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Classe dirigente liberale e fascismo a Siena Un caso di continuità di Daniele Pasquinucci La storia locale fornisce un osservatorio privile- giato per analizzare le trasformazioni subite dal- la società italiana durante il Ventennio. Il pre- sente saggio intende dare un contributo in que- sta prospettiva, analizzando la composizione di una classe dirigente locale e verificando la capa- cità degli homines novi di sostituirsi agli espo- nenti dello stato liberale. Nel caso di Siena la lotta per la conquista dei centri di potere ruota intorno all’amministrazio- ne del Monte dei Paschi. Tradizionale feudo dell’aristocrazia e della grande borghesia senesi, la banca ha sempre esercitato un ruolo decisivo nella vita sociale, politica ed economica della cittadina toscana. Si comprende, quindi, il du- rissimo scontro sorto negli anni venti per il con- trollo dell’istituto, perno di un articolato siste- ma di potere del quale facevano parte anche gli enti di beneficenza, i consorzi agrari, le tradizio- nali contrade e le altre istituzioni cittadine. Dal- lo spoglio della stampa locale dell’epoca, dai verbali inediti delle deliberazioni della deputa- zione amministratrice del Monte e dai documen- ti dell’Archivio centrale di Stato, emerge con chiarezza l’incapacità dei fascisti di proporre una nuova classe dirigente e l’inesistenza, a Sie- na, di una frattura nel passaggio dallo stato libe- rale al regime fascista. Local history provides an opportune vantage point for analyzing the transformations o f the Italian society underwent during the twenty years o f Fascist rule. The aim o f this essay is to contribute to this view, analyzing the composi- tion o f one local ruling class and verifying the ability o f the homines novi to take the place o f the representatives o f the liberal State. In the case o f Siena, the fight for conquest of the power centers revolved around the admini- stration o f the Monte dei Paschi bank. The bank, traditional domain o f the Sienese aristo- cracy and upper middle class, had always played a decisive role in the social, political, and econo- mic life o f the Tuscan citizenry. The fierce struggle for control o f this institution that took place in the 1920s, then, is understandable; the bank played a pivotal role in a distinct power system in which public charities, agrarian socie- ties, traditional districts and other civic institu- tions all took part. Examination o f the press o f the period, unpublished reports o f the delibera- tions o f the Monte administrative deputation, and documents in the State’s central archives clearly demonstrates the inability o f the fascists to propose a new ruling class and the nonexi- stence, in Siena, o f a break in the passage from the liberal State to the fascist regime. Italia contemporanea”, settembre 1991, n. 184

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Classe dirigente liberale e fascismo a SienaUn caso di continuità

di Daniele Pasquinucci

La storia locale fornisce un osservatorio privile­giato per analizzare le trasformazioni subite dal­la società italiana durante il Ventennio. Il pre­sente saggio intende dare un contributo in que­sta prospettiva, analizzando la composizione di una classe dirigente locale e verificando la capa­cità degli homines novi di sostituirsi agli espo­nenti dello stato liberale.Nel caso di Siena la lotta per la conquista dei centri di potere ruota intorno all’amministrazio- ne del Monte dei Paschi. Tradizionale feudo dell’aristocrazia e della grande borghesia senesi, la banca ha sempre esercitato un ruolo decisivo nella vita sociale, politica ed economica della cittadina toscana. Si comprende, quindi, il du­rissimo scontro sorto negli anni venti per il con­trollo dell’istituto, perno di un articolato siste­ma di potere del quale facevano parte anche gli enti di beneficenza, i consorzi agrari, le tradizio­nali contrade e le altre istituzioni cittadine. Dal­lo spoglio della stampa locale dell’epoca, dai verbali inediti delle deliberazioni della deputa­zione amministratrice del Monte e dai documen­ti dell’Archivio centrale di Stato, emerge con chiarezza l’incapacità dei fascisti di proporre una nuova classe dirigente e l’inesistenza, a Sie­na, di una frattura nel passaggio dallo stato libe­rale al regime fascista.

Local history provides an opportune vantage point for analyzing the transformations o f the Italian society underwent during the twenty years o f Fascist rule. The aim o f this essay is to contribute to this view, analyzing the composi­tion o f one local ruling class and verifying the ability o f the homines novi to take the place o f the representatives o f the liberal State.In the case o f Siena, the fight for conquest o f the power centers revolved around the admini­stration o f the Monte dei Paschi bank. The bank, traditional domain o f the Sienese aristo­cracy and upper middle class, had always played a decisive role in the social, political, and econo­mic life o f the Tuscan citizenry. The fierce struggle for control o f this institution that took place in the 1920s, then, is understandable; the bank played a pivotal role in a distinct power system in which public charities, agrarian socie­ties, traditional districts and other civic institu­tions all took part. Examination o f the press o f the period, unpublished reports o f the delibera­tions o f the Monte administrative deputation, and documents in the State’s central archives clearly demonstrates the inability o f the fascists to propose a new ruling class and the nonexi­stence, in Siena, o f a break in the passage from the liberal State to the fascist regime.

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Una delle strade che si possono percorrere nel tentativo di dare una risposta al proble­ma della interpretazione del fascismo consi­ste nell’analizzare la composizione della clas­se dirigente e le modificazioni che essa subì nel passaggio dallo stato liberale al regime fascista. In questa prospettiva — considerata anche la sostanziale povertà di studi sul fa­scismo a livello locale — la storia politica e sociale di Siena, pur non potendo essere con­siderata paradigmatica, offre tuttavia spunti assai interessanti. Il dato che immediatamen­te balza agli occhi è l’indiscutibile continuità con cui la classe dirigente liberale formatasi agli inizi del secolo resse le sorti di Siena du­rante il ventennio1. Il percorso storico com­piuto in quel periodo dai ceti politicamente dominanti della cittadina toscana può essere letto come lo strenuo e vittorioso sforzo di annientare le leghe economiche socialiste e, successivamente, di infrenare nell’alveo della conservazione la carica potenzialmente rin­novatrice dell’ala più irrequieta del fascismo cittadino, quella sindacale e repubblicana, che si mise in luce soprattutto per velleitari­smo e demagogia. Quanto avvenne nel caso senese sembrerebbe perciò confermare le tesi di chi ha voluto mettere in rilievo l’inconsi­stenza del cosiddetto “fascismo di sinistra”2.

La lotta politica a Siena nel primo dopo­guerra

La difesa delle istituzioni. Fu questa la paro­la d’ordine, proclama incessantemente ri­

petuto e allo stesso tempo programma ‘mas­simo’, attorno al quale si coagularono a Sie­na tutte le forze politiche moderate in oppo­sizione prima al timore della “marea bolsce­vica”, ma in realtà alla straripante avanzata elettorale socialista, e poi ai fascisti, giudica­ti rozzi parvenus della politica.

Emblema di questa vocazione ‘bloccarda’, della testarda salvaguardia delle antiche mu­ra senesi rispetto al nuovo, fu la linea politi­ca espressa dalla sezione locale del partito popolare.

In questo senso è estremamente significati­vo quanto avvenne nelle elezioni amministra­tive del 1920.

Comunemente considerate come un fatto di grande importanza per la comprensione del fenomeno fascista3, tale appuntamento elettorale vide, nel comune di Siena, l’al­leanza del Partito popolare italiano con i liberali, i radicali, i combattenti e le altre forze politiche e sociali della città al fine di opporsi ai socialisti, i quali erano riu­sciti a guadagnare la maggioranza in tren­ta dei trentacinque municipi della pro­vincia.

Alla stregua di quanto avvenne in molte altre località, quindi, anche a Siena i catto­lici infransero la linea di rigida intransigen­za deliberata dal Consiglio nazionale del partito4, fermamente deciso ad impedire la partecipazione delle sezioni periferiche a quei blocchi moderati che “sotto l’etichetta della difesa dell’ordine si ispira[no] a un programma di reazione, o comunque con- trasta[no] con le legittime aspirazioni o ri-

1 Su questo aspetto si veda, oltre alla stampa locale dell’epoca, la composizione delle varie deputazioni ammini- stratrici del Monte dei Paschi, punto nevralgico nella mappa del potere senese, succedutesi durante il periodo fasci­sta e riportate in Giuliano Catoni, Il Monte dei Paschi di Siena nei due secoli della Deputazione Amministratrice (1786-1986), Siena, Monte dei Paschi, 1986, pp. 63-66.2 Giampiero Carocci, Postilla all’ “Intervista sul fascismo”, in Aa.Vv., Fascismo e capitalismo, a cura di Nicola Tranfaglia, Milano, Feltrinelli, 1976, p. 207.3 Giorgio Candeloro, Storia dell’Italia moderna, voi. V ili, La prima guerra mondiale, il dopoguerra, l ’avvento del fascismo, Milano, Feltrinelli, 1984, p. 346.4 Sulla partecipazione dei cattolici ai blocchi: Mario G. Rossi, Da Sturzo a De Gasperi, Roma, Editori Riuniti, 1985, p. 87 e pp. 146-148; Camillo Brezzi, Il cattolicesimo politico in Italia nel ’900, Milano, Teti, 1979, p. 85;

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vendicazioni popolari”5. Un “embrassons nous” che invece “Il Popolo di Siena” — organo di stampa del clero locale — spie­gava e giustificava con la necessità “di im­pedire il deleterio prevalere massimalista che sarebbe morte e rovina di gloriose, be­nefiche, secolari istituzioni cittadine”6. Erano, non a caso, le stesse preoccupazio­ni manifestate dai liberali, per i quali “l’occupazione [socialista] dei comuni è molto più pericolosa della scalata degli in­competenti alla Camera dei Deputati”7, vi­sto che ai primi erano legati i servizi pub­blici, le opere di beneficenza, la distribu­zione degli approvvigionamenti. Di fronte a questo possibile scenario a ben poco val­sero i richiami di don Sturzo alla disciplina di partito; il 14 ottobre, a soli dieci giorni dalle elezioni, i popolari stabilirono di prendere parte con i propri candidati alla lista sorta sotto l’egida dell’Anc (Associa­zione nazionale combattenti) di Siena.

Appare chiaro come il controllo delle istituzioni costituisse una condizione irri­nunciabile per il perpetuarsi della struttura sociale e politica esistenti. Ma la difesa di questo delicato assetto istituzionale impli­cava che l’alleanza tra le varie forze politi­che che componevano il variegato spettro dei partiti dell’ordine non fosse solo occa­sionale, come dimostrano le elezioni politi­che del 1921 allorquando popolari e repub­blicani presentarono delle liste “aperte”, vale a dire con un numero di candidati in­feriori a quello dei deputati da eleggere nella circoscrizione che comprendeva Siena.

Da parte dei cattolici si disse che ciò ri­spondeva a criteri di umanità, volendo ri­sparmiare delusioni inutili a chi non sareb­be comunque riuscito a farsi eleggere8. In realtà una scelta del genere consentiva agli elettori popolari di assegnare il voto di li­sta allo scudo crociato e il voto “aggiun­to” a uno o due candidati di altri schiera- menti. Essi utilizzarono ampiamente l’op­portunità di moltiplicare i voti dei partiti dell’ordine, riversando le proprie preferen­ze su Gino Sarrocchi, agrario e leader indi­scusso dei liberali locali9. Allo stratagem­ma in atto presero parte anche le autorità governative. Il 9 maggio il prefetto di Grosseto si rivolgeva a quello di Siena per­ché invitasse il vescovo di Montalcino a suggerire ai fedeli appartenenti alla sua diocesi, ma residenti a Grosseto, di dare il voto aggiunto ai candidati liberali di quella città10.

L’impressione che si ricava da questi av­venimenti è duplice. Da un lato si deve rile­vare il verticismo delle scelte politiche, che ci rimanda nuovamente all’importanza del controllo di quegli organismi attraverso i quali era possibile indurre la maggioranza dei cittadini a provare estraneità o indiffe­renza nei confronti dell’amministrazione della città. Dall’altro va sottolineato come sia la dialettica e lo scontro politico tra i partiti costituzionali, sia le intese che in ulti­ma analisi ne scaturivano rispondessero uni­camente ad esigenze di propaganda. Tutto si riduceva a mero esercizio retorico a fronte del quale risalta l’accordo tra i massimi diri­genti dei raggruppamenti uniti dalla medesi-

Hmilio Gentile, Storia del partito fascista (1919-1922). Movimento e milizia, Bari, Laterza, 1989, p. 144; Paul R. Corner, / / fascismo a Ferrara (1915-1925), Roma-Bari, Laterza, 1974, p. 125. s “Il Popolo di Siena”, 10 gennaio 1920.6 Sf, Comunicato del Partito Popolare Italiano. Sezione di Siena, “Il Popolo di Siena”, 16 ottobre 1920.7 Sf, La lotta per le minoranze nelle amministrazioni comunali, “L’Era Nuova”, 24 settembre 1920.8 Sf, Impostazione popolare, “Il Popolo di Siena”, 23 aprile 1921.9 Gino Sarrocchi ottenne più di mille voti aggiunti, di cui ben 122 nel solo comune di Siena.10 Archivio di stato di Siena (da adesso Ass), Gabinetto di prefettura, fase. 174, b. 37.

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ma condizione sociale e magari anche dal­l’appartenenza alla massoneria, tradizional­mente potentissima a Siena, come vedremo in seguito. La posizione ‘frontista’ assunta da tali partiti politici esprimeva la volontà dei ceti dominanti di difendere i propri pri­vilegi, mentre priva di fondamento è l’ipo­tesi che essa rappresentasse l’inevitabile mo­bilitazione a difesa dell’ordine sociale mi­nacciato dai socialisti. Sembra quindi inap­plicabile un modello interpretativo sulle ori­gini del fascismo — inteso quale “paladino della borghesia e organizzatore dei ceti medi contro il pericolo bolscevico”11 — che ha ri­scosso un certo successo in alcuni esponenti della storiografia recente. Il dibattito in se­de storica, sviluppatosi attraverso contributi successivi, ha infatti accertato l’inconsisten­za della teoria che fa risalire ad una ipoteti­ca “intransigenza socialista” ed al rischio della rivoluzione bolscevica il motivo dell’i­nasprimento della tensione sociale ed il con­seguente avvento dello squadrismo. Del re­sto a Siena il gruppo dirigente socialista ri­velò in più di una circostanza la volontà di mantenere la conflittualità delle masse entro i limiti della legalità. Esemplificativo di questo sforzo fu quanto avvenne nel luglio del 1919, quando a Siena — come in gran parte della penisola12 — scoppiarono dei tu­multi dovuti al caro vita.

I dirigenti della Camera del lavoro as­sunsero un atteggiamento di grande pru­denza, evitando di strumentalizzare le agi­tazioni13. Al contrario essi, nell’evidente tentativo di placare gli animi, avanzarono richieste prive di qualsivoglia valenza rivo­luzionaria: il ribasso dei prezzi, un con­trollo più rigido degli esercenti, la munici­palizzazione degli spacci alimentari e l’e­spropriazione delle ricchezze ingiustamente accumulate durante la guerra14. Ancora più significativo appare l’atteggiamento degli organi direttivi socialisti, nella mag­gioranza massimalisti, in occasione dello sciopero generale proclamato nell’aprile del 1920 per protesta contro l’eccidio di Decima di Persiceto15. I redattori di “Ban­diera Rossa” — giornale della Federazione provinciale del Partito socialista italiano — si affrettarono a tranquillizzare la borghe­sia cittadina, assicurando che nessun ecces­so avrebbe turbato le pacifiche astensioni dal lavoro, poiché “il bel gesto gladiatorio a nulla serve, anzi può dare altri lutti e la­crime” . Nel contempo, con un improvvisa­to equilibrismo che mette in luce le diffi­coltà dei dirigenti socialisti di fronte alle spontanee iniziative popolari che essi stessi contribuivano, con un atteggiamento ambi­guo, a generare16, si cercava di non con­traddire lo stato d’animo esasperato de-

11 E. Gentile, Storia del partito fascista, cit., p. 65. A proposito del dibattito intorno al ‘revisionismo’ storiografi- co sul fascismo si veda, tra gli altri, Aa.Vv., Il fascismo e gli storici oggi, a cura di Jader Jacobelli, Laterza, Bari, 1988.12 Per un quadro generale sulle agitazioni del 1919: Gaetano Salvemini, Le origini del fascismo in Italia. Lezioni di Harvard, Milano, Feltrinelli, 1966, pp. 192-194.13 Le manifestazioni di protesta colsero di sorpresa gli stessi esponenti socialisti. Alla fine di giugno i rappresentan­ti della Camera del lavoro avevano infatti accettato di far parte di una commissione istituita dal prefetto al fine di evitare l’insurrezione. Ne uscirono subito dopo l’inizio delle dimostrazioni criticandone, significativamente, non la funzione o l’operato, ma la composizione (cfr. Sf, Siena e provincia protestano contro il caro vita, “Bandiera Ros­sa”, 12 luglio 1919). Sull’assenza, anche a livello nazionale, di ogni iniziativa socialista alle origini dei tumulti an­nonari del 1919 si veda Roberto Vivarelli, Storia delle origini del fascismo. L ’Italia dalla grande guerra alla marcia su Roma, Bologna, Il Mulino, 1991, vol. I, pp. 447-454.14 Sf, Il nostro comizio contro il caro viveri, “Bandiera Rossa”, 28 giugno 1919.15 Sugli scontri di Decima si veda G. Salvemini, Le origini del fascismo, cit., p. 263.16 Gaetano Arfè, Storia del socialismo italiano (1892-1926), Torino, Einaudi, 1965, pp. 274-286.

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gli scioperanti, asserendo con vena pedago­gica che

il momento storico che attraversiamo ha un con­tenuto essenzialmente rivoluzionario, che sfugge anche all’osservazione di tanti nostri compagni. Molti di questi hanno provato e provano una certa delusione, perché non si è ancora fatta una rivoluzione, perché non si è ancora messo mano alle mitragliatrici, innalzato alla forca, messi alla lanterna i nostri avversari [...] Ma questa sareb­be stata reazione e non rivoluzione: sognare bat­taglie e spargimenti di sangue voleva dire “non capire cosa significa rivoluzione”17.

Questi episodi gettano un’ombra sulla te­si che vuole il clima politico e sociale di quel tempo irrimediabilmente condizionato ed inquinato dal timore di una rivoluzione alle porte. Piti del bolscevismo gli agrari te­mevano la diffusione dei principi democra­tici, 1’ “affermarsi — come ha giustamente messo in evidenza Carla Ronchi Bettarini — di un potere contrattuale organizzato e pari­tetico tra i contadini”18 e la conseguente po­liticizzazione delle masse.

Tutto ciò poteva infrangere il rapporto personale ed individuale — fondato sulla subordinazione e non scevro di paternali­smo19 — che univa gli agrari ai coloni. La vera ragione della nascita e dello sviluppo del fascismo a Siena va quindi ricercata nella necessità degli agrari di difendere l’assetto sociale ed economico delle cam­pagne.

Nella riunione dell’Associazione fra in­dustriali, commercianti ed esercenti di Sie­na, tenuta nel dicembre del 1920 (proprio

mentre lo squadrismo iniziava la sua con­troffensiva), si affrontò il problema del controllo industriale da parte degli operai, sollevato per la prima volta dal gruppo to­rinese di “Ordine Nuovo”20. I membri del­l’associazione si dimostrarono estremamen­te concilianti.

Se il controllo industriale significava la ripresa del lavoro e della produzione esso era ben accetto; “che venga effettuato que­sto controllo, con fede e buona fede e noi accoglieremo i nostri operai al nostro ban­co di lavoro”. Ma questa disponibilità da che cosa derivava se non dall’insussistenza dello sviluppo industriale in provincia di Siena?

Il controllo industriale veniva proprio per questo paragonato strumentalmente (e impropriamente) alla mezzadria, e di ciò si approfittava per accusare di malafede e miopia politica i comunisti, i quali “nel medesimo anno 1920 [...] predicano la mezzadria industriale e tentano di abolire la mezzadria terriera”21.

L’integrità dell’organizzazione mezzadri­le era, d’altronde, il necessario pendant al­l’intangibilità delle istituzioni cittadine.

Attraverso queste ultime l’aristocrazia terriera e la borghesia senesi condiziona­vano lo sviluppo economico, legandolo in­scindibilmente alle fortune dell’agricol­tura.

Un ruolo fondamentale nella cristallizza­zione dei rapporti di produzione fu svolto dal Monte dei Paschi, — i cui ‘tutori’ appar­tenevano agli ambienti sociali favoriti dallo

17 Sf, A posto, “Bandiera Rossa”, 7 aprile 1920.18 Carla Ronchi Bettarini, Note sui rapporti fra fascismo “cittadino” e fascismo "agrario” in Toscana, in La To­scana nellTtalia unita. Aspetti e momenti di storia toscana (1861-1945), Firenze, Unione regionale delle province toscane, 1962, p. 335.19 Frank M. Snowden, The fascist revolution in Tuscany (1919-1922), Cambridge University press, 1989, p. 15.20 Fra i numerosi studi su questo argomento si veda Paolo Spriano, L ’ "Ordine Nuovo” e i consigli di fabbrica, Torino, Einaudi, 1971.21 Raz. [5/c], Controlli industriali, “Bollettino dell’Associazione fra Industriali, Commercianti ed Esercenti in Sie­na”, dicembre 1920.

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status quo —, il quale rifiutò sempre il pro­prio sostegno agli industriali del distretto22. Ma anche le forze politiche cittadine si op­posero all’avvio di un pur limitato processo di industrializzazione. L’assenza di un pro­letariato urbano emancipato e cosciente ri­spondeva agli interessi degli agrari e dei fa­scisti poiché facilitava l’esaltazione della condizione mezzadrile, intesa sia come mo­dello di vita direttamente collegato a valori e vincoli sentimentali tipicamente conservato- ri, sia come ostacolo al diffondersi del pen­siero socialista23. Il programma con il quale si insediò la nuova giunta comunale (1923), prevedeva la difesa e lo sviluppo del settore agricolo come unica via per la diffusione di un benessere sempre crescente tra i cittadini. Siena doveva abbandonare il sogno di trova­re prosperità e ricchezza nelle industrie, che dovevano trovare collocazione in ambienti più adatti:Ve la immaginate la nostra città, la città dello spirito puro, assediata, soffocata, martoriata da quei grandi stabilimenti di mattone rosso, con i buchi dalle parti, con entro una folla di gente che per la maggior parte è tolta al lavoro utile e asso­lutamente necessario dei campi? La prosperità e la ricchezza di Siena [...] è nell’agricoltura24.

La sezione senese dell’Anc difese a più ri­prese la mezzadria, mentre a livello naziona­le i combattenti spostavano la loro attenzio­ne verso la cooperazione, intesa come ‘terza via’ tra l’individualismo capitalista e il col­lettivismo socialista25.

Sull’onda di un consenso sempre maggio­re la Federterra di Siena — che nel 1920 era tra le prime d’Italia per numero di ade­renti26 — e la Camera del lavoro — che du­rante il “biennio rosso” incrementò i propri soci da 1.750 a 11.58927 — ottenevano, nel dopoguerra, continue modificazioni dei patti colonici28, mettendo nel contempo in discussione il diritto esclusivo dei proprieta­ri di dirigere l’azienda. Quando a questo si aggiunse il cambiamento delle maggioranze consiliari nei comuni della provincia, al quale corrispose un immediato e notevole aumento delle sovraimposte sui terreni29, gli agrari fecero apertamente ricorso alla violenza fascista.

L’omologazione del fascismo senese

Quanto detto sinora non deve tuttavia in­durci a spiegazioni affrettate riguardo al controverso problema dei rapporti tra fa­scismo e classi sociali.

I proprietari terrieri ebbero indubbia­mente una funzione determinante nello svi­luppo dello squadrismo e non manifesta­rono remore nel riconoscerlo esplicitamen­te30.

Nondimeno appare inadeguato, qualora si voglia analizzare il livello e l’intensità del radicamento sociale del fascismo, identifi­care semplicisticamente i seguaci di Mus­solini con gli agrari e gli squadristi da es­si prezzolati. Una volta premessa l’impossi-

22 Archivio storico del Monte dei Paschi di Siena (da adesso abbreviato in Amps), Verbali delle deliberazioni della Deputazione amministratrice, 1920, adunanza del 24 giugno.23 C. Ronchi Bettarini, Note, cit., p. 368.24 Gino dello Rocca, Fra i contadini, “L’Intervenuto”, 10 luglio 1920.25 Giovanni Sabbatucci, I combattenti nel primo dopoguerra, Bari, Laterza, 1974, p. 272.26 Renato Zangheri, Lotte agrarie in Italia. La Federazione nazionale dei Lavoratori della Terra (1901-1926), Mila­no, Feltrinelli, 1960, p. 404.27 La Confederazione Generale del Lavoro, a cura di Luciana Marchetti, Milano, 1962, pp. 420-421, riportato an­che in Aa.Vv., La formazione del partito comunista in Toscana (1919-1923). Elementi di una ricerca, Firenze, Isti­tuto Gramsci, 1981, p. 243, tav. 47.28 Sf, Il patto colonico riformato, “Bandiera Rossa”, 2 agosto 1919.29 Sf, La nostra azione contro le sovrimposte eccessive, “11 Solco”, 3 febbraio 1922.30 Sf, Noi e il fascismo, “Il Solco”, 2 ottobre 1922.

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bilità di decifrare il fenomeno fascista e la sua capacità di aggregare consenso usando chiavi di lettura univoche, è necessario rile­vare l’inconsistenza, a Siena, di un supposto fascismo-movimento quale pressione dei ceti medi emergenti che “tendono a fare una ri­voluzione”31.

All’ombra della torre del Mangia il fasci­smo riscosse simpatie e proseliti soprattutto tra i reduci e gli universitari. I primi, tornati dal fronte, conoscevano le inevitabili diffi­coltà di reinserimento nella vita civile:Mano a mano che la smobilitazione ci ridava alle nostre famiglie, nelle città, nei sobborghi, nelle campagne, abbiamo dovuto notare come negli uffici, nei laboratori, ovunque i sopraggiunti combattenti venivano considerati come i terzi in­comodi. Eravamo in ritardo. L’omnibus dell’atti­vità, del lavoro [...] del benessere sociale portava il suo completo32.

La sezione senese delI’Anc fu, unitamente all’ateneo, uno dei due perni attorno ai qua­li si organizzarono le camicie nere senesi. Per i fascisti locali, dunque, ebbero impor­tanza, più delle classi emergenti, i ceti so­cialmente spostati o colpiti dalla crisi econo­mica postbellica33. Quanto agli universitari, quasi unicamente provenienti dalle famiglie benestanti, essi erano stati interventisti sin dagli anni del liceo, e vivevano con il proble­ma di giustificare agli altri e a se stessi la guerra34. Il loro peso non diminuì con il tra­scorrere del tempo, e “La Scure”, foglio del fascio cittadino, alla fine del 1921 ricordava che “il nostro movimento è stato nutrito e animato dalla classe studentesca che ha por­

tato a noi lo slancio della propria energia e del proprio intelletto” , mentre la classe bor­ghese cittadina, “cioè quella opaca e misera­bile, è stata indifferente al nostro movimen­to pur risentendone tangibilmente i benefi­ci”35. Non è casuale che si facesse esplicito riferimento alla borghesia “cittadina” . Una delle peculiarità del fascismo locale, infatti, fu proprio la sostanziale estraneità della maggioranza dei senesi alle sorti del nuovo attore sociale e politico. Degli otto segretari federali fascisti che si alternarono sino al 1930, solo due erano senesi, e ressero la fe­derazione per complessivi dieci mesi. Nem­meno i fondatori del fascio di Siena, Manlio Ciliberti, Nazareno Mezzetti, Adolfo Pieri, Giorgio Alberto Chiurco, erano nati nella città toscana. E il fenomeno non riguardava soltanto gli esponenti più in vista. Paolo Ce­sarmi, che visse di persona quegli anni, ri­cordava che per le spedizioni punitive da eseguire in città si doveva ricorrere “ai fasci­sti dell’Armata, che erano picchiatori temu­ti, o comunque della provincia”36. Dei 123 giovani che componevano la squadra uni­versitaria solo ventitré erano nati dentro le mura. Spesso si trattava di giovanissimi. Dei diciannove avanguardisti mobilitati alla Ca­sa del popolo in occasione della marcia su Roma, il più anziano aveva diciassette anni ed il più giovane era tredicenne37. Rino Daus, primo squadrista a cadere in uno scontro a fuoco con i socialisti, era venten­ne. Né mancavano i delinquenti di profes­sione, agganciati al carro fascista nella spe­ranza di godere dell’impunità e della prote­zione delle forze dell’ordine38. È evidente l’i-

31 Renzo De Felice, Intervista sui fascismo, a cura di M. Ledeen, Bari, Laterza, 1982, p. 32.32 Sf, L ’Intervenuto, “L’intervenuto” , 5 ottobre 1919.33 G. Carocci, Postilla, cit., p. 207.’4 Mario Bracci, Quelli che non marciarono, in ld., Testimonianze su! proprio tempo. Meditazioni, lettere e scritti politici (1943-1958), a cura di Enzo Balocchi e Giovanni Grottanelli de’ Santi, Firenze, La Nuova Italia, 1981, p. 475.35 Sf, Il nostro movimento per i contadini, “La Scure”, 11 settembre 1921.36 Paolo Cesarini, Italiani cacciate il tiranno, ovvero Maccari e dintorni, Milano, Editoriale Nuova, 1978, p. 142.37 Giorgio Alberto Chiurco, Storia della rivoluzione fascista (1919-1922), Firenze, Vallecchi, 1929, vol. I, p. 335.38 Archivio centrale di stato (da adesso Acs. I documenti dell’Acs sono stati consultati, in copia, presso l’Istituto storico della Resistenza in Toscana, a Firenze), Div. aa.gg. e rr., Siena, 1921, cat. G l, b. 86 A.

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nopportunità di ridurre il fascismo a inter­mezzo tragicomico messo in scena da sban­dati, studenti esaltati e rifiuti di ogni ceto sociale39. Le classi medie non furono mai terreno di conquista per le ‘idealità’ fasci­ste. Esse, semmai, rimasero sempre sotto il controllo della classe dirigente liberale. Ec­co l’importanza del controllo di istituti co­me il Monte dei Paschi; essa andava al di là dell’aspetto economico, pure non seconda­rio. La vera forza delle ‘conventicole’ bor­ghesi ed aristocratiche stava nella sostanzia­le acquiescenza — se non nel vero e proprio disinteresse — dei senesi nei confronti del loro operato. E questo stanco consenso, che politicamente si esprimeva nel favore accor­dato ai raggruppamenti politici tradizionali, meno dinamici ed aperti al nuovo (come di­mostrano i risultati elettorali, che premie­ranno i liberali perfino nel 1924), non lo si otteneva casualmente, ma proprio mano­vrando le banche e gli altri organismi socia­li, economici e culturali di cui Siena era ric­chissima.

Gli enti di beneficenza, gli istituti per le case popolari, i consorzi agrari, rimarranno per tutti gli anni venti nelle mani delle classi abbienti. Persino le contrade, spesso scam­biate superficialmente per semplici manife­stazioni del folklore locale, erano parte in­tegrante di un collaudato sistema di control­lo sociale informale, attraverso il quale si condizionavano i comportamenti individua­li, incoraggiando certi atteggiamenti ed im­pedendone altri. Come è stato notato, uno dei successi del regime fu proprio la costru­

zione di un capillare sistema di controllo so­ciale, quale strumento di prevenzione e re­pressione del dissenso40. Nella città toscana questo era preesistente all’avvento degli uo­mini del duce, ed essi non riuscirono mai a sottrarne il comando alle famiglie nobili. Le conseguenze di ciò si rivelavano nel pavido silenzio del ceto medio, nel

borghesuccio senese liberal monarchico, pitocco, avaro, eternamente in malafede [...] che vive ab­barbicato al passato e ai suoi dogmi, sapendo di aver potenza solo nell’ombra, sotto la vigile pro­tezione del prete o del gran trentatré41.

Fu proprio grazie all’amministrazione di questi organismi ramificati nel tessuto della città che i liberali senesi poterono superare l’ostacolo costituito dalla mancanza di un partito borghese modernamente organizza­to, mentre in altre località ciò impedì loro di misurarsi con i partiti di massa emergen­ti42.

A Reggio Emilia, per esemplificare, la nascita del partito popolare significò la dis­soluzione del blocco agrario43. A Siena ab­biamo invece visto come i cattolici si schie­rarono con i partiti moderati e conservatori, mentre l’importanza dei sindacati bianchi era del tutto irrilevante44.

Quanto all’ipotesi di un supposto fasci­smo-movimento (da distinguere dal fasci­smo-regime) come autonomo e spontaneo strumento dei ceti medi emergenti desiderosi di proporsi come protagonisti della vita poli­tica45, vale, nel caso in questione, quanto è già stato detto a proposito del limitatissimo

39 E.[nzo] R.[onconi], Storiografia, industria culturale e incontri generazionali: il fascismo rivisitato, “In/forraa- zione”, anno II, maggio 1983.40 E. R.[onconi], Storiografia, cit.41 Sf, Siena bacata, “Il Selvaggio”, 26 gennaio 1924.42 Nicola Tranfaglia, Dallo Stato liberale al regime fascista, Milano, Feltrinelli, 1981,p. 129.43 Rolando Cavandoli, Le origini del fascismo a Reggio Emilia (1919-1923), Roma, Editori Riuniti, 1972, pp. 37- 39.44 Sf, Parole di sincerità, “Il Popolo di Siena”, 3 aprile 1920.45 R. De Felice, Intervista sul fascismo, cit., p. 30.

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margine di iniziativa politica di cui tali classi disponevano46. Se scorriamo la lista elettora­le fascista per le amministrative del 1923, notiamo che quasi i tre quarti dei candidati appartenevano alla grande borghesia im­prenditoriale e commerciale della città e al­l’aristocrazia terriera47.

Non si può non tener conto, inoltre, di due fattori fondamentali qualora si analizzi il comportamento dei ceti medi. Innanzitut­to la loro stretta dipendenza da un quadro economico e finanziario le cui linee di svi­luppo erano orientate dai gruppi politica- mente dominanti. Questa subordinazione causava, per di più, difficoltà insuperabili per ciò che concerneva la loro capacità asso­ciativa e quindi il loro potere sindacale48. L’assetto economico e sociale della città era condizionato, già allora, dalla presenza di un terziario abbastanza sviluppato, il cui ri­ferimento naturale era rappresentato dal Monte dei Paschi. Nel 1920 a Siena si costi­tuì una sezione della Federazione nazionale bancari, alla quale aderirono gli impiegati di tutti gli istituti di credito. Ne rimasero esclu­si i dipendenti del Monte, per fermo propo­sito dei dirigenti della banca49. Tra le varie conseguenze della debolezza sindacale dei dipendenti del Monte ve ne sono due sulle quali vale la pena di soffermarsi. Nel 1922 tutti gli istituti bancari di Siena adottarono il cosiddetto “sabato inglese” , cioè festivo. Ancora una volta fece eccezione il Monte. Gli impiegati delle banche che avevano deci­so di chiudere gli sportelli per il fine settima­na si ritennero, giustamente, danneggiati, poiché nel giorno in questione la banca con­corrente monopolizzava le operazioni di cre­

dito. Per questo protestarono, riversandosi in massa negli ampi saloni di piazza Salim- beni, sede della banca50. Del problema si in­teressò anche il sindacato bancari fascista, il quale, richiamandosi ai deliberati della Con­federazione delle corporazioni sindacali, in­vitò la deputazione amministratrice a met­tersi in linea con le altre banche. Ma ancora una volta i desideri dei sindacati fascisti fu­rono ignorati dai dirigenti e la richiesta ven­ne respinta51. Nel 1926 la riforma del ruolo organico (di cui si interessò anche Edmondo Rossoni, segretario generale della Confede­razione delle corporazioni fasciste) causò delle frizioni fra la direzione dell’istituto e la federazione provinciale dei sindacati fasci­sti, irritata dalla lentezza con cui procedeva­no i lavori della commissione incaricata del­la riforma52. A ciò si deve aggiungere il sor­gere della vertenza per l’approvazione del regolamento disciplinare. Ratiglia, segreta­rio provinciale delle corporazioni sindacali, ammise, di fronte ai deputati amministratori del Monte, di essere stato sconfitto. Quando poi lasciò intravedere la possibilità che la ge­stione del conflitto sindacale — trascinatosi per più di un anno — fosse tolta ai sindacati locali per essere demandata a Roma, la dire­zione risposte causticamente di non chiedere di meglio, dato che così la questione sarebbe stata risolta senza le pressioni locali53.

Il fascismo fu un efficace antidoto ai ‘vi­rus’ socialista propagatosi nelle campagne. Del tutto improprio, invece, è interpretarlo come forza capace di proporsi autonoma­mente quale espressione e forma politica delle aspirazioni palingenetiche di quei ceti socialmente schiacciati tra aristocrazia, bor-

46 G. Quazza, Antifascismo, cit., p. 46.47 “La Fiamma” , 8 aprile 1923.48 G. Quazza, Antifascismo, cit., p. 46.49 Sf, Una sezione della federazione bancari, “L’Intervenuto” , 31 gennaio 1920.50 Amps, Verbali, à i., 1922, adunanza dell’8 giugno.51 Amps, Verbali, cit., 1924, adunanza del 29 febbraio.52 Amps, Verbali, cit., 1926, adunanza del 27 ottobre.53 Amps, Verbali, cit., 1926, adunanza del 24 novembre.

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ghesia e proletariato. Non si spiegherebbe, altrimenti, l’assoluta latitanza — come rico­noscevano gli stessi fascisti — di un qualsi­voglia indirizzo politico:

Forse sarà qualche cosa di realmente esistente, qualche cosa di particolarmente atto a determina­ti fini, ma Fumile gregario non è informato né sa nulla attorno a sé che promani dal partito, si do­manda se questo si chiami appunto costruire54.

Una volta vinte le leghe socialiste la ra­gnatela delle vecchie camarille senesi soffo­cò facilmente anche l’ardore delle camicie nere. Con espedienti diversi si riuscì ben pre­sto a rendere il fascismo cittadino incapace di restare forza estranea ai capillari sistemi di potere consolidati e di evitare l’abbraccio mortale delle consorterie nobiliari e borghe­si, avvinte dal comune desiderio di appiatti­re ogni forma di vitalità, di ricondurre qua­lunque ribellione alla normalità. A questo scopo si ricorse all’infiltrazione di personag­gi di antica e provata fede liberalmonarchica nel fascio di Siena e nella federazione pro­vinciale, per normalizzarne i quadri dirigen­ti; alla corruzione di quell’esiguo numero di fascisti che riuscirono a farsi largo nella cor­sa ai gangli vitali della comunità senese; al­l’emarginazione dalla vita politica dei mem­bri più combattivi dell’ala intransigente. Tra questi, due figure si distinsero su tutte: Giorgio Alberto Chiurco, gerarca e autore della Storia della rivoluzione fascista, rico­struzione tanto minuziosa quanto inattendi­bile dell’avvento di Mussolini55, e Mino Maccari, ideatore del “Selvaggio” e della corrente di “Strapaese” , una delle poche ini­ziative culturali interessanti di quel periodo.

Le spedizioni punitive delle camicie nere furono finanziate ed incoraggiate dai lati- fondisti56; ma quando l’obiettivo degli squa­

dristi si fece più ambizioso, contemplando anche la possibilità di partecipare all’ammi- nistrazione della città, quegli stessi proprie­tari terrieri volsero loro le spalle. Lo scontro durissimo determinatosi nel 1921 tra la Ca­mera del lavoro fascista guidata da Chiurco e Nazareno Mezzetti — ex socialista riformi­sta, quindi interventista e combattente, in quel periodo ispettore del Monte e fondatore del giornale della sezione dell’Anc, “L’Inter­venuto” — e gli agrari, dovuto al rifiuto di questi ultimi di collaborare fattivamente alla risoluzione del drammatico problema della disoccupazione agricola che intaccava la pro­vincia, fu uno dei due versanti dai quali si di­spiegò l’attacco concentrico contro la pretesa dei fascisti di partecipare alla gestione della cosa pubblica. L’opposizione nei loro con­fronti ci rimanda dunque al punto di parten­za, vale a dire ai delicati equilibri che sorreg­gevano l’amministrazione delle istituzioni cittadine. L’immissione in forza di individui formatisi politicamente al di fuori degli sche­mi consueti e prevalenti all’epoca, difficil­mente controllabili specie nelle frange più estremistiche, rischiava di ledere irreparabil­mente la fitta trama di interessi faticosamen­te costruita sino allora. A tale proposito da non sottovalutare è il rilievo che ebbe, nel primo fascismo senese, la corrente repubbli­cana che faceva capo proprio a Mezzetti, nei cui confronti si scagliò la stampa liberalmo­narchica cittadina. A ciò si aggiunga poi un aspetto solo apparentemente secondario, va­le a dire il disprezzo dei ceti altolocati nei confronti della ‘manovalanza’ fascista e dei suoi gerarchi, rozzi provinciali, privi di istru­zione e preparazione politica, generalmente ambiziosi e ossessionati dal rancore verso le classi agiate e colte57.

L’organizzazione che unificava la classe

54 Sf, L ’attività culturale del fascismo, “Il Selvaggio” , 23 marzo 1925.55 Luisa Passerini, Mussolini immaginario, Bari, Laterza, 1991, p. 120.56 G.A. Chiurco, Storia, cit., vol. IV, p. 89.57 Adrian Lyttelton, La conquista del potere. Il fascismo dal 1919 al 1929, Bari, Laterza, 1974, p. 275.

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borghese era la massoneria58. A Siena essa ebbe, durante tutto il periodo in esame, un considerevole potere d’interdizione. Un ruo­lo fondamentale nella composizione della li­sta radicale presentata a Siena per le prime elezioni del dopoguerra fu svolto dal venera­bile maestro della loggia Battisti, Ruggero Favre. Nella lista figuravano Guglielmo Du­ranti, maestro della loggia aretina, e poi Ar­turo Luzzatto e Achille Sciavo, entrambi le­gati alla massoneria59. La presenza della “Fratellanza universale” si fece ancora più ingombrante nell’agone elettorale di due an­ni dopo, caratterizzato dalla presenza dei “blocchi nazionali”. Nel complesso, come rileva Renzo De Felice60, la costituzione di questi raggruppamenti non incontrò diffi­coltà serie, se si escludono alcuni casi parti­colari. Anche nel collegio che univa Siena ad Arezzo e Grosseto il felice esito delle tratta­tive tra i “partiti dell’ordine” fu minacciato. L’ostacolo era rappresentato dalla volontà di Arturo Luzzatto e Alberto La Pegna di far parte del blocco, quali candidati del par­tito radicale. I liberali, i fascisti e i combat­tenti aretini furono i primi a prendere una posizione ostile nei loro confronto, a causa del “nittismo” di cui si erano macchiati i due deputati uscenti. Ciononostante la se­zione valdarnese del partito radicale insiste­va sul nome di Luzzatto61 e quella senese su La Pegna. Il 14 aprile si tenne un’importan­te riunione nella sede dell’Anc di Siena, tra le varie organizzazioni ed associazioni politi­che interessate alla composizione della li­sta62. Al centro della discussione, natural­mente, i due nomi anzidetti. I più decisi a negar loro accoglienza si dimostrarono nuo­

vamente i delegati aretini, che ben conosceva­no Luzzatto e le sue trame poco limpide. Se­rafini, per i fasci d’Arezzo, dichiarò che il proposito principale del rassemblement in via di formazione era quello di evitare il ritorno di 156 deputati socialisti in Parlamento; pur- tuttavia non si poteva scordare l’altrettanto impellente dovere di rigenerare la vita politica della nazione, eliminando gli esponenti più compromessi del nittismo e dell’affarismo. Gino Sarrocchi, con un coup de théâtre tipico dell’uomo, abbandonò l’adunanza adducen- do motivi di correttezza, asserendo di non poter interloquire sui nomi da candidare poi­ché parte in causa. In realtà il leader del libe­ralismo senese non intendeva farsi coinvolge­re in una decisione che si andava chiaramente delineando, cioè l’ostracismo verso i due ra­dicali. Essa poteva avere, infatti, delle conse­guenze di grande rilievo. Prima fra tutte la ri­nuncia alle risorse finanziarie di Luzzatto, che potevano risultare estremamente utili in una campagna elettorale lunga e dispendiosa come quella che si andava ad affrontare. Ma con la loro esclusione si profilava un rischio assai maggiore: la possibilità che si lacerasse irreparabilmente quella fitta rete di amicizie, connivenze, interessi che univa — anche nel nome della comune obbedienza al Grande ar­chitetto dell’universo — la borghesia e l’ari­stocrazia senesi.

Estremamente indicativo, a tale proposito, è il comportamento del Monte dei Paschi. Quando Sarrocchi tolse il veto all’inserimen­to di Luzzatto nel blocco — “con molta sor­presa di amici e pubblico”, come scrisse “Il Corriere della Sera” (La Pegna restò fuori dal giro per volontà di Giovanni Giolitti63) — la

58 Antonio Gramsci, Quaderni daI carcere, Torino, Einaudi, 1977, voi. Ili, quaderno 19, pp. 2075-2076; concetto ripreso da Paimiro Togliatti, Lezioni sul fascismo, Roma, Editori Riuniti, 1970, p. 171.59 Sf, La composizione della lista massonica, “La Vedetta Senese” , 18-19 ottobre 1919.60 R. De Felice, Mussolini il fascista. La conquista del potere (1921-1925), Torino, Einaudi, 1966, p. 81.61 IvoBiagianti, Sviluppo industriale e lotte sociali nel Valdarno Superiore (1860-1922), Firenze, Olschki, 1984, p. 388.62 Sf, L ’adunanza elettorale di ieri sera. I democratici si allontanano, “La Vedetta Senese” , 15 aprile 1921.63 Sf, Isocialisti e la partecipazione al voto. Le sorprese della lista. Un ’ecatombe di Deputati, “Il Corriere della Se­ra” , 24 aprile 1921.

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banca senese dette il proprio beneplacito al­l’operazione con le modalità più consone ad un istituto bancario, vale a dire accettando la domanda di dilazione presentata dalla so­cietà Ilva — alle cui sorti era legato il depu­tato radicale — per il pagamento dei suoi debiti64. D’altronde fu proprio un organo di stampa liberale, “Il Dovere” di Arezzo, ad accusare i partiti costituzionali e Sarrocchi di non aver saputo svincolarsi da trame po­co chiare65.

Il fascismo, fagocitato dalle vecchie con­sorterie, non seppe opporsi efficacemente all’influenza della massoneria nella vita po­litica senese. Dopo l’uccisione del deputato fascista Armando Casalini, avvenuta il 12 settembre 1924, in tutta Italia le logge furo­no invase e devastate66. A Siena il corteo fa­scista formato per protestare contro l’omici­dio del parlamentare passò davanti alla log­gia massonica lasciandola intatta67. Il moti­vo di tanto rispetto, come denunciavano i Selvaggi di Colle Val d’Elsa, la corrente più intransigente del fascismo, era semplice. A Sienail fascismo è rimorchiato da una decina di “pezzi grossi” che hanno nelle loro mani i più importan­ti uffici e le cariche più influenti, che si valgono di vecchie amicizie e parentele, che fanno i filofa­scisti per poi fregarci secondo le direttive di Pa­lazzo Giustiziani68.

La centralità del Monte dei Paschi

Tra le varie istituzioni un capitolo a parte merita il Monte dei Paschi, per il peso che ebbe nella vita sociale ed economica e per il

ruolo centrale da esso svolto nella cristalliz­zazione del sistema politico, governato, vo­lendo usare una felice immagine assurta re­centemente agli onori della cronaca, dagli uomini dell’ “eterno presente” . La storia della banca senese nel ventennio si riallaccia indissolubilmente alla figura del suo massi­mo dirigente, il provveditore Alfredo Bru­chi, un avvocato grossetano stabilitosi a Siena, dove il padre aveva uno studio lega­le69. Egli riuscì a dominare, dall’alto della sua carica, gli eventi dell’epoca, ammini­strando le risorse della banca con criteri spesso poco trasparenti, ma comunque indi­rizzando sempre le proprie energie alla dife­sa degli interessi dei suoi protettori. Le fa­miglie nobili, monarchiche, benestanti, pur di inserire un uomo fedele alla guida dell’i­stituto non avevano esitato a provocare, nel 1916, l’allontanamento dell’allora provvedi­tore Giuseppe Sonaglia, ex direttore della Cassa di risparmio di Parma70, a cui, nello stesso anno, seguirono le dimissioni della giunta comunale (che si trovò divisa sui cri­teri da adottare per procedere ad una nuova nomina) e poi l’annullamento del concorso attraverso il quale si era giunti ad una pri­ma selezione dei candidati. Bruchi venne fi­nalmente eletto nel 1917; in più di una cir­costanza l’avvocato grossetano ebbe modo di dimostrare la sua riconoscenza per chi lo aveva patrocinato.

Nell’immediato dopoguerra la situazione economica a Siena e nei comuni limitrofi era estremamente precaria. La popolazione di­sponeva di redditi molto bassi, insufficienti per fronteggiare il costante aumento dei prezzi di tutte le merci. Dalle relazioni stati-

64 Amps, Verbali, cit., 1921, adunanza del 28 giugno.65 Sf, Una lettera dell’On. Sarrocchi, “La Fiamma”, 31 dicembre 1921.66 R. De Felice, Mussolini il fascista, cit., p. 676.67 Sf, Perché?, “Il Selvaggio”, 9 ottobre 1924.68 A. [s/c] Nepi, A che gioco si gioca, “Il Selvaggio”, 9 ottobre 1924.69 G. Catoni, Bruchi, Alfredo, in Dizionario biografico degli italiani, vol. XIV, Roma, Istituto Enciclopedia Italia­na, 1972.70 Salvatore Donatini, ...Nel campo di Siena, 29 ottobre 1922, p. 72.

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stiche annuali per il 1918 e 1919 stilate dal segretario della Camera di commercio Cesa­re Tommi, si evince che tale aumento, ini­ziato già negli anni precedenti, toccò vette elevatissime, interessando i generi alimenta­ri di prima necessità, i tessuti, il vasellame, gli arnesi da lavoro, le scarpe, i cotoni, le lane. AlPinizio del 1918 parve, per un breve lasso di tempo, che la commissione annona­ria, alla quale spettava il compito di prov­vedere all’approvvigionamento e alla distri­buzione delle merci, oltre che di fissare un calmiere dei prezzi, stesse operando effica­cemente per tutelare gli interessi dei consu­matori. Si trattava di un’illusione. All’inizio di settembre si verificò una nuova improvvi­sa accelerazione dei prezzi71. Le conseguen­ze furono avvertite esclusivamente dalle classi più deboli. Dall’altra parte i grandi proprietari terrieri e la borghesia cittadina seppero invece districarsi abilmente in più di un’occasione, sfruttando al meglio l’a­narchia che regnava in campo economico durante la guerra. Più di un elemento ci in­duce a ritenere che da questa situazione di emergenza i due gruppi riuscissero a trarre benefici inaspettati, forse maggiori che in tempo di pace. Un esempio indicativo, al fi­ne di comprendere la capacità speculativa di certi settori della società senese, fu il rapi­dissimo e apparentemente ingiustificato rialzo del prezzo dei bovini72. È curioso, e allo stesso tempo illuminante, notare come il segretario della Camera di commercio, di fronte ai rappresentanti dei commercianti, degli enti e delle associazioni interessati, ol­

treché delle autorità, affermasse nella rela­zione del 1918 che “le ragioni intime di tale aumento ci sfuggivano. Questo provocò un guadagno, per quanto effimero, per i possi­denti terrieri, che videro aumentare il valore del proprio patrimonio”. In un appunto al­legato alla relazione, e presumibilmente scritto da Tommi stesso (ma non inseritovi e perciò rimasto sconosciuto) si rilevava inve­ce amaramente che gli aumenti del prezzo dei bovini da lavoro, uniti a quelli della frut­ta e delle ortaglie,erano dovuti al desiderio smodato di guadagni che ha invaso le classi agricole, mai infrenate da disposizioni governative. Il rialzo dei prezzi [...] è dovuto all’ingordigia dei produttori, che non sanno trovare altre scuse al loro operato se non quella che vogliono essere messi in grado, coi maggiori guadagni, di supplire agli aumenti degli arnesi da lavoro, del vestiario, eccetera73.

Quello che era evidente agli occhi di tutti, e cioè una sperequazione crescente nella di­stribuzione del reddito, con una concentra­zione della ricchezza nelle mani di una cer­chia ristretta di persone, non poteva certo essere negato. E così nella stessa relazione si affermava, con una prosa che denuncia l’in­consapevolezza della gravità di una simile affermazione: “Tutto ciò sta a dimostrare che se molti ebbero a soffrire, a altri non mancò di utilizzare il denaro guadagnato, sia pensando al presente sia pensando all’av­venire” . Nel frattempo crescevano la rabbia e il malcontento della popolazione senese contro il carovita, che culmineranno nella ri­volta del luglio 1919 con l’invasione di nego-

71 11 pane aumentò da cinque a undici centesimi al chilo, a seconda della qualità e della forma; il costo della carne di manzo ebbe un incremento, tra gennaio e novembre, di lire 1,50 al chilo; la farina tra settembre e novembre au­mentò di tre centesimi. Nello stesso periodo anche il burro passò da 7,20 a 9,50 lire al chilo. La stessa sorte subiro­no la carne di agnello, di suino, lo zucchero e il latte. In misura ancora maggiore si gonfiarono, ovviamente, i prez­zi delle merci non incluse nel calmiere ma sottoposte al libero gioco di mercato.72 Nel giro di soli tre mesi, da luglio a settembre, i bovini passarono da 2.900-3.000 lire per coppia a 14.000-15.000 lire, provocando una crescita enorme e artificiosa del valore del patrimonio dei proprietari e, conseguentemente, della loro capacità di ottenere credito dagli istituti bancari.73 Ass, Camera di commercio e industria, 1919, fase. n. 248, sez. Ili - serie I - cat. Il, Relazione statistica annuale 1918.

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zi di generi alimentari, di bar, caffè, pa­sticcerie, allo scopo di trafugarne la mer­canzia.

La storia dell’Ente autonomo dei consu­mi, organismo sorto allo scopo di placare gli animi esasperati, e che finì poi per dive­nire ingombrante e fastidioso per i commer­cianti senesi, è esemplificativa riguardo al viluppo di interessi che univano grande bor­ghesia e nobiltà, autorità cittadine e istituti bancari, con particolare riferimento al Monte dei Paschi. Costituito nell’ottobre del 1916, sull’esempio di consorzi simili esi­stenti in Emilia Romagna, l’ente autonomo aveva il compito di acquistare e produrre generi di prima necessità e di consumo quo­tidiano per distribuirli nel senese74. Ne face­vano parte l’amministrazione provinciale, il comune di Siena, gli altri comuni della pro­vincia e l’associazione consumatori. Il rego­lamento dell’ente stabiliva che per gli acqui­sti di merce si sarebbe avuto cura di elimi­nare la speculazione degli intermediari, av­vicinandosi alla fonte diretta della produ­zione75. Presidente del consorzio fu nomi­nato l’avvocato Salvatore Donatini, che ne conosceva il funzionamento, avendo avuto modo di studiare quello di Bologna. Sociali­sta, in passato corrispondente dell’ “Avan­ti!”, amico personale di Mussolini76, Dona­tini aveva accettato l’incarico dopo alcune resistenze, essendo ben conscio delle diffi­coltà che avrebbe incontrato. In breve tem­po l’ente ottenne il plauso e l’encomio dei cittadini, sollevando però la reazione degli esercenti, i quali furono appoggiati dall’in­fluentissimo segretario comunale Enrico Stiatti77. Questi si trovava alla guida della

Commissione annonaria dal settembre 1918, e rappresentava il trait d ’union tra i grandi commercianti e l’amministrazione comunale. Stiatti cercò in ogni modo di ostacolare l’ente, poiché impediva alla gran­de borghesia commerciale di prosperare sul­lo stato di necessità. E lo fece con il soste­gno interessato di Bruchi, il quale, sfruttan­do l’enorme forza finanziaria della banca che presiedeva, si adoperò fattivamente per­ché fallisse questa iniziativa, pericolosa per le consorterie senesi. Simulando di voler far finanziare la ‘creatura’ di Donatini dal Monte, Bruchi non solo si frappose alla concessione di finanziamenti da parte della sua banca, ma impedì persino che fossero eseguite operazioni di sconto a favore del consorzio presso altri istituti. A più riprese Bruchi negò di aver voluto scientemente danneggiare l’ente. Tuttavia non si può non rilevare la disparità di trattamento tra l’or­ganismo suddetto, al quale fu concessa una fideiussione sino alla concorrenza di165.000 lire, e il Consorzio provinciale sene­se di approvvigionamento, di cui era presi­dente Mario Bianchi Bandinelli (membro anche della deputazione amministratrice), che potè usufruire dell’apertura di un conto corrente per l’enorme somma di cinque mi­lioni di lire78, alla quale si doveva far fronte a metà tra la sezione cassa di risparmio del Monte e la filiale di Siena del Banco di Roma.

Le prime avvisaglie delle difficoltà a cui sarebbe andato incontro l’ente autonomo si ebbero già nel marzo 1918, ma Donatini ri­teneva che le voci sulla solidità dell’organi­smo fossero solo insinuazioni malevole arta-

74 Biblioteca comunale degli Intronati di Siena (da adesso Bei), Ente Autonomo dei Consumi. Statuto.75 Bei, Ente Autonomo dei Consumi. Regolamento.76 R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario (1883-1920), Torino, Einaudi, 1965, p. 34.ll Per comprendere il rilievo che ebbe questa figura a Siena, basti pensare che Mino Maccari e gli altri fascisti in­transigenti, rispondendo con vena polemicamente ironica a chi sosteneva l’inutilità di un ras a Siena, affermarono che di ras nella cittadina toscana ne esistevano già quattro: Bruchi, Fragnito, rettore dell’università, D’Ormea, di­rettore del manicomio e, appunto, Stiatti: cfr. Sf, 4 punti interrogativi, “Il Selvaggio”, 9 settembre 1924.78 Amps, Verbali, cit., 1918, adunanza del 29 marzo.

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tamente messe in circolazione79. In effetti so­lo due mesi prima i deputati amministratori del Monte avevano potuto ascoltare la rela­zione dei sindaci revisori con la quale si con­statava la perfetta corrispondenza tra le par­tite di attivo e di passivo, offrendo a Bruchi la prima opportunità di respingere le voci di una sua opera di sabotaggio, che già si andavano diffondendo80. Il fallimento dell’ente si stava tuttavia avvicinando con velocità sbalorditi­va. Nel novembre dello stesso anno i tre sin­daci revisori presentarono in blocco le dimis­sioni, ed un mese dopo il provveditore dava lettura dei risultati del controllo sulla gestio­ne del consorzio, eseguito dagli incaricati dei principali enti che avevano prestato garanzia. Da esso emergeva una perdita di centomila li­re, e il provveditore propose che gli spacci creati per vendere la merce dell’ente autono­mo fossero assunti per intero dal comune81. Nell’ottobre del 1919 si verifica il fallimento e l’anno successivo viene aperta un’inchiesta sull’ente82. La commissione incaricata di ac­certare le ragioni del crack, e le eventuali re­sponsabilità degli amministratori, fu abil­mente manipolata da Bruchi83, preoccupato di occultare le responsabilità di Stiatti e quel­le dell’avvocato Lino Bindi, la cui gestione era succeduta a quella di Donatini nella se­conda metà del 1918. L’obiettivo di Bruchi era proprio Donatini, un personaggio scomo­do per le camarille senesi in quanto a cono­scenza dei retroscena più nascosti e dei legami tra istituzioni pubbliche e grandi famiglie84.

Da questi eventi trasse vantaggio la Com­missione annonaria di Stiatti, istituita con

decreto luogotenenziale nel maggio 1917. La commissione sin dall’inizio — nel periodo, cioè, in cui era stata presieduta dal sindaco, Emanuello Pannocchieschi d’Elci — aveva mostrato tutta la sua incapacità nel tenere a bada i prezzi85. La pressione dei commer­cianti senesi sull’annona era dunque notevo­le, e l’impossibilità di limitarla è testimoniata dalla quantità innumerevole di manifesti, ri­portanti le successive modificazioni al cal­miere, che coprivano i muri delle vie citta­dine.

Intanto gli affari dei grandi commercianti prosperavano, e lo facevano con l’aiuto pun­tuale del Monte dei Paschi e della Commis­sione annonaria. Bruchi fece molto per so­stenere Stiatti e gli interessi che rappresenta­va, concedendo l’apertura di un conto cor­rente di un milione di lire per l’approvvigio­namento dell’olio86, ed un altro di centomila lire per la distribuzione di burro, salumi e pe­trolio87, tutti beni di cui poi non si vedevano tracce nelle rivendite; quindi accese un conto corrente di tre milioni e mezzo per l’acquisto di grano ed elargì un contributo di trentamila lire per aiutare il comune a sostenere l’onere della somministrazione di pane a prezzo di favore per le famiglie povere88. Successiva­mente si arrivò a chiedere che quest’ultimo contributo venisse destinato dalla banca non specificamente a tale destinazione, ma a quella più comprensiva di “servizi annonari in genere” , per agire con le mani più libere e senza l’obbligo di dovere rendere conto con precisione dell’utilizzo del denaro con­cesso89.

79 Lettera di Salvatore Donatini, “La Vedetta Senese” , 9-10 marzo 1918.80 Amps, Verbali, cit., 1918, adunanza del 23 marzo.81 Amps, Verbali, cit., 1918, adunanza del 23 dicembre.82 Amps, Verbali, cit., 1920, adunanza del 3 gennaio.83 S. Donatini, ...Nel campo di Siena, cit., p. 53.84 S. Donatini, ...Nel campo di Siena, cit., p. 66.85 “Il Libero Cittadino”, 1 giugno 1918.86 Amps, Verbali, cit., 1918, adunanza del 13 febbraio.8‘ Amps, Verbali, cit., 1918, adunanza del 9 aprile.88 Amps, Verbali, cit., 1918, adunanza del 10 luglio.89 Amps, Verbali, cit., 1919, adunanza del 2 aprile.

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Questo efficace intreccio tra affari ed isti­tuzioni, manovrato sapientemente dai ‘gran­di vecchi’ dell’aristocrazia e imperniato sul Monte dei Paschi, riuscì in breve tempo a svuotare il fascismo senese di quei pochi con­tenuti politici che aveva lasciato intravedere. Per questo a Siena il fascismo non può essere interpretato come malattia di un organismo sano, come dimostrò il ceto dirigente liberale locale. Questo organismo non solo non com­battè il virus, ma ritirò i suoi anticorpi, favo­rendo prima il diffondersi dello squadrismo e poi, annientate le organizzazioni sindacali “rosse”, svolgendo un ruolo essenziale nella frantumazione del fascismo cittadino in mil­le correnti, o sarebbe meglio dire rivoli. Dila­niato da queste lacerazioni il Partito nazio­nale fascista di Siena non riuscì mai a pro­porre una propria autonoma classe politica in grado di sostituirsi a quella già esistente.

Il provveditorato ‘politico’ di Alfredo Bruchi

La ricostruzione storica della nascita e del­l’avvento del fascismo a Siena non può pre­scindere dall’analisi dei suoi rapporti con il Monte. È anzi possibile affermare che molti degli argomenti su cui sovente si soffermano gli studiosi, come il patto di pacificazione, la marcia su Roma, il delitto Matteotti, la cui analisi risulta essenziale per avere un quadro complessivo di quegli anni, si rivela­no di importanza secondaria per la piccola città toscana. Ciò che contava erano piutto­sto le vere e proprie dispute per il controllo dell’istituto bancario. Questa contesa rispec­chiò fedelmente anche la situazione delle campagne, dove il sindacalismo fascista combattè per un certo periodo contro i pro­prietari terrieri. La lotta per il controllo del­la deputazione amministratrice del Monte non è comunque affatto paragonabile a

quella che parallelamente si svolgeva nelle altre città italiane per il predominio nei di­versi enti, istituti e associazioni locali,' se­condo un rituale ineluttabile nei periodi di ribaltamento delle maggioranze governative. Piazza Salimbeni a Siena rappresentava, e rappresenta tutt’oggi, il ‘luogo fisico’ del potere. In quelle stanze non si discutevano la politica astratta, le direttive generali alle quali informare l’attività amministrativa (come avveniva, per intendersi, in comune), ma si prendevano le decisioni concrete, quel­le che avrebbero interessato direttamente ed immediatamente ogni cittadino:A Siena, ciò che forse avviene in pochissime altre provincie, tutta la vita economica, sociale e poli­tica è forzatamente nelle mani o comunque con­trollata da chi ha in mano il trisecolare istituto di credito del Monte dei Paschi. Non c’è azienda, non c’è iniziativa, non c’è interesse di qualche ri­lievo, potremmo dire non c’è famiglia che in qualche modo o per qualche riferimento non di­penda dal Monte dei Paschi90.

Le parole di Mezzetti, a lungo dipendente della banca, sono la miglior conferma del­l’illimitata influenza di cui godevano i depu­tati amministratori. Ma fu soprattutto la ca­rica di provveditore, detenuta per quasi tut­to il ventennio da Bruchi, quella attorno alla quale si accesero i contrasti più aspri. La ge­stione di Bruchi, accentratrice ed individua­listica, ma sempre sensibile agli interessi e ai desideri dell’aristocrazia senese, fu indub­biamente discutibile da un punto di vista fi­nanziario e ‘tecnico’. Politicamente, tutta­via, si risolse in un successo indiscutibile, poiché egli riuscì a neutralizzare compieta- mente il tentativo fascista di rinnovare, sep­pur parzialmente, i quadri dirigenti della cit­tà (ed invero non era difficile, considerati gli strumenti di cui poteva disporre). La sua strategia fu accorta e non si limitò, per quanto lo riguardava, alla difesa della carica di provveditore e al mantenimento del Mon-

90 Amps, Fondo Mezzetti, Lettera di N. Mezzetti a Iti Bocci, 5 febbraio 1931.

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te all’interno della sfera di influenza della nobiltà terriera. Con abile regia riuscì a im­mettere uomini a lui fedeli, o che gli erano comunque legati, nella federazione provin­ciale del Pnf, nel fascio di Siena, nella sezio­ne dell’Anc, nella Prefettura e in tutte le al­tre sedi dalle quali era possibile influire sulla vita politica. Quando non fu possibile inse­rirvi figure nuove, Bruchi non ebbe remore nel ricorrere alla corruzione degli elementi più in vista, come avvenne per alcuni mem­bri della deputazione amministratrice. E i dissensi interni al fascismo tra i seguaci della ‘prima ora’ e i sopraggiunti — quelli che

volevano servirsi della nostra giovinezza pura e irrequieta, piegarci cogli applausi, sfruttare l’im­peto della nostra via eppoi mandarci a letto per continuare a pappare e a tessere le fila delle loro camorre e delle loro clientele

secondo il grido di dolore di Maccari91 — a Siena furono originati dall’azione disgrega­trice condotta da Alfredo Bruchi.

Il Monte dei Paschi rimase senz’altro estraneo alla nascita e allo sviluppo del pri­mo fascismo senese. Il fatto che gli agrari fi­nanziassero le squadracce anche grazie ai mutui e ai prestiti che ottenevano dalla ban­ca non modifica la sostanza del discorso. Personalmente Bruchi si rifiutò di aiutare il movimento fascista e, nel 1921, ebbe anche a dichiarare che, per lui, le camicie nere non erano altro che delinquenti92. Ben presto ini­ziarono ad arrivare alla deputazione e alla Cassa di risparmio — una delle quattro se­zioni del Monte, insieme a quella centrale, al credito fondiario e al Monte Pio — le richie­ste di sussidi da parte dei fascisti. E finché fu possibile l’istituto cercò di non esaudire tali richieste. Alla fine del settembre 1922 il consiglio della Cassa di risparmio rifiutò di

accogliere l’istanza di un fascio di combatti­mento della provincia poiché, confortato anche dal parere della direzione, e cioè di Bruchi, ritenne contraria alle disposizioni statutarie la concessione di elargizioni a isti­tuzioni aventi carattere politico. Subito do­po la marcia su Roma Bruchi si vide costret­to dagli eventi ad affrontare, di fronte al consiglio della Cassa di risparmio, la spino­sa questione. Le domande di sussidi si erano fatte, con il passare del tempo, sempre più insistenti. Nel contempo non si contavano più le richieste di elargizioni provenienti dal­le sezioni del Pnf, che le varie dipendenze del Monte inviavano alla sede centrale, co­me voleva il regolamento della banca. Da­vanti ai consiglieri, allo scopo di riceverne il consenso e per non portare solamente sulle proprie spalle il peso di una responsabilità che iniziava a farsi notevole, il provveditore ricordò di aver sempre rigettato, in passato, le richieste delle sezioni fasciste, in ossequio allo statuto, secondo il quale gli utili poteva­no essere erogati soltanto per scopi di bene­ficenza o di pubblica utilità. Purtuttavia di fronte alle domande sempre più pressanti egli chiese se si ritenesse opportuno modifi­care l’atteggiamento sino ad allora tenuto. La risposta dei consiglieri, unanime, lo inco­raggiò a perseverare lungo la via maestra dell’intransigenza, motivata dallo scrupolo­so rispetto di principi apparentemente inde­rogabili. Ma durante la gestione Bruchi la coerenza e la rettitudine, oltreché il senso di una doverosa imparzialità verso la sfera po­litica, erano virtù alle quali ci si richiamava strumentalmente, nel momento del bisogno, e non caratteristiche alle quali improntare la propria condotta. Due anni prima, nel pieno dello svolgimento della campagna elettorale per le elezioni amministrative, il Monte, con

91 Mino Maccari, Rispetto, “La Scure”, 20 gennaio 1924.92 Amps, Fondo Mezzetti, Memoriale anonimo sulla situazione del fascismo senese, inviato al vicesegretario del Pnf I. Bacci.

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una decisione di cui certo non si trovano tracce nei verbali del tempo, aveva finanzia­to la nascita de “La Fiamma”, organo di stampa dei giovani liberali senesi, e de “L’Intervenuto”93. E soltanto un anno pri­ma, in occasione delle elezioni del 1919, il prefetto di Siena, commentando la decisione di Bruchi di non lanciarsi in prima persona nella sfida elettorale, ricordò che comunque l’avvocato grossetano rappresentava “un elemento ed una forza assai importanti per le prossime elezioni”94. Parole quanto mai esplicite, ennesima testimonianza di quanto il Monte avrebbe potuto fare per irrobustire il fragile tessuto del fascismo senese, se non avessero prevalso la volontà e la necessità di puntellare la classe dirigente liberale.

D’altronde i membri del consiglio della Cassa di risparmio erano tutti personaggi noti a Siena, legati a Bruchi e decisi a chiari­re subito le proprie intenzioni nei confronti di Chiurco e compagni. Tra di essi spiccava­no Alessandro Sergardi Biringucci, presi­dente dell’Associazione liberale riformatri­ce, a lungo membro della deputazione; Enri­co Falaschi, altro personaggio molto cono­sciuto a Siena, già a capo della Federazione liberale monarchica, membro della Giunta provinciale dal 1890 al 1893, sindaco nel 1896 e a lungo consigliere comunale, presi­dente della deputazione dal 1922 al 1925; e quindi Guido Pisaneschi, eletto in comune nel 1920 con la lista formata sotto l’egida dei combattenti, che farà parte della deputa­zione dal 1921 al 1923. Presidente del consi­glio era Tito Corsini, in lista con il partito popolare nelle elezioni del 1921. Quanto a Guido Barbi, alla testa dell’Associazione mutilati, possiamo dire che si trattava di una

vera e proprio ‘creatura’ del provveditore.L’appello ai principi statutari, quindi,

aveva offerto a Bruchi una scappatoia for­malmente ineccepibile per aggirare i desideri dei gerarchi fascisti. Per lui, d’altronde, non era necessario il paravento della rispettosa applicazione delle norme per evitare di con­cedere il suo sostegno al Pnf. Con una deli­berazione del 21 agosto 1923, dopo che si era risolta da poco la crisi dell’amministra­zione comunale originata dalle mancate no­mine per la deputazione (crisi che aveva reso necessario l’invio a Siena del commissario prefettizio Bartolomeo Andreoli), l’istituto concesse a Bruchi la possibilità di elargire direttamente, senza nessun controllo, sussidi a enti o associazioni che ne avessero fatta ri­chiesta. Egli si avvalse di questa facoltà con discrezione, e tra il 1923 ed il 1924 concesse contributi per un ammontare complessivo di quasi ventiseimila lire. I sussidi non supera­vano mai le duecento lire, ma l’esiguità dei singoli contributi non diminuiva l’enorme potere di influenza di cui l’avvocato grosse­tano si trovò a disporre. Delle ventiseimila lire totali, soltanto seicento furono devolute a sezioni o comitati fascisti95. La cifra non crebbe nel 1925, mentre l’anno seguente duemilaottocento delle quasi ventisettemila lire erogate presero la direzione delle sezioni e delle avanguardie care al duce d’Italia.

I primi attacchi del governo fascista al­l’autonomia del Monte furono larvatamente portati sin dal 192396. L’anno successivo il ministero dell’Economia nazionale fece per­venire alla direzione una lettera con la quale si rilevava la scarsità delle riserve della sezio­ne Cassa di risparmio e si sosteneva che, qualora si fosse voluta applicare rigidamen-

93 Sf, Le sorprese deI blocco... al pomodoro e i denari del Monte dei Paschi, “Bandiera Rossa”, 13 ottobre 1920.94 Ass, Gabinetto di prefettura, 1919, fase. 165, b. 19, Relazione del Prefetto, in data 22 dicembre 1918.95 Amps, Elargizioni concesse dal Provveditore.96 II culmine di questi attacchi sarà poi rappresentato dallo statuto del 1936, la cui approvazione causò le dimissio­ni del podestà Fabio Bargagli Pétrucci, preoccupato dal fatto che parte della deputazione venisse nominata da Ro­ma, togliendo così il controllo dell’istituto alla comunità senese. Su questo episodio si veda G. Bargagli Pétrucci, Mio padre buttò sulla scrivania dei Prefetto le sue dimissioni, “11 Nuovo Campo di Siena”, 5 maggio 1989.

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te la legge, si sarebbe potuto sciogliere il consiglio e nominare un commissario. Desi­derio del ministro era di trasportare il Mon­te sotto il dominio della legge sulle Casse di risparmio, mentre la direzione dell’istituto e l’amministrazione comunale preferivano in­corporare la Cassa di risparmio stessa nella sezione centrale. L’interessamento del mini­stero allo stato di salute della banca senese era sorto in seguito ad una lettera di Donati- ni con la quale l’ex presidente dell’Ente au­tonomo dei consumi tratteggiava a fosche tinte la figura del provveditore. Questi fu costretto a recarsi a Roma, il 10 giugno, per smentire le accuse che gli venivano portate e per ribadire al ministro la necessità di non ledere l’autonomia del Monte. Le insinua­zioni di Donatini erano, disse Bruchi, “argo­mento ormai vecchio”97. Ma non riguarda­vano esclusivamente l’azione sabotatrice nei confronti dell’ente, bensì anche la gestione finanziaria del Monte. Il rilievo più grave concerneva il bilancio del 1920, il quale, sempre secondo Donatini, era grossolana­mente falso:

malgrado il grande riserbo in cui sono tenute le condizioni dell’istituto [...] invece di un bilancio di chiusura attiva, al 31 dicembre 1920, il Monte dei Paschi doveva dare una situazione passiva, per cui gli utili erogati, in oltre tre milioni, erano inesistenti98.

Con ogni probabilità la situazione finan­ziaria della banca era stata drammatizzata

da Donatini, ma qualcosa di vero doveva comunque esserci. Nel 1926 il bilancio dove­va ancora essere approvato, e Latino Carli, uno dei due revisori designati, dette le dimis­sioni dall’incarico e venne sostituito da Enri­co Casini. Tutto questo lascia supporre che il documento in questione non possedesse tutti i crismi della legalità. Del resto alla me­tà degli anni venti l’istituto si lanciò in molte operazioni che poi si rivelarono disastrose. A cadere in vere e proprie disavventure fu soprattutto la succursale di Roma, forte­mente voluta da Bruchi, nonostante il parere contrario di molti, perché era attraverso essa ed il suo ufficio sconti che si aiutavano i ge­rarchi fascisti e gli uomini politici più in vi­sta, ottenendone in cambio la protezione99.

All’inizio del 1923 lo Zuccherificio viter­bese di Max Bondi — uno speculatore av­venturiero unito a Luzzatto100 — si trovò sull’orlo del fallimento. La banca senese, at­traverso la succursale della capitale, aveva verso di esso ingenti crediti che non potè più esigere101. Nel tentativo estremo di salvare Bondi dal fallimento, Bruchi, dopo una di­scussione animatissima, ottenne che gli ve­nisse concesso un prestito di 1.200.000 lire. Agostino Bassi ebbe parole di fuoco contro le operazioni della sede romana, e per prote­sta abbandonò la seduta. Ma gli affari poco fortunati non si esaurirono con il finanzia­mento dell’impresa creata da Bondi102. Dalla capitale si erano concesse sovvenzioni alle società Simec, Satos e Said, anch’esse in

97 Amps, Verbali, cit., 1924, adunanza del 15 giugno.98 S. Donatini, ...Nel campo di Siena, cit., pp. 78-79.99 Amps, Fondo sull’epurazione in seno all’istituto, fase. Piero Valiani, b. B17/62. Sulle esattorie di Roma e Na­poli del Monte, e sulla necessità di epurarle, si pronunciarono anche “L’unità” e “l’Avanti!” sin dai primi giorni della liberazione di Roma.1(10 Sui legami tra Bondi e Luzzatto si veda Valerio Castronovo, Giovanni Agnelli, Torino, Utet, 1971, p. 183.101 Amps, Verbali, cit., 1923, adunanza del 27 luglio.102 Ciò che appare sconcertante, a prima vista, è la leggerezza con cui venne finanziato un personaggio così poco affidabile come Bondi. Per avere un’idea della sua superficialità, basti pensare che nella seduta del 28 agosto la de­putazione venne informata che Bondi aveva impiantato la sua azienda, uno zuccherificio, in una zona priva di ac­qua e di produzione bietolifera. Di fronte a tanta colpevole inettitudine non è malignità supporre che la succursale di Roma concedesse finanziamenti sulla base di interessi poco chiari, che comunque esulavano dalle considerazioni di opportunità finanziaria e di corretta gestione delle risorse.

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pessime acque, per un ammontare superiore ai quindici milioni. Soprattutto le ultime due erano in condizioni preoccupanti, tanto che i due consiglieri Bernini e Corsini ne chiese­ro la liquidazione, il che avrebbe causato co­munque ingenti perdite al Monte103. I due consiglieri non si limitarono a questo, e chiesero a Bruchi, senza avere risposta, per quale motivo la succursale di Roma poteva concedere conti correnti senza limite a diffe­renza della sede e delle altre dipendenze. Inoltre avanzarono il sospetto che l’ammini­strazione della Said fosse tenuta irregolar­mente. Il 25 settembre la deputazione, riuni­ta per analizzare la situazione, decise di pro­cedere alla costituzione di una commissione per la sistemazione degli affari della succur­sale di Roma. Durante la seduta Bassi e Bru­chi vennero a diverbio. Il provveditore cercò di minimizzare la portata degli avvenimenti romani, ricordando anche un suo colloquio con il direttore di una delle sedi principali della Banca d’Italia, dal quale aveva appre­so che tutti i principali istituti bancari della penisola avevano delle difficoltà. Quando Bassi replicò che le osservazioni dell’interlo­cutore del provveditore non avevano alcuna attinenza con l’andamento economico della succursale di Roma, Bruchi mostrò tutto il suo nervosismo e rispose “con eccitazione”, come si legge sorprendentemente nei verbali solitamente scevri di puntualizzazioni del ge­nere. Secondo Bruchi, quando nel luglio 1916 egli era entrato a far parte del consi­glio, le riserve erano di circa tredici milioni, mentre in quel momento ammontavano esattamente al triplo. La sua difesa era chia­ramente debole, e l’argomento scelto mirava in modo abbastanza goffo a confondere le acque. La relazione della commissione ven­ne affidata a Martini, e fu presentata ai de­putati nell’adunanza del 31 dicembre 1924. Appare indicativo, riguardo alla serietà con cui si intendeva dibattere l’indagine svolta,

che si fosse stabilito di mettere all’ordine del giorno — la cui compilazione spettava al provveditore — una relazione di tale impor­tanza nell’ultima seduta dell’anno, in pieno clima di smobilitazione e con due consiglieri alla fine del mandato. Prima della lettura del documento Bruchi volle precisare che il consiglio della succursale era di sua intera designazione, primo fra tutti il direttore, il conte Gustavo Caprini. Tra i consiglieri vi erano il senatore Cencelli, agrario ex presi­dente della deputazione provinciale della ca­pitale; il professor Calisse, consigliere di Stato; il principe Chigi, che “godeva di sim­patie e aderenze in tutti i campi”, vice presi­dente della cassa di risparmio di Roma; il principe Torlonia, presidente dell’Associa­zione agricoltori e commercianti, “persona ben vista in ogni campo”; l’onorevole Bren- ciaglia, “persona molto ragguardevole e ot­timo agricoltore” ; l’avvocato Santangelo, “che molto influì sulla legislazione e sulla concessione dei mutui per l’acquedotto e la fognatura”; l’avvocato Ciuffelli, figlio di un ministro, “giovane ma serio e stimato” e quindi il ragionier Agliata, proposto dal senatore Cencelli.

Il conte Caprini ammise di fronte a Marti­ni i gravissimi errori compiuti dal consiglio. Il principale fu quello di

finanziare società [...] che non offrivano la ga­ranzia di un capitale azionario considerevole e di una sufficiente pratica e organizzazione, le quali ricorrevano al credito non per procurarsi il capi­tale circolante, ma per procurarsi i mezzi per ini­ziare a svolgere la loro attività.

Le parole del primo consigliere erano molto gravi e confermano il sospetto che la sede romana fosse un potente strumento nel­le mani di Bruchi per finanziare allegramen­te le spericolate iniziative dei possidenti ter­rieri, della borghesia spéculatrice e della par­te più corrotta del mondo politico. Doveva

103 Amps, Verbali, cit., 1923, adunanza del 13 maggio.

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essere questo il pensiero recondito di Marti­ni quando calcò la mano sul fatto che i com­ponenti del consiglio direttivo della succur­sale erano allo stesso tempo consiglieri delle società finanziate dal Monte dei Paschi. E quando il provveditore cercò di minimizzare questo aspetto della vicenda, indubbiamente il più indecoroso, Martini replicò che a suo parere i consiglieri non avevano tutelato a sufficienza gli interessi del Monte.

Nel frattempo gli effetti di una gestione improntata al malcostume ed alla corruttela iniziavano a vedersi. Nel primo quadrimestre del 1924 la banca aveva guadagnato ottocen- tomila lire, una somma non solo inferiore a quella dell’anno precedente, ma intollerabil­mente esigua rispetto alla massa dei deposi­ti104. Ma nonostante ciò la posizione di Bru­chi in seno al Monte rimase ben salda grazie alla protezione politica di cui egli godeva.

Il Monte dei Paschi e la disgregazione del fa­scio di Siena

In quest’ottica, vale a dire nel tentativo di scalfire l’autorità indiscussa di Bruchi, si mosse il fascio di Siena. La battaglia intra­presa contro di lui assunse le sembianze di un vero e proprio scontro di potere di fronte al quale persino gli aspetti politici della questio­ne passarono in sott’ordine. Nella speranza di scalzare Bruchi dalla poltrona di piazza Salimbeni si unirono persone un tempo divi­se da inimicizia feroce, come Remigio Ruga- ni, segretario politico del fascio cittadino e Fabio Bargagli Pétrucci, podestà di Siena, e si mobilitarono tutti i fascisti della ‘prima ora’, tra i quali Chiurco, Aliquò Mazzei e lo stesso Mezzetti. Quest’ultimo, in particolare, pur ormai lontano da Siena, non rinunciava all’ambiziosa prospettiva di sostituire Bruchi nella prestigiosa carica. Addirittura, il consi­

glio comunale, per ferma volontà dei fascisti intransigenti, designò Avanzati Bernardi quale membro della deputazione per il bien­nio 1925-1926. Si trattava di un proprietario terriero decisamente ostile al fascismo, tanto che agli albori dello squadrismo si era rifiu­tato di aiutare le camicie nere. “Il Selvag­gio” , resa nota la nomina, sostenne con insi­stenza che la sua nomina era un favore reso ai socialisti. Ma per i fascisti di Siena, e so­prattutto per Rugani, Avanzati Bernardi aveva il merito di essere un feroce, irriducibi­le nemico di Bruchi e, considerata la posta in palio, vale a dire l’amministrazione di ‘illimi­tate’ risorse economiche, il suo passato poli­tico risultava trascurabile. Anche perché il Monte dei Paschi iniziava ad avere un’in­fluenza che si estendeva ben oltre la città d’o­rigine e le località nelle quali avevano sede le dipendenze, esercitando un ruolo di rilievo nella vita economica di tutto il centro Italia. Per chiarire questo punto è sufficiente pensa­re che nel 1925 il ministero dell’Economia — su pressione, tra gli altri, di Marchi, Sarroc­chi e Serpieri — superando la vivace e com­prensibile ostilità di molti altri istituti, asse­gnò al Monte l’esercizio del credito fondiario per tutta la Toscana105.

Le schermaglie tra Avanzati Bernardi e Bruchi iniziarono ben presto, e divennero sempre più frequenti nel 1926, quando al nuovo eletto si affiancò Rugani. I due depu­tati eseguirono una disamina critica attenta, dettagliata, puntuale della gestione Bruchi, evidenziandone soprattutto le gravi manche­volezze nella politica finanziaria e contestan­do aspramente l’insostenibile autoritarismo con cui il provveditore governava, atteggia­mento che gli veniva permesso dalla sostan­ziale acquiescenza della deputazione. Tutta­via i due si trovarono quasi sempre isolati durante le vivaci discussioni con Bruchi e i loro intenti polemici si rivelarono spesso ste-

1114 Amps, Verbali, cit., 1924, adunanza del 3 luglio.105 Amps, Verbali, cit., 1925, adunanza del 2 settembre.

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rili e improduttivi. Come era possibile che in una deputazione nella quale vi erano, nel 1926, fascisti come Enzo Viscioni e Serafino D’Antona, un combattente come Romolo Semplici, un rappresentante dell’Anmig (As­sociazione nazionale mutilati invalidi di guer­ra) come Barbi, fosse prona ai desideri di un solo uomo? E come è possibile che camicie nere e reduci non riuscissero ad allontanare dalla carica di provveditore un personaggio così scarsamente condizionabile come Bru­chi? La spiegazione risiede nella fitta trama di interessi nella quale Bruchi avvinse a sé molti degli elementi di spicco del fascismo e del combattentismo locali. Alla fine del 1929 Iti Bacci, vicesegretario del Pnf, ricevette un memoriale anonimo106, comunque attribuibi­le a Chiurco e agli altri fascisti intransigenti, ormai ai margini della vita politica. Si tratta­va di un vero e proprio dossier sull’operato di Bruchi. Le parole iniziali erano estremamen­te esplicite, tali da non lasciare dubbi riguar­do al silenzio cui furono costrette le frange più estreme del fascismo senese:Noi sottoscritti, vecchi squadristi della provincia di Siena, segnaliamo la penosa condizione quivi creata e l’operato di chi ha voluta e mantenuta ta­le condizione [...] La situazione senese, oggi come nel passato, è dominata dall’istituto bancario di cui Siena è dotata, il Monte dei Paschi. Quello che per Siena dovrebbe essere un privilegio e una ric­chezza, perché il Monte dei Paschi con le sue grandi possibilità potrebbe ricercare, aumentare e potenziare le infinite latenti ricchezze della nazio­ne, è invece una cappa di piombo che addormenta e opprime. Ciò non avverrebbe se i dirigenti, so­prattutto il Provveditore, che impersonifica l’Isti­tuto, anziché seguire l’impulso della propria sfre­nata ambizione, limitando i favori a poche con­venticole e camarille, fossero dei veri fascisti e de­gli esperti amministratori, preoccupati esclusi­

vamente di servire il regime e il Monte. Se ciò fosse la situazione senese, politica ed economica, potrebbe diventare uno dei più saldi puntelli del fascismo.

Tra i responsabili, oltre a Bruchi, vi erano alcune importanti ‘figure di secondo piano’, attraverso le quali il provveditore controlla­va a piacimento la vita politica locale. Tra questi i fratelli Ciliberti: “di modestissima famiglia in pochi anni sono riusciti a crearsi una floridissima posizione economica attra­verso il fascismo” . Ferruccio Ciliberti, fasci­sta solo dopo la marcia su Roma, era a ca­po, alla fine degli anni venti, dei combatten­ti senesi, benché fosse stato al fronte solo pochi giorni. Sotto l’alta protezione di Bru­chi ottenne la nomina di presidente della de­putazione amministratrice, dopo di che di­venne dirigente della Cassa di risparmio del­la Banca toscana e amministratore della Te­nuta del Cavallino, entrambe di proprietà del Monte. Assieme al fratello Manlio, av­vocato, primo segretario, in ordine di tem­po, del fascio di Siena, trattava operazioni di mutuo per i propri clienti, e grazie alla ca­rica in seno alla deputazione ne raccoman­dava il buon esito, ottenendo in cambio per­centuali elevatissime. Addirittura alcune ri­chieste di mutuo pervennero alla banca sene­se su carta intestata dello studio legale dei fratelli Ciliberti107. Su di essi, del resto, ave­va avuto espressioni molto dure “Il Selvag­gio” , per il quale i due non si potevano nem­meno definire fascisti108. L’avvocato Man­lio, secondo gli anonimi squadristi, non pre­se mai parte ad azioni violente e nel 1921 aveva dato le dimissioni dal partito. Ciono­nostante per otto anni era stato, ad interval­li, membro della Federazione provinciale fa­scista, vicesegretario della stessa e direttore

106 Amps, Fondo Mezzetti, Memoriale anonimo, cit., inviato da I. Bacci a Nazareno Mezzetti in data 7 gennaio 1930.107 Acs, Dir. Gen. di Ps., AA. GG. e RR., Situazione politico economica della Provincia di Siena, cat. G l, b. 21, Lettera di Antimo Pescatori ad Achille Starace, 16 novembre 1929.108 Sf, Icombattenti, “Il Selvaggio”, 13 febbraio 1925.

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de “La Scure” . All’epoca in cui venne redat­to il memoriale deteneva la carica di presi­dente della Provincia ed era il segretario del Patronato “con laute prebende mensili in ossequio al suo divisamente — più volte ma­nifestato — di farsi una posizione col fasci­smo” . Insieme ad Adolfo Baiocchi, federale dal 1923 al 1928 e deputato al Parlamento, fu responsabile della distrazione di alcune somme di denaro dalla cassa del giornale fa­scista. Se attraverso i Ciliberti Bruchi con­trollava i combattenti e la Federazione pro­vinciale fascista, nell’Associazione mutilati godeva della fedele amicizia di Barbi. Questi divenne membro della deputazione nel 1924, benché non avesse la tessera del Pnf, che prese solo due anni più tardi. La sua nomi­na, voluta da Bruchi, era in realtà illegitti­ma, dato che la sua qualità di impiegato del­le poste era incompatibile con la carica di deputato al Monte. Il fatto non sfuggì al mi­nistero delle Comunicazioni che procedette solertemente a richiamare ai propri doveri Barbi, costringendolo a rassegnare le dimis­sioni dal consiglio della banca, nonostante Bruchi avesse interposto i propri uffici al ministero per la revoca del provvedimento. Questa premura insospettì Avanzati Bernar­di, il quale rilevò come spettasse al comune e non alla banca far valere le proprie ragioni a Roma109. Tre mesi dopo la presentazione delle dimissioni Barbi non era ancora stato sostituito nella speranza di vedere annullata l’incompatibilità. Tale omissione provocò di nuovo l’ira di Rugani e di Avanzati Bernar­di, che denunciarono l’ostruzionismo degli altri deputati, tesi a rimandare il più possibi­le ogni decisione110. Ma le amicizie di Bruchi e l’influenza di cui godeva ebbero ragione ancora una volta, e nell’adunanza del 17 marzo 1926 egli potè annunciare l’annulla­

mento dell’incompatibilità sancita dal mini­stero, che gli consentiva di mantenere in seno alla deputazione un alleato prezioso. Nei confronti di Barbi e dell’aiuto che sistemati­camente gli provenne dal leader dei mutilati nelle tumultuose sedute del consiglio, Bruchi si dimostrò riconoscente. Nel 1929 la deputa­zione stabilì di organizzare un ufficio fidi e rischi che doveva essere affidato a un funzio­nario con il grado di segretario di prima clas­se. La stessa deliberazione stabiliva che il po­sto di segretario sarebbe dovuto essere confe­rito per chiamata, cosicché nel luglio dello stesso anno Barbi potè essere nominato se­gretario. Contro questa decisione insorsero il fiduciario della federazione nazionale sinda­cati fascisti bancari e la segreteria interpro­vinciale della federazione stessa, facendo ri­levare l’illegittimità di tale procedura, che andava contro lo statuto della banca111.

Tornando al memoriale degli squadristi, esso fu inviato successivamente a Mezzetti, ormai divenuto un elemento di spicco nel panorama del sindacalismo fascista, per in­formarsi sulla fondatezza delle insinuazioni che vi erano contenute. La risposta di Mez­zetti non lasciò dubbi di sorta112: ciò che era stato scritto

sulla situazione del fascismo senese e contro l’at­tività politica e personale e di direttore del grande istituto senese dell’On. A. Bruchi e dei suoi pochi e per giunta cattivi compari è per gran parte della suddetta esposizione anche a mia conoscenza, e quindi indubbiamente vera.

La lunga mano di Bruchi, secondo Mez­zetti, arrivava non solo nella federazione fa­scista, nella sezione dell’Anc e nell’Associa­zione mutilati, ma anche nella prefettura, oltreché, naturalmente, nella deputazione del Monte. In quest’ultima, oltre ai già men­

109 Amps, Verbali, cit., 1925, adunanza del 16 dicembre.110 Amps, Verbali, cit., 1926, adunanza del 10 marzo.11 Amps, Fondo sull’epurazione in seno all’istituto, fascicolo Guido Barbi.12 Amps, Fondo Mezzetti, Lettera a I. Bocci, 5 febbraio 1931.

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zionati Ciliberti e Barbi, sedevano D’Anto- na, che da “consigliere di Amministrazione del Monte passa a dirigere il giornale della Federazione fascista”; Carlo Mocenni “che da direttore amministrativo della Società elettrica Valdarno fa contemporaneamente il Deputato del Monte”; Alessandro Sergar- di Biringucci “che non volle mai, anche quando i liberali passarono al fascismo, quale presidente dei liberali stessi, iscriversi al nostro partito” . Il dominio di Bruchi era totale.

Un elemento che poteva far da remora ad una ta­le situazione avrebbe dovuto essere la Prefettura di Siena. [Ma] Qui da anni si verifica un fenome­no veramente straordinario. Al contrario di quanto avrebbe dovuto avvenire ed avviene nor­malmente gli alti impiegati di Prefettura sono se­nesi e da oltre vent’anni irremovibili impiegati della Prefettura di Siena. Avv. Francioni, Avv. Gigli [...] Avv. Franci [...]. Costoro [...] sono tutti legati all’On. Bruchi. Si sono succeduti a Siena molti Prefetti, ma il Prefetto di Siena, nel senso alto e nobile del fascismo, cioè il capo asso­luto della situazione, dubito che sia mai esistito, perché contornato da uomini che, in ogni caso, partigianamente, hanno prospettato le situazioni. Basti dire che l’On. Bruchi si permette di redar­guire Questori e di rimproverare ad un Prefetto le informazioni che questo aveva trasmesso al supe­riore Governo! [...] Non parliamo dei giornali, perfino della [agenzia] Stefani, il cui rappresen­tante senese ha precedenti penali che lo farebbero allontanare da qualsiasi gentiluomo, ed è invece il consigliere ed il reporter al servizio dell’On. Bru­chi, nonché corrispondente della “Nazione” da Firenze (sig. Rondini).

La gravità della situazione della città sene­se e della sua banca, “che deve ancora essere fascistizzata nell’anno IX dell’era fascista” , spinse Mezzetti a richiedere l’intervento del­le massime gerarchie del partito. Ma anche queste erano in qualche modo legate a Bru­chi e la domanda che si ponevano le camicie

nere di Siena, vale a dire come si potesse ri­tenere intangibile un uomo come Bruchi, ri­sultava abbastanza ingenua. A tale proposi­to si ricordava, per esempio, che egli era sta­to “bastonato in pieno giorno durante lo svolgimento di una solenne cerimonia dagli stessi fascisti” , fatto che avvenne il 21 aprile 1930 per volontà di Antimo Pescatori, ex se­gretario federale, e di Chiurco. Quando Ru- gani, Bencini, Chiurco, Aliquò Mazzei si re­carono a Roma per parlare con i dirigenti del partito a proposito delle camarille che ruotavano intorno al Monte, le loro dichia­razioni furono assunte alla presenza di gio­vani dattilografe, nonostante la delicatezza dell’argomento di cui si parlava.

La confidenza di Bruchi con il segretario nazionale del Pnf Augusto Turati era, in realtà, notevole. Già alla fine del 1926 era stata avviata un’inchiesta, da parte del Pnf, sull’avvocato grossetano, che era stata stroncata proprio per volontà del segretario, che Bruchi, sono parole di Mezzetti, “affer­mava pomposamente di avere in mano, pro­nunciando nei di lui riguardi frasi tutt’altro che benevole” . Quello che è certo è che alla fine del 1929 Bruchi scrisse una lettera a Tu­rati con la quale, dopo aver ironizzato sulla nuova veste di storico del fascismo di Chiur­co (che proprio in quell’anno aveva dato alle stampe la nota opera sulla ‘rivoluzione’ fa­scista - qui vedi nota 37) propose il nome di Aldo Sampoli quale nuovo segretario della federazione provinciale di Siena113. Per qua­le motivo Bruchi indicò il nome di questa fi­gura di secondo piano, di scarsissima cultu­ra e di inesistente preparazione politica? An­cora una volta la risposta va ricercata nelle stanze del Monte dei Paschi. Nel 1926 il Consiglio della cassa di risparmio deliberò la nomina di Sampoli a commesso d’ordine. Sottoposta alla ratifica della deputazione la deliberazione raccolse tre voti a favore e tre

113 Acs, Dir. Gen. di Ps, AA.GG. e RR., Situazione politico economica della provincia di Siena, cat. G l, b. 21, Lettera del 22 novembre 1929.

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contrari. Secondo la giurisprudenza intro­dotta dall’avvocato Enrico Falaschi, a lun­go presidente del consesso, i partiti giudicati a parità di voti non potevano essere consi­derati approvati, mancando la manifesta­zione di volontà dell’ente deliberante. La proposta di Bruchi di ripetere la votazione trovò la decisa contrarietà di Remigio Ru- gani e Avanzati Bernardi, i quali minaccia­rono di abbandonare la seduta e di provo­care così la mancanza del numero legale. Avanzati Bernardi si espresse con molta franchezza, ed ebbe a dire che quello che si cercava di fare rappresentava “una violazio­ne delle norme [...] e che si tenta di far pas­sare per la finestra anziché per la porta al­cuni elementi”114. Tuttavia l’atteggiamento sprezzante e per nulla rispettoso delle con­suetudini e dei regolamenti a cui si atteneva Bruchi, con l’ossequioso avallo della mag­gioranza dei deputati, fece sì che il delibera­to fosse ripresentato “essendosi venuto a creare un fatto nuovo” — vale a dire la ri­nuncia della deputazione a resistere riguar­do a qualunque decisione in ordine alle pro­mozioni ed alle nomine, a causa del ritardo dell’approvazione del nuovo ruolo organico— e stavolta la designazione di Sampoli fu approvata115.

Per assicurarsi che la gratitudine non ve­nisse meno con il passare degli anni — ne erano trascorsi tre dal conferimento dell’im­piego quando Bruchi scrisse a Turati per chiedere l’investitura di Sampoli a federale— il munifico provveditore concesse al pa­dre del suo nuovo protetto, che esercitava la professione di commerciante di carbone, un fido, che la maggioranza giudicò spro­

porzionato. Sampoli avrebbe dovuto sosti­tuire Antimo Pescatori, acerrimo rivale di Bruchi. Il provveditore non doveva essere estraneo alle diffamazioni anonime che giungevano a Roma riguardo alla persona di Pescatori — diffamazioni che Chiurco cercò vanamente di smentire116 — e che contribui­rono a costringere l’allora segretario federa­le alle dimissioni, presentate alla fine del 1929.

La lotta per la sostituzione del provvedi­tore determinò delle gravi conseguenze, ol­tre che nella vita politica cittadina conside­rata nel suo complesso, anche all’interno del fascismo senese, diviso in due correnti in­conciliabili. Da un lato Bruchi e i fratelli Ci- liberti, dall’altro uno schieramento a pro­pria volta suddiviso in tre tronconi. Il primo era quello dei ‘ruganiani’, nei quali si rico­nosceva Mezzetti, il quale, tra gli avversari di Bruchi, era il più fastidioso, perché dota­to di una certa cultura e preparazione politi­ca, tanto che Turati si prese personalmente il disturbo di invitarlo a non occuparsi più delle faccende senesi117. La seconda corrente si riconosceva in Chiurco, mentre la terza era formata dagli ex nazionalisti capitanati dal podestà Fabio Bargagli Pétrucci, anch’e­gli “mal considerato dalla maggioranza dei fascisti”118. Per cercare di fare un po’ di chiarezza il partito decise di sostituire Anti­mo Pescatori con il commissario marchese Ridolfi. Quest’ultimo era parente di Sergar- di Biringucci, membro della deputazione del Monte. Sergardi Biringucci ebbe la tessera fascista solo nel 1927, “grazie all’aiuto di Bruchi per non perdere la carica di ammini­stratore del Monte dei Paschi” , secondo

14 Amps, Verbali, cit., 1926, adunanza del 10 settembre.13 Amps, Verbali, cit., 1926, adunanza del 26 dicembre.

116 Acs, Dir. Gen. di Ps, AA.GG. RR., Pnf, Situazione politico economica della provincia di Siena, Cat. G l, b. 21, Lettera di Chiurco a Turati, 22 novembre 1929.117 Acs, Pnf, Situazione politico economica della provincia di Siena, cit., Lettera di Turati a Mezzetti, 2 luglio 1930.118 Acs, Pnf, Situazione politico economica della provincia di Siena, cit., Relazione de! Console della Mvsn, 22 maggio 1931.

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quanto scritto in una lettera anonima invia­ta al segretario politico nazionale del Pnf119. A lui i fascisti non perdonarono di aver fat­to “lega, dopo la marcia su Roma, con i conservatori senesi, i quali ritenevano il fa­scismo un movimento di violenti che avreb­bero dovuto soccombere sotto la reazione della nazione” e gli rimproveravano l’atteg­giamento “quartarellista” tenuto nell’estate del 1924. Ma molto più importante dei vin­coli di sangue con l’esponente liberale era il fatto che Ridolfi fosse legato da amicizia con Bruchi e per cifre cospicue di debito al Monte dei Paschi120.

Allontanato Pescatori, Bruchi, come de­nunciò Mezzetti, ebbe via libera:

a Siena vi sono poco più di una ventina di [...] uomini al comando, ma non vi è più attivo e fattivo il vero fascismo. Questo fenomeno si è ripetuto naturalmente in molti paesi della pro­vincia, ove mi è stato fatto presente che tutti i posti di comando vengono a mano a mano oc­cupati da fidi dell’On. Bruchi, quasi sempre im­piegati o parenti di impiegati alle dipendenze del Monte.

E durante la sua reggenza il marchese Ridolfi, che nel giugno del 1930 fu sosti­tuito da Aldo Sampoli — secondo i voleri del provveditore del Monte —, completò “l’opera di assoluto dominio del Bruchi sul fascismo senese” .

Daniele Pasquinucci

119 Acs, Dir. Gen. di Ps, AA.GG. e RR., Situazione politico economica della provincia di Siena, Cat. G l, b. 21.120 Amps, Fondo Mezzetti, Lettera di N. Mezzetti e I. Bocci, 5 febbraio 1931.

Daniele Pasquinucci (1965), laureato in scienze politiche nel 1989 all’università di Siena con la tesi So­cietà politica a Siena dal 1918 al 1920. La classe dirigente tra resistenza e omologazione al fascismo. Collaboratore del notiziario “In/formazione”, cultore della materia presso la cattedra di storia con­temporanea dell’Università di Siena, facoltà di giurisprudenza (corso di laurea in scienze politiche).