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Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale 110 CAPITOLO 4 DEFINIZIONE DEL PROGRAMMA SPERIMENTALE 4.1 Il processo produttivo ipotizzato I processi per la produzione di bioetanolo, biodiesel e metano ricavato dal biogas sono da tempo noti, mentre, solo nel corso degli ultimi anni, sono state sperimentate vie di produzione fermentativa di idrogeno da biomasse (Turn et al., 1998, Hallenbeck & Benemann, 2002; Levin et al., 2002). Tra queste, quella che sfrutta le capacità di batteri fermentativi acidogenici di trasformare idrati di carbonio in idrogeno ed acidi grassi volatili appare particolarmente promettente (Levin et al., 2002). L’interesse deriva anche dalla possibilità di impiego come materia prima di rifiuti e scarti lignocellulosici “umidi” come ad esempio la frazione organica dei rifiuti solidi urbani. Tali rifiuti sono largamente disponibili in tutti i paesi industrializzati a costi negativi stimabili, in prima approssimazione, pari a quelli necessari per un loro corretto smaltimento. La cellulosa e l’emicellulosa, che costituiscono le principali componenti dei rifiuti in questione, non sono però facilmente utilizzabili dai batteri acidogenici; si rendono quindi necessari pretrattamenti termo-chimici di idrolisi (Kim et al., 2005). Nei naturali processi di degradazione anaerobica della sostanza organica la fase acidogenica/idrogenogenica precede quella metanogenica in una successione perfettamente integrata di trasformazioni biocatalizzate che possono essere sfruttate per convertire rifiuti lignocellulosici in metano o in idrogeno e metano (Gavala et al., 2005) (Figura 4.1).

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CAPITOLO 4 DEFINIZIONE DEL PROGRAMMA

SPERIMENTALE

4.1 Il processo produttivo ipotizzato I processi per la produzione di bioetanolo, biodiesel e metano ricavato dal biogas sono da

tempo noti, mentre, solo nel corso degli ultimi anni, sono state sperimentate vie di produzione

fermentativa di idrogeno da biomasse (Turn et al., 1998, Hallenbeck & Benemann, 2002;

Levin et al., 2002). Tra queste, quella che sfrutta le capacità di batteri fermentativi

acidogenici di trasformare idrati di carbonio in idrogeno ed acidi grassi volatili appare

particolarmente promettente (Levin et al., 2002).

L’interesse deriva anche dalla possibilità di impiego come materia prima di rifiuti e scarti

lignocellulosici “umidi” come ad esempio la frazione organica dei rifiuti solidi urbani. Tali

rifiuti sono largamente disponibili in tutti i paesi industrializzati a costi negativi stimabili, in

prima approssimazione, pari a quelli necessari per un loro corretto smaltimento.

La cellulosa e l’emicellulosa, che costituiscono le principali componenti dei rifiuti in

questione, non sono però facilmente utilizzabili dai batteri acidogenici; si rendono quindi

necessari pretrattamenti termo-chimici di idrolisi (Kim et al., 2005). Nei naturali processi di

degradazione anaerobica della sostanza organica la fase acidogenica/idrogenogenica precede

quella metanogenica in una successione perfettamente integrata di trasformazioni

biocatalizzate che possono essere sfruttate per convertire rifiuti lignocellulosici in metano o in

idrogeno e metano (Gavala et al., 2005) (Figura 4.1).

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Figura 4.1 Schema concettuale per la produzione biologica di idrogeno e metano da biomassa.

Nel primo stadio del processo, tramite la fermentazione della biomassa si forma l’idrogeno

principalmente mediante degradazione della componente glucidica del substrato organico, e

altri prodotti intermedi (residui fermentescibili non zuccherini) che passano al secondo stadio

metanogenico e rappresentano il substrato utilizzabile dai metanobatteri. L’idrogeno, separato

dalla CO2, può essere usato direttamente nelle fuel cell o in motori a combustione interna, solo

o combinato con il metano prodotto nel secondo step; inoltre quest’ultimo può essere

teoricamente sottoposto a steam reforming e utilizzato anch’esso in fuel cells.

Sulla base delle considerazioni esposte uno schema concettuale di un processo per la

produzione di biocarburanti gassosi (rappresentato in Figura 4.1) può essere il seguente:

1) Pretrattamenti meccanici: un modo di migliorare i rendimenti di conversione è quello di

ridurre la dimensione delle particelle solide attraverso trattamenti meccanici che aumentano la

superficie specifica delle particelle (Hills e Nakano, 1984). I pretrattamenti meccanici

vengono effettuati su un substrato da cui sono stati eliminati inerti e plastiche (cioè le frazioni

non biodegradabili).

IDROLISI

rifiuti lignocellulosici umidi

calore catalisi acida/basica

neutralizzazione lavaggio

fermentazione anaerobica/idrogenionica purificazione

fermentazione anaerobica/metanogenica purificazione

residui solidi allo

smaltimento

H2O

trattamento aerobico

corpi idrici superficiali metano idrogeno

CO2

CO2

prettamenti meccanici

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2) Idrolisi: i materiali di partenza contenuti nei residui organici sono polimeri complessi come

la cellulosa, l’amido, i grassi e le proteine non assimilabili direttamente dai batteri. Quindi

questo processo serve a degradare i polimeri dell’amido, della cellulosa, dei grassi, delle

proteine, in acidi organici, alcoli, acqua e anidride carbonica. Sono state effettuate idrolisi

acide e basiche a diverse temperature e diverse concentrazioni di solidi totali.

3) Preparazione del substrato: consiste nell’assicurare la presenza di nutrienti essenziali a

diverse concentrazioni e rapporti. Questi rappresentano unità strutturali e sorgenti di energia

utilizzate dai microrganismi per costruire e mantenere la loro struttura ed organizzazione. La

maggior parte delle matrici organiche contiene in gran quantità i principali nutrienti (C,N,P e

K) richiesti dai microrganismi coinvolti nel processo. Ove i giusti rapporti tra i nutrienti non

sono rispettati nella materia prima utilizzata dal processo, questi devono essere aggiunti

mediante l’uso di chemical che li contengono.

4) Fermentazione idrogenogenica: durante la fase acidogenica si ha la trasformazione dei

monomeri in H2O, CO2, NH3, etanolo ed acidi grassi volatili. Durante la fase acetogenica

invece si ha la trasformazione degli alcoli, degli acidi grassi volatili in acetati (acido acetico e

acido formico), H2, CO2.

5) Fermentazione metanogenica: i batteri metanigeni trasformano acetati, H2, CO2, CH4

mediante le seguenti reazioni:

a. Riduzione della CO2: O2HCHO4HCO 2422 +→+ (4.1) ca. 30%

b. Decarbossilazione dell’acido acetico: 32423 COHCHOHCOOHCH +→+ (4.2)

c.a. 70% -

6) Trattamento aerobico degli effluenti: si può ipotizzare un trattamento tradizionale a fanghi

attivi con il compito di portare a norma (vedi punto 10) gli effluenti generati dal processo che

potrebbero in parte essere riciclati all’inizio per la preparazione del substrato ed in parte

smaltiti in un corpo idrico recettore. I fanghi di supero potrebbero essere inviati alla

fermentazione metanogenica.

7) Disidratazione dei fanghi: i fanghi dalla digestione anaerobica devono essere sottoposti a

trattamenti che normalmente ne aumentano il contenuto di sostanza secca fino ad un tenore ≥

25% per essere inviati allo smaltimento in discarica.

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Figura 4.2 Schema qualitativo dei diversi cammini metabolici del processo di digestione anaerobica.

8) Residuo solido alla smaltimento: in accordo con i vincoli posti dal D. M. 2003 n° 36.

9) Trattamento terziario: costituisce un’ulteriore sezione dell’impianto, presente quando è

necessario ridurre le concentrazioni di composti azotati e fosforati.

10) Residuo liquido allo smaltimento: in accordo con i vincoli posti dal D.Lgs. 2000 n°258.

52%

24% 28%

72% 20 %

4%

76% SOSTANZA ORGANICA

COMPLESSA

ACIDI ORGANICI

H2

CH4

ACIDO ACETICO

ACETOGENESI IDROLISI

FERMENTAZIONE

METANOGENESI

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Figura 4.3 Fasi della digestione anaerobica1.

1Per digestione anaerobica si intende il processo biologico di trasformazione di un substrato organico in assenza di ossigeno, attraverso idrolisi, acidogenesi e metanogenesi (conversione del carbonio in metano ed anidride carbonica) della frazione biodegradabile del substrato. Nel caso in esame le fasi di idrolisi e di acidogenesi del substrato sono in larga misura già avvenute nello stadio di fermentazione idrogenogenica.

FASI DELLA DIGESTIONE

ANAEROBICA

H2, CO2 ACETATO

ACIDI ORGANICI,

ALCOLI

MONOMERI SOLUBILI

CEPPI BATTERICI

MACRO MOLECOLE ORGANICHE

CH4 CH4, CO2 METANOGENESI

ACETOGENESI

IDROLISI

Clostridium Ruminococcus Butyrivibrio Bacillus

Clostridium Ruminococcus Selonomomas ACIDOGENESI

Eubacterium Clostridium Acerogenium

Metanobacter

Batteri fermentativi 76%

20% 4 %

Batteri acetogeni

Batteri acetoclasti 72% Batteri idrogenofili 28%

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Figura 4.4 Degradazione di substrati organici complessi particolati o solubili.

4.2 Il substrato modello di riferimento e quello reale

Ciascuna delle materie prime rinnovabili potenzialmente utilizzabili per la bioproduzione di

idrogeno ipotizzata renderebbe disponibile un substrato per la “dark fermentation” diverso per

struttura e composizione.

Così ad esempio si avrebbe come fonte di carbonio:

Saccarosio: da melasso di barbabietola o di canna (sottoprodotti dell’agroindustria); da sorgo

zuccherino (pianta energetica per eccellenza);

Fruttosio: dall’idrolisi dell’inulina prodotta dal topinambur (altra pianta proposta per scopi

energetici);

Oligosaccaridi del glucosio: dall’idrolisi di materiali amidacei di scarto;

Lattosio: da siero di latte (sottoprodotto dell’industria casearia);

Glicerina: da liscivi (sottoprodotti dell’industria del sapone e/o della produzione del

biodiesel);

Oligosaccaridi di glucosio e xilosio: dall’idrolisi di scarti lignocellulosici e/o della FORSU.

PROTEINE GRASSI CARBOIDRATI

AMMINOACIDI ACIDI GRASSI MONOSACCARIDI

NH3 ALCOLI, CHETONI

ACIDI GRASSI VOLATILI

H2, CO2

ACIDO ACETICO

CH4

ACIDO FORMICO

CH4 CO2

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È noto dai dati di letteratura che i batteri produttori di idrogeno oggetto del presente lavoro

utilizzano come substrato di elezione il glucosio, il saccarosio o il fruttosio.

Si è quindi programmato di utilizzare come fonte di carbonio e di energia tre tipi di substrati:

• una miscela 1:1 di amido pre-idrolizzato e xilosio in modo da simulare una miscela di

glucidi simile a quella che si otterrebbe idrolizzando materiali lignocellulosici (substrato

di riferimento);

• FORSU selezionata meccanicamente (substrato reale 1);

• FORSU proveniente da RD (Raccolta Differenziata) (substrato reale 2).

4.2.1 Il substrato modello di riferimento L'amido e la cellulosa (Figura 4.5) sono due polimeri molto simili. Infatti entrambi sono

sintetizzati dallo stesso monomero, il glucosio (Figura 4.6), ed hanno le stesse unità ripetitive

di base. Figura 4.5 Struttura dell’amido.

C'è solo una differenza: nell'amido, tutte le molecole di glucosio sono orientate nella stessa

direzione. Nella cellulosa, invece, ogni unità di glucosio successiva è ruotata di 180 gradi

attorno all'asse della catena principale del polimero rispetto all'unità monomerica che lo

precede.

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Figura 4.6 Struttura del glucosio.

La formula di struttura dello xilosio (pentoso) è rappresentata, invece, nella Figura 4.7. Figura 4.7 Struttura dello xilosio.

La cellulosa è costituita da catene lineari di β-D glucosio uniti con 14 legami, e l’unità

ripetuta è il cellobiosio (Figura 4.8).

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Figura 4.8 Struttura del cellobiosio.

La composizione del medium utilizzato è riportata nella Tabella 4.1. Tabella 4.1 Composizione terreno nutritizio per brodocolture.

g/l

Amido solubile 5,0

Xilosio 5,0

Nitrato d’ammonio 0,34 C/N ~ 40

Sodio tioglicollato 0,5

KH2PO2 0,25

Soluzioni secondo Owen2 ml/l

A 0,5

B 2,0

C 0,2

D 1,2

pH 7,0 prima della sterilizzazione

(121°C per 30 min.)

2 Owen. et al., 1979

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Il rapporto C/N è stato impostato su un valore di 40, intermedio tra quello teorico ottimale per

la crescita (20) e quello sperimentalmente osservato da alcuni autori in corrispondenza di una

massimizzazione delle rese in H2 (47) (Lin C.Y., & Lay C.H., 2004). Il medium di

alimentazione del reattore è stato sterilizzato alla temperatura di 121°C per 30 min., mentre il

serbatoio che lo conteneva è stato stabilmente sottoposto ad un’atmosfera di gas inerte (azoto)

esercitata tramite una camera d’aria a pressione relativa di 3 bar iniziali per mantenerlo

incontaminato.

Le composizioni dei costituenti della Soluzione di Owen utilizzate sono riportate in

Appendice II.

4.2.2 Il substrato reale (1) Nel presente studio è stata utilizzata la F.O.R.S.U. (Frazione Organica dei Rifiuti Solidi

Urbani) proveniente dall’impianto di selezione di rifiuti solidi urbani di Albano, dopo una

prima vagliatura e prima ancora di una completa digestione aerobica.

Tale impianto di preselezione, recupero e riduzione volumetrica degli RSU e trattamento

aerobico della componente organica, è stato progettato in attuazione del D.L. numero 22 del

5/2/97 (Decreto Ronchi) che, nell’articolo 5 al punto 6, specifica come sia necessario avviare

in discarica solamente i residui di lavorazione che derivano dalle operazioni di riciclaggio e

recupero degli RSU.

Il prelievo della FORSU è avvenuto periodicamente con scadenza mensile, per mantenere le

caratteristiche della materia inalterate durante il trasporto è stato previsto l’utilizzo di appositi

contenitori termici, in modo da bloccare ogni possibilità di digestione della sostanza organica

in corso.

Per lo stesso motivo la conservazione della FORSU, per tutto il periodo di analisi in

laboratorio, è avvenuta in camere frigorifero alla temperatura di 4°C.

Le caratteristiche chimico-fisiche di tale materiale sono riportate nella Tabella 4.2 e in Figura

4.9. Tabella 4.2 Sintesi dell'analisi di caratterizzazione della FORSU nel mese di luglio 2006.

Umidità totale (%)

Solidi totali (%)

Solidi volatili (%ST)

Ceneri (%)

Proteine (%ST)

Lipidi (%ST)

Fibra grezza (%ST)

46 54 52 25.7 15.2 4.2 26.2

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Figura 4.9 Analisi della caratterizzazione della FORSU nel mese di luglio 2005.

SV28%

Umidità46%

Ceneri26%

Le caratteristiche appena mostrate sono relative alla FORSU prelevata dall’impianto di

selezione di Albano nel mese di Luglio. Utilizzando tale frazione sono state effettuate la

maggior parte delle prove sperimentali, sia nei microreattori batch che nel reattore CSTR.

La Figura 4.10 e la Figura 4.11 rappresentano l’andamento della % di ST e SV nella FORSU

durante l’anno, da aprile 2005 a dicembre 2005.

Figura 4.10 Andamento della percentuale di SV calcolata sugli ST contenuti nella FORSU nei vari mesi della

sperimentazione.

5350 52

48

58

0

10

20

30

40

50

60

%

Aprile Giugno Luglio Ottobre Dicembre

Dall’analisi di tali grafici si mette in evidenza la variazione stagionale delle caratteristiche del

substrato. Notiamo un contenuto maggiore di umidità nell’approssimarsi dei mesi invernali e

una sensibile variazione del contenuto di materia organica. Ma data l’estrema eterogeneità

della FORSU si ritiene opportuno specificare che si tratta solo di risultati “locali”, relativi cioè

ad una piccola parte del campione esaminato.

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Figura 4.11 Andamento della % di ST contenuti nella FORSU durante i vari prelievi all’impianto di selezione.

62

53 54 52 49

0

10

20

30

40

50

60

70

%

Aprile Giugno Luglio Ottobre Dicembre

4.2.3 Il substrato reale (2) In una seconda fase di sperimentazione su substrato reale è stato deciso di utilizzare la

FORSU proveniente dall’impianto di compostaggio di Maccarese. Nell'impianto vengono

conferiti i rifiuti della raccolta dei mercati gestita da AMA, oltre a residui organici raccolti in

modo differenziato e a rifiuti lignocellulosici, che vengono trasformati in compost.

Nella sperimentazione presente sono stati impiegati solamente i rifiuti mercatali giunti

all’impianto e sottoposti ad una prima triturazione con mulino a coltelli.

Nella Figura 4.12 sono riportate le caratteristiche medie di tali rifiuti (riferite al mese di

maggio 2006) in termini di umidità, ceneri e solidi volatili.

Figura 4.12 Caratterizzazione della FORSU nel mese di maggio 2006.

Umidità83%

Ceneri2%

SV15%

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4.3 I pretrattamenti meccanici ed idrolitici

I pretrattamenti sono una serie di processi a cui viene sottoposta la FORSU per migliorare le

sue caratteristiche in funzione della capacità di fungere da substrato per la produzione di

idrogeno. Uno dei primi obiettivi di questi trattamenti è stato incrementare la concentrazione

di sostanza organica, poiché essa rappresenta il substrato per i microrganismi idrogeno

produttori, e in particolare sono gli zuccheri a svolgere un ruolo fondamentale in questo

processo.

Questi trattamenti mirano a solubilizzare tali sostanze e renderle di immediato utilizzo per i

microrganismi.

Sono state effettuate numerose prove sperimentali in scala di laboratorio al fine di individuare

le condizioni ottimali di pretrattamento; precedentemente, è stato necessario omogeneizzare al

meglio il materiale utilizzato tramite un mulino a sfere o un mulino a coltelli per rendere

significativi i risultati di tali prove.

4.3.1 Pretrattamenti meccanici L’efficienza del processo di digestione anaerobica di rifiuti solidi dipende dalle dimensioni

delle particelle che costituiscono il substrato. Hills e Nakano (1984), lavorando su rifiuti di

pomodoro ridotti a particelle di dimensioni da 1,3 a 20 mm, hanno dimostrato che il tasso di

produzione di biogas ed il consumo di solidi sono inversamente proporzionali al diametro

medio delle particelle del substrato. Risultati simili sono stati ottenuti da Sharma et al. (1988)

con residui forestali ed agroindustriali. Quindi, la riduzione dimensionale delle particelle, e

l’aumento conseguente della superficie specifica disponibile, rappresenta un metodo per

incrementare i rendimenti di degradazione e accelerare il processo di digestione.

Una vasta gamma di processi di riduzione dimensionale, dalla comminuzione alla

disintegrazione della cellula, sono stati sperimentati come pretrattamenti per aumentare la

biodegradazione dei materiali solidi.

L’effetto della comminuzione di materiali organici, utilizzando diversi macchinari, sulla

biodegradabilità anaerobica è stato esaminato da Palmowsky e Müller (1999).

I risultati dimostrano che sia la produzione di biogas che la riduzione del tempo tecnico di

digestione vengono incrementati dalla comminuzione, per tutti i substrati, in particolare per

quelli a bassa biodegradabilità come foglie, semi e gambi di fieno.

La riduzione meccanica delle particelle si è dimostrata efficace anche per l’aumento della

produzione potenziale di biogas da rifiuti ricchi di fibre come il concime. Hartmann et al.

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(1999) hanno comparato l’effetto sulla produzione di biogas, della macerazione delle fibre del

concime in cinque differenti impianti di digestione anaerobica. I maceratori installati tra il

serbatoio di stoccaggio e il digestore avevano le stesse caratteristiche. E’ stato dimostrato che

la macerazione dell’intera alimentazione ha l’effetto di incrementare il rendimento del biogas

dell’ordine del 5-25%. Secondo gli autori, i bassi costi della macerazione (l’energia richiesta è

di 0,1-1,3 kWh/m3 di concime) rendono questo metodo conveniente per incrementare la

produzione di biogas da concime e probabilmente anche da altri tipi di rifiuto con un alto

contenuto di materiale particolato.

La disintegrazione meccanica della cellula è un processo ben noto usato in molte applicazioni

biotecnologiche per ottenere prodotti intracellulari, come proteine o enzimi (Schwedes e

Bunge, 1992). Alcuni autori hanno proposto di applicare tale trattamento meccanico come

pretrattamento a monte del processo biologico anaerobico del fango (Kopp et al., 1997, Müller

et al., 1998, Müller e Pelletier, 1998). L’obbiettivo di tale pretrattamento è di accelerare la

digestione del fango e incrementare il grado di degradazione al fine di minimizzare la quantità

finale da smaltire. La frazione principale del fango è costituita da materiali cellulari che spesso

limitano direttamente la degradazione anaerobica perché agiscono come barriere fisiche per i

microrganismi idrolitici. La disponibilità di tale materiale organico intracellulare potrebbe

essere incrementato attraverso i processi di distruzione meccanica della cellula. Inoltre,

l’obbiettivo di un processo di questo tipo è di distruggere la struttura compatta e di

frammentarla in piccole particelle che risultano più facilmente biodegradabili.

Numerosi processi di distruzione della cellula sono stati testati su acque reflue per migliorarne

la biodegradabilità anaerobica (Müller et al., 1998, Müller e Pelletier, 1998; Baier e

Schmidheiny, 1997; Engelhart et al., 1999). In questo campo, risultati comparativi sono

riportati da Müller et al. (1998) che hanno sperimentato in scala di laboratorio quattro metodi

di disintegrazione meccanica della cellula usando fanghi di acque reflue con una

concentrazione di SS pari a 1-4% e di SSV pari al 70% dei SS. I processi meccanici analizzati

sono stati:

• macinazione tramite un mulino a sfere. In questo processo la distruzione delle cellule

avviene attraverso forze di taglio e carichi di compressione tra gli agenti macinanti. Il

mulino testato operava in continuo con una portata di 10 l/h ed una velocità di agitazione

tangenziale da 2 a 10 m/s.

• trattamento tramite un omogeneizzatore ad alta pressione nel quale il componente chiave è

la valvola omogeneizzante attraverso cui la sospensione di cellule è forzata ad alta

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pressione (400-900 bar). In questo processo la distruzione delle cellule ha luogo attraverso

meccanismi di cavitazione e turbolenza indotti dal decremento di pressione.

• Trattamento tramite un omogeneizzatore ultrasonico dove l’energia necessaria per la

distruzione è trasferita dentro la sospensione di cellule da un sistema oscillante sotto forma

di onde acustiche. L’elevata energia dei vortici proviene dai meccanismi di cavitazione

creati da forze di taglio che distruggono la struttura di cellule.

• Trattamento tramite un omogeneizzatore “shear gap” nel quale un rotore cilindrico gira con

un alta velocità di rotazione (nel campo da 5000-24000 rpm) concentricamente ad uno

statore. Le forze di taglio risultanti conducono alla distruzione delle cellule.

Usando il tasso di domanda di ossigeno e il COD solubilizzato come parametri per misurare il

grado di distruzione delle cellule, è stato mostrato come un tasso di disintegrazione vicino al

90% è stato ottenuto in condizioni operative ottimali con tutti i metodi testati eccetto con

l’omogeneizzatore “shear gap”. Considerando il consumo di energia specifica,

l’omogeneizzatore ad alta pressione e il mulino a sfere rappresentano i processi più economici.

Inoltre, il grado di digestione del fango disintegrato è risultato superiore a quello di un fango

non trattato per una percentuale compresa tra il 10 e il 20% (Müller et al., 1998).

Gli effetti positivi della disintegrazione meccanica delle cellule sulla digestione anaerobica dei

fanghi è stata illustrata anche da altri autori. Thiem et al. (1997) hanno studiato l’effetto del

pretrattamento ad ultrasuoni sulla biodegradabilità del fango usando ultrasuoni ad una

frequenza di 31 kHz ed alte intensità acustiche. Gli autori hanno mostrato, in digestori operanti

con un identico tempo di residenza di 22 giorni, che la riduzione di solidi volatili era del

45,8% per un fango non trattato e del 50,3% per un fango disintegrato. Inoltre, la riduzione di

solidi volatili era del 44,3% in un digestore operante con un fango disintegrato ed un tempo di

residenza di 8 giorni. Engelhart et al. (1999) hanno mostrato che il pretrattamento meccanico

del fango usando un omogeneizzatore ad alta pressione conduce ad un accelerazione nella

riduzione di solidi volatili nei digestori a film fissato. La riduzione di solidi volatili di circa il

40% è stata raggiunta con tempi di residenza idraulici più bassi di 5 giorni senza processi

falliti.

Chiu et al. (1997) hanno studiato l’effetto di un trattamento ad ultrasuoni ed alcalino del fango

prima della fermentazione anaerobica con produzione di acidi grassi volatili. E’ stato mostrato

che la combinazione del trattamento alcalino con quello ad ultrasuoni consente una massima

solubilizzazione del COD totale pari all’89% contro il 36% ottenuto con il solo trattamento

alcalino. Inoltre, il pretrattamento combinato alcalino - ultrasuoni aumenta la produzione di

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Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale

125

acidi grassi volatili: valori del rapporto VFA:COD compresi tra il 66% e l’84% sono stati

ottenuti in queste condizioni laddove tali rapporti risultavano pari al 10% e al 30%

rispettivamente con il fango grezzo e con il fango pretrattato col solo metodo alcalino.

Rivard e Nagle (1996) hanno testato una combinazione di pretrattamento termico e meccanico

basato sulla sinergia tra l’azione meccanica e quella termica, per distruggere la macrostruttura

del fango disidratato e successivamente per incrementare la sua biodegradabilità. Le

condizioni ottimali di pretrattamento (rilascio di COD solubile dell’ordine dell’80-83%) sono

state ottenute con un contenuto di solidi dell’1%, tempi di trattamento tra 4 e 8 minuti, e una

temperatura di 55°C. In secondo luogo, gli autori hanno proposto una combinazione di

pretrattamento termico e di taglio usando un Ultra-Turrax; il pretrattamento di taglio ottimale

(rilascio di COD solubile dell’ordine dell’88-90%) è avvenuto con un contenuto di solidi

dell’1-2%, tempi di trattamento di 6-10 minuti e una temperatura di 87°C.

Dohanyos et al. (1997) hanno proposto la distruzione meccanica delle cellule contenute nei

fanghi attivi tramite una speciale centrifuga adatta per l’ispessimento. Lo scopo di questo

metodo è la parziale distruzione delle cellule durante l’ispessimento con la centrifuga,

sfruttando l’energia cinetica generata dalla centrifuga stessa. Di conseguenza, non è richiesta

alcuna energia aggiuntiva. Uno speciale ingranaggio impattante è stato incorporato nella

centrifuga e posizionato nel punto in cui il fango ispessito esce. Gli autori riportano che

l’incremento del rendimento della produzione di metano da fanghi attivati ispessiti è stato

dell’84,6%.

4.3.2 Idrolisi L’idrolisi consente la degradazione di substrati organici complessi particolati o solubili, quali

proteine, grassi e carboidrati, con la formazione di composti semplici, quali aminoacidi, acidi

grassi e monosaccaridi in forma solubile.

Il fenomeno dell’idrolisi è un caso particolare del fenomeno generale della solvòlisi, nome

con il quale si indica la reazione di un soluto con il solvente in cui è disciolto; se il solvente è

l’acqua si parla di idrolisi.

L’idrolisi salina è a sua volta il caso di idrolisi in cui si ha reazione tra il solvente acqua ed un

sale in essa disciolto, ma il fenomeno dell’idrolisi non è limitato soltanto ai sali: qualsiasi

reazione in cui una specie chimica che in soluzione acquosa reagisce con H2O formando

nuove specie chimiche rappresenta una reazione di idrolisi, così ad esempio può formarsi

perossido di idrogeno (acqua ossigenata) per idrolisi dell’acido perossidisolforico:

22422822 OHSO2HO2HOSH +→+ (4.3)

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Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale

126

Anche in chimica organica si incontrano frequentemente reazioni di idrolisi: ad esempio il

formiato di metile (H-COOCH3) si idrolizza e forma alcool metilico (CH3OH) ed acido

formico (HCOOH):

OHCHHCOOHOHCOOCHH 323 −+→+− (4.4)

Nel caso della FORSU che è composta da residui organici di varia natura, si verifica l’idrolisi

contemporanea dei suoi vari costituenti: lipidi, carboidrati, fibre, proteine

Trattamenti di idrolisi

L’idrolisi può essere di tipo:

• chimico (alcalina o acida)

• termico

• termo-chimico (utilizzata nel nostro studio)

I trattamenti con agenti chimici sono stati ampiamente utilizzati per la produzione di

biocombustibili da substrati lignocellulosici (Millet et al., 1975; Datta 1981; Pavlostathis &

Gosset, 1985). Sono stati investigati pretrattamenti chimici a temperatura ambiente a base di

acidi o basi.

Il trattamento alcalino generalmente è più compatibile con i processi fermentativi anaerobici

che sono più efficaci a pH basici (Pavlostathis & Gosset, 1985) perché provoca una

saponificazione di esteri di acido ironico associata a catene di xilano (Datta, 1981) che ha

come effetto un incremento marcato nella capacità di rigonfiamento e nelle dimensione dei

pori. Ciò non solo consente una diffusività maggiore per gli enzimi idrolitici ma facilita anche

le interazioni tra il substrato e gli enzimi. Per questi motivi i batteri acidogenici possono

fermentare la lignocellulosa pretrattata anche senza che sia avvenuta una delignificazione o

l’idrolisi della cellulosa durante il pretrattamento.

L’agente alcalino più comunemente utilizzato è l’idrossido di sodio. Impiegando tale reagente

a temperatura ambiente si riporta un miglioramento della biodegradabilità di paglia di grano.

La più alta efficienza di conversione anaerobica riportata è stata dell’80% per il substrato

pretrattato a 7.5% di ST, con 50 g NaOH/100 g ST per 24 ore; mentre per il substrato non

trattato l’efficienza di conversione è stata del 34.3%. Il pretrattamento alcalino basato

sull’aggiunta di NaOH può essere applicato ad altri substrati organici più complessi, come i

fanghi civili (Rajan et al,1989); infatti studiando la solubilizzazione a bassi livelli alcalini di

fanghi di depurazione a temperatura ambiente e si trova una solubilizzazione di circa il 45%

del COD particolato. Anche la concentrazione di NaOH e dei solidi nei fanghi influenzano

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Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale

127

significativamente il tasso di idrolisi. Con fanghi di alimentazione con l’1% ST, l’idrolisi del

particolato solido dopo 12 ore a 20°C è stata incrementata dal 13 al 45% quando la

concentrazione di NaOH passa da 10 a 40 meq/l. con un livello costante di 4 g NaOH/100 g

ST, il tasso di idrolisi si incrementava dal 13 al 31% quando la concentrazione dei solidi di

alimentazione passa da 0.5 al 3%.

In ogni caso nei pretrattamenti chimici di rifiuti devono essere tenuti in considerazione i

problemi di potenziale tossicità dei substrati, in particolare l’inibizione o la tossicità dovuta

all’alta concentrazione di ioni. Il catione sodio infatti ha un’attività inibente nei confronti

della flora metanogenica (Kugelman & McCarty, 1965; Feijoo et al., 1995). La soglia di

tossicità dello ione Na è considerata 0.3 M che raramente si raggiunge con pretrattamenti a

modesti livelli alcalini. La scarsa biodegradabilità di substrati pretrattati a pH basici sembra

essere quindi dovuta alla formazione di composti refrattari sotto condizioni di alto pH, come

ad esempio le sostanze aromatiche che derivano dalla degradazione della lignina che

costituisce i substrati lignocellulosici.

Il trattamento termico viene impiegato solitamente per migliorare la disidratabilità di fanghi

di depurazione grezzi o digeriti. Naturalmente, l’incremento di biodegradabilità deriva sia

dalla frazione solubile che da quella insolubile. Infatti il trattamento ad alta temperatura altera

la struttura della frazione insolubile e la rende più facilmente biodegradabile.

I principali svantaggi dei pretrattamenti termici sono: produzione di odori molesti, corrosione

e contaminazione organica dei tubi di scambio termico, l’elevata richiesta energetica,

l’esigenza frequente di alcune forme di trattamento prima di riciclare la sostanza liquida

all’impianto di trattamento.

I potenziali vantaggi sono invece una migliore disidratabilità, un incremento della

biodegradabilità, una riduzione nella forza dei flussi liquidi, una riduzione degli odori durante

la fase di digestione, la sterilizzazione del substrato ed un migliore bilancio energetico. Alcuni

studi (Haug et al. 1978) hanno verificato che il pretrattamento termico di fanghi primari a

175°C non ha effetti significativi sulla produzione di biogas. Al contrario, il trattamento di

fanghi attivi comporta un incremento del 60% nel tasso di metano con una riduzione del 36%

di VSS nell’effluente della digestione anaerobica. Gli stessi autori hanno valutato i bilanci

energetici dei sistemi convenzionali di digestione anaerobica dove il trattamento termico

segue la fase di digestione e di quelli dove il trattamento termico si esegue prima, e hanno

concluso che questi ultimi presentano un incremento dell’energia netta prodotta in relazione

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Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale

128

alla maggiore biodegradabilità del substrato e alle ridotte richieste energetiche per riscaldare il

digestore.

Il tempo di ritenzione per la digestione anaerobica di fanghi attivi pretrattati a 170°C per

un’ora può essere ridotto a 5 giorni (Li & Noike, 1992). In queste condizioni il tasso di

rimozione del COD era del 60%, con una produzione di biogas di 223 ml/g COD, circa

doppia di quella registrata con il controllo. Secondo questi autori l’effetto positivo del

pretrattamento termico sulla biodegradabilità anaerobica dei fanghi attivi è dovuta all’idrolisi

della maggior parte della frazione particolata dei fanghi attivi, alla produzione di acidi grassi

volatili che sono più facilmente convertibili in biogas durante la successiva fase di digestione,

al fatto che la rimanente frazione particolata contenuta nel fango attivo pretrattato

termicamente risulta più facilmente idrolizzabile dal consortium anaerobico. La fluidità del

rifiuto dipende dalle condizioni di trattamento (temperatura, tempo operativo).

Il fango di acque reflue può essere liquidizzato (Dote et al., 1993) a temperature comprese tra

150 e 175°C. La viscosità del fango diminuisce con l’incremento della temperatura e del

tempo di trattamento. Naturalmente, condizioni troppo severe sembrano avere un effetto

negativo sulla successiva fase di digestione. Si è osservato (Pinnekamp, 1989) un effetto

contrario sopra la temperatura di 180°C. A dispetto dell’incremento della dissoluzione

termica, la produzione di gas ottenuta da un fango trattato termicamente decresce nettamente,

in alcuni casi a valori più bassi del fango non trattato. Allo stesso modo, si è osservato

(Stuckey & McCarty, 1978) che incrementando la temperatura di trattamento veniva

incrementata la solubilizzazione fino ad un massimo del 51% a 225°C. A temperature

maggiori la quantità di materia organica solubile diminuisce suggerendo la formazione di

molecole più grandi attraverso la polimerizzazione. Tale fenomeno è stato associato alle

reazioni di zuccheri semplici contenuti nel fango con aminoacidi che provocano la formazione

di composti difficili da degradare. A temperature superiori a 175°C, essi osservarono una

diminuzione della biodegradabilità anaerobica che potrebbe essere dovuta o alla formazione

di composti refrattari durante il trattamento termico o all’inibizione dei microrganismi

anaerobici dal fango trattato. L’acclimatazione biologica sia a 225 che a 250°C di trattamento

si registra solo dopo 8 giorni di incubazione, questo suggerisce che i materiali refrattari siano

la principale causa della più bassa biodegradabilità alle temperature più alte. Allo stesso

modo, la temperatura alla quale il pretrattamento termico viene condotto ha un effetto

pronunciato sulla biodegradabilità. Con il fango attivo, la biodegradabilità è stata

incrementata con la temperatura con un ottimo vicino a 175°C, oltre tale temperatura la

produzione di gas diminuisce.

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Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale

129

L’idrolisi termo-chimica della sostanza organica solida è comunemente effettuata con agenti

alcalini, sebbene sono riportati in letteratura dati sulla idrolisi termo-acida di rifiuti (Bouthilet

& Dean, 1970; Barlindhaug & Odegaard, 1996; Rocher et al., 1999). In questo campo

l’effetto del pretrattamento combinato termico ed alcalino sulla biodegradabilità anaerobica di

fanghi attivi è stato studiato da Stuckey & McCarty (1978) e da Haug et al. (1978). Stuckey &

McCarty, lavorando con fanghi attivi, hanno riportato che, sotto un pretrattamento termo-

chimico, il fango attivo è soggetto alle seguenti reazioni: i lipidi sono idrolizzati in condizioni

acide o alcaline a glicerolo e acidi grassi; i carboidrati, e più in particolare i polisaccaridi

batterici, sono idrolizzati a polisaccaridi più semplici o zuccheri; le proteine sono idrolizzate

da soluzioni acide in monomeri di aminoacidi (alcuni legami peptidici – quelli di valina,

isoleucina e leucina per esempio – sono più stabili degli altri e richiedono tempi di idrolisi

maggiori e acidi più forti. La rottura del legame peptidico è notoriamente più veloce con acido

cloridrico che con acido solforico). Gli aminoacidi possono essere inoltre degradati ad

ammoniaca e acidi organici, le proteine possono anche essere idrolizzate in condizioni

alcaline; naturalmente la velocità e il grado sono generalmente minori rispetto alle condizioni

acide. Gli acidi nucleici RNA e DNA sono idrolizzati per produrre costituenti basici, zuccheri

e ortofosfati. Possono avvenire varie reazioni intermolecolari come le reazioni che

coinvolgono la polimerizzazione di gruppi carbossili con gruppi amminici per formare

polimeri marroni a base di azoto e co-polimeri chiamati melanoidi. Temperature elevate e

valori estremi di pH aumentano la velocità di questa polimerizzazione. Tali composti

notoriamente sono difficili da degradare. Molti autori (Stuckey & McCarty, 1978; Tanaka et

al., 1997; Penaud et al., 1998) hanno confrontato l’efficienza dei pretrattamenti termici,

chimici o termo-chimici e hanno osservato che le migliori performance in termini di

solubilizzazione di COD e biodegradabilità anaerobica erano ottenuti con i pretrattamenti

termo-chimici. Le condizioni ottimali definite dipendono ovviamente dal tipo di substrato

impiegato (Tabella 4.3).

Tanaka et al. (1997) hanno utilizzato fanghi attivi di reflui civili e una combinazione di fanghi

civili e industriali. Impiegando i primi il rapporto di solubilizzazione dei VSS è stato del 70-

80% con un incremento della produzione di CH4 di circa il 30%. Con la combinazione di

fanghi il rapporto di solubilizzazione dei VSS è stato del 40-50% e la produzione di CH4

superiore al 200% rispetto al controllo. Patel et al. (1993), utilizzando giacinti d’acqua,

associarono l’effetto del pretrattamento alcalino alla solubilizzazione della lignina. Ciò

costituisce un vantaggio nel senso che viene liberata la parte solida rimanente di carboidrati

ed incrementa la porosità.

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Tabella 4.3 Effetto dei pretrattamenti termo-chimici sulla solubilizzazione e la biodegradabilità anaerobica di vari tipi di rifiuti (Mata-Alvarez, 2003).

Riferimento

Substrato

Condizioni

ottimali definite

Efficienza di solubilizzazione

Effetto sulla biodegradabilità

Stuckey & McCarty, 1978 Fango attivo

175°C, 30 meq NaOH/l,

1 ora 55% COD

78% conversione COD

in CH4

Haug et al. (1978) Fango organico 175°C, pH 12,

30 min 68% COD

Aumento del 57% nella

produzione di CH4

Patel et al. (1993) Giacinto d’acqua 121°C, pH 11, 1 ora 58,5% COD

Aumento della

produzione di CH4

Tanaka et al. (1997)

Combinazione di fanghi

130°C, 0.3 g

NaOH/g VSS, 5 min

45% VSS

Aumento del 220% nella produzione di

CH4

Penaud et al. (1998) Fango industriale

140°C, pH 12,

30 minuti 75% COD

40% biodegradabilità

Penaud et al. (1998) hanno osservato che il pretrattamento alcalino di un fango industriale

conduce ad un incremento della solubilizzazione del COD pari al 75-80% utilizzando 5 g

NaOH/l a 140°C per 30 minuti invece del 65% a temperatura ambiente. Mentre aumentando

la concentrazione di idrossido di sodio non si registravano incrementi significativi del COD

solubile.

I pretrattamenti termo-chimici consentono di incrementare significativamente la

solubilizzazione della sostanza organica ma presentano alcuni inconvenienti come:

• possibilità di formazione di molecole inibenti;

• solubilizzazione di molecole che formano polimeri difficili da degradare;

• utilizzo di reagenti chimici che possono indurre problemi di tossicità.

Per quanto riguarda la formazione di composti inibenti, Haug et al. (1978), trattando fanghi

organici a 175°C a pH 12, osservarono la produzione di tali composti che compromettevano

le prestazioni della digestione anaerobica subito dopo la loro alimentazione al reattore.

Nessuna acclimatazione si registrava dopo 43 giorni dall’alimentazione. In un altro studio,

Patel et al. (1993) sottolinearono i derivati della lignina solubile ottenuti da un trattamento

termo-alcalino esercitano effetti tossici (principalmente come conseguenza delle sostanze

aromatiche prodotte dalla degradazione della lignina). Allo stesso modo Penaud et al. (1998)

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Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale

131

non osservarono alcuna acclimatazione dei batteri anaerobici alla biomassa industriale

pretrattata termo-chimicamente, indicando la possibile presenza di materiali inibenti.

Stuckey & McCarty (1978) hanno riportato che la minore biodegradabilità era dovuta

principalmente alla formazione di composti refrattari, sia solubili che insolubili. Come ipotesi

per spiegare la natura refrattaria delle molecole formate è stata avanzata quella della

formazione di reazioni intramolecolari tra i composti solubili che portano alla produzione di

sostanze complesse. Tali reazioni, comunemente definite reazioni di Maillard, si osservano

frequentemente nell’industria alimentare. I composti colorati che si formano sono complessi e

molto difficili da degradare, perfino da i batteri del rumine (Marounek et al., 1995). Penaud et

al. (2000) hanno caratterizzato le molecole solubili generate durante il pretrattamento termo-

chimico di un fango industriale (aggiunta di NaOH fino ad un pH 12, 140°C). Essi

dimostrarono che i composti ad elevato peso molecolare erano responsabili della scarsa

biodegradabilità anaerobica e della biotossicità registrata.

Per quanto riguarda infine la possibile tossicità degli agenti alcalini, nessun autore ha

dimostrato tale ipotesi. Pavlostathis & Gosset (1985) che trattarono paglia di grano con 10 g

NaOH/100 g TS con sistema a flusso continuo, dimostrarono che per una concentrazione del

5% di solidi influente al digestore, la concentrazione di sodio nel digestore allo stato

stazionario dovrebbe essere approssimativamente 0.125 M, che è più basso di 0.3 M

considerata la soglia di tossicità dello ione sodio (Kugelman & McCarty, 1965; McCarty &

McKinney, 1971). In un altro studio, Penaud et al. (1998) non rilevarono alcuna sostanziale

differenza nelle caratteristiche di biodegradabilità ottenute con pretrattamento alcalino a

140°C utilizzando diversi reagenti (NaOH, KOH, Mg(OH)2 e Ca(OH)2). Ciò indica che la

bassa biodegradabilità non è legata alla concentrazione dello ione sodio. Questo è stato

confermato dai test di biodegradabilità condotti a concentrazioni crescenti di sodio.

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Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale

132

Figura 4.13 Idrolisi chimica di esosi, pentosi e lignina.

4.4 I meccanismi e le rese dell’Idrogenogenesi

Molte specie di batteri anaerobi sviluppati al buio possono degradare substrati ricchi di

carboidrati producendo un biogas misto costituito principalmente da idrogeno ed anidride

carbonica, ma anche piccole quantità di metano, monossido di carbonio e/o acido solfidrico.

Le reazioni di fermentazione possono avvenire a temperature mesofiliche (25-40°C),

termofiliche (40-65°C), estremamente termofiliche (65-80°C) o ipertermofiliche (> 80°C). I

principali ceppi batterici produttori di idrogeno includono specie di Enterobacter, Bacillus e

Clostridium. I microrganismi appartenenti ai ceppi Clostridium e Bacillus sono caratterizzati

dalla capacità di formare le spore in condizioni ambientali sfavorevoli (stress metabolico),

come scarsità di nutrienti o temperature non elettive, etc. I Clostridi possono essere selezionati

da consorzi naturali come fanghi anaerobici o fanghi attivi utilizzando trattamenti termici.

I Clostridi garantiscono maggiori rese di produzione di idrogeno rispetto ai microrganismi del

ceppo Enterobacter; Clostridium pasteurianum, C. butyricum e C. beijerinkii sono alti

produttori di idrogeno, mentre C. propionicum è un modesto produttore di idrogeno (Levin et

al., 2002).

Il glucosio, i suoi isomeri, o i polimeri (amido o cellulosa), vengono convertiti in quantità

differenti di idrogeno a seconda del percorso di fermentazione e dei prodotti finali. È possibile

ottenere una quantità teorica massima di 4 moli di H2 per mole di glucosio (pari a circa 0,5

l/g) quando il prodotto finale è rappresentato da acido acetico:

IDROLISI CHIMICA

esosi

pentosi

lignina

Fermentazione

Deidrogenazione Idrolisi Idrogenazione Cristallizzazione

Fermentazione Disidratazione Idrogenazione Cristallizzazione

Idrogenazione Idrolisi Ossidazione

Glucosio Acido levulinico Polioli Idrossimetilfurfuroli

Xilosio Lievito Furfurolo Polioli

Derivati del fenolo Idrocarburi Vanillina

Alcoli Polioli, Chetoni Acidi Amidi

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Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale

133

22326126 2CO4HCOOH2CHO2HOHC ++→+ (4.5)

Se invece il prodotto finale è l’acido butirrico si possono ottenere al massimo 2 moli di H2

(pari a circa 0,25 l/g) per mole di glucosio:

2222326126 2CO2HCOOHCHCHCHO2HOHC ++→+ (4.6)

Pertanto la massima produzione si realizza quando il prodotto finale di fermentazione è

rappresentato dall’acido acetico. In pratica alte produzioni di H2 sono associate a prodotti di

fermentazione misti di acetato e butirato, e basse rese di H2 sono associate a propionato e

prodotti finali ridotti (alcoli, acido lattico). Pertanto, nel caso di netta preminenza di butirrato

sull’acetato, è lecito attendersi una resa specifica in idrogeno molto inferiore a 0,5 lH2/g e, nel

caso di una degradazione di carboidrati che generi una miscela di acidi grassi volatili (es.

acetico, propionico, butirrico, etc.), si assiste ad una drastica riduzione dei rendimenti in

idrogeno.

La relazione tra la conversione in idrogeno e le concentrazioni di acido acetico e butirrico può

ritenersi valida anche nel nostro caso particolare, ove, avendo adottato come substrato di

riferimento amido:xilosio 1:1, può supporsi anche per lo xilosio una degradazione microbica

teorica quale:

22325105 4CO8HCOOH3CHO4HOH2C ++→+ (4.7)

222235105 CO01H01COOHCHCHCH5OH6C ++→ (4.8)

Sulla base di tali equazioni, la massima resa teorica di idrogeno da xilosio è stimabile pari a

circa 0,6 l/g.

In conclusione, utilizzando una miscela amido:xilosio 1:1, la massima resa teorica ottenibile,

via “dark fermentation”, è pari a 0,55 litri di H2 per grammo di substrato consumato.

4.4.1 Parametri di processo La produzione di idrogeno per via anaerobica e in assenza di luce è fortemente dipendente

dalle condizioni di processo determinate dai parametri come il pH, la pressione parziale

dell’idrogeno, la temperatura ed altri.

Il pH rappresenta uno dei principali parametri nei processi biologici di produzione

dell’idrogeno. Un valore di pH minore di 5 consente di ottenere l’inibizione dei batteri

metanigeni che consumano idrogeno. Kim et al. (2004) hanno ottenuto un tasso di produzione

compreso tra 28 e 40 ml H2/(g glucosio⋅d) con un reattore semi continuo operante ad un pH di

circa 4.5 e un valore di HRT pari a 9 giorni.

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Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale

134

Khanal et al.(2004) hanno condotto dei test in batch per investigare l’effetto del pH sulla

produzione di bioidrogeno. Il massimo tasso di produzione (10 mlH2/(gVSS⋅h)) è stato

ottenuto dalla fermentazione di saccarosio con un pH iniziale compreso tra 5.5 e 5.7. Hwang

et al. (2004) utilizzando un reattore CSTR semi continuo hanno determinato un valore di pH

pari a 4 come limite operativo per la produzione di idrogeno dalla fermentazione di glucosio.

La pressione parziale dell’idrogeno è un fattore estremamente importante poiché quando

aumenta la concentrazione di H2, la sua sintesi diminuisce e il pathway metabolico si modifica

verso la produzione di substrati ridotti, come l’etanolo, l’acetone e il butanolo.

La produzione di idrogeno in continuo richiede pH2 < 50 kPa a 60 °C; < 20 kPa a 70°C; < 2

kPa a 98 °C.

È necessario pertanto controllare tale parametro durante il processo di fermentazione al buio

per garantire elevati tassi di produzione di idrogeno. Mizuno et al.(2000) hanno sperimentato

un incremento nel tasso di idrogeno prodotto effettuando lo spargimento di N2 in un reattore

CSTR inoculato con farina integrale di soia per la produzione di idrogeno da glucosio.

Lin & Lay (2004) hanno dimostrato, inoltre, una dipendenza dell’attività dei microrganismi

che convertono saccarosio in idrogeno dal rapporto C/N, determinandone, in particolare, il

valore ottimo (47) in corrispondenza di una produzione massima di idrogeno pari a 4.8

molH2/mol saccarosio. In un altro studio gli stessi autori hanno investigato l’effetto della

concentrazione di carbonati e fosfati sulla produzione di idrogeno da saccarosio utilizzando

fanghi di depurazione pretrattati. Nel caso di limitazione di fosfati, infatti, i prodotti di

fermentazione più abbondanti sono costituiti dall’etanolo e dal butanolo la cui presenza incide

negativamente sulle rese di conversione. Dai risultati è emersa la possibilità di ridurre la fase

di acclimatazione dei microrganismi adottando una giusta concentrazione di fosfati (600

mg/l). Da esperimenti in batch utilizzando come substrato il glucosio è stato dimostrato che

concentrazioni di ferro minori di 0.56 ml/l sono anch’essi limitanti la crescita dei

microrganismi idrogeno produttori e causano la produzione di acido lattico. Il ferro è infatti

un componente dell’enzima Idrogenasi e la sua limitazione ne riduce l’attività. Lin & Lay

(2005) hanno condotto uno studio sull’influenza della concentrazione dei nutrienti sulla

produzione di bioidrogeno dalla microflora dei fanghi di depurazione di reflui civili. Tale

sperimentazione ha evidenziato la possibilità di incrementare i tassi di produzione di idrogeno

fino al 60% circa controllando e ottimizzando la concentrazione di magnesio, sodio, zinco e

ferro.

Un altro parametro importante è la temperatura. La maggior parte degli studi effettuati sulla

produzione di idrogeno attraverso la fermentazione anaerobica al buio sono stati condotti a

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Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale

135

temperatura mesofilica (35°C); la produzione di H2 da batteri termofili come il Thermotoga è

attualmente sotto investigazione, ma la sua massima resa ottenuta dal glucosio è di 2,7- 4,5

mmoli H2/(l⋅h).

Cohen (1982) ha dimostrato infine la relazione lineare tra potenziale redox e la formazione di

butirrato nel range -300 mV (max butirrato) e -120 mV (zero butirrato), attribuendo il

fenomeno all’arricchimento selettivo delle specie producenti propionato quando il potenziale

redox cresceva. È quindi importante che il potenziale redox sia minore o uguale ai -300 mV,

per garantire le condizioni ottimali per la formazione di acido butirrico.

4.4.2 Substrati e tipologie di reattori utilizzati La microflora idrogenogenica è capace di degradare una varietà di substrati costituiti da

carboidrati più ampia rispetto ai lieviti che operano la conversione in etanolo, consentendo,

potenzialmente, un abbattimento dei costi di approvvigionamento delle materie prime. Un

tipico esempio in tal senso è la capacità di utilizzare lo xilosio derivato dall’idrolisi di

lignocellulosici (Taguchi et al., 1995).

È stato dimostrato come alcune colture di Clostridium siano capaci di degradare amido

insolubile, senza pretrattamento, mentre alcune colture di Enterobacter possono degradare

solo l’amido solubile. Specie di Clostridium generalmente garantiscono alte concentrazioni e

rese di H2 usando xilosio come substrato. La conversione di rifiuti come substrati in

idrogeno, attraverso il metabolismo anaerobico dei microrganismi, è stata recentemente

oggetto di studio da parte di diversi ricercatori. La ricerca è stata indirizzata verso

l’individuazione di substrati a basso costo e facilmente reperibili.

È stata investigata la possibilità di impiegare con successo substrati come reflui industriali

organici e reflui di un impianto di raffinazione del riso (Yu et al, 2002), reflui di uno

zuccherificio (Ueno. et al., 1996) ed anche rifiuti solidi organici urbani (FORSU) (Lay et al,

1999), letame (Fan et al., 2004) e rifiuti domestici (Han & Shin, 2004).

Sono stati impiegati diverse tipologie di reattori, tra cui reattori UASB, a letto fisso e reattori

a completa miscelazione (CSTR).

Chang et al. (2002) hanno sperimentato l’utilizzo di un reattore UASB per la produzione di

idrogeno inoculato con fango di un impianto di depurazione di reflui civili pretrattato a 100°C

per 45 minuti per inibire l’attività dei batteri metanigeni. Il substrato impiegato è stato il

saccarosio con una concentrazione di 20 g di COD/l. Una produzione costante di 1,5 mmol

H2/mol saccarosio è stata ottenuta con un HRT compreso tra 8 e 20 ore. Il tasso di produzione

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Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale

136

di idrogeno invece è risultato massimo in corrispondenza di un HRT di 8 ore e pari a 11,275

mmol H2/(l⋅ h) con una percentuale di H2 nel gas prodotto pari a 42,4%. Il tasso specifico di

produzione di idrogeno ha raggiunto il massimo valore di 2,23 mmol H2/(gVSS ⋅h) con un

HRT di 8 ore. Confrontandolo con gli altri reattori utilizzati, il valore del tasso specifico di

produzione di H2 ottenuto con questo sistema (UASB) è stato più basso mentre la conversione

del substrato in idrogeno è risultata dello stesso livello.

In un altro studio è stato confrontato l’utilizzo di matrici di supporto per i microrganismi

come argilla espansa o carboni attivi in bioreattori a letto fisso. Il substrato impiegato è stato il

saccarosio in concentrazione pari a 20 g COD/l mentre l’inoculo proveniva dal fango di un

impianto di depurazione di reflui civili.

Il tempo di residenza idraulica (HRT) è stato fatto variare tra 0,5 e 5 ore. Con un HRT di 1 ora

la matrice a carboni attivi ha prodotto 1,3 l di H2/(l⋅h). L’impiego di una membrana per la

microfiltrazione a fibre cave ha consentito di incrementare il tasso di produzione di idrogeno

fino a 3 l di H2/(l⋅h). La produzione di H2 è iniziata 2-3 giorni dopo l’aggiunta di inoculo ed è

stata continua per un periodo di 2 settimane. Questo corrisponde ad un tasso di circa 121

mmol di H2/(l ⋅h).

Yu et al. (2002) hanno sperimentato la produzione di idrogeno attraverso l’impiego di un

reattore upflow alimentato con il refluo di un impianto di raffinazione del riso. Il tasso di

produzione specifico di H2 è stato dimostrato che aumenta con la concentrazione del substrato

e con la temperatura, ma con un decremento del tempo di residenza idraulica (HRT). Con un

HRT pari a 2 h è stato raggiunto un ottimo tasso specifico di 15,67 mmol H2/(gVSS⋅ h). La

produzione di idrogeno si è attestata in un range compreso tra 1,37 e 2,14 mol H2/mol esoso.

Lay et al.(1999) hanno riportato un tasso specifico massimo di 1,81 mmol H2/(gVSS⋅ h) con

un alto carico (elevato rapporto F/M) utilizzando un reattore CSTR e come substrato la

FORSU. Tale studio ha dimostrato la possibilità di impiegare la frazione organica dei rifiuti

solidi urbani come substrato per la produzione di bioidrogeno

Nella Tabella 4.4 è riportato uno schema riassuntivo dei principali tipi di substrati e reattori

utilizzati nei diversi studi sulla produzione di idrogeno attraverso la fermentazione anaerobica

al buio.

Dagli studi emerge una certa facilità di produrre idrogeno nei reattori a biomassa adesa come

nei reattori UASB, sebbene non manchino esempi di reattori a biomassa dispersa come

reattori CSTR .

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Tabella 4.4 Principali tipi di substrati impiegati nella produzione di idrogeno attraverso la fermentazione al buio.

Substrato Reattore Inoculo Temperatura pH mol H2/mol esoso l H2/(gVSS⋅d) lH2/(l⋅d)

Refluo impianto di raffinazione del riso UASB Fango secondario acclimatato a

glucosio 55°C 5.5 2.14 9.33 3.81

FORSU Batch Fango di depurazione pretrattato a 100°C per 15 minuti 37°C 5.5 0.86

Refluo di uno zuccherificio Batch Fango attivo aerato 60°C 6.8 2.59 4.91

Saccarosio (20 g COD/l) UASB Fango secondario pretrattato a 100°C per 45 minuti 35 °C 6.7-

6.9

3 1.33 6.72

Saccarosio (20 g COD/l) Reattore a letto fisso

Fango di depurazione pretrattato con HCl 0.1 N per 24 h 35°C 6.7

2.32 (bioreattore ad argilla espansa)

2.07 (bioreattore a carboni attivi)

31.68 (bioreattore a carboni

attivi) Glucosio CSTR Farina integrale di soia 35°C 6 0.85 2.08

Glucosio CSTR

con spargimento di N2

Farina integrale di soia 35°C 6 1.43 4.5

Glucosio CSTR Fango di depurazione 35°C 5 1.3 1.01

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Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale

138

In particolare si possono osservare elevati livelli di produzione di H2 (6.72 lH2/(l⋅d)) con i

reattori UASB e reattori a letto fisso (31.68 lH2/(l⋅d)) alimentati entrambi con fanghi di

depurazione. Tali tipologie di reattore rappresentano pertanto un sistema di produzione di

bioidrogeno molto promettente soprattutto per l’impiego di substrati ad alto carico organico.

Infatti, in molti studi effettuati sull’utilizzo di reattori CSTR per la produzione di bioidrogeno

da reflui organici, si è evidenziata l’incapacità di tali reattori di mantenere alti livelli di

biomassa produttrice di idrogeno e di garantire elevati tassi specifici di produzione.

4.4.3 Vantaggi e prospettive future della dark fermentation Pur avendo rese più modeste, l’evoluzione di idrogeno da fermentazione al buio presenta

notevoli vantaggi potenziali rispetto a quella fotobiologica per la produzione industriale:

• gli investimenti sono prevedibilmente più contenuti;

• l’H2 può essere prodotto da substrati organici a basso costo;

• la produzione di idrogeno è svincolata dalla presenza della luce;

In conclusione nonostante le rese della “dark fermentation” non siano le più elevate questa via

di produzione del bioidrogeno sembra offrire la massima potenzialità nel ricorrere all’uso di

sostanze di scarto come materia prima e di minimizzare i costi di investimento per la

realizzazione degli impianti.

Vantaggi sostanziali possono essere ottenuti attraverso la rimozione rapida e la separazione

del gas, il design del bioreattore ed eventualmente via modifica genetica dei microrganismi.

Miglioramenti nelle tecniche di separazione del gas possono contribuire ad incrementare la

produzione di H2, essendo la sua pressione parziale, come già detto, estremamente importante

per la sua produzione in continuo (come la concentrazione di idrogeno aumenta, infatti, la

resa diminuisce e l’attività metabolica vira verso pathway che sintetizzano più substrati

ridotti). Anche la concentrazione di CO2 influenza le rese di H2; le cellule infatti sintetizzano

succinato e formiato usando CO2, piruvato e NADH (nicotinamide adenin dinucleotide).

Questo pathway comprende la reazione in cui l’H2 è sintetizzato dall’idrogenasi dipendente da

NADH (che ossida NADH a NAD+). Un’efficiente rimozione di CO2 diminuirebbe la

competizione per l’NADH favorendo la sintesi di idrogeno.

Infine modifiche genetiche dei ceppi potrebbero essere mirate ad eliminare le idrogenasi che

consumano H2 .

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Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale

139

4.5 I meccanismi e le rese della metanogenesi

I batteri metanigeni rappresentano un gruppo specifico di microrganismi che costituiscono

l’anello finale della catena trofica di degradazione anaerobica della sostanza organica; essi

sono in grado di convertire solo un ristretto gruppo di substrati (acetati, formiati, miscele di

idrogeno e anidride carbonica) in metano. I principali generi conosciuti sono: Methanococcus,

Methanosarcina, Methanobacterium, Methanobacillus, Methanospirillium.

Questi batteri sono presenti nel rumine dei bovini, nelle concimaie, sul fondo delle paludi,

ecc. Dal punto di vista nutrizionale sono chemiolitoeterotrofi, cioè ricavano l'energia

necessaria per il loro metabolismo degradando sostanze chimiche (chemiotrofi) e possono

utilizzare, per costruire le proprie strutture carboniose, sia la CO2, sia molecole organiche

(litoeterotrofi), infine sono anaerobi obbligati, cioè la presenza dell'ossigeno elementare per

loro è tossica e la loro crescita è totalmente inibita anche solo da tracce di O2.

Esamineremo ora in particolare la respirazione anaerobica compiuta dai metano batteri.

Questi utilizzano come molecola ossidante inorganica l'anidride carbonica (CO2) che viene

ridotta a metano (CH4), come molecole riducenti utilizzano H2, etanolo, acido formico. La

biochimica della metanogenesi è abbastanza complessa e non è stata ancora del tutto chiarita

anche se studi compiuti negli ultimi anni hanno permesso di comprenderne i tratti principali.

In particolare si è chiarito che i metanobatteri:

a) non hanno la glicolisi, dato che non possono degradare il glucosio

b) non hanno il ciclo di Krebs, dato che non degradano l'acido acetico a CO2

c) non hanno la catena respiratoria e la fosforilazione ossidativa, dato che non possiedono nè

il coenzima Q nè i citocromi;

d) sono molto ricchi, invece, di vitamina B12 e di acido folico.

Da tutto questo si deduce che il metabolismo degradativo o catabolismo dei metanobatteri è

del tutto diverso da quello proprio degli organismi aerobi. Studi compiuti utilizzando

molecole marcate con carbonio radioattivo 14C hanno dimostrato che le reazioni principali

sono quelle riportate nella Figura 4.14.

Lo schema riassuntivo per le reazioni compiute dai metanobatteri è dunque quello

rappresentato in Figura 4.15.

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Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale

140

Figura 4.14 Reazioni principali del catabolismo dei metanobatteri.

Figura 4.15 Schema riassuntivo del catabolismo dei metanobatteri.

Questa è la sola reazione dalla quale i metanobatteri ricavano l’energia che usano per il loro

metabolismo, ma per ogni molecola di CO2 ridotta a metano si ha la produzione di una sola

molecola di ATP. Una quantità così bassa di energia consente ai metanobatteri una crescita

molto lenta, quindi il tempo necessario perchè la loro popolazione raddoppi è di alcuni giorni,

mentre per i batteri aerobi è di alcune ore.

La CO2 è l'accettore finale di elettroni nella respirazione anaerobica dei metanobatteri. La sua

riduzione a metano permette di smaltire tutto il NADH, cioè tutti gli equivalenti riducenti che

si sono accumulati nel digestore anaerobico per l'ossidazione delle molecole organiche.

Queste ossidazioni sono operate non solo dai metanobatteri, ma anche dai batteri idrolitici e

da quelli acetogenici che hanno trasferito i loro equivalenti riducenti fino ai metanobatteri

sotto forma di etanolo, H2 e acido formico. Il fatto che per ridurre una molecola di CO2 a CH4

siano necessari ben 8 elettroni, cioè 4 NADH, fa sì che non tutta la CO2 generata possa venire

ridotta a CH4, per cui il biogas ottenuto contiene, in media, circa il 65% di metano, il 30% di

CO2 e il 5% di altri gas (H2, H2S, N2). La composizione del biogas è determinata dal tipo di

biomolecole che costituiscono il substrato.

Un parametro di fondamentale importanza ai fini dell’efficienza del processo è il tempo di

ritenzione, definito come il tempo di permanenza della massa organica nel digestore.

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Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale

141

La produzione di gas aumenta con il tempo di ritenzione e presenta un andamento a campana:

inizialmente nulla, nel giro di pochi giorni raggiunge il massimo per poi diminuire più

lentamente (Figura 4.16) (Lagrange, 1981). Figura 4.16 Produzione di biogas in funzione del tempo di ritenzione.

Il tempo di ritenzione ottimale è funzione della temperatura all’interno del digestore e

diminuisce all’aumentare della stessa (Tabella 4.5). Tabella 4.5 Tempi di ritenzione in funzione della temperatura all’interno del digestore.

Temperatura (°C) Tempo (giorni) min max

20

25

30

35

40

11

8

6

4

4

28

20

14

10

10

Si deve distinguere un tempo di ritenzione dei solidi (SRT), tempo durante il quale i

microrganismi permangono nella massa in fermentazione, che può essere calcolato dal

rapporto tra la massa di solidi volatili presenti nel sistema e la massa dei solidi volatili

effluenti giornalmente, e un tempo di ritenzione idraulico (HRT), tempo di permanenza

dell’intera massa, calcolato come rapporto tra il volume del digestore e la portata quotidiana

media di influente. Ovviamente SRT e HRT coincidono in digestori nei quali non c’è

ricircolo.

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Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale

142

Il tempo di ritenzione, calcolato sperimentalmente in funzione della temperatura nel digestore,

condiziona il volume del digestore, influenzando così anche i costi di produzione (Simonini,

1990; Scarpini, 1980).

L’efficacia del processo di digestione anaerobica dipende anche dal carico organico della

sostanza sottoposta a fermentazione, espresso sia in COD che in percentuale di solidi volatili

presenti nella massa. Infatti i batteri metanogeni non si sviluppano in maniera adeguata al di

sotto di una certa concentrazione nel substrato. In genere la soglia viene definita (per ogni

specie batterica e per un determinato valore di pH) in riferimento all’acido acetico

indissociato che costituisce l’effettivo substrato per i batteri metanogeni (Mergaert et al.,

1991).

La produzione di gas dipende principalmente dalla percentuale di solidi volatili presenti nel

sistema (cioè dalla concentrazione della massa) e da quanto gas (in particolare metano) è

possibile estrarre per ogni chilogrammo di sostanza organica decomponibile (Lagrange, 1981;

Simonini, 1990).

Occorre inoltre considerare un fattore cinetico, legato alla velocità di crescita dei

microrganismi ed alla temperatura di digestione, in quanto la velocità di degradazione

aumenta proporzionalmente alla concentrazione dei reagenti (Rozzi et al., 1988).

Perchè la reazione di metanizzazione avvenga correttamente è necessario che il pH si

mantenga entro determinati limiti. In un ambiente acido l’attività dei batteri è bloccata, mentre

in un ambiente alcalino si ha una eccessiva produzione di idrogeno (H2) ed idrogeno solforato

(H2S). Si ha allora che il pH deve essere compreso da un minimo di 6.6 ÷ 7.6 ad un massimo

di 7.5 ÷ 8.5.

Normalmente la diminuzione del pH per effetto della produzione di acidi organici è

controbilanciata dalla distruzione degli stessi durante lo stadio successivo (simbiosi batterica

tra i batteri acidogeni e i batteri metanigeni). Ma già per valori di pH = 6.2 le condizioni sono

tossiche per i batteri metanigeni ed il tutto è aggravato dal fatto che i batteri acidogeni

possono ancora produrre acidi fino a pH = 4.5 ÷ 5.

In queste condizioni la produzione dei batteri acidogeni è più veloce di quella dei metanigeni,

per cui aumenta la concentrazione degli acidi che la capacità tamponante del sistema non

riesce più a bilanciare, facendo ulteriormente diminuire il pH.

L’inibizione dei batteri metanigeni comporta una riduzione, anche drastica, della produzione

di gas. La produttività del sistema può quindi essere controllata monitorando il pH cioè la

quantità di acidi organici presenti nel sistema stesso.

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Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale

143

Il pH della massa in fermentazione dipende dalla concentrazione degli ioni bicarbonato a sua

volta funzione della concentrazione del biossido di carbonio; infatti la concentrazione dello

ione bicarbonato è approssimativamente equivalente all’acidità della maggior parte dei rifiuti

(Lagrange, 1981).

Risulta pertanto:

[ ] [ ]332 HCO/COHKpH −= (4.9)

in cui K è la costante di ionizzazione dell’acido carbonico.

Quando la concentrazione degli acidi aumenta, essi sono neutralizzati dal bicarbonato che ha

pertanto un effetto tampone. Se però la concentrazione degli acidi è notevole si ha che il

bicarbonato presente non è in grado di mantenere l’equilibrio. Con il procedere della

fermentazione si verifica però la produzione di ammoniaca (NH3) che, essendo solubile in

acqua, forma l’idrato d’ammonio (NH4OH) che, essendo una base, neutralizza gli acidi

presenti; l’eccesso di acido viene allora riassorbito con il procedere della fermentazione.

Affinché il processo di fermentazione avvenga correttamente è necessario che all’interno del

digestore siano presenti gli elementi necessari al nutrimento dei batteri, in particolare

carbonio, azoto, fosforo e zolfo.

La presenza di carbonio è garantita dal fatto che è l’elemento principale delle sostanze

organiche che costituiscono il substrato.

L’azoto è indispensabile per la produzione delle proteine; se non ve ne è in sufficienza i

batteri non potranno utilizzare tutto il carbonio e la resa in metano sarà bassa. Il rapporto tra le

concentrazioni di carbonio ed azoto, indicato con C/N, non deve mai superare il valore di 35,

con un ottimo di 30.

Per la crescita dei batteri sono indispensabili anche il fosforo e, in misura molto ridotta, lo

zolfo; tuttavia, mentre un eccesso di fosforo non genera problemi, un eccesso di zolfo è

nocivo perché porta alla produzione di idrogeno solforato (H2S). Il rapporto ottimale tra le

concentrazioni di carbonio e fosforo (C/P) è di 150, quello tra carbonio e zolfo dovrà essere

molto più elevato.

Gli ioni minerali (Na+, K+, Ca2+, Mg2

+, NH4+, S2

-) sono indispensabili per la costruzione della

membrana delle cellule e devono essere presenti nella massa organica.

Un loro eccesso è però dannoso: infatti, per la loro proprietà di passare da una soluzione più

concentrata ad una meno concentrata, essi tendono ad attraversare la membrana delle cellule

arrestando, a causa della loro tossicità, l’attività dei batteri.

Valori di concentrazione degli ioni minerali stimolanti e dannose per il processo di

bioconversione sono riportati nella Tabella 4.6.

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Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale

144

Tabella 4.6 Concentrazioni ammesse o tossiche di alcuni ioni. Concentrazione (mg/l)

Ioni stimolante inibente

debolmente fortemente

Sodio Na+ 100-200 3500-5500 8000

Potassio K+ 200-400 2500-4500 12000

Calcio Ca++ 100-200 2500-4500 8000

Magnesio Mg++ 75-150 1000-1500 3000

Ammonio NH4+ 50-200 1500-2000 3000 tossico

Zolfo S-- - <200 200

Anche gli ioni dei metalli pesanti (Cu2+, Ni2+, Cr6+, Zn2+, Pb2+) sono necessari al metabolismo

delle cellule, ma un loro eccesso oltre 1 mg/l risulta dannoso.

Tra gli elementi tossici bisogna annoverare i composti chimici di sintesi. Tra questi bisogna

prestare attenzione ai detergenti che in concentrazioni superiori a 15 mg/l possono bloccare la

fermentazione.

Come già accennato in precedenza, il substrato stesso può costituire un fattore di inibizione in

quanto la sua concentrazione può regolare e/o rallentare la velocità di reazione degli stadi

successivi.

Anche alcuni intermedi metabolici che si formano durante il processo di digestione

anaerobica possono limitare lo sviluppo degli stadi successivi, portando, quindi, ad un effetto

globale negativo. Ad esempio, il propionato è un intermedio quantitativamente importante nei

digestori anaerobici, in genere secondo solo all’acido acetico. Sebbene la concentrazione di

propionato sia di solito abbastanza bassa, il suo turnover è piuttosto elevato (circa 1 ora):

l’inibizione del meccanismo di degradazione del propionato, pertanto, può portare ad un

repentino aumento della sua concentrazione che può risultare tossica (Boone & Xun, 1987). Il

limite di tossicità per il propionato sembra attestarsi intorno a 3 g/l (Gourdon & Vermande,

1987). La degradazione del propionato è influenzata anche dall’idrogeno che, a sua volta, può

inibire la degradazione microbica dell’etanolo e, reversibilmente, la crescita di molti batteri

anaerobici (Kaspar & Wuhrmann, 1978).

Più in generale, è stato riportato in letteratura come alte concentrazioni di acidi grassi volatili

(VFA) possano avere effetti tossici, principalmente a causa della risultante diminuzione del

pH. Tra i composti che possono in qualche modo inibire il normale decorso del processo di

metanizzazione si possono annoverare l’acido solfidrico, l’azoto ammoniacale, la salinità, il

cloroformio ed altri clorurati, i disinfettanti quali formaldeide e fenoli, oltre a varie specie

metalliche.

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Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale

145

La formazione di acido solfidrico nei reattori anaerobici è il risultato della riduzione dei

composti ossidati dello zolfo e della dissimilazione degli aminoacidi a base di zolfo (es.

cisteina). I batteri metanigeni possono tollerare concentrazioni di acido solfidrico fino a 1000

mg/kgTS anche se l’effettiva capacità di produrre metano è seriamente compromessa anche a

200 mg/kgTS. La letteratura suggerisce che i solfato-riduttori competano con i metanigeni per

il substrato e che, quindi, un’elevata concentrazione di zolfo ridotto sia un allarme di

sbilanciamento del sistema. In generale le condizioni ottimali per i batteri metanigeni si hanno

per concentrazioni di solfuri tra 8 e 22 mg/kgTS (Hilton & Oleszkiewicz, 1988).

Secondo quanto suggerito da van Velsen (1979) concentrazioni tra 200 e 1500 mg/l di

ammoniaca non dovrebbero avere effetti avversi sulla formazione di metano mentre,

superando i 1500 mg/l, il comportamento del sistema può essere differente a seconda della

capacità di adattamento della biomassa; in generale è stato osservato che concentrazioni di

azoto ammoniacale tra 1500 e 3000 mg/l sono inibenti a pH inferiore a 7.4 mentre

concentrazioni superiori a 3000 mg/l risultano tossiche a qualsiasi valore di pH.

L’instaurarsi di un ambiente di reazione ad elevata salinità può influenzare negativamente il

processo di digestione anaerobica. In letteratura è stata constatata una diminuzione della

velocità di crescita dei batteri metanigeni fino al 50% nel caso di concentrazioni di NaCl da

250 a 500 mM, identificando con quest’ultimo il limite di tollerabilità (Cecchi & Pavan,

1993). L’eccessiva salinità può portare ad un progressivo squilibrio del processo con

accumulo di acidi grassi volatili e blocco parziale ed, eventualmente, totale della

metanogenesi.

Nel caso di batteri metanigeni esposti ad una concentrazione di 2.5 mg/l di cloroformio si è

osservata la completa ripresa della produzione di metano dopo circa due settimane; è

interessante notare, inoltre, che la ripetizione dell’esposizione non ha mostrato nessun effetto

di inibizione dimostrandola capacità di risposta del consorzio batterico allo stimolo negativo

(Speece, 1983).

In alcuni casi la variazione di concentrazione di una sostanza tossica può renderla

biodegradabile: è il caso della formaldeide e del fenolo (utilizzati come disinfettanti) che al di

sotto di 400 e 2000 mg/l rispettivamente vengono velocemente convertire a metano per via

anaerobica.

In generale la tossicità degli ioni metallici è dovuta al fatto che essi inattivano un grande

numero di enzimi interagendo con i loro gruppi sulfidrilici; inoltre la correlazione tra la

presenza di zolfo e la presenza di metalli pesanti è direttamente in relazione con il prodotto di

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Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale

146

solubilità dei rispettivi solfuri: ciò indica che la quantità di zolfo in soluzione influenza in

maniera più o meno sensibile l’effetto tossico degli ioni in soluzione.

Studi eseguiti su digestori anaerobici di RU indicano che vi è una sensibile riduzione di acidi

grassi volatili (da 4000 a 400 mg/l) allorché la concentrazione di ferro viene aumentata

all’interno del digestore stesso. Simili effetti di riduzione della resa in metano possono essere

attribuiti anche ad altri metalli quali zinco (limite tossicità = 160 mg/l), rame (limite tossicità

= 170 mg/l), cromo e cadmio (limite tossicità = 180 mg/l).

Obiettivo fondamentale di qualsiasi strategia di controllo di processo è il mantenimento di

condizioni operative ottimali e stabili.

Nel caso specifico della digestione anaerobica questo concetto diviene particolarmente

significativo dal momento che la fase controllante l’intero processo, cioè la metanogenesi,

risulta particolarmente sensibile alle variazioni ambientali del mezzo di reazione.

Di particolare importanza risultano parametri quali il pH, la concentrazione di acidi grassi

volatili, l’alcalinità, il rapporto tra acidi grassi volatili ed alcalinità, la produzione e

composizione percentuale del biogas, la temperatura .

Occorre comunque rilevare che l’analisi di questi parametri deve essere globale: la variazione

di un singolo parametro, se non accompagnata da un monitoraggio complessivo di tutti gli

altri parametri, risulta difficilmente interpretabile.

Il monitoraggio della quantità e della composizione (almeno in termini di metano e biossido

di carbonio) del biogas è di fondamentale importanza per il controllo della stabilità del

processo di digestione anaerobica (Stafford et al., 1980).

Se il reattore sta operando in condizioni di regime stazionario la produzione e la

composizione del biogas risultano costanti.

Una diminuzione nella produzione complessiva di biogas ed un aumento nella percentuale di

CO2 possono indicare fenomeni di inibizione a danno della componente metanigena dovuti,

ad esempio, all’eccessiva presenza di acidi grassi volatili ed inibizione del processo. Ne

consegue che l’analisi della produzione e della composizione percentuale del biogas dovrebbe

sempre essere associata al controllo di parametri quali la concentrazione degli acidi grassi

volatili e l’alcalinità del mezzo.

Si potrà osservare che in presenza di eccessivi carichi di substrato la percentuale di CO2 tende

a crescere, a scapito della presenza di metano. Tutto ciò in stretta relazione con le variazioni

di concentrazione degli acidi grassi volatili nel mezzo. In particolare si potranno osservare tre

diverse situazioni (IRSA-CNR, 1985):

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Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale

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1. una bassa concentrazione di VFA, unitamente ad una elevata produzione di biogas, in

cui la CO2 si attesti su valori bassi compresi tra il 25-33%, indica che il processo è

stabile e si ha una buona capacità di trasferimento dai batteri acidificanti a quelli

metanigeni;

2. concentrazioni crescenti nel tempo dei VFA, unite ad una produzione di biogas in cui

la presenza relativa della CO2 cresca nel tempo (valori superiori ai 2/3 del biogas

prodotto) indicano che le popolazioni acidificanti stanno prendendo il sopravvento sui

batteri metanigeni e si ha quindi un progressivo accumulo di VFA nel mezzo di

reazione;

3. concentrazioni crescenti di VFA unite a produzioni di biogas progressivamente

decrescenti possono indicare problemi di inibizione o tossicità.

Alcuni autori suggeriscono il monitoraggio dell’idrogeno nel gas ma, data la sua bassa

concentrazione, è una procedura poco utilizzata a livello industriale mentre è maggiormente

diffusa nell’ambito della ricerca scientifica.

Il pH fornisce un’indicazione della stabilità del mezzo di reazione, in quanto una sua

variazione è associata sia alla capacità tamponante del sistema da parte del mezzo di reazione

che a variazioni dell’equilibrio tra le specie che partecipano alla catena trofica dei

microrganismi coinvolti nel processo.

Per valori di pH compresi tra 6.5 e 7.5 il processo di digestione è generalmente considerato

stabile. Il valore del pH in un digestore è determinato essenzialmente dalla presenza di CO2

nel mezzo liquido, e quindi dalla sua pressione parziale nel biogas e dai valori di

concentrazioni degli acidi grassi volatili e dell’ammoniaca. Occorre rilevare che questo

parametro è in grado di indicare condizioni di squilibrio del sistema, ma solo con un certo

ritardo rispetto all’evoluzione dell’effetto tampone del mezzo.

Infatti la variazione di pH appare evidente quando ormai il bicarbonato ha terminato la sua

attività tamponante.

Problemi possono sorgere anche nel caso di innalzamenti eccessivi del pH nel reattore: in

queste condizioni infatti l’equilibrio tra l’ammoniaca e la sua specie protonata, l’ammonio, si

sposta a favore della prima

L’alcalinità rappresenta la capacità di un sistema di neutralizzare protoni ed è generalmente

espressa in termini di concentrazione di carbonato di calcio. Questa viene determinata,

analiticamente, sulla fase liquida presente nel reattore, per titolazione con acido cloridrico.

Valori di alcalinità dell’ordine di 3000-5000 mg CaCO3 per litro sono tipici per i digestori

anaerobici operanti in condizioni stabili.

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Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale

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Durante la titolazione, dapprima fino a pH 6, si satura il sistema tampone imputabile alla

presenza del bicarbonato del sistema e successivamente, proseguendo la titolazione sino a pH

4, vengono titolate tutte le rimanenti basi coniugate, quali gli acidi grassi volatili ed altri

anioni (fosfati, solfuri, silicati ecc.).

La differenza tra le alcalinità determinate a pH 6 e a pH 4 fornisce quindi, in prima

approssimazione, la concentrazione di acidi grassi volatili presenti nel mezzo (IRSA-CNR,

1985). Questo parametro è di fondamentale importanza nei processi anaerobici. Tenendo

infatti presente che i tassi di crescita della biomassa metanigena sono estremamente ridotti

può capitare che, in occasione di un incremento del carico organico, le aumentate capacità

idrolitiche ed acidificanti del sistema determinino uno sbilanciamento della popolazione

batterica a favore della componente acidogenica e, quindi, a sfavore della componente

metanigena. Si avrà, pertanto, una fase transitoria in cui si osserverà un incremento di

concentrazione degli acidi grassi volatili. In questi casi risulta fondamentale la capacità

tamponante del sistema, che deve essere in grado di neutralizzare l’abbassamento di pH

determinato dall’accumulo degli acidi organici.

L’alcalinità di un digestore anaerobico è determinata essenzialmente dalla presenza di un

sistema tampone dovuto alla coesistenza di ammoniaca, originata dalla degradazione di

proteine, e di bicarbonato, derivante dalla dissoluzione del biossido di carbonio nel mezzo.

L’interazione del biossido di carbonio con la fase liquida e la conseguente formazione del

sistema tampone determinato dalla contemporanea presenza di acido carbonico ed ammonio

prende il nome di sistema calco-acetico.

Si ha, in generale, la formazione di NH4HCO3:

HHCOOHCO 322+− +→+ (4.10)

3443 HCONHNaHCO →+ +− (4.11)

La presenza di questo sale disciolto in soluzione porta ad una elevata alcalinità del mezzo con

conseguente controllo del processo anche nel caso di un accumulo di acidi grassi volatili. Gli

acidi grassi volatili vengono rappresentati dalla formula generale R-COOH dove R è un

gruppo alchilico del tipo CH3(CH2)n.

In generale i batteri idrolitici ed acidificanti producono, nel corso del processo di digestione

anaerobica, acidi grassi volatili in cui R contiene tra 0 e 3 atomi di carbonio (acidi grassi a

catena corta).

Il livello di concentrazione degli acidi volatili, generalmente espresso in termini di acido

acetico o di COD, dipende dal tipo di substrato trattato, e varia da circa 200 fino a 2000 mg/l

come acido acetico.

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Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale

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Di norma non è la concentrazione assoluta ad essere assunta come parametro di stabilità ma

piuttosto la variazione di concentrazione: variazioni repentine con incremento della

concentrazione indicano che il processo sta scivolando verso processi acidogenici piuttosto

che metanigenici.

In generale si può osservare che un incremento degli acidi volatili è conseguente ad un

aumento di carico di substrato da trattare che determina l’accelerazione dei fenomeni idrolitici

ed acidogenici con conseguente sbilanciamento della catena trofica e variazione del sistema

verso condizioni di basso pH a seguito dell’esaurimento della capacità tamponante del mezzo.

Il valore di concentrazione degli acidi grassi volatili non va disgiunto dal dato della

produzione del biogas e dalla sua composizione, oltre che dai dati relativi a pH ed alcalinità.

La concentrazione degli acidi grassi volatili e l’alcalinità sono i due parametri che mostrano

una più rapida variazione quando il sistema tende ad allontanarsi da condizioni di stabilità.

Dal momento che, in caso di problemi, la concentrazione degli acidi grassi tende ad

aumentare mentre l’alcalinità tende a diminuire, un utile parametro da considerare è il

rapporto tra queste due grandezze. Valori del rapporto intorno a 0.3 indicano una operatività

stabile del digestore, mentre valori superiori possono indicare l’insorgere di problemi di

stabilità.

Dato che i processi di degradazione anaerobica sono determinati dall’attività di popolazioni

microbiche eterogenee l’effetto delle variazioni di temperatura è particolarmente importante.

Ciò è imputabile al fatto che, al variare della temperatura, non si avrà un semplice

rallentamento o accelerazione dei processi metabolici ma la vera e propria sostituzione di

popolazioni batteriche, che risultano presenti solo in alcuni ristretti intervalli di temperatura.

Variazioni di soli 2-3°C possono influire sulle prestazioni generali del processo, specialmente

in prossimità dei limiti dell’intervallo operativo. Ne deriva la necessità di controllare con

particolare accuratezza i sistemi di controllo per il funzionamento dei dispositivi di

riscaldamento. E’ stato riscontrato che i processi di digestione anaerobica in regime mesofilo

mostrano le migliori produzioni di biogas in intervalli di temperatura compresi tra i 30 ed i

35°C, mentre nel caso di processi termofili l’intervallo si allarga e varia tra i 40 ed i 60°C. In

generale si può osservare che, all’interno dell’intervallo ottimale, la produzione di biogas e la

rimozione di substrato incrementano al crescere della temperatura.

Un tipico esempio di degradazione anaerobica di un substrato organico puro è rappresentato

dalla digestione anaerobica del glucosio. In questo caso si ha un primo passaggio in cui il

glucosio viene convertito ad acido acetico ed un successivo in cui l’acido acetico viene

ulteriormente degradato a metano e biossido di carbonio:

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Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale

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COOH3CHOHC 36126 → (4.12)

243 COCHCOOHCH +→ (4.13)

La reazione globale è:

246126 3CO 3CHOHC +→ (4.14)

Nel caso di proteine, come ad esempio la cisteina, si avrà:

COOHCHSHNH6CO4CHOHNSOH4C 323242273 ++++→+ (4.15)

Mentre l’equazione complessiva di degradazione di un acido grasso è data da:

242zyx z/4)COy/8-(x/2z/4)CH-y/8(x/2OH)2/4/(OHC +++→−−+ zyx (4.16)

Per quanto concerne invece la formazione del metano si hanno due possibili meccanismi

alternativi. In un caso il CH4 si forma in seguito alla riduzione del carbonio della CO2 secondo

la seguente reazione complessiva:

O2HCH4HCO 2422 +→+ (4.17)

Nell’altro meccanismo si ha formazione di metano a spese del gruppo metilico presente in

substrati organici a basso peso molecolare (acido acetico) attraverso una reazione di

transmetilazione:

233 CO2HCHRHRCOOHCH ++−→−+ (4.18)

HRCH2HCHR 43 −+→+− (4.19)

Globalmente:

243 COCHCOOHCH +→ (4.20)

Nella Tabella 4.7 è rappresentata la quantità di biogas ottenibile dai vari costituenti dei rifiuti

lignocellulosici: Tabella 4.7 Rendimenti in biogas di carboidrati, proteine, grassi.

CH4 (l/kg)

CH4 (%)

Carboidrati 790 50

Proteine 705 71

Grassi 1250 68

A temperatura e pressione standard, 0°C e 1 atm, ad ogni Kg di COD corrispondono 0.35 m3

di metano.