Atomi e molecole 2

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MOLECOLE FISICA/ MENTE ATOMI E MOLECOLE Dalle prime idee sulla costituzione atomica e sulle forze interatomiche alla struttura dell'atomo e delle molecole secondo la fisica dei quanti PARTE 2: MOLECOLE Piano della Parte 2 file:///C|/$A_WEB/MOLECOLE.htm (1 of 140)26/02/2009 17.34.51

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MOLECOLE

FISICA/MENTE

ATOMI E MOLECOLE

Dalle prime idee sulla costituzione atomica e sulle forze interatomiche alla struttura dell'atomo e delle molecole secondo la fisica dei quanti

PARTE 2: MOLECOLE

Piano della Parte 2

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1 - Introduzione

Abbiamo studiato gli atomi. Ma la gran parte delle sostanze che ci circondano sono formate da gruppi di atomi (o molecole), scindendo i quali si hanno delle sostanze con delle caratteristiche diverse da quelle della sostanza considerata.

Come abbiamo già ricordato fu Democrito il primo ad intuire che la materia fosse composta da atomi. Ma Democrito credeva che ogni sostanza diversa esistente fosse formata da atomi di diverso tipo: tante sostanze diverse, tanti atomi diversi. Un contemporaneo di Democrito, Empedocle, sviluppò ulteriormente l'idea dello stesso Democrito. Egli sosteneva che vi sono solo poche specie di atomi diversi, i quali, combinandosi insieme in vari modi originavano tutti gli oggetti che ci è possibile osservare nell'universo. Empedocle riteneva che solo quattro fossero le specie di atomi costituenti tutte le sostanze: atomi di terra, atomi di aria, atomi di fuoco ed atomi di acqua.

Questi atomi erano tenuti insieme dall'amore, si disgregavano a causa dell'odio. Queste due entità, amore ed odio, governavano tutti i cam pi delle umane attività.

Queste idee vennero in qualche modo riprese dagli alchimisti alessandrini (~ 300 d.C.) e dagli alchimisti dell'Islam orientale (~ 800 d.C.). Le premesse fondamentali dell'alchimia, che hanno probabilmente origine alessandrina (~ 100 d.C.) si possono così riassumere:

1) Tutte le materie sono formate da alcuni componenti, i quattro elementi di Empedocle, in varie mescolanze tra loro.

2) Vi è una scala di nobiltà e purezza degli elementi. Il più nobile è l'oro; segue l'argento.

3) E' possibile che un metallo si trasformi in un altro metallo mutando il rapporto quantitativo dei quattro elementi che lo costituiscono.

4) Si può ottenere un metallo nobile da uno vile, impregnando il metallo vile di una sostanza preziosa spesso chiamata il quinto elemento (quintessenza) o elisir.

Il lavoro degli alchimisti consistette in una serie di osservazioni pratiche sulla formazione di vari composti ottenuti miscelando, riscal dando, distillando e con altri procedimenti.

Gradualmente furono isolate e catalogate circa 90 sostanze (elementi) che non potevano essere decomposte ulteriormente e furono descritte centinaia di sostanze (composti) ottenute come combinazione delle prime.

Nasce così la prima definizione di molecola (da molecula = piccola massa. Il nome ed il concetto di molecola furono coniati intorno al 1618 dal medico francese Daniel Sennert): la più piccola par te di una sostanza che ha in sé tutte le proprietà della sostanza.

Una ulteriore estensione di questa idea a molecole formate da atomi della stessa specie (H2 , N2 , O2 ...)

fu fatta da Avogadro come del resto abbiamo già detto nella prima parte di questo lavoro. Negli ultimi cento anni sono state catalogate molte centinaia di molecole e sono state stabilite con precisione le loro costituzioni atomiche. Sono state inoltre trovate molte leggi empiriche riguardanti i tipi di molecole che certi atomi possono entrare a formare.

2 - Le prime idee sulle forze chimiche. Van der Waals

La prima volta che venne avanzata l'ipotesi che le forze che tengono uniti gli atomi tra loro per formare le molecole (le forze chimiche) sono di natura elettrica, fu agli inizi del diciannovesimo secolo.

I primi indizi di questa idea si ebbero proprio nel 1800 quando Nicholson e Carlisle riuscirono a

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decomporre l'acqua in idrogeno ed ossigeno mediante il passaggio attraverso essa di una corrente elettrica (il fenomeno è quello noto come elettrolisi su cui si iniziò a lavorare, subito dopo la realizzazione della pila da parte di Volta nel 1799). "Se una corrente elettrica riesce a decomporre delle molecole, l'elettricità deve essere alla base delle forze che tengono legati gli atomi costituenti le molecole stesse": questa era l'idea al suo nascere.

In questo senso si mosse anche, nel 1807, Sir Humphry Davy, il quale, cercando di interpretare alcuni fatti sperimentali (la separazione del sodio dalla soda caustica e del potassio dalla potassa caustica) avanzò l'ipotesi che le forze che legano gli atomi nelle combinazioni chimiche sono di natura elettrica.

Nella sua teoria elettrochimica Davy sostenne le seguenti idee:

1) II contatto fra le particelle, capaci di combinarsi chimicamente, produce la loro elettrizzazione (per contatto queste particelle assumono cariche elettriche di segno opposto).

2) II fatto che particelle si combinino chimicamente consiste in un pareggiamento delle cariche elettriche opposte; il legame chimico si stabilisce tanto più rapidamente quanto più grande è la differenza tra queste cariche.

3) Se una corrente elettrica attraversa un composto, i componenti si separano riacquistando la loro polarità elettrica (negli esperimenti di elettrolisi le cariche positive vanno sull'elettrodo negativo e le cariche negative vanno sull'elettrodo positivo) .

4) Gli elementi hanno maggiore affinità chimica (disponibilità a combinarsi) se hanno maggiore polarità elettrica e viceversa.

5) I processi chimici sono sempre in stretta relazione con i processi elettrici.

Anche Berzelius (1812) si convinse della fondatezza di questa teoria e la sviluppò introducendo nuovi concetti nella chimica. Egli ipotizzò che gli atomi fossero costituiti da una carica positiva e da una negativa (teoria dualistica). Chiamò elettropositivi gli atomi con un eccesso di carica positiva e elettronegativi quelli con un eccesso di carica negativa.

Questa teoria non riusciva però a spiegare alcuni fatti molto importanti (tra cui le leggi dell'elettrolisi di Faraday e alcune questioni inerenti la chimica organica), venne quindi abbandonata per molti anni, fino a quando, nel 1881, Helmholtz non la riprese in un suo lavoro.

Nel frattempo, nel 1873, si stava laureando all'università di Leida in Olanda il non troppo giovane fisico J. D. Van der Waals (era nato nel 1837). Il suo lavoro di tesi riguardava la continuità dello stato liquido e gassoso (e fu pubblicato poi, tradotto in tedesco, a Lipsia nel 1881). Cerchiamo di vedere in un certo dettaglio il lavoro di Van der Waals, tentando di apprezzarne tutta la portata per i futuri sviluppi della fisica.

Sappiamo già che la legge (1660) di Boyle-Mariotte [a temperatura costante la pressione P esercitata su di un gas è inversamente proporzionale al volume V occupato dal gas: PV = K] , la legge (1787) di Charles [se si riscalda un gas, a volume costante, la sua pressione aumenta secondo la relazione: Pt = P0 (1 + αt), dove

α (1)è una costante] e la legge (1804) di Gay Lussac [se si riscalda un gas, a pressione costante, il suo volume aumenta secondo la relazione: V = V0(1 + αt), dove α è una costante] che trovano una loro espressione

comune nella formula:

pV = p0V0 (1 + αt) => pV = nRT(3) (equazione di stato dei gas perfetti)

si deducono assai semplicemente (come per la legge di Boyle abbiamo già visto) dall'ipotesi di Bernouilli (1797) sulla costituzione dei gas. Per arrivare però a questo risultato si fa una sensibile approssimazione considerando i gas come perfetti, tali cioè che:

1) non esistano forze di attrazione tra le molecole che compongono i gas;

2) le molecole del gas possono essere rappresentate da punti senza dimensioni (abbiamo, cioè, dimensioni nulle e quindi volume nullo).

Ma in realtà non esistono gas perfetti, tutti i gas sono reali: le molecole del gas esercitano tra di loro

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una debole forza di attrazione ed inoltre queste molecole hanno delle dimensioni diverse da zero, hanno cioè volume. E quando , ad esempio, facciamo il conto che fece Bernouilli nel 1797 (vedi Parte 1) [considerando una massa gassosa contenuta in un recipiente cubico e ammettendo implicitamente che il cammino percorso da una particella che si sposta perpendicolarmente da una parete del recipiente a quella opposta è strettamente uguale alla distanza che separa le due pareti] non teniamo in considerazione il volume della particella.(3) Infatti, per fare un conto più preciso, dovremmo sottrarre alla distanza che separa le due pareti del recipiente il diametro della particella (supposta sferica):

La linea continua corrisponde al percorso effettuato da una particella

secondo il conto fatto da Bernouilli; la linea tratteggiata corrisponde, invece,

al percorso effettivo della particella, quando si tiene conto del suo volume.

Van der Waals ha modificato l'equazione, che abbiamo vista più su, tenendo conto delle correzioni alle quali abbiamo accennato, ed ha ottenuto in sua vece l'equazione:

(p + a/V2)(V - b) = nRT (4)

Nell'espressione che abbiamo scritto la quantità b è un valore costante per ogni tipo di gas e risulta misurabile sperimentalmente, a è anch'esso costante e misurabile sperimentalmente.

Cerchiamo di interpretare da un punto di vista microscopico il significato dell'equazione di Van der Waals.

Le molecole hanno un volume proprio. La somma b dei volumi del le singole molecole costituenti il gas deve essere sottratta al volume V del gas: e questo perché si possa ottenere l'effettivo volume (V - b) che le molecole del gas hanno a disposizione.(5) Inoltre le molecole esercitano, l'una sull'altra, una debole attrazione e questo fatto aumenta di una quantità p' = a/V2 la pressione che si esercita sul gas: infatti le molecole che si trovano sulla superficie che delimita il volume del gas sono attratte dalle molecole che si trovano più internamente e ciò origina una forza diretta verso l'interno.(6) Vediamo meglio questo fatto.

Supponiamo di avere una molecola all'interno del volume occupato dal gas. Su di essa si eserciteranno delle forze (sulla cui natura e sulla cui legge di variazione con la distanza non facciamo per ora alcuna ipotesi) da parte delle molecole vicine. La risultante di queste forze, su questa molecola interna, è però nulla, in quanto in media questa molecola sarà circondata simmetricamente da un certo numero di altre molecole:

La molecola non sarà allora in alcun modo influenzata da quelle vicine.

Supponiamo ora di avere una molecola vicina alla superficie che delimita il volume occupato dal gas. Le molecole che la circondano, e che esercitano forze su di essa, non saranno più disposte simmetricamente intorno alla molecola stessa:

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Le forze non si faranno allora più equilibrio ed avranno una risultante, non nulla, diretta verso l'interno. Questa forza risultante agisce sulla molecola in modo tale da rallentarne l'urto contro la parete del recipiente.

Ricordando che sono proprio gli urti delle particelle costituenti un gas, contro le pareti del contenitore, che originano la pressione, si capisce subito che, diminuendo l'intensità di questi urti, si diminuisce la pressione esercitata dal gas.

E proprio questo è il significato del termine a/V2, introdotto nell'equazione di Van der Waals.

Si possono allora cominciare a trarre delle prime conclusioni:

il termine p' = a/V2 è responsabile delle forze attrattive tra le molecole, mentre il termine b è in qualche modo responsabile della repulsione tra le molecole (il volume proprio occupato dalle molecole fa si che queste al massimo possono essere avvicinate fino a toccarsi: impenetrabilità della materia). (7)

Abbiamo riportato con maggiori dettagli l'opera di Van der Waals perché essa fu gravida di conseguenze. Grazie alla sua equazione (ed alle ipotesi da lui fatte relative alla pressione interna ed al covolume) da quel momento le deboli forze di attrazione che si esercitano tra le molecole a breve distanza e le notevoli forze di repulsione che si esercitano tra le stesse a brevissima distanza presero il suo nome (forze di Van der Waals).

In quegli anni nulla si sapeva sulla natura di queste forze, ol tre all'ipotesi, che si faceva, che fossero di natura elettrostatica.(8) Ma da allora, appunto, le azioni che si esercitano tra le molecole in un aggregato qualsiasi, e che abbiamo citato qualche riga più su, sono chiamate forze di Van der Waals.

Ancora oggi la natura di queste forze non è completamente chiara, anche se si sono fatti dei buoni passi avanti.

Tra qualche pagina affronteremo una discussione più dettagliata di queste forze inserendole nel contesto storico in cui cominciarono ad avere una spiegazione.

Intorno al 1885 gli studi sull'elettrolisi si erano arricchiti di una notevole mole di esperienze ed Arrhenius in una sua teoria sulla dissociazione elettrolitica avanzò l'ipotesi secondo cui i sali diluiti in soluzioni acquose sono dissociati in ioni positivi e negativi. (Questa teoria venne adottata ed ampliata successivamente, nel 1891, da Werner il quale introdusse nel problema i concetti di valenza principale e di valenza ausiliaria).

Un notevole impulso alle teorie che volevano di natura elettrica il legame tra atomi nella formazione delle molecole venne dopo il 1897 quando J.J.Thomson scoprì l'elettrone misurandone la carica e la massa con una certa precisione. Il fatto che l'elettrone fosse un costituente comune di tutti gli atomi aprì nuove entusiasmanti prospettive.

Lo stesso Thomson sviluppò (1907) una teoria del legame chimico(10) basata appunto sul fatto che gli elettroni dovevano avere una parte preponderante nella formazione dei legami tra atomi. Thomson sosteneva che vi sono degli atomi elettropositivi e degli atomi elettronegativi. Sono elettropositivi quegli atomi che perdendo degli elettroni riescono a raggiungere una configurazione stabile; elettronegativi quelli che raggiungono questa stabilità di configurazione acquistando degli elettroni degli atomi vicini.

Su questa strada si mossero, all'incirca nello stesso periodo: Abegg (1904), Ramsay (1908), Falk e Nelson (1910 ÷1918), Bray e Branch (1915) ed altri chimici e fisici.

Intorno al 1914 si ebbe poi ancora un contributo di J.J.Thomson il quale studiando vari tipi di molecole le distinse in molecole polari(10) (quelle del tipo NaCl = cloruro di sodio = sale da cucina) e molecole non polari (quasi tutte quelle costituenti le sostanze organiche). Inoltre precisò alcuni concetti collegati alla sua precedente teoria del legame chimico: la valenza elettropositiva dell'atomo in un elemento è uguale al numero di elettroni che questo atomo può perdere facilmente, la valenza elettronegativa è invece uguale alla differenza tra il numero otto e la valenza elettopositiva.

Un notevole passo avanti, nella soluzione del problema del legame chimico, fu fatto dopo che Bohr nel 1913 propose il suo modello atomico.

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Nel 1916 i due fisici W.Kossel (tedesco) e G.N.Lewis (statunitense) svilupparono una teoria che oggi è conosciuta come teoria elettronica del legame chimico. In particolare W.Kossel, studiando le molecole polari (quelle ionizzabili, quelle cioè a cui possono essere tolti elettroni con facilità), elaborò la teoria del legame ionico; G.N.Lewis, per tener conto della formazione delle molecole non polari, sviluppò invece una seconda teoria (notevolmente estesa da I. Langmuir nel 1919), quella del legame covalente.

Va detto comunque che la natura delle forze che entrano in gioco in questi legami rimane oscura. Bisognerà aspettare la meccanica quantistica (dal 1926 in poi) per avere una soluzione di que sto problema.

Vediamo un poco più da vicino questi due tipi di legame tra atomi, ricapitolando prima un poco sull'atomo di Bohr e sul principio di Pauli.

3 - Legame ionico e legame covalente

Come abbiamo già detto il modello di Bohr, a cui applichiamo il principio di Pauli (su un livello energetico vi possono essere al massimo due elettroni se hanno spin opposti), raccoglie in gruppi tutte le orbite che possono essere occupate da elettroni (orbite permesse), ciascuno dei quali viene ad occupare uno strato nello spazio che circonda il nucleo dell'atomo. Questi strati possono contenere un numero limitato di elettroni; per esempio lo strato più interno, formato da un solo livello energetico (1 s) può contenere al massimo due elettroni; lo strato successivo, formato da quattro livelli energetici (2s, 2px, 2py, 2pz), può

contenere al massimo otto elettroni. Nella tabella seguente sono riportati da un lato il diagramma dei valori delle energie dei livelli energetici - elettronici che si hanno intorno al nucleo [le riquadrature indicano i vari gruppi di livelli che formano i successivi strati] , dall'altro il numero degli elettroni che al massimo si possono trovare in ogni strato:

In questo schema ci interessa solo l'ordine di successione dei livelli dal basso in alto,

e non il valore numerico della loro energia che non potrebbe essere precisato se non

atomo per atomo. Il disegno non è fatto in scala e può valere per molti elementi.

La successione degli elementi atomici nella tavola periodica presenta il riempimento successivo di questi strati da parte degli elettroni.

Vediamo qualche esempio.

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Il primo elemento della tavola periodica è l'idrogeno che ha un solo elettrone il quale si troverà sul livello 1s nello strato K. Il secondo, l'elio, ha due elettroni che si troveranno sul livello 1s nello strato K (il quale risulterà completo). Il terzo, il litio, ha tre elet troni, due dei quali si troveranno sullo strato K riempiendolo, mentre il terzo si troverà nel livello 2s dello strato L.

Si va avanti così fino al neon che ha 10 elettroni due dei quali completano lo strato K, i rimanenti otto, invece, completano lo strato L. Con il sodio, 11 elettroni, completati gli strati K ed L, un elettrone andrà ad occupare un livello energetico dello strato M.

Si va così avanti via via riempiendo i livelli energetici più vicini al nucleo.

Con il raffinarsi del modello atomico descritto, si trovò il modo di usarlo per spiegare le regole chimiche della valenza.

Il fatto che i gas nobili non entrano con facilità in legami chi mici con altri elementi attirò l'attenzione di Kossel sul fatto che gli atomi sono particolarmente stabili quando i loro strati elettronici sono completi, così che, per raggiungere questa stabilità, un atomo cercherà di acquistare o perdere elettroni.

Gli elettroni che si trovano nell'ultimo strato dell'atomo sono gli elettroni di valenza.

Nel caso del doro (Cl), lo strato più esterno è mancante di un elettrone per essere completo. Il cloro quindi, per la sua stabilità, cercherà di unirsi con un atomo che nel suo strato esterno ha un solo elettrone. II sodio (Na) ha un solo elettrone nel suo strato più esterno e tenderà quindi a perderlo con facilità per rimanere con lo strato immediatamente più interno completamente occupato. Il cloro ed il sodio si uniranno quindi con facilità originando il cloruro di sodio (NaCl o sale da cucina). Il cloro ed il sodio si legano quindi con un legame particolare: quello ionico.

4 - Legame ionico (Kossel).

La teoria di Kossel del legame ionico spiega la formazione degli ioni e l'unione di ioni positivi (atomi a cui mancano elettroni) e negativi (atomi che hanno degli elettroni in più) mediante la forza di attrazione coulombiana.(11)

Nel legame ionico si ammette il passaggio di elettroni da un atomo ad un altro.

Supponiamo di avere un elemento (ad es. il sodio Na) che abbia sull'ultimo strato un numero di elettroni inferiore a quattro ed un al tro elemento (ad es. il doro Cl) che abbia sull'ultimo strato un numero di elettroni superiore a quattro. Poiché la configurazione più stabile è quella in cui un atomo ha il suo ultimo strato completo di elettroni e poiché quest'ultimo strato è generalmente completo quando ha otto elettroni, è evidente che l'atomo con un numero di elettroni inferiore a quattro sull'ultimo strato tenderà a perderli, mentre l'atomo che ha un numero di elettroni superiore a quattro nell'ultimo strato tenderà ad acquistarne in numero tale da far si che quest'ultimo strato risulti completo (cioè con otto elettroni). Questa configurazione risulterà molto stabile (si sarà formata una molecola di NaCl).

Vediamo più in dettaglio, come esempio, il caso della molecola, più volte citata, di cloruro di sodio (NaCI).

Nella formazione del cloruro di sodio, il metallo (Na) che, come tale, possiede meno di quattro elettroni di valenza (uno soltanto), si ionizza, perde cioè l'unico elettrone che possedeva nell'ultimo strato, acquistando di conseguenza una carica positiva (Na+); il non metallo (Cl) che ha nell'ultimo guscio sette elettroni di valenza, assume l'elettrone perduto dal metallo (Na) e diviene anch'esso uno ione, dotato però di una carica negativa (Cl-). Fra i due ioni, che possiedono entrambi una carica elettrica, ma di segno opposto, si esercita una forza elettrostatica (la forza di Coulomb) che li tiene uniti, formando un legame tra ioni, un legame, cioè, ionico. In questo processo, naturalmente, è necessario che il numero degli elettroni perduto da una specie atomica sia uguale a quello acquistato dall'altra specie (è necessario quindi un atomo di sodio ogni atomo di cloro) .

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Un altro tipo di legame, per mezzo degli elettroni (e quindi originato da una forza di tipo elettrico), tra gli atomi si realizza, secondo la teoria di Lewis e Langmuir, nell'unione di due o più atomi nella formazione di un composto non polare(12) (come ad esempio nelle molecole più semplici: H2 , Cl2 , O2 ). In questo caso,

poiché non si formano ioni, il legame è detto non polare (o covalente).

5 - Legame covalente (Lewis-Langmuir)(13)

Nella molecola composta (ad esempio) da atomi di uno stesso elemento, i singoli atomi, uguali fra loro, per raggiungere il riempimento completo dell'ultimo strato, mettono in comune (appunto in questo ultimo strato) uno o più elettroni.

Secondo la spiegazione data parlando del principio di Pauli, gli atomi dovrebbero tendere a respingersi, poiché, quando essi si avvicinavano, gli elettroni, per evitare di occupare stati già occupati, devono portarsi in stati ad energia più elevata; tenendo conto però che alcuni livelli energetici (meglio: alcuni strati) sono incompleti, il legame si forma attraverso questi livelli energetici. Quando gli strati più esterni degli atomi sono completi, l'eventuale legame dovrebbe avvenire mediante livelli di energia superiore a quelli degli strati completi; se, però, l'energia necessaria per portare gli elettroni a livelli ener getici superiori è considerevole, la repulsione tra gli atomi impedisce la formazione del possibile legame; è questo il caso degli strati completi dei gas nobili (o inerti) a cui abbiamo già accennato.(14)

6 - Ritorniamo a Van der Waals. Legame tra molecole.

Come avevamo accennato, parlando di Van der Waals, la natura delle forze, che si esercitavano tra molecole originando la loro attrazione (a/V2) e la loro repulsione (b) non era affatto chiara. Si cer cò quindi per diversi anni di spiegare la natura delle forze di Van der Waals.

Nel 1885 Boltzmann, riprendendo un lavoro di J.C.Maxwell (1868),(15) iniziò ad affrontare il problema dell'esatta natura di queste forze, studiando il loro campo di azione e la loro dipendenza dalla distanza tra le molecole. Il lavoro di Boltzmann non portò degli utili risultati; egli costruì comunque un modello in termini di energia (una buca di potenziale in tre dimensioni con barriere verticali) che, secondo lui, avrebbe spiegato i fatti sperimentali fino ad allora conosciuti.

Nel 1886 cominciò a studiare il problema W.Sutherland, il quale provò ad applicare ai molti dati sperimentali che aveva a disposizione una legge che fornisce la forza F di attrazione tra due molecole di massa m 1 ed m2 ad una distanza r:(16)

F = A.(m1m2)/r4

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(dove A è un parametro che varia da sostanza a sostanza) questa legge gli era stata suggerita da precedenti lavori di Laplace (Teoria generale dell'azione capillare - 1806) e di Gauss (Principia Generalia - 1830). Sutherland, operando in questo modo, riuscì a spiegare alcuni fatti sperimentali (ad esempio: l'azione capillare e l'effetto Joule-Thomson (leggi: Kelvin) relativo ad un gas fortemente compresso che attraversa una parete porosa raffreddandosi: effetto che dimostra che la coesione tra i gas non è nulla).

Qualche anno dopo, nel 1893, lo stesso Sutherland ipotizzò qual cosa di più interessante per gli sviluppi futuri. Egli stabilì una stretta e generale correlazione tra il parametro A della sua formula con la polarizzabilità(17) degli atomi delle sostanze che agiscono per formare le molecole, e, di conseguenza, provò a studiare le forze interatomiche ed intermolecolari tenendo conto dell'intrinseca struttura degli atomi e delle molecole interessati ai fenomeni.

Ancora Sutherland, nel 1902, sviluppò ed ampliò le precedenti idee. Intanto, nello stesso periodo (tra il 1901 ed il 1903), anche il fisico M.Reniganum si stava interessando al problema. Sutherland ed, indipendentemente, Reniganum ipotizzarono che le molecole neutre trasportano delle cariche elettriche positive e negative che sono concentrate interamente o parzialmente in due punti. Ragionando in questi termini, per la forza di attrazione tra le molecole, si trova che questa forza varia con la distanza tra le molecole come 1/r4 . Niente però dava ragione a questo andamento. Molti altri fenomeni erano bene spiegati da leggi empiriche con andamenti 1/r5 e 1/r6 (questi fenomeni erano stati studiati, mediante l'applicazione di queste leggi empiriche, sempre da Sutherland tra il 1886 ed il 1893).

Con lo stesso metodo di Sutherland (utilizzando cioè una legge di forza, scelta allo scopo, ed andando ad analizzare poi i dati sperimentali al variare di alcuni parametri che compaiono nella legge) lavorarono più tardi, dal 1924 in poi, anche J. E. Lennard e Jones ed i loro assistenti.

I due fisici usarono una legge in cui erano considerate le forze attrattive e quelle repulsive oltre a dei parametri, modificando i quali dal confronto con i dati sperimentali, si arrivava ad un aggiustamento dell'intera legge.

La legge da loro usata era della forma:

dove il primo termine rappresenta la forza repulsiva; il secondo la forza attrattiva; A, B, n ed m (con n > m)(18) sono i parametri da modificare via via; r è la distanza tra gli atomi o le molecole che si considerano; F è la forza risultante.

Anche per Lennard e Jones le costanti A e B, diverse per diverse sostanze, erano in qualche modo legate alla struttura intrinseca degli atomi e delle molecole (in particolare alla loro polarizzabilità).

Con questo metodo si sono ottenuti dei buoni risultati.

7 - Diagrammi di energie e forze relativi a molecole

Vediamo ora meglio, aiutandoci con un grafico, il significato di una legge di tipo or ora visto.

Supponiamo di avere tanti atomi (o molecole) in moto rapido e casuale (è quanto si verifica, ad esempio, in un gas). L'energia del moto è l'energia cinetica mentre la temperatura è la misura dell'energia cinetica di questi atomi (o molecole).

Quando due atomi (o molecole), si avvicinano tra di loro considerevolmente rispetto agli altri atomi (o molecole), allora c'è la possibilità che si formi un legame chimico. Supponiamo che questi due atomi (fissiamo le idee su due atomi) si possano rappresentare come due sfere rigide,(19) vediamo cosa succede, in termini di energia (e di forza),(19) quando questi due atomi si avvicinano tra di loro fino ad arrivare a contatto. Costruiamoci dei grafici:

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Nella figura: r rappresenta la distanza fra i centri degli atomi. Le curve tratteggiate ed indicate con 1 danno la parte attrattiva. La curva tratteggiata ed indicata con 2 dà la parte repulsiva. Il punto indicato con 3 dà la parte repulsiva (questo punto si trova ad una F = ∞). Le curve a tratto continuo (compreso il punto di cui prima) indicate con 3 danno l'effetto risultante. [Riguardo al punto indicato con 3 c'è da dire che, al momento del contatto tra i due atomi, c'è una forza di repulsione infinita e questa forza infinita è rappresentata, appunto dal punto indicato con 3J. La re è di equilibrio. Intorno a questo valore di r la

molecola compie delle piccole oscillazioni di origine termica. La quantità D riportata in figura rappresenta l'energia necessaria per dissociare la molecola: questa energia è tanto più piccola quanto più piccolo è il valore di D. Più è grande D più la molecola è stabile.

I grafici di figura rappresentano la seguente situazione: a grandi distanze(20) i due atomi esercitano una debole attrazione l'uno sull'altro; questa forza di,.attrazione diminuisce molto rapidamente con l'aumenta re della distanza;(21) se gli atomi si avvicinano la forza di attrazione cresce e raggiunge il valore massimo quando le due sfere rigide si toccano; un tentativo di avvicinamento ulteriore comporta una violenta (infinita) repulsione (completa impenetrabilità della materia).(22) Quando due atomi entrano nella composizione di una molecola si stabiliscono nella buca di energia potenziale che appare disegnata in figura,compiendo delle piccole oscillazioni, di origine termica, intorno alla posizione (re ) di equilibrio.(23)

Consideriamo ora questi due atomi che si avvicinano, secondo il modello atomico di Bohr-Pauli (modello atomico di Bohr con l'introduzione del principio di Pauli).

In questo caso, in termini di forza e di energia, si hanno i grafici seguenti:

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(a)- Curva dell'energia potenziale di una molecola biatomica in funzione della distanza r tra i nuclei degli atomi che la costituiscono. La curva 1 è relativa alla repulsione; la curva 2 all'attrazione; la curva 3 è quella risultante. Il punto di ascissa re

è quello di equilibrio:la molecola che si forma vibra intorno a questa posizione. (b)-Curva della forza che si esercita tra due atomi costituenti una molecola biatomica in funzione della distanza r tra i nuclei. La curva 1 è relativa alla repulsione; la curva 2 all'attrazione; la curva 3 è quella risultante. II punto di ascissa rm

è quello di massima forza attrattiva tra le molecole.

I grafici di figura precedente rappresentano la seguente situazione: a grandi distanze i due atomi esercitano una debole attrazione l'uno sull'altro; questa forza di attrazione diminuisce molto rapidamente con l'aumentare della distanza; se gli atomi si avvicinano la forza di attrazione cresce e raggiunge il valor massimo per un dato valore (rm), sempre piccolissimo, della distanza fra i nuclei atomici; un avvicinamento

ulteriore comporta una diminuzione dell'attrazione ed infine, ad una distanza A (sull'ascissa di figura, chiamata distanza di equilibrio), ten de a zero. Quando due atomi entrano nella composizione di una molecola si stabiliscono nella buca di energia potenziale che appare disegna ta in figura, compiendo piccole oscillazioni, di origine termica, intorno alla posizione di equilibrio. Per una distanza tra gli atomi minore di A si ha il sorgere di forze di repulsione che crescono molto rapidamente e rendono praticamente impossibile l'avvicinamento ulteriore dei due atomi.[Forze molto simili a quelle agenti tra gli atomi agiscono tra molecole. Le caratteristiche essenziali dell'attrazione tra molecole sono ancora rappresentate dalla curva dell'energia potenziale e dalla curva della forza tracciata per gli atomi (va tuttavia osservato che tra i due tipi di attrazione vi sono differenze sostanziali come risulterà implicitamente da quanto diremo oltre].

Confrontiamo in un dettaglio le due ultime figure . Se gli atomi fossero, come avevamo ipotizzato per la costruzione dei grafici della prima, delle sfere rigide, la forza di repulsione che si eserciterebbe tra di essi sarebbe nulla nel caso in cui la distanza tra i due atomi fosse maggiore della somma dei raggi delle due sfere; questa forza sarebbe in vece infinita nel caso in cui la distanza tra i due atomi fosse minore della somma dei raggi delle due sfere. Nell'ultima figura abbiamo invece visto che, con l'introduzione dell'atomo di Bohr-Pauli, la curva risultante ha un andamento continuo e regolare. Questo fatto suggerisce che gli atomi non sono completamente impenetrabili. In ogni caso l'impenetrabilità della materia, che si manifesta nella piccola compressibilità dei solidi e dei liquidi, può essere considerata come conseguenza del principio di Pauli che origina, appunto, le notevoli forze repulsive ad una piccolissima distanza tra gli atomi costituenti la molecola. Infatti, se due nuclei appartenenti a due atomi potessero avvicinarsi l'uno all'altro mentre gli elettroni intorno ad essi rimanessero indisturbati, alla fine i nuclei (a parte la repulsione elettrostatica) si toccherebbero, formando un unico nucleo, e più elettroni, provenienti da atomi diversi, si verrebbero a

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trovare nella stessa orbita. La repulsione tra gli atomi dipende allora dal fatto che gli elettroni dovrebbero sistemarsi su orbite diverse (a causa del principio di Pauli) acquistando in definitiva energia. Questo acquisto di energia da parte degli elettroni è grande ed allora gli atomi si respingono (ci vuole meno energia per respingerli che non per far acquistare energia agli elettroni). Oltre alla repulsione dovuta al principio di Pauli c'è una piccola repulsione elettrostatica.(24)

Vediamo di confrontare con un grafico analogo ai precedenti i valori delle attrazioni e repulsioni elettrostatiche delle repulsioni dovute al principio di Pauli, delle curve teoriche e sperimentali:

La curva 1 è relativa alla repulsione dovuta al principio di Pauli; la curva 2 è relativa all'attrazione e repulsione elettrostatica; la curva 3 è quella ricavata teoricamente (25) e comprende la repulsione di Pauli e l'attrazione e repulsione coulombiana;(26) la curva 4 è quella ricavata da dati sperimentali. (27) [Si osservi che il piccolo minimo della curva 2 non spiegherebbe la stabilità delle molecole] .

In breve prima di ritornare a dove avevamo lasciato il discorso, ricapitoliamo brevemente questi ultimi concetti (aggiungendone un paio) dicendo che:

1) Gli atomi di una molecola interagiscono a causa di due tipi di forze di natura essenzialmente elettrica (almeno in origine).

2) In primo luogo vi sono forze attrattive che interessano il legame chimico (forze di valenza). Questo tipo di forze decresce molto rapidamente al crescere della distanza tra i due atomi.

3) In secondo luogo vi sono forze repulsive trascurabili a grande distanza ma che crescono più rapidamente di quelle attrattive a piccolissima distanza (impenetrabilità della materia).

4) Ad una certa distanza tra gli atomi (punto di ascissa re della penultima figura) si ha una situazione di

equilibrio e gli atomi possono rimanere a tale distanza per un tempo indefinito [e questa è la distanza che normalmente separa gli atomi in una molecola o in un aggregato qualsiasi (ad es.: un solido)].

5) Gli atomi vibrano intorno a questa posizione di equilibrio e l'ampiezza dell'oscillazione è proporzionale all'aumento di temperatura (moti di vibrazione).

6) Inoltre una molecola può ruotare su se stessa con una velocità (angolare) che cresce anch'essa con la temperatura (moti di rotazione).

7) Infine tutta la molecola può muoversi lungo una determinata direzione con un moto di traslazione (moto di traslazione).

***

Prima di tornare ancora sulle forze di Van der Waals, per cercarne le successive spiegazioni, occupiamoci per un momento della definizione di alcune grandezze e concetti che abbiamo già incontrato e che ci serviranno in seguito: dipolo elettrico, dipolo indotto, polarizzabilità, orientamento dei dipoli sotto l'azione di un campo elettrico, molecole polari e dipolo istantaneo.

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1 - Dipolo elettrico - Momento di dipolo

Cominciamo con il definire una grandezza che ci sarà molto utile per quanto dovremo trattare; il momento di dipolo elettrico.

Per far questo occorre prima definire il dipolo elettrico.

Supponiamo di avere una carica elettrica + q ed una carica - q uguale in valore assoluto ma di segno opposto.

Disponiamo queste cariche ad una distanza fissa d:

Questo oggetto che abbiamo descritto e disegnato è un dipolo elettrico (nel seguito elimineremo l'aggettivo elettrico, in quanto avremo a che fare solo con dipoli elettrici).

La grandezza momento di dipolo (M) è data dal prodotto della carica q (presa in valore assoluto) per la distanza (d) tra le due cariche:

M = q.d

II momento di dipolo M è un vettore (M) che ha la direzione ed il verso che va dalla carica negativa alla carica positiva:

Per indicare simbolicamente un momento di dipolo con il suo verso si usa il simbolo: .

intendendo con esso che la carica negativa è dalla parte della freccia, mentre quella positiva dalla parte opposta.

2 - Dipolo indotto.

Supponiamo di avere un atomo, ad esempio, con un elettrone. Abbiamo quindi un atomo di idrogeno. Noi sappiamo che quest'atomo è neutro, ha, cioè, un numero di cariche positive uguale al numero di cariche negative. Sappiamo poi, da quanto abbiamo studiato precedentemente, che quest'atomo si può rappresentare con un nucleo centrale, positivo, circondato da una nuvola di carica negativa:

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Atomo di idrogeno non eccitato

In media, dunque, il centro delle cariche positive e quello delle cariche negative coincide. L'atomo ha allora la carica non distribuita preferentemente da una parte piuttosto che da un'altra.

Ricordiamo ora qualche concetto di elettrostatica.

Supponiamo di avere una piccola sfera conduttrice carica, ad esempio, positivamente (le cose sono identiche se scegliamo la carica negativa), la quale è sospesa su di un sostegno isolante:

Immaginiamo poi di avere un'altra sfora, non carica, e sospesa su di un sostegno isolante:

Questa sfera non carica è in realtà un oggetto in cui cariche positive (nuclei degli atomi che la costituiscono) e cariche negative (elettroni degli atomi che la costituiscono) sono disposti in modo tale da dare come risultato una carica nulla (c'è una neutralizzazione, l'un l'altra, di tutte le cariche):

La sfera precedente con disegnate le cariche (a caso), in modo tale da dare una carica nulla.

Disponiamo i due oggetti ad una certa distanza e cominciamo ad avvicinarli:

Quando le due sfere saranno abbastanza vicine troveremo una situazione del genere:

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troveremo cioè (fenomeno dell'induzione elettrostatica) che la sfera carica positivamente avrà attratto verso di sé molte cariche negative (elettroni) che si trovano sull'altra sfera generando in questo modo un eccesso di carica negativa da una parte (a sinistra della figura) e, di conseguenza, un eccesso di carica positiva dall'altra parte (a destra del la figura) della sfera non carica (in pratica gli atomi che si trovano a sinistra della figura si saranno ionizzati negativamente, avendo acquistato degli elettroni; mentre gli atomi che si trovano dalla parte opposta si saranno ionizzati positivamente, avendo perso elettroni).

Ritorniamo al nostro atomo: abbiamo già detto che, coincidendo il centro delle cariche positive con quello delle cariche negative, l'atomo non ha particolari proprietà:

Avviciniamo a quest'atomo una carica, ad esempio, positiva (uno ione positivo). Questa carica da una parte tenderà a respingere l'altra carica positiva (cioè il nucleo) e dall'altra tenderà ad attrarre la carica negativa (cioè la nuvola di

carica che rappresenta l'elettrone). Si avrà in definitiva la situazione seguente: l'atomo sarà discentrato, non avrà più una simmetria di carica (il centro della carica positiva non coincide più con il centro della carica negativa).

Consideriamo questo atomo discentrato. Esso avrà la sua carica positiva situata, preferentemente, dalla parte opposta della sua carica negativa. Questo atomo potrà essere rappresentato come un dipolo

Un dipolo così ottenuto è chiamato dipolo indotto essendo generato dal fenomeno dell'induzione elettrostatica. (Il campo elettrico, che possiamo indicare con E, della carica + che avviciniamo all'atomo neutro, induce su quest'ultimo un determinato dipolo che noi chiamiamo dipolo indotto).

Il discorso che abbiamo fatto, legandolo per semplicità all'atomo di idrogeno, è naturalmente valido per tutti gli atomi. Infatti tutti gli atomi hanno una distribuzione di carica con un centro di simmetria comune e sono quindi sprovvisti di momento di dipolo. E' possibile comunque, come abbiamo visto per l'idrogeno, indurre su di essi un dipolo: il dipolo indotto.

3 - Polarizzabilità

Secondo quanto abbiamo visto precedentemente a proposito del dipolo indotto, una carica, ad esempio

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uno ione, positiva avvicinata ad un atomo lo deforma facendolo diventare un dipolo. La deformazione dell'atomo dipende dall'intensità del campo elettrico E della carica (ione) inducente.

Maggiore sarà E, maggiore sarà la deformazione dell'atomo. D'altra parte maggiore deformazione significa che, quando andiamo a rappresentare l'atomo come un dipolo, dovremo considerare una distanza maggiore tra le due cariche:

Avvicinando ad un atomo neutro uno ione positivo si origina un dipolo indotto. Maggiore è la deformazione dell'atomo, maggiore sarà la distanza tra le due cariche che rappresentano simbolicamente il dipolo indotto.

Ricordando quanto abbiamo detto a proposito del momento di dipolo (M = q.d), all'aumentare della distanza tra le due cariche avremo come conseguenza un aumento del momento di dipolo stesso.

In definitiva maggiore è il campo elettrico E, in prossimità di un atomo, maggiore è il momento di dipolo indotto M. Si avrà quindi una proporzionalità diretta tra campo elettrico E e momento di dipolo M:

M = α E

dove α è un coefficiente di proporzionalità che ha le dimensioni di un volume. Alla costante α:

α = Μ/Ε

si dà il nome di polarizzabilità elettrica o elettronica (nel caso di un atomo si parla di polarizzabilità elettronica, mentre nel caso di una molecola si parla di polarizzabilità atomica).

In pratica α è un fattore che rende conto di come un determinato atomo (o molecola) si lascia deformare da un campo elettrico esterno (definizione chiara ma non rigorosamente esatta). Un atomo che si lascia deformare di più (che ha di conseguenza un momento di dipolo più grande, a parità di campo elettrico) ha una polarizzabilità più grande.

Si osservi che ogni atomo ed ogni molecola ha una sua determinata polarizzabilità elettronica α. Gli atomi che hanno più elettroni tendono in genere ad avere una polarizzabilità più grande di quella degli atomi con pochi elettroni. Quest'ultimo fatto si spiega ricordando che più gli elettroni si trovano distanti dal nucleo, meno risentono della sua attrazione; è quindi più facile deformare un atomo con molti elettroni, con degli elettroni cioè che si trovano distanti dal nucleo.

4 - Orientamento dei dipoli sotto l'azione di un campo elettrico

Supponiamo di avere dei dipoli elettrici (dipoli, e non dipoli indotti) in assenza di campo elettrico. Questi dipoli saranno orientati a caso:

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Disponiamo ora questi dipoli all'interno di un campo elettrico costante (E), generato da due piastre conduttrici, affacciate e caricate di segno opposto:

Possiamo vedere dalla figura che i dipoli, sotto l'azione di un campo elettrico, si orientano, in quanto la loro estremità positiva viene attratta dal polo negativo e viceversa.

Vediamo qual è la grandezza che ci dà l'indicazione della tendenza del dipolo elettrico ad orientarsi sotto l'azione del campo elettrico. Consideriamo un solo dipolo. Consideriamolo in tre diversi momenti: 1°) quando il campo elettrico esterno non c'è; 2°) quando il campo elettrico comincia ad agire; 3°) quando il campo elettrico ha già agito.

Evidentemente, quando il campo comincia ad agire, la carica elettrica positiva del dipolo sarà attratta dalla piastra negativa che crea il campo e viceversa. In definitiva si avrà una coppia di forze:

la quale tenderà a far ruotare il dipolo sul suo baricentro (che, se le cariche hanno uguali masse, si troverà al centro del segmento d che separa le due cariche).

Ricordando ora che il momento di una coppia di forze (Mc) è definito come prodotto della forza F (vedi

figura precedente) per il braccio b (vedi ancora figura precedente) della forza F:

Mc = b.F

si vede facilmente che: più grande è la distanza d tra le cariche del dipolo, più grande è il braccio b della forza; più grande è la distanza d, più grande è il momento di dipolo M (M = q.d); più grande è il braccio b

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della forza, più grande è il momento della coppia M (Mc = b.F); ed in definitiva più grande è il momento di

dipolo (M), più grande è il momento della coppia (Mc).

Si può allora concludere, come del resto avevamo premesso, che il momento di dipolo dà una indicazione della tendenza di un dipolo ad orientarsi sotto l'azione di un campo elettrico: maggiore è il momento di dipolo, più rapidamente e facilmente un dipolo si orienterà sotto l'azione di un campo elettrico esterno.

5 - Molecole polari (e non polari)

Vi sono delle molecole che, come l'atomo di idrogeno che abbiamo visto prima, hanno la loro carica elettrica disposta simmetricamente; in modo tale, cioè, che il centro di gravità delle cariche positive coincide con il centro di gravità delle cariche negative. Una molecola siffatta è una molecola che non ha polarità distinte, è una molecola non polare.

Caratteristica delle molecole non polari è quindi di non avere, come abbiamo già visto per l'atomo di idrogeno, un momento di dipolo proprio.

Queste molecole comunque, ancora come l'atomo di idrogeno, possono acquistare un momento di dipolo (momento di dipolo indotto) se sono sottoposte all'azione di un campo elettrico esterno (il fenomeno è anche qui quello della polarizzazione: gli elettroni possono essere spostati dalle loro posizioni dal campo esterno; si origina così una deformazione della distribuzione elettronica; questa deformazione fa si che si generi il dipolo indotto).

Oltre a queste molecole, che naturalmente sono non polari, ve ne sono delle altre in cui il centro di gravità delle cariche positive non coincide con quello delle cariche negative. In queste molecole vi sono allora due centri di carica e di conseguenza la distribuzione di carica risulta asimmetrica. La polarità del legame fra due (o più atomi) non dipende dal fatto che un atomo ha più elettroni dell'altro (perché a ciò fa equilibrio la circostanza che a più elettroni corrisponde una maggiore carica positiva nel nucleo) ma dalla posizione di tutti gli elettroni nell'intera molecola, i quali rimangono più a lungo nell'orbita dell'uno piuttosto che dell'altro atomo.

Il fatto che una molecola sia polare significa che essa possiede un momento di dipolo, essendo essa stessa un dipolo permanente (Il primo ad ipotizzare l'esistenza di dipoli associati con le molecole fu P.Debye nel 1912. Anche Reinganum nel 1912 ipotizzò che le molecole neutre trasportano cariche positive e negative). Vediamo qualche esempio dei due tipi di molecole che abbiamo descritto. Se abbiamo delle molecole biatomiche (composte da due atomi) siamo in grado di prevedere la loro polarità andando a considerare gli atomi costituenti. Se infatti i due atomi che costituiscono la molecola sono uguali la molecola deve essere non polare, viceversa se i due atomi che costituiscono la molecola sono diversi la molecola sarà polare.

Esempi di molecole biatomiche non polari, che non hanno cioè mo- mento di dipolo proprio, sono: la molecola di idrogeno (H2 ), la molecola di ossigeno (O2 ) e la molecola di doro (Cl2 ); esempi, invece,di

molecole biatomiche polari, che hanno cioè momento di dipolo proprio sono: la molecola di acido fluoridrico (HF), la molecola di acido cloridrico (HCl) e la molecola di cloruro di sodio (NaCl).

Nel caso di molecole poliatomiche (composte da più di due atomi), il criterio per stabilire la polarità è molto più difficile. Infatti, pur essendo polare il legame tra gli atomi a due a due, la molecola in complesso può risultare non polare.

Esempi di molecole poliatomiche non polari sono: la molecola di anidride carbonica (CO2 ), la molecola

di tetracloruro di carbonio (CCl4 ) , la molecola di trifluoruro di boro (BF3 ) e la molecola di fluoruro di

Berillio (BeF2 ); esempi, invece, di molecole poliatomiche polari sono: la molecola di cloroformio (CHCl3 ), la

molecola di acqua (H2O) e la molecola di ammoniaca (NH3 ).

Nella figura seguente sono riportati i disegni schematici di alcune molecole con i relativi momenti di dipolo:

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6 - Dipolo istantaneo

Ritorniamo al nostro atomo di idrogeno e ridisegnamolo secondo il modello atomico di Bohr:

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Se bloccassimo la rotazione dell'elettrone ad un certo istante, ci troveremmo con una carica positiva (il nucleo) ad una certa distanza da una carica negativa l'elettrone:

Ricordando allora la definizione di dipolo, essendovi ad un certo istante una carica positiva ad una certa distanza da una carica negativa, l'atomo di idrogeno, in quell'istante, è un dipolo.

In definitiva nell'atomo di idrogeno, ma anche in tutti gli altri atomi e molecole non polari, vi è istante per istante un dipolo che chiamiamo appunto dipolo istantaneo (il concetto di dipolo istantaneo fu introdotto per la prima volta da London nel 1930, vedi oltre).

Osserviamo però che quanto abbiamo detto non è in contraddizione con la rappresentazione a nuvola di carica. Infatti il valor medio dei mo menti di dipolo in tutti gli atomi risulta sempre uguale a zero:

I dipoli istantanei sono simmetricamente sistemati in modo tale da dare in un dato intervallo di tempo risultante nulla.

7 - Quadruplo, ottupolo, etc....

Supponiamo di avere una molecola in cui le cariche elettriche siano distribuite come in figura:

Poiché il centro di gravità delle cariche positive coincide con quello delle cariche negative la molecola non ha momento di dipolo (Md = 0) . Si è però osservato sperimentalmente che, pur essendo Md = 0, il sistema

genera un campo elettrico esterno diverso da zero che al crescere della distanza decresce molto più

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rapidamente di quello di dipolo.

Un sistema con Md = 0 e costituito come sopra prende il nome di quadrupolo ed il momento che si

origina prende il nome di momento di quadrupolo (Mq ).

Abbiamo già visto che il momento di dipolo originato da due cariche + q e - q ad una distanza d è dato da Md = q.d. In questo caso Md = 0 mentre Mq ≠ 0. Si può dimostrare che il momento di

quadrupolo Mq originato da cariche disposte, per esempio, come in figura è dato da:

Mq = q.d2

Oltre ai dipoli ed ai quadrupoli, qualche volta, occorre considerare gli ottupoli che sono associati a sistemi con Md = 0 e Mq =0. (Sugli ottupoli e sui momenti di ottupolo non diremo altro).

Per spiegare la scelta dei nomi (quadrupolo ed ottupolo) ci serviremo di disegni. Un quadrupolo è un sistema che può essere rappresentato con le cariche disposte ai vertici di un parallelogramma, mentre un ottupolo è un sistema che può essere rappresentato con le cariche ai vertici di un parallelepipedo:

Per ambedue i sistemi si può vedere che il centro delle cariche positive coincide con quello delle cariche negative, da cui Md = 0.

8 - I potenziali di una carica, di un dipolo, di un quadrupolo e di un ottupolo.

Sappiamo già che una carica elettrica q isolata genera nello spazio circostante un campo elettrico. Se in questo campo disponiamo un'altra carica q ad una distanza r dalla prima carica questa sarà attratta o respinta con una forza data dalla legge di Coulomb. Facciamo una semplice operazione: moltiplichiamo ambo i membri della legge di Coulomb per la distanza r tra le cariche:

F.r = K.(q1q2/r2).r => F.r = K.(q1q2/r)

Ricordando che il prodotto di una forza per una lunghezza origina un lavoro (L = F.s) che ha le dimensioni di una energia, possiamo chiamare, il secondo membro dell'ultima relazione scritta, energia potenziale del sistema formato dalle due cariche q1 e q2 . Abbiamo quindi:

L = K.(q1q2/r)

Dividiamo ora ambo i mèmbri della relazione scritta per q1 :

L /q1 = K (q2/r)

Alla quantità V = L/q1 = K (q1/r) che si ottiene operando in questo modo si dà il nome di potenziale elettrico

ed è la grandezza che caratterizza il campo creato da una certa carica q.

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Si vede subito allora che il potenziale V = K (q2/r) di una carica q1 è proporzionale ad 1/r.

Allo stesso modo si può dimostrate che: il potenziale (Vd ) originato da un dipolo, ad una distanza r da

esso, è proporzionale ad 1/r2; il potenziale (Vq ) originato da un quadrupolo, ad una distanza r da esso, è

proporzionale ad 1/r3; il potenziale (Vo ) originato da un ottupolo, ad una distanza r da esso, è proporzionale

ad 1/r4.

***

Ricapitoliamo brevemente quanto abbiamo detto.

Tutti gli atomi esistenti in natura non hanno momenti di dipolo permanenti associati, essendovi coincidenza fra il centro delle cariche positive e di quelle negative (vedi 2).

Tutti gli atomi possono però acquisire un momento di dipolo indotto quando sono sottoposti all'azione di un campo elettrico esterno; infatti, in questo caso, il centro delle cariche positive non coincide più con quel lo delle cariche negative (vedi 2 e 3). Inoltre ad ogni atomo si può associare, istante per istante, un momento di dipolo istantaneo (vedi 6).

Per quanto riguarda le molecole esse si possono distinguere in polari e non polari.

Le molecole polari sono quelle a cui è associato un momento di dipolo permanente, a causa della asimmetrica distribuzione di carica nella molecola (vedi 5).

Le molecole non polari sono quelle che non hanno un momento di dipolo permanente, poiché il centro delle cariche positive coincide con quello delle cariche negative (vedi 5).

Queste molecole non polari possono comunque, sotto l'azione di un campo elettrico acquistare un momento di dipolo indotto (vedi 5); ed inoltre sono dotate, istante per istante, di un momento di dipolo istantaneo (vedi 5).

Pur essendo nulli i momenti di dipolo di alcune molecole, queste possono essere dotate di momenti di quadrupolo o di ottupolo (vedi 7).

9 - Le forze di Van der Waals iniziano a trovare una spiegazione. Le prime ipotesi di Keesom (molecole come sistemi elettrici rigidi). Le forze d'orientamento di Keesom.

Abbiamo già detto che nel 1912 prima Debye e poi Reinganum ipotizzarono l'esistenza di cariche elettriche trasportate dalle molecole (ricordiamo che l'anno prima Rutherford aveva proposto il suo modello atomico). Più precisamente Debye (nel febbraio del 1912) ideò una serie di esperienze (sul comportamento delle molecole in processi elettrolitici e sulla loro costante dielettrica ε , misura del potere isolante di una sostanza) in cui mostrò che, in determinate condizioni, alcune molecole presentano dei dipoli elettrici associati (si comportano cioè come dipoli); mentre Reinganum (nel giugno del 1912) trattò delle forze che si esercitano tra dipoli servendosi di metodi statistici ed applicò questi risultati agli ioni ed alle molecole, trovando che queste forze, che risultano essere (come vedremo meglio in seguito) attrattive, variano come 1/r7 (se r è la distanza tra gli ioni o le molecole).

In quel periodo si lavorava molto anche a Leida in Olanda. Sotto la guida di Kamerlingh-Onnes, una grossa équipe di scienziati studiava problemi di fisica delle basse temperature(28). L'elio, che aveva resistito per molti anni, proprio a Leida, nel 1908, era stato liquefatto. Questo era un notevole risultato che portò importantissimi contributi all'interpretazione dell'attrazione molecolare oltre ad aprire un praticamente infinito campo di ricerca.

Tra gli scienziati di Leida lavorava anche W.H.Keesom al quale si deve appunto, tra il settembre ed il novembre 1912, il primo tentativo teorico di spiegazione delle forze molecolari.

Keesom considerò le molecole come sistemi rigidi (sfere rigide) dotati di carica elettrica in modo da costituire dipoli permanenti costanti (in pratica considerò tutte le molecole come polari). Secondo Keesom tutti gli atomi e le molecole sono sistemi elettrici ed allora le forze molecolari devono avere origine elettrica.

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MOLECOLE

Se ogni molecola è formata da un insieme di cariche positive e negative, ad essa dovrà essere associato un campo elettrico la cui intensità dipenderà dalla distribuzione delle cariche elettriche nella molecola stessa.

Supponiamo di avere un fissato dipolo e di avvicinare ad esso un altro dipolo. Evidentemente l'energia di interazione (e quindi la forza di attrazione o repulsione) tra i due dipoli dipenderà dal loro reciproco orientamento (oltre ché dai valori dei rispettivi momenti di dipolo e dalla distanza a cui si trovano i dipoli). Costruiamoci allora qualche esempio di orientazione reciproca tra dipoli (supponendoli nello stesso piano) e vediamo qual è l'energia corrispondente di interazione (di attrazione o repulsione).

I due dipoli abbiano momenti di dipolo rispettivamente mA ed mB , sia no θΑ e θΒ gli angoli rispettivi

che questi dipoli formano con la retta congiungente i due centri dei dipoli stessi che si trovano ad una distanza r:

A seconda della rispettiva orientazione dei dipoli, a seconda cioè degli angoli θΑ e θΒ avremo situazioni

di attrazione o repulsione con diverse energie:

Riferiamoci, ad esempio, al caso (4). I dipoli risultano paralleli con le cariche positive da una parte e quelle negative dall'altra. Le cariche positive si respingono allo stesso modo di quelle negative: il risultato è una energia repulsiva [vedi figura (a) seguente].

Riferiamoci ora al caso (5). I dipoli risultano.paralleli con cariche di segno opposto da una parte e ancora di segno opposto dall'altra. Le cariche di segno opposto si attraggono da una parte e dall'altra: il risultato è una energia attrattiva [vedi figura (b) seguente].

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Gli esempi che abbiamo fatto non esauriscono però tutti i casi possibili. In generale il secondo dipolo può assumere tutte le orientazioni rispetto al primo fissato dipolo. E proprio perché tutte le orientazioni sono possibili, in media, l'energia potenziale del secondo dipolo rispetto al primo è nulla. Infatti, tenendo conto di tutte le orientazioni possibili, le cariche nella molecola con il loro movimento creano, in media, una superficie di una sfera con densità di carica costante (allo scopo vedi la figura dei dipoli istantanei che in media creavano una situazione di risultante nulla e riferiscila al caso di dipoli permanenti). Ora, una sfera con densità di carica costante sulla sua superficie si comporta come se tutta la sua carica fosse concentrata nel suo centro. Se tutte le cariche si trovano al centro, le cariche positive neutralizzeranno le negative in modo da originare una molecola che si comporta, appunto in media, come un sistema non carico e quindi non in grado di generare campo elettrico.

In media non vi dovrebbe essere, dunque, attrazione. Comunque non c'è nessuna orientazione privilegiata, e quindi nessuna attrazione, solo quando la temperatura è infinitamente grande. In pratica, cioè a temperature finite ed ordinarie, tra le molecole si avrà una situazione di attrazione, cioè le molecole tenderanno ad orientarsi in modo tale che l'interazione tra i dipoli origini una attrazione. Avremo così attrazione tra le molecole, ma questa attrazione diminuirà con l'aumentare della temperatura fino a che, a temperatura infinitamente grande, non esisterà più.

Questo modello, introdotto da Keesom, per spiegare le forze di attrazione molecolare implica che se non ci sono orientazioni privilegiate dei dipoli tra le molecole, non vi può essere nessuna forza di attrazione tra le molecole stesse.

E questa conclusione ricavata da Keesom era in contrasto con molti fatti sperimentali i quali dimostravano: 1) che esistono forze di attrazione molecolare anche in assenza di dipoli permanenti (anche, cioè, quando le molecole sono non polari c'è attrazione tra di esse) e 2) che le forze di Van der Waals persistono anche ad alte temperature. Intanto nel 1913 ancora Debye faceva esperienze sulle molecole (esperienze riprese nel 1914 da J. Timmers e nel 1919 da M. Iona) ed in particolare studiava gli indici di rifrazione di diversi gas.

Nel 1916, sulla base dei risultati acquisiti in quegli anni, Keesom ampliò e perfezionò la sua precedente teoria riuscendo, almeno in parte, a rimuovere la prima obiezione che abbiamo sollevato poco fa.

Facendo esplicito riferimento ai lavori di Debye sulle molecole (relativi all'indice di rifrazione ed alla costante dielettrica di alcuni gas) i quali facevano rilevare il fatto che le molecole biatomiche dei gas elementari (N2, O2, H2, etc...) non possedevano momento di dipolo, Keesom avanzò l'ipotesi che alcune

molecole, pur non essendo dotate di momento di dipolo, debbono essere dotate di momento di quadrupolo.(29)

Queste molecole erano dunque considerate da Keesom come rigide sfere con momenti di quadrupolo associati. Secondo lo scienziato olandese:

a) le molecole, quando collidono, si comportano come sfere rigide;

b) le forze attrattive o repulsive (escluse quelle di collisione) che le molecole esercitano l'un l'altra possono essere derivate dalla legge di Coulomb;

c) la molecola nel complesso risulta neutra;

d) alcune molecole hanno un momento di dipolo associato, altre un momento di quadrupolo;

e) le attrazioni tra le molecole possono essere originate: 1) da interazioni dipolo-dipolo, 2) da interazioni dipolo-quadrupolo, 3) da interazioni quadrupolo-quadrupolo.

f) L'energia media di interazione tra due dipoli (cioè tra due atomi o due molecole) a distanza r è proporzionale ad 1/r6 e, di conseguenza la forza che si esercita tra questi dipoli è proporzionale ad 1/r7.

La teoria di Keesom dava valori ragionevoli per i momenti di quadrupolo delle molecole e questi valori erano in accordo con quelli standard ricavati all'epoca; la teoria risultava però insufficiente poiché non spiegava l'esistenza di forze di Van der Waals a temperatura per le quali l'effetto di orientamento, alla base delle ipotesi di Keesom, era trascurabile.

Questa difficoltà fu superata, nel 1920, da P.Debye, il quale osservò che in realtà le molecole non sono

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strutture rigide ma sistemi con una distribuzione di carica deformabile.

Con l'ipotesi di Debye relativa alla deformabilità della struttura di carica delle molecole, si raggiunse una prima soddisfacente e completa interpretazione delle forze di Van der Waals.

10 - Le forze di Van der Waals. Le forze di induzione di Keesom.

Secondo Debye (1920) esistono forze di attrazione fra molecole di ogni tipo e questo fatto è una proprietà generale della materia. Se immaginiamo le molecole essere dei sistemi rigidi dotati di carica elettrica vi sarà sempre una forza che agisce tra due d» questi sistemi (tra due molecole); questa forza sarà più o meno grande, attrattiva o repulsiva, a seconda dell'orientazione reciproca dei sistemi (delle molecole). Poiché in un gas, tutte le orientazioni delle molecole sono possibili, Debye si preoccupò di ricavare la media di queste orientazioni in modo tale da calcolare il termine attrattivo ( a/V2) che compare nell'equazione di stato di Van der Waals. Per calcolare questa media occorre servirsi di concetti statistici ed osservare che le orientazioni dei dipoli dipendono dalla temperatura. Quando queste temperature sono alte, tutte le orientazioni dovrebbero essere possibili e quindi non dovrebbe esservi attrazione tra le molecole. Ma l'ipotesi, relativa alla coesione tra le molecole, fatta da Van der Waals per ricavare la sua equazione rimane anche ad alte temperature; e questa era 1'incongruenza che aveva posto un limite di validità alla teoria di Keesom.

Secondo Debye, però, questo limite cade e tutto cambia in modo radicale se abbandoniamo il modello di sfere rigide per le molecole e lo sostituiamo con un modello di strutture non completamente rigide e quindi deformabili (questo fatto era stato suggerito a Debye dalle esperienze da lui effettuate nel 1913 e relative all'indice di rifrazione di diversi gas).

Supponiamo allora che le molecole siano deformabili: esse saranno allora polarizzabili.

I casi allora sono due: o la molecola è polare ed allora ha il suo dipolo permanente associato (sia se essa è rigida sia se è deforma bile) o la molecola è non polare avendo un quadrupolo associato (se è rigida) e risultando polarizzabile (se è deformabile). Occorre qui notare che il momento di dipolo indotto dovuto alla polarizzabilità può aversi in aggiunta ad un eventuale dipolo o quadrupolo permanente.

Se la molecola è deformabile, posta in un campo elettrico generato da un'altra molecola (ad esempio da una molecola polare a cui è associato un dipolo permanente) si polarizzerà acquistando un momento di dipolo m proporzionale al campo elettrico che lo ha generato: il risultato di ciò è una attrazione tra le due molecole. Ponendo quindi una molecola nel campo elettrico generato da un'altra molecola (ad una distanza r), la prima acquisterà un momento di dipolo indotto mediante il meccanismo della polarizzazione e fra le due molecole si originerà una forza di attrazione (proporzionale ad 1/r7 da cui segue che l'energia U è proporzionale ad 1/r6 ). Questa forza di attrazione non può svanire ad alte temperature infatti non siamo più nel caso di dipoli permanenti associati a molecole, come sfere rigide, in cui, ad alte temperature, tutte le orientazioni erano egualmente probabili.

Ora siamo nel caso in cui, qualunque sia l'orientazione del di- polo che crea il campo, la molecola che si polarizza segue corrispondentemente, con la sua deformazione, il dipolo che crea il campo. Visualizziamo con un esempio quanto abbiamo detto. Fissiamo le idee su una molecola polare (un dipolo) che crea il campo. Se poniamo nel campo creato da questo dipolo una molecola non polare (nella quale in centro delle cariche positive coincide con quello delle cariche negative e che per semplicità possiamo rappresentare come una struttura sferica, con una nuvola di carica negativa ed il nucleo di carica positivo). Allora,comunque vari l'orientazione del dipolo inducente (a causa per esempio,dell'aumento di temperatura) in tempi successivi, allo stesso modo varierà (sempre in tempi successivi) il dipolo indotto sulla molecola polarizzabile (si dice allora che i due dipoli, quello permanente e quello indotto sono in fase) :

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La figura rappresenta una situazione in cui ad un dipolo permanente che crea un campo elettrico viene avvicinata una molecola polarizzabile. La situazione di cui alle lettera a), b), c), d), e) è relativa a tempi successivi in cui il dipolo inducente ruota in verso antiorario . Come si può vedere c'è una rotazione analoga del dipolo indotto in modo tale che tra i due dipoli risulta sempre una attrazione.

Il risultato dell'avvicinamento di un dipolo permanente ad una molecola polarizzabile (dipolo indotto) è quindi sempre una attrazione.

Illustriamo meglio, con un esempio, il perché queste forze risultano attrattive.

Supponiamo di avere due dipoli permanenti, associati a due molecole polarizzabili, disposti come in figura (a) e gli stessi due dipoli disposti in altro modo come in figura (b):

Vediamo il caso di figura (a).

La posizione assunta dai dipoli origina un effetto repulsivo. Il campo elettrico, generato dai dipoli, agisce in modo tale da ridurre la distanza (d) tra la carica positiva e quella negativa in ogni dipolo. Diminuiscono allora i momenti di dipolo dei due dipoli. In definitiva, subito dopo che comincia ad agire la forza repulsiva, diminuisce il valore dei momenti di dipolo dei due dipoli poiché, essendo il momento di dipolo m = q.d, se diminuisce d, a parità di q, il momento m deve diminuire:

Di conseguenza la forza repulsiva diminuisce e questo fatto si può interpretare nel senso che, come effetto secondario, si origina una forza attrattiva.

Vediamo il caso di figura (b).

La posizione che hanno i dipoli origina un effetto attrattivo. L'insieme dei due dipoli darà luogo ad un campo elettrico, l'intensità del quale deformerà i dipoli stessi (spostando la distribuzione originaria di carica) in modo tale da originare un aumento dell'attrazione tra di essi (facendo aumentare i momenti di dipolo dei due dipoli). Quello che succede è il contrario di ciò che accadeva prima: subito dopo che comincia

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ad agire la forza attrattiva, il campo elettrico generato dai due dipoli agisce in modo tale da aumentare la distanza (d) tra la carica positiva e negativa in ogni dipolo. Aumentando d devono aumentare i momenti di dipolo m dei due dipoli e di conseguenza all'attrazione originaria se ne aggiunge un'altra.

Anche qui si ha allora un effetto secondario che fornisce una forza attrattiva che si va ad aggiungere a quella iniziale.

In ambedue i casi l'effetto primario di attrazione o repulsione si annulla quando si fa la media su tutte le possibili orientazioni dei dipoli; ciò che rimane comunque è l'effetto secondario che origina sempre una forza attrattiva.

A questo punto dobbiamo osservare che l'interpretazione delle forze molecolari basata sulla polarizzabilità delle molecole è ancora insufficiente. La domanda che sorge spontanea è infatti: se abbiamo molecole non polari, che cosa (o chi) origina il campo inducente?

A quell'epoca tutti i gas (monoatomici) rari (come argon, neon ed elio) erano stati liquefatti. Gli atomi che costituiscono questi gas sono tutti a simmetria perfettamente sferica [il centro di gravità delle cariche negative (gli elettroni) coincide con quello delle cariche positive (il nucleo)]. Non c'è nessun dipolo permanente che possa indurre un dipolo sulla polarizzabilità di un atomo ed allora non c'è nessuna forza che può agire tra questi atomi per farli vieppiù aderire fino ad originare un liquido.

Questo fatto metteva in crisi la teoria di Debye.

Si cercò allora di sistemare la teoria (sia da parte di Keesom nel marzo del 1921, sia da parte di Debye nel maggio dello stesso anno) introducendo anche qui i quadrupoli: erano i quadrupoli associati alle molecole non polari ad originare il campo inducente.

Questa spiegazione ebbe scarso successo perché, proprio nel caso dei gas rari, si ha a che fare con atomi e non con molecole; e gli atomi non hanno quadrupoli associati (né tanto meno dipoli).

* * *

A questo punto la situazione può essere così riassunta: l'effetto di orientamento di Keesom è capace di spiegare le forze di Van der Waals considerando associati alle molecole dei gas, considerate come sistemi rigidi, dipoli o quadrupoli. Questa spiegazione è valida solo per basse temperature.

Le forze di induzione di Debye, considerando le molecole polarizzabili, introduce un effetto di attrazione addizionale per i gas in considerazione. Questa attrazione addizionale persiste anche ad alte temperature. Nessuno dei due effetti (quello di orientamento di Keesom e quello di induzione di Debye) è però in grado di spiegare le forze di attrazione tra gli atomi dei gas rari.

Questa difficoltà venne rimossa nel 1930 dal fisico tedesco Fritz London.

1 - Le forze di Van der Waals. Le forze di dispersione di London

Bisognava proprio aspettare il 1930. Bisognava aspettare che la meccanica quantistica avesse raggiunto una completa formulazione ad opera di Schrödinger e di Heisenberg nel 1926, affinché si potesse giungere ad una più soddisfacente comprensione delle forze intermolecolari.

London comincia ad occuparsi di problemi di meccanica quantistica nel 1926 con un articolo riguardante la densità di carica degli elettroni negli atomi e nelle molecole. In precedenza (1925) si era occupato insieme a H. Hönl del problema dell'intensità delle bande degli spettri molecolari. Nel 1927, insieme a W.Heitler, pubblica un fondamentale lavoro relativo alla trattazione quantistica del legame covalente (introdotto empiricamente da Lewis nel 1916. Su questa trattazione, nota come teoria del legame di valenza torneremo diffusamente più oltre). Nel 1928 il fisico tedesco torna ripetutamente sull'argomento

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(legame covalente) ampliandolo e perfezionandolo. Nel 1930 pubblica un primo articolo insieme a R. Eisenschitz in cui mette in relazione le forze di covalenza con le forze di Van der Waals. Finalmente, ancora nel 1930, pubblica due articoli estremamente importanti in cui studia diffusamente (da un punto di vista teorico e sperimentale) le forze di Van der Waals dandone una spiegazione quanto-meccanica in grado di eliminare i dubbi lasciati dalle trattazioni di Keesom e Debye.

Seguiamo il lavoro di London partendo dalla critica da lui fatta ai risultati di Keesom e Debye.

La più ovvia obiezione che si può fare agli studi di Keesom (forze di orientamento) e Debye (forze di induzione) sulle forze molecolari è il non rendere conto del fatto che queste forze (forze di Van der Waals) si possono considerare come la causa comune di molti fenomeni diversi tra loro: identità delle forze molecolari negli stati liquido e gassoso (ricordo che il titolo del lavoro di Van der Waal s in cui si introduce la sua equazione e le sue forze è: Sulla continuità dello stato liquido e gassoso); capillarità e adsorbimento (mentre con assorbimento si intende l'incamerare, ad esempio, una molecola all'interno di un certo materiale, con adsorbimento si intende che, ad esempio, una molecola rimane trattenuta dalla superficie di quel certo materiale); calori di sublimazione di reticoli molecolari; certi effetti di allargamento delle righe degli spettri molecolari; etc... Non si riesce a capire come, per esempio, le stesse forze che agiscono nei liquidi e nei solidi fra molte molecole vicine debbono allo stesso modo agire fra le coppie occasionali di molecole in un gas.

In realtà i modelli di Keesom e Debye non sono in grado di spiegare una generale additiva coesione (si può dimostrare che i due tipi di forze non sono additivi) come quella che si manifesta in un solido o in un liquido.

Supponiamo di avere due molecole A e B (con dipoli permanenti o indotti). Supponiamo poi che queste due molecole siano orientate in modo tale da essere attratte da una terza molecola C. Le molecole A e B dovranno allora essere orientare tra di loro in modo da respingersi, infatti, se 1'orientamento di C è come in figura (a), le orientazioni di

A e B (per essere attratte da C) dovranno essere come in figura (b) e quindi, mettendo insieme le tre molecole come in figura (c), si dovrà avere un effetto repulsivo tra A e B.

Allora, se le forze in gioco tra le molecole sono dovute alla polarizzazione, quando molte molecole da posizioni differenti sovrappongono i loro campi polarizzanti, il campo polarizzante totale dovrà usualmente risultare molto più piccolo di quello che si avrebbe se, ad esempio, le molecole fossero due sole. Ci si aspetterebbe quindi che in un solido o in un liquido le forze molecolari, originate da dipoli indotti o permanenti (ed anche quadrupoli od ottupoli), dovrebbero risultare diminuite di molto se non addirittura annullate per ragioni di simmetria.

La situazione risulta ancora peggiore se ci riferiamo ai gas rari i quali non hanno né dipoli permanenti, né quadrupoli, né ottupoli ma risultano avere una simmetria perfettamente sferica. I gas rari, come del resto abbiamo già detto, non presentano né interazioni di Keesom, né interazioni di Debye.

Per quanto riguarda poi le molecole di idrogeno (H2 ) e di azoto (N2 ), esse, pur essendo dotate di

momento di quadrupolo, manifestano delle forze attrattive tra gli atomi costituenti che sono circa 100 volte maggiori di quelle che si possono calcolare considerando i quadrupoli ad esse associati.

Come si vede, quindi, le cose non vanno: occorre introdurre la meccanica quantistica per rimuovere le gravi obiezioni che sono state mosse.

Abbiamo già detto che nel 1900 Max Planck introdusse il quanto di energia (E = hν) , come artificio di calcolo, studiando l'emissione di radiazione da parte di un corpo nero (nel sito vi è una discussione molto ampia su queste vicende).

Secondo i conti fatti da Planck l'energia che compete ad un oscillatore armonico (una carica od un

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atomo oscillante armonicamente ed in prima approssimazione il moto degli atomi nelle molecole)(30) è quantizzata, può cioè assumere solo una serie di valori discreti (multipli di hν) e non tutti i possibili valori del continuo (oscillatore armonico quantizzato).

Sviluppando i conti si trova che un oscillatore armonico quantizzato, anche allo zero assoluto (T = 0 °K = - 273 °C), possiede una energia diversa da zero (e questo fatto è completamente contrastante con quanto ricavabile dalla meccanica classica: allo zero assoluto l'energia è nulla risultando,classicamente: E proporzionale a KT, essendo K la costante di Boltzmann che abbiamo già incontrato). L'energia E che un oscillatore armonico (unidimensionale) ha allo zero assoluto vale esattamente mezzo quanto di Planck:

E0 = ½ hν0

ed a questa energia si dà il nome di energia di punto zero. Vediamo con un grafico (energia E dell'oscillatore in funzione della temperatura T) il confronto a basse temperature tra i risultati classici (linea tratteggiata) e quantistici (linea continua), con l'osservazione che a temperature T relativamente alte i risultati classici e quantistici coincidono::

Quanto abbiamo ora detto (ricavato appunto, senza giustificazione teorica, da Planck nel 1900) è in completo accordo con il principio di indeterminazione di Heiseinberg del 1927. Vediamo come e perché.

Abbiamo detto che il minimo di energia che ha un oscillatore armonico unidimensionale (pensiamo alle oscillazioni degli elettroni degli atomi costituenti una molecola vale E0 = ½ hν0 (31) (e questa è l'energia

che corrisponde allo stato fondamentale, cioè non eccitato, degli elettroni negli atomi che costituiscono la molecola). Questo minimo di energia è chiamato energia di punto zero dell'oscillatore. Il minimo di energia calcolato secondo la meccanica classica corrisponde al punto 0 della curva di energia potenziale dell'ultima figura di Nota 31. Comunque, in corrispondenza di questo punto (classico), si ha x = 0 e v = 0 (per la posizione e la velocità dell'oscillatore in considerazione). Poiché non ci dovrebbe essere alcuna oscillazione in questa posizione, noi ci troveremo nelle condizioni di conoscere contemporaneamente e con assoluta precisione la posizione e la velocità degli elettroni oscillanti: questo fatto è però in contraddizione con il principio di indeterminazione di Heisenberg. Allora il primo livello energetico (dello stato fondamentale dell'oscillatore) dovrà essere il più basso livello energetico compatibile con in principio di indeterminazione (livello E della figura citata).(32)

Dopo questa necessaria digressione sull'energia di punto zero, torniamo alle forze intermolecolari.

Consideriamo, con London, due sistemi a simmetria sferica, ciascuno con una certa polarizzabilità α, i quali siano degli oscillatori armonici tridimensionali (con tre gradi di libertà) con nessun momento di dipolo o quadrupolo o ottupolo nelle loro posizioni di riposo (ad esempio: due atomi di un gas raro). Classicamente i due sistemi nelle loro posizioni di equilibrio non dovrebbero interagire e quando li avviciniamo dovrebbero rimanere nelle loro posizioni di riposo senza indurre nessun momento (di dipolo o altro) l'uno sull'altro.

Quantisticamente abbiamo visto che una particella è dotata sempre, nel suo stato di riposo, di una energia di punto zero (è dotata cioè di movimento). Facendo i conti quanto-meccanici per questo sistema di due oscillatori si trova che lo stato fondamentale E0 dell'energia del sistema sarà dato da:

[si noti che se si annullasse l'energia di punto zero, si annullerebbe l'intera espressione]. Vediamo di descrivere questa relazione: innanzitutto il termine 3hν0 è l'energia di punto zero del sistema dei due

oscillatori, ogni oscillatore ha tre gradi di libertà e quindi, essendo 6 i gradi complessivi di libertà per i due

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oscillatori, si ha che l'energia di punto zero vale 6.(½ hν0 ) = 3hν0 ; il secondo termine:

(dove r è la distanza tra i due oscillatori ed α la loro polarizzabilità)(33) dipende dalla distanza r tra i due oscillatori e può essere considerato come una energia di interazione tra gli oscillatori che, essendo negativa, caratterizza una forza attrattiva.

Possiamo subito immaginare allora che questo tipo di forza,(34) che non è condizionata dall'esistenza di nessun tipo di dipolo (o quadrupolo o ottupolo) permanente, sarà responsabile dell'attrazione di Van der Waals dei gas rari ed anche delle semplici molecole H2 , N2 , etc. Queste forze sono chiamate forze di

dispersione(35). Benché non sia possibile, come del resto si può intuire, descrivere questo meccanismo di interazione in termini della nostra usuale meccanica classica, possiamo illustrarlo servendoci ancora di un linguaggio semiclassico.

Se si fosse in grado di fare una fotografia di una molecola ad un dato istante, si troverebbero varie configurazioni dei nuclei e degli elettroni (degli atomi costituenti)(36) tali da fornire, in generale, momenti di dipolo. In una molecola costituita da atomi di gas rari (molecola a simmetria sferica), la media su molte foto fatte alle configurazioni assunte dai nuclei e dagli elettroni (degli atomi costituenti) non dovrebbe dare nessuna preferenza ad un particolare dipolo in una privilegiata direzione (non dovrebbe esserci cioè nessun momento di dipolo privilegiato).

Questi dipoli (dipoli istantanei), che variano molto rapidamente nella molecola e che esistono e sono rappresentati grazie all'energia di movimento di punto zero della molecola stessa, producono un campo elettrico che agisce sulla polarizzabilità dell'altra molecola generandovi dei dipoli indotti che sono in fase ed interagenti con i dipoli istantanei che li hanno generati. L'energia di punto zero è, per così dire, accompagnata da un campo elettrico variabile alternativamente in sincronismo con essa; il campo elettrico variabile non emette però alcuna energia poiché, come abbiamo già detto, l'energia di punto zero non può essere dissipata in alcun modo essendo solo una frazione (½ hν0) del quanto di radiazione (hν0) di Planck

(che è la minima quantità di energia che può essere emessa o assorbita) .

Vediamo ciò in un modo più descrittivo aiutandoci con delle figure.

Consideriamo due atomi di elio (che è un gas nobile di simbolo chimico He) .

L'atomo di elio ha due elettroni (situati nello stato fondamentale nell'orbitale 1 s a simmetria sferica) ciascuno dei quali lo indicheremo con - ed inoltre nel suo nucleo (tra l'altro) vi sono due protoni che indicheremo con + 2 . Questo atomo ha una simmetria sferica come mostrato in figura:

In ogni istante, comunque, gli elettroni occuperanno una determinata posizione dello spazio. La figura rappresenta le posizioni istantanee degli elettroni in molti differenti istanti di tempo (o, che è lo stesso, in molti differenti atomi allo stesso istante di tempo). Tra le diverse possibili con figurazioni degli elettroni rispetto al nucleo prendiamone in considerazione due, in due diversi istanti, come quelle riportate nella figure (a) e (b):

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I due elettroni, nello stato fondamentale, stanno nell'orbitale 1 s che, appunto, è a simmetria sferica.

La figura (a) riporta una configurazione ad alta probabilità in cui gli elettroni si trovano in posizioni opposte rispetto al nucleo.

La figura (b) riporta una configurazione a bassa probabilità in cui gli elettroni si trovano ambedue da una stessa parte del nucleo.

Questa tendenza degli elettroni a sistemarsi in bande opposte rispetto al nucleo è chiamata correlazione elettronica ed è il risultato della repulsione tra cariche uguali. Questa repulsione rende quindi meno probabile la configurazione, a cui compete maggiore energia, di figura (b) rispetto a quella di figura (a), a cui compete minore energia (fatto in accordo con la tendenza di natura).

Naturalmente il fenomeno della correlazione elettronica si ha anche quando, anziché considerare un atomo isolato, si considera un aggregato di atomi. Il risultato di questa correlazione è stato riportato schematicamente nelle figure (a) e (b) seguenti, in cui è riportato un caso in cui c'è attrazione tra due atomi di elio ed un caso in cui c'è repulsione:

Ambedue i disegni mostrano le probabili disposizioni degli elettroni nei singoli atomi ma in situazione di differente orientazione di un atomo rispetto all'altro. Nella figura (a) le attrazioni fra elettroni di un atomo e nucleo dall'altro dominano sulle repulsioni elettroni-elettroni e nucleo-nucleo: a queste configurazioni corrisponde un abbassamento di energia. Nella figura (b) si ha una situazione opposta a cui corrisponde un innalzamento di energia.

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La cosa importante da notare a questo punto è che gli elettroni dei due atomi correlano i loro movimenti in modo tale da rendere più probabile la configurazione di figura (a) (a cui corrisponde una energia più bassa); e quindi si hanno sempre configurazioni il cui risultato è una attrazione.

Cerchiamo di capire ancora meglio.

Le configurazioni di figure (a) e (b) (configurazioni istantanee), possono essere considerate come semplici dipoli elettrici (istantanei). Alla luce di questo fatto analizziamo di nuovo le interazioni di figure (b) e (c) con i seguenti disegni:

La figura mostra come si semplificano le cose considerando gli atomi come dipoli istantanei. Nella figura si passa da una configurazione atomica istantanea ad una configurazione dipolare istantanea.

In (a), (b) e (c) c'è, al solito, attrazione; mentre in (a'), (b') e (c') c'è repulsione [e noi sappiamo che è preferita, per ragioni energetiche, la configurazione (a), (b) e (c)].

In definitiva le cose stanno nel modo seguente: un atomo con una distribuzione di carica a simmetria sferica può essere considerato come un dipolo istantaneo; l'altro atomo che si avvicina al primo, poiché è dotato di una certa polarizzabilità, acquista un dipolo indotto che è in fase con quello inducente (in modo da originare sempre una attrazione).

Il motivo per cui le forze che si originano dalla vicinanza di due atomi (ad esempio) di elio sono sempre attrattive può essere riassunto nel modo seguente: consideriamo due atomi di elio in posizioni tanto ravvicinate da interagire; in questi atomi le posizioni degli elettroni non saranno più indipendenti ma, a causa della loro repulsione mutua, si avrà una maggiore probabilità di trovarli dallo stesso lato di ciascun nucleo (figura (b) seguente) o uno da un lato ed uno da

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un altro (figura (c)) di quella di trovarli nella regione compresa tra i due nuclei (figura (a)); ragionando poi come due figure fa, si vede subito che alla configurazione di figura (a) corrisponde repulsione tra gli atomi, mentre a quelle di figure (b) e (c) corrisponde attrazione.

A questo punto è rimasta in sospeso la questione dell'additività delle forze di London. Cerchiamo di descrivere questo fatto.

Abbiamo già detto che una delle obiezioni che si possono muovere alle teorie di Keesom e Debye è il fatto che le forze di interazione molecolare, che si ricavano dallo sviluppo delle loro ipotesi, non risulta no additive.

Questo fatto non si verifica per le forze di London, infatti si può dimostrare che la relazione (che abbiamo già incontrato e che ci dà l'energia di attrazione tra gli atomi o le molecole):

ha la caratteristica dell'additività; questo fatto significa che se tre molecole agiscono simultaneamente l'una sull'altra, i tre potenziali di interazione U fra le tre coppie possibili di molecole (se le molecole sono A, B e C, le tre possibili coppie sono AB, AC e BC) debbono essere semplicemente sommati, e che ogni influenza di una terza molecola sull'interazione fra le prime due è solo un piccolo effetto di perturbazione di un ordine di grandezza più piccolo di quello dell'interazione stessa.

Queste forze di interazione possono quindi essere semplicemente sovrapposte in accordo con la regola del parallelogramma delle forze ed esse sono, di conseguenza, in grado di rappresentare il fenomeno di generale coesione che si manifesta ad esempio tra liquidi e solidi.

Se molte molecole interagiscono simultaneamente tra di loro, si deve immaginare che ciascuna molecola induce su ciascuna delle altre un set di dipoli(37) che sono in costante relazione di fase con il corrispondente originale dipolo inducente. Ogni molecola è così sede si moltissimi set di dipoli indotti, sovrapposti in modo incoerente e originati dalle differenti molecole agenti. Ciascuno di questi dipoli indotti ha sempre un'orientazione tale da essere attratto dai dipoli corrispondenti che lo hanno generato. Si può così immaginare che l'interazione simultanea di molte molecole può semplicemente essere costruita successivamente come una sovrapposizione additiva di singole forze fra coppie di molecole.

Tutte le cose a questo punto sembrano tornare anche se c'è da osservare che l'ultima formula che abbiamo dato per l'energia di interazione U fra coppie di atomi o molecole è ancora lontana dal rappresentare le forze molecolari per tutte le distanze tra gli atomi o le molecole che interagiscono e può essere considerata solo come una prima approssimazione. Volendo infatti fare un conto più preciso occorrerebbe considerare anche i quadrupoli e gli ottupoli che originano interazioni proporzionali a 1/r8 ed 1/r10, etc., ma per i nostri scopi è più che sufficiente quanto abbiamo detto fino ad ora.

Una cosa è invece importante aggiungere relativamente all'interazione a piccole distanze r tra gli atomi o molecole.

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Quando infatti due oscillatori interagenti si trovano ad una piccolissima distanza si verifica una penetrazione, l'una nell'altra delle nuvole elettroniche di carica che circondano i nuclei.

In seguito a ciò i nuclei non risultano più completamente schermati dalle loro orbite elettroniche, si respingono l'un l'altro e danno origine ad una repulsione coulombiana.

Oltre a questo effetto repulsivo occorre considerarne un altro simultaneo: quello originato dal principio di esclusione di Pauli. Infatti sovrapponendo diversi orbitali si verifica il fatto che più di due elettroni si verrebbero a trovare con lo stesso set di numeri quantici; l'impossibilità di ciò origina un notevole effetto repulsivo che va a sommarsi a quello originato dalle forze repulsive coulombiane tra i nuclei.

Resta da ultimo da fare il confronto delle forze di orientazione di Keesom, di quelle di induzione di Debye e di quelle di dispersione di London per differenti coppie di atomi e di semplici molecole. Il risultato di questo calcolo fatto da London nel 1937 e da Margenau nel 1939 è riportato nella seguente tavola. Come si può vedere, solo nelle molecole fortemente polari e con piccola polarizzabilità, come H2O, le forze di

dispersione sono di secondaria importanza rispetto alle forze di orientamento. Si osservi inoltre che le forze di induzione sono sempre praticamente trascurabili:

In base a quanto abbiamo ora detto e visto, andiamo a disegnare le curve dell'energia potenziale Ep di

alcune molecole biatomiche in funzione della distanza r tra i nuclei degli atomi costituenti (vedi figura seguente in cui c'è riportata, per confronto, anche una molecola poliatomica CO2). Il valore del minimo di

energia potenziale per le varie molecole indica la diversa stabilità di esse(38):

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come si può vedere dalla figura la molecola di elio è estremamente instabile; si passa poi a stabilità sempre maggiori fino ad arrivare alla molecola di anidride carbonica (CO2 ) che ha una grande stabilità

(relativamente a quella delle altre molecole riportate nel grafico).

***

Prima di chiudere con le forze di Van der Waals occorre trattare un ultimo tipo di interazione, quella che va sotto il nome di legame idrogeno.

1 - Legame idrogeno

Un particolare e ben noto tipo di forze di Van der Waals intense e direzionali è quello che va sotto il nome di legame idrogeno il quale può essere considerato, come vedremo, un caso particolare delle forze di induzione studiate, come abbiamo visto, da Debye.

Ancora negli ultimi anni dell'800 si credeva comunemente che l'idrogeno avesse valenza1, si riteneva

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cioè, che l'idrogeno potesse chimica mente legarsi solo con un altro atomo (ricordo che la valenza è il numero intero che esprime la capacità dell'atomo di un elemento di combinarsi con un certo numero di atomi di idrogeno o di sostituirsi ad essi). Questa convinzione veniva, però, sempre più messa in discussione man mano che, nei primi anni di questo secolo, una serie di fatti sperimentali facevano pensare che l'idrogeno, in qualche caso, fosse bivalente (avesse, cioè, valenza 2).

La necessità di postulare una specie di bivalenza dell'idrogeno fu per la prima volta espressa nel 1912 da Werner e Pfeiffer (39) per spiegare molte inaspettate proprietà fisiche di alcuni composti contenenti idrogeno. Queste anomalie sono mostrate in modo evidente dall'acqua (H2O). Questa sostanza ha (tra

l'altro) un alto punto di ebollizione, una grande tensione superficiale e una alta costante dielettrica; ebbene, se l'acqua esistesse semplicemente in singole molecole H2O questi fatti non dovrebbero verificarsi. Per spie

gare gli strani fenomeni (rispetto alle conoscenze dell'epoca) succitati bisogna pensare che l'acqua esista, anziché in molecole singole, in gruppi associati di due (H2O)2 o tre (H2O)3 molecole.

Altre sostanze, tra cui l'acido fluoridrico (HF), presentano analoghe anomalie (densità di vapore, punto di ebollizione, etc. non sono in accordo con i calcoli fatti considerando l'acido fluoridrico esistente in molecole singole HF). Anche qui, per far tornare le cose, si deve pensare che l'HF debba esistere in gruppi associati di due (HF)2 o più molecole [fino a 6: (HF)6] .

Cerchiamo di vedere, in termini di formule di struttura,(40) come si possono rappresentare gruppi del tipo (H2O)2 e del tipo (HF)2.

La formula di struttura di una singola molecola d'acqua (H2O) è:

e questa formula è in accordo con le conoscenze elementari che noi abbiamo della chimica: l'idrogeno lo conosciamo come monovalente e da questo elemento si diparte una sola linea ad indicare questa valenza 1; l'ossigeno lo conosciamo come bivalente e da esso si dipartono due line che ci danno appunto questa valenza 2 (un'unica osservazione deve essere fatta relativamente all'angolo che i due legami H formano tra di loro. Si potrebbero infatti pensare formule di struttura costruite nel modo seguente:

in cui gli angoli tra i legami dei due idrogeni sono rispettivamente di 180° e di 90° gradi. Un accurato studio, mediante diffrazione dei raggi X, ha però permesso di stabilire che la corretta formula di struttura per l'acqua è proprio quella data ed in cui l'angolo tra i legami dei due idrogeni risulta essere di circa 105°, come vedremo meglio più oltre). Tutte le valenze risultano quindi saturate. Come si può pensare allora di legare a questa un'altra molecola?

Il solo modo verosimile di rappresentare un gruppo del tipo (H2O)2 è il seguente:

In questa struttura si hanno due atomi di ossigeno che risultano legati attraverso un solo atomo di idrogeno. Il legame dell'idrogeno con un solo atomo di ossigeno può essere considerato come covalente (vedi

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MOLECOLE

parte prima di questo lavoro) e, in accordo con le nostre cognizioni elementari di chimica, può essere rappresentato con un tratto continuo (————) come nella penultima figura. Riguardo l'altro legame che l'idrogeno ha con il secondo atomo di ossigeno, niente siamo ora in grado di dire relativamente alle eventuali forze in gioco: questo legame lo abbiamo indicato con una linea tratteggiata (- - - - -).

In accordo con quanto abbiamo detto fino ad ora, nel caso si avesse un gruppo di più molecole d'acqua, lo indicheremo nel modo seguente:

Delle cose analoghe si possono dire per i gruppi (HF)n , con n = l, 2, ..., 6; per questi infatti si hanno delle

formule di struttura del tipo riportato in figura:

I due esempi che abbiamo fatto , relativi ai gruppi H20 ed HF, prendevano in esame i due più elettronegativi

(41) elementi: l'ossigeno ed il fluoro.

Quanto abbiamo detto può essere generalizzato: due elementi (X ed Y), sufficientemente elettronegativi, possono, in determinate circostanze, essere legati nel modo seguente:

X—————H- - - - - - - -Y

Questo particolare tipo di legame è quello che si chiama legame idrogeno. Questo tipo di legame, può, quindi, formarsi solo mediante un atomo di idrogeno che è già legato ad un elemento molto elettronegativo (come ad esempio: fluoro, ossigeno e azoto). Inoltre, il legame idrogeno si stabilisce tra un atomo di idrogeno ed un atomo di un altro elemento di una molecola adiacente e questo fatto origina una reciproca attrazione tra molecole.

Nel 1920 W. M. Latimer e W. H. Rodebush (e, indipendentemente, M. L. Huggins in un lavoro non pubblicato) per primi rappresentarono il legame idrogeno in termini elettronici. I tre fisici pensarono che questo particolare legame fosse originato dalla formazione di due legami covalenti da parte dell'atomo di idrogeno. Questa idea fu adottata per qualche anno, fino a quando, cioè, con l'introduzione del principio di Pauli (1925), si riconobbe che su una orbita elettronica vi possono essere al massimo due elettroni (e ve ne sono due se questi ultimi hanno spin opposti).

Vediamo come entra nelle nostre considerazioni il principio di Pauli. Supponiamo vera l'ipotesi di Latimer - Rodebush (e Huggins) e riportiamo in un disegno schematico l'atomo di idrogeno impegnato in un doppio legame covalente tra due ossigeni:

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Osservando la figura sembrerebbe esservi un solo legame covalente, quello originato da un elettrone dell'ultima orbita dell'ossigeno di sinistra con l'unico elettrone (segnato in figura come un segno meno a fianco) dell'idrogeno. Ma quella di figura è una situazione statica. In realtà l'elettrone dell'idrogeno (come del resto tutti gli altri) si muove molto rapidamente passando alternativamente a formare il legame covalente con l'ossigeno di sinistra e con quello di destra.

A parte lo strato L degli ossigeni che per comodità è stato disegnato con tutti gli elettroni su di un unico livello anche se questi si trovano su vari sottolivelli (ma la cosa è concettualmente possibile purché sullo strato L vi siano al massimo otto elettroni sempre pensati suddivisi in vari sottolivelli estremamente vicini tra di loro e quindi praticamente impossibili da disegnare), la cosa che più colpisce della figura è l'esistenza sull'unico strato K (livello 1 s) dell'idrogeno di tre elettroni. Questo fatto è contrario al principio di Pauli e non risulta quindi possibile (come Pauling mostrò nel 1928).

Si è allora pensato che l'idrogeno formasse uno dei due legami covalenti usando uno dei suoi orbitali appartenenti allo strato L (2s, 2px , 2py , 2pz ), ma questa ipotesi risulta estremamente improbabile per

ragioni energetiche; infatti gli elettroni che andassero da un orbitale K in un orbitale L acquisterebbero delle energie molto più alte e questa situazione risulta sfavorevole alla formazione di legami.

Nel 1926, studiando con i nuovi metodi della Meccanica quantistica gli stati quantici dell'atomo di elio, Heisenberg introdusse il concetto (estremamente importante) di risonanza con il quale si tentò una nuova spiegazione, ad opera soprattutto di Sidgwick (1927), del legame idrogeno.

Cerchiamo di capire, molto in breve e senza entrare in alcun dettaglio, cos'è la risonanza.

Quando si vuol determinare la formula di struttura di una certa so stanza, lo si vuole fare univocamente, cioè, senza equivoci.

Quando non è possibile determinare questa formula di struttura, in modo preciso e univoco, da dati sperimentali, allora ci si affida alle nostre conoscenze teoriche per cercare di dare la formula più probabile. Procedendo però in questo modo, in genere, non si individua una sola formula di struttura, ma se ne individua più di una.

Facciamo il semplice esempio dell'ozono O3 (che è la molecola triatomica dell'ossigeno).(42)

Per questa molecola si possono pensare le due seguenti formule di struttura (i puntini neri riportati nelle formule rappresentano gli elettroni dell'ultimo strato non impegnati in legami, mentre il trattino ——— rappresenta il legame chimico e cioè la messa in comune di un elettrone da parte dei due atomi uniti dal trattino stesso; in definitiva ogni trattino rappresenta due elettroni; uno per ciascuno dei due atomi da questo legati):

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Conteggiando per ogni trattino due elettroni e sommandoli a quelli non legati si vede facilmente che in ambedue i casi il totale degli elettroni dell'ultimo strato dei tre ossigeni è 18 (6 per ciascun ossigeno) così come deve essere.

Riferendoci alla figura (a), vediamo che ci sono due ossigeni uniti da un legame doppio, mentre due sono uniti da un legame singolo (analogamente nella figura (b)).

Ancora dalla figura (a) ricaviamo che l'ossigeno terminale verso il basso completa lo strato K avendo 6 elettroni non legati più due che si originano dal legame (il trattino che lo unisce con l'ossigeno centrale). Così stando le cose, però, questo ossigeno terminale risulta avere un elettrone in più sull'ultimo strato (7 invece di 6) rispetto a quello che si dovrebbe avere considerando un ossigeno isolato. Si deve allora considerare l'atomo che sta più in basso come uno ione negativo originato dalla cattura di un elettrone dall'atomo centrale il quale evidentemente risulta ione positivo:

Lo ione positivo al centro della formula di struttura forma allora tre legami: uno semplice ed uno doppio.

Tutte queste cose, che abbiamo detto, si possono dire allo stesso modo per la struttura della penultima figura (b) solo cambiando gli uffici degli atomi terminali.

Vediamo un altro esempio: quello della grafite.

In questa sostanza ogni atomo è circondato da altri tre, ai quali è legato da un legame doppio e da due semplici (completando quindi il suo ultimo strato che manca appunto di quattro elettroni).

Le possibili formule di struttura della grafite possono quindi essere:

Di esempi di questo tipo se ne possono fare moltissimi (anidride carbonica CO2, ossido di carbonio CO, etc.)

e stanno ad indicare ciò che avevamo accennato qualche riga più indietro, il fatto, cioè, che spesso è difficile assegnare ad una molecola una sola struttura elettronica (una sola formula di struttura) che rappresenti in modo soddisfacente, e non sterile, le sue proprietà.

Quando ci troviamo di fronte a casi del genere dobbiamo ammettere che tutte le formule probabili siano in risonanza tra loro cioè che nessuna delle formule che noi abbiamo ricavato dai nostri presupposti teorici rappresenta in modo completo ed efficace la struttura della sostanza, ma tutte insieme concorrono a rappresentare la vera struttura che tuttavia rimane incognita. Qual è allora la vera struttura dell'ozono? Nessuna delle due fornite. La struttura vera risuona (è il doppio legame che risuona) tra le due risultando un ibrido tra le varie strutture probabili (è stata paragonata ad un mulo che ha le caratteristiche dell'asino e del cavallo pur non essendo né asino né cavallo).

Qual è la struttura vera della grafite di figura precedente? Anche qui nessuna delle tre. La struttura vera risuona tra le tre risultando un ibrido tra esse.(43)

Un'ultima cosa da dire a proposito della risonanza è relativa all'energia che gli compete.

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Facendo i conti sulle strutture probabili che noi possiamo costruire di molecole risonanti troviamo sempre che le energie di legame di queste strutture risultano minori delle energie di legame, per le molecole in considerazione, misurate sperimentalmente (e questa, se vogliamo, è un'altra riprova della inadeguatezza delle formule probabili che scriviamo) .

La differenza, che dà sempre un valore positivo, tra le energie di legame misurate sperimentalmente (per molecole risonanti) e quelle calcolate dalle formule di struttura probabili ricavate teoricamente dà la misura della stabilità della vera struttura rispetto a quella rappresentata dalle nostre semplici formule probabili. Questa differenza di energia tra la vera molecola e la più stabile delle strutture probabili è chiamata energia di risonanza.(44)

Torniamo al legame idrogeno per vedere come si cercava di renderne conto (come abbiamo già detto: a partire dal 1927) mediante la risonanza.

Supponiamo di avere un gruppo di tre molecole di acqua (H2O)3. Queste molecole sono unite da legami

idrogeno ed il gruppo risulta stabile.

L'energia di risonanza tra le due strutture riportate in figura seguente, poteva rendere conto della stabilità osservata sperimentalmente(45).

L'energia del legame idrogeno era quindi attribuita all'energia di risonanza risultante.

Questo modo di intendere le cose ha ancora oggi dei sostenitori ma il massimo successo lo ebbe negli anni che vanno dal 1930 al 1940.

La principale obiezione che venne (e che è) mossa alla risonanza è che essa non può essere la causa principale della forza che si esercita nel legame idrogeno a causa della posizione dell'idrogeno nel legame stesso.

Infatti, da molti dati sperimentali, risulta che l'idrogeno, impegnato nel legame omonimo tra due atomi (X ed Y), non si trova mai ad ugual e distanza da questi [eccetto che nel caso dello ione (HF2)-] essendo

situato più vicino ad uno dei due. Risulta inoltre che, in un legame idrogeno del tipo X.————H- - - - - - -Y, più breve è la distanza di X da Y, più forte è il legame idrogeno. Ora, affinché si abbia risonanza, l'atomo di idrogeno (e quindi il nucleo, cioè il protone) dovrebbe essere situato presumibilmente al centro dei due atomi (X ed Y) e questo fatto, come abbiamo visto, non si verifica mai. Inoltre, poiché in diversi casi è stato possibile misurare l'energia di risonanza, quest'ultima risulta insufficiente a rendere conto dell'energia del legame idrogeno osservata sperimentalmente.

Nel 1928 cominciò a studiare il problema Linus Pauling (i suoi studi, in gran parte riguardanti il legame idrogeno, sono proseguiti per più di 30 anni). Pauling affrontò il problema dal punto di vista della meccanica quantistica trovando, come importante risultato, che l'attrazione di due atomi, nel legame idrogeno, deve attribuirsi in modo determinante a forze che si esercitano tra ioni, a forze in definitiva, di natura elettrostatica.

Il meccanismo è in pratica quello delle forze di induzione di Debye.

Supponiamo di avere un legame idrogeno tra due atomi X ed Y:

X———H- - - - - -Y

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Già sappiamo che il legame idrogeno si forma prevalentemente quando X ed Y sono fortemente elettronegativi. Ciò implica che l'atomo X, impegnato nel legame, eserciterà una forte attrazione sull'elettrone dell'idrogeno. Questo elettrone passerà quindi gran parte del suo tempo delle vicinanze di X dando origine ad un legame con una polarità ben precisa: negativa dalla parte di X e positiva dalla parte di H. La situazione, schematizzata in figura, è quindi la seguente:

X-————H+- - - - - - -Y

Osserviamo ora che il legame X-————H+ possiamo rappresentarlo con un dipolo, mentre l'atomo Y, lo possiamo rappresentare con la sua nuvola carica e quindi con la sua polarizzabilità.

Si ha quindi la situazione seguente:

che origina la polarizzazione e quindi un dipolo indotto su Y:

E questo stato di cose, come sappiamo, è relativo ad una attrazione tra i dipoli (quello permanente e quello indotto) con una energia (proporzionale ad 1/r 6) che ha lo stesso andamento di quella prevista da Debye pur essendo più grande(46).

Pensando a come stanno le cose si capisce subito che la grande energia U di interazione che si riscontra è dovuta alla piccolezza del protone dell'idrogeno che sta in mezzo agli atomi X ed Y; infatti questa piccolezza permette un, grande avvicinamento r tra il gruppo X-—-——H+ e l'atomo Y:

Nel caso in cui non due (X ed Y) ma più atomi X e più atomi Y siano interessati al legame idrogeno (come nel ghiaccio) si può fare un altro ragionamento per rendere conto della sua natura elettrostatica. Infatti considerando, come prima, il legame:

X————H- - - - - - - -Y

e restando il fatto che il gruppo X——H forma un dipolo permanente:

ora l'atomo Y ha altri atomi di idrogeno a disposizione e, per la sua elettronegatività, risulterà in qualche modo ionizzato negativamente avendo prelevato, con lo stesso meccanismo di X, un elettrone a qualche altro atomo di idrogeno.

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La situazione sarà allora la seguente:

risultando, in definitiva una attrazione di un tipo particolare (ione-di polo) che vedremo più avanti.

Prima di concludere con il legame idrogeno, e con esso con le forze di Van der Waals, è necessario dire che a tutt'oggi si crede generalmente che il meccanismo elettrostatico sia il componente principale della forza che si esercita in un legame idrogeno. Naturalmente una frazione della forza di legame sarà originata anche dalla risonanza; ma solo una frazione.

Studi recenti hanno mostrato che questo tipo di legame riveste una eccezionale importanza; molte macromolecole presentano infatti questo tipo di legame e la sua presenza è spesso vitale nei sistemi biochimici. Per esempio si crede che il legame idrogeno sia la causa della particolare struttura a doppia elica dell'acido deossiribonucleico (DNA: Watson e Crick, 1953) la sostanza che porta il codice genetico nelle cellule viventi.

Una ricostruzione tridimensionale della famosa doppia elica del DNA. Più in basso un disegno schematico del DNA in cui si fanno notare i legami idrogeno esistenti tra le basi. Osservo a parte che l'unità di misura presente nel secondo disegno, il nanometro (nm) vale: 1nm = 10-9 m.

Si crede inoltre che il legame idrogeno presente nelle proteine permetta lo scambio tra queste di informazioni biologiche (in un ambiente acquoso) secondo il seguente meccanismo: gli H del legame idrogeno possono scorrere formando delle correnti che portano l'informazione biologica da un punto all'altro della proteina:

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Disegno schematico di una catena peptidica, alla base di proteine ed amminoacidi. Nella prima figura i pallini neri sono legami idrogeno. Nella seconda, vi è la schematizzazione della prima per far notare che il legame idrogeno (linea tratteggiata) attraversa tutto l'asse della macromolecola. Osservo che il simbolo R sta ad indicare l'inizio di una catena laterale di altri componenti (residui amminoacidi)

Dato poi che in tutte le sostanze organiche vi è il legame idrogeno, si è fatta l'ipotesi che l'indeterminazione nella posizione di H serva per il trasferimento di informazioni in una cellula.

2 - Ricapitoliamo sulle forze di Van der Waals

(sono ancora grato ad Emilio Segrè che, a margine di un incontro ai Lincei, mi ha indicato il lavoro da cui ho tratto una gran mole di notizie: H. Margenau - Van der Waals Forces - Reviews of Modern Physics, V.11, n. 1, 1939. )

Le forze di Van der Waals si possono raggruppare in tre particolari tipi di forze (oltre al legame idrogeno che può essere considerato un caso particolare delle forze di induzione):

a) Forze d'orientamento di Keesom tra molecole rigide polari (legame dipolo-di polo). In questo legame si ha una energia media U di interazione proporzionale ad 1/r6 e ad 1/T; la forza invece è proporzionale ad 1/r7 e ad 1/T (queste forze non sono additive e dipendono dalla temperatura).

b) Forze di induzione di Debye tra molecole polarizzabili (legame dipolo-dipolo indotto). In questo legame si ha una energia media U di interazione proporzionale ad 1/r6 ed una forza proporzionale ad 1/r7 (queste forze non sono additive).

c) Forze di dispersione di London tra atomi e molecole polarizzabili (legame dipolo istantaneo-dipolo indotto). In questo legame si ha una energia media U di interazione proporzionale ad 1/r6 e dipendente dall'energia di punto zero; la forza, anch'essa dipendente dall'energia di punto zero, è proporzionale ad 1/r7

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(queste forze risultano additive).(47)

[In una generica attrazione molecolare si avrà a che fare con la somma degli effetti di tutti e tre i tipi di forze].

***

II problema delle forze di Van der Waals che abbiamo or ora finito di trattare è uno dei tanti problemi relativi alle forze chimiche.

Per completare il discorso, relativamente a queste forze, rimangono da studiare le interazioni elettrostatiche tra molecole (legame ione-ione, o dativo, e legame ione-dipolo) ed il legame metallico (che comunque verrà trattato dopo le teorie dell'orbitale molecolare e del legame di valenza che vedremo più avanti).

3 - Attrazione elettrostatica tra molecole. Legame dativo.

Questo tipo di legame tra molecole, che può essere considerato equivalente ad un doppio legame covalente tra atomi, fu studiato da Werner (1893), Lowry (1923) e Sidgwick(48) (1927) [il quale usò, per rappresentare il legame il simbolo ——> che sta ad indicare un trasferimento di carica elettrica da un atomo ad un altro].(49)

La spiegazione data da Werner per questo legame era soltanto empirica; solo con lo sviluppo della teoria elettronica della valenza Lowry e Sidgwick riuscirono a darne una interpretazione teorica.

Quando abbiamo studiato il legame covalente abbiamo visto che, in ogni coppia di elettroni messa in comune tra due atomi, ciascun atomo contribuisce con un elettrone.

Un altro modo di mettere in comune elettroni tra due atomi (o due molecole) si ha quando uno dei due atomi (o molecole) che entrano nel legame fornisce ambedue gli elettroni che poi vengono messi in comune. Formalmente, quindi, i due atomi sono tenuti insieme da una coppia di elettroni condivisa: per questo spesso si parla di covalenza dativa. Quando pero si vanno a studiare le proprietà delle molecole tenute insieme da questo particolare legame covalente si trovano proprietà diverse da quelle che ci aspetteremmo. Inoltre, le formule classiche ricavate con l'ausilio della teoria elettronica della valenza devono spesso essere completamente modificate per rendere conto di questo legame (e per questo il legame dativo viene studiato a parte rispetto al covalente).

La spiegazione data da Sidgwick consiste di due importanti postulati:

1) Gli atomi non raggiungono la loro configurazione più stabile solo quando sulle loro orbite esterne vi sono otto elettroni, ma anche quando su queste orbite vi sono dieci, dodici e sedici elettroni (si ricordino i sottolivelli che originano uno strato!).

2) Legami covalenti possono ottenersi anche quando uno dei due atomi (o molecole) interessati al legame fornisce ambedue gli elettroni.

Abbiamo già detto che il legame dativo è presente particolarmente in composti complessi in cui due molecole sono tenute insieme dalla messa in comune di due elettroni forniti da una di esse. Questi composti complessi sono particolarmente numerosi in natura, soprattutto nelle molecole impegnate nei processi biologici (quali: la respirazione, la sintesi clorofilliana, etc...). Di esempi quindi se ne potrebbero fare molti ma noi ci limiteremo ad uno nel quale il legame dativo tiene insieme due molecole già di per sé abbastanza complicate.

Il tricloruro di boro (BCl3) e l'ammoniaca (NH3) hanno le seguenti formule elettroniche:

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MOLECOLE

Come si può vedere, nell'ammoniaca, vi è una coppia di elettroni non impegnati in alcun legame, mentre il boro del tricloruro ha ancora la possibilità di accogliere nella sua orbita più esterna due elettroni.

Si può quindi stabilire un legame dativo tra le due molecole per formare BCl3NH3 (che scritto secondo

la convenzione fatta è: Cl3B<——NH3) che può essere rappresentato come in figura:

Un'osservazione può essere subito fatta: se una molecola contiene uno solo di questi legami essa avrà un momento di dipolo poiché il trasferimento di elettroni avviene tutto in un'unica direzione, facendo acquistare alle molecole (o atomi) componenti un certo grado di polarità. Quando poi una molecola ha più di uno di questi legami, la sua geometria (spaziale) determinerà se essa ha nell'insieme un momento di dipolo.

Il processo che abbiamo descritto, per la formazione della molecola di BCl3NH3, può essere anche

interpretato in altro modo.

Una molecola di tricloruro di Boro (BCl3) portata vicino ad una molecola di ammoniaca (NH3), la

ionizza (con un meccanismo analogo a quello visto nel legame ionico) togliendogli un elettrone; si ha quindi:

BCl3 + NH3 = [BCl3]- + [NH3]+.

In questo modo si sono ottenuti due ioni i quali, essendo dotati di carica elettrica, eserciteranno tra di loro una attrazione, il cui andamento sarà sostanzialmente regolato dalla legge di Coulomb, fino a che si legheranno nella formazione della molecola (mettendo in comune, come in un normale legame covalente, l'elettrone libero rimasto nell'ammoniaca e quello precedentemente ceduto al trifluoruro di boro). Per questo motivo il legame dativo va anche sotto il nome di legame ione-ione (o legame semipolare, poiché si ha a che fare, in successione, prima con un legame ionico poi con uno covalente).

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4 - Attrazione elettrostatica tra molecole: interazione ione-dipolo.

Irvin Langmuir, nel 1919, cominciò a studiare le interazioni ione-dipolo. Gli studi di Langmuir si arricchirono negli anni seguenti di contributi ad opera di altri studiosi, soprattutto dopo la pubblicazione dei lavori di Debye sull'interazione dipolo-dipolo indotto (1920-1921).

Questo tipo di interazione si manifesta soprattutto tra uno ione (cioè: una carica elettrica) ed un insieme di molecole polari (dotate cioè di dipolo permanente) o di molecole polarizzabili (che possono acquistare cioè un dipolo indotto), in genere, nelle soluzioni.

Cominciamo con lo studiare l'interazione ione-dipolo permanente riferendoci all'esempio tipico del cloruro di sodio (NaCl e cioè: sale da cucina) disciolto in acqua (H2O).

Quando si mette l'NaCl (che è un solido cristallino, vedi oltre) in H2O, le molecole di acqua, che sono

polari,(50) attaccano il reticolo cristallino dell'NaCI con una forza di origine elettrostatica che sopravanza quella, sempre di origine elettrostatica che lega insieme (in un legame ionico) lo ione Na e lo ione Cl.

Rappresentando il dipolo permanente associato alla molecola di H2O, in accordo con quanto già detto

sull'acqua, con un dipolo e disegnando gli ioni con un cerchio contenente il simbolo dello ione, si ha la figura seguente:

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MOLECOLE

Tenendo presente la figura si possono fare le seguenti considerazioni che hanno comunque validità generale. Fissiamo le idee sullo ione-positivo Na+ . Quando a questo ione si avvicina una molecola d'acqua, dotata di momento di dipolo, lo ione attrarrà la parte negativa del dipolo e respingerà la parte positiva dello stesso [figura (b)]. Le due entità tenderanno quindi ad assumere la posizione seguente:

A questa disposizione ordinata si oppongono le vibrazioni molecolari di origine termica che tendono ad orientare a caso le molecole; in media comunque prevarrà la disposizione di figura precedente. Quando lo ione ed il dipolo sono orientati, come visto, si eserciterà una forza di attrazione tra lo ione (+) e la carica (-) del dipolo, mentre si eserciterà una repulsione tra lo stesso ione e la carica (+) del dipolo. La forza di attrazione prevarrà su quella di repulsione poiché la carica (-) del dipolo è più vicina allo ione (+) della carica (+) del dipolo stesso. Si ha quindi una attrazione tra lo ione ed il dipolo.

Supponendo che la carica dello ione sia q e che il momento del dipolo sia m, l'energia (UI-D) di

interazione media è data da:

UI-D = - (qm/r2)

che risulta ovviamente più debole dell'energia di interazione ione-ione che abbiamo visto nel paragrafo precedente.

Nel caso in cui l'energia KT (con K = costante di Boltzmann, e T = temperatura assoluta) di agitazione termica delle molecole è grande (cioè, se è alta la temperatura) rispetto ad UI-D, allora occorre correggere la

formula scritta e sostituirla con l'altra:

Prendiamo ora in esame l'interazione ione-dipolo indotto. Senza dilungarci troppo osserviamo subito che le cose vanno più o meno come nel caso visto precedentemente. Uno ione posto vicino ad una molecola non polare, dotata di una polarizzabilità α, la polarizza, secondo il meccanismo già visto quando abbiamo discusso le forze di induzione di Debye, inducendovi un dipolo:

In questo modo si origina una debole attrazione tra lo ione ed il dipolo indotto.

Supponendo che lo ione abbia una carica q e la molecola una polarizzabilità α, l'energia media (UI-DI) di

interazione sarà:

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MOLECOLE

Una osservazione prima di concludere questo paragrafo: un dipolo indotto si origina sempre nell'interazione tra uno ione ed una molecola (sia essa polare o no). Se la molecola è polare, la forza di attrazione dovuta all'interazione ione-dipolo indotto si somma a quella dovuta all'interazione ione-dipolo permanente.

***

Tutti i legami che abbiamo fin qui studiati (compreso quello metallico che studieremo più avanti) in alcuni casi sono presenti in forma praticamente pura; il più delle volte però il legame chimico è un misto tra i vari legami.

Quando si ha a che fare con un legame misto, si studiano separatamente i diversi contributi cercando poi di metterli insieme in una forza di attrazione o repulsione risultante. Come si può ben capire questo discorso è estremamente complicato fornendo solo del risultati approssimati ed il più delle volte aggiustati empiricamente dal confronto con i dati sperimentali.

***

Prima di iniziare la trattazione delle forze di Van der Waals e delle interazioni elettrostatiche avevamo discusso, dandone la spiegazione clas sica di Lewis e Langmuir, il legame covalente. Nel 1927, appena dopo la formulazione della meccanica quantistica, Heitler e London dettero una esauriente spiegazione del legame covalente nella loro teoria del legame di valenza e, sempre nel 1927, Burrau ed altri svilupparono ancora una spiegazione di questo legame nella loro teoria dell'orbitale molecolare.

Affronteremo ora lo studio quanto-meccanico di queste due importanti teorie.

1 - Introduzione della meccanica quantistica per la spiegazione delle forze chimiche

Le particelle che costituiscono la materia sono dotate di carica elettrica.

Le cariche elettriche di queste particelle danno origine ad intensi campi elettrici che generano le forze chimiche. Si potrebbe allora pensare di trattare i problemi del legame chimico come problemi elettrostatici. Ciò sarebbe vero se il comportamento di queste particelle fosse soggetto alla meccanica classica (meccanica di Newton); ma, in realtà, sotto l'influenza di queste forze elettriche, gli elettroni si comportano secondo la meccanica quantistica (meccanica di Planck), essendo inoltre soggetti al principio di Pauli.

Per spiegare quindi le forze chimiche bisogna tener conto del fatto che sia le particelle che producono il campo elettrico, sia quelle su cui il campo elettrico agisce si comportano secondo le leggi quantistiche,

Nel 1926 Schrödinger sviluppò la sua equazione. Contemporaneamente e per altra via Heisenberg sviluppò la meccanica quantistica. Appena un anno dopo, nel 1927, furono sviluppati dei metodi basati sulla nuova meccanica per spiegare le forze chimiche.

2 - La funzione d'onda ψ per una molecola.

La meccanica quantistica ha risolto brillantemente il problema della costruzione della funzione d'onda dell'atomo di idrogeno. Quest'atomo è relativamente semplice. Per trattarlo bisogna considerare due particelle (due corpi) che agiscono l'una sull'altra: l'elettrone ed il nucleo (formato da un solo protone).

La soluzione di un problema apparentemente appena più complicato è stata invece data solo in modo

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MOLECOLE

approssimato.

L'atomo di elio è formato da due elettroni e da un nucleo, il problema diventa ora a tre corpi. Supponiamo che i tre corpi siano A (un elettrone), B (un elettrone) e C (il nucleo). Quali sono le reciproche azioni tra questi corpi che dobbiamo considerare per risolvere l'atomo di elio? Esse sono: l'azione che il nucleo C esercita sull'elettrone A (C -> A) e viceversa (A -> C), l'azione che il nucleo C esercita sull'elettrone B (C -> B) e viceversa (B -> C) , l'azione che l'elettrone A esercita sull'elettrone B (A -> B) e viceversa (B -> A) . Queste azioni non sono poi separate o separabili in modo che si possano trattare una alla volta, ma sono strettamente connesse tra di loro in modo che in realtà il problema è: qual è l'azione che il nucleo C, influenzato dagli elettroni A e B, esercita sull'elettrone A, influenzato dall'elettrone B? Questo problema, problema a tre corpi, è tanto complicato che, come abbiamo appunto detto, è stato risolto solo con metodi approssimati (metodo delle perturbazioni e metodo variazionale).

Si capisce quindi che problemi relativi ad atomi più complicati (con più elettroni) o a molecole (più nuclei e più elettroni: problema a molti corpi) siano stati, parimente, risolti con i metodi di approssimazione conosciuti.

Le due teorie più comunemente usate, quella chiamata dell'orbitale molecolare e quella chiamata del legame di valenza, pur sviluppandosi in modi completamente diversi, raggiungono fortunatamente, nella maggior parte delle loro conclusioni, i medesimi risultati.

3 - La teoria del legame di valenza (LV): molecole biatomiche omonucleari(51)

La teoria del legame di valenza fu sviluppata nel 1927 dai due fisici tedeschi W. Heitler e F. London(52) (quello che abbiamo già incontrato nello studio delle forze di Van der Waals).

Restringeremo inizialmente la discussione a semplici molecole biatomiche omonucleari (la molecola ione dell'idrogeno H2

+ e la molecola dell'idrogeno H2 ).

La teoria del legame di valenza, come abbiamo già detto quando abbiamo parlato delle forze di London, fu sviluppata per rendere conto del legame covalente la cui spiegazione, fino al 1927 appunto, risultava solo empirica (Lewis-Langumir 1916-1919) e non fornendo alcuna informazione sulla sua struttura e sulla sua natura. Solo un anno prima, nel 1926, Schöodinger ed Heisenberg avevano sviluppato la meccanica ondulatoria e quantistica. Heitler e London applicarono questi risultati allo studio del tipo di interazione e dell'energia in gioco nel legame covalente.

La principale caratteristica del metodo LV che i due fisici tedeschi introdussero è che si considerano gli atomi che si combinano come un tutto unico (al contrario di quanto vedremo per il metodo dell'orbitale molecolare). La. formazione della molecola si considera come dovuta all'avvicinamento di atomi completi che interagiscono, se interagiscono, solo in un secondo tempo.

4 - La molecola ione idrogeno H2+.

Il problema che affrontarono Heitler e London per la spiegazione quanto-meccanica del legame covalente doveva essere, all'origine, il più semplice possibile, doveva, cioè aversi il numero più limitato possibile di elettroni e protoni in gioco.

Lo studio che essi iniziarono partì quindi dalla molecola di idrogeno H2. Noi partiremo invece dallo

studio della molecola di idrogeno che ha perso un elettrone risultando ionizzata positivamente (H2+), poiché

è quella che si presta, meglio(53). Si debbono considerare solamente due nuclei (due protoni) ed un elettrone. La situazione si può pensare originata dall'unione di un atomo Si idrogeno (H) con un atomo di idrogeno ionizzato (H+), un atomo cioè che ha perso il suo unico elettrone per restare con il suo unico protone (vedi figura 1):

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Figura 1. In figura A e B rappresentano i due protoni mentre - e rappresenta l'unico elettrone.

La situazione finale relativa alla molecola-ione idrogeno presenta lo spunto per importanti considerazioni. Innanzitutto osserviamo che si ha a che fare con un problema a tre corpi.

Si dovranno considerare tre diverse interazioni elettrostatiche le cui espressioni saranno date dalla legge di Coulomb: la forza attrattiva che si esercita tra il nucleo A e l'elettrone e che vale - e2/ra

2; la forza

attrattiva che si esercita tra il nucleo B e l'elettrone e che vale - e2/rb2; la forza repulsiva, che si esercita tra il

nucleo A ed il nucleo B che vale + e2/R2. Ricordando quanto abbiamo detto al punto h) del capitolo sul Dipolo elettrico - dipolo indotto - .... a proposito dell'energia potenziale che compete a due cariche interagenti, si vede subito che: all'interazione del nucleo A con l'elettrone compete una energia potenziale attrattiva Va =

- e2/ra; a quella, del nucleo B con l'elettrone compete un'energia potenziale attrattiva Vb = -e2/rb; a quella del

nucleo A con il nucleo B compete una energia potenziale repulsiva Vab = + e2/R. L'energia potenziale

complessiva del sistema sarà quindi:

V = - e2/ra - e2/rb + e2/R

Se E è l'energia totale del sistema, la sua energia cinetica sarà data da:

T = E - V = E + e2/ra + e2/rb - e2/R

Confrontando le espressioni di V e T ottenute ora con quelle che avevamo trovato per l'atomo di idrogeno (a meno del K che qui abbiamo considerato uguale ad 1) si vede subito che differiscono per il fatto che in questo ultimo caso si hanno tre termini per l'energia potenziale, mentre allora avevamo solo quello relativo all'interazione elettrostatica, tra il nucleo e l'elettrone. Facendo i conti si è trovato che l'energia potenziale prima della reazione (riferendosi alla figura è V' = - e2/ra) vale V' = - 2,62.106 joule e che l'energia cinetica

(T' = 1/2 mv2; con m = massa e v = velocità dell'elettrone) vale T' = 1,31.106 joule, mentre le energie potenziale e cinetica dopo la reazione valgono rispettivamente V = - 3,16.106 joule, T = 1,58.106 joule. Si vede quindi che le energie potenziale e cinetica dopo la reazione valgono rispettivamente:

E' = V' + T' = - 2,62.106 + 1,31.106 = - 1,31.106 joule

E = V + T = - 3,16.106 + 1,58.106 = - 1,58.106 joule.

La variazione di energia totale risulta allora:

∆E = E - E' = - 1,58.106 + 1,31.106 = - 0,27.106 joule.

L'energia è quindi diminuita. La sola possibile causa di questa diminuzione di energia è la nuova attrazione che si stabilisce tra l'elettrone dell'atomo di idrogeno ed il nucleo che si è aggiunto per formare la molecola (l'altra nuova interazione che si è stabilita, quella repulsiva tra nucleo e nucleo, non può far altro che far crescere l'energia, tenendo conto che, essendo l'energia repulsiva positiva, essa si somma). Questo fatto sta ad indicare che l'elettrone è vicino contemporaneamente ai due nuclei; l'elettrone si trova cioè tra i due nuclei.

Cerchiamo di capire meglio la portata di quanto ora detto andando a considerare le possibili forze che agiscono tra le tre particelle costituenti la molecola-ione idrogeno. In quanto abbiamo ora detto ci sia mo implicitamente riferiti alla figura in cui l'elettrone occupa una ben determinata posizione. E' evidente che ciò

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ha dei limiti di validità imposti dalla meccanica quantistica. Infatti la posizione di un elettrone non può essere data per una molecola con una precisione maggiore di quanto può essere data per un atomo. E questa precisione è stabilita così per un atomo come per una molecola, dalla probabilità di trovare l'elettrone, questa volta, vicino ai due nuclei.

Quindi, per parlare di forze agenti, occorre tener conto che queste forze debbono essere considerate come media di tutte le forze che, istante per istante, si esercitano fra elettrone e nuclei. Infatti la figura è un caso particolare: in un istante successivo le rispettive posizioni dei nuclei e dell'elettrone potrebbero essere come in figura 2,

Figura 2

con un conseguente cambiamento delle forze in gioco rispetto alla figura 1. Cerchiamo di capire meglio cominciando con il considerare le tre figure seguenti,

Figura 3

Evidentemente i due nuclei A e B, tenderebbero a respingersi essendo ambedue carichi positivamente (figura. 3 a). Il fatto che esiste una mole cola ione idrogeno H2

+ significa, che la forza repulsiva Fab tra i due

nuclei deve essere in qualche modo messa in minoranza dalle forze attrattive, Fa ed Fb , tra i nuclei e

l'elettrone. Cerchiamo di capire come, considerando la figura 3 b.

Il nucleo A sarà attratto dall'elettrone con una forza Fa , mentre il nucleo B sarà attratto dall'elettrone

con una forza Fb. Queste forze Fa ed Fb , avranno delle componenti, F'a ed F'b, lungo l'asse AB che colle ga i

due nuclei. Ora F'a ed F'b agiranno in modo da far avvicinare i nuclei fra loro ma, trovandosi con verso

opposto, sullo stesso asse della Fab (che tendeva, come abbiamo visto, a far allontanare i nuclei fra loro), non

avranno alcun effetto. In definitiva le F'a e F'b equilibrano la forza Fab e la configurazione di figura 3 b è

quella di legame per la molecola.

Ciò che abbiamo detto fin qui vuol dire che comunque ci avvicinino un atomo di idrogeno ed un protone avremo sempre una molecola H2

+ ? Certamente no. E per vederlo consideriamo la situazione della figura 3

c. In essa si vede che l'elettrone non si trova più al centro della molecola ma alla sua periferia in modo da esercitare sui nuclei delle forze attrattive, Fa ed Fb , tali che le loro componenti, F'a ed F'b , lungo l'asse AB

tendono a spostare ambedue i nuclei verso destra. Ora la forza F'a non sarà più dello stesso ordine di

grandezza (come era lecito supporre nel caso di figura 3 b) della forza F'b, ma invece si avrà che F'b è

maggiore di F'a , vista la situazione disegnata nella figura 3 c. Si avrà così che la forza Fab , che tira il nucleo

A verso sinistra, non sarà più controbilanciata da una efficace forza F'a; ed inoltre alla forza Fab, che tira il

nucleo B verso destra occorre ora aggiungere anche il contributo della forza F'b. In definitiva i due nuclei

tenderanno, in questa configurazione, a separarsi sempre più fra di loro non permettendo l'esistenza di un legame molecolare e quindi della molecola. La situazione di figura 3 b può essere quindi chiamata legante, quella di figura 3 c antilegante.

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MOLECOLE

Queste considerazioni possono essere fatte per qualsiasi molecola biatomica omonucleare (formate da due atomi dello stesso elemento) ottenendo in definitiva delle regioni nello spazio che sono leganti o antileganti a seconda della posizione dell'elettrone (figura 4).

Figura 4 - Se l'elettrone si trova nella regione ombreggiata si avrà una situazione legante che permetterà l'esistenza, della molecola. Viceversa, se l'elettrone si trova al di fuori della zona ombreggiata.

La figura 4 che ci dà la situazione di legame od antilegame per ogni possibile posizione dell'elettrone, si presta a delle considerazioni che ci portano alle stesse conclusioni che avevamo raggiunto discutendo delle energie. Innanzitutto osserviamo che nella figura 4 ci sono delle zone in cui l'ombreggiatura è più forte: più l'elettrone si trova in tali zone, più la posizione è favorevole al legame (se l'elettrone si trovasse lungo la linea congiungente AB sarebbe la situazione più stabile possibile per la molecola). Quindi per avere un legame molecolare occorre che l'elettrone si trovi il più vicino possibile ad ambedue i nuclei e ciò si verifica quando l'elettrone è nelle zone più scure dell'ombreggiatura: questa è esattamente la conclusione a cui eravamo arrivati quando avevamo ragionato con le energie.

Rimane a questo punto da discutere la questione più importante e cioè quella dell'energia in funzione della distanza R tra i due nuclei A e B che ci porterà alla descrizione quanto-meccanica della mole cola in oggetto.

Come già abbiamo detto la formazione della molecola-ione H2+ deriva da un atomo normale di idrogeno

H più un atomo di idrogeno ionizzato H+ (cioè un singolo protone). Quando H e H+ sono a grande distanza tra di loro (4÷5 Å) essi interagiscono solo in modo molto debole. Dicendo ciò non abbiamo ancora detto a quale nucleo appartiene l'unico elettrone a disposizione. In realtà si possano presentare due situazioni: o l'elettrone appartiene al nucleo A (ed in questo modo si dovranno considerare i sistemi 5 ed HA ed HB

+), o

l'elettrone appartiene al nucleo B (ed in questo modo si dovranno considerare i due sistemi HA+ ed HB).

Ritorniamo ora per un momento alla generica situazione di atomo di idrogeno normale H ed atomo di idrogeno ionizzato H+ (senza specifica re a quale nucleo appartenga l'elettrone) e supponiamo che la molecola H2

+ si origini dal reciproco avvicinarsi di H ed H+ senza che la struttura di H ed H+ venga

modificata dal fatto che i due nuclei vengono a trovarsi vicini. Facendo i conti si trova che l'energia di interazione (E) fra H ed H+ in funzione della distanza R fra i nuclei è data dalla curva di figura 5.

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MOLECOLE

Figura 5

Poiché si vede dal disegno che questa energia non è mai negativa, segue che essa non è mai attrattiva (come già sappiamo). In definitiva uno ione idrogeno ed un atomo di idrogeno non possono, così semplicemente, entrare nella formazione di una molecola ione stabile, essi infatti si respingono invece di attrarsi. Ritorniamo allora alle posizioni HA, HB

+ e HA+ , HB che abbiamo lasciato in sospeso qualche riga fa. La molecola ione H2

+ può pensarsi originata o dall'interazione di HA con HB+, cioè:

Struttura 1 : HA + HB+

e dall'interazione di HA+ con HB, cioè:

Struttura 2 : HA+ + HB.

Le due situazioni o strutture, come le abbiamo chiamate, sono esattamente equivalenti tra di loro e ad entrambe compete la medesima energia, questa equivalenza comporta l'uguale probabilità nel considerare un gran numero di coppie separate H ed H+, di trovare l'elettrone o vicino al nucleo A o vicino al nucleo B. Quindi all'incirca una metà di queste coppie avrà l'elettrone intorno al nucleo A e all'incirca l'altra metà avrà l'elettrone intorno al nucleo B. Cosa significa questo per noi? Ricordando quanto abbiamo studiato sulla risonanza (vedi) possiamo dire che le due strutture risuonano tra di loro apportando ciascuna il medesimo contributo alla molecola - ione H2

+.

Supponendo quindi che la struttura HA HB+ (meglio sarebbe dire l'elettrone) sia descritta da una

funzione d'onda ψA e che la struttura HA+HB sia descritta da una funzione d'onda ψB, allora la struttura

della molecola ione H2+ è descritta, con una certa approssimazione, da una particolare combinazione di ψA

ψB. Questa combinazione deve essere una combinazione lineare(54) . Allora la funzione d'onda approssimata,

che descrive la nostra molecola-ione idrogeno è:

ψ = aψA + bψB(55)

Si può dimostrare che di queste combinazioni lineari di ψA e ψB ne esistono due che sono:

ψ+ = ψA+ ψB e ψ- = ψA - ψB

a meno di un fattore moltiplicativo (fattore detto di normalizzazione che vale, nel nostro caso, 1 diviso la radice di 2)(55).

Ora a noi interessa la ψ modulo quadro o, per semplicità, supponendo che la ψ sia reale (e non

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MOLECOLE

complessa: vedi in proposito quanto abbiamo detto quando abbiamo definito la ψ), ci interessa, la ψ2 che rappresenta la probabilità di trovare l'elettrone in una certa zona. Si vede subito che:

ψ+2 = ψA

2 + ψB2

+ 2 ψAψB

ψ-2 = ψA

2 + ψB2 - 2 ψA ψB

Vediamo di disegnarci i grafici, a confronto, delle ψA2 , ψB

2 , ψ+2 e ψ-

2 e la rappresentazione delle linee

a ψ+2 e a ψ-

2 costanti (figura 6).

Figura 6

Nella figura 6 (a) sono rappresentate le probabilità ψA2 e ψB

2 (in linee tratteggiate) relative ai nuclei A e B

non interagenti l'uno con l'altro, e la probabilità ψ+2 , quadrato della somma di ψA

e ψB (in line a

continua), relativa all'intera molecola ione H2+. Come si vede si ha, per l'intera molecola, una grande

probabilità ψ+2 di trovare l'elettrone nella zona compresa fra i due nuclei, si ha cioè una grande probabilità

d i trovare l'elettrone contemporaneamente vicino ad ambedue i nuclei e, ricor dando quanto abbiamo detto qualche pagina indietro, questo fatto corrisponde ad uno stato legante.

Nella figura 6 (c) è riportata la stessa situazione della figura 6 (a), rappresentata questa volta mediante le curve in cui ψ+

2 è costante. Nella figura 6 (b) sono rappresentate le probabilità ψA2 e ψB

2 (in linee

tratteggiate) relative ai nuclei A e B non interagenti, e la probabilità ψ-2 , quadrato della differenza di ψA

e ψB , (in linea continua) relativa al momento dell'interazione dei due sistemi H ed H+ . Come si vede, nella

zona tra i due nuclei, si ha una probabilità ψ-2 nulla di trovare l'elettrone, cioè una probabilità nulla di

trovare l'elettrone vicino contemporaneamente ad ambedue i nuclei e, ricordando anche qui quanto abbiamo detto qualche pagina indietro, questo fatto corrisponde ad uno stato antilegante.

Nella figura 6 (d) è riportata la stessa situazione della figura 6 (b), rappresentata questa volta mediante le curve in cui ψ-

2 è costante. In definitiva la combinazione ψ+ è quella che ci fornisce, al contrario della

combinazione ψ- , una molecola-ione H2+ stabile. D'altra parte a questa conclusione si poteva giungere

anche partendo dall'esame delle relazioni che abbiamo già incontrato e che ci danno ψ+2 e ψ-

2 .

Nel caso di ψ+2 abbiamo che la densità di carica elettrica è maggiore di quella che si avrebbe

considerando le ψA e ψB

separate, della quantità 2 ψAψB e che questa densità di carica elettronica è

concentrata nella regione compresa fra i due nuclei (questo fatto comporta un abbassamento dell'energia di interazione con una conseguente attrazione, in accordo con quanto sappiamo: energia negativa = attrazione).

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MOLECOLE

Esattamente il contrario avviene nel caso della densità di carica, elettronica ψ-2 che risulta minore, di

quella che si avrebbe considerando la ψA e ψB

, separate, della quantità 2 ψAψB .

Riportiamo allora queste conclusioni nel diagramma dell'energia di interazione (E) fra H ed H+ in funzione della distanza R dai nuclei, già visto in un caso particolare nella figura 5. Riportiamo lo stesso grafico di figura 5 con, in più, i grafici delle energie relative agli stati legante ed antilegante (figura 7).

Figura 7

La curva corrispondente alla somma della ψA e ψB, quella indicata con ψ+

ha un minimo d'energia ben

pronunciato ad una distanza tra i nuclei di R ~ 1,06 Å.(56) Questo fatto mostra che, nella situazione discussa, cioè quella di risonanza dell'elettrone fra i due nuclei, si ha la creazione di un legame statile ad un elettrone per la nostra molecola-ione H2

+.

La curva tratteggiata è semplicemente quella di figura 5 riportata per confronto.

La curva corrispondente alla. differenza della ψA e ψB, quella indicata con ψ- , non ha alcun minimo

né alcun valore negativo dell'energia, equivale quindi a una situazione in cui non si potrà formare alcun legame per originare la molecola ione H2

+.

Riassumiamo brevemente facendo qualche considerazione ulteriore. Quando un atomo normale di idrogeno si trova a grande distanza da un atomo di idrogeno ionizzato non agiscono forze tra i due sistemi. Quando questi si cominciano ad avvicinare entrano in gioco tutte le possibili forze elettrostatiche tra elettrone e protoni. Quando H arriva abbastanza vicino ad H+ si ha un incremento della densità di carica negativa fra i due nuclei, dovuto alla risonanza dell'elettrone fra i nuclei stessi, che farà diminuire la repulsione elettrostatica protone-protone fino ad originare il legame chimico di H2

+.

Oltre agli effetti che permettono la formazione del legame, già considerati, nel 1933 B. N. Dickinson ha fatto vedere che esiste una quantità addizionale di energia di legame dovuta all'effetto di polarizzazione che lo ione H+ (il protone) esercita sull'atomo di idrogeno normale (interazione ione-dipolo indotto).

In questo modo si può ritenere conclusa la discussione del primo esempio di legame chimico trattata con l'approssimazione del metodo del legame di valenza.

Per cercare di rendere più chiaro quanto abbiamo detto e per far risaltare la linea metodologica seguita da Heitler e London facciamo un altro esempio: quello della molecola normale di idrogeno H2 (che, tra

l'altro, è stata la prima ad essere studiata dai due fisici tedeschi per rendere conto del legame covalente e la prima in senso assoluto ad essere studiata in base ai metodi della meccanica ondulatoria e quantistica, una delle poche per le quali siano possibili calcoli quasi completi).

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MOLECOLE

La molecola di idrogeno H2 trattata con il metodo del legame di valenza (L.

V.).

La discussione che ora. faremo non si dilungherà più in tutta quella serie di dettagli che abbiamo incontrato per la molecola, ione idrogeno H. Cercheremo invece di far risaltare di più la linea metodologica tipica del metodo del legame di valenza, tenendo conto che con la molecola H si studia il vero e proprio legame covalente.

Anche qui la formazione della molecola è studiata nell'approssimazione caratteristica del metodo L.V. Infatti gli atomi vengono considerati come un tutt'uno a grandi distanze, vengono poi portati a piccole distanze e solo allora, possono interagire, se interagiscono.

Nel nostro caso abbiamo due atomi normali di idrogeno. Ciascun atomo è quindi completo: ha cioè il suo protone ed il suo elettrone. In totale quindi, per i due atomi, si hanno due protoni e due elettroni: quattro particelle.

Il problema si complica di molto essendoci diverse altre interazioni da, considerare rispetto a quelle considerate nel caso della molecola ione H .

Vediamo di costruirci un disegno riassuntivo del prima dell'interazione e del quando i due H cominciano ad interagire (figura 8).

ATOMO DI IDROGENO + ATOMO DI IDROGENO —> MOLECOLA DI IDROGENO

Figura 8

Riferendoci alla figura 8 ed analogamente a quanto detto per la molecola ione H2+, si vede subito che

l'energia potenziale V dell'intero sistema è data dalla somma di sei termini:

V = - e2/ra1 - e2/rb1 - e2/ra2 - e2/rb2 + e2/r12 + e2/rAB

dove: - e2/ra1 è l'energia potenziale attrattiva tra il nucleo A e l'elettrone e1

- e2/rb1 è l'energia potenziale attrattiva tra il nucleo B e l'elettrone e1

- e2/ra2 è l'energia potenziale attrattiva tra il nucleo A e l'elettrone e2

- e2/rb2 è l'energia potenziale attrattiva tra il nucleo B e l'elettrone e2

+ e2/r12 è l'energia potenziale repulsiva tra i due elettroni e1 ed e2

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MOLECOLE

+ e2/rAB è l'energia potenziale repulsiva tra i due nuclei A e B.

Anche qui si tratterà di calcolare l'energia totale (E = T + V) di interazione in funzione della distanza RAB tra i due nuclei.

II problema è pero' più complesso e per risolverlo occorre far uso di particolari approssimazioni. Vediamo come hanno proceduto e fino a quali approssimazioni sono arrivati Heitler e London nel loro lavoro del 1927.

Quando i due atomi di idrogeno sono lontani tra di loro ogni nucleo avrà un elettrone associato. Supponiamo quindi che al nucleo A sia associato l'elettrone 1 e che al nucleo B sia associato l'elettrone 2. Si dovrà quindi considerare la struttura:

HA1 + HB

2

al cui insieme sarà associata la funzione d'onda ΨI.

Calcolando l'energia di interazione fra questi due atomi in funzione d.ella distanza RAB fra i loro nuclei

si trova una curva, del tipo riportato in figura 9.

Figura 9

Si vede subito che, a grandi distanze RAB tra i nuclei A e B vi è una debole attrazione, fino ad arrivare ad un

minimo dell'energia in corrispondenza ad una distanza RAB di circa 0,9 Å (dovuta alle forze di Van der

Waals: dipolo istantaneo-dipolo istantaneo). Questa attrazione si tramuta però ben presto in. repulsione quando la distanza RAB diminuisce. Evidentemente nelle condizioni viste di struttura HA

1 + HB2 non vi è

alcuna possibilità di formazione di una molecola H2 stabile (il minimo d'energia è del tutto insufficiente alla

formazione della molecola).

Anche qui come nel caso della molecola ione H2+ occorre allora aggiungere condizioni complementari.

Infatti nella struttura precedente assegnavamo l'elettrone 1 al nucleo A e l'elettrone 2 al nucleo B. Ma come facciamo a distinguere e quindi a numerare i due elettroni? Abbiamo sempre saputo che gli elettroni sono tutti identici tra loro e da quando abbiamo introdotto la meccanica ondulatoria e quantistica abbiamo visto che se riusciamo a distinguerli ad un certo istante, non siamo più in grado di farlo l'istante successivo perché è impossibile seguire un elettrone nella sua traiettoria.(57)

In base a queste considerazioni a priori la struttura vista:

HA1 + HB

2

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Page 59: Atomi e molecole 2

MOLECOLE

è altrettanto probabile e quindi accettabile della struttura:

HA2 + HB

1

che assegna l'elettrone 2 al nucleo A e l'elettrone 1 al nucleo B.

Alla struttura HA2 + HB

1 sarà associata la funzione d'onda ΨII .(58) Anche qui, allora, bisognerà

considerare la risonanza fra le due strutture possibili.

Come nel caso di H2+ dobbiamo prendere come rappresentazione dello stato normale del sistema una

particolare combinazione delle due possibili, alla quale ambedue contribuiscono allo stesso modo. Questa. combinazione sarà, analogamente a quanto visto per H2

+ , una combinazione lineare della ΨI e ΨII :

Ψ = aΨI + bΨII .(59)

Anche qui si può dimostrare che di queste combinazioni lineari di ΨI e ΨII ne esistono due che sono:

Ψ+ = ΨI + ΨII

Ψ− = ΨI - ΨII(60)

a meno di un fattore moltiplicativo (fattore di normalizzazione).

Si avrà quindi, per le probabilità (sempre supponendo che le Ψ siano reali):

Ψ+2 = ΨI2 + ΨII

2 + 2ΨIΨII

Ψ−2 = ΨI2 + ΨII

2 − 2ΨIΨII

e non staremo a disegnare le curve ΨI2, ΨII

2, Ψ+2, Ψ−2 , e la rappresentazione delle linee a Ψ+2 e a Ψ−2

costanti, come abbiamo fatto per H2+ , perché queste curve e queste linee sono perfettamente analoghe a

quelle riportate in figura 6 (resta solo da cambiare gli uffici di ΨΑ con ΨΙ e di ΨΒ con ΨΙΙ ). La conclusione

è comunque che alla Ψ+ corrisponde una grande probabilità Ψ+2 di trovare ambedue gli elettroni nella

zona compresa fra i due nuclei e ciò, ricordando quanto abbiamo detto per la molecola ione H2+ ,

corrisponde ad uno stato legante; mentre alla Ψ− corrisponde una probabilità Ψ−2 nulla di trovare gli

elettroni nella zona compresa fra i due nuclei e ciò corrisponde ad uno stato antilegante.

La molecola H2 esiste allora solo se ad essa. è associata una funzione d'onda Ψ+. Nell'altro caso i due

atomi singoli di idrogeno si respingerebbero. Possiamo intendere intuitivamente la situazione descritta nel modo seguente: quando i due elettroni si trovano nella zona fra i due nuclei allora la loro carica negativa scherma le due cariche positive dei nuclei che altrimenti si respingerebbero; in pratica i due nuclei sono simultaneamente attratti verso un centro comune dalle cariche negative degli elettroni che si trovano tra essi; questa attrazione prosegue fino a quando l'effetto di schermo degli elettroni produce un effetto maggiore della. repulsione tra i nuclei; fino a che il tutto si stabilizza dinamicamente(61) in una posizione di equilibrio. Detto questo è ovvio quel che accade quando i due elettroni non si trovano nella zona fra i due nuclei; non essendoci più l'effetto di schermo prevale la repulsione tra i nuclei che non permette la formazione della molecola.

Riportiamo allora la situazione, dell'energia E in funzione della distanza RAB tra i nuclei, nel grafico di

figura 10.

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MOLECOLE

Figura 10

Come si vede dalla figura la curva contrassegnata con Ψ+ ha un minimo pronunciato di energia in

corrispondenza ad una distanza RAB di 0,869 Å. A questa distanza tra i nuclei si ha la formazione della

molecola H2 . La funzione d'onda Ψ+ è quindi relativa ad uno stato legante. Diversa è la situazione per la

curva contrassegnata con Ψ− in figura. Essa non ha nessun minimo d'energia (a parte uno molto piccolo a

distanze RAB molto grandi — e non riportato in figura. —, ma dovuto alle forze di Van der Waals, che

peraltro non ha alcun interesse dal punto di vista chimico) corrispondendo quindi ad uno stato antilegante per il quale è impossibile la formazione di una molecola stabile di idrogeno.(62)

Fin qui il metodo del legame di valenza, di Heitler e London.

Anche se questa trattazione rende ben conto della formazione della molecola di idrogeno, rimane un certo disaccordo con i dati sperimentali soprattutto per quanto riguarda il valore del minimo d'energia (E = - 3,14 eV) per cui si ha la formazione della. molecola(energia D di dissociazione) che risulta essere il 67 % di quanto dice l'esperienza (E = - 4,747 eV).

Una prima, correzione fu apportata nel 1928 da S. C. Wang il quale tenne conto dell'effetto di schermo che un atomo ha sull'altro e considerò quindi il fatto che gli elettroni della molecola, essendo attratti contemporaneamente da due nuclei, devono restringere le loro orbite in minor spazio. Questa correzione comportò un certo miglioramento della curva dell'energia in funzione di RAB rispetto ai fatti sperimenta,

portò infatti il minimo dell'energia all'80 % (E = - 3,76 eV), del valore sperimentale e la distanza, di equilibrio tra i nuclei in completo accordo con gli stessi dati sperimentali (RAB = 0,74 Å ).

Per l'energia ancora non siamo ai valori sperimentali. Nel 1931 N. Rosen apportò un'ulteriore miglioria alla trattazione di Heitler e London andando a considerare l'effetto di polarizzazione che un. atomo di idrogeno esercita, sull' altro quando questi sono vicini. Questo effetto consiste evidentemente in una deformazione dell'orbitale sottoposto a polarizzazione tale da privarlo della simmetria sferica originale. Tenendo conto di questa correzione, Rosen trovò per l'energia di legame il valore E = - 4,02 eV, ancora più vicino a quello sperimentale.

Nel 1933 S. Weinbaum fece un ulteriore passo avanti introducendo per la molecola di idrogeno altre due strutture, oltre a quelle già viste ed oltre alla polarizzazione e all'effetto di schermo, con cui vi è probabilità che le due strutture già viste possano risuonare. Le strutture introdotte da Weinbaum tengono conto della possibilità che ambedue gli elettroni della molecola siano contemporaneamente vicini ad un solo nucleo, ed evidentemente di queste strutture ve ne sono due: o tutti e due gli elettroni vicini al nucleo A (e ciò comporta che l'atomo con nucleo A risulta ionizzato negativamente avendo acquistato un elettrone e l'atomo con nucleo B risulta ionizzato positivamente avendo perso un elettrone) o tutti e due gli elettroni vicini al nucleo B (e ciò comporta la ionizzazione negativa dell'atomo con nucleo B e positiva di quello con nucleo A). Le due strutture sono allora:

HA+ + HB

- (descritta da una funzione d'onda ΨΙΙΙ )

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MOLECOLE

HA- + HB

+ (descritta da una funzione d'onda ΨIV).

Ricordiamo ora per un momento, le altre due strutture che avevamo incontrato:

HA1 + HB

2 (descritta da una funzione d'onda ΨΙ )

HA2 + HB

1 (descritta da una funzione d'onda ΨΙΙ )

Si vede subito che, mentre il carattere di queste ultime due strutture è semplicemente covalente, le prime due hanno un carattere ionico. Pensandola quindi in questo modo, la funzione d'onda completa, per la molecola, deve essere una combinazione lineare delle strutture covalenti e ioniche, del tipo:

Ψ = ΨI + ΨII + C.(ΨIII + ΨIV)

dove C è una costante numerica da determinarsi in modo che renda minima l'energia del sistema.

L'ultima espressione scritta si può anche scrivere:

Ψ = Ψcovalente + C.Ψionico

ed un modo di interpretarla può essere di pensare che vi sia risonanza tra una struttura covalente (del tipo H + H) e le due strutture ioniche viste(del tipo H+ + H-). Questo però non deve far pensare che nella realtà esistano davvero e separatamente strutture covalenti e ioniche per la molecola H2, piuttosto si deve pensare

la funzione d'onda Ψ complessiva come un insieme che abbia contemporaneamente caratteristiche covalenti, ioniche e polari (quando la molecola è formata non ha più, in ogni caso, la simmetria sferica che avevano gli atomi costituenti ed acquista polarità).

Con i conti fatti da Weimbaum si è trovata una ancora migliore approssimazione dell'energia (E = -4,12 eV) a quella sperimentale.

Altri miglioramenti furono apportati, sempre nel 1933, da H. M. James e A. Coolidge (introdussero nei conti la distanza tra gli elettroni r12 ed usarono una funzione Ψ composta di 13 termini). Essi trovarono per

l'energia un valore molto vicino a quello sperimentale (E = -4,72 eV).

Finalmente nel 1960 W. Kolos e C. G. J. Roothaan, usando il metodo di James e Coolidge (con una funzione Ψ composta di 50 termini) trovarono sia per l'energia (E = -4,747 eV) che per la distanza tra i nuclei (RAB = 0,741 Å) valori in completo accordo con quelli sperimentali.

I risultati finali sono riportati nel grafico seguente a confronto con gli altri visti finora :

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MOLECOLE

Figura 11 - Curve teoriche successivamente trovate per la molecola di idrogeno con il metodo del legame di valenza a confronto con la curva sperimentale:

1) Curva ottenuta considerando i due atomi di H che si associano semplicemente,

2) Heitler e London

3) Wang

4) Rosen

5) Weinbaum

6) James e Coolidge

7) Kolos e Roothaan e Sperimentale.

A questo punto, insieme alla molecola H2 di idrogeno, si può ritenere conclusa, almeno per il momento

(vi torneremo più oltre per un confronto con la teoria dell'orbitale molecolare), la trattazione del metodo del legame di valenza (L. V.).

Prima di passare ad altre molecole biatomiche e quindi al metodo dell'orbitale molecolare (O. M.) cerchiamo di capire, utilizzando il metodo L. V. perché, ad esempio, non si forma un legame tra idrogeno (H) ed elio (He) per formare un'ipotetica molecola "HeH ".

L'ipotetica molecola HeH

L'elio ha due elettroni con spin opposti sul suo orbitale 1s, mentre l'idrogeno ha un solo elettrone, per fissare le idee, con lo spin rivolto verso l'alto sul medesimo orbitale 1s.

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MOLECOLE

Indicando gli elettroni dell'elio con 1 e 2 e quello dell'idrogeno con 3, si ha la seguente situazione:

Quando i due atomi sono vicini ci sono almeno due possibilità di scambio per gli elettroni: l'elettrone 3 al posto dell'elettrone 1 e viceversa; l'elettrone 3 al posto dell'elettrone 2 e viceversa. La prima possibilità è impedita dal principio di esclusione di Pauli poiché, in questo caso, si verrebbero a trovare sull'orbitale 1s dell'elio due elettroni con lo stesso spin; rimane la sola seconda possibilità che porterebbe l'elettrone 3 al posto dell'elettrone 2 e viceversa. Ma anche questa eventualità non ha le possibilità di verificarsi per la ragione che ora vedremo.

Per far questo occorre prima, definire le funzioni d'onda simmetriche ed antisimmetriche ed accennare ad una nuova formulazione del principio di Pauli.

1 - Funzioni d'onda simmetriche ed antisimmetriche

Abbiamo già incontrato degli esempi e, anche se al momento non abbiamo chiamato le cose con il loro nome, vale la pena di farlo qui e quindi riferirsi ad essi. Nel caso della molecola di idrogeno H2 avevamo due

nuclei (A e B) e due elettroni (1 e 2). Abbiamo, all'inizio, descritto la situazione con due strutture ugualmente probabili:

HA1 + HB

2

HA2 + HB

1

la prima situazione era descritta da una funzione d'onda ΨΙ [che ora, al fine delle conclusioni che vogliamo

trarre, conviene con ovvio simbolismo chiamare Ψ(1,2) e la seconda da una funzione d'onda ΨΙΙ [che ora

conviene chiamare Ψ(2,1)(63)]. Come rappresentazione dello stato normale del sistema avevamo preso la combinazione lineare della Ψ (1,2) con la Ψ (2,1) ed avevamo visto che di queste combinazioni lineari ne

esistevano due:

Ψ+ = Ψ(1,2) + Ψ(2,1)

Ψ− = Ψ(1,2) - Ψ(2,1)

la prima corrispondeva ad uno stato legante e la seconda ad uno stato antilegante. Ebbene, possiamo ora dire che la prima è una funzione d'onda simmetrica e la seconda una funzione d'onda antisimmetrica. E questo perché, per definizione, una funzione d'onda si dice simmetrica se scambiando una qualunque coppia di particelle (nel nostro caso di elettroni) la funzione d'onda rimane inalterata si dice invece che una funzione d'onda, è antisimmetrica se uno scambio di particelle comporta un cambiamento di segno della funzione d'onda.

Si vede subito, allora, che nel caso della Ψ+ se si scambia l'elettrone 1 con l'elettrone 2 si ottiene:

Ψ(2,1) + Ψ(1,2) = Ψ(1,2) + Ψ(2,1) = Ψ+

mentre nel caso della Ψ−:

Ψ(1,2) - Ψ(2,1) - Ψ(1,2) = - [Ψ(1,2) - Ψ(2,1) ] = - Ψ−

In conclusione, la Ψ+ è una funzione d'onda simmetrica che corrisponde ad uno stato legante e la Ψ− è una

funzione d'onda antisimmetrica che corrisponde ad uno stato antilegante.

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MOLECOLE

2 - La funzione d'onda di spin

Lo spin è rimasto per noi un qualcosa che poteva assumere il valore + 1/2 o - 1/2 (beninteso: in unità h/2π ). Le situazioni in cui era coinvolto lo spin, e che finora abbiamo incontrate, erano situazioni statiche in cui lo spin era un qualcosa di inalterabile e immediatamente individuabile una, volta assegnato un certo elettrone. Ora il problema è un poco diverso: dato un sistema a più elettroni (ad esempio a due elettroni), qual è la probabilità di avere gli spin disposti in un certo modo? Qual è cioè la probabilità di avere i due spin paralleli, qual è quella di avere i due spin antiparalleli? Non è ancora finita. Se gli spin sono paralleli, sono rivolti verso l'alto o verso il basso? E se sono antiparalleli, quale dei due è rivolto verso l'alto e quale verso il basso? Questi sono i problemi che abbiamo di fronte. Cerchiamo di risolverli.

La situazione che dobbiamo ora affrontare è analoga a quella che abbiamo preso in considerazione quando nel passaggio dalla meccanica classica alla quantistica, abbiamo sostituito la posizione dell'elettrone con la funzione d'onda Ψ e con la probabilità |Ψ | 2 .

Anche ora dobbiamo introdurre una funzione d'onda, questa volta sarà una funzione d'onda di spin che, anziché essere funzione delle coordinate spaziali x, y e z come la Ψ , sarà funzione del valore che assume lo spin e che indicheremo con la lettera greca σ (leggi : sigma).(64) Possiamo allora indicare: con σ + la funzione d'onda di spin di un singolo elettrone con lo spin diretto verso l'alto, con σ − la funzione d'onda di spin di un singolo elettrone con lo spin diretto verso il basso. In questo modo: se all'inizio abbiamo un elettrone con spin diretto verso l'alto, dovremo considerare la funzione d'onda di spin σ + e la probabilità | σ + |2 di trovare i valori + 1/2 o - 1/2 per lo spin dell'elettrone; se all'inizio abbiamo un elettrone con spin diretto verso il basso, dovremo considerare la funzione d'onda di spin σ − e la probabilità |σ −| 2 di trovare i valori + 1/2 o - 1/2 per lo spin dell'elettrone.(65)

Supponiamo ora di avere due elettroni 1 e 2, per il momento, non interagenti. Le possibilità di sistemazione di questi due elettroni sono quattro, cioè:

(1) o ambedue gli elettroni hanno spin rivolto verso l'alto e questo fatto corrisponde ad una funzione d'onda di spin totale, prodotto delle singole funzioni d'onda di spin (si ricordi quanto abbiamo detto a proposito della probabilità composta) pari a:

σ1 + . σ2 +

avendo indicato con i subindici 1 e 2 gli elettroni in oggetto;

(2) o l'elettrone 1 ha lo spin rivolto verso l'alto mentre l'elettrone 2 lo ha rivolto verso il basso e questo fatto corrisponde ad una funzione d'onda di spin totale (prodotto delle singole funzioni d'onda di spin) pari a:

σ1 + . σ2 −

(3) o l'elettrone 1 ha lo spin rivolto verso il basso mentre l'elettrone 2 lo ha rivolto verso l'alto e questo fatto corrisponde ad una funzione d'onda di spin totale pari a:

σ1 − . σ2 +

(4) o ambedue gli elettroni hanno spin rivolto verso il basso e questo fatto corrisponde ad una funzione d'onda di spin totale pari a:

σ1 − . σ2 −

Riassumendo, per gli spin di due elettroni non interagenti, si hanno le seguenti quattro possibilità:

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MOLECOLE

Supponiamo ora che i due elettroni, in qualche modo, possano interagire. In questa interazione, rispetto alla. situazione precedente, occorrerà tener conto dello scambio dell'elettrone 1 con l'elettrone 2. Più precisamente, per i quattro casi visti precedentemente, bisognerà considerare il fenomeno di risonanza perfettamente analogo a quello incontrato per la funzione d'onda orbitale Ψ quando abbiamo parlato della molecola-ione idrogeno H2

+ e della molecola d'idrogeno H2, Ora la struttura (1), vista prima, non può far

altro che risuonare con se stessa poiché lo scambio degli elettroni 1 e 2 porta ad una situazione identica a prima dello scambio. Lo stesso discorso vale per la struttura (4). Diversa invece è la situazione per le strutture (2) e (3) che possono, analogamente a quanto visto per la Ψ , risuonare tra di loro. Questo fatto si può esprimere con una combinazione lineare della (2) e (3) e di queste combinazioni lineari ne esistono due (la somma tra la (2) e la (3) e la differenza fra queste due strutture). In definitiva, per la funzione d'onda di spin totale di due elettroni interagenti si hanno le seguenti quattro possibilità:

Vediamo, come applicazione del paragrafo precedente, quali tra queste funzioni d'onda di spin sono simmetriche o antisimmetriche per lo scambio degli elettroni.

TAVOLA 1

II risultato è evidente: solo σΙΙΙ è antisimmetrica, tutte le altre sono simmetriche.

3 - La funzione d'onda completa ed il principio di Pauli

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MOLECOLE

Quello che abbiamo fino qui detto ci deve convincere che per descrivere un elettrone non basta dare la sua funzione d'onda spaziale Ψ, ma occorre anche dare la sua. funzione d'onda di spin σ. Infatti la Ψ è in grado di farci arrivare a dare la zona di spazio in cui l'elettrone ha probabilità di trovarsi ma, a questo punto, manca l'informazione sul suo spin (è diretto verso l'alto o verso il basso ?). A questa informazione si può giungere prendendo in considerazione la funzione d'onda di spin σ.

Quindi la descrizione più completa di un elettrone la si può fornire dando sia, la Ψ che la σ le quali due funzioni d'onda, moltiplicate tra di loro, ci danno la funzione d'onda completa Ψ' di un dato sistema:

Ψ' = Ψ . σ.

Anche a questa funzione d'onda completa si possono applicare le definizioni di simmetria ed antisimmetria, date precedentemente.

La simmetria o antisimmetria della Ψ' discende ovviamente dalla simmetria o antisimmetria del prodotto tra la Ψ e la σ; vediamo allora i possibili casi che si possono presentare quando si hanno due elettroni 1 e 2 interagenti tra di loro. Abbiamo già detto che per questi due elettroni la funzione d'onda spaziale Ψ può essere o simmetrica o antisimmetrica:

Ψ+ = Ψ(1,2) + Ψ(2,1)

Ψ− = Ψ(1,2) - Ψ(2,1)

mentre la funzione d'onda di spin può risultare simmetrica in tre casi (σI, σΙΙ,σΙV) ed antisimmetrica in un

caso (σIII).

Per vedere allora la simmetria o antisimmetria della funzione d'onda completa Ψ' occorre fare tutti i possibili prodotti tra le Ψ+ e Ψ− e le σI, σΙΙ, σΙΙΙ, σΙV e studiarne la simmetria.

TAVOLA 2

Questi conti, riportati nella tabella precedente, sono un poco noiosi ma molto facili e comunque, consoliamoci, ci forniranno un risultato che va ben al di là di essi e che non ci obbligherà più a farli. Osservando infatti gli otto prodotti possibili ottenuti, si vede subito che:

(a) il prodotto tra due funzioni d'onda simmetriche dà per risultato una funzione d'onda completa simmetrica. [si vedano le (1), (2) e (4)];

(b) il prodotto tra due funzioni d'onda antisimmetriche dà per risultato una funzione d'onda completa simmetrica [si veda la (7)];

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MOLECOLE

(c) il prodotto tra una funzione d'onda simmetrica ed una antisimmetrica dà per risultato una funzione d'onda completa antisimmetrica [ si vedano le (3), (5), (6) ed (8)].

Riassumendo:

Funzione d'onda spaziale Ψ Funzione d'onda di spin σ Funzione d'onda completa Ψ'

simmetrica simmetrica simmetrica

simmetrica antisimmetrica antisimmetrica

antisimmetrica simmetrica antisimmetrica

antisimmetrica antisimmetrica simmetrica

TAVOLA 3

A questo punto siamo in grado di dare la formulazione del principio di Pauli(66) nella sua forma più completa, dedotta come conseguenza dello sviluppo della meccanica ondulatoria e quantistica:

la funzione d'onda completa di un sistema di elettroni deve essere antisimmetrica se si scambiano elettroni fra di loro.

In base allora al principio di Pauli ora enunciato, delle otto funzioni d'onda complete che sono state ottenute nella Tavola 2 per un sistema di due elettroni interagenti, solo quattro sono permesse dal principio in oggetto, la (3), la (5), la (6), la (8); cioè:

4 - Ritorniamo all'ipotetica molecola HeH

Nella situazione che avevamo:

ci eravamo fermati alla considerazione che l'unica possibilità di scambio rimasta valida era quella che porterebbe l'elettrone 3 al posto dell'elettrone 2 e viceversa.

Quindi lo scambio dovrebbe avvenire tra la struttura:

descritta dalla funzione d'onda spaziale Ψ (1,2,3) e la struttura:

descritta dalla, funzione d'onda spaziale Ψ (1,3,2) e come si vede le funzioni d'onda spaziali differiscono solo per lo scambio dell'elettrone 2 con l'elettrone 3.

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MOLECOLE

Consideriamo allora la risonanza tra queste due strutture possibili che, ormai sappiamo, è data dalle due combinazioni lineari:

Ψ+ = Ψ(1,2,3) + Ψ(1,3,2)

Ψ− = Ψ(1,2,3) - Ψ(1,3,2).

Osserviamo a questo punto che gli elettroni 2 e 3 in gioco (quelli che si dovrebbero scambiare) hanno gli spin paralleli e rivolti verso l'alto, per cui, per essi, occorre prendere in considerazione la funzione d'onda di spin che ce li dà, appunto, paralleli e rivolti verso l'alto, cioè σ2 + . σ3 + .

Confrontando ora con la relazione (5) del paragrafo precedente, si ricava subito che l'unico modo per avere una funzione d'onda completa antisimmetrica (come richiesto dal principio di Pauli) è che la funzione d'onda di spin in oggetto (σ2 + . σ3 + ) sia moltiplicata per la funzione d'onda spaziale Ψ− = Ψ(1,2,3) - Ψ

(1,3,2) [e questo perché, ricordando la tavola 3 e che σ2 + . σ3 + è simmetrica, l'unico modo per ottenere una

funzione d'onda completa antisimmetrica è che essa sia originata dal prodotto di una funzione d'onda simmetrica con una antisimmetrica].

In definitiva, l'unica possibilità che si ha per il legame nell'ipotetica molecola HeH è che si abbia una funzione d'onda completa:

Ψ' = [Ψ(1,2,3) - Ψ(1,3,2)][ σ2 + . σ3 +].

Per giungere alla nostra conclusione non resta che una osservazione: la combinazione antisimmetrica tra le funzioni d'onda, spaziali Ψ(1,2,3) - Ψ(1,3,2) è quella che abbiamo visto, sia per la molecola-ione idrogeno che per la molecola di idrogeno, essere antilegante, essere cioè tale da non originare mai legami.

Quindi l'eventualità possibile rimasta per la formazione di un legame molecolare HeH, cioè quella di uno scambio tra gli elettroni 2 e 3 che sono paralleli, comporta come conseguenza una funzione d'onda spaziale antilegante, per cui, in ogni caso, non è possibile che si abbia una molecola HeH.

5 - Un altro esempio: l'ipotetica molecola He2

Con argomenti analoghi a quelli visti per l'impossibile molecola HeH, Heitler e London esaminarono la possibilità di formazione di una molecola tra due atomi di elio (l'ipotetica molecola He2)(67).

Denotiamo con He i due atomi di elio e numeriamo i quattro elettroni con i numeri 1,2,3 e 4, si ha:

Per la formazione del legame vi è la possibilità che si scambino fra loro spin antiparalleli (1 con 4 oppure 2 con 3). Questo fatto è però impedito dalla prima formulazione del principio di Pauli infatti, in ambedue le eventualità di scambio proposte, sugli stessi orbitali 1s dei singoli atomi di elio verrebbero a trovarsi elettroni con spin paralleli:

Rimane la possibilità che si scambino tra loro spin paralleli (1 con 3 oppure 2 con 4) ed in questo caso avremmo:

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MOLECOLE

Se si verificasse questa ipotesi la funzione d'onda di spin avrebbe la sola possibilità di essere simmetrica, (o σ2 + . σ4 + oppure σ1 − . σ3 − ) con la conseguenza che, per l'ultima formulazione data per il principio di

Pauli, per avere una funzione d'onda completa antisimmetrica, deve aversi una funzione d'onda spaziale antisimmetrica e cioè antilegante. In definitiva, il legame He2 non si forma.

Possiamo trarre una conclusione di validità generale che è molto utile per spiegarci tante regole empiriche che già abbiamo in qualche modo sentito e tante cose che vedremo più avanti: tutti gli atomi che hanno su ogni loro orbitale due elettroni con spin accoppiati (antiparalleli, per il principio di Pauli) saranno in genere chimicamente inerti (non daranno origine a legami di qualsivoglia tipo); solo gli atomi che hanno un qualche orbitale con un solo elettrone (e quindi disaccoppiato) hanno la possibilità di formare legami (sono gli elettroni disaccoppiati che determinano le proprietà chimiche degli elementi).

6 - Altre molecole biatomiche omonucleari

Le altre molecole biatomiche omonucleari, oltre a quelle trattate, sono costituite da atomi contenenti, ciascuno, più di due elettroni. Per renderei conto di quali complicazioni nascono, cerchiamo di scriverci la funzione d'onda completa (parte spaziale più parte di spin) per la molecola di elio ionizzata He2

+ . In questo

caso si hanno solo tre elettroni e si dispone di due livelli energetici. Chiamiamo con:

- 1, 2, 3 gli elettroni;

- Α e B i nuclei atomici dei due atomi di elio;

- ΨA e ΨB le funzioni d'onda spaziali;

- σ + e σ − le funzioni d'onda di spin.

I tre elettroni possono avere le seguenti sistemazioni rispetto ai nuclei A e B:

(1) a cui corrisponderà una funzione d'onda ΨΙ

(2) a cui corrisponderà una funzione d'onda ΨΙΙ

(3) a cui corrisponderà una funzione d'onda ΨΙΙΙ

(4) a cui corrisponderà una funzione d'onda ΨΙV

La sistemazione 1 corrisponde a He + He+ (analogamente alla sistemazione 3), la sistemazione 2 corrisponde a He+ + He (analogamente alla sistemazione 4). La differenza esistenti tra le sistemazioni 1 e 3 e tra le sistemazioni 2 e 4 è che l'elettrone disaccoppiato ha spin rivolto verso l'alto in 1 e 2 e spin rivolto verso il basso in 3 e 4.

La funzione d'onda ΨΙ, che descrive la sistemazione 1, sarà composta da una somma di prodotti

contenente tanti addendi quante sono tutte le possibili permutazioni dei tre elettroni nei due orbitali.

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MOLECOLE

Riferendoci alla sistemazione 1, vediamo quante sono le possibili permutazioni dei tre elettroni servendoci della Tavola 4.(68)

TAVOLA 4

Si dovrà quindi avere una funzione d'onda ΨΙ composta da 6 termini e precisamente dai 6 termini che

abbiamo indicato sulla destra della Tavola 4 (la sistemazione 1, per l'indistinguibilità degli elettroni, risuona tra queste 6 permutazioni e quindi la funzione d'onda ΨΙ dovrà essere una combinazione lineare delle 6

funzioni d'onda complete che rappresentano le 6 possibili permutazioni). Il segno da assegnare ad ogni singolo termine si può ricavare da una regola che trae origine dall'ultima formulazione del principio di Pauli che abbiamo dato: si fissa il segno del 1° termine e quindi il segno di ogni termine successivo sarà dato contando il numero degli scambi elettronici che si sono fatti in quella permutazione; se il numero degli scambi è pari si avrà lo stesso segno che abbiamo fissato per il 1° termine, se è dispari si avrà segno opposto. Nel nostro caso, fissato come positivo il segno del 1° termine, si avranno segni alternati, osservando che ogni termine successivo delle funzioni d'onda complete della Tavola 4 si ottiene per lo scambio di un solo elettrone. In definitiva si ha:

Con uno stesso ragionamento si calcola ΨΙΙ

La molecola He2+ sarà formata da. una combinazione lineare delle ΨΙ e ΨΙΙ (69) (di queste combinazioni

lineari ne esistono due; allo scopo si rivedano le note relative al capitolo che trattava la molecola ione idrogeno):

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MOLECOLE

Ψ+ = ΨI + Ψ II

Ψ− = ΨI - ΨII

poiché essa. sarà dovuta alla risonanza tra le due sistemazioni 1 e 2 (le uniche due sistemazioni che presentano due elettroni con lo spin rivolto verso l'alto ed uno con lo spin rivolto verso il basso).

Si tratterebbe a questo punto di farsi i conti che, come si vede, sono molto lunghi e complicati.

Ebbene questi conti erano relativi solo a tre elettroni e a due livelli energetici: le funzioni d'onda ΨI e

Ψ II risultavano formate da 6 termini. Con 4 elettroni i termini sarebbero diventati 24, con 5 elettroni (su tre

orbitali) si avrebbe avuto a che fare con 120 termini, con 6 elettroni (su tre orbitali) si sarebbero avuti 720 termini. Si tratterebbe poi di farne le combinazioni lineari. Si può ben capire che i conti si fanno sempre più difficili e si pensi poi che, nonostante queste complicazioni di calcolo, essi restano ancora approssimati poiché per fare un conto che sia sufficientemente completo occorrerebbe considerare tutti i successivi miglioramenti che abbiamo utilizzato per la molecola di idrogeno (effetto di schermo di un atomo sull'altro; polarizzazione indotta da un atomo sull'altro e viceversa; introduzione di altre strutture possibili con le quali le già introdotte possano risuonare; ... ). Quei conti che erano lunghi e difficili diventano da un certo punto impossibili, a meno che non si disponga di un calcolatore che lavori in tempo reale.

Sono quindi necessarie delle semplificazioni che comportano delle approssimazioni. Conseguentemente la descrizione di molecole biatomiche omonucleari con il metodo L.V. non può che essere qualitativa:

1) un legame può formarsi solo se sugli orbitali atomici degli atomi che debbono formare la molecola vi sono elettroni disaccoppiati;

2) questi elettroni debbono avere spin antiparalleli di modo che la funzione d'onda completa del sistema di elettroni risulti antisimmetrica se si scambiano elettroni tra loro;

3) se non si sa bene quali elettroni accoppiare tra due atomi vale il criterio della massima sovrapposizione tra le rispettive nuvole di carica: si accoppieranno quegli elettroni le cui nuvole di carica si sovrappongono di più.

Ma anche qui bisogna fare attenzione poiché quest'ultima approssimazione può portare a dei risultati non in accordo con l'esperienza come ad esempio accade per l'atomo di ossigeno. Quest'ultimo ha la seguente configurazione elettronica:

O [(1s2)(2s2)(2px2)(2py)(2pz]

sembrerebbe quindi che, nella formazione della molecola d'ossigeno, tutti gli orbitali atomici vadano a saturarsi con coppie di elettroni aventi spin antiparalleli. I fatti sperimentali smentiscono questa conclusione mostrando che la molecola di ossigeno (O2 ) deve avere due elettroni disaccoppiati. Vedremo più

oltre che la teoria dell'orbitale molecolare rende conto di questo fatto.

In conclusione, non tratteremo qui particolari molecole biatomiche omonucleari, riservandoci di farlo mediante la teoria dell'orbitale molecolare che fornisce, almeno in questi casi, risultati più facilmente comprensibili.

7 - Molecole biatomiche eteronucleari

Lo studio di queste molecole si fa con lo stesso metodo utilizzato per quelle omonucleari solo che ora occorre tener conto del fatto che le molecole che si ottengono hanno in più la caratteristica di essere polari. Se i due atomi che vanno a formare la moleoola sono A e B, si dovranno considerare le due strutture ioniche possibili A+B- e A- B+ . Tra queste due una avrà un peso maggiore dell'altra e maggiore anche della possibile struttura covalente AB. Di conseguenza occorrerà costruire una combinazione lineare delle tre strutture (delle tre funzioni d'onda che descrivono le tre strutture) che tenga conto dei differenti pesi di

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MOLECOLE

ciascuna. Per fissare le idee, supponiamo che l'atomo A sia più elettronegativo (70) dell'atomo B e limitiamoci al caso di sole funzioni d'onda spaziali (non occupandoci di quelle di spin). Le tre funzioni d'onda possibili saranno;

Ψ(1,2) + Ψ(2,1) -> struttura, covalente AB

Ψ(1,2) -> struttura ionica A-B +

Ψ(2,1) -> struttura ionica A+B-

Tra queste il peso maggiore lo ha Ψ(1,2) , quindi Ψ(1,2) + Ψ(2,1) ed infine Ψ(2,1). La combinazione lineare di queste tre funzioni d'onda sarà allora del tipo:

Ψ = k1 [Ψ(1,2) + Ψ(2,1] + k2 Ψ(1,2) + k3 Ψ(2,1)

Come prime approssimazioni, presenti nella relazione scritta: non si è considerato l'effetto di schermo (valutato compreso nelle tre strutture prese in considerazione); si trascura l'effetto di polarizzazione (è piccola ed inoltre presenta grosse difficoltà di calcolo); si suppone che gli orbitali dei termini ionici siano gli stessi del termine covalente (gli errori cosi introdotti sono trascurabili).

Nelle relazioni scritte i pesi delle varie funzioni d'onda sono dati da k1, k2, k3 e queste costanti

debbono essere trovate imponendo la condizione che l'energia che compete alla Ψ sia minima (lo stato descritto dalla Ψ sia, cioè stabile in modo che la molecola possa formarsi). A questo punto si fa un'altra approssimazione: si trascura k3 poiché, essendo A più elettronegativo di B, è molto improbabile che i due

elettroni si trovino vicini a B. In questo modo si trova:

Ψ = k1 [Ψ(1,2) + Ψ(2,1)] + k2 Ψ(1,2)

da cui, a meno di un fattore costante:

Ψ = [Ψ(1,2) + Ψ(2,1)] + k2/k1 Ψ(1,2)

da cui:

Ψ = [Ψ(1,2) + Ψ(2,1)] + k Ψ(1,2)

ed in definitiva:

Ψ = Ψcovalente + Ψionica

Si tratta quindi di determinare k, poiché dal suo valore dipende il carattere polare o ionico della molecola. Ma purtroppo è quasi sempre impossibile farlo direttamente, dovendo trovare metodi diversi tra i quali, uno dei più usati (anche se, alla pari degli altri, poco soddisfacente) consiste nella misura sperimentale del momento di dipolo della molecola, dal quale si risale al valore di k.

Prima di concludere avvertiamo, anche qui, che alcune molecole biatomiche eteronucleari saranno trattate utilizzando il metodo dell'orbitale molecolare che inizieremo a discutere nel prossimo paragrafo.

1 - La teoria dell'Orbitale Molecolare (O.M.): molecole biatomiche omonucleari ed eteronucleari

Un altro metodo approssimato per lo studio quanto-meccanico delle molecole, che per certi versi è analogo al precedente e per altri differente, fu introdotto nello stesso armo (1927) del metodo L.V.: prende il nome di metodo dell'orbitale molecolare (O.M.).

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MOLECOLE

Il primo lavoro sull'argomento fu scritto, appunto nel 1927, dal danese Øyvind Burrau e si occupava soltanto della molecola-ione idrogeno H2

+ . Questo metodo fu subito ripreso ma riuscì ad essere

completamente sviluppato solo quando il metodo L.V. era già affermato.

Il primo articolo che sviluppava le idee di Burrau fu del fisico-chimico statunitense E.U. Condon (1927) che trattò la molecola H2 di idrogeno. Contributi determinanti, che valsero a strutturare completamente il

metodo,vennero negli anni successivi: nel 1928 dallo statunitense R.S. Mulliken e dal tedesco F. Hund; nel 1929 ancora da Mulliken, quindi dal britannico J. E. Lennard-Jones e dal tedesco G. Herzberg; nel 1930 ancora da Hund; nel 1931 e nel 1932 ancora da Mulliken. Tutti i contributi qui elencati sono relativi principalmente a molecole biatomiche; ve ne furono naturalmente anche di relativi a molecole poliatomiche: del tedesco M. Dunkel nel 1930; di Hund nel 1931 e 1932; di Mulliken nel 1932 (in questo anno egli introdusse la terminologia orbitale molecolare) e nel 1933.

Vediamo su quali basi ed ipotesi prende le mosse il metodo O.M. avvertendo subito che molto spesso esso risulta più semplice e descrittivo del metodo L.V., anche perché è praticamente un'estensione alle molecole degli orbitali atomici.

Secondo il metodo O.M. si considerano i nuclei degli atomi che vanno a fermare la molecola già situati nelle loro posizioni di equilibrio nella molecola stabile e si vanno quindi a studiare le funzioni d'onda ψ degli elettroni, tenendo conto che si passa da funzioni d'onda atomiche a funzioni d'onda molecolari. Non si considerano più gli atomi come un tutt'uno che va ad interagire al momento di formare la molecola, ma si discute di cerne sono gli orbitali per elettroni che non sono più associati ad un solo nucleo ma a due o più (supposto, come abbiamo detto, che questi nuclei siano già nella loro posizione di equilibrio molecolare).

Tenendo conto che vale anche qui l'approssimazione del campo "self-consistent" (lo si vada a rileggere), descriviamo i criteri con cui gli elettroni debbono essere inseriti nella molecola:

1) a ciascun elettrone, nella molecola, è associata una funzione d'onda ψ detta orbitale molecolare; questa funzione d'onda ha lo stesso significato della funzione d'onda ψ atomica;

2) gli orbitali molecolari sono policentrici, sono associati cioè a due o più nuclei;

3) ad ogni orbitale molecolare sono associati tre numeri quantici n, l, λ (che sostituisce il quanto magnetico m che si aveva nel caso di orbitali atomici)(71) i quali ne definiscono l'energia e la forma; inoltre ad ogni elettrone in un dato orbitale molecolare è associato il quarto numero quantico, quello di spin ms, che può

assumere i due valori ± 1/2 (sempre in unità h/2π);

4) ad ogni orbitale molecolare compete una determinata energia; la somma delle energie dei singoli elettroni che occupano i vari orbitali molecolari ci fornisce l'energia complessiva della molecola (si debbono però fare le correzioni relative alle interazioni tra gli elettroni);

5) possiamo sistemare gli elettroni sui vari orbitali permessi uno alla volta secondo il principio di aufbau (si vada a rileggere) e tenendo conto che vale il principio di Pauli (su ogni orbitale molecolare possono trovare posto al massimo due elettroni e ve ne sono due se questi hanno spin opposti).

Tra i vari modi di ottenere gli orbitali molecolari noi sceglieremo quello più in uso: il metodo della combinazione lineare degli orbitali atomici (L.C.A.O.)(72).

2 - L'approssimazione L.C.A.O.

La discussione che faremo ora sarà riferita alle molecole biatomiche. Più avanti vedremo le poliatomiche.

Disponiamo quindi di due nuclei atomici vicini (chiamiamoli A e B) in posizione stabile e formanti (insieme ad alcuni elettroni) la molecola in considerazione. Consideriamo un elettrone intorno a questi due nuclei e vediamone il comportamento da un punto di vista classico. Trascurando la repulsione tra i nuclei, che verrà presa in considerazione in seguito, questo elettrone si muoverà in una orbita che ha come centri i due nuclei. Nel suo movimento l'elettrone passerà alternativamente più vicino al nucleo A e più vicino al nucleo B. A queste punto si fa una approssimazione: quando l'elettrone si trova nelle vicinanze del nucleo A

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si assume che sia influenzato solo da A e dagli elettroni vicini ad A ed, analogamente, quando l'elettrone si trova nelle vicinanze del nucleo B si assume che sia influenzato solo da B e dagli elettroni vicini a B (questo fatto è chiaramente un'approssimazione in quanto, dovunque si trovi l'elettrone nella molecola, è contemporaneamente soggetto alle azioni di A e B). Questa approssimazione comporta una notevole semplificazione in quanto ci permette di considerare la situazione nei seguenti termini:

1) quando l'elettrone è più vicino al nucleo A, essendo influenzato solo da A e dagli elettroni vicini ad A, può essere descritto da una funzione d'onda ψΑ che è uguale alla funzione d'onda atomica che si avrebbe

considerando un elettrone che si trova intorno ad un nucleo di un atomo isolato;

2) quando lo stesso elettrone è più vicino al nucleo B, essendo influenzato sole da B e dagli elettroni vicini a B, può essere descritto da una funzione d'onda ψΒ che e' uguale alla funzione d'onda atomica che si avrebbe

considerando un elettrone che si trova intorno ad un nucleo di un atomo isolato.

In definitiva: nella zona prossima ad A l'orbitale molecolare assomiglia all'orbitale atomico ψΑ ; nella

zona prossima a B l'orbitale molecolare assomiglia all'orbitale atomico ψΒ; per l'intera molecola l'orbitale

molecolare dovrà essere originato da una particolare combinazione degli orbitali atomici ψA e ψB.

Ebbene, il metodo L.C.A.O. assume che la combinazione tra ψA e ψB sia una combinazione lineare,

assume cioè che l'orbitale molecolare ψ sia originato da una combinazione lineare degli orbitali atomici ψA e

ψB:

ψ = ψA + kψB

deve k è una costante che può assumere tutti i valori da - ∞ a + ∞ e che deve essere scelta, analogamente a quanto visto per a e per b nel metodo L.V., i modo da rendere minima l'energia(73).

Vi sono comunque delle condizioni, relative agli orbitali atomici ψA e ψB , per la formaziene

dell'orbitale molecolare ψ; affinché ψA e ψB si combinino occorre che:

1) ψA e ψB abbiano energie dello stesso ordine di grandezza;

2) l'orbitale ψA si sovrapponga molto all'orbitale ψB ;

3) gli orbitali ψA e ψB abbiano la stessa simmetria rispetto all'asse della molecola (rappresentato dalla

congiungente i nuclei A e B).

Il fatto che qualcuna delle condizioni precedenti non si presenti implica che gli orbitali ψA e ψB non si

combinano o, al massimo, si combinano molto poco.

E' bene precisare meglio il punto 3 riportando una tavola in cui sono elencate le combinazioni permesse e proibite da ragioni di simmetria, per alcuni orbitali che si incontrano più frequentemente: gli s, p, d (si veda la Tavola 5).

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MOLECOLE

Tavola 5 (Tratta da Coulson - La valenza - Zanichelli, 1970)

Arrivati a queste punto, prima di passare alla descrizione ed allo studio della formazione di qualche molecola, esaminiamo meglio l'orbitale molecolare ψ incontrato qualche riga più su:

ψ = ψA + kψB

Per la costante k avevamo detto, tra l'altro, che deve essere scelta in modo da rendere minima l'energia. Ebbene, si può dimostrare che k può assumere due valori:

k = ± 1

cui corrispondono i due orbitali molecolari:

ψ+ = ψA + ψB

ψ− = ψA − ψB (74)

Analogamente a quanto visto per il metodo L. V., l'orbitale molecolare ψ+ , corrispondendo ad un

addensamento degli elettroni nella zona internucleare con conseguente schermaggio delle stesse cariche positive dei nuclei, sarà un orbitale molecolare legante a cui corrisponde un valore energetico minore(75) di quello dei singoli orbitali atomici ψA e ψB .

Al contrario, l'orbitale molecolare ψ− sarà antilegante ed avrà un valore energetico maggiore(76) di

quello dei singoli orbitali atomici ψA e ψB; a questa maggiore energia corrisponderà una posizione degli

elettroni non più nello spazio internucleare, con la conseguenza che non c'è più un efficace schermaggio alla repulsione tra le cariche positive dei nuclei.

Un confronto qualitativo fra le energie degli orbitali atomici ψA e ψB dell'orbitale legante ψ+ e di

quello antilegante ψ− è mostra to in figura 12.

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MOLECOLE

Figura 12

In definitiva, poiché ad energia più bassa corrisponde una più elevata stabilità, nella formazione di una molecola: o si ha un orbitale molecolare di tipo ψ+ (ai veda la figura 12), oppure gli elettroni che

eventualmente ai trovassero nell'orbitale ψ− tenderebbero a tornare nella situazione di maggiore stabilità,

tornerebbero cioè ai loro orbitali atomici ψΑ e ψΒ a cui compete minore energia di ψ− con conseguente non

formazione della molecola. (77)

3 - Orbitali molecolari di molecole biatomiche: origine, forma e simbolismo.

Ricordiamo che nel caso atomico gli orbitali vengono indicati con s, p, d, f, ... a seconda del valore del numero quantico secondario l:

l 0 1 2 3 ...

nome s p d f ...

Nel caso molecolare gli orbitali vengono indicati con σ, π, δ, φ, ... (leggi: sigma, pi greco, delta, fi, ...) a seconda del valore assoluto (cioè: indipendentemente dal segno) del numero quantico magnetico λ (che, ricordiamolo, corrisponde al numero quantico m del caso atomico):

λ 0 ±1 ±2 ±3 ...

nome σ π δ φ ...

L'ulteriore distinzione dell'orbitale in legante o antilegante la si fa ponendo un asterisco in alto a destra del simbolo dell'orbitale antilegante. La tavola precedente può così venire integrata considerando la suddetta divisione degli orbitali in leganti o antileganti:

λ 0 ±1 ±2 ±3 ...

orbitali leganti σ π δ φ

orbitali antileganti σ∗ π∗ δ∗ φ∗ ...

D'accordo sui simboli σ, σ∗, π, π∗, δ, δ∗, φ, φ∗, ..., ma quali orbitali atomici si sono combinati per originare questi orbitali molecolari ? Ad esempio, per avere un σ quali orbitali atomici si devono combinare ? e per avere un π ? E' allora necessario introdurre un simbolismo più particolareggiato che, appunto, ci dia informazioni anche sugli orbitali atomici da cui derivano gli orbitali molecolari in oggetto.

Premesso che debbono essere rispettate le 3 condizioni sugli orbitali atomici che abbiamo dato all'inizio del primo paragrafo di questa sezione, valgono le seguenti regole:

1) Se si combinano due orbitali atonici di tipo 1s si ottengono orbitali molecolari di tipo σ e σ∗ che, proprio per la loro origine da orbitali atomici 1s, vengono indicati con σ1s σ∗1s [poiché per λ = 0 si hanno orbitali molecolari di tipo σ e σ∗ ] in definitiva:

σ 1s ~ ψΑ (1s) + ψΒ (1s)

σ∗ 1s ~ ψΑ (1s) - ψΒ (1s)

2) Se si combinano due orbitali atomici di tipo 2s si ottengono orbitali molecolari di tipo σ e σ∗ che, proprio per la loro origine da orbitali atomici 2s, vengono indicati con σ 2s e σ∗2s [poiché per λ = 0 si hanno orbitali molecolari di tipo σ e σ∗]. In definitiva:

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σ 2s ~ ψΑ (2s) + ψΒ (2s)

σ∗ 2s ~ ψΑ (2s) - ψΒ (2s)

3) Se si combinano due orbitali atomici di tipo 2px si ottengono due orbitali molecolari di tipo σ e σ∗ . Essi

vengono indicati con σ 2px e σ∗2px [poiché per λ = 0 si hanno orbitali molecolari di tipo σ e σ∗]. In

definitiva:

σ 2px ~ ψΑ (2px) + ψΒ (2px)

σ∗ 2px ~ ψΑ (2px) - ψΒ (2px)

4) Se si combinano due orbitali atomici di tipo 2py si ottengono orbitali molecolari di tipo π e π∗. Essi

vengono indicati con π2py e π∗2py [poiché per λ = ± 1 si hanno orbitali molecolari di tipo π e π∗]. In

definitiva:

π 2py ~ ψΑ (2py) + ψΒ (2py)

π∗ 2py ~ ψΑ (2py) - ψΒ (2py)

5) Se si combinano due orbitali atonici di tipo 2pz si ottengono orbitali molecolari di tipo π e π∗. Essi

vengono indicati con π2pz e π∗2pz [poiché per λ = ± 1 si hanno orbitali molecolari di tipo π e π∗]. In

definitiva:

π 2pz ~ ψΑ (2pz) + ψΒ (2pz)

π∗ 2pz ~ ψΑ (2pz) - ψΒ (2pz)

A questo punto si potrebbe continuare a descrivere le combinazioni dei più svariati orbitali atomici; per i fini che ci siamo proposti, però, l'esemplificazione fatta è più che sufficiente. Occorre piuttosto passare a vedere come sono fatti questi orbitali molecolari disegnandone le loro superfici limite in sezione (figura 13) ed in prospettiva spaziale (figura 14, nella quale è aggiunto un esempio di orbitale molecolare δ legante - fig.14 e).

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Figura 13

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MOLECOLE

Figura 14

Facciamo ora alcune semplici considerazioni sulle figure 13 e 14:

1) confrontando la figura 13a con la 13b (la figura 14a con la 14b) si capisce subite perché la combinazione di orbitali atomici 2px origini orbitali molecolari di tipo σ e σ∗, infatti gli orbitali molecolari che si ottengono

nei due casi (a e b) sono praticamente uguali, hanno cioè praticamente la stessa forma;

2) confrontando la figura 13c con la 14c e la 14d si vede subito che gli orbitali molecolari π2px e π∗2py sono

uguali rispettivamente agli orbitali molecolari π2pz e π∗2pz , differiscono infatti solo por una rotazione di

90°;

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MOLECOLE

3) è necessario ribadire, sia relativamente alla figura 13 che alla figura 14, che i segni + e - che compaiono sono i segni indicanti che la funzione d'onda è positiva o negativa (non c'entrano assolutamente nulla con questioni di carica elettrica).(78)

Determinata così la forma degli orbitali molecolari, per poter applicare il principio di aufbau occorre conoscere l'ordine con cui sono sistemate le energie degli orbitali stessi. Questo lavoro, attraverso studi sugli spettri delle molecole, fu fatto nel 1932 da Mulliken che trovò per le energie degli orbitali molecolari di molecole costituite da atomi del primo e seconde periodo della tavola periodica il seguente ordine crescente, valido con buona approssimazione:

σ 1s < σ ∗1s < σ 2s < σ ∗2s < σ 2px < π 2py = π 2pz <π∗2py = π∗2pz <σ ∗2px(79)

(si noti che, poiché i σ 2p ed i π 2p hanno energie dello stesso ordine di grandezza, a volte invertono la loro posizione).

Un ordine analogo esiste anche per gli orbitali che vanno da σ 3s

a σ∗3px ma, in questo caso, si hanno forti dubbi sulla giustezza dell'ordine stesso anche perché è difficile da

questo punto (σ 3s) in poi, trovare legami puri tra orbitali atomici di tipo s, p, d, ...(80)

Vediamo comunque in un grafico, con una scala per le energie puramente indicativa, la situazione energetica dei vari orbitali le cui energie sono conosciute con sufficiente sicurezza, almeno nella maggior parte dei casi (figura 15).

Figura 15

Prima di chiudere questo paragrafo e di passare allo studio di qualche molecola, è necessario fare ancora una piccola osservazione che il lettore più accorto avrà già fatto da sé. Perché nel caso di molecole biatomiche omonucleari non si combinano l'orbitale atomico 1s di un atomo con l'orbitale atomico 2s dell'altro ? E perché non si combinano tra loro, sempre nel caso di molecole biatomiche omonucleari, orbitali atomici di tipo s con orbitali atonici di tipo p ? La risposta è evidente e non vale nemmeno la pesa di commentarla: per atomi dello stesso elemento le energie dell' 1s e del 2s (degli s e dei p) non sono confrontabili così come richiesto dalla prima delle tre condizioni necessarie per la formazione di orbitali molecolari.

4 - Alcune molecole biatomiche omonucleari trattate con il metodo O.M.

Abbiamo ormai tutte le carte in mano per costruirci alcune molecole biatomiche omonucleari con il metodo O.M. (facendo uso del principio di Pauli e del metodo aufbau).

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MOLECOLE

H2+ - molecola-ione idrogeno.

Per formare una molecola-ione idrogeno occorre un atomo normale di idrogeno (H) ed un atomo ionizzato di idrogeno (H+ ), cioè, in pratica, un protone. L'elettrone dell'atomo normale di idrogeno ai trova nello stato 1s a più bassa energia; quando si forma la molecola questo elettrone si trasferirà nell'orbitale molecolare a più bassa energia, quello legante σ 1s. Queste fatto può essere rappresentato dalla relazione:

H (1s) + H+ = H2+[(σ 1s]

con ovvio significato dei simboli.

H2 - molecola d'idrogeno.

Ogni atomo di idrogeno che entra in combinazione per formare la molecola H2 ha l'unico elettrone nello

stato 1s. Se questi due elettroni hanno spin antiparalleli, essi possono entrare, ambedue, nell'orbitale molecolare legante a più bassa energia σ ls. Si ha così:

H (1s) + H (1s) = H2[(σ 1s)2].

Se i due elettroni hanno spin paralleli, allora, in accordo con il principio di Pauli, un elettrone si sistemerà sull'orbitale legante σ 1s e l'altro sull'orbitale immediatamente successivo, quello antilegante σ∗1s:

H (1s) + H (1s) = H2 [(σ 1s)( σ*1s)].

Il fatto che ci sia un elettrone in uno stato legante ed uno in uno stato antilegante fa si che il contributo legante del σ 1s venga annullato dal contributo antilegante del σ∗1s di modo che, in definitiva, se gli spin sono antiparalleli non può formarsi la molecola. Vedendo la situazione alla rovescia, se cioè per un istante dovessimo considerare una molecola H2 con un elettrone in σ 1s ed uno in σ∗1s, questo fatte vorrebbe dire

che la molecola normale di H2 (quella con ambedue gli elettroni in σ 1s) è stata eccitata con energia tale da

permetterne la dissociazione.

Ritornando alla molecola normale (non eccitata) di idrogeno osserviamo che, poiché si hanno due elettroni nell'orbitale molecolare legante più basso, il σ 1s, questa molecola avrà un'energia di legame maggiore rispetto alla molecola-ione idrogeno H2

+. Si può quindi dire che in genere il legame a due elettroni

è più forte di quello ad un elettrone.

He2+ - molecola-ione elio.

L'esistenza di questa molecola è stata rilevata da studi sugli spettri molecolari. Essa può essere formata da un atomo normale di elio He e da un atomo di elio ionizzato He+ . L'atomo normale di elio ha i suoi due elettroni nello stato ad energia più bassa 1s, così l'atomo di elio ionizzato che ha il suo unico elettrone nello stato 1s. Quando i due atomi He ed He+, entrano in combinazione per formare la molecola He2

+ , i due

elettroni con spin antiparalleli andranno ad occupare l'orbitale molecolare legante σ 1s, mentre il rimanente elettrone si sistemerà sull'orbitale molecolare antilegante σ*1s. Abbiamo così la seguente relazione:

He (1s2) +He+(1s) = He2+[(σ 1s)2 (σ∗1s)].

La situazione che qui si presenta è quasi analoga a quella della molecola H2 . C'è in più un elettrone

nell'orbitale antilegante σ∗1s. Poiché da una serie di misure sperimentali si è dimostrato che l'effetto di un elettrone su di un orbitale antilegante è maggiore di quello di un elettrone su di un orbitale legante, la stabilità della molecola He2

+ è minore di quella della molecola H2+. Questo spiega perché in natura si

osservano molte molecole H2+ e, invece, per osservare molecole He2

+ ci si debba servire di metodi

spettroscopici.

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MOLECOLE

He2 - molecola di elio.

La molecola di elio non esiste in condizioni normali; essa si forma solo in particolari condizioni, quando l'elio è eccitato (è stata infatti rivelata con metodi spettroscopici all'interno dei tubi di scarica) ed è, in ogni caso, instabile. La sua formazione dovrebbe essere descritta nel modo seguente:

He (1s2) + He (1s2) = He2 [(σ 1s)2(σ∗1s)2]

e, come si vede, i quattro elettroni dei due elii atomici vanno a sistemarsi, nella molecola, due sull'orbitale molecolare legante σ 1s e due sull'orbitale molecolare antilegante σ∗1s. In termini energetici ciò significa (si riveda la figura 15) che, poiché l'energia repulsiva dell'orbitale antilegante è maggiore di quella attrattiva dell'orbitale legante, in pratica non si ha nessun legame, quest'ultimo essendo piuttosto sostituito da una repulsione tra i singoli atomi.

Quando invece gli atomi di elio sono eccitati (quando cioè ciascun atomo ha un elettrone nell'orbitale atomico 1s e l'altro nel 2s) allora si ha la seguente situazione:(81)

He[(1s)(2s)] + He[(1s)(2s)] = He2[(σ 1s)2(σ 2s)2]

e, cose si vede, i quattro elettroni si trovano su orbitali molecolari leganti, di modo che la molecola può esistere in quello stato.

E' utile osservare che una delle affermazioni che abbiamo ora fatto ha validità generale: quando si ha a che fare con orbitali leganti ed antileganti riempiti ciascuno dei due elettroni loro spettanti, non si può formare alcun legame.

Li2 - molecola di litio.

Il litio atomico ha tre elettroni: due nell'orbitale 1s ed uno nel 2s. L'unico elettrone di valenza è quello che si trova nell'orbitale 2s. La molecola di litio si formerà quindi nel modo seguente:

Li[(1s2)(2s)] + Li[(1s2)(2s)] = Li2[KK(σ 2s)2]

dove, l'aver introdotto il K in luogo degli ipotetici (σ 1s)2 e (σ∗1s)2, vuol dire che il livello 1s del del singolo atomo non entra a far parte del legame molecolare e pertanto non si formano orbitali molecolari con i singoli 1s. Questi orbitali atomici, essendo completi, rimangono tali anche all'interno della molecola e quindi risultano indicati con il nome dello strato atomico cui si riferiscono che è, appunto, il K.

Il legame si forma allora solo con l'orbitale molecolare σ 2s e, poiché gli orbitali atomici 2s distano dal nucleo circa 4 volte di più degli orbitali 1s, la distanza esistente tra i due nuclei di litio nella molecola sarà sensibilmente maggiore della distanza tra i due nuclei di idrogeno nella molecola H2 . Ciò comporta una

minore sovrapposizione e conseguentemente una minore energia di dissociazione per la molecola (circa 1/4 di quella necessaria per dissociare H2).

B2 - molecola di boro.

Il boro atomico ha 5 elettroni: due nell'orbitale 1s, due nell'orbitale 2s ed uno nel 2p. La molecola B2 ha

quindi 10 elettroni che, ricordando Pauli e le regole di Hund, ai sistemeranno nel modo seguente negli orbitali molecolari:

B[(1s2)(2s2)(2p)] + B[(1s2)(2s)2(2p)] = B2[KK(σ 2s)2(σ∗2s)2(π 2py )(π 2pz)].

Poiché nel caso della molecola in esame, come in altri casi (C2 , N2+ , N2 ) ed in genere per molecole

biatomiche omonucleari formate da elementi del 2° periodo, le energie dei vari orbitali molecolari hanno valori molto vicini, la struttura dei successivi riempimenti elettronici è un poco incerta e comunque non è quella che si dovrebbe avere semplicemente prendendo in esame la successione energetica dei vari orbitali mostrata in figura 15 (che, ricordiamolo, non è certa per tutte le molecole ma solo quella più volte

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MOLECOLE

realizzata). Non si ha quindi, come ci si sarebbe aspettati, un orbitale (σ 2px)2 pieno, ma, al contrario, si

hanno due elettroni disaccoppiati sui due orbitali π leganti ad uguale energia (degeneri). E ciò è provato da misure con metodi spettroscopici.

Poiché, come nel caso del litio, gli orbitali atomici 1s non entrano a far parte del legame molecolare, si ha a che fare con 4 elettroni leganti e due antileganti; c'è quindi un effetto risultante di 2 elettroni leganti corrispondente ad un legame singolo.

Bella Tavola 6 sono riportate le configurazioni elettroniche di svariate molecole biatomiche omonucleari (negli stati fondamentali, cioè non eccitati), alcune delle quali le abbiamo già incontrate ed altre le incontreremo nelle pagine seguenti.

N2 - molecola di azoto.

L'atomo di azoto ha 7 elettroni e, in accordo con le regole di Hund ed il principio di Pauli, presenta la seguente configurazione elettronica:

N[(1s)2(2s)2(2px)(2py)(2pz)].

La molecola N2 avrà quindi 14 elettroni. Anche qui, come nei caso del litio e del boro, gli orbitali atomici 1s

non entrano a far parte del legane e, pertanto, la molecola sarà costruita nel modo seguente:

2N[(1s2)(2s2)(2px)(2py)(2pz)] = N2[KK(σ 2s)2(σ ∗2s)2(π 2py = π 2pz)4(σ 2px)2].

L'effetto legante del (σ 2s)2 sarà praticamente annullato dall'effetto antilegante del (σ∗2s)2 , di modo che si avranno solo 6 elettroni in stati leganti. Conseguentemente si ha a che fare con un triplo legame: uno di tipo σ e due di tipo π. Questo legame è il più forte possibile per una molecola biatomica omonucleare e perciò N2

risulta molto stabile (si veda la Tavola 6. Come esemplificazione, nella figura 16, seno illustrati gli orbitali molecolari della molecola N2 .

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MOLECOLE

.

TAVOLA 6 (Rielaborazione da Herzberg: Molecular Spectra ... - Prentice-Hall, 1939). Si noti che per ordine del legame si intende la quantità così definita: numero degli elettroni la orbitali molecolari leganti meno il numero degli elettroni in orbitali molecolari antileganti; quello che risulta va diviso per due. [I valori numerici segnati con asterisco sono incerti].

Figura 16 - Orbitali molecolari della molecola di azoto. In (a) sono mostrati i tre orbitali p per i due atomi; in (b) è mostrata la formazione dell'orbitale molecolare σ lungo l'asse x; in (c) sono mostrati gli orbitali molecolari di tipo π che si formano per sovrapposizione degli orbitali atomici lungo gli assi y e z.

O2 - molecola di ossigeno.

L'atomo di ossigeno ha 8 elettroni nella seguente configurazione:

O[(ls2)(2s2)(2px)(2py)(2pz)2]

La molecola O2 dispone allora di due elettroni in più rispetto a quelli di cui disponeva l'azoto e questi

elettroni si andranno a disporre nell'orbitale molecolare antilegante π∗ con modalità che discuteremo tra un poco. La configurazione elettronica di O2 sarà allora:

2O[(1s2)(2s2)(2px)(2py)(2pz)2] = O2[KK(σ 2s)2(σ ∗2s)2(σ 2px)2(π 2py = π 2pz)4(π∗2py = π∗2pz)2]

Ora, poiché gli orbitali π sono degeneri (il π 2py ha la stessa energia del π 2pz) analogamente ai π∗ , mentre

per i π disponiamo di 4 elettroni che li vanno a saturare, per i π∗ si hanno solo 2 elettroni che, in accordo con le regole di Hund, andranno a disporsi con gli spin paralleli, uno in π∗2py ed uno in π∗2pz .

La molecola O2 ha quindi 2 elettroni disaccoppiati (con spin paralleli). Questi elettroni disaccoppiati

rendono conto del fatto sperimentale che la molecola di ossigeno ha particolari proprietà magnetiche (è paramagnetica). E la spiegazione così elegante di questo fenomeno (insieme ad una analoga spiegazione del paramagnetismo della molecola S2 di zolfo)(82), fornita dalla teoria O.M., costituì uno dei suoi primi successi

(la teoria del legame di valenza non prevedeva l'esistenza di due elettroni disaccoppiati e quindi non spiegava il paramagnetismo dell'ossigeno).

Nella figura 17 è riportata in modo schematico la formazione della molecola O2 , a partire dai due atomi

O.

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MOLECOLE

Figura 17. Le transizioni a tratto continuo sono quelle che realmente hanno luogo quelle tratteggiate sono quelle che si avrebbero nel caso i 2px ed i 2py avessero due

elettroni.

Riguardo al legame, ora, rispetto alla molecola N2, abbiamo due elettroni la più in uno stato antilegante

che andranno praticamente ad annullare il contributo di due elettroni in uno stato legante; si avranno così 4 elettroni in uno state legante con la conseguenza che si ha un doppio legame.

*****

Per le molecole F2 ed Ne2 , non essendoci novità di interesse, rimando alla Tavola 6.

*****

5 - Altre molecole biatomiche omonucleari.

Quanto abbiamo visto per le molecole biatomiche omonucleari del secondo periodo della Tavola periodica può essere esteso alle molecole biatomiche omonucleari qualunque. Naturalmente occorrerà stabilire con precisione il valore del numero quantico n degli orbitali di valenza e bisognerà tener conto di una maggiore incertezza nell'ordine delle energie crescenti degli orbitali molecolari.

In modo del tutto generale si può dire che le molecole biatomiche omonucleari dei metalli alcalini, come Na2 , K2, Rb2 , Cs2 (Gruppo 1A della Tavola Periodica degli elementi riportata in 39 - 7), hanno

configurazioni del tipo visto per la molecola Li2 . Il legame avviene con un orbitale molecolare di tipo σ e

non si hanno elettroni disaccoppiati. Ad esempio, la molecola di sodio (Na2) ha la seguente configurazione:

Na2[KK,LL,(σ 3s)2]

là dove LL ha lo stesso significato di KK e cioè che gli elettroni atomici degli strati L dell'atomo di sodio non prendono parte al legame. Tutte le molecole di questo tipo esistono in fase di vapore ed hanno proprietà diamagnetiche.

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MOLECOLE

Allo stesso modo le molecole biatomiche omonucleari formate da atomi del 5° gruppo (A) della Tavola periodica; esse hanno una configurazione del tipo visto per la molecola N2 dell'azoto. Il legame è di tipo σ e

π e non vi sono elettroni disaccoppiati. Ad esempio, la molecola P2 di fosforo ha gli strati K ed L pieni,

mentre il legame si stabilisce con gli orbitali molecolari (σ 3p)2 e (π3py = π3pz)4 .

Infine, le molecole biatomiche omonucleari degli alogeni, come Cl2 ,Br2 , I2 (Gruppo 7A della Tavola

periodica), hanno configurazioni elettroniche del tipo di quella della molecola F2 di fluoro (si veda la Tavola

6). Il legame è di tipo σ e le molecole risultano diamagnetiche.

1 - Molecole biatomiche eteronucleari trattate con il metodo O.M.

Quando si ha a che fare con molecole biatomiche eteronucleari, molecole formate da due atomi di due elementi diversi (come, ad esempio, acido fluoridrico HF, acido cloridrico HCl, monossido di carbonio CO, ossido di azoto NO, idruro di litio LiH, ... ), si può ancora applicare il metodo O.M. nell'approssimazione L.C.A.O. con alcune avvertenze. Innanzitutto, quando si fa la combinazione lineare degli orbitali atomici (L.C.A.O.) tra l'orbitale ψ A dell'atomo A e l'orbitale ψB dell'atomo B per ottenere l'orbitale molecolare ψ :

ψ = ψ A + k ψB

il k non assume più i valori ± 1, che abbiamo visto assumere nel caso di molecole biatomiche omonucleari. Questa volta occorrerà farsi i conti di volta in volta, a seconda di quali sono gli orbitali atomici in giuoco. Infatti, mentre nel caso omonucleare gli orbitali atomici ψ A e ψB erano sempre dello stesso tipo (o 1s, o 2s,

o 2px , ... ), ora ψ A sarà generalmente differente da ψB (ad esempio: il primo 1s ed il secondo 2p).(83) Si

avranno comunque due valori di k, uno del quali relativo ad un orbitale molecolare legante e l'altro ad un orbitale molecolare antilegante. Per rendere conto di ciò è conveniente a volte indicare la relazione precedente nel modo seguente:

ψ = k1ψ A + k2ψB

là dove il rapporto k2/k1 fornisce il k precedentemente introdotto.

Valgono invece le altre condizioni e cioè che:

1) ψ A e ψB debbono avere energie dello stesso ordine di grandezza;

2) l'orbitale ψ A abbia la massima sovrapposizione con ψB;

3) gli orbitali ψ A e ψB abbiano una stessa simmetria rispetto all'asse della molecola.

Con queste condizioni è facile stabilire quali sono gli orbitali atomici ψ A e ψB che vanno a formare

l'orbitale molecolare ψ. (84)

Vale ancora la classificazione in orbitali molecolari leganti ed antileganti ed in generale risulta (Mulliken, 1932):(85)

(k)z σ <(k)yσ < zσ < wπ = wπ < yσ < xσ < vπ = vπ < uσ ;

non si dovrà invece più considerare la classificazione delle funzioni d'onda in simmetriche ed antisimmetriche poiché ora la molecola, formata da orbitali atomici differenti, non avrà più un centro di simmetria. C'è infine da notare che, a seguito della diversità della carica posseduta dai due nuclei dei due atomi che vanno a formare la molecola, i livelli energetici (o orbitali) dello stesso tipo avranno energie differenti nei due atomi (ad esempio: il livello 1s dell'idrogeno ha energia differente dal livello 1s del fluoro).

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MOLECOLE

Possiamo ora passare a descrivere la formazione di qualcuna di queste molecole.

HF - Molecola di acido fluoridrico.

Gli atomi di idrogeno e fluoro hanno rispettivamente le seguenti configurazioni:

H [(1s)] ; F [(1s2)(2s2)(2px)(2py2)(2pz

2)].

Gli elettroni che si trovano negli orbitali 1s e 2s del fluoro non entrano a far parte del legame e restano nella situazione di orbitali atomici del fluoro. Negli orbitali 2p vi sono invece 5 elettroni e quindi uno di essi risulterà disaccoppiato (nella configurazione del fluoro che abbiamo dato è l'orbitale 2px che risulta privo di

un elettrone; ma era indifferente considerare che l'elettrone mancasse al 2py o al 2zp). L'aver scelto

l'orbitale 2px privo di un elettrone significa che è proprio questo orbitale che va a combinarsi in orbitale

molecolare con un orbitale atomico 1s dell'idrogeno. E proprio perché abbiamo scelto il 2px sarà*

necessario che l'asse della molecola (che unisce il nucleo dell'atomo di idrogeno con quello di fluoro) si trovi lungo l'asse x in modo da rispettare, per una data distanza tra i nuclei, la regola della massima sovrapposizione (figura 18).(86) La sovrapposizione tra gli orbitali atomici 1s dell'idrogeno e 2px del fluoro

(il discorso per il 2pz è esattamente identico) avrebbe originato la situazione di figura 19. Come si può

vedere da un confronto con la figura 18a, risulta una sovrapposizione (zona tratteggiata) minore ed inoltre, mentre nel caso della figura 18 si ha sovrapposizione di parti di orbitale con lo stesso segno, ora si ha a che fare con una sovrapposizione con parti di orbitale che hanno segno opposto e questa sovrapposizione risulta perfettamente equilibrata di modo che i due

Figura 18

Figura 19

contributi si annullano vicendevolmente.

In definitiva anche gli orbitali 2py e 2pz rimangono come orbitali atomici e la configurazione della

molecola sarà:

H[(1s)] + F[(ls2)(2s2)(2px)(2py2)(2pz

2)] = HF[K(2s2)(xσ)2(2py2)(2pz

2)].

L'orbitale molecolare cui si deve ti legame è quindi di tipo σ (87) e, per quanto detto in apertura del paragrafo, sarà dato da:

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MOLECOLE

ψ (σ 2px) = k1(1s) + k2 ψ (2px).

Poiché poi, elaborando le misure sperimentali,(88) si trova che k2 è maggiore di k1 e, che è lo stesso, k = k2 /

k1 è maggiore di uno, ciò vorrà dire che il contributo relativo all'orbitale molecolare dell'orbitale atomico

2px è superiore al contributo relativo fornito dall'orbi tale atomico 1s. La ragione di ciò risiede nel fatto che i

due orbitali atomici che si uniscono per formare l'orbitale molecolare hanno energie diverse risultando, in questo caso, superiore l'energia del 2px del fluoro di quella dell'orbitale 1s dell'idrogeno. Ed in definitiva, a

seguito del fatto che k2 > k1 , i due elettroni che prendono parte al legame tenderanno a trovarsi per la

maggior parte del loro tempo più vicini al nucleo del fluoro (la densità di carica della nube elettronica sarà maggiore vicino al fluoro che non all'idrogeno) che fornisce un orbitale di valenza più stabile di quello fornito dall'idrogeno. Ciò si può anche dire affermando che l'atomo di fluoro è più elettronegativo(89) di quello dell'idrogeno. I due coefficienti k1 e k2 , legati da k = k2 /k1 , sono quindi molto importanti poiché, in

definitiva, si forniscono il grado di polarità di una molecola (la molecola avrà un carattere ionico parziale).

*****

Con m meccanismo del tutto simile a quello ora visto per l'acido fluoridrico, formano molecole tutti i composti dell'idrogeno con gli alogeni (cloro, bromo, iodio, ... ). Vediamo rapidamente l'esempio dell'acido cloridrico (HCl).

HCl - molecola di acido cloridrico.

Gli atomi di idrogeno e cloro hanno le seguenti configurazioni:

H[(1s)] ; Cl [(1s2)(2s2)(2px2)(2py

2)(2pz2)(3s2)(3px)(3py

2)(3pz2)].

Gli elettroni del cloro che si trovano sugli orbitali 1s (strato K), 2s, 2px , 2py, 2pz (strato L) non entrano a far

parte del legame e restano nella situazione di orbitali atomici del cloro. L'orbitale 3px del cloro è privo di un

elettrone e quindi sarà questo l'orbitale atomico che andrà a formare, con l'orbitale atomico 1s dell'idrogeno, l'orbitale molecolare legante di tipo σ. La configurazione elettronica della molecola HCl sarà quindi:

H[(1s)] + Cl [(1s2)(2s2)(2px2)(2py

2)(2pz2)(3s2)(3px)(3py

2)(3pz2)] = HCl [KL(3s2)(mxσ)2(3py

2)(3pz2)]

Anche qui, poiché risulta k2 > k1 si avrà che il contributo relativo dell'orbitale atomico 3px all'orbitale

molecolare mx σ è superiore al contributo relativo fornito dall'orbitale atomico 1s. E poiché k2 > k1 , i due

elettroni che prendono parte al legame tenderanno a stare più vicini all'atomo di cloro che non all'atomo di idrogeno. Ciò vuol dire che l'atomo di cloro è più elettronegativo di quello di idrogeno e che la molecola ha caratteristiche polari.

LiH - molecola di idruro di litio.

Il litio ha tre elettroni:

Li[(1s2)(2s)]

ma, poiché l'orbitale 2s ha un'energia che è molto vicina a quelle degli orbitali 2p, sono orbitali di valenza sia il 2s che i 2p.(90) Anche qui però si può procedere con buona approssimazione considerando che la molecola LiH nasca dalla sovrapposizione dell'orbitale 1s dell'idrogeno con il 2s del litio (il livello 1s del litio risulta infatti più stabile del livelli 2p) come mostrato in figura 20. Il legame risulta quindi di tipo σ e la configurazione elettronica di LiH sarà:

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MOLECOLE

Figura 20

H[(ls)] + Li[(1s2)(2s)] = LiH[K(zσ)2].

Poiché poi, in questo caso, risulta k1 > k2 e cioè k < 1, i due elettroni che formano il legame verranno a

trovarsi più vicini all'atomo di idrogeno che non all'atomo di litio (carattere ionico parziale della molecola che ha caratteristiche polari). L'idrogeno risulta quindi più elettronegativo del litio.

CO — molecola di monossido di carbonio.

La struttura di questa molecola ha fatto molto discutere, a partire da Mulliken (1932) fino a Sahni (1953).

Le configurazioni elettroniche degli atomi di carbonio e di ossigeno sono rispettivamente:

C[(1s2)(2s2)(2px)(2py)] ; O[(1s2)(2s2)(2px)(2py)(2pz2)]

Come si vede, sia nell'uno che nell'altro atomo vi sono due orbitali da completare e precisamente i 2px ed i

2py ; inoltre al 2pz dell'ossigeno, che è completo, corrisponde un 2pz del carbonio che è vuoto. In accordo

con l'elaborazione di Mulliken, la molecola CO avrà la seguente configurazione:

C[(1s2)(2s2)(2px)(2py)]+O[(1s2)(2s2)(2px)(2py)(2pz2)] =CO[KK(zσ)2(yσ)2(xσ)2(wπ)4](91)

Gli orbitali leganti sono zσ, xσ e wπ; sono cioè in numero di 4, mentre si ha un solo orbitale antilegante, lo yσ. In definitiva si ha a che fare con un triplo legame; uno di tipo σ e due di tipo π. La situazione secondo Mulliken è analoga a quella che si presenta nella molecola N2 di azoto.(92) Ma proprio da questa analogia

sorge una difficoltà: infatti, ionizzando una molecola N2 di azoto per ottenere N2+ , si ha una diminuzione

dell'energia di legame, contrariamente a quello che accade ionizzando CO per ottenere CO+ (in questo caso l'energia di legame aumenta).(93)

Questo fatto può essere compreso solo ammettendo che il legame, doppio nella molecola CO non ionizzata, diventa triplo nella molecola CO + ionizzata (contrariamente a quanto avviene per l'azoto).

Come accordare le due conclusioni ? Come accordare, cioè, il fatto che da una parte risulta un legame triplo e dall'altra un legame doppio ?

Secondo Long e Walsh (1947) è possibile pensare che quando C ed O si avvicinano per formare la molecola, mentre gli orbitali atomici 1s di ambedue rimangono orbitali atomici e mentre gli orbitali atomici 2s di ambedue origineranno gli orbitali molecolari zσ ed yσ (rispettivamente legante ed antilegante), l'orbitale 2pz dell'ossigeno, che risulta pieno, resterà prevalentemente come orbitale atomico dell'ossigeno,

interagendo però debolmente con l'orbitale 2pz del carbonio che risulta vuoto. Ciò vuol dire che uno degli

orbitali molecolari wπ avrà essenzialmente un carattere atomico, risultando localizzato principalmente intorno all'ossigeno. Questo tipo di legame, composto da due legami netti e da uno fornito essenzialmente dall'atomo di ossigeno, lo si usa indicare nel modo seguente (doppio legame covalente + un debole legame d'altra natura):

in ogni caso, ancora oggi non abbiamo elementi sufficienti per affermare che quanto qui sostenuto sia esente

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MOLECOLE

da dubbi.

A questo punto resta solo da dire che la molecola CO presenta una polarità praticamente trascurabile (e questo pare in accordo con quanto sostenuto da Long e Walsh).

NO - molecola di ossido di azoto.

Molto in breve descriviamo la formazione di NO:

K[(1s2)(2s2)(2px)(2py)(2pz)] + O[(1s2)(2s2)(2px)(2py)(2pz2)] = NO[KK(zσ)2(yσ)2(xσ)2(wπ)4(vπ)].

Poiché zσ, xσ e wπ (considerato due volte) sono leganti ed yσ con vπ sono antileganti, l'ordine del legame sarà 2 e 1/2 (si riveda Tavola 6). La molecola è molto stabile (anche se meno di CO e di N2) e la cosa

potrebbe sembrare strana per una molecola che ha un elettrone disaccoppiato. In realtà il fatto può essere spiegato semplicemente osservando che l'elettrone singolo non si trova su un orbitale atomico ma su un orbitale molecolare la cui densità di carica è uniformemente distribuita tra i due atomi, piuttosto che essere localizzata più vicino all'uno che all'altro.(94)

Da ultimo c'è da dire che l'elettrone disaccoppiato è responsabile delle proprietà paramagnetiche che presenta la molecola NO.

2 - Molecole poliatomiche trattate con il metodo L.V.: l'ibridizzazione.

L'atomo di carbonio ha la seguente configurazione:

C[(1s2)(2s2)(2px)(2py)].

Avendo due orbitali incompleti la valenza del carbonio è 2. Molto spesso però il carbonio risulta tetravalente (come nella molecola CH4 di metano). Come è possibile rendere conto di ciò ? Si può pensare di eccitare

l'atomo di carbonio in modo che un elettrone 2s passi nell'orbitale 2pz (originariagieate vuoto). In questo

modo il carbonio eccitato viene ad avere la configurazione seguente:

C[(1s2)(2s)(2px)(2py)(2pz)].

e, come si vede, poiché sono ora 4 gli orbitali incompleti, l'atomo è diventato tetravalente; ciascuno dei 4 orbitali può formare un legame: tre di questi legami si formeranno con orbitali di tipo p ed uno con orbitali di tipo s. Per quanto sappiamo, risulterebbe che tre dei legami avrebbero caratteristiche differenti dal quarto(95) ed invece, sperimentalmente, tutti e 4 i legami risultano con le stesse caratteristiche.

Allo stesso modo per l'atomo di boro:

B[(1s2)(2s2)(2px)]

esso sembrerebbe monovalente dato che ha il solo orbitale 2px incompleto. In realtà il boro presenta a volte

caratteristiche trivalenti, come nella formazione della molecola di trifluoruro di boro (BF3). Per rendere

conto di ciò si può operare come visto per il carbonio, eccitando l'atomo di boro:

B[(1s2)(2s)(2px)(2py)].

ed a tre orbitali incompleti corrisponde un atomo trivalente. Si dovrebbero allora avere 2 legami con orbitali di tipo p ed un legame con orbitali di tipo s, i primi due con caratteristiche differenti dal terzo. Ma, sperimentalmente, si è mostrato che i tre legami hanno tutti le stesse caratteristiche.

Altro esempio è il berillio:

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Be[(1s2)(2s2)];

sembrerebbe che esso non debba legarsi in molecole stabili per comportarsi invece come l'atomo di elio (visto che non ha elettroni disaccoppiati).(96) Invece il berillio presenta un comportamento bivalente formando molecole stabili (come BeO, BeCl2, BeH). Anche qui si può pensare di eccitare l'atomo di berillio

per ottenere:

Be[(1s2)(2s)(2px)]

In questo modo l'atomo è diventato bivalente e può formare due legami: uno con l'orbitale di tipo s ed uno con l'orbitale di tipo p. Si dovrebbe quindi avere un legame con caratteristiche differenti dall'altro e, anche qui sperimentalmente, si mostra invece che le caratteristiche dei due legami sono identiche.

Di esempi come quelli descritti ve ne sono moltissimi e per rendere conto di essi Pauling (1931) introdusse il concetto di ibridizzazione, nell'ambito dello sviluppo del metodo L.V.

All'interno del medesimo atomo, alcune volte, occorre non fare più riferimento ad orbitali s distinti da orbitali p (ed in genere bisogna abbandonare qualsiasi distinzione tra orbitali atomici). Occorre invece prendere in considerazione una sorta di mescolamento (o ibridizzazione) tra questi orbitali tale da originare orbitali atomici differenti, appunto, dagli s e p che conosciamo.

Per quel che riguarda il carbonio e per rendere conto della sua tetravalenza, si deve assumere che avvenga un mescolamento tra un orbitale s e tre orbitali p: da queste mescolamento si originano quattro nuovi orbitali atomici che, con ovvio significato dei simboli, sono chiamati ibridi sp3 (tutti perfettamente equivalenti).

Per quel che riguarda la trivalenza del boro, si deve ammettere un mescolamento tra un orbitale s e due orbitali p: da questo mescolamento si originano tre nuovi orbitali atomici che sono chiamati ibridi sp2 (tutti perfettamente equivalenti tra di loro).

Per quel che riguarda la bivalenza del berillio, si deve ammettere un mescolamento tra un orbitale s ed un orbitale p: da questo mescolamento si originano due nuovi orbitali atomici che sono chiamati ibridi sp (tutti perfettamente equivalenti tra di loro).

Alcune osservazioni vanno subito fatte: vi sono altri tipi di ibridizzazione oltre a quelli qui esemplificati (si veda la Tavola 7); le ibridizzazioni esemplificate non riguardano sole gli atomi specifici che abbiamo preso in considerazione

Tavola 7

(carbonio per l'sp3 , boro per l'sp2 , berillio per l'sp) ma hanno una validità generale; occorre sottolineare che l'ibridizzazione è un fatto atomico che si costruisce prima che si vada a formare la molecola; è molto importaste osservare che l'ibridizzazione degli orbitali atomici non implica un cambiamento dello stato degli elettroni negli atomi ma, piuttosto, una differente forma matematica nella quale gli orbitali atomici vengono

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descritti; non è più necessario far riferimento agli assi x, y, z.

Nella figura 21 sono mostrate le forme che assumono le superfici limite di alcuni orbitali ibridi (detti anche orbitali equivalenti): prima l'sp, quindi l'sp2 ed infine l'sp3.

In definitiva si può dire:

1) l'ibridizzazione consiste nel mescolamento di differenti orbitali atomici ;

2) si possono mescolare solo orbitali atomici di energie simili;

3) il numero di orbitali che si ottengono dopo l'ibridizzazione è uguale al numero di orbitali che si avevano prima;

4) il processo di ibridizzazione riguarda gli orbitali atomici e non gli elettroni: una volta ottenuti gli ibridi, in essi si sistemano gli elettroni in accordo con il principio di Pauli e con tutte le altre regole che conosciamo;

5) una volta ibridizzati gli orbitali atomici, non esistono più gli orbitali di partenza;

6) gli ibridi hanno forma simile tra di loro; le differenze principali riguardano le loro orientazioni nello spazio;

7) all'orientazione spaziale non contribuiscono orbitali atomici di tipo s (che, come sappiamo, hanno simmetria sferica) ma solo gli orbitali atomici che hanno caratteristiche direzionali (come i p, i d, ... ). Gli orbitali s, ibridizzandosi con orbitali direzionali, fanno ingrassare l'orbitale direzionale;

8) se si mescolano tra loro due orbitali direzionali con direzioni lungo l'asse x e lungo l'asse y, si ottengono due ibridi che giacciono sul piano xy; se si mescolano tra loro due orbitali direzionali con direzioni lungo l'asse x e lungo l'asse z, si ottengono due ibridi che giacciono sul piano xz; ... ; se si mescola un orbitale s con un orbitale direzionale x si ottengono due ibridi che giacciono sull'asse x; se si mescola un orbitale s con un orbitale direzionale y si ottengono due ibridi che giacciono sull'asse y; ... .

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Figura 21

Le combinazioni di orbitali atomici indicate con (3) sono date a meno di alcuni fattori costanti detti di "normalizzazione". Di questi fattori ne faremo sempre a meno

Con questi nuovi orbitali atomici, gli ibridi, andiamo a vedere come si può rendere conto di differenti valenze e legami, andando in definitiva a studiare la struttura di qualche molecola poliatomica.

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CH4 - molecola di metano (ibridi sp3)

Gli orbitali atomici che ci interessano sono gli orbitali ibridi sp3 che, come si può vedere dalla figura 21c, hanno la massima densità di carica elettronica in corrispondenza dei vertici del tetraedro ABDE nel quale l'atomo C di carbonio occupa il centro. D'altra parte sappiamo che l'idrogeno è descritto da uno stato 1s. E' chiaro quindi che avvicinando 4 atomi di idrogeno ad un atomo di carbonio, poiché vale anche qui la regola della massima sovrapposizione,(97) essi tenderanno a sistemarsi proprio ai vertici del tetraedro ABDE, originando la classica configurazione tetraedrica della molecola CH4 di metano (figura 22):

C[(1s2)(2s2)(2px)(2py)] + 4H[(1s)] -> C[(1s2)(2s)(2px)(2py)(2pz)] + 4H[(1s)] -> C[(1s2)(sp3)4] + 4H[(1s)] -

> CH4

C'è da notare che gli angoli α tra ogni coppia di assi unenti il nucleo del carbonio con i nuclei di idrogeno (figura 22a), sono tutti uguali e valgono 109° 28', in perfetto accordo con le misure sperimentali eseguite con metodi spettroscopici.

Figura 22

Infine occorre ricordare che altri elementi del gruppo del carbonio: come stagno, piombo, silicio e germanio, formano, anch'essi, una struttura tetraedrica intorno all'atomo centrale quando vanno a legarsi con altri elementi in svariati composti, ed inoltre gli angoli di legame risultano sempre di 109° 28'.

H2O - molecola d'acqua (ibridi sp3)

La molecola d'acqua è ancora lungi dall'essere compresa con una qualche precisione e si sono fatti vari tentativi per rendere conto del fatto sperimentale che più sfugge ad ogni descrizione teorica. Si è infatti osservato sperimentalmente che questa molecola presenta un angolo di legame di circa 105° (figura 23).

Figura 23

Utilizzando il metodo O.M. (si veda più oltre) si trova che quest'angolo dovrebbe essere di 90°; utilizzando gli ibridi sp3 quest'angolo diventerebbe di circa 109° che approssima meglio il dato sperimentale (tra le altre vi è poi stata una spiegazione mediante parziale ibridizzazione sp2).

La configurazione elettronica dell'ossigeno è:

O[(1s2)(2s2)(2px)(2py)(2pz2)]

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e la prima cosa che può venire in mente riguarda il come sia possibile qui costruire ibridi sp3 .

Ebbene: si considerano gli orbitali atomici 2s, 2px , 2py , 2pz indipendentemente dagli elettroni che essi

contengono e si costruiscono gli ibridi sp3 .Quindi si sistemano gli elettroni: una coppia in un sp3, un'altra coppia su un altro sp3 (queste coppie sono dette solitarie), un singolo elettrone su un sp3 ed un altro singolo sull'ultimo sp3 . Solo allora i due ibridi sp3 che contengono elettroni disaccoppiati, quelli che vanno a formare i due legami di tipo σ (con lo stesso valore di energia), ad elettroni localizzati, con i due idrogeni (figura 24).

Figura 24

Ora, come abbiamo detto quando abbiamo trattato il legame idrogeno, le molecole d'acqua, nel liquido, non sembra si possano considerare isolate: pare che esse esistano in gruppi tenuti insieme, appunto, tramite il legame idrogeno. Questi gruppi sono formati da una molecola d'acqua circondata da altre molecole d'acqua che, quando arrivano a 4 (caso del ghiaccio), sono disposte ai vertici di un tetraedro (figura 25). Nel caso del ghiaccio vi sono allora più strutture

Figura 25 - I lobuli ombreggiati sono quelli che contengono coppie di elettroni leganti; gli altri contengono coppie solitarie. Le linee tratteggiate rappresentano il legame idrogeno. Le linee continue e quella tratto-punteggiata descrivono il tetraedro ai cui vertici si incontrane le quattro molecole di acqua che circondano la molecola centrale.

tetraedriche, come quella mostrata in figura 25, impacchettate tra loro in modo da formare una struttura complessiva come quella illustrata nelle figure 26 a e b (in b è mostrata una parte della struttura a da un altro angolo visuale). Come si può vedere la struttura è molto aperta (difficoltà di impacchettare tetraedri) e questo rende conto della bassa densità e quindi

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Figura 26 a

Figura 26 b

del maggiore volume occupato dal ghiaccio rispetto all'acqua.(98) Nel ghiaccio tutti i possibili legami idrogeno sono utilizzati; al crescere della temperatura sono sempre meno i legami idrogeno in azione e quindi via via va rompendosi la struttura cristallina; quando si ritrova acqua, ancora alcuni legami idrogeno sussistono(99) e questo rende conto del fatto che le molecole d'acqua si trovano in gruppi.

Come accennato, un'altra possibilità di spiegare i dati sperimentali per la molecola d'acqua è di considerare una parziale ibridizzazione sp (figura 21 b). Abbiamo già detto che legando tra loro due orbitali 2p puri (teoria O.M.) si avrebbe un angolo di 90°. Per arrivare ai circa 105° non basta considerare la repulsione tra i nuclei dell'idrogeno, poiché essa porterebbe l'angelo di legame ad un massimo di 95°;(100) bisogna invece ammettere che gli orbitali atomici 2p abbiano una parte di carattere s, bisogna cioè ammettere che si formino degli ibridi parziali sp2 . L' introduzione di una componente s nei 2p permette una maggiore sovrapposizione e quindi un legame più stabile ed inoltre fornisce un angolo più vicino ai 105° di quanto non lo sia quello che si ricava dall'ibridizzazione sp3 .

1 - Molecole poliatomiche trattate con il metodo L.V.: l'ibridizzazione (seconda parte)

BH3 - molecola di borano (101) (ibridi sp2)

Come abbiamo già visto, la molecola del boro può essere mutata mediante eccitazione:

B[(1s2)(2s2)(2px)] -> B[(1s2)(2s)(2px)(2py)] -> B[(1s2)(2sp2)3]

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in tal modo si ottengono tre ibridi sp2 e l'atomo acquista caratteristiche di trivalenza. Risulta semplice quindi combinare l'atomo di boro con i suoi tre ibridi sp2 , ed i tre atomi di idrogeno (tenendo sempre conto della regola della massima sovrapposizione). Si ottiene così quanto mostrato in figura 27 (la a per una data orientazione degli assi e la b per una diversa orientazione). Il fatto poi che i legami formino tra loro angoli di 120° è confermato dalle misure sperimentali.

Figura 27

(a) I legami BH1, BH2 e BH3 si trovano sul piano xy.

(b) I legami BH1, BH2 e BH3 si trovano sul piano xy.

BF3 - molecola di trifluoruro di boro (ibridi sp2)

Nella discussione precedente abbiamo visto che per il boro si ha:

B[(1s2)(2sp2)3]

II fluoro ha invece la seguente configurazione elettronica (si è scelto il 2px parzialmente pieno, ma si poteva

indifferentemente scegliere il 2py o il 2pz):

F[(1s2)(2s2)(2px)(2py2)(2pz

2)]

e risulta quindi monovalente.

Con uno studio simile a quello fatto per la molecola di borano, possiamo arrivare a costruirci la molecola di trifluoruro di boro. I tre ibridi sp2 del boro si combineranno con i tre orbitali atomici 2px di tre

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atomi di fluoro in tre legami di tipo σ, come mostrato in figura 28 (nella quale, come sempre, non abbiamo riportato gli altri orbitali non interessati al legame).(102) In questo modo si saturano le tre valenze del boro e tutto sembra a posto. Ma qui, ricordando

Figura 28 - Gli assi X, Y, Z, sono relativi al boro gli orbitali di tipo p del fluoro sono i 2px ; i legami si trovano sul piano XY del boro; gli orbitali non ombreggiati sono i 2pz

del fluoro ed il 2pz del boro.

quanto abbiamo discusso a proposito della teoria O.M., c'è la possibilità di un ulteriore legame, anche se più debole: quelle tra gli orbitali 2pz del boro ed i tre orbitali 2pz dei tre atomi di fluoro (figura 29). Ricordando

quanto sappiamo

Figura 29

sulla risonanza, si può dire che il legame (che sarà di tipo π) risuona tra i tre possibili, fornendo un'energia addizionale al legame stesso. Da quanto detto la molecola BF3 deve risultare molto più stabile della molecola

BH3 e questo fatto è in perfetto accordo con le misure sperimentali. Così come è in accordo con i dati

sperimentali il fatto che i 4 atomi che formano la molecola sono complanari, con angoli di legame di 120°.

C2 H4 - molecola di etilene (ibridi sp2) .

Ritorniamo ora ad un altro composto del carbonio, l'etilene, che ha molecola C2 H4. I dati sperimentali

mostrano che in questa molecola tutti e sei gli atomi che la compongono giacciono su uno stesso piano e che gli angoli di legame sono di circa 120°. L'etilene presenta una struttura come quella mostrata in figura 30 e per spiegarla occorre ragionare

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Figura 30

nel modo seguente. Come già sappiamo la configurazione elettronica del carbonio è:

C[(1s2)(2s2)(2px)(2py)] -> (eccitando) C[(1s2)(2s)(2px)(2py)(2pz)] ->C[(1s2)(sp2)3(2pz)].

Come si vede non abbiamo mescolato tutti e quattro gli orbitali 2s, 2px, 2py e 2pz per formare quattro

ibridi sp3;(103) abbiamo ibridizzato solo tre orbitali e conseguentemente abbiamo ottenuto tre ibridi sp2 e ci è rimasto un orbitale atomico puro 2pz . E questo proprio per rendere cento dei fatti sperimentali, come

cercheremo di mostrare.

Dalla figura 30 risulta che ciascun carbonio è tetravalente e che ogni carbonio, oltre a legarsi con un legame semplice con un idrogeno, si lega all'altro carbonio con un legame doppio.(104) I due atomi di carbonio possono allora venir separatamente descritti come in figura 31a.. Quando sono avvicinati (figura 31b) originano la struttura di figura 31c. Ed allora, oltre al legame di tipo σ , che ha luogo direttamente tra i due atomi di carbonio per sovrapposizione

Figura 31

di due ibridi sp2 (si veda la figura 32), si ha a che fare anche con un legame π,(105) che conosciamo dalla teoria

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Figura 32

dell'orbitale molecolare (si noti che il piano della molecola, il suo scheletro, è, per l'orbitale π, un piano nodale). A questo proposito è importante ribadire quanto già detto: da un certo punto in poi, ed in particolare per le molecole poliatomiche, non c'è più distinzione tra la teoria O.M. e la teoria L.V.

Nella figura 32 sono illustrati: i 4 legami σ dei 4 ibridi sp2 del carbonio con i 4 orbitali atomici 1s dell'idrogeno; l'unico legame σ tra i due ibridi sp2 rimanenti dei due atomi di carbonio (in figura non è riportato il legame π).

C6H6 - molecola di benzene (ibridi sp2).

Sperimentalmente la molecola di benzene si presenta come un esagono regolare con angoli di legame di 120° (figura 33a). Dobbiamo quindi far ricorso agli ibridi sp2 del carbonio per costruire i legami σ che costituiscono lo

Figura 33

scheletro della molecola (figura 33b). Come si può vedere dalla figura si hanno 12 legami di tipo σ che ci rendono ben conto della geometria della molecola osservata sperimentalmente. Bisogna ora prendere in considerazione i 6 orbitali atomici del carbonio di tipo 2pz che risultano perpendicolari al piano della figura

33. Indicando lo scheletro della molecola con un esagono, la situazione iniziale è mostrata in figura 34 (per brevità gli orbitali atomici 2pz sono stati

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Figura 94

indicati con z1 , z2 , ... ). Ora, su ciascun orbitale 2pz vi è un solo elettrone, di conseguenza, nella molecola,

potranno formarsi tre legami molecolari π localizzati, ciascuno legando una coppia di elettroni. Ma quali orbitali atomici 2pz saranno, a coppie, interessati a questi legami ? Bisognerà tener conto di tutte le

possibilità e quindi tener conto della risonanza tra le diverse strutture. Tutte le 5 possibilità di legame π, a coppie distinte di 2pz, sono riportate in figura 35.(106)

(a) (b) (c) (d) (e)

Figura 35

Si tratta allora di costruirsi una funzione d'onda che sia combinazione lineare di tutte le 5 strutture possibili; questa funzione d'onda è:

ψ = k1 ( ψ a + ψb ) + k2 ( ψ c + ψd + ψe )

dove k1, e k2 sono due costanti da determinarsi e ψ a e ψb sono le due strutture che compaiono in figura 35

a e b (strutture di Kekulé), mentre ψ c , ψd e ψ e sono le tre strutture che compaiono in figura 35 c, d, e

(strutture di Dewar). Si osservi che ragioni di simmetria fanno ammettere che le strutture di Kekulé e di Dewar hanno uguale peso nella costruzione della ψ .(107)

E da notare che è necessario costruirsi questa funzione d'onda, combinazione lineare di varie strutture, per rendere conto dei dati sperimentali che danno la molecola di benzene come più stabile di quello che sarebbe se si dovessero considerare solo sei legami semplici σ tra atomi di carbonio e tre legami π ancora tra gli atomi di carbonio. Il valore addizionale dell'energia di legame che rende più stabile la molecola è fornito proprio dalla risonanza tra le diverse strutture, ognuna delle quali fornisce un proprio contributo a seconda del peso che ha nella funzione d'onda ψ .

BeH2 - molecola idruro di berillio(108) (ibridi sp)

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II berillio ha la seguente configurazione elettronica:

Be[(1s2)(2s2)]

Eccitando opportunamente si ha:

Be[(1s2)(2s2)] -> (eccitando) Be[(1s2)(2s)(2px)] -> Be[(1s2)(sp)2].

Sono allora i due ibridi digonali sp (si veda la figura 21a) quelli che vanno a formare legami molecolari di tipo σ con gli orbitali atomici 1s dell'idrogeno costruendo così la molecola di idruro di berillio (figura 36).

Figura 36

Come si vede la molecola presenta una geometria lineare, in perfetto accordo con i dati sperimentali. Il fatto poi che gli ibridi sp siano più allungati sull'asse x di quanto non lo fossero gli originali orbitali atomici 2px

mostra un'altra possibile interpretazione del principio di Pauli: due elettroni con spin paralleli tendono a stare il più lontano possibile tra di loro.

C2H2 - molecola di acetilene (ibridi sp).

La molecola di acetilene, un altro importante composto del carbonio, risulta sperimentalmente lineare. Per rendere conto di ciò occorre ammettere che non si formino né ibridi sp3 né ibridi sp2 (sono solo gli ibridi sp che forniscono una perfetta simmetria intorno all'asse di legame e che, originando legami σ, permettono la libera rotazione degli atomi costituenti la molecola intorno all'asse di legame). Inoltre la formula di struttura della molecola dovrà essere:

H —— C≡C——-H

dove ogni carbonio si lega con legame triplo con l'altro carbonio e con legame semplice con un atomo di idrogeno. In definitiva il carbonio risulta, in questa molecola, tetravalente e la configurazione elettronica che dobbiamo scegliere per esso è la seguente:

C[(1s2)(2s2)(2px)(2py)] -> (eccitando) C[(1s2)(2s)(2px)(2py)(2pz)] -> C[(1s2)(sp)2(2py)(2pz)]

Gli ibridi sp legheranno tra loro i due atomi di carbonio e questi ultimi con gli idrogeni mediante tre legami semplici σ (figura 37); mentre gli orbitali atomici 2py dei due atomi di carbonio formeranno un orbitale

molecolare π,

Figura 37 - Gli orbitali atomici non ombreggiati sono i 2py ed i 2pz dei due atomi di

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carbonio prima che si combinino per formare due orbitali molecolari π.

analogamente ai due orbitali atomici 2pz (figura 38).

Figura 38

Ed in ultima analisi la molecola ha una simmetria cilindrica intorno all'asse di legame (nel nostro caso l'asse x). I due atomi di carbonio sono legati tra loro con tre legami, uno semplice di tipo σ e due di tipo π; se si aggiunge a questi l'ulteriore legame σ che ogni atomo di carbonio ha con quello dell'idrogeno, si vede subito che è ben spiegata la tetravalenza del carbonio.

La molecola in oggetto ha una elevata energia di legame (più elevata dell'etilene e del metano) e questo fatto sembra confermare che gli ibridi sp si sovrappongono di più di quanto non facciano gli sp2 e gli sp3 ,con la conseguenza che ai legami sp corrisponde una maggiore energia, appunto, di legame.

CO2 - molecola di anidride carbonica (ibridi sp).

La configurazione elettronica del carbonio, nel caso si debbano considerare ibridi digonali sp, è:

C[(1s2)(sp)2(2py)(2pz)]

mentre per l'ossigeno possiamo dare, ad esempio, le due possibili seguenti:

O[(1s2)(2s2)(2px)(2py)(2pz2)] ; O[(1s2)(2s2)(2px)(2py

2)(2pz)]

Per costruire la molecola si può pensare che i due ibridi sp del carbonio si leghino, lungo l'asse x, ciascuno con uno degli orbitali 2px dei due atomi di ossigeno (e questo fornisce le scheletro della molecola - mostrato

in figura 39 - che, in accordo con i dati sperimentali, è lineare come del resto l'intera molecola). Consideriamo ora questo scheletro che,

Figura 39 - La figura 39b non è ancora la formula di struttura ma solo lo scheletro della molecola.

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come si vede dalla figura 39, è costituito da due legami semplici di tipo σ; sovrapponiamo allo scheletro gli orbitali di tipo 2p, degli ossigeni e del carbonio, che ancora non abbiamo preso in considerazione (naturalmente non ci occupiamo degli orbitali 1s e 2s degli ossigeni e dell'1s del carbonio): l'atomo di carbonio ha due orbitali, 2py e 2pz , ambedue con elettroni disaccoppiati; gli atomi di ossigeno hanno un

orbitale 2py (o 2pz ) completamente pieno ed un orbitale 2pz (o 2py ) con un solo elettrone. Riportiamo

questa situazione al di sopra dello scheletro della molecola disegnando a tratto continuo gli orbitali pieni e tratteggiati quelli con un solo elettrone (figura 40). Osservando la figura si può vedere che abbiamo disegnato una delle due situazioni possibili. In figura, il primo ossigeno alla sinistra ha l'orbitale 2py pieno ed

Figura 40

il 2pz semipieno, mentre l'altro ossigeno ha l'orbitale 2pz pieno ed il 2py semipieno. L'altra situazione

possibile prevederebbe l'eventualità inversa. Bisognerà pertanto tenere conto della risonanza tra queste due possibili strutture.

In ogni caso, riferendoci alla situazione di figura 40, mentre il 2pz del primo ossigeno forma un legame

π con il 2pz del carbonio, il 2py del secondo ossigeno forma un altro legame π con il 2py del carbonio (l'altra

situazione è la simmetrica di quella descritta, tenendo in conto che ambedue portano alla stessa situazione energetica e pertanto, nella funzione d'onda che descrive la molecola CO2 , le due situazioni avranno uguale

peso).

La formula di struttura dell'anidride carbonica sarà allora quella mostrata in figura 41a. A questo punto però vi

Figura 41

sono altre due possibili strutture da dover considerare (figura 41 b e c) e naturalmente un calcolo più completo dovrebbe prevedere la risonanza tra queste ultime tre strutture.

1 - Molecole poliatomiche trattate con il metodo O.M.: orbitali molecolari localizzati e delocalizzati

Fino ad ora, in tutte le molecole delle quali ci siamo occupati, abbiamo fatto esplicito riferimento ad un

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tipo di legame che prevedeva la localizzazione di una coppia di elettroni, e quindi dell'orbitale molecolare che li rappresentava, in una zona bea precisa di spazio, compresa al massimo tra due nuclei. Più in generale, elettroni che siano confinati in un orbitale atomico di un atomo o nella regione di legame tra due atomi in un orbitale molecolare (soprattutto negli orbitali di tipo σ più volte incontrati), originano orbitali localizzati.

La teoria L.V. usa esclusivamente di orbitali localizzati oltre al fondamentale concetto di risonanza(109) al quale, come abbiamo visto, corrisponde una quantità di energia di legame dipendente dal numero di strutture tra le quali la molecola risuona.

Anche la teoria O.M. si serve di orbitali molecolari localizzati, ed anzi quando ciò è possibile è preferibile, ma spesso si ha a che fare con sistemi per i quali è difficile mettere insieme una coppia di elettroni in un orbitale molecolare unico e quindi localizzato. In questo caso si deve introdurre il concetto di orbitali (molecolari) delocalizzati, l'analogo nella teoria O.M. di ciò che rappresenta la risonanza nella teoria L.V. (come dovrebbe essere ormai chiaro la teoria O.M. non si serve della risonanza). Quando un orbitale molecolare non è più un semplice orbitale molecolare, così come lo abbiamo descritto nelle pagine precedenti, ma è il risultato di una mescolanza tra orbitali molecolari ed atomici(110) allora esso diventa un orbitale molecolare delocalizzato.

E' chiaro da quanto appena eletto che su un orbitale delocalizzato vi possono essere più di due elettroni e, poiché questo orbitale è sempre il risultato del legame che si forma tra più di due atomi, esso sarà un orbitale che interessa l'intera molecola, estendendosi al di sopra (e al di sotto) di tutti i nuclei che ne fanno parte. Così intendendo le cose, non avrà più senso dire che una coppia di elettroni è localizzata tra due nuclei; poiché l'orbitale delocalizzato si estende su tutti i nuclei, gli elettroni che in esso si trovano possono essere situati in qualunque zona dell'orbitale (che avrà simmetria di tipo π, con i nuclei giacenti nel piano nodale), conseguentemente in qualsiasi zona della molecola (all'interno dell'orbitale) ed in definitiva sono liberi di muoversi in tutta la molecola (all'interno dell'orbitale). A questo libero movimento degli elettroni nell'orbitale vi è una sola limitazione ed è ancora dovuta al principio di Pauli: nelle vicinanze di un nucleo, su un dato livello energetico di quell'atomo, non possono esservi più di due elettroni e questo fatto limita le possibili posizioni degli elettroni nell'intera molecola.

E' interessante osservare che alla delocalizzazione degli orbitali corrisponde un'energia di legame, detta energia di delocalizzazione, che, facendosi i conti, ha lo stesso valore dell'energia di risonanza della teoria L.V.

Alcune volte, anche nel caso di molecole poliatomiche, sarà possibile darne una descrizione con la teoria O.M. utilizzando orbitali molecolari localizzati; altre volte ciò è praticamente impossibile, come nel caso degli stati eccitati di molecole contenenti non più di un doppio legame ed in quello delle molecole aromatiche (ad esempio: il benzene C6H6) e coniugate (111) (ad esempio: il butadiene C4H6), e bisognerà ricorrere agli O.

M. delocalizzati.

Di seguito vedremo degli esempi di un caso e dell'altro, trattando di varie molecole poliatomiche (già trattate con il metodo L.V.: proprio per porre in evidenza le differenze di trattazione tra i due metodi), e dagli esempi risulterà anche più chiaro quanto abbiamo fin qui detto a proposito di O.M. localizzati e delocalizzati.

Naturalmente si opererà anche qui in approssimazione L.C.A.O.

BeH2 - molecola di idruro di berillio. (O .M. delocalizzati)

Questa, semplice molecola poliatomica, che già abbiamo visto essere lineare, ci offrirà lo spunto per vedere come il metodo O.M. vada applicato a molecole con più di due atomi.(112)

Cominciamo con il ricordare la configurazione elettronica del berillio:

Be[(1s2)(2s2)] -> (eccitando) Be[(1s2)(2s)(2px)];

gli orbitali di valenza del berillio sono quindi il 2s ed il 2px, mentre l'idrogeno ha l'orbitale di valenza 1s. Si

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MOLECOLE

tratterà quindi di combinare, in orbitali molecolari, gli orbitali atomici 2s e 2px del berillio con i due

orbitali atomici 1s dei due idrogeni (che per comodità indichiamo con Ha ed Hb). Si devono cioè trovare

delle funzioni d'onda molecolari che siano opportune combinazioni lineari delle funzioni d'onda atomiche e nel far ciò è molto importante tener conto del segno che le funzioni d'onda atomiche (o gli orbitali atomici) hanno. Con un disegno possiamo capire meglio: serviamoci quindi di figura 42. La figura 42a mostra, la sovrapposizione dell'orbitale 2s del berillio con gli orbitali 1s

Figura 42

degli idrogeni. Come si può vedere si hanno sempre gli stessi segni per gli orbitali atomici e, conseguentemente, la frazione d'onda molecolare (legante) che rappresenterà questa situazione sarà, a meno di fattori moltiplicativi costanti detti di normalizzazione, la semplice somma delle singole funzioni d'onda atomiche:

(1) ψ (σ2s) = ψ Hb (1s) + ψBe (2s) + ψ Ha (1s)

La figura 42b mostra la sovrapposizione dell'orbitale 2px del berillio con gli orbitali 1s degli idrogeni. Qui ci

troviamo di fronte ad una situazione differente da quella appena vista. Ora il 2px del berillio ha un lobo

positivo ed uno negativo mentre gli 1s degli idrogeni sono sempre positivi. Per poter fare una combinazione lineare di questi orbitali atomici per ottenere un orbitale molecolare legante, occorrerà cambiare segno all'orbitale atomico 1s dell'idrogeno Hb

(113) (a sinistra in figura 42b) e, per farlo, basta cambiare segno alla

funzione d'onda che lo rappresenta. In questo caso, sempre a meno di fattori moltiplicativi costanti o di fattori di normalizzazione, la funzione d'onda molecolare (l'orbitale molecolare) legante sarà:

(2) ψ (σ2px) ~ ψ Ha (1s) + ψBe (2px) - ψ Hb (1s)

Con un analogo ragionamento siamo in grado di costruirci gli orbitali molecolari antileganti σ*. Si tratta di fare una sovrapposizione come quella mostrata in figura 42, solo che ora occorrerà cambiare i segni degli 1s degli idrogeni rispetto a quelli indicati nella figura 42. Si ha allora:

(3) ψ (σ∗2s) ~ - ψ Hb (1s) + ψBe (2s) - ψ Ha (1s)

(4) ψ (σ∗2px) ~ - ψ Ha (1s) + ψBe (2px) + ψ Hb (1s)

Ricordando ora quanto abbiamo detto a proposito delle combinazioni lineari è più corretto scrivere le (1), (2) ,(3) e (4) nel modo seguente:

ψ (σ2s) = ψ Be (2s) + k1[ψHa (1s) + ψ Hb (1s)]

ψ (σ2px) ~ ψ Be (2px) + k2[ψHa (1s) - ψ Hb (1s)]

ψ (σ∗2s) ~ ψ Be (2s) - k3[ψHa (1s) + ψ Hb (1s)]

ψ (σ∗2px) ~ ψ Be (2px) - k4[ ψBe (1s) - ψ Hb (1s)]

dove k1 , k2 , k3 e k4 sono, al solito, delle costasti che ci danno indicazioni sul peso relativo degli orbitali

atomici di valenza del berillio e dell' idrogeno nella formazione della molecola; esse vanno determinate a partire dalla condizione che l'energia deve risultare minima, affinché il legame sia stabile. Facendo i conti, che sono al di fuori della nostra portata, si trova che le superfici limite degli orbitali molecolari σ e σ*, per la molecola di BeH2 , sono quelli riportati in figura 43. Inoltre, poiché risulta che gli orbitali molecolari più

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stabili sono quelli leganti, i 4 elettroni di valenza della molecola di BeH2 si sistemeranno in essi e, in

definitiva, la configurazione elettronica della molecola sarà:

BeH2[k(σ2s)2(σ2px)2]

e, come si vede, le due coppie di elettroni che formano il legame sono delocalizzati sui tre atomi che formano la molecola (non c'è modo di localizzare le coppie di elettroni).

Figura 43

CO2 - Molecola di anidride carbonica (O.M. delocalizzati)

Ricordiamo le configurazioni elettroniche del carbonio e dell'ossigeno:

C[(1s2)(2s2)(2px)(2py)] ; O[(1s2)(2s2)(2px)(2py)(2pz2)]

Gli orbitali di valenza del carbonio sono il 2s , il 2px ed il 2py ; quelli dell'ossigeno sono il 2px , il 2py ed il

2pz (avendo trascurato per semplicità il 2s2 ). Come si ricorderà anche questa è una molecola lineare.

La sovrapposizione degli orbitali 2s e 2px del carbonio con i due orbitali 2px dei due ossigeni ci

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forniranno i legami di tipo σ e σ*; la sovrapposizione degli orbitali 2py e 2pz(114) dei tre atomi ci fornirà i

legami di tipo π e π∗ . Le combinazioni lineari degli orbitali atomici che ci forniscono gli orbitali molecolari saranno allora:(115)

Le combinazioni lineari cosi ottenute sono in numero di 10. Per le prime 8 non c'è altro da fare che la figura che ne rappresenta le superfici limite (figura 44), poiché la formazione degli orbitali molecolari avviene allo stesso modo che abbiamo visto nel caso di BeH2, con la sola differenza che ora sono i 2px degli ossigeni

anziché gli 1s degli idrogeni a formare orbitali molecolari σ e σ*. Le ultime due combinazioni lineari abbisognano invece di una spiegazione.

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MOLECOLE

Figura 44 - Non sono stati disegnati i π2py e π*2py perché equivalenti, rispettivamente, ai π2pz e π∗2pz .

Discuteremo solo la prima delle due, poiché per l'altra vale un discorso esattamente equivalente, servendoci della figura 45a nella quale sono rappresentati gli orbitali atomici 2pz di ciascuno dei tre atomi che vanno a

formare la molecola. La figura corrisponde alla combinazione lineare:

ψ (π2pz) = ψ C (2pz) + k7[ ψO (2pza) - ψ O (2pzb)]

e, come si può vedere dalla figura, tra i vari 2pz non vi è una sovrapposizione netta a causa del segno di 2pzb

che,

Figura 45

essendo negativo, non permette che si abbia una ψ interamente positiva al di sopra dell'asse x ed interamente negativa al di sotto del medesimo asse. Di conseguenza la cosa va come se non vi fosse alcuna sovrapposizione con l'orbitale 2pz del carbonio e si dovessero considerare solo i 2pz degli ossigeni. Rimane

allora solo la combinazione 2pza - 2pzb che equivale a porre ψ C (2pz) = 0 nella relazione precedentemente

scritta; e questa combinazione è anch'essa un orbitale molecolare costituito da due orbitali atomici che praticamente non interagiscono tra di loro per la distanza a cui si trovano. E se non c'è interazione, non c'è cambio nel valore dell'energia (si riveda la figura 12) che resta quello che compete agli orbitali atomici dei due ossigeni. In questo modo l'orbitale molecolare risultante non è né legante né antilegante: esso è detto non legante ed indicato ,con il simbolo π°2pz (si veda figura 45b).

In definitiva, la configurazione elettronica di CO2 è data da:

CO2[KK(2sa2)(2sb

2)(σ2s)2(σ2px)2(π2py)2(π2pz)2(π°2py)2(π°2pz)2],

ed anche qui gli orbitali molecolari risultano completamente delocalizzati. Si deve notare che l'energia di π2py è la stessa di π2pz, che l'energia di π°2py è la stessa di π°2pz che come al solito gli altri valori

dell'energia sono scritti in successione crescente e che non vi sono elettroni in orbitali antileganti.

BF3 - molecola di trifluoruro di boro (O.M. delocalizzati)

Iniziamo con il ricordare che questa molecola ha una struttura piana trigonale e che le configurazioni elettroniche del boro e del fluoro sono:

B[(1s2)(2s2)(2px)] ; F[(1s2)(2s2)(2px)(2py2)(2pz

2)]

saranno quindi gli orbitali atomici 2s e 2px del boro a legarsi in orbitali molecolari con gli orbitali atomici 2s

e 2px del fluoro. Ricordiamo anche che, se pure non compaiono nella configurazione elettronica del boro,

occorrerà prendere in considerazione anche i suoi orbitali atomici 2py e 2pz che, come sappiamo, sono

vuoti. Poiché poi abbiamo a che fare con tre atomi di fluoro, ci serviremo dei subindici a, b, c per indicarli. Infine dobbiamo osservare che le coordinate x, y, z per gli orbitali atomici del boro non coincidono con

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quelle del fluoro (proprio perché la molecola è trigonale piana).

Fatte queste premesse, iniziamo con il disegnarci queste sovrapposizioni e quindi a costruirci gli orbitali molecolari σ, dovuti alla sovrapposizione degli orbitali atomici 2s, 2py e 2pz del boro con gli orbitali 2pxa ,

2pxb , 2pxc dei fluori, ed infine i π, dovuti alla sovrapposizione del 2pz del boro e dei 2py dei fluori. Nella

figura 46 sono riportate:

in (a) le sovrapposizioni del 2s del boro con i 2px dei fluori;

in (b) quelle del 2py del boro con i 2px dei fluori;

in (c) quelle del 2px del boro con i 2px dei fluori;

in (d) quelle del 2pz del boro con i 2py dei fluori;

in (e) ed in (f) due possibili orbitali non leganti che anche in questo caso si producono e che discuteremo tra poco.

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Figura 46

Le funzioni d'onda molecolari, combinazioni lineari delle funzioni d'onda atomiche, che ci rappresentano ordinatamente le situazioni di figura 46, sono:

(Qui, come anche nella fig. 46, compare uno 'strano' orbitale molecolare σ2py. Ebbene

esso non ha nulla a che vedere con gli orbitali molecolari definiti in figura 14, tanto più che questo tipo di orbitale non esisteva proprio - gli orbitali di tipo σ potevano essere realizzati solo dalla sovrapposizione di orbitali atomici di tipo s o px -. Gli orbitali

molecolari dei quali discutiamo ora (caso di molecole poliatomiche) sono originati da diverse sovrapposizioni tra orbitali atomici di tipo differente ed essi saranno σ o π, a seconda della forma risultante).

Non resta ora che dare la configurazione elettronica di BF3:

BF3[KK(2sa2)(2sb

2)(σ2s)2(σ2py)2(σ2px)2(π2pz)2(π°12pz)2(π°22pz)2(2pza2)(2pzb

2)(2pzc2)],

come si vede, vi sono 6 elettroni in orbitali leganti σ e ciò vuol dire che si hanno 3 legami σ; vi sono inoltre due elettroni in un orbitale legante π che formano un legane π che risulta completamente delocalizzato (i due elettroni che formano il legame π appartengono all'intera molecola). Si può rappresentare questo legame π delocalizzato come in figura 47.

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Figura 47

H2O - molecola d'acqua (O.M. delocalizzati)

Senza entrare in troppi dettagli, si tratterà di costruire delle combinazioni lineari degli orbitali atomici 2s, 2px , 2py dell'ossigeno con gli 1s degli idrogeni. Nel far questo dovremo tener conto che

sperimentalmente l'angolo di legame risulta di circa 105°.

Le possibili sovrapposizioni (combinazioni lineari) leganti sono mostrate in figura 48. Si deve però tener conto che le ultime due sovrapposizioni, σ2px e σ2s (figura 48b e 48c), avendo la stessa simmetria, si

combinano tra di loro in una specie di ibridizzazione per formare un orbitale molecolare fortemente legante (σ2s) ed uno con carattere parzialmente non legante, che chiameremo σ x. Vi sono poi i due elettroni

dell'ossigeno che si trovano sull'orbitale atomico 2pz; ma quest'ultimo non ha alcuna sovrapposizione con gli

1s degli idrogeni e pertanto si dovrà considerare un legame di tipo π non legante e cioè π°2pz . Infine si

avranno gli orbitali molecolari non leganti (che si ottengono dalle

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Figura 48

combinazioni mostrate in figura 48 quando si cambi segno agli ultimi tre termini) anche se su di essi non vi sono elettroni.

La configurazione elettronica di H2O sarà allora:

H2O[K(σ2s)2(σ2py)2(σx)2(π°2pz)2],

e, come si vede, si avranno due legami netti di tipo σ. Si deve però osservare che se si avessero solo questi due legami netti l'angolo di legame sarebbe di 90°. E' proprio l'ulteriore parziale legame (il σx), come hanno

mostrato recentemente Pitzer e Cusachs, che fa si che l'angolo di legame tenda ai quasi 105°. Da questa discussione risulta che 6 elettroni sono in orbitali molecolari delocalizzati nell'intera molecola mentre solo due (i π°2pz) risultano localizzati. Infine, questa descrizione è in accordo con le misure spettroscopiche

poiché tutti e quattro gli orbitali risultanti hanno energie distinte (nessun orbitale è degenere - si veda figura 49), contrariamente a quanto accadeva nel caso della stessa molecola discussa con il metodo L.V. e mediante ibridizzazione sp (allora si avevano due orbitali molecolari leganti σ equivalenti in energia) e ciò vuol dire che è il metodo L.V. quello in accordo con l'esperienza spettroscopica.

Figura 49 - Si osservi che solo i primi 4 orbitali molecolari risultano pieni; quelli antileganti non contengono elettroni.

H2O - molecola d'acqua (O.M. localizzati)

Oltre alla trattazione della molecola d'acqua mediante gli orbitali molecolari delocalizzati, è possibile farne un'altra mediante l'uso degli orbitali molecolari localizzati. In questo caso occorrerà considerare la combinazione lineare degli orbitali atomici 1s degli idrogeni e degli orbitali 2px e 2py dell'ossigeno. Si può

subito procedere ad una approssimazione (per altri versi molto ragionevole) che prevede separatamente la combinazione lineare dell'1s di un idrogeno con il 2px dell'ossigeno e dell'1s dell'altro idrogeno con il 2py

dell'ossigeno.

Ricordando però che gli orbitali atomici 2px e 2py sono perpendicolari tra di loro ci si dovrebbe

aspettare un angolo di legame di 90° (si veda figura 50 a), contrariamente al fatto, che già conosciamo e verificato sperimentalmente, che l'angolo di legame nell'acqua è di circa 105°. Per rendere conto di questa differenza (figura 50 b) si sono ricercate varie spiegazioni, tra le quali:

1) la repulsione elettrostatica tra gli atomi di idrogeno (elettrone-elettrone e protone-protone) che sono legati con l'ossigeno;

2) la repulsione tra i due legami O-H;

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3) un particolare intervento delle coppie solitarie di elettroni (si riveda quanto abbiamo detto a proposito della molecola

Figura 50

d'acqua quando la abbiamo trattata con il metodo L.V. mediante gli orbitali ibridi).

Un ultima cosa resta da dire a proposito della molecola d'acqua, almeno nell'ambito dei nostri scopi, ed è relativa al suo essere polare, al fatto cioè che ad essa si deve assegnare un momento di dipolo (md). Questo

momento di dipolo è dovuto alla somma vettoriale del momento di dipolo originato dagli elettroni che formano il legame e del momento di dipolo originato dalle coppie di elettroni solitari. E mentre quest'ultimo è un unico momento di dipolo, l'altro è originato per somma vettoriale dei singoli momenti di dipolo di ciascun legame (si veda la figura 51).

Dipoli di legame Dipolo di coppie solitarie Dipolo totale

Figura 51

C6H6 - molecola di benzene (O.M. delocalizzati )

La costruzione di questa molecola con la teoria degli orbitali molecolari si fa utilizzando in parte la teoria degli ibridi introdotta nel metodo L.V. ed in parte la teoria degli O.M. delocalizzati.

I 6 legami carbonio-carbonio ed i 6 legami carbonio-idrogeno si costruiscono esattamente nello stesso modo già discusso nel metodo L.V., mediante gli ibridi sp2 del carbonio e gli orbitali atomici 1s degli idrogeni. Questo procedimento ci fornisce i legami localizzati σ che costituiscono lo scheletro della molecola (si riveda la figura 33). Restano ora da considerare i sei orbitali atomici 2pz dei sei atomi di carbonio (si

riveda la figura 34) che ci forniranno i legami delocalizzati di tipo π. In effetti non vi è ragione di considerare una sovrapposizione piuttosto che un'altra di questi orbitali 2pz . Sembra lecito pensare ad una

sovrapposizione cumulativa in modo da ottenere orbitali molecolari delocalizzati sull'intera molecola. E, dato che si hanno 6 orbitali atomici, si avranno 6 orbitali molecolari, 3 dei quali leganti e 3 antileganti(116). I 6 elettroni disponibili si troveranno sugli orbitali molecolari leganti che sono mostrati nella figura 52(116). Questi elettroni, liberi di muoversi nell'intera molecola, sono stati chiamati da Lennard-Jones (1937) elettroni mobili e Coulson ha proposto di considerarli come una piccola corrente elettrica che gira intorno all'anello e, poiché

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Figura 52

normalmente vi sono correnti uguali ruotanti in versi opposti, l'effetto totale sarà nullo. Ma si comincia qui a profilare un'analogia tra gli elettroni delocalizzati nel benzene e gli elettroni di conduzione nei metalli: in ambedue i casi una perturbazione elettrica provocata in una parte del sistema si propaga con facilità in altre parti.

Il fatto poi che gli elettroni abbiano una zona più ampia in cui muoversi fornirà un valore più basso per l'energia totale e quindi una più alta energia di legame rispetto al caso degli orbitali localizzati; si tratta proprio di quell'energia delocalizzazione (Coulson, 1947) che è l'analogo O.M. dell'energia di risonanza L.V.

- La grafite ed il diamante -

E' ora interessante almeno un cenno a queste due forme di cristallizzazione del carbonio. E' istruttivo andare a vedere, per differenza tra grafite e diamante, quale ruolo giocano gli orbitali molecolari delocalizzati.

Iniziamo con la figura 53 che mostra la differenza tra le due strutture cristalline. Come si vede (figura 53b) la grafite, una delle forme solide nelle quali incontriamo il carbonio, ha una struttura cristallina a celle esagonali.

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MOLECOLE

(a)

(b)

(c)

Figura 53

Il carbonio, tetravalente, si lega ai tre atomi di carbonio che gli giacciono vicini nello stesso piano mediante legami σ dovuti ad ibridizzazione trigonale sp . In questo modo si saturano 3 valenze. L'altro legame è dovuto agli orbitali atomici 2pz del carbonio (che risultano perpendicolari al piano di figura 53b). Questo

legame è di tipo π ed è completamente delocalizzato su tutto il piano degli esagoni. Ogni stato di esagoni costituisce usa lamina (una gigantesca molecola) che è legata alla lamina sovrapposta e sottoposta da deboli forze di Van der Waals. Si hanno in definitiva tante lamine sovrapposte (figura 53a): all'interno delle lamine vi sono forze intense contrariamente a ciò che avviene tra lamina e lamina. Quest'ultimo fatto spiega bene il potere lubrificante della grafite: sono le lamine che, scorrendo le une sulle altre, originano il fenomeno. Inoltre gli orbitali delocalizzati rendono conto del potere conduttore che questo materiale presenta.

Nel caso del diamante (figura 53c) quanto ora detto non si verifica poiché si ha cristallizzazione nella struttura tetraedrica a coppie di elettroni localizzati, dovuta ad ibridizzazione tetragonale sp3 che, come sappiamo, non lascia orbitali non mescolati. Questo tipo di cristallizazione, oltre a quante detto, rende conto della grande durezza del diamante e del suo potere isolante.

1 - Confronto tra il metodo L.V. ed il metodo O.M.

Le due teorie che abbiamo appena finito di discutere sono, come si ricorderà, delle teorie approssimate. Nel metodo O.M. gli elettroni hanno completa libertà di muoversi all'interno dell'orbitale molecolare e ciò vuol dire che ciascun elettrone non sente la presenza degli altri elettroni, con la conseguenza che viene completamente trascurata ogni correlazione tra gli elettroni ed in particolare la loro repulsione dovuta a forze coulombiane. Operando in questo modo nella costruzione della funzione d'onda viene ad essere dato un ugual peso ai termini ionici e a quelli covalenti. Nel metodo L.V. viene invece esaltata la correlazione tra gli elettroni e conseguentemente risultano trascurati i termini ionici (la repulsione coulombiana tra gli elettroni fa si che la probabilità che due elettroni, ad esempio nella molecola H2., si trovino

contemporaneamente vicini ad uno dei due nuclei è praticamente nulla) rispetto a quelli covalenti.

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MOLECOLE

Ambedue i metodi danno delle descrizioni qualitative importanti. Essi lasciane a desiderare dal punto di vista quantitativo anche se forniscono valori che sono comunque in buon accordo con i dati che si ricavano dalle misure sperimentali. Ma ciò che è più interessante è che i risultati cui conducono le due teorie sono in accordo tra di loro (almeno nella maggior parte dei casi). Inoltre si è mostrato che se nella teoria O.M. si toglie un poco di peso ai termini ionici e nella teoria L.V. si fornisce un poco di peso agli stessi termini, le due teorie tendono a diventare equivalenti. Per far ciò occorre lavorare con funzioni d'onda più complicate (con un maggior numero di termini) abbandonando il metodo delle combinazioni lineari insieme all'accattivante rappresentazione figurata (o modellistica) del legame chimico.

Ricordato che per la trattazione di problemi complessi, relativi in particolare a molecole poliatomiche, da un certo punto in poi non vi sono più distinzioni tra le due teorie, occorre dire che nessuna conclusione ricavata mediante una teoria è ritenuta buona se non è confermata anche dall'altra teoria.

2 - Legame metallico

Andando a guardare la tavola periodica degli elementi, si scopre che la gran parte di essi sono metalli.(117) Questi, da un punto di vista macroscopico e quando sono puri (cioè formati da una sola specie di atomi), godono di peculiari proprietà tra le quali:

1) buona conducibilità elettrica e termica;

2) elevata densità (ad eccezione dei metalli leggeri e di quelli alcalini);

3) elevati punti di fusione e di ebollizione;

4) molto riflettenti;

5) duttilità e malleabilità;

6) struttura cristallina.

Soffermiamoci un istante su quest'ultima proprietà.

Tra le sostanze solide che ci circondano si può iniziare a fare una prima classificazione in sostanze solide cristalline e sostanze solide amorfe (ad esempio: cera e vetro). Di queste ultime non ci occuperemo anche perché ancora oggi vi sono buoni argomenti per non considerarle come sostanze solide ma piuttosto liquide ad elevata densità.

I solidi cristallini o, in breve, i cristalli sono costituiti da aggregati di atomi o di molecole organizzati tridimensionalmente in strutture ordinate formate dalla ripetizione periodica, sempre tridimensionale, di una particolare struttura base o unitaria. Una classificazione di tutte le possibili stutture unitarie o reticoli cristallini fu realizzata da Bravais nel 1848.(118) Egli individuò 14 reticoli a ciascuno dei quali associò un nome (si veda la figura 54). Ogni cristallo è quindi formato da una delle strutture elementari mostrate in figura (nelle quali i punti rappresentano i singoli atomi degli elementi costituenti il reticolo) ripetuta periodicamente un numero enorme di volte.

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(Da Dekker)

Riguardo poi alle energie di legame(119) misurabili in diversi cristalli è possibile fare un'ulteriore classificazione empirica dei cristalli medesimi come mostrato in Tavola 8.

Tipo di cristallo

Esempi

Proprietà

CRISTALLI A LEGAME

IONICO

- Na Cl

- KF

- LiF

Alta energia di legame; bassa conducibilità a basse temperature; conducibilità ionica ad alte temperature; alto punto di fusione; isolanti; duri e fragili.

CRISTALLI A LEGAME

COVALENTE (o DI VALENZA)

- Diamante

- SiC

Alta energia di legame; grande durezza; cattiva conducibilità elettrica e termica; punto di fusione elevato; alcuni sono semiconduttori.

CRISTALLI MOLECOLARI

(o A LEGAME DI VAN DER WAALS)

- A

-CH4

- molti cristalli

organici

Bassa energia di legame; bassi punti di ebollizione e di fusione; molto compressibili; teneri; cattiva conducibilità elettrica.

CRISTALLI A LEGAME IDROGENO- HF

- Ghiaccio

Bassa energia di legame; tendenza a formare gruppi di molte molecole (polimerizzazione).

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MOLECOLE

METALLI

- Cu

- Fe

- Na

- Ag

Media energia di legame; spesso malleabili; differenti punti di fusione; buoni conduttori di elettricità e di calore.

TAVOLA 8

Oltre a quelli elencati nella Tavola, che possono essere considerati dei casi limite, vi sono svariatissimi casi intermedi dovuti alla combinazione di differenti tipi di legame. Ci si potrà subito rendere conto, proprio da una attenta osservazione della Tavola 8, che i primi quattro tipi di cristalli sono degli aggregati di atomi o molecole tenuti insieme da legami che abbiamo ampiamente discusso nelle pagine precedenti (in particolare un cristallo ionico o un cristallo covalente può essere pensato come una molecola gigante). Sono proprio i metalli (che cristallizzano principalmente nel sistema esagonale 8, cubico a corpo centrato 13 e cubico a facce centrate 14) che non sono invece immediatamente riconducibili a quanto fino ad ora abbiamo studiato. Alcune delle proprietà dei metalli ci fanno certamente capire che in essi vi debbono essere degli elettroni liberi di spostarsi e dotati di grande mobilità e ciò ci porta all'ulteriore conclusione che abbiamo a che fare con legami che debbono essere completamente delocalizzati (poiché siamo in presenza di un gran numero di elettroni tra di loro vicini). E' un legame con una natura differente da quelli studiati e per ciò stesso assume il nome di legame metallico. E poiché l'aspetto che certamente caratterizza meglio i metalli è la loro buona conducibilità elettrica, i primi approcci alla comprensione della loro struttura vennero proprio da ricercatori che lavoravano essenzialmente nel campo dei fenomeni elettrici.

Tralasciando i primi tentativi di spiegare la conducibilità dei fili metalliici, dovuti a Fechner (1845) e Weber (1846), bisogna arrivare agli inizi del nostro secolo per avere delle teorie basate su dei fatti sperimentali relativi alla costituzione della materia (ricordiamo che nel 1897 J.J. Thomson aveva scoperto l'elettrone e ne aveva misurato il rapporto tra carica e massa e che negli anni immediatamente successivi, con il contributo di altri innumerevoli sperimentatori, si erano riusciti a confermare e migliorare i primi risultati di J.J. Thomson, oltreché ad arrivare alla misura separata della carica e della massa dell'elettrone).

Al fisico tedesco P. Drude(120) si deve la prima teoria della costituzione dei metalli per rendere conto del fenomeno della conduzione (1900). Secondo Drude i metalli si possono considerare formati da ioni positivi (si ricordi che il nucleo atomico sarà scoperto da Rutherford nel 1911, a seguito dell'esperienza di Geiger e Mardsen del 1909) immersi in un gas di elettroni (figura 55) e ciò vuol dire che un metallo è come una scatola nella quale vi è un gas di elettroni che sono liberamente in moto (di elettroni liberi ve ne sono in numero dell'ordine di grandezza del numero di atomi costituenti il metallo, e cioè circa 1023 per cm3). Sarebbero questi elettroni, in un modo non meglio precisato (una specie di colla universale, buona cioè per tutti gli atomi degli elementi metallici), a tener uniti gli ioni così da formare il metallo.

Figura 55

La trattazione di Drude si basava sullo studio delle velocità medie degli elettroni all'interno di questa scatola, con alcune ipotesi relative al rallentamento che essi subivano quando urtavano contro il reticolo cristallino. Queste ultime ipotesi erano necessarie per rendere conto della legge di Ohm (1827) che prevede il passaggio di una corrente stazionaria; senza l'ipotesi di interazione degli elettroni con il reticolo si dovrebbe ammettere una corrente che cresce indefinitamente nel tempo, a causa del fatto che un elettrone sottoposto all'azione di un campo elettrico esterno dovrebbe accelerare e quindi aumentare la sua velocità nel tempo.

Una trattazione più completa ed esauriente di questo modello fu realizzata da H.A. Lorentz, tra il 1904 ed il 1905, il quale introdusse, nella trattazione del moto degli elettroni, la statistica sviluppata negli anni precedenti da Maxwell e Boltzmann per la trattazione dei gas oltre ad un modello semplificato per descrivere gli urti tra gli elettroni ed il reticolo cristallino.

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MOLECOLE

La teoria di Drude e Lorentz spiegava abbastanza bene la conducibilità elettrica e termica come dovute, appunto, agli elettroni liberi che si spostano nel metallo mediante un'azione applicata dall'esterno (una differenza di potenziale o di temperatura). Inoltre l'elaborazione teorica, almeno quella di Drude, risultava in perfetto accordo con una legge, ricavata empiricamente nel 1853 da Wiedemann e Franz, secondo la quale, per una data temperatura, il rapporto tra conducibilità termica ed elettrica è proporzionale alla temperatura assoluta T, e la costante di proporzionalità è approssimativamente la stessa per tutti i metalli. Infine un accordo qualitativo la si aveva nella spiegazione dell'effetto Seebeck (1822), dell'effetto Peltier (1834) e dell'effetto termoionico (scoperto da Du Fay nel 1733).(121) Era un gran successo anche se svariati fatti sperimentali mostravano un disaccordo con la teoria: la trattazione di Lorentz, contrariamente a quella di Drude, non era in accordo con la legge di Wiedemann e Franz; non c'era accordo con la legge di Dulong e Petit (1820) sui calori specifici dei metalli;(122) l'andamento della resistività elettrica risultava dipendente dalla radice quadrata della temperatura assoluta, mentre sperimentalmente quell'andamento risultava lineare; infine non rende conto della differenza tra conduttori ed isolanti (perché alcune sostanze hanno degli elettroni liberi ed altre no ?) e non spiega come mai la forte correste che può condurre un metallo diminuisce al crescere della temperatura mentre la debole corrente condotta da un isolante aumenta con la temperatura.

Prima di andare a vedere da dove sorgevano le difficoltà chiediamoci che senso ha pensare ad un metallo come ad un insieme di ioni positivi immersi in un gas di elettroni. Viene subito in mente che tutto ciò sembra in contrasto con quanto sappiamo dall'elettrostatica; da una parte gli elettroni, essendo tutti carichi dello stesso segno, dovrebbero respingersi tra loro e dall'altra dovrebbero essere attratti verso gli ioni positivi in modo da neutralizzarne la carica. Ma per capire questo fatto, insieme alle difficoltà incontrate dalla teoria di Drude e Lorentz, occorrerà aspettare i primi sviluppi della meccanica quantistica: il modello atomico di Bohr (1913), il principio di Pauli (1925) e la statistica di Fermi-Dirac (1926). Voler trattare infatti gli elettroni in un metallo come un gas e quindi applicarvi la statistica dei gas, sviluppata da Maxwell e Boltzmann, porta ad una serie di incongruenze rispetto a quanto abbiamo fino ad ora studiato. Le particelle di un gas di atomi non sono soggette al principio di Pauli contrariamente a quanto avviene per gli elettroni; abbassando la temperatura di un gas, facendola tendere allo zero assoluto, dovrebbe teoricamente annullarsi l'energia interna U del gas (si ricordi che U = 3/2 KT), con K = costante di Boltzrmann e T = temperatura assoluta) e conseguentemente le velocità medie degli atomi fino ad arrivare alla situazione che vede tutti gli atomi su un unico livello energetico cui corrisponde una stessa velocità, che tende a zero. Ben diversa è la situazione per un gas di elettroni per il principio di Pauli, poiché su ogni livello energetico possono trovarsi al massimo due elettroni, allo zero assoluto, quando tutti gli elettroni sono al loro livelle energetico più basso, si avrà una serie di livelli energetici, a partire da uno che si troverà più in basso fino ad arrivare al più elevato, ciascuno dei quali conterrà due elettroni. Il livello energetico più alto occupato da elettroni allo zero assoluto è chiamato livello di Fermi e ad esso corrisponde l'energia EF di Fermi. Questa energia è di svariati

elettronvolt e ciò vuol dire che, allo zero assoluto, gli elettroni che si trovano su questo livello hanno energie considerevoli.

Confrontando questo risultato con quanto detto prima a proposito del gas di atomi, si vede subito che nel caso si trattino gli elettroni come un gas di atomi (e quindi con la statistica di Maxwell-Boltzmann) si arriverebbe ad una conclusione completamente differente: allo zero assoluto questi elettroni avrebbero tutti energia zero. Per rendere conto dellenorme differenza che si ha con la trattazione quantistica di Fermi, basti pensare che gli elettroni classici per acquistare l'energia che li porti dal livello E = 0 al livello EF di Fermi

avrebbero bisogno di una temperatura di circa 10.000 °K.

La statistica di Fermi permette inoltre di calcolarsi l'energia cinetica media ( Ēc) degli elettroni allo zero

assoluto, fornendo per essa il valore:

Ēc = 3/5 EF

Quando si passa infine a temperatura diverse dallo zero assoluto (ad esempio: a temperatura ambiente, che corrisponde a circa 300 °K) solo relativamente pochi elettroni acquistano energie superiori a quella di Fermi.

E' un panorama completamente differente da quello classico che fu utilizzato da Sommerfeld, Houston, Eckart, Frenkel e Block a partire dal 1926, per sviluppare la moderna teoria elettronica dei metalli su basi quanto-meccaniche. In particolare, Sommerfeld riprese (1926) la teoria degli elettroni liberi nella trattazione di Lorentz e ad essa applicò la statistica di Fermi-Dirac; la teoria di Sommerfeld è conosciuta come teoria dell'elettrone libero. Fu Block invece che nel 1928 dette il via alla teoria nota come teoria delle bande di energia, la quale, per la sua maggiore potenzialità esplicativa (spiega, al contrario dell'altra, la differenza

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esistente tra conduttori, semiconduttori ed isolanti) e predittiva, è quella che è maggiormente utilizzata.

Non entreremo però ora sulla strada della spiegazione di queste due teorie della conducibilità elettrica(123) cercheremo invece di capire un poco meglio il tipo di legame chimico esistente tra i singoli atomi costituenti un metallo rifacendoci a dei concetti di meccanica quantistica già ampiamente introdotti.

In modo ancora molto qualitativo si può dire che in un metallo gli atomi risultano ben impacchettati tra di loro. Vi saranno dei nuclei che avranno intorno a sé degli elettroni ben legati: questi nuclei ed elettroni costituiranno gli ioni positivi che sono ai vertici dei reticoli cristallini. Oltre agli elettroni legati si dovranno considerare anche gli elettroni di valenza. Ora, ciascun elettrone di valenza si muoverà nel campo prodotto da tutti gli ioni positivi ed in quello (medio) prodotto da tutti gli altri elettroni di valenza (occorre considerare, in questo caso, il campo medio perché gli elettroni di valenza sono in continuo movimento rispetto a quello preso in considerazione). Poiché nei metalli l'ultimo orbitale non è mai completo, si potrebbe pensare che si formi un legame di tipo covalente tra un atomo ed un suo vicino. Vi sono però pochi elettroni disponibili perché ciascun atomo possa legarsi con tutti i suoi vicini (che sono o 8 o 12)(124) in modo covalente. Ma questa idea non è del tutto da scartare anche se la covalenza è debole poiché le orbite elettroniche di valenza di ciascun atomo risultano solo parzialmente riempite di elettroni (a volte questi legami sono chiamati elettrondeficienti). In ogni caso questa parziale covalenza è in parte responsabile dell'abbassaaento dell'energia degli elettroni che si trovano vicini a più nuclei atomici. E si parla di parziale covalenza proprio perché, mentre nel caso del vero e proprio legame covalente esso era localizzato e direzionale, ora gli elettroni messi in comune appartengono a più atomi contemporaneamente (e quindi a tutto il cristallo) con la conseguenza che il legame metallico risulta completamente delocalizzato e non direzionale.

Proviamo a vedere se riusciamo a capire meglio applicando, anche qui, i metodi appena studiati del legane di valenza (L.V.) e dell'orbitale molecolare (O.M.).

3 - La teoria L.V. per i metalli

Quanto dicevamo a conclusione del paragrafo precedente a proposito del fatto che si hanno solo delle parziali covalenze nei metalli poiché, in essi, ciascun atomo ne ha molti vicini a fronte di uno scarso numero di elettroni, può permetterci di introdurre bene la teoria L.V. per i metalli con il concetto di risonanza ad essa collegato.

Poiché vi sono molti possibili legami covalenti che si possono creare e, di fatto, solo qualcuno può crearsi davvero, c'è l'eventualità di considerare la risonanza tra una gran quantità di strutture. E' bene a questo punto osservare che il forte legame covalente si instaura sempre (quando è possibile) tra due atomi che sono tra di loro più vicini di tutti gli altri. Sembrerebbe che in questo caso non vi possa essere un forte legame: in realtà è proprio la risonanza tra molteplici strutture che va a fornire l'energia di legame mancante ad una covalenza pura. In un cristallo di sodio, ad esempio, ogni atomo ha un solo elettrone da mettere in comune con un altro atomo e pertanto si dovranno prendere in considerazione tutte le possibili strutture del tipo:

e così proseguendo.

Ma, nonostante l'enorme numero di possibili strutture che si possono costruire in questo modo, andandone a considerare la risonanza e facendosi i conti, si trova che l'energia di legame è piccola rispetto a quella misurata sperimentalmente. Pauling ha allora proposto (1948) di considerare anche la risonanza tra altre strutture in cui due atomi risultano ionizzati di segno opposto come, ad esempio:

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MOLECOLE

e così proseguendo.

Il contributo di questa ulteriore risonanza fornisce risultati molto più vicini a quelli sperimentali. Si deve tener conto però che, per ammettere queste ultime risonanze in cui due atomi risultano ionizzati, occorre ipotizzare, per l'atomo che forma un legame in più, la disponibilità di un orbitale in più. In questo modo il legame addizionale si formerebbe attraverso ibridizzazione lineare sp.

Ma su questo modo di procedere non sono tutti d'accordo (Hume -Rothery, 1949) e recentemente (1957) sono stati sviluppati altri metodi che trattano il legame metallico in termini di orbitali ibridi aventi un carattere direzionale (Altmann, Coulson, e Hume-Rothery). Ma su questo non ci soffermeremo.

4 - La teoria O.M. per i metalli

Per quel che riguarda questo paragrafo si può vedere l'articolo n° 25 (La teoria dell'elettrone libero e la teoria delle bande di energia) pubblicato in questa sezione.

NOTE

(1) La costante α rappresenta l'aumento di energia delle molecole per ogni grado centigrado di aumento di temperatura α = 1/273. Ma si sta parlando di pressione e volume, che c'entra l'energia? Vediamolo. Ricordiamo che l'espressione più generale che conosciamo per l'energia è E = mv2 , che si può scrivere: E = m(l2/t2 ). Troviamoci le dimensioni di questa energia: [E] = [M] [L]2 [T]-2.

Calcoliamoci ora le dimensioni del prodotto pV di una pressione per un volume (che incontreremo tra qualche riga) che si può anche scrivere:

Si ha:

[pV] = [M][L]2[T]-2 = [E]

Come si può quindi vedere il prodotto pressione per volume ha le dimensioni di una energia!

(2) Dove n è un numero di grammomolecole, R è la costante universale dei gas e T è la temperatura assoluta o temperature Kelvin [T °K = (t+273)°C].. Cerchiamo di vedere come si passa dalla prima alla seconda relazione scritta. Introducendo nella prima equazione la temperatura assoluta T = t + 273 => t = T - 273,

Ricordando ora la legge di Avogadro [alla temperatura t0 = 0°C ed alla pressione p0= 1 atmosfera, cioè a T0

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= 273°K, ogni grammomolecola di gas occupa un volume di litri 22,4. Se avremo quindi n grammomolecole avremo un volume V0 = 22,4 x n ( si può scrivere:

pv = (22,4/273).nT

Indicando poi con R la costante universale dei gasi [ R = 22,4/273 (litri.atmosfere/gradi.grammomolecole) = 0,821 (litri.atmosfere/gradi.grammomolecole) si ha la relazione che cercavamo: pV = nRT.

(3) Osserviamo a parte che la legge di Boyle (pV = K), se non sottoposta a limiti di validità, condurrebbe ad un assurdo. Infatti, secondo questa legge, se si aumenta la pressione P infinitamente il volume V di una determinata massa di gas si dovrebbe ridurre a zero.

(4) Ha cioè aggiunto al termine p, che compare nell'equazione dei gas perfetti, il termine a/V2 ed al termine V, che compare sempre nell'equazione dei gas perfetti, il termine -b.

(5) La costante b è comunemente chiamata "covolume". Osserviamo a parte che il volume effettivamente occupato dalle molecole di un gas è soltanto un quarto di b (come si può calcolare).

(6) p' = a/V2 = pressione interna. Si osservi che tale pressione deve essere tanto maggiore quanto più le molecole sono vicine; per questo motivo essa risulta inversamente proporzionale al quadrato del volume V occupato dal gas.

(7) Per capire meglio questo concetto vedi più avanti (anticipiamo che il responsabile di questa repulsione tra molecole, quando si trovano a brevissima distanza, è il principio di Pauli).

(8) Cerchiamo di vedere perché si pensava a forze di natura elettrostatica e non a forze di natura gravitazionale. Ricordiamo che la legge della gravitazione universale di Newton (1666) è:

FN = G.(m1m2/r2)

dove G = 6,67. 10 N.m2/kgm2 è una costante, m1 ed m2 sono le due masse che si attraggono ed r è la distanza

tra di esse. Ricordiamo poi che la legge di Coulomb (1785) che studia l'attrazione (o repulsione) elettrostatica tra due cariche elettriche q1 e q2 alla distanza r, è:

FC = K(q1q2/r2)

dove K è una costante che vale: K = 8,98. 109 N.m2/coulomb2. Prendiamo ora in considerazione due elettroni (che sappiamo avere ciascuno una carica qe = 1,60.10-19 coulomb ed una massa me = 9,11.10-31Kgm),

supponiamo che siano ad una distanza dell'ordine di grandezza delle dimensioni atomiche (r ~ 10-10 m), applichiamo ad essi le leggi di Newton e di Coulomb e confrontiamo i valori che si ottengono per le rispettive forze. Applicando la legge di Newton si trova:

Applicando invece la legge di Coulomb si ha:

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MOLECOLE

Confrontando le due forze si trova:

e come si vede la forza di Coulomb, cioè la forza elettrostatica risulta essere 1047 volte maggiore di quella gravitazionale.

(9) Ampliata successivamente (1910) da J.Stark il quale introdusse per primo il concetto di elettroni di valenza per indicare i legami che si hanno tra gli atomi nei composti.

(10)Vedi più avanti.

(11) Se abbiamo due cariche elettriche q1 e q2 , ad una distanza r queste si attraggono (se sono dello stesso

segno) o si respingono (se sono di segno opposto) con una forza data dalla legge di Coulomb:

F = K (q1q2/r2)

dove K è una costante di proporzionalità.

(12) Vedi più avanti.

(13) Il legame covalente fu studiato quantisticamente da Heitler e London nel 1927 (vedi più avanti).

(14) Un legame dello stesso tipo di quello covalente si ha tra molecole. Questo legame è chiamato dativo (vedi più avanti).

(15) L'opera più importante di Maxwell, il Trattato di elettricità e magnetisimo, fu pubblicata nel 1873.

(16) Secondo Sutherland le molecole che agiscono sono sempre ad una certa distanza tra loro: r non può mai annullarsi.

(17 )La polarizzabilità misura quanto un campo elettrico distorce un atomo od una molecola, spostando gli elettroni dell'atomo o della molecola rispetto al nucleo positivo (vedi comunque più avanti).

(18) Il fatto che n sia maggiore di m fa si che le forze repulsive abbiano un raggio di azione più piccolo di quello delle forze attrattive. Da notare che la forza repulsiva è positiva mentre quella attrattiva è negativa. I valori più in uso, oggi, per n ed m sono: n = l2 ed m = 7 (Potenziale 12-6). Osserviamo a parte che questo modo di procedere è ancora oggi quello in uso, fornendo una accurata espressione teorica per le forze intermolecolari.

(19) Questa prima approssimazione è quella che in sostanza fece Van der Waals e che venne ripresa nel 1912 da Keesom (vedi più avanti).

(20) Abbiamo già visto la legge di Coulomb. Ricordiamo che Fc è negativa se le due cariche hanno segno

opposto e quindi quando c'è attrazione; mentre Fc è positiva se le due cariche hanno stesso segno, quindi

quando c'è repulsione. Per comprendere meglio quanto segue, vediamo graficamente qual è la legge dell'attrazione e della repulsione elettrostatica in termini di forza e di energia:

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(21) Relativamente alle dimensioni atomiche.

(22) Praticamente ad una distanza di 6 o 7 Å l'energia di legame tra due atomi si annulla. Non si ha più, allora, una molecola, ma si hanno due atomi separati.

(23) Secondo il modello di atomi (o molecole) a sfere rigide la materia risulterebbe completamente impenetrabile. In realtà questo fatto è in contrasto con l'esperienza in quanto, a parte i gas, i liquidi ed i solidi risultano comprimibili in un modo che lascia intendere la non completa penetrabilità della materia.

(24) Mentre la repulsione dovuta al principio di Pauli va come r-6, la repulsione elettrostatica va come r-13.

(25) Le curve teoriche sono state studiate da Heitler e London nel 1927, da Siguira nel 1927, da Born ed Oppenheimer nel 1927, da Wang nel 1928, da Morse nel 1929 (si noti che le curve del tipo da noi disegnato sono oggi conosciute come curve di Morse) e da altri più tardi.

(26) Si può dimostrare che solo il 14% dell'energia totale di legame tra molecole esistenti in natura può essere considerata come elettrostatica. Questo dato è stato ripreso dal testo di Syrkin e Dyatikna - Molecular Structure - pagg. 65 e 66.

(27) Le tecniche sperimentali usate per studiare le molecole sono:

1) Spettroscopia

2) Diffrazione di raggi X

3) Diffrazione di elettroni (o neutroni)

L'interpretazione dei dati sperimentali è possibile solo con l'introduzione della meccanica quantistica.

(28) Si osservi che siamo alla vigilia della Prima Guerra Mondiale e, come si sa, in tempo di guerra la scienza fa dei grossi balzi avanti, perché si cercano, con profusione di denaro, sue applicazioni belliche. Inoltre, all'epoca, era profondamente sentito il problema della conservazione dei cibi da parte delle grosse industrie e dei grandi finanzieri che li importavano dal vasto impero coloniale olandese. E proprio nel senso di queste ultime cose che abbiamo detto, era già nota l'estrema importanza delle basse temperature.

(29) Il quadrupolo è infatti un sistema in cui la distribuzione di carica ha una più grande simmetria di quella del dipolo; questa simmetria non è però sferica, per cui i quadrupoli producono un campo elettrico esterno. I momenti di quadrupolo, al contrario di quelli di dipolo, non possono essere misurati direttamente; è la conoscenza della struttura delle molecole che fa intendere che molte molecole debbano possedere un momento di quadrupolo.

(30) Lo stesso discorso vale se alle molecole in gioco sono associati dei quadrupoli od ottupoli. Come esempio

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macroscopico di oscillatore armonico unidimensionale (con un solo grado di libertà) si può considerare una massa m vincolata mediante una molla ad un sostegno e fatta oscillare lungo l'asse x di figura (questa massa è soggetta alla sola forza di richiamo della molla):

C'è da notare che la quantizzazione dell'oscillatore di figura non è assolutamente rivelabile; solo in scala atomica ha senso polare di quantizzazione.

(31) I successivi valori dell'energia per un oscillatore armonico sono dati dalla formula generale En = (n +

½) hν (con n = 0, 1, 2, ...); questi valori saranno quindi in successione crescente: E0 = ½ hν; Ε1 = 3/2 hν; Ε2 =

5/2 hν; ... Il temine E0 è chiamato energia di punto zero perché corrisponde ad n=0. Supponiamo di avere

una massa m, legata ad una molla vincolata ad un sostegno, e di farla oscillare lungo l'asse x di figura:

La forza cui è soggetta la molla, in accordo con la legge di Hooke, è F = -Kx dove K è la costante elastica di richiamo della molla (che dipende dalla natura del materiale di cui essa è costituita) che ha le dimensioni di una massa divisa per un tempo al quadrato. Si può dimostrare che l'energia potenziale che compete alla molla è Ep = ½ Kx2 . Ora, osservando che l'espressione ora fornita rappresenta sugli assi Ep ed x una

parabola passante per l'origine, si ha la figura (a) seguente:

Evidentemente lo stesso discorso vale per le vibrazioni armoniche degli atomi nelle moleco le. Riferiamo allora la figura (a) a queste vibrazioni. Ora, per quanto dicevamo all'inizio della nota, non tutti i valori dell'energia sono permessi agli oscillatori armonici nella molecola, ma solo quelli dati dalla formula En = (n

+ ½) hν. Vediamo allora quali sono questi valori En dell'energia nella figura (b) precedente. Come si vede

dalla figura, il minimo valore dell'energia E di un oscillatore, classicamente, dovrebbe essere zero, mentre quantisticamente è E0. E, mentre classicamente per l'energia Ep sono possibili tutti i valori da 0 ad ∞ ,

quantisticamente sono possibili solo i valori E0, E1, E2, E3, etc... E' importante notare e ricordare a parte

che, secondo l'ipotesi di Planck, l'energia è ceduta od acquistata per quanti indivisibili hν di energia. Ora la caratteristica peculiare dell'energia di punto zero è che, essendo essa ½ hν, cioè mezzo quanto di Planck, non

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può essere in alcun modo ceduta dall'oscillatore ma deve essere conservata appunto come lo stato di energia minima.

(32) Fino ad ora abbiamo discusso di un oscillatore unidimensionale, cioè di un oscillatore con un solo grado di libertà, e abbiamo visto il suo valore di energia di punto zero . Nel caso generale di oscillatori tridimensionali (con tre gradi di libertà) l'energia di punto zero è data da 3.(½ hν) = 3/2 hν . Ad ogni grado di libertà compete quindi un'energia di punto zero pari a ½ hν . La formula generale per i livelli energetici permessi all'oscillatore diventa allora:

En = (n + 3/2) hν (con n=0,1,2, ....).

(33) London identificò il termine hν0, che compare nella formula scritta, con il potenziale di ionizzazione

dell'atomo o della molecola che si sta considerando come oscillatore.

(34) Una prima intuizione sull'origine di queste forze fu di Wang (1927) il quale calcolò con l'ausilio dell'appena nata meccanica quantistica l'azione che si esercita, a grandi distanze, tra due atomi di idrogeno. Wang trovò che le forze di interazione sono attrattive e variano come 1/r7 (mentre l'energia di interazione varia, come trovato poi da London, come 1/r6) .

(35) La ragione di questa denominazione deriva dal fatto che un metodo di calcolo teorico di queste forze fa intervenire i fenomeni della dispersione della rifrazione.

(36) II linguaggio è semiclassico in quanto il principio di indeterminazione impedisce concettualmente queste possibilità.

(37) Questi dipoli sono naturalmente i dipoli istantanei che abbiamo menzionato qualche pagina indietro. Va aggiunto qui che questi dipoli cambia no configurazione continuamente e periodicamente nel tempo in accordo con il fatto che gli elettroni degli atomi sono in continuo movimento.

(38) Si ricordi che la distanza tra il minimo di energia e lo zero di questa energia indica l'energia necessaria a dissociare la molecola.

(39) I due fisici cominciarono, appunto nel 1912, a scrivere formule chimiche in cui, per la prima volta, l'idrogeno era considerato come bivalente. Sempre nel 1912 T. S. Moore e T. F. Winmill utilizzarono questa ipotesi in un loro importante articolo.

(40) Le formule chimiche (H2O; HF; H2SO4; etc.) che solitamente si usano sono chiamate, in genere, formule

brute. Le formule di struttura sono rappresentazioni grafiche usate per chiarire i legami tra gli atomi delle molecole; a tale scopo, accanto ai simboli degli elementi, si indicano le rispettive valenze per mezzo delle lineette continue (ad ogni linea corrisponde una valenza). Vediamo per esempio la molecola di idrogeno (H2): l'idrogeno è monovalente (normalmente) per cui si ha che la sua valenza si può rappresentare con una

sola lineetta (H-); per quanto riguarda la formula di struttura di H2, si ha: H-H.

(41) L'elettronegatività è la proprietà, che ogni atomo ha, di addensare su di sé gli elettroni messi in comune con un altro atomo nella formazione di un legame. Si veda comunque più oltre.

(42) Osserviamo che l'ossigeno si trova comunemente in natura in molecole biatomiche O2. Ricordando che

l'ossigeno è bivalente (e che comunque, avendo sei elettroni nello strato L, tende a completare questo strato con altri due elettroni) normalmente esso si lega ad altri elementi con un doppio legame (ad esempio nell'ossido di Carbonio CO si ha: C=O). Si sarebbe quindi portati a pensare che la molecola O2 fosse

costituita da un doppio legame covalente del tipo O=O (in questo modo due elettro ni dello strato L di un ossigeno andrebbero a completare lo strato L del l'altro e viceversa). Invece si ha un solo legame O—O, in modo tale da avere, come risultato, sette elettroni su ogni strato L dei due ossigeni con una valenza, almeno teorica, libera.

(43) La trattazione che qui abbiamo fatto della risonanza è manchevole sotto molti aspetti. La teoria della risonanza è stata ricavata (1930) con metodi quantistici abbastanza complicati che al nostro livello non siamo in grado di affrontare. Per quanto ci occorre basta comunque quanto abbiamo fin qui detto.

(44) L'idea della risonanza è stata sviluppata con metodi quantomeccanici nel 1931 soprattutto ad opera di

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MOLECOLE

Slater, Pauling e Huckel.

(45) Sul legame di figura (a) non dovrebbero esserci dubbi, a parte la necessaria osservazione che gli H impegnati nel legame idrogeno (————H- - - - - - - -) hanno il loro protone non al centro rispetto ai due ossigeni. Questi protoni risultano più vicini agli ossigeni con cui si ha legame a tratto continuo (——) mentre gli elettroni degli stessi idrogeni hanno una maggiore probabilità di trovarsi vicini a questi ossigeni piuttosto che ai nuclei degli idrogeni stessi. Relativamente alla figura (b) c'è da dare qualche chiarimento. Se il protone del primo H impegnato nel legame idrogeno, per un qualche motivo, si avvicina di più all'ossigeno centrale, questo protone rimane legato a questo ossigeno che risulta ionizzato posi tivamente (O+), lasciando il suo elettrone al primo ossigeno che risulta ionizzato negativamente (O-). Si ha allora la seguente situazione intermedia:

la quale risulta instabile. Come conseguenza il secondo H impegnato nel legame idrogeno allontanerà il suo nucleo dall'ossigeno centrale (lasciando però l'elettrone) facendolo avvicinare al terzo idrogeno. Si ha così la situazione di figura (b), dall'instabilità della quale si ritorna, tramite questa figura, alla figura (a).

(46) Ricordiamo che il legame idrogeno è un particolare tipo di forza di Van der Waals che risulta intensa rispetto a quelle che abbiamo studiate (in media risulta da 5 a 10 volte più intensa).

(47) Le formule complete per i tre tipi di forze sono:

a) Forze d'orientamento di Keesom:

dove:

|m1| = momento di dipolo della prima molecola (in valore assoluto);

|m2| = momento di dipolo della seconda molecola (in valore assoluto);

K = costante di Boitzman = 1,38.10-23 Joule/°K;

T = temperatura (in gradi Kelvin) a cui si trovano i dipoli;

r = distanza tra i centri dei dipoli (cioè tra i centri delle molecole).

b) Forze di induzione di Debye:

Nel caso in cui si abbia un dipolo permanente di momento m ed una molecola di polarizzabilità α, si ha:

dove:

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MOLECOLE

m = momento di dipolo della prima molecola (in valore assoluto);

α = polarizzabilità della seconda molecola;

r = distanza tra i centri delle molecole.

Nel caso in cui si abbiano ambedue le molecole polarizzabili con diverse polarizzabilità e (quindi) momenti, si ha:

con chiaro significato dei simboli.

c) Forze di dispersione di London:

dove:

3hν0 = energia di punto zero dei due oscillatori (dipolo istantaneo e dipolo indotto);

e con gli altri simboli di chiaro significato.

(48) Per questo legame Lowry usò il nome di doppio legame semipolare; Sidgwick lo chiamò invece legame coordinato. Le molecole tenute insieme da questo legame si raggruppano in composti complessi. Poiché questi composti (a strut tura più complicata di quelli studiati comunemente in un corso di chimica) alla fine del secolo XIX non potevano essere spiegati con la teoria della valenza sviluppata fino ad allora si ricorse (Werner, 1893) al concetto di valenza secondaria per rendere conto di quelle forze intermolecolari che all'epoca era impossibile conoscere. Questi concetti furono sviluppati da Werner nella sua teoria di coordinazione; per questo motivo il legame che ora stia mo studiando è stato chiamato anche coordinato.

(49) In un legame dativo l'atomo che fornisce elettroni è chiamato donore, quello che li acquista è chiamato accettore. Un legame dativo tra due atomi A (accettore) e B (donore) è rappresentato da:

A<———B.

Se A è donore e B accettore, si ha:

A————>B.

(50) Ricordiamo comunque che il dipolo permanente associato alla molecola di H2O può essere

rappresentato nel modo seguente

(51) Per le molecole si ha la seguente nomenclatura:

- Molecole biatomiche omonucleari: sono delle molecole formate da due atomi dello stesso elemento (ad esempio H2, O2 , etc )

- Molecole biatomiche eteronucleari: sono delle molecole formate da due atomi di elementi diversi (per esempio HCl, NaCl, CO, etc)

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MOLECOLE

- Molecole poliatomiche (sia omonucleari sia eteronucleari): sono delle molecole forniate da più atomi (sia dello stesso elemento come O3, sia di elementi diversi come CO2).

(52) L'articolo che dette il via al metodo LV fu pubblicato in una rivista tedesca da Heitler e London nel 1927. Questo metodo fu perfezionato in seguito da diversi contributi: nel 1928 e nel 1929 vi furono tre articoli di Heitler sulla stessa rivista (due nel 28 ed uno nel 29); nel 1928 vi furono, ancora sulla stessa rivista, due articoli di London; nel 1930 vi fu un articolo di R. Eisenschitz e London, sempre sulla stessa rivista; nel 1931 vi furono due articoli su due differenti riviste americane, uno di J. C. Slater e l'altro di L. Pauling. C'è da osservare che una trattazione matematica più completa della teoria di Heitler e Loadon fu fatta, sempre sulla medesima rivista tedesca, da Y. Sugiura nel 1927.

(53) II primo studio della molecola H2+ fu fatto da Burrau con il metodo dell'orbitale molecolare nel 1927.

La molecola è stata poi studiata da L. Pauling nel 1928 e da B. N. Finkelstein e G. E. Horowitz sempre nel 1928. Ulteriori contributi sono venuti da E. A. Hylleraas nel 1931, da B. N. Dickinson nel 1933, da G. Jaffé nel 1934. L'approssimazione più comunemente usata per lo studio di questa molecola e di molte altre è quella dovuta a M.Born e a J. R. Oppenheimer (1927) che consiste nel considerare praticamente fissi i nuclei rispetto al moto dell'elettrone.

(54) Date due funzioni f1 ed f2 vi sono diversi modi di combinarle fra loro: f = f1. f2; f = f1/f2 ; f = f1f2; etc.

Si definisce combinazione lineare tra le due funzioni f1 ed f2, quella funzione f data da :

f = af1 + bf2

dove a e b sono due costanti numeriche da determinarsi.

(55) Le costanti a e b vanno determinate in modo da rendere minima l'energia. Nel nostro caso si può dimostrare che

a = 1, b = ± a. Per cui, in definitiva, si hanno due coppie di a e di b:

a = 1 b = 1

a = 1 b = - 1

alle quali due coppie corrispondono le due soluzioni ψ+ e ψ- che sono riportate in seguito.

(56) Questa curva è stata studiata da L. Pauling e, separatamente, da B. H. Firikelstein e G. E. Horowitz nel 1928. I1 valore R ~ 1,06 Å corrisponde alle osservazioni sperimentali degli spettri delle scariche elettriche in cui H2

+ è presente.

(57) Ad un certo istante siamo in grado di dire che un elettrone è vicino ad un certo nucleo, ma non siamo in grado di dire quale elettrone! gli elettroni non hanno fiocchi o etichette che li distinguono.

(58) Leggere questa nota non è indispensabile. E' un complemento per chi volesse approfondire. Il discorso che abbiamo fatto f ino ad ora, per essere più completo, doveva essere fatto nel modo seguente; quando abbiamo i due atomi di idrogeno molto lontani tra di loro.nel caso in cui si presenti la struttura HA

1 + HB2,

all'atomo HA1 si può pensare associata una funzione d'onda ΨA (1) così come all'atomo HB

2 si può pensare

associata una funzione d'onda ΨB(2) ; nel caso si presenti la struttura HA2 + HB

1 , all'atomo HB1 si può

pensare associata una funzione d'onda ΨA (2) così come all'atomo HB1 si può pensare associata una

funzione d'onda ΨB(1). Osservato poi che esiste un teorema che afferma: se vi sono due sistemi isolati con

funzioni d'onda ΨA e ΨB ed energie EA ed EB, quando i due sistemi vengono considerati insieme avranno

una funzione d'onda Ψ = ΨA . ΨB ed una energia E = EA + EB , allora alla struttura HA1 + HB

2 sarà

associata una funzione d'onda complessiva ΨI = ΨA (1).ΨB(2) ed una energia EI = EA (1) + E (2)

mentre alla. struttura HA2 + HB

1 , sarà associata una. funzione d'onda ΨII = ΨA (2).ΨB(1) ed una energia

EII = EA (2) + EB (1). Si capisce subito che EI = EII e che le ΨI e le ΨII che abbiamo incontrato nelle

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MOLECOLE

righe cui si riferiva la nota hanno il significato ora visto.

E' utile, in conclusione di nota, dare un cenno alla probabilità composta. Il problema che ci proponiamo di risolvere è il seguente: un dato evento A ha una probabilità PA di verificarsi; un altro evento B ha una

probabilità PB di verificarsi; qual è la probabilità PC che i due eventi A e B si verifichino simultaneamente (o

successivamente in un dato ordine)?

Supponiamo che l'evento A sia l'estrazione di un asso da un mazzo di carte italiane. La sua probabilità PA

sarà PA = 4/40 = 1/10 (numero dei casi favorevoli diviso il numero dei casi possibili). Sia poi l'evento B

l'estrazione di una bastoni dallo stesso mazzo di carte. La sua probabilità sarà: PB = 10/40 = 1/4.

Chiediamoci ora: qual è la probabilità di estrarre un asso di bastoni dal solito mazzo ? Il principio della probabilità composta (l'evento asso e l'evento bastoni devono, in questo caso, verificarsi simultaneamente) afferma che la probabilità di un evento costituito dal realizzarsi simultaneamente (o successivamente in un dato ordine) di altri due eventi è uguale al prodotto delle probabilità che hanno i singoli eventi componenti di realizzarsi separatamente. Dal nostro esempio ricaviamo allora:

PC = PA . PB = 1/10 . 1/4 = 1/40

come del resto potevamo calcolare direttamente chiedendoci, subito, qual era la probabilità (a priori) di estrarre un asso di bastoni da un mazzo di carte italiane.

Quanto qui detto dovrebbe far intendere perché se due sistemi isolati hanno funzioni d'onda ΨA e ΨB,

quando essi sono considerati insieme avranno una funzione d'onda Ψ = ΨA . ΨB.

(59) Conseguentemente a quanto detto nella nota precedente, si avrà:

Ψ = a.ΨA (1) .ΨB (2) + b.ΨA (2) .ΨB(1)

(60) Anche qui, conseguentemente alla nota precedente, si avrà:

Ψ+ = ΨA (1) .ΨB (2) + ΨA (2) .ΨB(1)

Ψ− = ΨA (1) .ΨB (2) − ΨA (2) .ΨB(1)

(61) Abbiamo detto dinamicamente perché in realtà c'è da considerare un continuo moto vibratorio, rotatorio e traslazionale dell'intera molecola, dei nuclei e degli elettroni.

(62) Avremo modo più avanti di prendere in considerazione altri grafici dell' energia E in funzione della distanza. RAB tra i nuclei, sempre per la molecola di idrogeno. Per un utile confronto i grafici di figure 8 e 9

sono fatti nella stessa scala.

(63) I numeri che compaiono tra parentesi in Ψ(1,2) ed in Ψ(2,1) indicano gli elettroni 1,2 in oggetto. La Ψ(1,2) sta per: elettrone 1 vicino al nucleo A ed elettrone 2 vicino al nucleo B; la Ψ(2,1) sta per: elettrone 2 vicino al nucleo A ed elettrone 1 vicino al nucleo B. Valgono allora le seguenti identità:

Ψ+ = ΨI + Ψ II = Ψ(1,2) + Ψ(2,1) = ΨΑ(1)ΨΒ(2) + ΨΑ(2)ΨΒ(1)

Ψ− = ΨI - ΨII = Ψ(1,2) - Ψ(2,1) = ΨΑ(1)ΨΒ(2) - ΨΑ(2)ΨΒ(1)

(64) Si osservi che, mentre lo spazio della Ψ ha un numero infinito di punti dati dalle tre coordinate x, y e z, lo spazio della σ per un elettrone ha soltanto due valori (o + 1/2 o - 1/2). Va inoltre detto che la funzione d'onda di spin σ non è legata all'energia, che compete esclusivamente alla funzione d'onda spaziale Ψ. Va infine fatto notare che è la funzione d'onda spaziale Ψ che determina gli allineamenti degli spin e non viceversa.

(65) Si veda: G. Herzberg - Spettri atomici e struttura atomica - Boringhieri, 1961; pag. 129.

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MOLECOLE

(66) II principio di Pauli, nella formulazione che conoscevamo, era stato enunciato dallo stesso Pauli nel 1925. Questa seconda formulazione fu data, sempre da Pauli, nel 1927, subito dopo i primi importanti sviluppi della meccanica, ondulatoria e quantistica.

(67) Come abbiamo già accennato parlando delle forze ai London, quando abbiamo trattato del problema più generale delle forze di Van der Waals, in alcune circostanze c'è la possibilità di trovare delle molecole He2 .

(68) Per capire perché nella Tavola figurano dei prodotti tra funzioni d'onda complete, si rivedano i concetti elementari della probabilità composta. Qui, come esempio, diciamo solo che la prima funzione che figura nella Tavola rappresenta il verificarsi simultaneo dei seguenti eventi: elettrone 1 vicino al nucleo A con lo spin rivolto verso l'alto; elettrone 2 vicino al nucleo A con lo spin rivolto verso il basso; elettrone 3 vicino nucleo B con lo spin rivolto verso l'alto.

(69) Un analogo ragionamento può essere fatto per le ΨΙΙΙ e ΨIV che conducono alla medesima situazione

energetica. Si può anche facilmente mostrare che, ad esempio, la ΨI è anti simmetrica per lo scambio di due

elettroni tra di loro (soddisfa cioè la seconda formulazione del principio di Pauli) fatto che conferisce alla ΨΙ una configurazione stabile nella formazione della molecola.

(70) Si definisce come elettronegatività il potere di un atomo di una molecola di attrarre elettroni vicino a sé.

(71) Ricordiamo brevemente le limitazioni dei numeri quantici e spieghiamo perché m è sostituito, per le molecole, da λ. Si ha:

n = 1, 2, 3, ... , ∞

l = 0, 1, 2, ... , n - 1

λ = 0, ±1, ±2, ... , ± l

e, come si vede le cose stanno proprio come nel caso atomico. La sostituzione di m con λ si spiega subito ricordando che, nel caso atomico, m era il numero quantico che ci forniva la quantizzazione spaziale (il fatto cioè che l'orbita elettronica poteva essere orientata, rispetto ad un arbitrario asse di riferimento, solo lungo certi assi stabiliti, appunto, da m); si capisce bene che, nel caso molecolare (di una molecola biatomica, per fissare le idee), l'asse di riferimento non è più arbitrario ma sarà la linea congiungente i due nuclei: questo semplice fatto comporta un cambiamento di notazione da m a λ .

(72) L'abbreviazione L.C.A.O. sta per Linear Combinations of Atomic Orbitals ed è dovuta a Mulliken (1935).

(73) Ricordo che più è basso il valore dell'energia più il legame di una molecola è stabile.

(74) Le funzioni d'onda ψ+ e ψ− , nella teoria dell'orbitale molecolare, sono molto spesso indicate con ψg e

ψu . I subindici g ed u sono le iniziali delle parole tedesche gerade (= simmetrica) e ungerade (=

antisimmetrica) con riferimento appunto a proprietà di simmetria o antisimmetria spaziale delle stesse funzioni d'onda rispetto al centro della molecola (si veda più oltre). Allo scopo ricordiamo che una funzione f (x, y, z) è spazialmente simmetrica se risulta:

f (x, y, z) = f (-x, -y, -z);

è invece spazialmente antisimmetrica se risulta:

f ( x, y, z) = - f (-x, -y, -z).

Se x, y, z sono le coordinate di un elettrone è evidente l'estensione ad orbitali molecolari simmetrici o antisimmetrici di quanto detto per una generica funzione f(x, y, z).

(5) E proprio per questo l'orbitale molecolare è legante e, se sono rispettate le condizioni: di energie di ψA

e ψB confrontabili, di massima sovrapposizione di ψA e ψB e di simmetria di ψA e ψB rispetto all'asse

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molecolare originerà una molecola stabile.

(6) In definitiva, tra i due orbitali molecolari ψ+ e ψ- quello cui compete energia minore è ψ+ e di

conseguenza è l'unico orbitale molecolare da prendere in considerazione per la formazione di una molecola stabile (sempre se sono rispettate le condizioni ricordate nella nota precedente)

(7) Si possono trovare elettroni (al massimo 2, in accordo con Pauli) su un orbitale antilegante di tipo ψ-

solo quando l'orbitale legante è già pieno con i due elettroni che gli competono.

(8) Facciamo ora una considerazione complementare alla nota 74 nella quale abbiamo parlato di funzioni d'onda ψg simmetriche e ψu antisimmetriche rispetto al centro della molecola.

Premesso che simmetria e antisimmetria di un orbitale molecolare non devono essere confuse con il suo essere legante o antilegante (ci sono orbitali leganti sia simmetrici che antisimmetrici e, viceversa, ci sono orbitali antileganti sia simmetrici che antisimmetrici) studiamo un poco meglio la questione.

Cominciamo con il definire come asse molecolare la retta congiungente i due nuclei di una molecola biatomica:

A————B

Definiamo poi come centro della molecola il punto C che si trova a metà di A e B. Considerando ora un generico orbitale molecolare, si prenda una qualsiasi retta passante per il centro C della molecola. Questa retta incontrerà l'orbitale molecolare in due punti giacenti su semipiani opposti rispetto alla retta passante por A e B. Se in tali punti (chiamiamoli 1 e 2) la funzione d'onda ψ che descrive l'orbitale molecolare ha lo stesso segno, allora l'orbitale sarà simmetrico (g); se il segno è opposto allora l'orbitale sarà antisimmetrico (u). Operando in questo modo andiamo a studiarci la simmetria o antisimmetria degli orbitali molecolari che conosciamo (si riveda la figura 13):

Un'ultima nota sulla transizione degli elettroni da uno stato ad un altro. Si può dimostrare che sono possibili solo transizioni da uno stato g ad uno stato u e, viceversa , da uno stato u ad uno stato g; non sono invece

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possibili transizioni tra stati g e tr a stati u:

transizioni permesse g ->u u ->g

transizioni proibite g ->g u ->u

(79) Lo stesso Mulliken suggerì (1932) un'altra notazione, equivalente a quella data:

(K)zσ < (K)yσ < zσ < yσ < xσ < wπ = wπ < vπ = vπ < uσ

da cui si ricavano le seguenti identità:

(K)zσ = σ

(K)yσ = σ∗

zσ = σ 2s

yσ = σ∗2s

xσ = σ 2px

wπ = π 2py = π 2pz

vπ = π∗2py = π∗2pz

uσ = σ∗2px.

Sussistono poi anche queste altre identità:

(m)z = σ 3s

(m)y = σ∗3s

(m)x = σ 3px

(m)wπ = π 3py = π 3pz

(m)vπ = π∗3py = π 3pz

(m)u = σ∗3px

(80) In ogni caso, la sequenza più probabile sembra essere:

σ 3s < σ∗3s < π 3py = π 3pz < σ 3px < π∗3py < π∗3pz < σ∗3px .

(81) Si noti che alcune regole dette di selezione (che non abbiamo studiato) impediscono un passaggio diretto dell'elettrone dall'orbitale 1s al 2s (deve risultare ∆l = ± 1 ). E' però possibile, ad esempio, che l'elettro ne sia eccitato passando dal livello 1s al 3p e quindi, diseccitandosi parzialmente, passi dal 3p al 2s. Inoltre, una volta che l'elettrone è arrivato al 2s con il meccanismo ora esemplificato, poiché ancora le regole di selezione impediscono che dal 2s esso possa passare al livello 1s, lo stato 2s rimane occupato più del dovuto (stato metastabile) ed è quello, appunto, che permette il legame molecolare. Infine, all'interno di un campo elettrico sono possibili transizioni tra il livello 1s ed il 2s (e viceversa) anche se, in questo caso, risulta ∆l = 0.

(82) Si noti che a temperature fino a circa 800 °C si ha a che fare con molecole di zolfo S8; tra gli 800 °C ed i

2.000 °C si ha a che fare con molecole S2 di zolfo; al di sopra dei 2.000 °C si hanno atomi di zolfo.

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MOLECOLE

(83) Si tenga comunque conto che i due orbitali atomici, per formare un orbitale molecelare, debbono avere lo stesso numero quantico m.

(84) Si noti che, per quel che riguardava le molecole biatomiche omonucleari, il soddisfacimento della prima condizione implicava quello delle altre due. Ora invece le cose non stanno più così.

(85) Poiché qui avremo a che fare con combinazioni di orbitali atomici di tipo differente tra loro, ad evitare equivoci, useremo il simbolismo introdotto in nota 9 del precedente paragrafo.

(86) Si avrà sovrapposizione anche tra l'orbitale 1s dell'idrogeno e gli altri del fluoro, ma essa sarà minore. Calcoli più precisi dovrebbero tener conto anche di queste altre sovrapposizioni.

(87) L'orbitale molecolare di figura 18 b è di tipo σ poiché ha una forma analoga agli orbitali molecolari di tipo σ mostrati in figure 14 a e 14 b.

(88) Sperimentalmente si misura il momento di dipolo di una molecola e da esso si risale a k.

(89) L'elettronegatività, lo ricordo, è definita proprio da ciò che abbiamo detto. In modo più semplice si può dire che l'elettronegatività rappresenta il potere di un atomo di una molecola di attrarre elettroni. Si noti che il fluoro è il più elettronegativo tra gli elementi; esso è seguito dall'ossigeno, dal cloro e azoto, dal bromo, dal carbonio e zolfo, ... .

(90) Tra i 2p vi è però solo il 2px che può dare un contributo al legame molecolare, poiché per i 2py e 2 pz

vale quanto detto a proposito della figura 19.

(91) Si ricordi che il livello wπ è doppiamente degenere e quindi in esso possono prendere posto 4 elettroni.

(92) Il procedimento di cercare analogie tra molecole costituite dallo stesso numero di elettroni (isoelettroniche) è stato criticato nel 1947 da Long e Walsh.

(93) Quando detto ha trovato una verifica in un gran numero di esperienze spettroscopiche.

(94) Pauling (1931), per spiegare la stabilità delle molecole con un numero dispari di elettroni (tra cui, appunto, NO), introdusse un nuovo tipo di legame, quello detto a tre elettroni. Con un metodo diverso si arriva allo stesso risultato che fornisce il metodo O.M.

(95) Gli orbitali di tipo p sono direzionali contrariamente agli orbitali di tipo s; ed i legami che si formano tra orbitali direzionali sonno più forti di quelli localizzati indifferentemente in una qualunque direzione.

(96) E' indispensabile ricordare la differenza esistente tra livelli energetici e strati di livelli (K, L, M, ...); e mentre tra strato e strato vi è una notevole differenza di energia, la differenza di energia esistente tra livello e livello all'interno di un medesimo strato è relativamente picco la. L'elio, in particolare, ha lo strato K pieno; mentre al berillio manca no 6 elettroni per completare lo strato L. All'interno dello strato L, proprio per le piccole differenze di energia esistenti tra i livelli ivi presenti, sono facilmente realizzabili transizioni di elettroni da un livello ad un altro. Ciò non accade per transizioni dallo strato K allo strato L (caso dell'elio).

(97) Si osservi che la sovrapposizione per un orbitale ibrido è sempre maggiore di quanto non accada per orbitali di tipo s o p puri.

(98) Le forme cristalline in cui può esistere il ghiaccio sono diverse (come hanno mostrato studi condotti sotto la direzione di Bridgmann e lavori di Lonsdale del 1958). Tutte le forme cristalline del ghiaccio sono più dense dell'acqua, tranne il ghiaccio I che è meno denso proprio perché ha la struttura aperta (esagonale) mostrata in figura 26. A temperatura di - 80 °C il ghiaccio cristallizza nella forma cubica, come il diamante (si veda più avanti). E' proprio il legame idrogeno che favorisce la struttura aperta del ghiaccio I. Quando si ha una prevalenza di questo legame vuol dire che le molecole sono disposte in modo tale da formare un cristallo con ampi spazi vuoti. Una diversa orientazione delle molecole non permetterebbe l'esistenza del legame idrogeno.

(99) Ancora a 40 °C vi sono circa la metà dei legami idrogeno possibili che ciascuna molecola d'acqua utilizza ancora (e ciò è in accordo con il fatto, sostenuto nel 1933 da Bernal e Fowler, che l'acqua manterrebbe una struttura a legami idrogeno simile a quella del ghiaccio).

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MOLECOLE

(100) Come hanno mostrato Heath e Linnett nel 1948.

(101) E' una molecola che si osserva solo in particolari condizioni, quando si frammenta la molecola B2H6 di

diborano.

(102) Si noti che gli assi X, Y, Z del boro non devono necessariamente avere le stesse orientazioni degli assi x, y, z del fluoro.

(103) Si deve scartare il fatto che si formino 4 ibridi sp3 perché in questo caso la molecola non sarebbe più piana e perché non sarebbe rispettata la regola della massima sovrapposizione. Questa teoria fu proposta da Slater e Pauling nel 1931; quella che illustriamo nel testo fu proposta da Huckel nel 1930 e sviluppata da Penney nel 1934.

(104) Quando si parla di legame doppio si intende un legame di tipo σ ed un legame di tipo π. Altrimenti, se ci si vuol riferire a due legami di tipo σ si parla di due legami semplici.

Si noti che sperimentalmente si osserva che, nella molecola di acetilene, i due frammenti molecolari CH2 non

possono ruotare l'uno rispetto all'altro, come accadrebbe se si avesse a che fare con un legame semplice di tipo σ ; questo è uno dei fatti che induce a pensare all'esistenza di un altro tipo di legame, quello π .

(105) Gli orbitali π di cui si tratta, si trovano localizzati tra i due atomi di carbonio (questa precisazione è utile per quanto vedremo più avanti a proposito di orbitali delocalizzati.

Si ricordi che un legame π ha energia minore di un legame σ.

(106) II fatto che le possibili strutture sono 5 e che tutte le altre si possono far risalire a queste 5, fu mostrato nel 1935 da Van Vleck e Sherman. Riguardo poi le 5 strutture riportate, le prime due furono proposte da Kekulé nel 1865 e le ultime tre da Dewar, che per un poco di tempo fu suo allievo, qualche anno dopo.

(107) Anche se, in realtà, è stato mostrato che ogni struttura di Kekulé ha un peso del 39% mentre ogni struttura di Dewar ha un peso del 7%, fatto che indica la maggiore importanza delle strutture di Kekulé rispetto a quelle di Dewar (relativamente al contributo fornito all'energia di legame della molecola).

(108) L'idrogeno molecolare reagisce con il berillio solo ad alte temperature, formando la molecola BeH2.

(109) Approfitto dell'occasione per ricordare che se due (o più) sono le possibili strutture che noi utilizziamo per rappresentare una molecola, parlare di risonanza tra queste strutture significa solo dire che nessuna delle strutture rappresenta bene la situazione, la quale invece è meglio descritta dalla sovrapposizione (matematica) di tutte le possibili strutture (che sono solo dei modelli matematici senza alcuna realtà fisica).

(110) Si noti la differenza con gli ibridi: in quel caso si aveva mescolanza tra orbitali atomici e basta. Successivamente questi nuovi orbitali atomici, gli ibridi, andavano a formare legami con altri orbitali atomici.

(111) Le molecole aromatiche sono quelle i cui atomi componenti sono disposti ad anello chiuso. Si hanno invece molecole coniugate quando in esse sono presenti due doppi legami separati da un legame semplice; ad esempio il butadiene ha la seguente formula di struttura: CH2=CH—CH=CH2 .

(112) Molte delle cose che abbiamo detto nel paragrafo Alcune molecole biatomi che eteronucleari trattate con il metodo O.M. sono ancora perfettamente applicabili. Si vada a rileggere l'introduzione al paragrafo.

(113) Ricordiamo che gli orbitali atomici solo quando hanno lo stesso segno si possono comporre per dare orbitali molecolari leganti (allo scopo si rivedano le figure 13 e 14).

(114) Anche se nel carbonio non figura il 2pz (poiché privo di elettroni), esso è sempre presente.

(115) Con i subindici a e b abbiamo indicato i due diversi atomi di ossigeno.

(116) Come hanno mostrato Hückel (1937) e Coulson (1941).

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(117) Sono metalli gli elementi 3 e 4; 11,12 e 13; dal 19 al 31; dal 37 al 50; dal 55 all'84; dall'87 al 103. Sono non metalli gli elementi 1 e 2; dal 5 al 10; dal 14 al 18; il 35 e il 36; il 53e il 54; l'86. Hanno proprietà intermedie gli elementi 32, 33 e 34; 51 e 52; 85.

(118) Lo studio dei reticoli cristallini fu perfezionato, teoricamente e sperimentalmente, con l'introduzione dei metodi sperimentali: di diffrazione dei r ag gi X ad opera di M. von Laue (1912) e quindi di W.H. e W.L. Bragg (a parti re dal 1913); di diffrazione degli elettroni ad opera di Davisson e Germer (1927); di diffrazione dei neutroni ad opera di Zinn e svariati altri (1946).

(119) L'energia di legame in un cristallo è l'energia necessaria per separare il solido in atomi, molecole o ioni.

(120) II lavoro di Drude fa integrato dal contributo teorico di J.J. Thomson (1900), che ammise gli elettroni come portatori della corrente, e da quello sperimen tale di Riecke (1901), che mostrò quanto sostenuto da J.J. Thomson (un'es perienza più probante in questo senso fu realizzata nel 1916 da Tolman e Stewart).

(121) Riferendoci alla figura ed in breve, l'effetto Seebeck consiste nella produzione di una differenza di potenziale tra i punti A e B, quando le saldature C e D di una catena chiusa di conduttori di prima classe, sono a temperature

differenti. Viceversa, l'effetto Peltier consiste nel fatto che la saldatura di due metalli diversi che sia attraversata da una corrente elettrica si riscalda o si raffredda, a seconda del verso della corrente.

Si osservi che dall'accordo qualitativo della teoria di Drude—Lorentz si passa a quello quantitativo attraverso la termodinamica.

L'effetto termoionico consiste invece nell'emissione di elettroni da parte di metalli che siano opportunamente riscaldati. Questo effetto fu studiato da Edison (1881), Fleming (tra il 1890 e il1896) e Richardson (1912).

(122) La legge di Dulong e Petit afferma che all'aumentare della temperatura assoluta dal valore zero, il calore specifico dei solidi aumenta rapidamente fino a raggiungere un valore pressappoco costante che, per i metalli puri ad elevate temperature, è circa 3R (con R = costante universale dei gas). La trattazione teorica di Lorentz non era in accordo con questa legge, poiché prevedeva sempre il valore 3R per il calore specifico di un solido, anche a basse temperature (e la legge di Dulong e Petit è una legge empirica).

(123) Per una trattazione dell'argomento si può vedere R. Renzetti: Un possibile approccio alla teoria dell'elettrone libero ed alla teoria delle bande - Periodico di Matematiche, n° 1, gennaio-marzo 1981. Basti qui dire che la teoria dell'elettrone libero studia il moto di un elettrone nel cristallo partendo dall'ipotesi che esso sia immerso in un campo (prodotto dagli ioni e dagli altri elettroni) nullo e quindi in un potenziale costante; la teoria delle bande studia invece il moto dell'elettrone partendo dall'ipotesi che esso sia immerso in un campo e quindi in un potenziale periodico (la periodicità è originata dalla differenza di comportamento dell'elettrone quando si trova nelle vicinanze di uno ione rispetto a quando si trova tra due ioni). In definitiva la teoria delle bande è una trattazione più raffinata dello stesso problema.

(124) Il fatto che, in un metallo, ciascun atomo ha un gran numero di atomi che lo circondano, nel linguaggio della cristallografia (differente da quello della chimica), si suole esprimere dicendo che un metallo ha un

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elevato numero di coordinazione (per molti metalli, quelli che cristallizzano nel sistema esagonale o nel sistema cubico a facce centrate, questo numero è 12 per quelli che cristallizzano nel sistema cubico a corpo centrato questo numero è 8).

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