla luce dei precetti costituzionali.Il sistema politico-istituzionale sembrava avvitato su se stesso, conl’impossibilità di andare al di là del Centro-sinistra a causa del fattore K (la

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presenza d’un partito comunista forte come in nessun altro Paese liberoeuropeo) e la debolezza dello schieramento parlamentare di maggioranza,sempre esposto alle defezioni di chi volesse profittare di posizioni marginali,di ‘rendita politica’.Era la situazione migliore – di fronte a un Parlamento che si limitavaall’ordinaria amministrazione o all’eccesso di legislazione, spesso scandalosa,come quando favoriva sfacciatamente i partiti, con gli aumenti di onorario aiparlamentari o il finanziamento pubblico, o a disattendere addirittura irisultati dei referendum! – perché il ruolo dei giudici crescesse come mai inpassato, mentre si imponeva la presenza dei sindacati uniti (Cgil-Cisl-Uil) cheriuscivano ad ottenere lo ‘statuto dei lavoratori’, una sorta di protezione‘forte’ per i posti di lavoro nelle aziende industriali (cioè di dimensioni nonartigianali, ed escludendo dipendenti di sindacati e partiti), che metteva l’Italiaall’avanguardia in questo settore – mentre tradizionalmente il posto diimpiego pubblico era ambito proprio per la sua sostanziale illicenziabilità.In questa situazione, il crollo dell’Unione sovietica e la crisi definitiva delblocco comunista, hanno avuto un effetto dirompente.Con il 1989, a due secoli di distanza dalla Rivoluzione francese, il Partitocomunista non aveva più il suo tradizionale e potente referente esterno edoveva rassegnarsi a una prospettiva grosso modo socialdemocratica, mentreper gli altri partiti non aveva più senso – ove si fosse verificata l’evoluzioneattesa da tanto tempo - l’esclusione dall’area del governo di quella forza contanto radicamento popolare e capacità di mobilitazione.Il sistema politico era però sostanzialmente bloccato su questo impasse. IlPartito comunista era sentito come troppo forte non solo dai socialisti, chetemevano di essere fagocitati dalla esperienza politica, dall’organizzazione edal numero stesso dei militanti comunisti, ma ovviamente dai democristiani,che erano minacciati nella loro continua permanenza – sin dal 1945 – algoverno. Ogni tentativo di riforma incontrava ostacoli serissimi, dato cheormai il sistema era degenerato in partitocrazia, nel senso che dai partitidipendeva la vita delle istituzioni – a partire dai governi, le cui crisi eranodecretate fuori del Parlamento, dalle segreterie dei partiti (crisi extra-parlamentari).Le stesse candidature per le camere e gli altri livelli elettorali erano decisi dairistretti gruppi dirigenti dei partiti, ma anche soltanto l’eliminazione del sistemadella preferenza plurima – che consentiva di scegliere tra più candidati, mainnescava concorrenze furiose entro i partiti e metteva i candidati alla mercédell’organizzazione – fu un passo doloroso e accettato solo perché unreferendum apposito dovette affrontare e risolvere la questione.

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Fu un altro segnale che la società civile aveva ormai piena sfiducia dei suoirappresentanti politici tradizionali. Il che fu presto (1992) confermato dallavicenda di ‘mani pulite’, cioè dall’inchiesta del pool della procura dellaRepubblica di Milano che cominciò ad accertare – essendo fortementesostenuta dall’opinione pubblica e da precise testimonianze che si infittivanocol tempo - la corruzione largamente diffusa tra i partiti.Il sistema delle tangenti (che fece parlare di ‘Tangentopoli’) per cui ogniappalto e altro servizio di rilievo della pubblica amministrazione poteva essereacquisito solo se pagato segretamente in danaro sonante a favore delleamministrazioni dei partiti (in particolare di maggioranza, naturalmente, Dc ePsi) generò uno scandalo che ebbe larga risonanza mondiale e fu all’origine dipolemiche non ancora sopite – dato che si accusò quella procura di averinfierito volutamente solo contro certi partiti, senza estendere le indagini comesarebbe stato doveroso a tutti.Fu allora – promosso in particolare dall’on. Mario Segni - il momento delreferendum per il sistema elettorale maggioritario che, approvato da una largamaggioranza, ha aperto la strada a un nuovo sistema politico. La leggeelettorale (detta ironicamente Mattarellum dall’on.le Mattarella suo principaledifensore) basata sui collegi uninominali a un turno per la verità era tutt’altro cheperfetta, tanto che nelle elezioni fin qui svoltesi ha dato luogo a coalizioni digoverno tutt’altro che compatte e funzionali, ma non si è trovato l’accordoper modificarla, mentre il sistema maggioritario con una sorta dipresidenzialismo veniva introdotto con maggior successo (ai fini della stabilità digoverno almeno) per il governo prima dei Comuni e poi di Province eRegioni – i cui Presidenti sono ora detti nel linguaggio corrente (non nellalegge) ‘governatori’ proprio per far risaltare questa maggiore lororappresentatività dipendente dall’elezione diretta all’americana.È una delle strade che si sta discutendo per modificare anche il sistemapolitico nazionale, optando cioè per un presidenzialismo all’americana, basatosu un presidente eletto direttamente dal popolo. Come si può immaginare,però, si tratta di una riforma sostanziale del sistema, al quale i partiti nonsembrano ancora pronti. Invece, nel frattempo, è passata una sostanziosariforma della Costituzione (confermata pure da un referendum) per quantoattiene il sistema delle autonomie. La riforma prevede un sostanzialetrasferimento di competenze alle Regioni, ma di diritto e di fatto la previsionepone più di un problema applicativo perché il trasferimento non è statoassistito da una coerente modifica del sistema dei prelievi fiscali. Conflitti trapotere centrale e autorità regionali in questo caso si profilano come certi,sollecitati anche dall’esistenza di Regioni governate da una maggioranza non

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in linea con quella nazionale. Altri conflitti sono nell’ordine delle cose perl’annunciata volontà del governo di intervenire a riformare sia l’attualeordinamento della magistratura (che da noi non conosce la divisione dellecarriere tra magistrati giudicanti ed inquirenti), sia l’attuale mercato del lavoro,cominciando da alcune normative troppo rigide – rispetto a quanto è la regolaeuropea – previste dallo statuto dei lavoratori.In questa situazione c’è da rimpiangere che nella disciplina attuale il referendumsia soltanto abrogativo e che la prassi degli ultimi anni l’abbia in gran partelogorato (come si è visto non raggiungendosi le maggioranze prescritte deivotanti). Reso più flessibile e meno burocratico e costoso (abbinandolo adesempio con le consultazioni elettorali come in California) il ricorso al corpoelettorale potrebbe essere assai opportuno e aiuterebbe a superare lecontrapposizioni troppo rigide oggi instauratesi a livello politico – posta lastabilità attuale del quadro governativo in conseguenza dell’applicazione delmaggioritario nelle elezioni del 2001. Ma siamo entrati in argomenti cheesulano ampiamente da una trattazione storica!