Camminiamo Insieme 5

88
Notiziario della parrocchia di S. Alessandro - PALADINA NUMERO 5 - APRILE 2016 CAMMINIAMO INSIEME non abbiate paura aprite le porte a cristo

description

Camminiamo Insieme - Numero 5

Transcript of Camminiamo Insieme 5

Notiziario della parrocchia

di S. Alessandro - PALADINA

NUMERO 5 - APRILE 2016

CAMMINIAMO INSIEME

non abbiate paura

aprite le porte a cristo

In quest’ultimo periodo, la cronaca e la politica sono concentrate su un unico argomento, quello relativo all’unione legale delle coppie omosessuali. Il che la dice lunga sulle priorità del Paese: quali opinioni, ad esempio, i nostri onorevoli abbiano in merito alle strategie di rilancio dell’industria del Paese, o a quelle di inanziamento alle Università che, attraverso la Ricerca e Sviluppo (R&S), fornirebbero quelle “tecnologie abilitanti” che alimenterebbero l’intero sistema produttivo industriale, innovando i processi, i prodotti e i servizi in tutti i settori economici dell’attività umana, stimolando in questo modo la crescita dell’Italia, oppure in merito alla regolamentazione del fenomeno dell’immigrazione, con politiche serie che coinvolgano il resto dei Paesi dell’Unione Europea.Quando dico questo, non voglio dire che l’esercizio e la salvaguardia dei diritti civili (tanto per gli omosessuali quanto per gli eterosessuali) non sia un tema importante, al contrario, solo che la questione non dovrebbe necessitare di tutte quelle lungaggini parlamentari, tipiche di chi non ha argomenti, o magari ne ha, ma risultano talmente banali da rasentare il ridicolo. Per rendere l’idea, è come far giocare a scacchi il campione del mondo contro un piccione; non importa quanto il giocatore sia bravo, il piccione rovescerà i pezzi per terra, cagherà sulla scacchiera e se ne andrà gonio in petto pensando di aver vinto. Pensate quando i piccioni sono due e si trovano l’uno di fronte all’altro a parlare di diritti! Sembra quasi che si voglia perder tempo in questa discussione perché non si hanno le capacità di impostare una strategia eficace per la tanto sospirata ripresa economica e per questo si vuole parlare d’altro. Ho detto sembra…In queste poche righe cercherò non di schierarmi in una speciica posizione, bensì di fornire, se possibile, qualche criterio per poter valutare il tema da buoni cristiani. Intendo “cristiani” nel senso etimologico forte, ossia “discepoli di Cristo”, “seguaci della Sua parola”, cosa che - mio malgrado - non è sempre così scontata. Innanzitutto la concezione di “diritti universali”, elencati nella Dichiarazione Universale del 10 dicembre 1948 e presenti nella maggior parte delle Costituzioni degli Stati di buona parte del mondo, sono di matrice “europea”. Con questa espressione, voglio sottolineare che la loro concezione deriva da una storia tipicamente cristiana secolarizzata, nella quale l’individuo è il soggetto e il fulcro di tutto il discorso. Non è banale, questo comporta infatti che le formazioni sociali garantite nella nostra Costituzione, siano esse di natura politica (art. 49), sindacale (art. 39), religiosa (art. 19), o famigliare (art. 29), sono concepite come mezzi di sviluppo della personalità dei singoli. Il ine ultimo è quindi sempre il singolo.

3

Voce del ParrocoEssere cristiani oggi: una

scelta di libertà responsabileIn quest’ultimo periodo, la cronaca e la poli-tica sono concentrate su un unico argomento, quello relativo all’unione legale delle coppie omosessuali. Il che la dice lunga sulle prio-

rità del Paese: quali opinioni, ad esempio, i nostri onorevoli abbiano in merito alle stra-

tegie di rilancio dell’industria del Paese, o a quelle di inanziamento alle Università che, attraverso la Ricerca e Sviluppo (R&S), for-

nirebbero quelle “tecnologie abilitanti” che alimenterebbero l’intero sistema produttivo industriale, innovando i processi, i prodotti e i servizi in tutti i settori economici dell’atti-vità umana, stimolando in questo modo la cre-

scita dell’Italia, oppure in merito alla regola-

mentazione del fenomeno dell’immigrazione, con politiche serie che coinvolgano il resto dei Paesi dell’Unione Europea.Quando dico questo, non voglio dire che l’e-

sercizio e la salvaguardia dei diritti civili (tanto per gli omosessuali quanto per gli ete-

rosessuali) non sia un tema importante, al contrario, solo che la questione non dovrebbe necessitare di tutte quelle lungaggini parla-

mentari, tipiche di chi non ha argomenti, o magari ne ha, ma risultano talmente banali da rasentare il ridicolo. Per rendere l’idea, è come far giocare a scacchi il campione del mondo contro un piccione; non importa quanto il giocatore sia bravo, il piccione rovescerà i pezzi per terra, cagherà sulla scacchiera e se ne andrà gonio in petto pensando di aver vinto. Pensate quando i pic-

cioni sono due e si trovano l’uno di fronte all’altro a parlare di diritti! Sembra quasi che si voglia perder tempo in questa discussione perché non si hanno le capacità di impostare una strategia eficace per la tanto sospirata ripresa economica e per questo si vuole parlare d’altro. Ho detto sembra…In queste poche righe cercherò non di schierarmi in una speciica posizione, bensì di for-

nire, se possibile, qualche criterio per poter valutare il tema da buoni cristiani. Intendo “cristiani” nel senso etimologico forte, ossia “discepoli di Cristo”, “seguaci della Sua pa-

rola”, cosa che - mio malgrado - non è sempre così scontata. Innanzitutto la concezione di “diritti universali”, elencati nella Dichiarazione Universale del 10 dicembre 1948 e presen-

ti nella maggior parte delle Costituzioni degli Stati di buona parte del mondo, sono di ma-

trice “europea”. Con questa espressione, voglio sottolineare che la loro concezione deriva da una storia tipicamente cristiana secolarizzata, nella quale l’individuo è il soggetto e il fulcro di tutto il discorso. Non è banale, questo comporta infatti che le formazioni sociali garantite nella nostra Costituzione, siano esse di natura politica (art. 49), sindacale (art. 39), religiosa (art. 19), o famigliare (art. 29), sono concepite come mezzi di sviluppo della personalità dei singoli. Il ine ultimo è quindi sempre il singolo.

CAMMINIAMO INSIEME

4 CAMMINIAMO INSIEME

Perciò, come afferma il ce-

leberrimo costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, “I di-ritti delle formazioni socia-

li non possono schiacciare quelli dei singoli che ne fan-

no parte”.E chi sono questi singoli, gli individui titolari di que-

sti diritti? Ogni cittadino. Anzi, ogni uomo, come ha voluto sottolineare il legi-slatore nell’interpretazione costituzionale di tale pas-

saggio. Quindi tutti: a pre-

scindere dal proprio genere, dalla proprio gruppo etnico, orientamento religioso, po-

litico e sessuale. Lo ripeto: tutti. Quindi una coppia omosessuale ha diritto di unirsi legalmente per vedersi riconosce-

re i propri diritti di coppia, quali l’eredità, la pensione e altro ancora. Punto. Qui inisce la discussione. E lo dico da cittadino italiano e cristiano cattolico. “Ma come? Ma l’omoses-

sualità è contro natura!”, mi dirà qualcuno. “E poi è peccato, lo dice la Bibbia” mi ricorderà qualcun’altro. Ecco, su questo passaggio è cosa buona e giusta spendere qualche parola, perché la natura non discrimina. Purtroppo lo fa l’uomo, invece.Apro la Bibbia e leggo: “L’omosessualità è un abominio” (Levitico 18,2). Questa è la giustiicazione “teologica” per cui tanti “cristiani” ritengono ingiusta e pecca-

minosa l’omosessualità. Ma, come qualche comico ci ha recentemente ricordato, sta anche scritto: “Chi lavora al sabato deve essere messo a morte” (Esodo 35,2). Cosa facciamo? Se l’interpretazione letterale dell’Antico testamento è la nostra argomentazione, dovrem-

mo agire di conseguenza. “Ma no! - mi diranno alcuni - È l’Antico testamento, mica tutto deve esser interpretato così”. Certo! Sono d’accordo: però mi si dovrebbe spiegare anche il criterio con il quale alcune cose vanno eseguite esattamente come sono scritte, mentre altre devono esser contestualizzate. Allora vado avanti con il Nuovo testamento, e trovo scritto: “La donna impari in silenzio, con tutta sottomissione. Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione. Essa potrà essere salvata partorendo igli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santiicazione, con modestia”. (S. Paolo, 1 Timoteo, 11-14)Cosa signiica questo? Che non è un caso che i preti, i custodi della Parola, per diventare tali devono studiare. Mica una passeggiata: domandate a qualche seminarista come sono gli esami di cristologia, ilosoia morale, esegesi biblica. Ve lo assicuro, sono veri scogli! E perché lo devono fare? Durante il Concilio di Trento (1545-1563), convocato per tutti i vescovi cattolici del mondo per discutere di argomenti riguardanti la vita della Chiesa cattolica e, in particolare, delle numerose eresie presenti e dello scisma protestante, fu approvato all’unanimità il decre-

to Cum adolescentium aetas che raccomandava l’erezione del seminario in ogni diocesi; questo sia per una motivazione pedagogica, ossia “per impedire alle cattive abitudini di

impadronirsi completamente dell’uomo” e “tendere allo scopo di formare veri pastori d’anime, sull’esempio di nostro Signore Gesù Cristo maestro, sacerdote e pastore”, sia per una motivazione teologica, quella che mi interessa dibattere in questo passaggio. La questione era subito emersa quando i padri tridentini avevano discusso dell’obbligo per i parroci di predicare almeno nelle domeniche e nei giorni di festa, stante la pressoché totale disattenzione per la predicazione (spesso delegata agli Ordini religiosi) e per la catechesi (con casi di analfabetismo religioso). La Chiesa aveva dunque avvertito lo scrupolo di provvedere alla formazione presbiterale, elaborando, di volta in volta, soluzioni idonee “a far fronte ai bisogni dei tempi”, poiché un’interpretazione non guidata e prettamente letterale del testo sacro aveva portato al sorgere di numerosissime eresie e interpretazioni fondamentaliste. Successivamente, con il sorgere delle Università, si sarebbero costituiti i collegi teologici, giuridici e delle arti, ai quali avrebbero fatto riferimento molti padri conciliari nelle loro discussione teologiche.Riassumendo: non basta leggere qualche versettino della Bibbia e riportarlo pari pari, senza una contestualizzazione storica, simbolica e teologica (in altre parole, senza una corretta ermeneutica del testo) per trovare delle risposte ai nostri quesiti. È un po’ la moda di oggi: voler ricevere delle risposte pratiche ed immediate ai problemi della vita quotidiana. Si o no, è lecito oppure no, è permesso oppure proibito. Ma la Bibbia non è un libro giuridico, è un libro di fede, e come tale va letto e interpretato. È un problema non solo del mondo cristiano, ma soprattutto del mondo islamico europeo: staccati dalle proprie tradizioni e dai propri ‘ulamā (gli studiosi del testo sacro), il musulmano ricerca nel Corano il modo corretto di essere tale leggendo e interpretando letteralmente quello che deve e non deve fare, gettando i semi di quello che noi chiamiamo neofondamentalismo. Ma non si fa così! La Parola di Dio, che è una parola eterna, assoluta, non relativizzabile, unica e immutabile, si esprime attraverso parole umane. Che non sono eterne, che non sono uniche, ma, al contrario, condizionate dalla propria cultura di appartenenza, dalla propria tradizione religiosa, dal proprio modo di rapportarsi al mondo, dal periodo storico nel quale sono percepite. La trascendenza si fa sempre immanenza nel momento in cui viene a contatto con gli uomini. Peraltro, questo è presente in modo molto esplicito nella Costituzione dogmatica del Dei Verbum del 1965, nella quale è ribadito che: “Le parole di Dio, espresse con lingue umane, si sono fatte simili al linguaggio degli uomini, come già il Verbo dell’eterno Padre, avendo assunto le debolezze dell’umana natura, si fece simile agli uomini” (DV13).Mi si chiederà: qual è allora la giusta interpretazione? Bisogna essere esegeti ed esperti del Sacro per essere buoni cristiani? Ovviamente no. Mica tutti hanno questo “buon tempo”. Però adoperare ogni tanto il buon senso, quello sì: è raccomandato. Già prendere in mano quel Libro non sarebbe male, almeno per leggere la Parola nel suo contesto, magari con l’aiuto del prete attraverso la catechesi (specie quella per gli adulti, che sono quelli che necessitano di più). E questo vale sia per la politica, sia per la storia: non prendiamo per Verità assoluta ciò che ci viene detto. Sulle questioni importanti, almeno cerchiamo di informarci un pochino, basta poco.

5CAMMINIAMO INSIEME

Perciò, come afferma il celeberrimo costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, “I diritti delle formazioni sociali non possono schiacciare quelli dei singoli che ne fanno parte”.E chi sono questi singoli, gli individui titolari di questi diritti? Ogni cittadino. Anzi, ogni uomo, come ha voluto sottolineare il legislatore nell’interpretazione costituzionale di tale passaggio. Quindi tutti: a prescindere dal proprio genere, dalla proprio gruppo etnico, orientamento religioso, politico e sessuale. Lo ripeto: tutti. Quindi una coppia omosessuale ha diritto di unirsi legalmente per vedersi riconoscere i propri diritti di coppia, quali l’eredità, la pensione e altro ancora. Punto. Qui inisce la discussione. E lo dico da cittadino italiano e cristiano cattolico. “Ma come? Ma l’omosessualità è contro natura!”, mi dirà qualcuno. “E poi è peccato, lo dice la Bibbia” mi ricorderà qualcun’altro. Ecco, su questo passaggio è cosa buona e giusta spendere qualche parola, perché la natura non discrimina. Purtroppo lo fa l’uomo, invece.Apro la Bibbia e leggo: “L’omosessualità è un abominio” (Levitico 18,2). Questa è la giustiicazione “teologica” per cui tanti “cristiani” ritengono ingiusta e peccaminosa l’omosessualità. Ma, come qualche comico ci ha recentemente ricordato, sta anche scritto: “Chi lavora al sabato deve essere messo a morte” (Esodo 35,2). Cosa facciamo? Se l’interpretazione letterale dell’Antico testamento è la nostra argomentazione, dovremmo agire di conseguenza. “Ma no! - mi diranno alcuni - È l’Antico testamento, mica tutto deve esser interpretato così”. Certo! Sono d’accordo: però mi si dovrebbe spiegare anche il criterio con il quale alcune cose vanno eseguite esattamente come sono scritte, mentre altre devono esser contestualizzate. Allora vado avanti con il Nuovo testamento, e trovo scritto: “La donna impari in silenzio, con tutta sottomissione. Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione. Essa potrà essere salvata partorendo igli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santiicazione, con modestia”. (S. Paolo, 1 Timoteo, 11-14)Cosa signiica questo? Che non è un caso che i preti, i custodi della Parola, per diventare tali devono studiare. Mica una passeggiata: domandate a qualche seminarista come sono gli esami di cristologia, ilosoia morale, esegesi biblica. Ve lo assicuro, sono veri scogli! E perché lo devono fare? Durante il Concilio di Trento (1545-1563), convocato per tutti i vescovi cattolici del mondo per discutere di argomenti riguardanti la vita della Chiesa cattolica e, in particolare, delle numerose eresie presenti e dello scisma protestante, fu approvato all’unanimità il decreto Cum adolescentium aetas che raccomandava l’erezione del seminario in ogni diocesi; questo sia per una motivazione pedagogica, ossia “per impedire alle cattive abitudini di

impadronirsi completamente dell’uomo” e “tendere allo scopo di formare veri pastori d’ani-me, sull’esempio di nostro Signore Gesù Cristo maestro, sacerdote e pastore”, sia per una motivazione teologica, quella che mi interessa dibattere in questo passaggio. La questione era subito emersa quando i padri tridentini avevano discusso dell’obbligo per i parroci di predicare almeno nelle domeniche e nei giorni di festa, stante la pressoché totale disat-

tenzione per la predicazione (spesso delegata agli Ordini religiosi) e per la catechesi (con casi di analfabetismo religioso). La Chiesa aveva dunque avvertito lo scrupolo di provvede-

re alla formazione presbiterale, elaborando, di volta in volta, soluzioni idonee “a far fronte ai bisogni dei tempi”, poiché un’interpretazione non guidata e prettamente letterale del testo sacro aveva portato al sorgere di numerosissime eresie e interpretazioni fondamen-

taliste. Successivamente, con il sorgere delle Università, si sarebbero costituiti i collegi teologici, giuridici e delle arti, ai quali avrebbero fatto riferimento molti padri conciliari nelle loro discussione teologiche.Riassumendo: non basta leggere qualche versettino della Bibbia e riportarlo pari pari, senza una contestualizzazione storica, simbolica e teologica (in altre parole, senza una corretta ermeneutica del testo) per trovare delle risposte ai nostri quesiti. È un po’ la moda di oggi: voler ricevere delle risposte pratiche ed immediate ai problemi della vita quotidiana. Si o no, è lecito oppure no, è permesso oppure proibito. Ma la Bibbia non è un libro giuridico, è un libro di fede, e come tale va letto e interpretato. È un problema non solo del mondo cristiano, ma soprattutto del mondo islamico europeo: staccati dalle proprie tradizioni e dai propri ‘ulamā (gli studiosi del testo sacro), il mu-

sulmano ricerca nel Corano il modo corretto di essere tale leggendo e interpretando let-

teralmente quello che deve e non deve fare, gettando i semi di quello che noi chiamiamo neofondamentalismo. Ma non si fa così! La Parola di Dio, che è una parola eterna, assoluta, non relativizzabile, unica e immutabile, si esprime attraverso parole umane. Che non sono eterne, che non sono uniche, ma, al contrario, condizionate dalla propria cultura di appar-

tenenza, dalla propria tradizione religiosa, dal proprio modo di rapportarsi al mondo, dal periodo storico nel quale sono percepite. La trascendenza si fa sempre immanenza nel momento in cui viene a contatto con gli uomini. Peraltro, questo è presente in modo molto esplicito nella Costituzione dogmatica del Dei Verbum del 1965, nella quale è ribadito che: “Le parole di Dio, espresse con lingue umane, si sono fatte simili al linguaggio degli uomini, come già il Verbo dell’eterno Padre, avendo assunto le debolezze dell’umana natura, si fece simile agli uomini” (DV13).Mi si chiederà: qual è allora la giusta interpretazione? Bisogna essere esegeti ed esperti del Sacro per essere buoni cristiani? Ovviamente no. Mica tutti hanno questo “buon tempo”. Però adoperare ogni tanto il buon senso, quello sì: è raccomandato. Già prendere in mano quel Libro non sarebbe male, almeno per leggere la Pa-

rola nel suo contesto, magari con l’aiuto del prete attraver-

so la catechesi (specie quella per gli adulti, che sono quelli che necessitano di più). E que-

sto vale sia per la politica, sia per la storia: non prendiamo per Verità assoluta ciò che ci viene detto. Sulle questioni importanti, almeno cerchiamo di informarci un pochino, ba-

sta poco.

6 CAMMINIAMO INSIEME

Nell’era di internet recepire informazioni è molto facile, se si vuole. Certo, un po’ di ac-

cortezza ci vuole, soprattutto perché bisogna sapere distinguere tra notizia falsa e vera. E non è così complicato: basta fare afidamento a quelle notizie pubblicate dai giornali na-

zionali (La Stampa, il Sole 24 ore, La Repubblica, Il Corriere) e non da siti poco attendibili, facilmente rintracciabili già a partire dal nome (cosechenessunomaitidirà.com, nocensura.com, italiapatriamia.com, negridimerda.com…).Perché il problema è serio quando manca cultura e informazione. Cicerone nel suo Bruto ci ricorda che la Repubblica romana conobbe la sua parabola dallo splendore dell’alba, quando si affermarono i boni oratores, i veri e-loquentes, provvisti cioè di eloquenza coniugata a sapienza, alla miseria della notte della Repubblica, quando prevalsero gli agitatori popo-

lari, i comunicatori da quattro soldi, i demagoghi, i dissertissimi homines, sprovvisti sia di eloquentia, sia di sapientia. Stiamo attenti a chi strumentalizza la storia, a chi utilizza l’opinione (doxa) presentandola come verità. La salvezza di un popolo passa attraverso la conoscenza: ricordiamocelo. Soprattutto in questa “democrazia digitale”, dove - come ri-cordava Eco – l’opinione di un Nobel viene presentata sullo stesso piano di quella di un im-

becille. E i politici attuali lo sanno bene e usano l’ignoranza del popolo per arrivare alla sua pancia e ottenere consenso e voti. Si capisce allora perché la politica italiana continui nel procedere con i suoi tagli all’istruzione e all’università, le sole istituzioni che hanno come principale compito quello di formare cittadini.Ma ritorniamo al problema di partenza. L’omosessualità è un peccato, un reato, un qualche cosa contro natura? Partiamo dall’ultimo punto: non è contro natura. È dimostrato infatti come in tutte le specie mammifere siano presenti esseri omosessuali (circa il 6%). Sarebbe contro-natura se riuscissero a igliare, questo sì! O se un ragno si accoppiasse con un topo. Ma essere attratti da persone dello stesso genere no, non lo è. Alcune persone nascono semplicemente così, come alcuni nascono con gli occhi azzurri o marroni, i capelli biondi o castani. Come alcuni uomini sono più effemminati di altri mentre alcune donne presentano caratteri più mascolini rispetto alla media. È però peccato? S. Paolo è l’unico che condanna esplicitamente l’omosessualità, ma abbiamo già detto come il suo pensiero sia da integrare nella cultura ebraica del tempo, soprattutto per quanto riguarda il rapporto di unione tra uomo e donna e tra uomo e uomo. Gesù invece non parla mai di omosessualità, se non in un passaggio: “Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: «È lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?». Ed egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi». Gli obiettarono: «Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e mandarla via?». Rispose loro Gesù: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un’altra commette adulterio». Gli dissero i discepoli: «Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non convie-

ne sposarsi». Egli rispose loro: «Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca».” (Mt 19,3-12)Ho voluto riprendere tutto l’intero passaggio, proprio per contestualizzare e cercare di fare un lavoro ermeneutico. Quella di Gesù è la classica igura profetico-carismatica che porta un messaggio nuovo, rivoluzionario, attraverso la formula “Sta scritto… ma io vi dico”. Non signiica che la Legge non vada rispettata, ma va veriicata la ragione per la quale è stata fatta, lo spirito e l’intenzione con la quale è stata scritta, pena la perdita del senso originario e la sua trasformazione in lettera morta. E qual è il cuore dell’insegnamen-

to di Gesù? “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato”: questo è il comandamento più

grande che deve diventare il paradigma di tutte le nostre azioni e decisioni. Non tutti sono uguali, e l’amore, malgrado “il Creatore da principio li creò maschio e femmina”, non si può contenere in rigide categorie, che non corrispondono alla realtà della vita concreta. Per cui “chi può capire, capisca”. Lo stesso S. Paolo, in merito all’amore, ci dice: “se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi l’amore, non sarei nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi l’amore, niente mi gioverebbe”. (1 Corinzi, 13, 2-3)Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose, nominato da papa Francesco Consultore al Pontiicio Consiglio per L’Unità dei Cristiani, ha recentemente affermato: “Se Cristo nel Vangelo parla del matrimonio come unione indissolubile, nulla dice in merito all’omosessualità. L’onestà, quindi, ci obbliga ad ammettere l’enigma, a lasciare il quesito senza una risposta. Su questo, io vorrei una Chiesa che, non potendo pronunciarsi, preferisca tacere. Che la Chiesa faccia il matrimonio per persone dello stesso sesso – ha concluso – è una cosa senza senso. Tuttavia, se lo Stato decide di regolarizzare una realtà affettiva, lasciamo fare, applicando la misericordia come vuole il Vangelo, non come la vogliamo noi.” Ritengo questa una dichiarazione non solo iglia di erudizione, ma soprattutto di buon senso. Lo vorrei ribadire: non si tratta quindi di permettere a due uomini il matrimonio. Esso implica infatti il generare dall’unione vita, cosa che due uomini o due donne non possono fare. Dirò di più: la stessa cosa vale anche per le coppie eterosessuali che vogliono sposarsi: se la loro intenzione è quella di non avere igli, non possono farlo. Perché non andrebbero a formare una famiglia, bensì una coppia.Passiamo allora al secondo tema scottante riguardo l’unione legale di due omosessuali, ossia la possibilità di ottenere adozione di igli, la cosiddetta Stepchild adoption. Attenzione: non si parla di “utero in afitto”, come qualche politicante da strapazzo in cerca di voti ha fatto intendere.

7CAMMINIAMO INSIEME

Nell’era di internet recepire informazioni è molto facile, se si vuole. Certo, un po’ di accortezza ci vuole, soprattutto perché bisogna sapere distinguere tra notizia falsa e vera. E non è così complicato: basta fare afidamento a quelle notizie pubblicate dai giornali nazionali (La Stampa, il Sole 24 ore, La Repubblica, Il Corriere) e non da siti poco attendibili, facilmente rintracciabili già a partire dal nome (cosechenessunomaitidirà.com, nocensura.com, italiapatriamia.com, negridimerda.com…).Perché il problema è serio quando manca cultura e informazione. Cicerone nel suo Bruto ci ricorda che la Repubblica romana conobbe la sua parabola dallo splendore dell’alba, quando si affermarono i boni oratores, i veri e-loquentes, provvisti cioè di eloquenza coniugata a sapienza, alla miseria della notte della Repubblica, quando prevalsero gli agitatori popolari, i comunicatori da quattro soldi, i demagoghi, i dissertissimi homines, sprovvisti sia di eloquentia, sia di sapientia. Stiamo attenti a chi strumentalizza la storia, a chi utilizza l’opinione (doxa) presentandola come verità. La salvezza di un popolo passa attraverso la conoscenza: ricordiamocelo. Soprattutto in questa “democrazia digitale”, dove - come ricordava Eco – l’opinione di un Nobel viene presentata sullo stesso piano di quella di un imbecille. E i politici attuali lo sanno bene e usano l’ignoranza del popolo per arrivare alla sua pancia e ottenere consenso e voti. Si capisce allora perché la politica italiana continui nel procedere con i suoi tagli all’istruzione e all’università, le sole istituzioni che hanno come principale compito quello di formare cittadini.Ma ritorniamo al problema di partenza. L’omosessualità è un peccato, un reato, un qualche cosa contro natura? Partiamo dall’ultimo punto: non è contro natura. È dimostrato infatti come in tutte le specie mammifere siano presenti esseri omosessuali (circa il 6%). Sarebbe contro-natura se riuscissero a igliare, questo sì! O se un ragno si accoppiasse con un topo. Ma essere attratti da persone dello stesso genere no, non lo è. Alcune persone nascono semplicemente così, come alcuni nascono con gli occhi azzurri o marroni, i capelli biondi o castani. Come alcuni uomini sono più effemminati di altri mentre alcune donne presentano caratteri più mascolini rispetto alla media. È però peccato? S. Paolo è l’unico che condanna esplicitamente l’omosessualità, ma abbiamo già detto come il suo pensiero sia da integrare nella cultura ebraica del tempo, soprattutto per quanto riguarda il rapporto di unione tra uomo e donna e tra uomo e uomo. Gesù invece non parla mai di omosessualità, se non in un passaggio: “Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: «È lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?». Ed egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi». Gli obiettarono: «Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e mandarla via?». Rispose loro Gesù: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un’altra commette adulterio». Gli dissero i discepoli: «Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi». Egli rispose loro: «Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca».” (Mt 19,3-12)Ho voluto riprendere tutto l’intero passaggio, proprio per contestualizzare e cercare di fare un lavoro ermeneutico. Quella di Gesù è la classica igura profetico-carismatica che porta un messaggio nuovo, rivoluzionario, attraverso la formula “Sta scritto… ma io vi dico”. Non signiica che la Legge non vada rispettata, ma va veriicata la ragione per la quale è stata fatta, lo spirito e l’intenzione con la quale è stata scritta, pena la perdita del senso originario e la sua trasformazione in lettera morta. E qual è il cuore dell’insegnamento di Gesù? “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato”: questo è il comandamento più

grande che deve diventare il paradigma di tutte le nostre azioni e decisioni. Non tutti sono uguali, e l’amore, malgrado “il Creatore da principio li creò maschio e femmina”, non si può contenere in rigide categorie, che non corrispondono alla realtà della vita concreta. Per cui “chi può capire, capisca”. Lo stesso S. Paolo, in merito all’amore, ci dice: “se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i mi-steri e tutta la scienza, e possedessi la pie-

nezza della fede così da trasportare le mon-

tagne, ma non avessi l’amore, non sarei nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi l’amore, niente mi gioverebbe”. (1 Corinzi, 13, 2-3)Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose, nominato da papa Francesco Consultore al Pontiicio Consiglio per L’Unità dei Cristiani, ha recentemente affermato: “Se Cristo nel Vangelo parla del matrimonio come unione indissolubile, nulla dice in merito all’omoses-

sualità. L’onestà, quindi, ci obbliga ad ammet-

tere l’enigma, a lasciare il quesito senza una risposta. Su questo, io vorrei una Chiesa che, non potendo pronunciarsi, preferisca tacere. Che la Chiesa faccia il matrimonio per per-

sone dello stesso sesso – ha concluso – è una cosa senza senso. Tuttavia, se lo Stato deci-de di regolarizzare una realtà affettiva, la-

sciamo fare, applicando la misericordia come vuole il Vangelo, non come la vogliamo noi.” Ritengo questa una dichiarazione non solo iglia di erudizione, ma soprattutto di buon senso. Lo vorrei ribadire: non si tratta quin-

di di permettere a due uomini il matrimonio. Esso implica infatti il generare dall’unione vita, cosa che due uomini o due donne non possono fare. Dirò di più: la stessa cosa vale anche per le coppie eterosessuali che voglio-

no sposarsi: se la loro intenzione è quella di non avere igli, non possono farlo. Perché non andrebbero a formare una famiglia, bensì una coppia.Passiamo allora al secondo tema scottante riguardo l’unione legale di due omosessuali, ossia la possibilità di ottenere adozione di i-

gli, la cosiddetta Stepchild adoption. Atten-

zione: non si parla di “utero in afitto”, come qualche politicante da strapazzo in cerca di voti ha fatto intendere.

8 CAMMINIAMO INSIEME

Questa legge, infatti, vieta e punisce espres-

samente la pratica della gestazione per altri; ma di questo parlerò dopo. Riguardo l’adozione di bambini ci si deve però intendere. La posizione della Chiesa, sotto i pon-

tiicati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, è stata chiara nel suo ri-iuto. Non per posizioni intransigenti e intolle-

ranti, “per partito pre-

so” come si suol dire, bensì per la ferma con-

vinzione che tra uomo e donna vi sono differen-

ze di natura biologica, e non solo storico-sociali, come la teoria gender afferma. Per cui, all’in-

terno della famiglia, un uomo e una donna hanno funzioni diverse e, allo stesso tempo, complementari. Qualsiasi psicologo dello sviluppo e dell’educazione affermerà il ruolo fondamentale ed unico, in una parola insostituibile, della madre nei primi sei anni di vita del iglio. Così come lo è quello paterno nell’adolescenza: guai a quei padri che vengono meno al loro compito in quella delicata fase!Anche in questo caso, il buon senso deve portarci ad analizzare con attenzione l’ideologia gender, contestualizzandola storicamente e politicamente. Essa comporta il riiuto dell’idea che l’identità sessuale sia iscritta nella natura, nei cromosomi, e che ciascuno possa decide-

re il proprio “genere”. La teoria del gender nasce a cavallo degli anni Settanta all’interno del movimento femminista, intendendo rinegoziare i conini tra il naturale e il sociale. Se non ci fosse stata differenza sessuale, se non ci fosse stata diversità fra gli esseri umani e tutti fossero stati uguali, infatti, non ci sarebbero state ragioni per negare alle donne l’emanci-

pazione. Come ha sottolineato la prof.ssa Lucetta Scarafia: “È stato come se, invece di chiedere uguali diritti nella diversità si volesse negare la diversità per fondare l’uguaglianza dei diritti”. Capito allora? Per un ine buono (la parità dei di-ritti), si sono adoperati mezzi (o argomentazioni) sbagliati. Il Papa attuale, però, ha preferito non prendere posizione. Anzi, a chi gli ha sottoposto il problema, ha risposto che la chiesa non debba par-

lare in continuazione di questi argomenti. Perché un simile atteggiamento?Alcuni giornalisti e commentatori cristiani, mio rammarico, si focalizzano sul disagio di parte della chiesa cattolica italiana di fronte a quella che è sembrata una nuova apertura del Papa argentino.

Su un articolo del Foglio si legge: “Il silenzio su questi temi del Papa - di un Papa che parla ogni giorno al mondo e ai fedeli - relega nell’irrilevanza, quantomeno mediatica, chi continua a farlo”. Siamo sicuri che Francesco non abbia a cuore questi temi? Su, siamo seri! Il suo silenzio va interpretato. Il Santo Padre non vuole una Chiesa esclusivista e chiusa. Al contrario; vuole una Chiesa aperta, tollerante, evangelica, testimone dell’amore di Cristo sulla croce. Questo continuare a porre divieti lo attanaglia, lo rattrista, gli fa chiudere lo stomaco. Inoltre, queste continue domande: “E giusto…? È sbagliato…?” sono evidentemente poste con l’intento maligno di esporlo all’errore. Un po’ come Gesù tra i Farisei. Un passo l’ho già citato, circa la possibilità di ripudiare la moglie (Mc 10, 1-12): se avesse risposto di no, avrebbe infranto la legge di Mosè; se avesse risposto di sì, sarebbe andato contro il suo messaggio di amore e perdono del prossimo. Per cui risponde con un’altra domanda: “non avete forse letto che…?” e poi da la nota soluzione che supera il doppio vincolo, aggiungendo “Per la durezza dei vostri cuori Mosè vi ha dato questa norma”. Anche nell’episodio del divieto di lavorare il giorno di sabato Gesù risponde alla domanda: “È lecito...?” con un’altra domanda: “E’ lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla?” e poi da la soluzione del doppio vincolo: “Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato”, aggiungendo: “Li guardò tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori”. (Mc 2, 13-28 e Mc 3, 1-6)Ci sarebbero tantissimi altri passaggi, come l’episodio della moneta a Cesare (Mc 12,13-17), ma il senso lo abbiamo capito. Ho voluto sottolineare due cose: le domande con il doppio vincolo e la durezza dei cuori della gente che interroga il Maestro. Mutatis mutandis Papa Francesco sui temi dell’adozione per le coppie omosessuali: se rispondesse di sì, verrebbe accusato di andare contro la dottrina dei suoi predecessori. Qualora rispondesse invece di no, gli sarebbe fatto notare come soffrano i bambini negli orfanotroi e come sicuramente vivrebbero un’infanzia più felice in una famiglia, anche composta da due papà o due mamme. Ci risiamo col doppio vincolo e la durezza dei cuori degli interlocutori. Per questo Francesco ha detto: smettiamola con queste domande! La Chiesa deve essere espressione dell’amore iliale del Padre per le sue creature. Il suo silenzio indica che l’ideale di famiglia è quella tradizionale per le stesse motivazioni sopra elencate, ma la vita ci dice che questa è una situazione ideale. Quante famiglie mono-genitoriali esistono, provocate da decessi prematuri o divorzi. Dunque?Dunque bisogna adoperare il buon senso, ossia quello che Gesù con la sua testimonianza di vita ci ha trasmesso. Buon senso che in inglese si traduce con common sense, ma che non corrisponde al senso comune. Il fatto che certe convinzioni fossero condivise da un gran numero di uomini, nelle tradizioni antiche, costituiva una garanzia della loro verità. Tuttavia, il senso comune, deinito con la locuzione consensus gentium (il consenso delle genti, dei popoli), venne interpretato in epoca successiva in maniera negativa come il risultato di un ingenuo e acritico approccio a questioni affrontate supericialmente. Il buon senso invece è il possesso di una visione sistemica di una certa situazione, che va al di là dell’analisi dei singoli fattori, percependo la loro relazione con gli altri elementi in gioco. È dunque la capacità naturale e istintiva di giudicare rettamente, soprattutto in vista delle necessità pratiche, ossia del contesto: in altre parole, il saper fare ermeneutica, in modo da trarre le regole morali ed etiche da utilizzare nel quotidiano.Vengo alla ine, e mi scuso se mi sono dilungato, ma ho ritenuto doveroso soffermarmi per apportare certe precisazioni. Lo so che questo può risultare tedioso nell’era dei talk show e dei social network, che obbligano a fornire spiegazioni al pubblico su temi di altissima complessità in 30 secondi o 140 caratteri.

9CAMMINIAMO INSIEME

Questa legge, infatti, vieta e punisce espressamente la pratica della gestazione per altri; ma di questo parlerò dopo. Riguardo l’adozione di bambini ci si deve però intendere. La posizione della Chiesa, sotto i pontiicati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, è stata chiara nel suo riiuto. Non per posizioni intransigenti e intolleranti, “per partito preso” come si suol dire, bensì per la ferma convinzione che tra uomo e donna vi sono differenze di natura biologica, e non solo storico-sociali, come la teoria gender afferma. Per cui, all’interno della famiglia, un uomo e una donna hanno funzioni diverse e, allo stesso tempo, complementari. Qualsiasi psicologo dello sviluppo e dell’educazione affermerà il ruolo fondamentale ed unico, in una parola insostituibile, della madre nei primi sei anni di vita del iglio. Così come lo è quello paterno nell’adolescenza: guai a quei padri che vengono meno al loro compito in quella delicata fase!Anche in questo caso, il buon senso deve portarci ad analizzare con attenzione l’ideologia gender, contestualizzandola storicamente e politicamente. Essa comporta il riiuto dell’idea che l’identità sessuale sia iscritta nella natura, nei cromosomi, e che ciascuno possa decidere il proprio “genere”. La teoria del gender nasce a cavallo degli anni Settanta all’interno del movimento femminista, intendendo rinegoziare i conini tra il naturale e il sociale. Se non ci fosse stata differenza sessuale, se non ci fosse stata diversità fra gli esseri umani e tutti fossero stati uguali, infatti, non ci sarebbero state ragioni per negare alle donne l’emanci

pazione. Come ha sottolineato la prof.ssa Lucetta Scarafia: “È stato come se, invece di chiedere uguali diritti nella diversità si volesse negare la diversità per fondare l’uguaglianza dei diritti”. Capito allora? Per un ine buono (la parità dei diritti), si sono adoperati mezzi (o argomentazioni) sbagliati. Il Papa attuale, però, ha preferito non prendere posizione. Anzi, a chi gli ha sottoposto il problema, ha risposto che la chiesa non debba parlare in continuazione di questi argomenti. Perché un simile atteggiamento?Alcuni giornalisti e commentatori cristiani, mio rammarico, si focalizzano sul disagio di parte della chiesa cattolica italiana di fronte a quella che è sembrata una nuova apertura del Papa argentino.

Su un articolo del Foglio si legge: “Il silenzio su questi temi del Papa - di un Papa che parla ogni giorno al mondo e ai fedeli - re-

lega nell’irrilevanza, quantomeno mediatica, chi continua a far-

lo”. Siamo sicuri che Francesco non abbia a cuore questi temi? Su, siamo seri! Il suo silenzio va interpretato. Il Santo Padre non vuole una Chiesa esclusivista e chiusa. Al contrario; vuole una Chiesa aperta, tollerante, evangelica, testimone dell’amore di Cristo sulla croce. Questo continuare a porre divieti lo atta-

naglia, lo rattrista, gli fa chiudere lo stomaco. Inoltre, queste continue domande: “E giusto…? È sbagliato…?” sono evidente-

mente poste con l’intento maligno di esporlo all’errore. Un po’ come Gesù tra i Farisei. Un passo l’ho già citato, circa la possi-bilità di ripudiare la moglie (Mc 10, 1-12): se avesse risposto di no, avrebbe infranto la legge di Mosè; se avesse risposto di sì, sarebbe andato contro il suo messaggio di amore e perdono del prossimo. Per cui risponde con un’altra domanda: “non avete forse letto che…?” e poi da la nota soluzione che supera il doppio vincolo, aggiungendo “Per la durezza dei vostri cuori Mosè vi ha dato questa norma”. Anche nell’episodio del divieto di lavorare il giorno di sabato Gesù risponde alla domanda: “È lecito...?” con un’altra domanda: “E’ lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla?” e poi da la soluzione del doppio vincolo: “Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato”, aggiungendo: “Li guardò tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori”. (Mc 2, 13-28 e Mc 3, 1-6)Ci sarebbero tantissimi altri passaggi, come l’episodio della moneta a Cesare (Mc 12,13-17), ma il senso lo abbiamo capito. Ho voluto sottolineare due cose: le domande con il doppio vincolo e la durezza dei cuori della gente che interroga il Maestro. Mutatis mutandis Papa Francesco sui temi dell’adozione per le coppie omosessuali: se rispondesse di sì, verrebbe accusato di andare contro la dottrina dei suoi predecessori. Qualora rispondesse invece di no, gli sarebbe fatto notare come soffrano i bambini negli orfanotroi e come sicuramente vivrebbero un’infanzia più felice in una famiglia, anche composta da due papà o due mamme. Ci risiamo col doppio vincolo e la durezza dei cuori de-

gli interlocutori. Per questo Francesco ha detto: smettiamola con queste domande! La Chiesa deve essere espressione dell’amore iliale del Padre per le sue creature. Il suo silenzio indica che l’ideale di famiglia è quella tradizionale per le stesse motivazioni sopra elencate, ma la vita ci dice che questa è una situazione ideale. Quante famiglie mono-geni-toriali esistono, provocate da decessi prematuri o divorzi. Dunque?Dunque bisogna adoperare il buon senso, ossia quello che Gesù con la sua testimonianza di vita ci ha trasmesso. Buon senso che in inglese si traduce con common sense, ma che non corrisponde al senso comune. Il fatto che certe convinzioni fossero condivise da un gran numero di uomini, nelle tradizioni antiche, costituiva una garanzia della loro verità. Tutta-

via, il senso comune, deinito con la locuzione consensus gentium (il consenso delle genti, dei popoli), venne interpretato in epoca successiva in maniera negativa come il risultato di un ingenuo e acritico approccio a questioni affrontate supericialmente. Il buon senso invece è il possesso di una visione sistemica di una certa situazione, che va al di là dell’analisi dei singoli fattori, percependo la loro relazione con gli altri elementi in gioco. È dunque la capacità naturale e istintiva di giudicare rettamente, soprattutto in vista delle necessità pratiche, ossia del contesto: in altre parole, il saper fare ermeneutica, in modo da trarre le regole morali ed etiche da utilizzare nel quotidiano.Vengo alla ine, e mi scuso se mi sono dilungato, ma ho ritenuto doveroso soffermarmi per apportare certe precisazioni. Lo so che questo può risultare tedioso nell’era dei talk show e dei social network, che obbligano a fornire spiegazioni al pubblico su temi di altissima complessità in 30 secondi o 140 caratteri.

10

2016 presso l’Istituto

CAMMINIAMO INSIEME

Ma non dimentichiamoci che è proprio in questo modo che si cerca di “non informare” la gen-

te, per renderla docile e vulnerabile agli agitatori politici di piazza e appetibile alle logiche di mercato. L’ultima rilessione riguarda la pratica dell’ “utero in afitto”, vietata nel nostro Paese, che l’ipocrisia del falso politically correct odierno ha scelto di chiamare, con discre-

zione, “maternità surrogata”.A un primo sguardo, sembrerebbe una benevola pratica emancipatrice: “La maternità sur-

rogata - si legge su ad esempio sul sito maternitasurrogata.info - permette di diventare genitore anche a chi non riesce a portare a termine una gravidanza, grazie ad una donna che accetta di affrontare gestazione e parto per altri”. In verità, la regolamentazione di tale trafico non è altro che il risultato della fredda logica del do ut des liberoscambista. Utero in afitto, merciicazione del corpo. Il vecchio slogan femminista “l’utero è mio e me lo gesti-sco io”, frutto di una stagione di giuste lotte e rivendicazioni dell’emancipazione femminile, è oggi stato storpiato nel suo senso originario. Oggi signiica nessun vincolo, nessun limite, nessuna religione: libertà da Dio e dalle vecchie morali borghesi. Ma il passo verso la schia-

vitù è breve: nell’immediato futuro, sarà la condizione socio-economica della donna a imporle di afittare il proprio utero per poter sopravvivere e arrivare a ine mese. Le donne indigenti diventeranno i luoghi futuri della maternità, di quella pratica che richiede troppa responsa-

bilità e fatica per la società di mercato e le sue carriere di manager rampanti. La logica del capitale è, in fondo, questa: abbattere ogni limite etico, morale e religioso, per poi imporre ovunque la legge dell’onnimerciicazione. “Tutto diventa merce” aveva avvertito Marx nel 1847. Perino l’utero, constatiamo noi oggi. Ecco perché – e concludo - Sandro Pertini, set-

timo Presidente della Repubblica Italiana, così soleva ripetere ai giovani che nelle scuole lo interrogavano: “Per me libertà e giustizia sociale, che poi sono le mete del socialismo, costi-tuiscono un binomio inscindibile: non vi può essere vera libertà senza giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà. Ecco, se a me socialista offrissero la realizzazione della riforma più radicale di carattere sociale, ma privandomi della libertà, io la riiuterei, non la potrei accettare. [...] Ma la libertà senza giustizia sociale può essere an-

che una conquista vana. Mi dica, in coscienza, lei può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha lavoro, che è umiliato perché non sa come man-

tenere i suoi igli e educarli? Questo non è un uomo libero. Sarà libero di bestemmiare, di imprecare, ma questa non è la libertà che intendo io”. Il iglio non è un possesso. È un dono: ricordiamocelo sempre. Buona Pasqua a tutti.

Don Vittorio

CAMMINIAMO INSIEME 11

Convegno

Convegno Missionario Ragazzi

Al Convegno Missionario Ragazzi, che si è tenuto Domenica 21 Febbraio 2016 presso l’Istituto Palazzolo e la Parrocchia di S. Alessandro in Colonna a Bergamo, hanno partecipato alcuni dei nostri ragazzi alle varie iniziative proposte concludendo con la S. Messa presieduta dal nostro Vescovo Francesco.

Signore,

don Sandra come te

è stato amico

dei bambini e dei ragazzi,

come te ha accarezzato imalatie chi era solo,

come te ha detto dolci parole

alle mamme e ai papà.

Gesù, don Sandra

ha camminato con te

nelle strade del mondo,

ha parlato di te

agli uomini di tutto il mondo,

ha lavorato e pregato

per tutti i poveri del mondo.

Aiuta, o Signore, anche noi

ad essere come lui missionari

che portano il vangelo

e amici dei più poveri.

Ma non dimentichiamoci che è proprio in questo modo che si cerca di “non informare” la gente, per renderla docile e vulnerabile agli agitatori politici di piazza e appetibile alle logiche di mercato. L’ultima rilessione riguarda la pratica dell’ “utero in afitto”, vietata nel nostro Paese, che l’ipocrisia del falso politically correct odierno ha scelto di chiamare, con discrezione, “maternità surrogata”.A un primo sguardo, sembrerebbe una benevola pratica emancipatrice: “La maternità surrogata - si legge su ad esempio sul sito maternitasurrogata.info - permette di diventare genitore anche a chi non riesce a portare a termine una gravidanza, grazie ad una donna che accetta di affrontare gestazione e parto per altri”. In verità, la regolamentazione di tale trafico non è altro che il risultato della fredda logica del do ut des liberoscambista. Utero in afitto, merciicazione del corpo. Il vecchio slogan femminista “l’utero è mio e me lo gestisco io”, frutto di una stagione di giuste lotte e rivendicazioni dell’emancipazione femminile, è oggi stato storpiato nel suo senso originario. Oggi signiica nessun vincolo, nessun limite, nessuna religione: libertà da Dio e dalle vecchie morali borghesi. Ma il passo verso la schiavitù è breve: nell’immediato futuro, sarà la condizione socio-economica della donna a imporle di afittare il proprio utero per poter sopravvivere e arrivare a ine mese. Le donne indigenti diventeranno i luoghi futuri della maternità, di quella pratica che richiede troppa responsabilità e fatica per la società di mercato e le sue carriere di manager rampanti. La logica del capitale è, in fondo, questa: abbattere ogni limite etico, morale e religioso, per poi imporre ovunque la legge dell’onnimerciicazione. “Tutto diventa merce” aveva avvertito Marx nel 1847. Perino l’utero, constatiamo noi oggi. Ecco perché – e concludo - Sandro Pertini, settimo Presidente della Repubblica Italiana, così soleva ripetere ai giovani che nelle scuole lo interrogavano: “Per me libertà e giustizia sociale, che poi sono le mete del socialismo, costituiscono un binomio inscindibile: non vi può essere vera libertà senza giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà. Ecco, se a me socialista offrissero la realizzazione della riforma più radicale di carattere sociale, ma privandomi della libertà, io la riiuterei, non la potrei accettare. [...] Ma la libertà senza giustizia sociale può essere anche una conquista vana. Mi dica, in coscienza, lei può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi igli e educarli? Questo non è un uomo libero. Sarà libero di bestemmiare, di imprecare, ma questa non è la libertà che intendo io”. Il iglio non è un possesso. È un dono: ricordiamocelo sempre. Buona Pasqua a tutti.

CAMMINIAMO INSIEME12

Beato Sandro Dordi

Padre Sandro, un beato tra noidi Giorgio Fornoni

C’erano più di 20 mila persone il 5 dicembre scorso nello stadio di Chimbote, nel nord del Perù, a 400 chilometri da Lima. Ma l’occasione non era sportiva. Una moltitudine di fedeli si era raccolta in quel luogo per celebrare la beatiicazione di un sacerdote italiano adottato dal popolo del Perù come un padre e un fratello. Alessandro Dordi, “don Sandro”, era stato ucciso dai killer di Sendero Luminoso il 25 agosto 1991 su una strada sterrata tra Vinzos e Santa. Nello stadio di Chimbote si è celebrata solennemente la sua beatiicazione, chiesta a gran voce dalla sua gente in dal giorno della sua barbara uccisione. Con lui sono diventati Beati, per intervento diretto di Papa Francesco, anche due sacerdoti polacchi uccisi qualche giorno prima, il 9 agosto di quello stesso anno.Ero presente anch’io quando il cardinale Amato, prefetto della Congregazione dei Santi, inviato dal Papa a celebrare la cerimonia, ha ricordato la i-

gura di don Sandro, partito da Gromo San Marino, una fra-

zione del comune di Gandelli-no, nell’alta Val Seriana. Erano presenti anche l’ambasciatore italiano in Perù, il sindaco di Gandellino, il fratello Alcide e tre nipoti, oltre a qualche ami-co. C’era il Vescovo di Berga-

mo, monsignor Beschi, c’erano soprattutto decine di altri ve-

scovi e centinaia di sacerdoti in rappresentanza di tutto il continente sudamericano. E di

fronte a questa partecipazione, così intensa e sentita, strideva il silenzio sull’evento che ha invece segnato lo stesso giorno qui da noi in Italia. C’è stata soltanto una Messa a Gromo San Marino, celebrata davanti a pochi anziani da monsignor Panilo, amico di padre Dordi all’epoca della sua missione in Svizzera. Niente altro, nessun addobbo, nessun suono a festa di campane, nessun giornalista, nessuna manifestazione nemmeno nel piccolo cimitero dove riposano le spoglie di un iglio della Val Seriana oggi salito sugli altari. A confronto, basta citare la delegazione di oltre duecento persone venute dalla Polonia per i loro frati, la diretta televisiva della beatiicazione con un ponte satellitare a Cracovia.Il momento più toccante e centrale nello stadio di Chimbote, è stata la lettura della lettera in latino che papa Franesco aveva consegnato al cardinal Amato, suo delegato alla consacrazione. Un documento che resterà nella storia della Chiesa, a testimonianza di un martirio dell’epoca moderna che ricorda i momenti più tragici e gloriosi di chi ha dato la propria vita per la fede cristiana. “Io do la mia vita per le mie pecore, come Gesù, il buon pastore” si leggeva su una delle lapidi poste nella cappella fatta erigere da monsignor Bambarèn (all’epoca vescovo di Chimbote) e dalla comunità dei fedeli nella chiesa di Santa. “Ho paura ad andare a Vinzos, perchè sento che oggi mi uccideranno. Ma io devo andare a celebrare la messa, perchè la mia gente mi aspetta”. Erano state queste, poste su un’altra lapide, le ultime parole di don Sandro Dordi prima di avviarsi in macchina sulla strada di Vinzos. Le circostanze stesse di quella morte annunciata hanno colpito in da subito il sentimento e il cuore delle 30 comunità che don Sandro seguiva nella sua missione in Perù. Ero presente quel giorno anche alla veglia che si tenne quasi 25 anni fa davanti alla bara aperta del sacerdote italiano ucciso, nella sua chiesa, a Santa. Un momento di una intensità e di una commozione che non potrò mai dimnenticare. C’era anche molta paura nell’aria, perchè in quegli anni i fanatici di Sendero Luminoso avevano steso una cappa di terrore e di violenza su tutto il paese. In particolare dove operava don Sandro, nel nord del Perù. I locali chiamavano “terrucos” gli estremisti più fanatici della guerriglia e questo termine era diventato un sinonimo di terrore in tutto il paese. “Yanki, il Perù sarà la tua tomba”, si leggeva sui lavatoi di Santa pochi giorni prima dell’esecuzione. I guerriglieri non accettavano che la Chiesa prendesse le parti dei civili coinvolti nei rastrellamenti e nelle sanguinarie operazioni militari di Sendero Luminoso, proclamando a gran voce un appello alla pace mentre era in corso una vera guerra aperta con il governo centrale. Anche i due frati francescani conventuali polacchi uccisi poche settimane prima erano rimasti vittime dello stesso clima di odio e di intimidazione.

13CAMMINIAMO INSIEME

i

C’erano più di 20 mila persone il 5 dicembre scorso nello stadio di Chimbote, nel nord del Perù, a 400 chilometri da Lima. Ma l’occasione non era sportiva. Una moltitudine di fedeli si era raccolta in quel luogo per celebrare la beatiicazione di un sacerdote italiano adottato dal popolo del Perù come un padre e un fratello. Alessandro Dordi, “don Sandro”, era stato ucciso dai killer di Sendero Luminoso il 25 agosto 1991 su una strada sterrata tra Vinzos e Santa. Nello stadio di Chimbote si è celebrata solennemente la sua beatiicazione, chiesta a gran voce dalla sua gente in dal giorno della sua barbara uccisione. Con lui sono diventati Beati, per intervento diretto di Papa Francesco, anche due sacerdoti polacchi uccisi qualche giorno prima, il 9 agosto di quello stesso anno.Ero presente anch’io quando il cardinale Amato, prefetto della Congregazione dei Santi, inviato dal Papa a celebrare la cerimonia, ha ricordato la igura di don Sandro, partito da Gromo San Marino, una frazione del comune di Gandellino, nell’alta Val Seriana. Erano presenti anche l’ambasciatore italiano in Perù, il sindaco di Gandellino, il fratello Alcide e tre nipoti, oltre a qualche amico. C’era il Vescovo di Bergamo, monsignor Beschi, c’erano soprattutto decine di altri vescovi e centinaia di sacerdoti in rappresentanza di tutto il continente sudamericano. E di

fronte a questa partecipazione, così intensa e sen-

tita, strideva il silenzio sull’evento che ha invece se-

gnato lo stesso giorno qui da noi in Italia. C’è stata soltanto una Messa a Gromo San Marino, celebrata davanti a pochi anziani da monsignor Panilo, amico di padre Dordi all’epoca della sua missione in Svizzera. Niente altro, nessun addobbo, nessun suono a festa di campane, nessun giornalista, nessuna mani-festazione nemmeno nel piccolo cimitero dove riposano le spoglie di un iglio della Val Seriana oggi salito sugli altari. A confronto, basta citare la delegazione di oltre duecen-

to persone venute dalla Polonia per i loro frati, la diretta televisiva della beatiicazione con un ponte satellitare a Cracovia.Il momento più toccante e centrale nello stadio di Chimbo-

te, è stata la lettura della lettera in latino che papa Fra-

nesco aveva consegnato al cardinal Amato, suo delegato alla consacrazione. Un documento che resterà nella storia della Chiesa, a testimonianza di un martirio dell’epoca mo-

derna che ricorda i momenti più tragici e gloriosi di chi ha dato la propria vita per la fede cristiana. “Io do la mia vita per le mie pecore, come Gesù, il buon pastore” si leggeva su una delle lapidi poste nella cappella fatta erigere da monsignor Bambarèn (all’epoca vescovo di Chimbote) e dalla comunità dei fedeli nella chiesa di Santa. “Ho paura ad andare a Vinzos, perchè sento che oggi mi uccideranno. Ma io devo andare a celebra-

re la messa, perchè la mia gente mi aspetta”. Erano state queste, poste su un’altra lapide, le ultime parole di don Sandro Dordi prima di avviarsi in macchina sulla strada di Vinzos. Le circostanze stesse di quella morte annunciata hanno colpito in da subito il sentimento e il cuore delle 30 comunità che don Sandro seguiva nella sua missione in Perù. Ero presente quel giorno anche alla veglia che si tenne quasi 25 anni fa davanti alla bara aperta del sacerdote italiano ucciso, nella sua chiesa, a Santa. Un momento di una intensità e di una commozione che non potrò mai dimnenticare. C’era anche molta paura nell’aria, perchè in quegli anni i fanatici di Sendero Luminoso avevano steso una cappa di terrore e di violenza su tutto il paese. In particolare dove operava don Sandro, nel nord del Perù. I locali chiamavano “terrucos” gli estremisti più fanatici della guerriglia e questo termine era di-ventato un sinonimo di terrore in tutto il paese. “Yanki, il Perù sarà la tua tomba”, si leggeva sui lavatoi di Santa pochi giorni prima dell’esecuzione. I guerriglieri non accettavano che la Chiesa prendesse le parti dei civili coinvolti nei rastrellamenti e nelle sanguinarie operazioni militari di Sendero Luminoso, proclamando a gran voce un appello alla pace mentre era in corso una vera guer-

ra aperta con il governo centrale. Anche i due frati francescani conventuali polacchi uccisi poche settimane prima erano rimasti vittime dello stesso clima di odio e di intimidazione.

CAMMINIAMO INSIEME14

“Noi non volevamo lasciarlo andare da solo” mi ha conidato nei giorni scorsi Orlando Orué, uno dei due catechisti che accompagnavano don Sandro in quel giorno fatale. “Avevamo paura, ma seguirlo in missione, con-

dividere il suo entusiasmo trascinante, era per noi anche un motivo di orgoglio e di gio-

ia. E’ per questo che siamo saliti in macchina con lui”. Quel pomeriggio del 25 agosto 1991, Don Sandro si stava recando con una vecchia Toyota nella solitaria frazione di Vinzos, dove era atteso una volta al mese per celebrare la messa. Dietro una curva, aveva trovato la

strada sbarrata da alcune grosse pietre e dovette fermarsi. Due terroristi bal-zarono armati fuori dai cespugli. “L’in-

tenzione era probabilmente quella di far salire padre Sandro sul retro della macchina”, ricordava l’altro catechista, Victor Tolentino. “Probabilmente voleva-

no ucciderlo subito dopo da qualche altra parte. Il padre non volle però muoversi. Si limitò ad alzare le braccia ripetendo la frase “No, per favore”. Nient’altro, solo queste parole ripetute tre volte: “No, per favore, no”. Lo tirarono fuori a forza e lui continuava a ripetere quelle parole. Poi l’assali¬tore fece due passi indietro, alzò la pistola ed esplose due colpi, alla testa e al cuore”. Tolentino era ancora sotto choc per quella terribile esperienza. “Ci fecero scendere”, ricordava. “Non ce l’abbiamo con voi, ma con i preti, ci dissero. Poi, inalmente, ci lasciarono lì sulla strada e sparirono a tutta velo-

cità con la macchina”.Per quasi vent’anni, la lotta armata dei rivoluzionari di Sendero Luminoso è stata l’incubo del Perù. Il movimento era nato ispirato dalla dottrina marxista, per combattere la corruzione e l’ingiusti-zia del governo centrale, ma era poi caduto in una spirale di violenza e atrocità che trovava come prima vittima proprio la popolazione civile. Gli abitanti dei villaggi più sperduti erano schiacciati tra le imposizioni di Sendero e la contro-

guerriglia dei militari governativi, senza alcuna possibilità di restare neutrali. Negli ultimi anni, si era creato anche un nefasto intreccio tra l’attività di Sendero Luminoso e il narcotrafico, che ruotava intorno alla coltivazione della coca. In questo scenario, i missionari apparivano come uno dei pochi punti di riferimento per una popolazione stremata e sottoposta a ininiti soprusi. I tre martiri di Sendero Luminoso, don Sandro Dordi e i frati Miguel Tomaseck e Zbigniew Str-

zalkowski, non sono gli unici beati proclamati quest’anno in Sudamerica. Nello stesso giorno, il 3 febbraio scorso, papa Francesco ha chiamato sugli altari anche monsignor Oscar Romero, assassi-nato durante la messa nella cattedrale di San Salvador il 24 marzo 1980. E’ lui forse la vittima più illustre della violenza contro la Chiesa di quegli anni terribili. La data del 25 agosto 1991, il giorno del martirio di padre Dordi, è entrata ormai nel calendario religioso della parrocchia di Santa. Per i poveri campesinos della valle di Chimbote, quella è ancora oggi la notte del dolore. Nel ricordo incancellabile di “padre Sandro”, il prete buono, il sacerdote di Gromo San Marino votato alla vita missionaria e alla causa degli ultimi della Terra, vittima dell’e-

stremismo fanatico del terrorismo.

Sono stato ancora una volta nei luoghi dove ha lavorato per 11 anni padre Dordi, impegnato a trasformare il Vangelo in una condivisione di vita e di speranza. In quei villaggi sperduti di fango e paglia, di gente povera legata alla terra, don Sandro aveva anche fatto costruire canali di irrigazione, dispensava consigli e prodotti per le loro coltivazioni, si prodigava lui stesso di persona senza mai tirarsi indietro di fronte alla fatica. Era questo il suo modo di intendere e proclamare l’annuncio del Vangelo. Quando ricevette le prime minacce, i suoi superiori gli avevano consigliato di allontanarsi dalla regione. Lo stesso monsignor Bambarén aveva ricevuto intimidazioni e minacce. Una bomba era addirittura scoppiata davanti alla porta della sua casa. In quella occasione, il vescovo di Chimbote aveva chiamato a raccolta tutti i religiosi della sua diocesi, invitandoli a lasciare la propria missione perchè troppo forte ed evidente era il pericolo. “Se non ve ne andate da qui uccideremo un sacerdote ogni settimana”, avevano intimato i guerriglieri. Ma don Sandro, come del resto tutti gli altri religiosi della diocesi, aveva invece deciso di restare. “Noi non possiamo abbandonare le nostre pecorelle quando il lupo si avvicina”, avevano risposto tutti con umiltà e ierezza.Nel luogo del martirio di don Sandro Dordi, c’è dal 1996 una piccola cappella color celeste. In quello stesso luogo, su una piccola spianata di terra al di là della strada, monsignor Bambarén, accompagnato dalla comunità di Santa ha deposto una pietra squadrata. Sarà la fondazione della nuova cappella che sorgerà nel ricordo incancellabile di quel sacerdote venuto da lontano. Accanto alla pietra ci sono oggi anche tanti iori, testimonianza della fede semplice e sincera di quanti hanno conosciuto e amato padre Sandro. Tornando a casa da quella lontana provincia peruviana, ho avuto modo di rilettere a lungo sul destino di padre Dordi. Amato, esaltato e gloriicato al di là dell’oceano, pressochè ignorato nella valle dalla quale era partito sulla spinta della sua vocazione, così forte da sacriicare addirittura la sua vita per gli altri. Ha lasciato il suo sangue

laggiù, in quella terra di missione, ma il suo corpo e il suo spirito sono ancora qui, nella valle dove era nato. Mi piacerebbe che anche in quel piccolo cimitero dove oggi riposa in pace ci fosse un ricordo tangibile della sua storia e del suo sacriicio. Perchè la sua coerenza, la sua dignità e la sua fede sono un patrimonio che appartiene a tutti noi, un esempio umano e sociale che unisce in un arcobaleno di luce e di gloria la nostra valle con i lontani villaggi ai piedi delle Ande che sono stati l’ultima ragione di vita di un santo dei nostri giorni.

15CAMMINIAMO INSIEME

“Noi non volevamo lasciarlo andare da solo” mi ha conidato nei giorni scorsi Orlando Orué, uno dei due catechisti che accompagnavano don Sandro in quel giorno fatale. “Avevamo paura, ma seguirlo in missione, condividere il suo entusiasmo trascinante, era per noi anche un motivo di orgoglio e di gioia. E’ per questo che siamo saliti in macchina con lui”. Quel pomeriggio del 25 agosto 1991, Don Sandro si stava recando con una vecchia Toyota nella solitaria frazione di Vinzos, dove era atteso una volta al mese per celebrare la messa. Dietro una curva, aveva trovato la

strada sbarrata da alcune grosse pietre e dovette fermarsi. Due terroristi balzarono armati fuori dai cespugli. “L’intenzione era probabilmente quella di far salire padre Sandro sul retro della macchina”, ricordava l’altro catechista, Victor Tolentino. “Probabilmente volevano ucciderlo subito dopo da qualche altra parte. Il padre non volle però muoversi. Si limitò ad alzare le braccia ripetendo la frase “No, per favore”. Nient’altro, solo queste parole ripetute tre volte: “No, per favore, no”. Lo tirarono fuori a forza e lui continuava a ripetere quelle parole. Poi l’assali¬tore fece due passi indietro, alzò la pistola ed esplose due colpi, alla testa e al cuore”. Tolentino era ancora sotto choc per quella terribile esperienza. “Ci fecero scendere”, ricordava. “Non ce l’abbiamo con voi, ma con i preti, ci dissero. Poi, inalmente, ci lasciarono lì sulla strada e sparirono a tutta velocità con la macchina”.Per quasi vent’anni, la lotta armata dei rivoluzionari di Sendero Luminoso è stata l’incubo del Perù. Il movimento era nato ispirato dalla dottrina marxista, per combattere la corruzione e l’ingiustizia del governo centrale, ma era poi caduto in una spirale di violenza e atrocità che trovava come prima vittima proprio la popolazione civile. Gli abitanti dei villaggi più sperduti erano schiacciati tra le imposizioni di Sendero e la controguerriglia dei militari governativi, senza alcuna possibilità di restare neutrali. Negli ultimi anni, si era creato anche un nefasto intreccio tra l’attività di Sendero Luminoso e il narcotrafico, che ruotava intorno alla coltivazione della coca. In questo scenario, i missionari apparivano come uno dei pochi punti di riferimento per una popolazione stremata e sottoposta a ininiti soprusi. I tre martiri di Sendero Luminoso, don Sandro Dordi e i frati Miguel Tomaseck e Zbigniew Strzalkowski, non sono gli unici beati proclamati quest’anno in Sudamerica. Nello stesso giorno, il 3 febbraio scorso, papa Francesco ha chiamato sugli altari anche monsignor Oscar Romero, assassinato durante la messa nella cattedrale di San Salvador il 24 marzo 1980. E’ lui forse la vittima più illustre della violenza contro la Chiesa di quegli anni terribili. La data del 25 agosto 1991, il giorno del martirio di padre Dordi, è entrata ormai nel calendario religioso della parrocchia di Santa. Per i poveri campesinos della valle di Chimbote, quella è ancora oggi la notte del dolore. Nel ricordo incancellabile di “padre Sandro”, il prete buono, il sacerdote di Gromo San Marino votato alla vita missionaria e alla causa degli ultimi della Terra, vittima dell’estremismo fanatico del terrorismo.

Sono stato ancora una volta nei luoghi dove ha lavorato per 11 anni padre Dordi, impegnato a trasformare il Vangelo in una condivisione di vita e di speran-

za. In quei villaggi sperduti di fango e paglia, di gente povera legata alla terra, don Sandro aveva anche fatto costruire ca-

nali di irrigazione, dispensava consigli e prodotti per le loro coltivazioni, si prodigava lui stesso di persona senza mai ti-rarsi indietro di fronte alla fa-

tica. Era questo il suo modo di intendere e proclamare l’annun-

cio del Vangelo. Quando ricevette le prime minacce, i suoi superiori gli avevano consigliato di allon-

tanarsi dalla regione. Lo stesso monsignor Bambarén aveva ricevuto intimidazioni e minacce. Una bomba era addirittura scoppiata davanti alla porta della sua casa. In quella occasione, il vescovo di Chimbote aveva chiamato a raccolta tutti i religiosi della sua diocesi, in-

vitandoli a lasciare la propria missione perchè troppo forte ed evidente era il pericolo. “Se non ve ne andate da qui uccideremo un sacerdote ogni settimana”, avevano intimato i guerriglieri. Ma don Sandro, come del resto tutti gli altri religiosi della diocesi, aveva invece deciso di restare. “Noi non possiamo abbandonare le nostre pecorelle quando il lupo si avvicina”, avevano risposto tutti con umiltà e ierezza.Nel luogo del martirio di don Sandro Dordi, c’è dal 1996 una piccola cappella color ce-

leste. In quello stesso luogo, su una piccola spianata di terra al di là della strada, mon-

signor Bambarén, accompagnato dalla comunità di Santa ha deposto una pietra squadrata. Sarà la fondazione della nuova cappella che sorgerà nel ricordo incancellabile di quel sacerdote venuto da lontano. Accanto alla pietra ci sono oggi anche tanti iori, testimonianza della fede semplice e sin-

cera di quanti hanno conosciuto e amato padre Sandro. Tornando a casa da quella lontana provincia peruviana, ho avuto modo di rilettere a lungo sul destino di padre Dordi. Amato, esaltato e glorii-

cato al di là dell’oceano, pressochè ignorato nella valle dalla quale era partito sulla spinta della sua vocazione, così forte da sacriicare addirittura la sua vita per gli altri. Ha lasciato il suo sangue

laggiù, in quella terra di missione, ma il suo corpo e il suo spirito sono ancora qui, nella val-le dove era nato. Mi piacerebbe che anche in quel piccolo cimitero dove oggi riposa in pace ci fosse un ricordo tangibile della sua storia e del suo sacriicio. Perchè la sua coerenza, la sua dignità e la sua fede sono un patrimonio che appartiene a tutti noi, un esempio umano e sociale che unisce in un arcobaleno di luce e di gloria la nostra valle con i lontani villaggi ai piedi delle Ande che sono stati l’ultima ragio-

ne di vita di un santo dei nostri giorni. Giorgio Fornoni

CAMMINIAMO INSIEME16

Gromo San Marino - Beato Sandro Dordi

Beato Sandro Dordi

I funerali di Don Sandro DordiCattedrale di Lima (Perù) Agosto 1991

CAMMINIAMO INSIEME 17

I funerali di Don Sandro DordiCattedrale di Lima (Perù) Agosto 1991

CAMMINIAMO INSIEME18

Don Antonio Seghezzi

Visita a Premolo, paese natale di don Seghezzi a cui è dedicato

il nostro oratorio

CAMMINIAMO INSIEME 19

o

CAMMINIAMO INSIEME20

La tragedia del Vajont sia un monito per rispettare il creato

La mattinata del 07/12/2015 destinazione Longarone e diga del Vajont che il giorno 09.10.1963 fece, a causa di una frana staccata dal Monte Toc fece 1910 vittime. Interessante la testimonianza di un abitante di Longarone sopravvissuto e di una guida lo-

cale che ci ha accompagnato sulla diga (immensa e paurosa nella sua dimensione nonostante sia riconosciuta come una meraviglia della tecnologia ingegneristica) e poi al cimitero monu-

mentale e museo di Fortogna, vicino a Longarone. Tutti hanno seguito in silenzio, in attento ascolto di quello che è successo quella sera in circa 10 minuti........che hanno spazzato via tutto.Rientro molto sereno, rilessivo in alcuni momenti perché ognuno di noi si è portato a casa questa frase “A Longarone e paesi limitroi ... quella sera del 9 Ottobre 1963 ... c’erano 1910 storie diverse .... che ebbero un unico agghiacciante inale”.Il 9 Ottobre del 1963 alle ore 22,39 un paese di una alta valle del Veneto, Longarone e altri 3 piccole frazioni limitrofe nella provincia di Belluno vengono inondate da 50 milioni di metri cubi di acqua e fango. E’ stata la più grande tragedia del dopoguerra italiano. Quattro paesi distrutti e 1918 persone persero la vita. Dopo 52 anni dalla tragedia, l’evento però non è da catalogare come una catastrofe naturale perché fu il risultato di irresponsabili e gravissime scelte di tecnici, politici e amministra-

tori del tempo ma è da mettere in relazione con la diga del Vajont che era stata realizzata qualche anno prima per alimentare una centrale elettrica.Si trattò dunque di un esempio emblematico di pessima gestione del territorio.Tra i protagonisti che tentarono di informare la pubblica opinione su quello che sarebbe potuto accadere e che poi accadde realmente è da ricordare Tina Merlin la giornalista

Foto diga Diga del Vajont prima della tragediacon una franagià evidente

dell’Unità che in un articolo del febbraio 1963, 8 mesi prima della tragedia, ipotizzò le conseguenze catastroiche di una possibile frana. Tina Merlin venne denunciata per pubblicazione di notizie false e tendenziose. Riportiamo la testimonianza di un signore che abbiamo incontrato di Longarone che quella sera ha perso tutta la sua famiglia.

21CAMMINIAMO INSIEME

La mattinata del 07/12/2015 destinazione Longarone e diga del Vajont che il giorno 09.10.1963 fece, a causa di una frana staccata dal Monte Toc fece 1910 vittime. Interessante la testimonianza di un abitante di Longarone sopravvissuto e di una guida locale che ci ha accompagnato sulla diga (immensa e paurosa nella sua dimensione nonostante sia riconosciuta come una meraviglia della tecnologia ingegneristica) e poi al cimitero monumentale e museo di Fortogna, vicino a Longarone. Tutti hanno seguito in silenzio, in attento ascolto di quello che è successo quella sera in circa 10 minuti........che hanno spazzato via tutto.Rientro molto sereno, rilessivo in alcuni momenti perché ognuno di noi si è portato a casa questa frase “A Longarone e paesi limitroi ... quella sera del 9 Ottobre 1963 ... c’erano 1910 storie diverse .... che ebbero un unico agghiacciante inale”.Il 9 Ottobre del 1963 alle ore 22,39 un paese di una alta valle del Veneto, Longarone e altri 3 piccole frazioni limitrofe nella provincia di Belluno vengono inondate da 50 milioni di metri cubi di acqua e fango. E’ stata la più grande tragedia del dopoguerra italiano. Quattro paesi distrutti e 1918 persone persero la vita. Dopo 52 anni dalla tragedia, l’evento però non è da catalogare come una catastrofe naturale perché fu il risultato di irresponsabili e gravissime scelte di tecnici, politici e amministratori del tempo ma è da mettere in relazione con la diga del Vajont che era stata realizzata qualche anno prima per alimentare una centrale elettrica.Si trattò dunque di un esempio emblematico di pessima gestione del territorio.Tra i protagonisti che tentarono di informare la pubblica opinione su quello che sarebbe potuto accadere e che poi accadde realmente è da ricordare Tina Merlin la giornalista

dell’Unità che in un articolo del febbraio 1963, 8 mesi prima della tragedia, ipotizzò le con-

seguenze catastroiche di una possibile frana. Tina Merlin venne denunciata per pubblica-

zione di notizie false e tendenziose. Riportiamo la testimonianza di un signore che abbiamo incontrato di Longarone che quella sera ha perso tutta la sua famiglia.

Diga del Vajont Tina Merlin

CAMMINIAMO INSIEME22

Testimonianza di un sopravvissuto alla tragedia della diga del Vajont

Carissimo don, io ho perso i miei genitori, papà, mamma, un fratello e una sorella. Il papà e la sorella li ho trovati mentre gli altri due mancano, non si sa dove siano. Non li hanno più trovati tenendo presente che alcuni corpi sono stati ritrovati a trenta chilometri di distanza. Don: Quanti anni avevano i suoi cari?Mio papà aveva 51 anni, mia mamma 41, mio fratello 14 e mia sorella 9. Mia sorella è stata estratta ancora viva dal fango e portata all’ospedale d’Agordo dove è morta.Don: Lei perché si è salvato?Io mi sono salvato perché con alcuni amici ero andato a Belluno a vedere un ilm.Don: L’acqua ha spazzato via il paese di Longarone. Fin dove è arrivata?L’acqua è arrivata ino a tre quarti di montagna alle spalle del paese e dove ora si vede il ponte in fondo valle ai piedi della diga, la potenza dell’acqua ha scavato un cratere profondo ottanta metri.Don: Il paese è stato ricostruito ancora dov’era?Volevano spostarci ma noi abbiamo voluto che fosse ricostruito dove era.Don: Perché è stata costruita questa diga in questo luogo? Non sapevano del pericolo di stacchi della montagna?Lo sapevano perché una frana era già successa due anni prima. Era il periodo in cui la SADE che era la proprietaria era in trattativa di vendita all’ENEL ente statale. In quel periodo stavano facendo le prove di invaso per veriicare la tenuta della diga, l’acqua era troppo alta e in quei giorni il lago era al massimo del livello per il collaudo per venderla. Don: E’ stata una tragedia improvvisa?No! Lo sapevano ma avevano fatto delle prove sostenendo che non c’erano dei pericoli e che non sarebbe successo niente.Don: Secondo lei è un crimine?È un crimine voluto.Don: Come mai questa montagna in veneto è chiamata monte TOC?I nostri vecchi chiamavano questa montagna: monte TOC che ha un duplice signiicato: TOC come pezzo di terra e TOC come marcio, cioè terra, roccia marcia - friabile che scivola sempre e come un gigante d’argilla bagnandogli i piedi cade.Don: Oggi pomeriggio quando celebrerò la S. Messa con i ragazzi che si stanno preparando alla Cresima ricorderemo tutte le vittime di questa tragedia in modo particolare i suoi geni-tori, il fratello e la sorellina.Grazie! Don: Chi è sopravvissuto come lei, ha avuto la grazia di continuare a vivere ma con il peso del ricordo di questa immane tragedia e il dolore per la morte dei propri cari, del proprio paese Longarone e dei paesi vicini. È stata dura, e lo è sempre anche perché la diga me la trovo di fronte ogni giorno quando mi alzo. La mia famiglia e tutti coloro che hanno perso la vita lasciano un vuoto incolmabile che neanche il tempo perché sono passati 52 anni può colmare. È un dolore viscerale, del cuore, della vita dei tuoi cari. Vede dove c’è il ponte, i geologi hanno calcolato che la massa uscita ha creato una voragine di ottanta metri e un’onda di acqua di 170 metri cubi di acqua che ha superato la diga di cento metri. Domanda di un ragazzo: C’è ancora l’acqua nella diga?

Nella diga oggi vi è tutta la montagna che è franata e scorre l’acqua del iume Vajont piccolo che è stata deviata. Qui attorno ci sono altre 5 dighe non di questa portata che conluivano tutte nel bacino del Vajont perché a valle c’era la più grande centrale idroelettrica.Don: Quanti sono stati i morti?A Longarone 1500 e 410 nei paesi di Erto, Casso e Castravazzo che oggi fa parte del comune di Longarone. È stata una tragedia immane con paesi distrutti, uno stravolgimento geologico immane e la morte di 1910 persone di ogni età oltre a chi era ancora nel grembo della mamma.Don: Grazie per la sua testimonianza e speriamo che questa tragedia sia un monito per tutti

a rispettare e amare il creato come ci ha ricordato recentemente papa Francesco con l’En

tiche rinnovabili e pulite in tutti i sensi e che certe tragedie non avvengano più. In questo il Signore perdoni tutti i crimini contro l’umanità e le ingiustizie di questo

mondo tra cui anche la tragedia del Vajont che interpella la coscienza anche delle istituzioni e dello stato a chiedere perdono anche se la vita delle persone non torna indietro e ad operare oggi con coscienza retta contro ogni forma di corruzione in tutte le dinamiche di costruzione e di rispetto del territorio, dei iumi e dei boschi, dell’aria e dell’acqua di fronte ai campanelli di allarme dei cambiamenti climatici. Come Papa Giovanni Paolo II ebbe il coraggio nel Giubileo del 2000 di chiedere perdono per gli errori commessi anche dalla chiesa, così in questo anno del GIUBILEO della MISERICORDIA chiediamo perdono di questo crimine che il tempo non cancella e non fermiamoci ai “mea culpa” ma facciamo sì che il monito di questa tragedia sia un richiamo ad agire con coscienza retta nella salvaguardia del creato e nel rispetto della vita di ogni uomo educando anche le nuove generazioni ad amare il creato, a costudirlo, difenderlo e rispettarlo.

CAMMINIAMO INSIEME 23

Carissimo don, io ho perso i miei genitori, papà, mamma, un fratello e una sorella. Il papà e la sorella li ho trovati mentre gli altri due mancano, non si sa dove siano. Non li hanno più trovati tenendo presente che alcuni corpi sono stati ritrovati a trenta chilometri di distanza.

Mio papà aveva 51 anni, mia mamma 41, mio fratello 14 e mia sorella 9. Mia sorella è stata estratta ancora viva dal fango e portata all’ospedale d’Agordo dove è morta.

Io mi sono salvato perché con alcuni amici ero andato a Belluno a vedere un ilm.Don: L’acqua ha spazzato via il paese di Longarone. Fin dove è arrivata?L’acqua è arrivata ino a tre quarti di montagna alle spalle del paese e dove ora si vede il ponte in fondo valle ai piedi della diga, la potenza dell’acqua ha scavato un cratere profondo ottanta metri.Don: Il paese è stato ricostruito ancora dov’era?Volevano spostarci ma noi abbiamo voluto che fosse ricostruito dove era.Don: Perché è stata costruita questa diga in questo luogo? Non sapevano del pericolo di

Lo sapevano perché una frana era già successa due anni prima. Era il periodo in cui la SADE che era la proprietaria era in trattativa di vendita all’ENEL ente statale. In quel periodo stavano facendo le prove di invaso per veriicare la tenuta della diga, l’acqua era troppo alta e in quei giorni il lago era al massimo del livello per il collaudo per venderla. Don: E’ stata una tragedia improvvisa?No! Lo sapevano ma avevano fatto delle prove sostenendo che non c’erano dei pericoli e che non sarebbe successo niente.

È un crimine voluto.Don: Come mai questa montagna in veneto è chiamata monte TOC?I nostri vecchi chiamavano questa montagna: monte TOC che ha un duplice signiicato: TOC come pezzo di terra e TOC come marcio, cioè terra, roccia marcia - friabile che scivola sempre e come un gigante d’argilla bagnandogli i piedi cade.

Oggi pomeriggio quando celebrerò la S. Messa con i ragazzi che si stanno preparando alla Cresima ricorderemo tutte le vittime di questa tragedia in modo particolare i suoi geni

Grazie!

ricordo di questa immane tragedia e il dolore per la morte dei propri cari, del proprio paese

È stata dura, e lo è sempre anche perché la diga me la trovo di fronte ogni giorno quando mi alzo. La mia famiglia e tutti coloro che hanno perso la vita lasciano un vuoto incolmabile che neanche il tempo perché sono passati 52 anni può colmare. È un dolore viscerale, del cuore, della vita dei tuoi cari. Vede dove c’è il ponte, i geologi hanno calcolato che la massa uscita ha creato una voragine di ottanta metri e un’onda di acqua di 170 metri cubi di acqua che ha superato la diga di cento metri. Domanda di un ragazzo: C’è ancora l’acqua nella diga?Nella diga oggi vi è tutta la montagna che è franata e scorre l’acqua del iume Vajont piccolo che è stata deviata. Qui attorno ci sono altre 5 dighe non di questa portata che conluivano tutte nel bacino del Vajont perché a valle c’era la più grande centrale idroelettrica.

A Longarone 1500 e 410 nei paesi di Erto, Casso e Castravazzo che oggi fa parte del comune di Longarone. È stata una tragedia immane con paesi distrutti, uno stravolgimento geologico immane e la morte di 1910 persone di ogni età oltre a chi era ancora nel grembo della mamma.

Grazie per la sua testimonianza e speriamo che questa tragedia sia un monito per tutti

a rispettare e amare il creato come ci ha ricordato recentemente papa Francesco con l’En-ciclica: Laudato Si, con progetti di sviluppo sostenibili anche nella ricerca di forme energe-tiche rinnovabili e pulite in tutti i sensi e che certe tragedie non avvengano più. In questo anno della misericordia il Signore perdoni tutti i crimini contro l’umanità e le ingiustizie di questo mondo tra cui anche la tragedia del Vajont che interpella la coscienza anche delle istituzioni e dello stato a chiedere perdono anche se la vita delle persone non torna indietro e ad operare oggi con coscienza retta contro ogni forma di corruzione in tutte le dinamiche di costruzione e di ri-spetto del territorio, dei iumi e dei boschi, dell’aria e dell’acqua di fronte ai campanelli di allarme dei cambiamenti climatici. Come Papa Giovanni Paolo II ebbe il coraggio nel Giubileo del 2000 di chiedere perdono per gli errori commessi anche dalla chiesa, così in questo anno del GIUBILEO della MISERICORDIA chiediamo perdono di questo crimine che il tempo non cancella e non fer-

miamoci ai “mea culpa” ma facciamo sì che il monito di questa tragedia sia un richiamo ad agire con coscienza retta nella salvaguardia del creato e nel rispetto della vita di ogni uomo educando anche le nuove generazioni ad amare il creato, a costudirlo, difenderlo e rispettarlo.

Statua della Madonna estratta dal fango - Chiesa di Longarone

CAMMINIAMO INSIEME24

ALBINO LUCIANI

PAPA GIOVANNI PAOLO I nei ricordi della nipote Pia

Visto che ho il piacere di parlare a dei ragazzi, vorrei dirvi che lo zio era un ra-

gazzo abbastanza vivace che combinava anche qualche marachella, come ad esem-

pio intrecciare le trecce delle compagne di scuola in modo tale che quando si alzavano si tiravano i capelli …! A parte questi scher-

zi, però, lui è sempre stato un ragazzo mol-to buono. Aveva un fratello, mio papà, più giovane di cinque anni. Un giorno, lo zio che aveva all’incirca otto anni, è stato mandato da una signora, che abitava a sette Km dal suo paese, per una commissione. Si era su-

bito dopo la 1a guerra mondiale, e in cambio di questo servizio la signora gli ha regalato un panino bianco. Lui, non appena l’ha avuto in mano, nonostan-

te avesse una gran fame come tutti i ragazzi del tempo, è tornato di corsa a casa tenen-

dosi stretto il panino, l’ha portato al fra-

tellino ed è rimasto, sorridente, a guardare mentre lo mangiava, felice di aver fatto un gesto generoso. Questo sta ad indicare che nonostante le marachelle che combinava, dentro di sé aveva già uno spirito di bontà che poi il Signore ha voluto indirizzare per le sue vie. E’ quindi entrato in seminario e ha fatto la sua strada. Io sono la più anzia-

na dei nipoti e quindi ho avuto la grazia e la fortuna di frequentarlo più spesso e mi ha sempre incoraggiato a comportarmi bene. Ricordo che mi suggeriva di pregare il Signore con queste parole: “Signore, prendimi come sono, con i miei difetti e con il mio peccato, ma fammi diventare come tu vuoi e anch’io voglio”. Per tutta la sua vita, in da bambino, lui si è sforzato di diventare sempre migliore, di aiutare sempre più la gente, di vivere sempre più in povertà. Ultimamente la suora che lo accudiva brontolava perché aveva i calzini con i buchi e la veste sdrucita, ma lui diceva di aggiustarli ancora una volta per risparmiare i soldi da dare ai poveretti … e quando andava in qualche parrocchia a visitare i malati, prima si informava e se sapeva che in qualche famiglia c’era un malato ed erano poveri, lui si chinava ad abbracciare il malato e di nascosto inilava una busta sotto il cuscino. Non aveva quasi mai i soldi in tasca, perché tutto ciò che riceveva lo donava a chi ne aveva bisogno. Avrei tantissime cose da raccontarvi ancora, ma mi soffermo su un particolare che mi ha sempre colpito di lui: la grande stima che aveva per le donne. Diceva che la donna è una risorsa, è qualcosa di grande! Questo suo modo di vedere la donna derivava certamente dalle esperienze che aveva vissuto in famiglia.

La mamma è stata una donna che ha avuto il coraggio di sposare un vedovo che aveva già due iglie sordomute, e a quei tempi era una grave disabilità, eppure lei si è presa cura di loro e degli altri igli mentre il marito era all’estero a lavorare. Una di queste ragazze, nonostante la sua disabilità è riuscita a far imparare a leggere il fratellino Albino di appena sei anni! Devo dire che mio zio è stato circondato da donne forti. La mamma al mattino svegliava Albino alle 4.30 e lo portava alla Messa delle 5.00!Ricordo anche che lo zio aveva uno spirito di umiltà grandissimo, amava circolare vestito solo con la talare, un po’ come l’attuale Papa Francesco, e già Patriarca di Venezia avrebbe evitato volentieri di vestire di rosso, come di regola vestono i cardinali. Era generoso e viveva ciò che Gesù ha insegnato: l’amore a Dio e al prossimo e uno stile di vita povero. So che voi ragazzi vi state preparando alla S. Cresima e allora vi auguro di riceverla con un senso di responsabilità. Lo zio un giorno ebbe a dirmi che la santità non è fatta di cose straordinarie, la santità è qualcosa di ordinario. Si diventa santi facendo ogni giorno il nostro dovere nel posto dove il Signore ci ha messo, con un occhio verso il Signore, che dobbiamo amare, e con un occhio verso le persone che ci stanno vicine e che dobbiamo aiutare. Una mamma che sacriica tutta la sua vita per curare il iglio handicappato, forse non si santiica? Un papà che lavora ogni giorno per mantenere la famiglia e lo fa con amore e sacriicio, forse non diventa santo? Ognuno diventa santo nel posto dove la provvidenza lo ha messo, facendo con onestà il proprio lavoro, amando Dio e gli altri.Gesù ci ha detto che c’è un unico comandamento: il comandamento dell’amore che dice: “AMA DIO CON TUTTO IL CUORE E CON TUTTA L’ANIMA E IL PROSSIMO COME TE STESSO”. Quindi se un compagno di scuola ha dificoltà si aiuta subito! Se un compagno viene preso in giro è da difendere! Penso che lo zio sia un santo in paradiso, ma per il momento dobbiamo aspettare che vada avanti il processo di Beatiicazione, in quanto sono stati raccolti tutti i documenti e le testimonianze in alcuni grossi volumi che si chiamano la “positio”. Adesso questo materiale sarà preso in visione e quando si deinirà che lui ha esercitato le virtù in maniera eroica e si prenderà atto di qualche miracolo, verrà proclamato Beato.

CAMMINIAMO INSIEME 25

ALBINO LUCIANI

Visto che ho il piacere di parlare a dei ragazzi, vorrei dirvi che lo zio era un ragazzo abbastanza vivace che combinava anche qualche marachella, come ad esempio intrecciare le trecce delle compagne di scuola in modo tale che quando si alzavano si tiravano i capelli …! A parte questi scherzi, però, lui è sempre stato un ragazzo molto buono. Aveva un fratello, mio papà, più giovane di cinque anni. Un giorno, lo zio che aveva all’incirca otto anni, è stato mandato da una signora, che abitava a sette Km dal suo paese, per una commissione. Si era subito dopo la 1a guerra mondiale, e in cambio di questo servizio la signora gli ha regalato un panino bianco. Lui, non appena l’ha avuto in mano, nonostante avesse una gran fame come tutti i ragazzi del tempo, è tornato di corsa a casa tenendosi stretto il panino, l’ha portato al fratellino ed è rimasto, sorridente, a guardare mentre lo mangiava, felice di aver fatto un gesto generoso. Questo sta ad indicare che nonostante le marachelle che combinava, dentro di sé aveva già uno spirito di bontà che poi il Signore ha voluto indirizzare per le sue vie. E’ quindi entrato in seminario e ha fatto la sua strada. Io sono la più anziana dei nipoti e quindi ho avuto la grazia e la fortuna di frequentarlo più spesso e mi ha sempre incoraggiato a comportarmi bene. Ricordo che mi suggeriva di pregare il Signore con queste parole:fammi diventare come tu vuoi e anch’io voglio”. Per tutta la sua vita, in da bambino, lui si è sforzato di diventare sempre migliore, di aiutare sempre più la gente, di vivere sempre più in povertà. Ultimamente la suora che lo accudiva brontolava perché aveva i calzini con i buchi e la veste sdrucita, ma lui diceva di aggiustarli ancora una volta per risparmiare i soldi da dare ai poveretti … e quando andava in qualche parrocchia a visitare i malati, prima si informava e se sapeva che in qualche famiglia c’era un malato ed erano poveri, lui si chinava ad abbracciare il malato e di nascosto inilava una busta sotto il cuscino. Non aveva quasi mai i soldi in tasca, perché tutto ciò che riceveva lo donava a chi ne aveva bisogno. Avrei tantissime cose da raccontarvi ancora, ma mi soffermo su un particolare che mi ha sempre colpito di lui: la grande stima che aveva per le donne. Diceva che la donna è una risorsa, è qualcosa di grande! Questo suo modo di vedere la donna derivava certamente dalle esperienze che aveva vissuto in famiglia.

La mamma è stata una donna che ha avuto il coraggio di sposare un vedovo che aveva già due iglie sordomute, e a quei tempi era una grave disabilità, eppure lei si è presa cura di loro e degli altri igli mentre il marito era all’estero a lavorare. Una di queste ragazze, no-

nostante la sua disabilità è riuscita a far imparare a leggere il fratellino Albino di appena sei anni! Devo dire che mio zio è stato circondato da donne forti. La mamma al mattino svegliava Albino alle 4.30 e lo portava alla Messa delle 5.00!Ricordo anche che lo zio aveva uno spirito di umil-tà grandissimo, amava circolare vestito solo con la talare, un po’ come l’attuale Papa Francesco, e già Patriarca di Venezia avrebbe evitato volen-

tieri di vestire di rosso, come di regola vestono i cardinali. Era generoso e viveva ciò che Gesù ha in-

segnato: l’amore a Dio e al prossimo e uno stile di vita povero. So che voi ragazzi vi state preparando alla S. Cresima e allora vi auguro di riceverla con un senso di re-

sponsabilità. Lo zio un giorno ebbe a dirmi che la santità non è fatta di cose straordinarie, la santità è qualcosa di ordinario. Si diventa santi facendo ogni giorno il nostro dovere nel posto dove il Signore ci ha messo, con un occhio verso il Signore, che dobbiamo amare, e con un occhio verso le persone che ci stanno vicine e che dobbiamo aiutare. Una mamma che sacriica tutta la sua vita per curare il iglio handicappato, forse non si santiica? Un papà che lavora ogni giorno per mantenere la famiglia e lo fa con amore e sacriicio, forse non diventa santo? Ognuno diventa santo nel posto dove la provvidenza lo ha messo, facendo con onestà il proprio lavoro, amando Dio e gli altri.Gesù ci ha detto che c’è un unico comandamento: il comandamento dell’amore che dice: “AMA DIO CON TUTTO IL CUORE E CON TUTTA L’ANIMA E IL PROSSIMO COME TE STESSO”. Quindi se un compagno di scuola ha dificoltà si aiuta subito! Se un compagno viene preso in giro è da difendere! Penso che lo zio sia un santo in para-

diso, ma per il momento dobbiamo aspettare che vada avanti il processo di Beatiicazione, in quanto sono stati raccolti tutti i do-

cumenti e le testi-monianze in alcuni grossi volumi che si chiamano la “posi-tio”. Adesso questo ma-

teriale sarà preso in visione e quando si deinirà che lui ha esercitato le virtù in maniera eroica e si prenderà atto di qualche miracolo, verrà proclamato Beato.

CAMMINIAMO INSIEME26

CANALE D’AGORDOPAESE NATALE DI PAPA

GIOVANNI PAOLO ISaluto da parte del parroco

Carissimi ragazzi e ragazze, oggi vi accolgo in questa chiesa, che è sta-

ta la chiesa dove Albino Luciani, il futuro Papa Giovanni Paolo I, tante volte ha pregato e celebrato l’Eu-

carestia, per condurvi alla scoper-

ta di alcuni “segni “ che ci parlano di lui.A questo Fonte Battesimale Albino è stato portato, appena due giorni dopo la sua nascita, per ricevere il Battesimo, anzi, per completare i riti del Battesimo, in quanto era già stato battezzato a casa appena nato perché era in pericolo di vita e come ben sapete, in caso di neces-

sità chiunque può versare l’acqua sulla testa del bambino e battez-

zarlo, e ciò accadeva spesso tanti anni fa. Proseguendo la nostra visi-ta, di particolare interesse è que-

sto altare, realizzato in occasione della visita di Papa Wojtyla, Papa Giovanni Paolo II, a Canale d’Agordo nel 1979, nel 1° anniversario dell’elezione di Papa Luciani. Lo scultore in quest’opera ha voluto rappresentare i momenti più importanti della vita di Papa Giovanni Paolo I, dalla sua infanzia e giovinezza ino al pontiicato. Ecco allora che possiamo vedere scolpito un ragazzo che porta al pascolo le mucche, perché Albino, di origini semplici e umili, andava a pascolare le mucche …Un giorno, ad alcuni ragazzi di Belluno, che come voi erano venuti in visita a Canale d’Agordo, ho fatto questa domanda: “COME E’ POSSIBILE CHE UN RAGAZZO CHE ANDAVA CON LE MUC-

CHE E’ DIVENTATO PAPA?” Una ragazzina, alzando la mano, mi ha risposto così: “E’ possibile, perché Dio non guarda a quello che uno fa, ma a quello che uno è”. Avete capito bene, ragazzi? Dio non guarda il lavoro che uno svolge, non guarda se ha una bella macchina, se è ricco … guarda quello che uno è nel cuore. Guardando ancora l’altare, possiamo vedere il piccolo Albino seduto sulle ginocchia della mamma Bortola, che gli fa catechismo. E’ sulle ginocchia della mamma, che ha appreso il catechismo di Pio X. Sono poi scolpiti altri momenti della vita del futuro Papa: da chierico mentre lui stesso fa catechismo, da Vescovo … ma veniamo alla scena centrale. E’ rafigurato Gesù nell’atto di donare le chiavi del “Regno dei cieli”, del pontiicato, a Papa Giovanni Paolo I, successore di Pietro. Se guardiamo a fondo la scena, possiamo scorgere due mani, una più grande dell’altra. Con una mano Gesù dona le chiavi, con l’altra, la più grossa, sostiene il Papa. Lo scultore ha voluto dire che

se Gesù ti dà un compito, è poi lì accanto a sostenerti. Ragazzi, forse un domani il Signore vi chiederà un compito di responsabilità e magari voi ne sentirete il peso … se così fosse, ricordatevi che Gesù è accanto e vi sostiene.Un altro segno che ci parla di Papa Giovanni Paolo I è la statua che lo scultore Cenedese ha intitolato.: l’UMILTA’, una virtù che non è facile rafigurare. Come ha fatto a comunicarci che Giovanni Paolo I era umile? L’ha fatto vestito da Papa, mentre afida la sua mitria ad un bambino. Il Papa è come se dicesse: sono un Vescovo semplice come un bambino. E’ questa umiltà che ha sempre colpito chi ha conosciuto Papa Giovanni Paolo I. E ogni anno, come avete fatto voi oggi, la gente viene in pellegrinaggio qui, in questo paese sperduto e sapete perché? Perché ha trovato in Papa Luciani una igura di cristiano umile, semplice, come è ora Papa Francesco. Accanto alla statua c’è l’immagine della Madonna di Czestochowa, non è un caso, è lì a ricordare che nel giorno in cui si festeggiava in Polonia la Madonna di Czestochowa, Albino Luciani veniva eletto Papa. Da ultimo vi faccio ammirare l’organo, è un organo di Gaetano Callido del 1800, ma nel corso degli anni ha subito diversi restauri. In occasione dell’inaugurazione, dopo uno dei tanti restauri, anche Albino Luciani, ormai patriarca di Venezia, era stato invitato, ma non potendo essere presente ha fatto pervenire un suo scritto che ora vi leggo:“A Canale io sono stato fanciullo di famiglia povera. Ma quando con i miei piccoli amici entravo in chiesa e sentivo suonare l’organo a piene canne, dimenticavo i miei poveri abiti, avevo l’impressione che l’organo salutasse me e i miei piccoli compagni come altrettanti principi … e io per la prima volta ho avuto l’intuizione di cos’è la Chiesa. La Chiesa non è solo qualcosa di grande, ma fa

grandi anche le persone più semplici”.Quale grande intuizione per un piccolo ragazzo semplice… Ed è la verità!Cari ragazzi, nel salutarvi chiedo a voi di ricordare sempre che davanti a Dio siamo tutti uguali, non c’è qualcuno più importante di altri, non c’è qualcuno che vale di più e qualcuno che vale di meno. Quando veniamo alla Chiesa siamo tutti principi, perché siamo tutti igli di quel Re che ha il volto di Gesù.

CAMMINIAMO INSIEME 27

Carissimi ragazzi e ragazze, oggi vi accolgo in questa chiesa, che è stata la chiesa dove Albino Luciani, il futuro Papa Giovanni Paolo I, tante volte ha pregato e celebrato l’Eucarestia, per condurvi alla scoperta di alcuni “segni “ che ci parlano di lui.A questo Fonte Battesimale Albino è stato portato, appena due giorni dopo la sua nascita, per ricevere il Battesimo, anzi, per completare i riti del Battesimo, in quanto era già stato battezzato a casa appena nato perché era in pericolo di vita e come ben sapete, in caso di necessità chiunque può versare l’acqua sulla testa del bambino e battezzarlo, e ciò accadeva spesso tanti anni fa. Proseguendo la nostra visita, di particolare interesse è questo altare, realizzato in occasione della visita di Papa Wojtyla, Papa Giovanni Paolo II, a Canale d’Agordo nel 1979, nel 1° anniversario dell’elezione di Papa Luciani. Lo scultore in quest’opera ha voluto rappresentare i momenti più importanti della vita di Papa Giovanni Paolo I, dalla sua infanzia e giovinezza ino al pontiicato. Ecco allora che possiamo vedere scolpito un ragazzo che porta al pascolo le mucche, perché Albino, di origini semplici e umili, andava a pascolare le mucche …Un giorno, ad alcuni ragazzi di Belluno, che come voi erano venuti in visita a Canale d’Agordo, ho fatto questa domanda: “COME E’ POSSIBILE CHE UN RAGAZZO CHE ANDAVA CON LE MUCCHE E’ DIVENTATO PAPA?” Una ragazzina, alzando la mano, mi ha risposto così: “E’ possibile, perché Dio non guarda a quello che uno fa, ma a quello che uno è”. Avete capito bene, ragazzi? Dio non guarda il lavoro che uno svolge, non guarda se ha una bella macchina, se è ricco … guarda quello che uno è nel cuore. Guardando ancora l’altare, possiamo vedere il piccolo Albino seduto sulle ginocchia della mamma Bortola, che gli fa catechismo. E’ sulle ginocchia della mamma, che ha appreso il catechismo di Pio X. Sono poi scolpiti altri momenti della vita del futuro Papa: da chierico mentre lui stesso fa catechismo, da Vescovo … ma veniamo alla scena centrale. E’ rafigurato Gesù nell’atto di donare le chiavi del “Regno dei cieli”, del pontiicato, a Papa Giovanni Paolo I, successore di Pietro. Se guardiamo a fondo la scena, possiamo scorgere due mani, una più grande dell’altra. Con una mano Gesù dona le chiavi, con l’altra, la più grossa, sostiene il Papa. Lo scultore ha voluto dire che

se Gesù ti dà un compito, è poi lì accanto a so-

stenerti. Ragazzi, forse un domani il Signore vi chiederà un compito di responsabilità e magari voi ne sentirete il peso … se così fosse, ricorda-

tevi che Gesù è accanto e vi sostiene.Un altro segno che ci parla di Papa Giovanni Pa-

olo I è la statua che lo scultore Cenedese ha in-

titolato.: l’UMILTA’, una virtù che non è facile rafigurare. Come ha fatto a comunicarci che Giovanni Paolo I era umile? L’ha fatto vestito da Papa, men-

tre afida la sua mitria ad un bambino. Il Papa è come se dicesse: sono un Vescovo semplice come un bambino. E’ questa umiltà che ha sem-

pre colpito chi ha conosciuto Papa Giovanni Pa-

olo I. E ogni anno, come avete fatto voi oggi, la gente viene in pellegrinaggio qui, in questo paese sperduto e sapete perché? Perché ha trovato in Papa Luciani una igura di cristiano umile, semplice, come è ora Papa Francesco. Accanto alla statua c’è l’immagine della Ma-

donna di Czestochowa, non è un caso, è lì a ricordare che nel giorno in cui si festeggiava in Polonia la Madonna di Czestochowa, Albino Luciani veniva eletto Papa. Da ultimo vi fac-

cio ammirare l’organo, è un organo di Gaeta-

no Callido del 1800, ma nel corso degli anni ha subito diversi restauri. In occasione dell’inaugurazione, dopo uno dei tanti restauri, anche Albino Luciani, ormai patriarca di Venezia, era stato invitato, ma non potendo essere presente ha fatto pervenire un suo scritto che ora vi leggo:“A Canale io sono stato fanciullo di famiglia povera. Ma quando con i miei piccoli amici entravo in chiesa e sentivo suonare l’organo a piene canne, dimenticavo i miei poveri abiti, avevo l’impres-

sione che l’organo salutasse me e i miei piccoli compagni come altrettanti principi … e io per la prima volta ho avuto l’intuizione di cos’è la Chiesa. La Chiesa non è solo qualcosa di grande, ma fa

grandi anche le persone più semplici”.Quale grande intuizione per un piccolo ragazzo semplice… Ed è la verità!Cari ragazzi, nel salutarvi chiedo a voi di ricordare sempre che davanti a Dio siamo tutti uguali, non c’è qualcuno più importante di altri, non c’è qualcuno che vale di più e qualcuno che vale di meno. Quando veniamo alla Chiesa siamo tutti princi-pi, perché siamo tutti igli di quel Re che ha il volto di Gesù.

CAMMINIAMO INSIEME28

Vorrei raccontarvi un viaggio a cui tenevo tanto e che ho potuto compiere grazie all’impegno di 13 amici: il viaggio in Terra Santa. Sono partita da Orio e, arrivata a Tel Aviv, c’era un pulmino che ci ha portato in tutti i posti più importanti, e così sono stata a Nazareth , Cafarnao, Betlemme, Betania … I luoghi che mi hanno colpito di più sono stati: Nazareth e Betlemme. A Nazareth, davanti ai resti della casa di Maria c’è la chiesa dell’Annunciazione, costruita su più livelli, e nella parte sotterranea c’è quello che è il resto della casa di Maria, dove, la tradizione racconta, che lei ha incontrato l’arcangelo Gabriele che le portava l’annuncio della nascita di Gesù e dove lei ha accettato qualcosa che veniva dall’alto. Ho pensato a come il sì di questa ragazzina – era poco più grande di voi – ha cambiato anche la mia storia, ha parlato all’umanità di un messaggio d’amore, di solidarietà, la sua accoglienza di Gesù ha cambiato la storia di tutti noi. Noi tutti adesso siamo qui perché lei ha detto sì, altrimenti sarebbe tutta un’altra storia. E’ per questo che per me è stata un’emozione fortissima. Un altro luogo per me molto bello è stata Betlemme, dove ho visitato il Caritas baby hospital, che è un centro dove vengono accolti e curati i bambini più poveri che non hanno un’assistenza regolare. Quando ho visto i bambini ricoverati ho pensato quanto la loro situazione sia molto più pesante della mia, perché io in Italia, anche se ho molte dificoltà, ho anche tanto aiuto, ho anche delle risposte concrete. Ho potuto studiare, posso avere le cure, ho attorno tanti amici … questi bambini invece non avevano le stesse opportunità. Ho pensato che sarebbe stato bello poter fare qualcosa per loro, non avevo idee, ma qualche mese dopo un’amica mi ha regalato delle matite colorate, degli album. Questo mi ha incitato a riprendere a disegnare e ho cominciato a disegnare piccole Madonne e Gesù Bambini e ho fatto un banco vendita, con il quale sono riuscita -nonostante le mie mani si muovano pochissimo – a mandare un aiuto nel 2012. Per me è stato il momento della gioia, il momento in cui ho scoperto che le risorse e la creatività possono portare a trovare le soluzioni per aiutare gli altri. Non è detto che se noi abbiamo dei limiti non possiamo fare qualcosa per chi ci è accanto. Anche se le mani si muovono poco, come sentite la lingua mi rimane, ma ho ancora anche le orecchie. Adesso quello che io posso fare è ascoltare. Le persone, in questo mondo che va di fretta, hanno bisogno di essere ascoltate, di essere accolte e questo è un lavoro che penso di poter fare ancora a lungo. Il rendermi conto di questo diventa un sentire che la vita ha molte opportunità nonostante i limiti. Tutti abbiamo dei limiti, ma tutti abbiamo delle possibilità di essere a disposizione di chi ci è accanto. Il rendersi conto che si può ancora fare qualcosa per gli altri è una delle realtà che ci fa stare bene. Allora la nostra vita ha signiicato, ha senso ancora di più, anche se la mia esperienza mi ha portato a vedere che i signiicati e i valori delle persone sono al di là di quello che noi possiamo fare, sono anche in persone che a noi sembrano senza possibilità. Ricordo un istituto dove c’erano bambine che non riuscivano a parlare, a comunicare, a dire ciò che stavano sentendo o percependo, ma erano al centro di un amore e di un’attenzione che diventavano doni preziosi proprio per quello che la loro presenza muoveva: tante esperienze di solidarietà, di attenzione e di affetto. Faccio ora un passo indietro e vi racconto un po’ di me e della mia malattia.Io non ho mai camminato, però da piccola gattonavo, come tutti i bambini, ma quando avrei dovuto alzarmi in piedi e muovere i primi passi ci si è resi conto che non era così, che anzi le forze le perdevo invece di aumentarle e che invece di imparare a stare in equilibrio cadevo …

CAMMINIAMO INSIEME 29

Cecilia incontra i ragazzi della Cresima

Vorrei raccontarvi un viaggio a cui tenevo tanto e che ho potuto compiere grazie all’impegno di 13 amici: il viaggio in Terra Santa. Sono partita da Orio e, arrivata a Tel Aviv, c’era un pulmino che ci ha portato in tutti i posti più importanti, e così sono stata a Nazareth , Cafarnao, Bet-

lemme, Betania … I luoghi che mi hanno colpi-to di più sono stati: Nazareth e Betlemme. A Nazareth, davanti ai resti della casa di Maria c’è la chiesa dell’Annunciazione, costruita su più livelli, e nella parte sotterranea c’è quello che è il resto della casa di Maria, dove, la tradizio-

ne racconta, che lei ha incontrato l’arcangelo Gabriele che le portava l’annuncio della nascita di Gesù e dove lei ha accettato qualcosa che veniva dall’alto. Ho pensato a come il sì di que-

sta ragazzina – era poco più grande di voi – ha cambiato anche la mia storia, ha parlato all’u-

manità di un messaggio d’amore, di solidarietà, la sua accoglienza di Gesù ha cambiato la storia di tutti noi. Noi tutti adesso siamo qui perché lei ha detto sì, altrimenti sarebbe tutta un’altra storia. E’ per questo che per me è stata un’emo-

zione fortissima. Un altro luogo per me molto bello è stata Betlemme, dove ho visitato il Caritas baby hospital, che è un centro dove vengono accolti e curati i bambini più poveri che non hanno un’assistenza regolare. Quando ho visto i bambini ricoverati ho pensato quanto la loro situazione sia molto più pesante della mia, perché io in Italia, anche se ho molte dificoltà, ho anche tanto aiuto, ho anche delle risposte concrete. Ho potuto studiare, posso avere le cure, ho attorno tanti amici … questi bambini invece non avevano le stesse opportunità. Ho pensato che sarebbe stato bello poter fare qualcosa per loro, non avevo idee, ma qualche mese dopo un’amica mi ha regalato delle matite colorate, degli album. Questo mi ha incitato a riprendere a disegnare e ho cominciato a disegnare piccole Madonne e Gesù Bambini e ho fatto un banco vendita, con il quale sono riuscita -nonostante le mie mani si muovano pochissimo – a mandare un aiuto nel 2012. Per me è stato il momento della gioia, il momento in cui ho scoperto che le risorse e la creatività possono portare a trovare le soluzioni per aiutare gli altri. Non è detto che se noi abbiamo dei limiti non possiamo fare qualcosa per chi ci è accanto. Anche se le mani si muovono poco, come sentite la lingua mi rimane, ma ho ancora anche le orecchie. Adesso quello che io posso fare è ascoltare. Le persone, in questo mondo che va di fretta, hanno bisogno di essere ascoltate, di essere accolte e questo è un lavoro che penso di poter fare ancora a lungo. Il rendermi conto di questo diventa un sentire che la vita ha molte opportunità nonostante i limiti. Tutti abbiamo dei limiti, ma tutti abbiamo delle possibilità di essere a disposizione di chi ci è accanto. Il rendersi conto che si può ancora fare qualcosa per gli altri è una delle realtà che ci fa stare bene. Allora la nostra vita ha signiicato, ha senso ancora di più, anche se la mia esperienza mi ha portato a vedere che i signiicati e i valori delle persone sono al di là di quello che noi possiamo fare, sono anche in persone che a noi sembrano senza possibilità. Ricordo un istituto dove c’erano bambine che non riuscivano a parlare, a comunicare, a dire ciò che stavano sentendo o percependo, ma erano al centro di un amore e di un’attenzione che diventavano doni preziosi proprio per quello che la loro presenza muoveva: tante esperienze di solidarietà, di at-

tenzione e di affetto. Faccio ora un passo indietro e vi racconto un po’ di me e della mia malattia.Io non ho mai camminato, però da piccola gattonavo, come tutti i bambini, ma quando avrei dovu-

to alzarmi in piedi e muovere i primi passi ci si è resi conto che non era così, che anzi le forze le perdevo invece di aumentarle e che invece di imparare a stare in equilibrio cadevo …

CAMMINIAMO INSIEME30

I miei genitori mi portano in ospedale, in un istituto, ma niente da fare. La mamma allora, quando ha visto che non c’era soluzione al mio problema, ha pensato di portarmi a Lourdes: avevo 6 anni e lei aveva intenzione di chiedere alla Madonna la grazia di farmi camminare, era l’aspettativa più bella che lei potesse pensare quando è partita. Arri-vata là, ha visto delle situazioni molto dificili di altri bambini molto più ammalati di me e soprattutto pregando ha avvertito che la cosa più importante da chiedere alla Madonna era ancor prima della grazia che potessi camminare, la grazia che io fossi felice accettando la mia realtà, accettando quella che poteva essere la mia vita. E’ evidente che non sempre i miracoli avvengono, non tutte le persone che vanno a Lourdes tornano guarite isicamente, però io ho visto tante persone che come me sono tornate con una vita più serena, con un incontro migliore con la vita. Questo non è successo subito. Ci sono stati mo-

menti in cui ero arrabbiata, non ero dell’idea che tutto era apposto e sistemato. Intorno ai 15-16 anni sono stata ricoverata in rianimazio-

ne perché avevo dificoltà a respirare e ho incontrato una ragazza di 21 anni, anche lei ricoverata con me, perché aveva tentato il suicidio. Questa ragazza era bellissima, sposata, aveva un bimbo, un bel lavoro, e io mi sono chiesta come mai lei che aveva tutte le cose che a me sarebbe piaciuto avere aveva tentato di togliersi la vita … mi era sembrata una cosa impensabile. Ho cominciato a lavorare nella mia mente l’idea che queste cose belle non bastano per essere felici, c’era qualcosa che dava signiicato a queste cose e dipendeva da come noi le avremmo incontrate. Bisognava quindi lavorare sul modo giusto perché queste donassero la felicità. Lei è stata un dono per me, anche perché se io non l’ho capito subito, quello che era avvenuto è la cosa che ricordo in modo parti-colare della mia giovinezza, perché mi aveva fatto fare un salto di qualità. E’ successo poi che è morta mia mamma e il secondo dei miei fratellini, anche loro con la mia stessa malattia, ma in forma più grave, quindi loro sono vissuti poco. La mia malattia si chiama amiotroia spinale, più comunemente conosciuta con il termine SMA, una malattia che può arrivare anche in età adulta e blocca il movimento, e porta con sé anche complicazioni a livello respiratorio. La morte di mia mamma mi ha spiazzato perché era lei che da quando sono nata mi aiutava. Io ho bisogno di aiuto da quando mi alzo, per lavarmi, vestirmi, per prepararmi la colazione… Mi sono accorta, però, che quello che mia mamma aveva chiesto a Lourdes si era realizzato e devo dire che non è mai terminata la realizzazione, perché noi abbiamo sempre la possibilità di rompere il miracolo che il Signore ha dato, se facciamo opposizione. Io potrei essere incavolata, potrei perdere la voglia di accettare e di godere la mia vita per quello che è, di incontrarla con gioia… Quindi è un cammino di iducia, di fede, di accoglienza di quello che è il dono del Signore, che va fatto ogni giorno. Non è suficiente accorgersene una volta, non è che una volta preso diventa una magia che vale per sempre, è un lavoro che dobbiamo continuamente fare su di noi. Il Signore ci dà delle possibilità che ogni giorno noi dobbiamo mettere a fuoco, che dobbiamo fare nostre e applicarle alla nostra quotidianità, dobbiamo renderle presenti, vive, concrete. E’ quello che io cerco di fare, è quello che, mi rendo conto, ogni giorno mi dà la gioia di alzarmi al mattino pensando che c’è una giornata nuova con cose belle da vivere, e io vi auguro di fare altrettanto. DOVE TROVA LA FORZA?Nessuno di noi è forte di una forza sua, ma abbiamo continuamente bisogno di attingere ad una forza che ci supera. Vi state avvicinando alla Cresima, vi state preparando ad accogliere lo Spi-rito Santo, non è una cosa da poco, è comprendere che andiamo ad attingere grazia, andiamo ad attingere forza, andiamo ad attingere speranza, andiamo ad attingere signiicato. Non ci lascia così come siamo, è un dono che è messo a nostra disposizione, a cui possiamo andare ad abbe-

verarci ogni volta che abbiamo sete. Quindi non è una forza issa, io non sono una che è sicura di affrontare ogni giorno le dificoltà, anche a me fanno paura … però vivo questo giorno e so che Lui c’è. La forza quindi è aver scoperto Lui, il Signore che vive accanto a noi. Il Signore non è il Dio lontano – io ho fatto fatica a capire questo – è il Dio che mi aiuta a rendere possibile anche la mia realtà nella fatica, perché Lui l’ha provata, perché Lui non è venuto per vincere, per

essere il forte, così come lo intende il mondo, ma il forte nel senso della vita, della speranza, dell’incontro con Dio Padre. E’ questa la forza che ci ha donato. Apriamo il nostro cuore, scopriamo la meraviglia che c’è dentro, perché la felicità si costruisce proprio aprendolo con iducia e cominciando a mettere in gioco tutto quello che il Signore ha messo, perché ha messo tutto quello che serve perché la vita iorisca, perché sia bella, perché sia utile e preziosa per noi e per gli altri. Si tratta però di aprirlo e di utilizzarlo positivamente, di non sciuparlo. La vita è un po’ come giocare a carte, a volte si hanno carte bellissime e si giocano male, a volte invece si hanno carte un po’ meno belle e si può vincere. La differenza è proprio come noi utilizziamo le carte che abbiamo, che valore, che signiicato, che attenzione, che interesse mettiamo in questo gioco e quindi vi auguro di mettere il massimo dell’interesse perché possiate ottenere tutto quello che nel progetto di Dio c’è sulla vostra vita, e quello è un progetto d’amore, quindi non può essere che un progetto che vuole il meglio. Il Signore ci ama e non può che averci in modo tenero e attento tra le sue mani per ottenere le cose più belle per noi. Ognuno di noi è pensato sin

golarmente, in modo attento, come fosse iglio unico, come il dono più prezioso che il Signore vuole in tutti i modi far iorire nel modo più bello. Ha l’attenzione puntata sulla vita di ciascuno e vorrebbe che da ognuno venisse un capolavoro, che è il progetto per il quale ci ha creati. Io mi auguro che la Cresima per voi sia uno scegliere di continuare un cammino. Non abbandonate senza aver capito che cosa potete perdere, non rinunciate a una cosa che forse non avete ancora conosciuto bene. Cercate di approfondire perché scoprirete che è un tesoro che merita di essere cu

stodito, incontrato, conosciuto, ampliicato. Quindi non mollate, non initela con la Cresima la vostra storia con la Chiesa, con la comunità, la vostra storia con la preghiera, con la fede. Non è fuori moda! Qualcuno pensa di trovare tutto nel mondo, ma poi le cose che contano le troverete veramente in questo cammino, un cammino da fare insieme, nel gruppo. Noi siamo generati ogni giorno dalle persone che ci sono attorno a noi, tutti collaborano a mettere insieme i tasselli di quello che noi diventiamo man mano. Siamo come un iume che raccoglie acque da tanti rigoli e noi costruiamo gli altri, è un intessere insieme gli uni gli altri quello che è il cammino di ognuno di noi.Ringraziamo Cecilia per la sua testimonianza di fede, di speranza. La sua casa è un luogo di speranza per tante persone che a volte vivono momenti dificili nella vita. Cari ragazzi, quando nella vita vi troverete a vivere momenti non facili o di sofferenza, ci sono per tutti prima o dopo, ricordate le parole e il sorriso di Cecilia.

CAMMINIAMO INSIEME 31

I miei genitori mi portano in ospedale, in un istituto, ma niente da fare. La mamma allora, quando ha visto che non c’era soluzione al mio problema, ha pensato di portarmi a Lourdes: avevo 6 anni e lei aveva intenzione di chiedere alla Madonna la grazia di farmi camminare, era l’aspettativa più bella che lei potesse pensare quando è partita. Arrivata là, ha visto delle situazioni molto dificili di altri bambini molto più ammalati di me e soprattutto pregando ha avvertito che la cosa più importante da chiedere alla Madonna era ancor prima della grazia che potessi camminare, la grazia che io fossi felice accettando la mia realtà, accettando quella che poteva essere la mia vita. E’ evidente che non sempre i miracoli avvengono, non tutte le persone che vanno a Lourdes tornano guarite isicamente, però io ho visto tante persone che come me sono tornate con una vita più serena, con un incontro migliore con la vita. Questo non è successo subito. Ci sono stati momenti in cui ero arrabbiata, non ero dell’idea che tutto era apposto e sistemato. Intorno ai 15-16 anni sono stata ricoverata in rianimazione perché avevo dificoltà a respirare e ho incontrato una ragazza di 21 anni, anche lei ricoverata con me, perché aveva tentato il suicidio. Questa ragazza era bellissima, sposata, aveva un bimbo, un bel lavoro, e io mi sono chiesta come mai lei che aveva tutte le cose che a me sarebbe piaciuto avere aveva tentato di togliersi la vita … mi era sembrata una cosa impensabile. Ho cominciato a lavorare nella mia mente l’idea che queste cose belle non bastano per essere felici, c’era qualcosa che dava signiicato a queste cose e dipendeva da come noi le avremmo incontrate. Bisognava quindi lavorare sul modo giusto perché queste donassero la felicità. Lei è stata un dono per me, anche perché se io non l’ho capito subito, quello che era avvenuto è la cosa che ricordo in modo particolare della mia giovinezza, perché mi aveva fatto fare un salto di qualità. E’ successo poi che è morta mia mamma e il secondo dei miei fratellini, anche loro con la mia stessa malattia, ma in forma più grave, quindi loro sono vissuti poco. La mia malattia si chiama amiotroia spinale, più comunemente conosciuta con il termine SMA, una malattia che può arrivare anche in età adulta e blocca il movimento, e porta con sé anche complicazioni a livello respiratorio. La morte di mia mamma mi ha spiazzato perché era lei che da quando sono nata mi aiutava. Io ho bisogno di aiuto da quando mi alzo, per lavarmi, vestirmi, per prepararmi la colazione… Mi sono accorta, però, che quello che mia mamma aveva chiesto a Lourdes si era realizzato e devo dire che non è mai terminata la realizzazione, perché noi abbiamo sempre la possibilità di rompere il miracolo che il Signore ha dato, se facciamo opposizione. Io potrei essere incavolata, potrei perdere la voglia di accettare e di godere la mia vita per quello che è, di incontrarla con gioia… Quindi è un cammino di iducia, di fede, di accoglienza di quello che è il dono del Signore, che va fatto ogni giorno. Non è suficiente accorgersene una volta, non è che una volta preso diventa una magia che vale per sempre, è un lavoro che dobbiamo continuamente fare su di noi. Il Signore ci dà delle possibilità che ogni giorno noi dobbiamo mettere a fuoco, che dobbiamo fare nostre e applicarle alla nostra quotidianità, dobbiamo renderle presenti, vive, concrete. E’ quello che io cerco di fare, è quello che, mi rendo conto, ogni giorno mi dà la gioia di alzarmi al mattino pensando che c’è una giornata nuova con cose belle da vivere, e io vi auguro di fare altrettanto. DOVE TROVA LA FORZA?Nessuno di noi è forte di una forza sua, ma abbiamo continuamente bisogno di attingere ad una forza che ci supera. Vi state avvicinando alla Cresima, vi state preparando ad accogliere lo Spirito Santo, non è una cosa da poco, è comprendere che andiamo ad attingere grazia, andiamo ad attingere forza, andiamo ad attingere speranza, andiamo ad attingere signiicato. Non ci lascia così come siamo, è un dono che è messo a nostra disposizione, a cui possiamo andare ad abbeverarci ogni volta che abbiamo sete. Quindi non è una forza issa, io non sono una che è sicura di affrontare ogni giorno le dificoltà, anche a me fanno paura … però vivo questo giorno e so che Lui c’è. La forza quindi è aver scoperto Lui, il Signore che vive accanto a noi. Il Signore non è il Dio lontano – io ho fatto fatica a capire questo – è il Dio che mi aiuta a rendere possibile anche la mia realtà nella fatica, perché Lui l’ha provata, perché Lui non è venuto per vincere, per

essere il forte, così come lo intende il mondo, ma il forte nel senso della vita, della speranza, dell’incontro con Dio Padre. E’ questa la forza che ci ha donato. Apriamo il nostro cuore, scopriamo la mera-

viglia che c’è dentro, perché la felicità si co-

struisce proprio aprendolo con iducia e comin-

ciando a mettere in gioco tutto quello che il Signore ha messo, perché ha messo tutto quel-lo che serve perché la vita iorisca, perché sia bella, perché sia utile e preziosa per noi e per gli altri. Si tratta però di aprirlo e di utiliz-

zarlo positivamente, di non sciuparlo. La vita è un po’ come giocare a carte, a volte si hanno carte bellissime e si giocano male, a volte invece si hanno carte un po’ meno belle e si può vincere. La differenza è proprio come noi utilizziamo le carte che abbiamo, che valore, che signiicato, che attenzione, che interesse mettiamo in que-

sto gioco e quindi vi auguro di mettere il massimo dell’interesse perché possiate ottenere tutto quello che nel progetto di Dio c’è sulla vostra vita, e quello è un progetto d’amore, quindi non può essere che un progetto che vuole il meglio. Il Signore ci ama e non può che averci in modo tenero e attento tra le sue mani per ottenere le cose più belle per noi. Ognuno di noi è pensato sin-

golarmente, in modo attento, come fosse iglio unico, come il dono più prezioso che il Signore vuole in tutti i modi far iorire nel modo più bello. Ha l’attenzione puntata sulla vita di ciascuno e vorrebbe che da ognuno venisse un capolavoro, che è il pro-

getto per il quale ci ha creati. Io mi auguro che la Cresima per voi sia uno scegliere di continuare un cammino. Non abbandonate senza aver capito che cosa potete perdere, non rinun-

ciate a una cosa che forse non avete ancora conosciuto bene. Cercate di approfondire perché scoprirete che è un tesoro che merita di essere cu-

stodito, incontrato, conosciuto, ampliicato. Quindi non mollate, non initela con la Cresima la vostra storia con la Chiesa, con la comunità, la vostra storia con la preghiera, con la fede. Non è fuori moda! Qualcuno pensa di trovare tutto nel mondo, ma poi le cose che contano le troverete veramente in questo cammino, un cammino da fare insieme, nel gruppo. Noi siamo generati ogni giorno dalle persone che ci sono attorno a noi, tutti collaborano a mettere insieme i tasselli di quello che noi diventiamo man mano. Siamo come un iume che raccoglie acque da tanti rigoli e noi costruiamo gli altri, è un intes-

sere insieme gli uni gli altri quello che è il cammino di ognuno di noi.Ringraziamo Cecilia per la sua testimonianza di fede, di speranza. La sua casa è un luogo di speranza per tante persone che a volte vivono momenti dificili nella vita. Cari ra-

gazzi, quando nella vita vi troverete a vivere momenti non facili o di sofferenza, ci sono per tutti prima o dopo, ricordate le parole e il sorriso di Cecilia.

32 CAMMINIAMO INSIEME

DIALOGO NEL BUIO - 14 FEBBRAIO 2016

L’essenziale è invisibile agli occhi ma non al cuore

Una corsa in discesa …. muoversi all’ in-

terno di una stanza …. un giro in barca…o bere un caffè al bar …. azioni normalissi-me ma se svolte nella totale oscurità pos-

sono suscitare emozioni completamente diverse. Don Vittorio ha proposto agli adolescenti e a noi animatori l’esperien-

za del “DIALOGO AL BUIO” come ulte-

riore opportunità di confronto sul tema trattato quest’anno, “abilità e disabilità” e proprio per questo, domenica 14 Feb-

braio ci siamo recati a Milano presso l’Istituto dei ciechi dove carichi di entu-

siasmo e curiosità abbiamo sperimenta-

to questo percorso.Non potendo utilizzare la nostra vista, poiché al buio, ci siamo lasciati guidare da ragazzi non vedenti e di primo acchi-to verrebbe da dire che ciò possa aiu-

tarci ad immaginare cosa prova o come vive un cieco, per me non è stato così…!!! Non sono tornata a casa con questa cer-

tezza, le sensazioni provate sono state altre e qualcosa di più importante è ri-masto nei miei ricordi.Ho riscoperto alcune potenzialità del mio corpo, corpo che è dono, dono che

stupisce e proprio per questo degno di essere accettato e amato anche nelle sue imperfezioni, credo sia fondamentale imparare ad amarsi e ad accettare i nostri difetti o “disabilità” perché gli stessi ci possono dare la spinta al continuo miglioramento; insomma , ritrovandomi al buio ho dovuto far afidamento su tutti gli altri sensi di cui sono dotata, capaci di compensare alla mancanza della vista …così, grazie al tatto all’olfatto e all’udito ho riconosciuto chi mi stava a ianco, ciò che mi circondava e mi sono difesa dai “piccoli pericoli”. Per concludere vorrei dire che ho provato grande stima nei confronti della nostra guida, ho ammirato la sua solarità, la serenità nell’ affrontare quotidianamente un forte disagio come la cecità e la grande passione nel dedicarsi a noi.

33CAMMINIAMO INSIEME

DIALOGO NEL BUIO - 14 FEBBRAIO 2016

i

Una corsa in discesa …. muoversi all’ interno di una stanza …. un giro in barca…o bere un caffè al bar …. azioni normalissime ma se svolte nella totale oscurità possono suscitare emozioni completamente diverse. Don Vittorio ha proposto agli adolescenti e a noi animatori l’esperienza del “DIALOGO AL BUIO” come ulteriore opportunità di confronto sul tema trattato quest’anno, “abilità e disabilità” e proprio per questo, domenica 14 Febbraio ci siamo recati a Milano presso l’Istituto dei ciechi dove carichi di entusiasmo e curiosità abbiamo sperimentato questo percorso.Non potendo utilizzare la nostra vista, poiché al buio, ci siamo lasciati guidare da ragazzi non vedenti e di primo acchito verrebbe da dire che ciò possa aiutarci ad immaginare cosa prova o come vive un cieco, per me non è stato così…!!! Non sono tornata a casa con questa certezza, le sensazioni provate sono state altre e qualcosa di più importante è rimasto nei miei ricordi.Ho riscoperto alcune potenzialità del mio corpo, corpo che è dono, dono che

stupisce e proprio per questo degno di essere accettato e amato anche nelle sue imperfezioni, credo sia fondamen-

tale imparare ad amarsi e ad accetta-

re i nostri difetti o “disabilità” perché gli stessi ci possono dare la spinta al continuo miglioramento; insomma , ri-trovandomi al buio ho dovuto far af-

idamento su tutti gli altri sensi di cui sono dotata, capaci di compensare alla mancanza della vista …così, grazie al tatto all’olfatto e all’udito ho ricono-

sciuto chi mi stava a ianco, ciò che mi circondava e mi sono difesa dai “piccoli pericoli”. Per concludere vorrei dire che ho pro-

vato grande stima nei confronti della nostra guida, ho ammirato la sua sola-

rità, la serenità nell’ affrontare quo-

tidianamente un forte disagio come la cecità e la grande passione nel dedi-carsi a noi.

CAMMINIAMO INSIEME34

Samuel - Storia di un ritorno alla vita

La straordinaria storia di Samuel uscito dal coma…la vita torna a risplendere.

“Signor Pelliccioli, venga subito in ospedale! Suo iglio ha avuto un inci-dente in moto…”. L’inizio “di un’eclis-

si di sole “, come la chiama Stefano Pelliccioli, il papà di Samuel, ma anche di una nuova straordinaria avventura che ha dischiuso le porte a una nuova vita. Diversa, certo, fatta di piccole conquiste, di attimi strappati al buio, ma una vita comunque “piena e feli-ce, perché Samuel l’avevano dato per morto e invece adesso parla, cammina, nuota, va a cavallo e corre la Stramila-

no”, racconta commosso papà Stefano. “Una vita per la quale ringrazio Dio, e che voglio festeggiare con chi, geni-tore come me, si è sentito dire che per il suo ragazzo in coma non c’era più nulla da fare, e allora crolla nella disperazione, soprattutto una volta a

casa, quando dall’ospedale ti dicono che per i medici il lavoro è inito. Ma molti come noi, se non si arrendono potranno riabbracciare i loro igli”. Sono passati vent’anni da quella telefonata, il 16 febbraio 1996. Samuel è un bellissimo ragazzo di 22 anni, forte e pieno di vita, luce degli occhi e sostegno con-

creto della sua bella famiglia, brillante studente diplomato in ragioneria che, non trovando un lavoro, si era adattato a caricare e scaricare camion in una ditta di trasporti per portare a casa uno stipendio in più e aiutare mamma e papà a pagare il mutuo della nuova casa. Quel giorno esce in moto, sulla sua amatissima Yamaha, subito dopo pranzo, per andare al lavoro. Non si sente tanto bene e si lamenta del freddo. “E io a rimbrottarlo: ” Non fare tante storie e vai!”, rivive con un brivido suo padre. Perché Samuel non è stato travolto da una macchina, ma è rimasto vittima di una congestione. “Aveva digerito male, e una volta in sella alla moto ha perso i sensi ed è caduto rovinosamente. Andando a sbattere la testa per terra e nonostante il casco, ripor-

tando lesioni gravissime”, ricorda il suo papà. Che ha ancora isse nella memoria le lunghe ore al pronto soccorso. “La porta sempre chiusa, gli infermieri che non dicevano niente, l’angoscia che s’insinuava, le preghiere, ino a quelle poche, atroci parole scambiate con un medico che andava di fretta …” Scusi, dottore ma allora mio iglio è in pericolo di vita? , e lui: ”Sì, sì…”, andandosene senza quasi degnarmi di uno sguardo”. Ma il destino aveva altri disegni per Samuel. “Me l’avevano dato per morto”, continua papà Stefano, “e io andavo col pensiero a quel foglio compilato proprio la settimana prima dell’incidente e in cui Samuel sottoscriveva la volontà di donare gli organi…E intanto me lo guardavo, mio iglio, oltre i vetri della Rianimazione, bianco e immobile, traitto da mille tubi che gli sofiavano dentro una specie di vita, senza che lui se ne accorgesse”. Dopo 45 giorni sul ciglio della morte, venne trasportato all’unità per gravi cerebrolesi di Bergamo: in coma. “Sapevo che questi malati devono essere continuamente stimolati, che voci, rumori, musi-che possono contribuire a svegliarli, e allora avevo chiamato a raccolta i suoi amici, che si davano il cambio per andarlo a trovare. Ma non solo. Siccome Samuel era un patito della moto e amava

la sua Yamaha come una idanzata, li avevo fatti venire sotto le inestre dell’ospedale a “sgasare” con le motociclette, per fargli arrivare quel canto del motore che lo avrebbe risvegliato”.Dopo sei mesi, il ritorno a casa (sempre in stato comatoso). E pian piano, a piccolissimi passi, Samuel è tornato alla vita. Prima un battito di palpebre, poi ha sollevato per pochi millimetri una mano. E una volta gli è scesa una lacrima salutando il suo migliore amico Daimon: proprio due ore dopo, con grande fatica, è riuscito ad articolare le prime parole, dapprima incomprensibili e poi chiaramente:” …Domani si parte”. E da lì è cominciato il lungo viaggio, tra conquiste e cadute, un viaggio dove i gesti e le abitudini più semplici, come lavarsi i denti o salire tre gradini, diventano ostacoli insormontabili, ma anche splendide vittorie.” Il suo cervello si era spento”, racconta con toni vividi papà Stefano, “e adesso si riaccendeva a tratti, come un computer in tilt. Ci ha messo un anno per imparare di nuovo a mangiare, imboccato come un bimbo di pochi mesi; due anni per alzarsi dalla sedia a rotelle; tre per camminare. Per non parlare delle crisi di violenza incontrollata, con lui che s’accaniva a picchiare e prendere a pugni le persone vicine e persino il cane, Kiska, una dolcissima husky, che se ne stava buona, accucciata ai suoi piedi, a farsi riempire di botte come se capisse che quei gesti erano comunque scintille di vita del suo padrone”. Adesso Samuel ha 42 anni: cammina zoppicando, ha un braccio offeso e un cervello che funziona a spot, a volte ha 40 anni, a volte 20, a volte è un bambino di 10 che racconta le bugie e poi ride birichino. “E io sono diventato la sua vita, e sono orgoglioso di dire che vivo per lui e lavoro per lui. La sua salute è la mia forza, il suo dolore la mia croce, le sue disabilità le mie ferite”. A 20 anni dal coma, Samuel segue ancora assiduamente le terapie, a Torino, al Centro Puzzle della dottoressa Marina Zettin, per il recupero cognitivo, comportamentale e caratteriale. È solo grazie a questo grande lavoro terapeutico, che Samuel sta ritrovando la sua identità, perduta nel drammatico incidente. Ma Samuel non è l’unico: tantissimi sono i ragazzi che riportano conseguenze gravi e permanenti negli incidenti stradali. “Tornano a camminare, imparano a vivere una vita nuova, ma hanno e avranno sempre bisogno di qualcuno vicino, soprattutto una volta usciti dall’ospedale. L’esistenza di tutta la famiglia viene ribaltata, i genitori si devono trasformare infermieri, isioterapisti, riabilitatori, e imparare a convivere con un ragazzo che una volta riesce a lavare l’auto in giardino e poi prende a pugni la mamma che gli prepara la colazione… I medici dicono che è normale… Ma chi ama non può arrendersi, e se i igli sono inseriti e seguiti continuamente, come Samuel, in una struttura con un’équipe multidisciplinare, possono recuperare (non tutti, purtroppo) qualità di vita e d’autonomia. Le famiglie chiedono solo ciò! È poi così dificile tutto questo?”. Pelliccioli, che a Bergamo ha fondato, assieme ad altri genitori disperati, l’Associazione Amici traumatizzati cranici, rimarca:

CAMMINIAMO INSIEME 35

i

. “Signor Pelliccioli, venga subito in ospedale! Suo iglio ha avuto un incidente in moto…”. L’inizio “di un’eclissi di sole “, come la chiama Stefano Pelliccioli, il papà di Samuel, ma anche di una nuova straordinaria avventura che ha dischiuso le porte a una nuova vita. Diversa, certo, fatta di piccole conquiste, di attimi strappati al buio, ma una vita comunque “piena e felice, perché Samuel l’avevano dato per morto e invece adesso parla, cammina, nuota, va a cavallo e corre la Stramilano”, racconta commosso papà Stefano. “Una vita per la quale ringrazio Dio, e che voglio festeggiare con chi, genitore come me, si è sentito dire che per il suo ragazzo in coma non c’era più nulla da fare, e allora crolla nella disperazione, soprattutto una volta a

casa, quando dall’ospedale ti dicono che per i medici il lavoro è inito. Ma molti come noi, se non si arrendono potranno riabbracciare i loro igli”. Sono passati vent’anni da quella telefonata, il 16 febbraio 1996. Samuel è un bellissimo ragazzo di 22 anni, forte e pieno di vita, luce degli occhi e sostegno concreto della sua bella famiglia, brillante studente diplomato in ragioneria che, non trovando un lavoro, si era adattato a caricare e scaricare camion in una ditta di trasporti per portare a casa uno stipendio in più e aiutare mamma e papà a pagare il mutuo della nuova casa. Quel giorno esce in moto, sulla sua amatissima Yamaha, subito dopo pranzo, per andare al lavoro. Non si sente tanto bene e si lamenta del freddo. “E io a rimbrottarlo: ” Non fare tante storie e vai!”, rivive con un brivido suo padre. Perché Samuel non è stato travolto da una macchina, ma è rimasto vittima di una congestione. “Aveva digerito male, e una volta in sella alla moto ha perso i sensi ed è caduto rovinosamente. Andando a sbattere la testa per terra e nonostante il casco, riportando lesioni gravissime”, ricorda il suo papà. Che ha ancora isse nella memoria le lunghe ore al pronto soccorso. “La porta sempre chiusa, gli infermieri che non dicevano niente, l’angoscia che s’insinuava, le preghiere, ino a quelle poche, atroci parole scambiate con un medico che andava di fretta …” Scusi, dottore ma allora mio iglio è in pericolo di vita? , e lui: ”Sì, sì…”, andandosene senza quasi degnarmi di uno sguardo”. Ma il destino aveva altri disegni per Samuel. “Me l’avevano dato per morto”, continua papà Stefano, “e io andavo col pensiero a quel foglio compilato proprio la settimana prima dell’incidente e in cui Samuel sottoscriveva la volontà di donare gli organi…E intanto me lo guardavo, mio iglio, oltre i vetri della Rianimazione, bianco e immobile, traitto da mille tubi che gli sofiavano dentro una specie di vita, senza che lui se ne accorgesse”. Dopo 45 giorni sul ciglio della morte, venne trasportato all’unità per gravi cerebrolesi di Bergamo: in coma. “Sapevo che questi malati devono essere continuamente stimolati, che voci, rumori, musiche possono contribuire a svegliarli, e allora avevo chiamato a raccolta i suoi amici, che si davano il cambio per andarlo a trovare. Ma non solo. Siccome Samuel era un patito della moto e amava

la sua Yamaha come una idanzata, li avevo fatti ve-

nire sotto le inestre dell’ospedale a “sgasare” con le motociclette, per fargli arrivare quel canto del motore che lo avrebbe risvegliato”.Dopo sei mesi, il ritorno a casa (sempre in stato comatoso). E pian piano, a piccolissimi passi, Samuel è tornato alla vita. Prima un battito di palpebre, poi ha sollevato per pochi millimetri una mano. E una volta gli è scesa una lacrima salutando il suo miglio-

re amico Daimon: proprio due ore dopo, con grande fatica, è riuscito ad articolare le prime parole, dap-

prima incomprensibili e poi chiaramente:” …Domani si parte”. E da lì è cominciato il lungo viaggio, tra conquiste e cadute, un viaggio dove i gesti e le abi-tudini più semplici, come lavarsi i denti o salire tre gradini, diventano ostacoli insormontabili, ma anche splendide vittorie.” Il suo cervello si era spento”, racconta con toni vividi papà Stefano, “e adesso si riaccendeva a tratti, come un com-

puter in tilt. Ci ha messo un anno per imparare di nuovo a mangiare, imboccato come un bimbo di pochi mesi; due anni per alzarsi dalla sedia a rotelle; tre per camminare. Per non parlare delle crisi di violenza incontrollata, con lui che s’accaniva a picchiare e prendere a pugni le persone vi-cine e persino il cane, Kiska, una dolcissima husky, che se ne stava buona, accucciata ai suoi piedi, a farsi riempire di botte come se capisse che quei gesti erano comunque scintille di vita del suo padrone”. Adesso Samuel ha 42 anni: cammina zoppicando, ha un braccio offeso e un cervello che funziona a spot, a volte ha 40 anni, a volte 20, a volte è un bambino di 10 che racconta le bugie e poi ride birichino. “E io sono diventato la sua vita, e sono orgoglioso di dire che vivo per lui e lavoro per lui. La sua salute è la mia forza, il suo dolore la mia croce, le sue disabilità le mie ferite”. A 20 anni dal coma, Samuel segue ancora assiduamente le terapie, a Torino, al Centro Puzzle della dottoressa Marina Zettin, per il recupero cognitivo, comportamentale e caratteria-

le. È solo grazie a questo grande lavoro terapeutico, che Samuel sta ritrovando la sua identità, perduta nel drammatico incidente. Ma Samuel non è l’unico: tantissimi sono i ragazzi che ripor-

tano conseguenze gravi e permanenti negli incidenti stradali. “Tornano a camminare, imparano a vivere una vita nuova, ma hanno e avranno sempre bisogno di qualcuno vicino, soprattutto una volta usciti dall’ospedale. L’esistenza di tutta la famiglia viene ribaltata, i genitori si devono trasformare infermieri, isioterapisti, riabilitatori, e imparare a convivere con un ragazzo che una volta riesce a lavare l’auto in giardino e poi prende a pugni la mamma che gli prepara la co-

lazione… I medici dicono che è normale… Ma chi ama non può arrendersi, e se i igli sono inseriti e seguiti continuamente, come Samuel, in una struttura con un’équipe multidisciplinare, possono recuperare (non tutti, purtroppo) qualità di vita e d’autonomia. Le famiglie chiedono solo ciò! È poi così dificile tutto questo?”. Pelliccioli, che a Bergamo ha fondato, assieme ad altri genitori disperati, l’Associazione Amici traumatizzati cranici, rimarca:

CAMMINIAMO INSIEME36

Un bel giorno … mi sono risvegliato in carrozzina, come capita a tanta gente vittima di incidenti stradali …Ero un ragazzo come voi e come tanti altri: si va a scuola, all’oratorio, con gli amici, poi si comincia a crescere … il motorino, la macchina, inché un bel giorno, e precisamente il 4 gennaio 2002, stavo andando con il motorino da mio fratello Ivan che vive a Sombreno, a giocare alla Playstation. Arrivato a Botta Campana, proveniente da Zogno dove abitavo con i miei genitori, mentre ero in mezzo alla strada in attesa di svoltare a sinistra, vedo arrivare in senso opposto una macchina. Era una Fiat Tipo bianca, alla guida c’era un signore di S. Pellegrino Terme che ha superato la coda di tre macchine e … ed è successo quello che non doveva succedere. Ho fatto un bel volo, mi sono spaccato praticamente tutto: gambe, schiena, una ferita alla testa… Ho un ricordo vago dell’impatto, vuoi per il fatto che il mio subconscio ha rimosso l’evento traumatico o non so per quale motivo, io ricordo la macchina che mi veniva contro, ma poi è come se il mio cervello si blocca, si blocca perché forse non vuole ricordare l’impatto che ho avuto,

e poi non ricordo più niente. Questo è successo il venerdì tra le ore 13.00 e le 14.00. I medici mi hanno messo in coma farmacologico e mi sono risvegliato il sabato sera verso le ore 19.00 e lì è stato un po’ traumatico perché mi sono svegliato tutto intubato, respiravo a fatica, non avevo la voce, non riuscivo a parlare, ma non mi sono reso conto che non muovevo le gambe. Io sotto le coperte mi sentivo e mi toccavo le gambe, mi sentivo intero, però mi è venuto un dubbio e mi chiedevo come mai non sentivo i piedi e le gambe. Alzando le lenzuola mi sono visto con tanti di quei tubicini e cannette in giro che sembravo “Robocop”, ma vedo anche le gambe, e penso che è una sensazione strana quella che provo. In terapia intensiva potevo incontrare solo due persone alla volta e quindi si alternavano mio papà e mia mamma e mio fratello con mia cognata. Intanto i giorni passavano e in uno di questi un medico si è accostato al mio letto e con “tatto zero” mi ha comunicato che non avrei più camminato. Ve lo giuro, un’esperienza da non provare! Io ero come muto, non riuscivo a parlare e per comunicare indicavo le lettere dell’alfabeto che mia cognata aveva disegnato su un cartellone. Migliorando un po’ le mie condizioni, dalla terapia intensiva sono stato spostato in neurochirurgia. Ci sono stato circa un mesetto, anche perché avevo dolori che non si riusciva a controllare con i farmaci, perché non facevano più effetto, e poi mi hanno inviato all’unità riabilitativa del Matteo Rota dai primi di febbraio al 26 luglio, data in cui sono stato dimesso. Di solito la riabilitazione di un paraplegico è di circa tre mesi, a me è venuta più lunga perché avevo diversi problemi ortopedici, visto che mi ero ritrovato con diverse fratture. L’unità riabilitativa serve per rinascere un’altra volta, si è come i bambini che devono imparare a fare le cose di tutti i giorni: mangiare, vestirsi, andare in bagno, e poi gli spostamenti in macchina, in casa, alzarsi dal divano, andare a letto … sono tutte cose che si imparano, è come rinascere da neonati. Durante questo periodo ho sempre avuto in parte quattro persone: i miei genitori, che purtroppo adesso non ci sono più, e mio fratello con mia cognata, e ora ci sono anche tre meravigliosi nipoti.

“È per tutte le famiglie che si ritrovano a vivere questo gravoso dramma, con gli altri igli tra-

scurati, gli stipendi che non bastano mai, le indennità d’invalidità che non riescono a coprire le spese, i centri di recupero distanti a volte chilometri… ebbene, è per tutte queste ragioni che ho deciso di agire, e diffondere la storia di Samuel”. Pensate: questa vicenda di morte, diventata un inno alla vita, è considerata in un Dvd dal titolo: “Samuel- Dal coma alla vita”. Scuole, Comu-

ni, Province, Regioni, Biblioteche e Tv ci chiedono di organizzare incontri e serate a tema sulla prevenzione degli incidenti, e per sensibilizzare la gente sul dramma dei traumi cranio-encefa-

lici. Con questo nostro Dvd vogliamo riaccendere la luce della speranza (che pian piano tende a spegnersi) nelle famiglie con un iglio traumatizzato. Urlare, insomma, che la vita può ritornare. Ed essere bellissima”.

Quale è la linea che distingue il diverso dal normale?Questa lettera racchiude la storia dei nostri igli, colpiti da trauma cranio-encefalico a seguito di un incidente stradale. Prima, eri l’amico di tutti e tutti ti cercavano per la disponibilità, poi… qualcosa è cambiato e, da allora, il telefono è sempre muto, nessuno ti cerca e tu sei rimasto solo. Solo perché gli altri ti evitano e ti considerano un diverso, ma forse i diversi sono loro: qual è la linea che distingue il diverso dal normale? Tu cerchi solo amicizia e dialogo, ma loro questo non lo capiscono e ti lasciano sempre solo. Tu ti sforzi di migliorare il tuo nuovo modo di essere per sentirti accettato nella nostra società, che impone comportamenti adeguati alle diverse situazioni della vita. Prima, hai lottato contro la morte, che ti è stata vicina per molti mesi, sem-

pre in agguato, aleggiando sul tuo corpo, dopo quel banalissimo incidente in moto; Ora, lotti per avere un posto che ti sei duramente guadagnato, in società, perché sei tornato alla vita e, da chi ti circonda, chiedi solo rispetto, amicizia, normalità, ma tutto questo loro non lo capiscono. Io, che sono tua madre e che ti vedo soffrire per tutto: per vivere, per gestirti, per relazionar-

ti, per lavorare e so quanta energia tu metta per farti sentire, vedere, gioire, occupare il tuo posto tra gli amici spaventati, scomparsi, che ti hanno abbandonato e quindi lasciato solo, io mi sento delusa, impotente, frustrata da tutto e da tutti. Io, madre, ho affrontato con te la morte, poi la rianimazione, i giudizi dei medici, i mesi sulla sedia a rotelle, le molteplici operazioni e, ora, anche il giudizio negativo della gente su di te. Non sanno tutto il nostro vissuto di sofferenze e dolori, ma loro ti giudicano, implacabili, per la non conoscenza degli esiti che un trauma cranico lascia a soggetti colpiti. E, quindi ti considerano semplicemente un diverso, un disabile. La diver-

sità sta nel fatto che tu, ora, non hai più barriere mentali, sei trasparente come il più puro dei cristalli. Le mamme dei ragazzi con trauma encefalico.

CAMMINIAMO INSIEME 37

Testimonianza di Patrik

Un bel giorno … mi sono risvegliato in car-

rozzina, come capita a tanta gente vittima di incidenti stradali …Ero un ragazzo come voi e come tanti al-tri: si va a scuola, all’oratorio, con gli ami-ci, poi si comincia a crescere … il motorino, la macchina, inché un bel giorno, e preci-samente il 4 gennaio 2002, stavo andando con il motorino da mio fratello Ivan che vive a Sombreno, a giocare alla Playstation. Arrivato a Botta Campana, proveniente da Zogno dove abitavo con i miei genitori, mentre ero in mezzo alla strada in atte-

sa di svoltare a sinistra, vedo arrivare in senso opposto una macchina. Era una Fiat Tipo bianca, alla guida c’era un signore di S. Pellegrino Terme che ha superato la coda di tre macchine e … ed è successo quello che non doveva succedere. Ho fatto un bel volo, mi sono spaccato praticamen-

te tutto: gambe, schiena, una ferita alla testa… Ho un ricordo vago dell’impatto, vuoi per il fatto che il mio subconscio ha rimosso l’evento traumatico o non so per quale motivo, io ricordo la macchina che mi veniva contro, ma poi è come se il mio cervello si blocca, si blocca perché forse non vuole ricordare l’impatto che ho avuto,

e poi non ricordo più niente. Questo è successo il venerdì tra le ore 13.00 e le 14.00. I medici mi hanno messo in coma farmacologico e mi sono risvegliato il sabato sera verso le ore 19.00 e lì è stato un po’ traumatico perché mi sono svegliato tutto intubato, respiravo a fatica, non avevo la voce, non riuscivo a parlare, ma non mi sono reso conto che non muovevo le gambe. Io sotto le coperte mi sentivo e mi toccavo le gambe, mi sentivo intero, però mi è venuto un dubbio e mi chiedevo come mai non sentivo i piedi e le gambe. Alzando le lenzuola mi sono visto con tanti di quei tubicini e cannette in giro che sembravo “Robocop”, ma vedo anche le gambe, e penso che è una sensazione strana quella che provo. In terapia intensiva potevo incontrare solo due persone alla volta e quindi si alternavano mio papà e mia mamma e mio fratello con mia cognata. Intanto i giorni passavano e in uno di questi un medico si è accostato al mio letto e con “tatto zero” mi ha comunicato che non avrei più camminato. Ve lo giuro, un’esperienza da non provare! Io ero come muto, non riuscivo a parlare e per comunicare indicavo le lettere dell’alfabeto che mia cognata aveva disegnato su un cartellone. Migliorando un po’ le mie condizioni, dalla terapia intensiva sono stato spostato in neurochirurgia. Ci sono stato circa un mesetto, anche perché avevo dolori che non si riusciva a controllare con i farmaci, perché non facevano più effetto, e poi mi hanno inviato all’unità riabilitativa del Matteo Rota dai primi di febbraio al 26 luglio, data in cui sono stato dimesso. Di solito la riabilitazione di un paraplegico è di circa tre mesi, a me è venuta più lunga perché avevo diversi problemi ortopedici, visto che mi ero ritrovato con diverse fratture. L’unità riabilitativa serve per rinascere un’altra volta, si è come i bambini che devono imparare a fare le cose di tutti i giorni: mangiare, vestirsi, andare in bagno, e poi gli spostamenti in macchina, in casa, alzarsi dal divano, andare a letto … sono tutte cose che si imparano, è come rinascere da neonati. Durante questo periodo ho sempre avuto in parte quattro persone: i miei genitori, che purtroppo adesso non ci sono più, e mio fratello con mia cognata, e ora ci sono an-

che tre meravigliosi nipoti.

“È per tutte le famiglie che si ritrovano a vivere questo gravoso dramma, con gli altri igli trascurati, gli stipendi che non bastano mai, le indennità d’invalidità che non riescono a coprire le spese, i centri di recupero distanti a volte chilometri… ebbene, è per tutte queste ragioni che ho deciso di agire, e diffondere la storia di Samuel”. Pensate: questa vicenda di morte, diventata un inno alla vita, è considerata in un Dvd dal titolo: “Samuel- Dal coma alla vita”. Scuole, Comuni, Province, Regioni, Biblioteche e Tv ci chiedono di organizzare incontri e serate a tema sulla prevenzione degli incidenti, e per sensibilizzare la gente sul dramma dei traumi cranio-encefalici. Con questo nostro Dvd vogliamo riaccendere la luce della speranza (che pian piano tende a spegnersi) nelle famiglie con un iglio traumatizzato. Urlare, insomma, che la vita può ritornare. Ed essere bellissima”.

Quale è la linea che distingue il diverso dal normale?Questa lettera racchiude la storia dei nostri igli, colpiti da trauma cranio-encefalico a seguito di un incidente stradale. Prima, eri l’amico di tutti e tutti ti cercavano per la disponibilità, poi… qualcosa è cambiato e, da allora, il telefono è sempre muto, nessuno ti cerca e tu sei rimasto solo. Solo perché gli altri ti evitano e ti considerano un diverso, ma forse i diversi sono loro: qual è la linea che distingue il diverso dal normale? Tu cerchi solo amicizia e dialogo, ma loro questo non lo capiscono e ti lasciano sempre solo. Tu ti sforzi di migliorare il tuo nuovo modo di essere per sentirti accettato nella nostra società, che impone comportamenti adeguati alle diverse situazioni della vita. Prima, hai lottato contro la morte, che ti è stata vicina per molti mesi, sempre in agguato, aleggiando sul tuo corpo, dopo quel banalissimo incidente in moto; Ora, lotti per avere un posto che ti sei duramente guadagnato, in società, perché sei tornato alla vita e, da chi ti circonda, chiedi solo rispetto, amicizia, normalità, ma tutto questo loro non lo capiscono. Io, che sono tua madre e che ti vedo soffrire per tutto: per vivere, per gestirti, per relazionarti, per lavorare e so quanta energia tu metta per farti sentire, vedere, gioire, occupare il tuo posto tra gli amici spaventati, scomparsi, che ti hanno abbandonato e quindi lasciato solo, io mi sento delusa, impotente, frustrata da tutto e da tutti. Io, madre, ho affrontato con te la morte, poi la rianimazione, i giudizi dei medici, i mesi sulla sedia a rotelle, le molteplici operazioni e, ora, anche il giudizio negativo della gente su di te. Non sanno tutto il nostro vissuto di sofferenze e dolori, ma loro ti giudicano, implacabili, per la non conoscenza degli esiti che un trauma cranico lascia a soggetti colpiti. E, quindi ti considerano semplicemente un diverso, un disabile. La diversità sta nel fatto che tu, ora, non hai più barriere mentali, sei trasparente come il più puro dei cristalli. Le mamme dei ragazzi con trauma encefalico.

CAMMINIAMO INSIEME38

Nei primi tempi, appena tornati a casa, si ha un po’ paura ad uscire, si ha paura del tombino, del marciapiede alto, della buca, perché pensi a ciò che ti potrebbe succedere cadendo. Poi si ac-

quista più sicurezza, più autonomia, più forza nelle braccia, perché i muscoli delle gambe depe-

riscono subito, si atroizzano, e le braccia sono molto deboli, però pian piano si acquisisce forza. L’anno successivo ho rifatto la patente, l’ho tramutata in patente speciale e così ho cominciato ad andare in giro - i centri commerciali sono i più battuti - per il semplice motivo di far passa-

re il tempo, perché stare a casa tutto il giorno è molto duro, l’ho provato sulla mia pelle. Sono andato avanti tra una cosa e un’altra e poi ho pensato sarebbe stato opportuno lavorare, per prima cosa per un fattore economico, che è importantissimo, ma anche per passare il tempo e impegnare almeno metà giornata, lavorare otto ore in carrozzina è pesante… Ho trovato lavoro ad Almenno S. Bartolomeo in un’industria che faceva e fa ancora oggi vernici termoindurenti in polvere e io ero addetto al controllo qualità in magazzino. Questo lavoro l’ho svolto per circa 4 -5 anni e lavoravo dalle ore 8.00 alle 12.00. Verso la ine del 2008, tramite un mio ex allenatore ho trovato un altro posto di lavoro come centralinista in una ditta di Zanica lavorando 6 ore. Nel corso degli anni dal centralino sono passato alla logistica, tutt’ora lavoro ancora nella stessa ditta nell’area commerciale: preventivi, ordini … Tutto questo è importante nell’aspetto economico, ma ancor di più nell’ambito sociale perché si hanno contatti con diverse persone e ci si mette in gioco. Faccio ora un passo indietro, ancora nel 2002, e vi parlo dell’aspetto sportivo. Dopo l’ospedale e la riabilitazione, ho cominciato ad andare al Gleno, una struttura vicina al carcere; in questa casa di riposo c’era la possibilità di fare isioterapia e ci andavo tre volte a settimana. E’ lì che ho conosciuto il mio ex allenatore, una persona disabile di Roma che giocava nella vecchia squadra di basket di Bergamo, sciolta nel 2000 per vari problemi interni, e c’era comunque già il progetto per rifare una nuova squadra. Insieme a me c’erano altri giovani freschi di incidente e una sera ci siamo trovati sotto il portico del Gleno con l’idea e l’intenzione di formare la squadra di basket con i “vecchi” e noi giovani, cominciando con un anno sabbatico fatto solo di allenamenti, tanto per togliere un po’ i ragazzi da casa.

Da lì ci siamo poi iscritti al campionato di serie B, un campionato solo nel nord Italia: Piemonte, Friuli, Veneto, località relativamente vicine. Abbiamo formato la squadra, metà della quale costituita da giovani freschi di carrozzina, tra cui c’ero anche io. Gli anni passano, ho cominciato ad andare in palestra, come vedete non sono un maciste, ma un po’ di muscoli si sono formati. Lo sport mi ha aiutato sul piano sociale perché ci si interfaccia con moltissime persone e anche sul piano isico e di autonomia. Io ho una lesione alla sesta vertebra dorsale, da metà pancia, e non ho più i muscoli addominali, quindi se dovessi cadere in giù, non sono come voi che usate la fascia addominale per sollevare il busto … io purtroppo devo usare le braccia per tirarmi su ed è un handicap abbastanza grave. Però, lo sport mi aiuta. Sono sincero, io avevo paura di tutto, ad esempio prendere una cosa in alto mi faceva paura, mentre in campo, durante l’allenamento, se uno mi passa il pallone male, non hai tempo di pensare, o lo prendi in faccia o ti butti, e solo dopo realizzi di aver fatto una cosa che pensavi fosse impossibile ino a ieri. Per quanto riguarda le cadute a terra … ho perso il conto! Gli anni passano, i giocatori sono un po’ cambiati e dalla serie B siamo saliti in serie A2 che non era più solo nel nord Italia, ma si espandeva in tutta Italia, ino a tre anni fa, quando siamo saliti in A1, diviso in due gironi, di cui uno al centro-nord e uno al centro-sud. Quest’anno hanno deciso di uniicare il campionato e siamo più squadre: Bergamo, Varese, Parma, Padova, Roma, Macerata, Giulianova (Abruzzo e Marche) e due squadre in Sardegna, Porto Torres e Sassari. A breve sarò a Porto Torres, mentre oggi abbiamo perso in casa contro il Varese. Nel frattempo la società sportiva si è ampliata ed è diventata una bella realtà comprendente il settore del Tennis e del basket di cui faccio parte anche io - anche se quest’anno forse non riuscirò a praticarlo per problemi ad una spalla - e il tennis da tavolo, pingpong, per un totale di circa 110 atleti tesserati, senza contare accompagnatori, simpatizzanti, parenti e compagnia bella, siamo ben oltre le più rosee aspettative. Io non sono mai stato uno sportivo, il mio sport era mangiare o il cantiere dove lavoravo …, ora sono io il primo a dire che lo sport è importantissimo e aiuta moltissimo. Oltre all’aspetto isico, ti aiuta a superare molti muri emotivi, soprattutto per ragazzi timidi e chiusi è importante perché aiuta a confrontarsi con la gente. Questa è un po’ la mia storia, adesso lascio la parola a voi, se volete fare qualche domanda.• COME FAI A FARE “PASSI” NEL GIOCO DEL BASKET? Le regole del basket sono uguali,

come uguali sono le misure del campo. Invece dei passi a noi vengono conteggiate le spinte. E’ l’unica cosa che cambia dal gioco in piedi a quello in carrozzina, tutto il resto è uguale.

• COME HAI VISSUTO IL FATTO DI FINIRE SU UNA CARROZZINA? COME L’HAI ACCETTATO? TI E’ STATO VICINO QUALCUNO? Premetto che io di carattere sono ancora un po’ timido, ma è importante non lasciarsi andare, perché se ti lasci andare la vivi male tu e le persone che vivono accanto a te: genitori, coniuge, igli … e diventi una “lagna” perché non ti va bene niente e dici che non riesci a far niente. Faccio un esempio: Le prime volte che mi è capitato di avere in mano delle cose che poi mi sono cadute a terra, non è che non potessi raccoglierle, ma avevo paura di cader fuori dalla carrozzina, mi ponevo il problema di come fare a tirarmi su se mi fosse successo, adesso quasi mi tuffo, e chiedevo a mio fratello Ivan, o a mio papà, o a mia mamma il favore di raccoglierlo, e per un po’ sono andato avanti così ma … per vincere queste paure c’è bisogno di una terapia d’urto. Ricordo che a volte mio fratello mi trattava male, ma proprio male, e io piangevo … lo giuro, chiedevo a lui perché mi trattava così, ero convinto che non mi volesse più bene. Poi ho capito, e non smetterò mai di dire GRAZIE a lui e a mia cognata, perché il suo “trattarmi male” non era mancanza di amore nei miei riguardi, ma uno spronarmi a tentare di farcela da solo! Sono passati 14 anni, ma dirò continuamente GRAZIE a mio fratello, perché alla ine il suo trattarmi male aveva un rovescio della medaglia, che è quello che sono adesso, con un buon livello di autonomia.

• IO CON LA MACCHINA FACCIO IN MEDIA CIRCA 18.000 KM ALL’ANNO E MI REPUTO UNO CHE VIAGGIA ABBASTANZA. POSSO CHIEDERTI QUANTI KM FAI TU? Io faccio circa 25.000 Km all’anno.

• DOVE SEI STATO IN FERIE L’ANNO SCORSO? QUANTI INFERMIERI AVEVI CON TE? Sono stato 4 giorni a Praga e una settimana a Tenerife e non avevo infermieri al seguito, ero con altri 3-4 disabili come me. Viaggio molto, come viaggia una persona non disabile.

• QUALI SONO LE TRE COSE POSITIVE CHE TI HANNO PORTATO AL SUCCESSO CHE HAI OGGI?

CAMMINIAMO INSIEME 39

Nei primi tempi, appena tornati a casa, si ha un po’ paura ad uscire, si ha paura del tombino, del marciapiede alto, della buca, perché pensi a ciò che ti potrebbe succedere cadendo. Poi si acquista più sicurezza, più autonomia, più forza nelle braccia, perché i muscoli delle gambe deperiscono subito, si atroizzano, e le braccia sono molto deboli, però pian piano si acquisisce forza. L’anno successivo ho rifatto la patente, l’ho tramutata in patente speciale e così ho cominciato ad andare in giro - i centri commerciali sono i più battuti - per il semplice motivo di far passare il tempo, perché stare a casa tutto il giorno è molto duro, l’ho provato sulla mia pelle. Sono andato avanti tra una cosa e un’altra e poi ho pensato sarebbe stato opportuno lavorare, per prima cosa per un fattore economico, che è importantissimo, ma anche per passare il tempo e impegnare almeno metà giornata, lavorare otto ore in carrozzina è pesante… Ho trovato lavoro ad Almenno S. Bartolomeo in un’industria che faceva e fa ancora oggi vernici termoindurenti in polvere e io ero addetto al controllo qualità in magazzino. Questo lavoro l’ho svolto per circa 4 -5 anni e lavoravo dalle ore 8.00 alle 12.00. Verso la ine del 2008, tramite un mio ex allenatore ho trovato un altro posto di lavoro come centralinista in una ditta di Zanica lavorando 6 ore. Nel corso degli anni dal centralino sono passato alla logistica, tutt’ora lavoro ancora nella stessa ditta nell’area commerciale: preventivi, ordini … Tutto questo è importante nell’aspetto economico, ma ancor di più nell’ambito sociale perché si hanno contatti con diverse persone e ci si mette in gioco. Faccio ora un passo indietro, ancora nel 2002, e vi parlo dell’aspetto sportivo. Dopo l’ospedale e la riabilitazione, ho cominciato ad andare al Gleno, una struttura vicina al carcere; in questa casa di riposo c’era la possibilità di fare isioterapia e ci andavo tre volte a settimana. E’ lì che ho conosciuto il mio ex allenatore, una persona disabile di Roma che giocava nella vecchia squadra di basket di Bergamo, sciolta nel 2000 per vari problemi interni, e c’era comunque già il progetto per rifare una nuova squadra. Insieme a me c’erano altri giovani freschi di incidente e una sera ci siamo trovati sotto il portico del Gleno con l’idea e l’intenzione di formare la squadra di basket con i “vecchi” e noi giovani, cominciando con un anno sabbatico fatto solo di allenamenti, tanto per togliere un po’ i ragazzi da casa.

Da lì ci siamo poi iscritti al campionato di serie B, un campionato solo nel nord Italia: Piemonte, Friuli, Veneto, località relativamente vicine. Abbiamo formato la squadra, metà della quale co-

stituita da giovani freschi di carrozzina, tra cui c’ero anche io. Gli anni passano, ho cominciato ad andare in palestra, come vedete non sono un maciste, ma un po’ di muscoli si sono formati. Lo sport mi ha aiutato sul piano sociale perché ci si interfaccia con moltissime persone e anche sul piano isico e di autonomia. Io ho una lesione alla sesta vertebra dorsale, da metà pancia, e non ho più i muscoli addominali, quindi se dovessi cadere in giù, non sono come voi che usate la fascia addominale per sollevare il busto … io purtroppo devo usare le braccia per tirarmi su ed è un handicap abbastanza grave. Però, lo sport mi aiuta. Sono sincero, io avevo paura di tutto, ad esempio prendere una cosa in alto mi faceva paura, mentre in campo, durante l’allenamento, se uno mi passa il pallone male, non hai tempo di pensare, o lo prendi in faccia o ti butti, e solo dopo realizzi di aver fatto una cosa che pensavi fosse impossibile ino a ieri. Per quanto riguarda le cadute a terra … ho perso il conto! Gli anni passano, i giocatori sono un po’ cambiati e dalla serie B siamo saliti in serie A2 che non era più solo nel nord Italia, ma si espandeva in tutta Italia, ino a tre anni fa, quando siamo saliti in A1, diviso in due gironi, di cui uno al centro-nord e uno al centro-sud. Quest’anno hanno deciso di uniicare il campionato e siamo più squadre: Bergamo, Varese, Parma, Padova, Roma, Macerata, Giulianova (Abruzzo e Marche) e due squadre in Sar-

degna, Porto Torres e Sassari. A breve sarò a Porto Torres, mentre oggi abbiamo perso in casa contro il Varese. Nel frattempo la società sportiva si è ampliata ed è diventata una bella realtà comprendente il settore del Tennis e del basket di cui faccio parte anche io - anche se quest’an-

no forse non riuscirò a praticarlo per problemi ad una spalla - e il tennis da tavolo, pingpong, per un totale di circa 110 atleti tesserati, senza contare accompagnatori, simpatizzanti, parenti e compagnia bella, siamo ben oltre le più rosee aspettative. Io non sono mai stato uno sportivo, il mio sport era mangiare o il cantiere dove lavoravo …, ora sono io il primo a dire che lo sport è importantissimo e aiuta moltissimo. Oltre all’aspetto isico, ti aiuta a superare molti muri emoti-vi, soprattutto per ragazzi timidi e chiusi è importante perché aiuta a confrontarsi con la gente. Questa è un po’ la mia storia, adesso lascio la parola a voi, se volete fare qualche domanda.• COME FAI A FARE “PASSI” NEL GIOCO DEL BASKET? Le regole del basket sono uguali,

come uguali sono le misure del campo. Invece dei passi a noi vengono conteggiate le spinte. E’ l’unica cosa che cambia dal gioco in piedi a quello in carrozzina, tutto il resto è uguale.

• COME HAI VISSUTO IL FATTO DI FINIRE SU UNA CARROZZINA? COME L’HAI AC-

CETTATO? TI E’ STATO VICINO QUALCUNO? Premetto che io di carattere sono ancora un po’ timido, ma è importante non lasciarsi andare, perché se ti lasci andare la vivi male tu e le persone che vivono accanto a te: genitori, coniuge, igli … e diventi una “lagna” perché non ti va bene niente e dici che non riesci a far niente. Faccio un esempio: Le prime volte che mi è capitato di avere in mano delle cose che poi mi sono cadute a terra, non è che non potessi raccoglierle, ma avevo paura di cader fuori dalla carrozzina, mi ponevo il problema di come fare a tirarmi su se mi fosse successo, adesso quasi mi tuffo, e chiedevo a mio fratello Ivan, o a mio papà, o a mia mamma il favore di raccoglierlo, e per un po’ sono andato avanti così ma … per vincere queste paure c’è bisogno di una terapia d’urto. Ricordo che a volte mio fratello mi trattava male, ma proprio male, e io piangevo … lo giuro, chiedevo a lui perché mi trattava così, ero convinto che non mi volesse più bene. Poi ho capito, e non smetterò mai di dire GRAZIE a lui e a mia cognata, perché il suo “trattarmi male” non era mancanza di amore nei miei riguardi, ma uno spronarmi a tentare di farcela da solo! Sono passati 14 anni, ma dirò continuamente GRAZIE a mio fratello, perché alla ine il suo trattarmi male aveva un rovescio della medaglia, che è quello che sono adesso, con un buon livello di autonomia.

• IO CON LA MACCHINA FACCIO IN MEDIA CIRCA 18.000 KM ALL’ANNO E MI REPUTO UNO CHE VIAGGIA ABBASTANZA. POSSO CHIEDERTI QUANTI KM FAI TU? Io faccio circa 25.000 Km all’anno.

• DOVE SEI STATO IN FERIE L’ANNO SCORSO? QUANTI INFERMIERI AVEVI CON TE? Sono stato 4 giorni a Praga e una settimana a Tenerife e non avevo infermieri al seguito, ero con altri 3-4 disabili come me. Viaggio molto, come viaggia una persona non disabile.

• QUALI SONO LE TRE COSE POSITIVE CHE TI HANNO PORTATO AL SUCCESSO CHE HAI OGGI?

CAMMINIAMO INSIEME40

1. L’aspetto positivo che mi ha portato questo tragico evento è il cambiamento del rapporto tra me e mio fratello, perché prima a volte ci “scornavamo”, come tutti, e anche con mia cognata, che non reputo cognata, ma una sorella acquisita!

2. Io non ero mai andato in ferie da disabile e con gli altri amici disabili come me. Una volta abbiamo prenotato il volo di andata per l’Austria e il primo hotel, poi abbiamo fatto una bel-lissima vacanza, sempre con le valigie in mano, per spostarci nelle diverse località. Questo mi ha aiutato a vincere tante paure.

3. I successi sportivi, l’essere in una squadra, l’andare in trasferta con la squadra, e poi … conta tanto la spinta di chi ti sta vicino, dei miei genitori, che purtroppo non sono più qui a sentirmi, e di mio fratello e mia cognata, che questa sera sono qui a sentirmi, e questo lo dirò inché campo!

• C’E’ QUALCOSA CHE NON RIESCI A FARE DA SOLO? Prendere una cosa in alto. Io rispon-

do spesso con battute, è autoironia! Certo, chi non mi conosce a volte si offende … a volte mi capita di rispondere a chi mi chiede come ho fatto a farmi male, che è successo perché non si è aperto il paracadute durante il lancio! C’è gente che non mi ha più parlato, ma io lo faccio solo per prendermi in giro.

• HAI SUPERATO TANTE PAURE E TANTI LIMITI IN QUESTI ANNI. SE PENSI AL TUO FUTURO C’E’ QUALCOSA CHE TI PREOCCUPA O TI SPAVENTA? Dal punto di vista sportivo penso a quando non potrò più fare sport, perché verrà a mancare una parte importante di ciò che è attualmente la mia vita. E poi la paura di non essere più autonomo, di dover dipendere da qualcuno. Io a 50-60-70 anni non sarò mai come voi quando arriverete alla stessa età, perché aver lesionato la schiena non è poca cosa, soprattutto dal punto di vista clinico la mia lesione porta con sé problemi ad altri organi, e quindi a pari età io avrò sempre un deicit maggiore. La cosa non posso dire che mi spaventi, ma mi fa pensare… però vivo giorno dopo giorno.

• GIOCAVI A BASKET PRIMA? No, non ho mai praticato sport, andavo all’oratorio a fare due tiri al pallone. Adesso guai a togliermi lo sport!

• PRIMA DELL’INCIDENTE AVRAI AVUTO TANTI AMICI. DOPO LA DISGRAZIA HAI AVU-

TO ANCORA VERI AMICI CHE TI HANNO AIUTATO AD ARRIVARE A QUESTO PUNTO? Io ho perso contatti con la compagnia che avevo perché mi sono trasferito e tanti di loro hanno saputo dell’incidente dopo diversi anni. Ho riallacciato i rapporti con i coscritti con i quali ogni anno ci incontriamo. Il fatto di aver perso la compagnia non è dettato da cattiveria, quindi, ha inluito il mio trasferimento da Zogno a qui.

• L’ASPETTO DELLA FEDE TI HA AIUTATO A SUPERARE QUESTI MOMENTI O QUE-

STI AVVENIMENTI TI HANNO ALLONTANATO DALLA FEDE? C’è stato un periodo in cui avrei augurato la peggior morte alla persona che ha provocato questo incidente. So che era un signore di 62 anni, adesso ne avrebbe 76, ma non so se è ancora vivo, perché io non l’ho mai visto, non so che faccia ha … Poi passa il tempo e ti viene spontaneo pensare che, senza dubbio, non voleva di certo rovinare la vita ad una persona, è successo e basta. Per quanto ri-guarda la fede … la Chiesa… Sono convinto che due angeli, mio nonno e mio zio, mi hanno preso sottobraccio e mi hanno attutito la caduta a terra. Tanti dicono che io sono un po’ troppo nei divertimenti e nella vita mondana, ma io ho già giocato a carte con il “boia” e ho vinto la par-

tita, allora voglio godermela, la vita, perché ho già fatto l’equilibrista sull’orlo della fossa…, io come tanti paraplegici come me o in condizioni peggiori delle mie. Certo, mi manca il fatto di poter andare ai parchi acquatici, scendere dagli scivoli, andare a Gardaland…, ma mi sono tolto altri sizi, come per esempio andare in Asia per 20 giorni, forse se non fossi stato in questa condizione, non ci sarei mai andato.

Don Vittorio: Rinnovo il grazie per la disponibilità e la testimonianza, che è un rileggere la tua vita. In un attimo è cambiato tutto, ma i cambiamenti non sono sempre solo negativi, certo, il fatto di essere su una carrozzella e non poter camminare è un trauma, ma lo è ancor di più rea-

lizzare e prendere consapevolezza che d’ora in avanti la vita sarà sempre così … c’è anche chi non ha la forza di accettare. Qualcuno, ponendoti le domande, ti ha chiesto come vedi il tuo futuro. La tua risposta è stata: “io guardo l’oggi”, è importante amare la vita “oggi” e questo, lo dico an-

che a voi ragazzi, vale per tutti, perché nessuno sa quale sarà il futuro. Non dimentichiamo mai che la malattia, la vecchiaia, il dipendere dagli altri, prima o dopo c’è per tutti.

A te, Patrik, voglio dire che la fede non è solo andare in chiesa, tu sei credente perché credi nella vita, perché ami la vita e il volto del Signore è il volto di chi ci ama. Hai detto che sei convinto che in quel momento due persone, due angeli, ti sono state accanto, altrimenti non saresti qui. Anche i tuoi genitori sono stati angeli, angeli che ora vivono al cospetto di Dio e ti sono vicini comunque, ma angeli custodi sono anche tuo fratello, tua cognata, i tuoi nipoti. Il Signore ti ha dato tante grazie, e in quel dramma che poteva farti chiudere in te stesso – c’è anche chi pensa che così non c’è più vita - hai trovato la forza di rinascere ed una persona accanto che ti vuole bene e la gioia del vivere e questa sera le tue parole ce lo hanno testimoniato. Grazie.

1. L’aspetto positivo che mi ha portato questo tragico evento è il cambiamento del rapporto tra me e mio fratello, perché prima a volte ci “scornavamo”, come tutti, e anche con mia cognata, che non reputo cognata, ma una sorella acquisita!

2. Io non ero mai andato in ferie da disabile e con gli altri amici disabili come me. Una volta abbiamo prenotato il volo di andata per l’Austria e il primo hotel, poi abbiamo fatto una bellissima vacanza, sempre con le valigie in mano, per spostarci nelle diverse località. Questo mi ha aiutato a vincere tante paure.

3. I successi sportivi, l’essere in una squadra, l’andare in trasferta con la squadra, e poi … conta tanto la spinta di chi ti sta vicino, dei miei genitori, che purtroppo non sono più qui a sentirmi, e di mio fratello e mia cognata, che questa sera sono qui a sentirmi, e questo lo dirò inché campo!

• C’E’ QUALCOSA CHE NON RIESCI A FARE DA SOLO? Prendere una cosa in alto. Io rispondo spesso con battute, è autoironia! Certo, chi non mi conosce a volte si offende … a volte mi capita di rispondere a chi mi chiede come ho fatto a farmi male, che è successo perché non si è aperto il paracadute durante il lancio! C’è gente che non mi ha più parlato, ma io lo faccio solo per prendermi in giro.

• HAI SUPERATO TANTE PAURE E TANTI LIMITI IN QUESTI ANNI. SE PENSI AL TUO FUTURO C’E’ QUALCOSA CHE TI PREOCCUPA O TI SPAVENTA? Dal punto di vista sportivo penso a quando non potrò più fare sport, perché verrà a mancare una parte importante di ciò che è attualmente la mia vita. E poi la paura di non essere più autonomo, di dover dipendere da qualcuno. Io a 50-60-70 anni non sarò mai come voi quando arriverete alla stessa età, perché aver lesionato la schiena non è poca cosa, soprattutto dal punto di vista clinico la mia lesione porta con sé problemi ad altri organi, e quindi a pari età io avrò sempre un deicit maggiore. La cosa non posso dire che mi spaventi, ma mi fa pensare… però vivo giorno dopo giorno.

• GIOCAVI A BASKET PRIMA? No, non ho mai praticato sport, andavo all’oratorio a fare due tiri al pallone. Adesso guai a togliermi lo sport!

• PRIMA DELL’INCIDENTE AVRAI AVUTO TANTI AMICI. DOPO LA DISGRAZIA HAI AVUTO ANCORA VERI AMICI CHE TI HANNO AIUTATO AD ARRIVARE A QUESTO PUNTO? Io ho perso contatti con la compagnia che avevo perché mi sono trasferito e tanti di loro hanno saputo dell’incidente dopo diversi anni. Ho riallacciato i rapporti con i coscritti con i quali ogni anno ci incontriamo. Il fatto di aver perso la compagnia non è dettato da cattiveria, quindi, ha inluito il mio trasferimento da Zogno a qui.

• L’ASPETTO DELLA FEDE TI HA AIUTATO A SUPERARE QUESTI MOMENTI O QUESTI AVVENIMENTI TI HANNO ALLONTANATO DALLA FEDE? C’è stato un periodo in cui avrei augurato la peggior morte alla persona che ha provocato questo incidente. So che era un signore di 62 anni, adesso ne avrebbe 76, ma non so se è ancora vivo, perché io non l’ho mai visto, non so che faccia ha … Poi passa il tempo e ti viene spontaneo pensare che, senza dubbio, non voleva di certo rovinare la vita ad una persona, è successo e basta. Per quanto riguarda la fede … la Chiesa… Sono convinto che due angeli, mio nonno e mio zio, mi hanno preso sottobraccio e mi hanno attutito la caduta a terra. Tanti dicono che io sono un po’ troppo nei divertimenti e nella vita mondana, ma io ho già giocato a carte con il “boia” e ho vinto la partita, allora voglio godermela, la vita, perché ho già fatto l’equilibrista sull’orlo della fossa…, io come tanti paraplegici come me o in condizioni peggiori delle mie. Certo, mi manca il fatto di poter andare ai parchi acquatici, scendere dagli scivoli, andare a Gardaland…, ma mi sono tolto altri sizi, come per esempio andare in Asia per 20 giorni, forse se non fossi stato in questa condizione, non ci sarei mai andato.

Don Vittorio: Rinnovo il grazie per la disponibilità e la testimonianza, che è un rileggere la tua vita. In un attimo è cambiato tutto, ma i cambiamenti non sono sempre solo negativi, certo, il fatto di essere su una carrozzella e non poter camminare è un trauma, ma lo è ancor di più realizzare e prendere consapevolezza che d’ora in avanti la vita sarà sempre così … c’è anche chi non ha la forza di accettare. Qualcuno, ponendoti le domande, ti ha chiesto come vedi il tuo futuro. La tua risposta è stata: “io guardo l’oggi”, è importante amare la vita “oggi” e questo, lo dico anche a voi ragazzi, vale per tutti, perché nessuno sa quale sarà il futuro. Non dimentichiamo mai che la malattia, la vecchiaia, il dipendere dagli altri, prima o dopo c’è per tutti.

A te, Patrik, voglio dire che la fede non è solo andare in chiesa, tu sei credente perché credi nella vita, perché ami la vita e il volto del Signore è il volto di chi ci ama. Hai detto che sei con-

vinto che in quel momento due persone, due angeli, ti sono state accanto, altrimenti non saresti qui. Anche i tuoi genitori sono stati angeli, angeli che ora vivono al cospetto di Dio e ti sono vicini comunque, ma angeli custodi sono anche tuo fratello, tua cognata, i tuoi nipoti. Il Signore ti ha dato tante grazie, e in quel dramma che poteva farti chiudere in te stesso – c’è anche chi pensa che così non c’è più vita - hai trovato la forza di rinascere ed una persona accanto che ti vuole bene e la gioia del vivere e questa sera le tue parole ce lo hanno testimoniato. Grazie.

CAMMINIAMO INSIEME42

ROMA 8-9-10 FEBBRAIOPAPA FRANCESCO

UDIENZA GENERALE Mercoledì, 10 febbraio 2016

Il Giubileo nella Bibbia.Giustizia e condivi-sione Cari fratelli e sorelle, buon-

giorno e buon cam-

mino di Quaresi-ma! È bello e anche signiicativo ave-

re questa udienza proprio in questo Mercoledì delle Ceneri. Incomin-

ciamo il cammino della Quaresima, e oggi ci soffermia-

mo sull’antica isti-tuzione del “giu-

bileo”; è una cosa antica, attestata nella Sacra Scrit-

tura. La troviamo in particolare nel Libro del Levitico, che la presenta come un momento culminante della vita religiosa e sociale del popolo d’Israele. Ogni 50 anni, «nel giorno dell’espiazione» (Lv 25,9), quando la misericordia del Signore veniva invocata su tutto il popolo, il suono del corno annun-

ciava un grande evento di liberazione.Leggiamo infatti nel libro del Levitico: «Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclame-

rete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia […] In quest’anno del giubileo ciascuno tornerà nella sua proprietà» (25,10.13). Secondo queste disposizioni, se qualcuno era stato costretto a vendere la sua terra o la sua casa, nel giubileo poteva rientrarne in possesso; e se qualcuno aveva contratto debiti e, impossibilitato a pagarli, fosse stato costretto a mettersi al servi-zio del creditore, poteva tornarsene libero alla sua famiglia e riavere tutte le proprietà. Era una specie di “condono generale”, con cui si permetteva a tutti di tornare nella situazione originaria, con la cancellazione di ogni debito, la restituzione della terra, e la possibilità di godere di nuovo della libertà propria dei membri del popolo di Dio. Un popolo “santo”, dove prescrizioni come quella del giubileo servivano a combattere la povertà e la disuguaglianza, garantendo una vita dignitosa per tutti e un’equa distribuzione della terra su cui abitare e da cui trarre sostentamento. L’idea centrale è che la terra appartiene originariamente a Dio ed è stata afidata agli uomini (cfr Gen 1,28-29), e perciò nessuno può arrogarsene il possesso esclusivo, creando situazioni di disuguaglianza. Questo, oggi, possiamo pensarlo e ripensarlo; ognuno nel suo cuore pensi se ha troppe cose. Ma

perché non lasciare a quelli che non hanno niente? Il dieci per cento, il cinquanta per cento… Io dico: che lo Spirito Santo ispiri ognuno di voi. Con il giubileo, chi era diventato povero ritornava ad avere il necessario per vivere, e chi era diventato ricco restituiva al povero ciò che gli aveva preso. Il ine era una società basata sull’uguaglianza e la solidarietà, dove la libertà, la terra e il denaro ridiventassero un bene per tutti e non solo per alcuni, come accade adesso, se non sbaglio… Più o meno, le cifre non sono sicure, ma l’ottanta per cento delle ricchezze dell’umanità sono nelle mani di meno del venti per cento della popolazione. È un giubileo – e questo lo dico ricordando la nostra storia di salvezza – per convertirsi, perché il nostro cuore diventi più grande, più generoso, più iglio di Dio, con più amore. Vi dico una cosa: se questo desiderio, se il giubileo non arriva alle tasche, non è un vero giubileo. Avete capito? E questo è nella Bibbia! Non lo inventa questo Papa: è nella Bibbia. Il ine – come ho detto – era una società basata sull’uguaglianza e la solidarietà, dove la libertà, la terra e il denaro diventassero un bene per tutti e non per alcuni. Infatti il giubileo aveva la funzione di aiutare il popolo a vivere una fraternità concreta, fatta di aiuto reciproco. Possiamo dire che il giubileo biblico era un “giubileo di misericordia”, perché vissuto nella ricerca sincera del bene del fratello bisognoso. Nella stessa linea, anche altre istituzioni e altre leggi governavano la vita del popolo di Dio, perché si potesse sperimentare la misericordia del Signore attraverso quella degli uomini. In quelle norme troviamo indicazioni valide anche oggi, che fanno rilettere. Ad esempio, la legge biblica prescriveva il versamento delle “decime” che venivano destinate ai Leviti, incaricati del culto, i quali erano senza terra, e ai poveri, agli orfani, alle vedove (cfr Dt 14,22-29). Si prevedeva cioè che la decima parte del raccolto, o dei proventi di altre attività, venisse data a coloro che erano senza protezione e in stato di necessità, così da favorire condizioni di relativa uguaglianza all’interno di un popolo in cui tutti dovevano comportarsi da fratelli. C’era anche la legge concernente le “primizie”. Che cos’è questo? La prima parte del raccolto, la parte più preziosa, doveva essere condivisa con i Leviti e gli stranieri (cfr Dt 18,4-5; 26,1-11), che non possedevano campi, così che anche per loro la terra fosse fonte di nutrimento e di vita. «La terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti», dice il Signore (Lv 25,23). Siamo tutti ospiti del Signore, in attesa della patria celeste (cfr Eb 11,13-16; 1Pt 2,11), chiamati a rendere abitabile e umano il mondo che ci accoglie. E quante “primizie” chi è più fortunato potrebbe donare a chi è in dificoltà! Quante primizie! Primizie non solo dei frutti dei campi, ma di ogni altro prodotto del lavoro, degli stipendi, dei risparmi, di tante cose che si possiedono e che a volte si sprecano. Questo succede anche oggi. Nell’Elemosineria apostolica arrivano tante lettere con un po’ di denaro: “Questa è una parte del mio stipendio per aiutare altri”. E questo è bello; aiutare gli altri, le istituzioni di beneicenza, gli ospedali, le case di riposo…; dare anche ai forestieri, quelli che sono 2 stranieri e sono di passaggio. Gesù è stato di passaggio in Egitto. E proprio pensando a questo, la Sacra Scrittura esorta con insistenza a rispondere generosamente alle richieste di prestiti, senza fare calcoli meschini e senza pretendere interessi impossibili: «Se il tuo fratello che è presso di te cade in miseria ed è privo di mezzi, aiutalo, come un forestiero e ospite, perché possa vivere presso di te.

CAMMINIAMO INSIEME 43

Giustizia e condivisione Cari fratelli e sorelle, buongiorno e buon cammino di Quaresima! È bello e anche signiicativo avere questa udienza proprio in questo Mercoledì delle Ceneri. Incominciamo il cammino della Quaresima, e oggi ci soffermiamo sull’antica istituzione del “giubileo”; è una cosa antica, attestata nella Sacra Scrittura. La troviamo in particolare nel Libro del Levitico, che la presenta come un momento culminante della vita religiosa e sociale del popolo d’Israele. Ogni 50 anni, «nel giorno dell’espiazione» (Lv 25,9), quando la misericordia del Signore veniva invocata su tutto il popolo, il suono del corno annunciava un grande evento di liberazione.Leggiamo infatti nel libro del Levitico: «Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia […] In quest’anno del giubileo ciascuno tornerà nella sua proprietà» (25,10.13). Secondo queste disposizioni, se qualcuno era stato costretto a vendere la sua terra o la sua casa, nel giubileo poteva rientrarne in possesso; e se qualcuno aveva contratto debiti e, impossibilitato a pagarli, fosse stato costretto a mettersi al servizio del creditore, poteva tornarsene libero alla sua famiglia e riavere tutte le proprietà. Era una specie di “condono generale”, con cui si permetteva a tutti di tornare nella situazione originaria, con la cancellazione di ogni debito, la restituzione della terra, e la possibilità di godere di nuovo della libertà propria dei membri del popolo di Dio. Un popolo “santo”, dove prescrizioni come quella del giubileo servivano a combattere la povertà e la disuguaglianza, garantendo una vita dignitosa per tutti e un’equa distribuzione della terra su cui abitare e da cui trarre sostentamento. L’idea centrale è che la terra appartiene originariamente a Dio ed è stata afidata agli uomini (cfr Gen 1,28-29), e perciò nessuno può arrogarsene il possesso esclusivo, creando situazioni di disuguaglianza. Questo, oggi, possiamo pensarlo e ripensarlo; ognuno nel suo cuore pensi se ha troppe cose. Ma

perché non lasciare a quelli che non hanno niente? Il dieci per cento, il cinquanta per cento… Io dico: che lo Spirito Santo ispiri ognuno di voi. Con il giubileo, chi era diventato povero ritor-

nava ad avere il necessario per vivere, e chi era diventato ricco restituiva al povero ciò che gli aveva preso. Il ine era una società basata sull’uguaglianza e la solidarietà, dove la libertà, la terra e il denaro ridiventassero un bene per tutti e non solo per alcuni, come accade adesso, se non sbaglio… Più o meno, le cifre non sono sicure, ma l’ottanta per cento delle ricchezze dell’umanità sono nelle mani di meno del venti per cento della popolazione. È un giubileo – e questo lo dico ricor-

dando la nostra storia di salvezza – per convertirsi, perché il nostro cuore diventi più grande, più generoso, più iglio di Dio, con più amore. Vi dico una cosa: se questo desiderio, se il giubileo non arriva alle tasche, non è un vero giu-

bileo. Avete capito? E questo è nella Bibbia! Non lo inventa questo Papa: è nella Bibbia. Il ine – come ho detto – era una società basata sull’uguaglianza e la solidarietà, dove la libertà, la terra e il denaro diventassero un bene per tutti e non per alcuni. Infatti il giubileo aveva la funzione di aiutare il popolo a vivere una fraternità concreta, fat-

ta di aiuto reciproco. Possiamo dire che il giubileo biblico era un “giubileo di misericordia”, perché vissuto nella ricerca sincera del bene del fratello bisognoso. Nella stessa linea, anche altre istituzioni e altre leggi governavano la vita del popolo di Dio, perché si potesse speri-mentare la misericordia del Signore attraverso quella degli uomini. In quelle norme troviamo indicazioni valide anche oggi, che fanno rilettere. Ad esempio, la legge biblica prescriveva il versamento delle “decime” che venivano destinate ai Leviti, incaricati del culto, i quali erano senza terra, e ai poveri, agli orfani, alle vedove (cfr Dt 14,22-29). Si prevedeva cioè che la decima parte del raccolto, o dei proventi di altre attività, venisse data a coloro che erano senza protezione e in stato di necessità, così da favorire condizioni di relativa uguaglianza all’interno di un popolo in cui tutti dovevano comportarsi da fratelli. C’era anche la legge concernente le “primizie”. Che cos’è questo? La prima parte del raccolto, la parte più preziosa, doveva essere condivisa con i Leviti e gli stranieri (cfr Dt 18,4-5; 26,1-11), che non possedevano campi, così che anche per loro la terra fosse fonte di nutrimento e di vita. «La terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti», dice il Signore (Lv 25,23). Siamo tutti ospiti del Signore, in attesa della patria celeste (cfr Eb 11,13-16; 1Pt 2,11), chia-

mati a rendere abitabile e umano il mondo che ci accoglie. E quante “primizie” chi è più fortu-

nato potrebbe donare a chi è in dificoltà! Quante primizie! Primizie non solo dei frutti dei campi, ma di ogni altro prodotto del lavoro, degli stipendi, dei risparmi, di tante cose che si possiedono e che a volte si sprecano. Questo succede anche oggi. Nell’Elemosineria apostolica arrivano tante lettere con un po’ di denaro: “Questa è una parte del mio stipendio per aiutare altri”. E questo è bello; aiutare gli altri, le istituzio-

ni di beneicenza, gli ospedali, le case di ri-poso…; dare anche ai forestieri, quelli che sono 2 stranieri e sono di passaggio. Gesù è stato di passaggio in Egitto. E pro-

prio pensando a questo, la Sacra Scrittura esorta con insistenza a rispondere gene-

rosamente alle richieste di prestiti, senza fare calcoli meschini e senza pretendere in-

teressi impossibili: «Se il tuo fratello che è presso di te cade in miseria ed è privo di mezzi, aiutalo, come un forestiero e ospite, perché possa vivere presso di te.

CAMMINIAMO INSIEME44

Non prendere da lui interessi, né utili; ma temi il tuo Dio e fa’ vivere il tuo fratello presso di te. Non gli presterai il denaro a interesse, né gli darai il vitto ad usura» (Lv 25,35-37). Questo insegnamento è sempre attuale. Quante famiglie sono sulla strada, vittime dell’usura! Per favore preghiamo, perché in questo giubileo il Signore tolga dal cuore di tutti noi questa voglia di avere di più, l’usura. Che si ritorni ad essere genero-

si, grandi. Quante situazioni di usura siamo costretti a vedere e quanta sofferenza e angoscia por-

tano alle famiglie! E tante volte, nella dispe-

razione, quanti uomini iniscono nel suicidio perché non ce la fanno e non hanno la speranza, non hanno la mano tesa che li aiuti; soltanto la mano che viene a fargli pagare gli interessi. È un grave peccato l’usura, è un peccato che grida al cospetto di Dio. Il Signore invece ha promesso la sua benedizione a chi apre la mano per dare con larghezza (cfr Dt 15,10). Lui ti darà il doppio, forse non in soldi ma in altre cose, ma il Signore ti darà sempre il doppio.

Cari fratelli e sorelle, il messaggio biblico è molto chiaro: aprirsi con coraggio alla condivisione, e questo è misericordia! E se noi vogliamo misericordia da Dio incominciamo a farla noi. È questo: incomincia-

mo a farla noi tra concittadini, tra famiglie, tra popoli, tra continenti. Contribuire a realizzare una terra senza poveri vuol dire costruire so-

cietà senza discriminazioni, basate sulla solidarietà che porta a con-

dividere quanto si possiede, in una ripartizione delle risorse fondata sulla fratellanza e sulla giustizia.

Grazie.

CAMMINIAMO INSIEME 45

Non prendere da lui interessi, né utili; ma temi il tuo Dio e fa’ vivere il tuo fratello presso di te. Non gli presterai il denaro a interesse, né gli darai il vitto ad usura» (Lv 25,35-37). Questo insegnamento è sempre attuale. Quante famiglie sono sulla strada, vittime dell’usura! Per favore preghiamo, perché in questo giubileo il Signore tolga dal cuore di tutti noi questa voglia di avere di più, l’usura. Che si ritorni ad essere generosi, grandi. Quante situazioni di usura siamo costretti a vedere e quanta sofferenza e angoscia portano alle famiglie! E tante volte, nella disperazione, quanti uomini iniscono nel suicidio perché non ce la fanno e non hanno la speranza, non hanno la mano tesa che li aiuti; soltanto la mano che viene a fargli pagare gli interessi. È un grave peccato l’usura, è un peccato che grida al cospetto di Dio. Il Signore invece ha promesso la sua benedizione a chi apre la mano per dare con larghezza (cfr Dt 15,10). Lui ti darà il doppio, forse non in soldi ma in altre cose, ma il Signore ti darà sempre il doppio.

Cari fratelli e sorelle, il messaggio biblico è molto chiaro: aprirsi con coraggio alla condivisione, e questo è misericordia! E se noi vogliamo misericordia da Dio incominciamo a farla noi. È questo: incominciamo a farla noi tra concittadini, tra famiglie, tra popoli, tra continenti. Contribuire a realizzare una terra senza poveri vuol dire costruire società senza discriminazioni, basate sulla solidarietà che porta a condividere quanto si possiede, in una ripartizione delle risorse fondata sulla fratellanza e sulla giustizia.

CAMMINIAMO INSIEME46

Rilessione dei ragazziLa gita a Roma

Il don ha preparato tante gite fantastiche, la più bella è stata a Roma. Il momento prima dell’udienza non sapevamo ancora cosa ci potevamo aspettare. Eravamo agitati ma quando ho visto il Papa ho provato una grande emozione di gioia immensa, inspiegabile. Non l’avevo mai sentita prima, come se il mio cuore si unisse a Gesù e l’ho sentito presente. Il Papa vestito di bianco mi ha richiamato che lui è la voce della pace per tutti gli uomini di buona volontà, segno di purezza, di fede e di amore. Mi ha colpito che il Papa era sempre sorridente e le sue parole sono state molto belle e di immensa saggezza. Mi ha colpito quando il Papa ha baciato sulla fronte una ragazza paralizzata su una barella coperta ino al collo da dei teli. È stata un esperienza meravigliosa.

CAMMINIAMO INSIEME 47

Rilessione dei ragazzi

Il don ha preparato tante gite fantastiche, la più bella è stata a Roma. Il momento prima dell’udienza non sapevamo ancora cosa ci potevamo aspettare. Eravamo agitati ma quando ho visto il Papa ho provato una grande emozione di gioia immensa, inspiegabile. Non l’avevo mai sentita prima, come se il mio cuore si unisse a Gesù e l’ho sentito presente. Il Papa vestito di bianco mi ha richiamato che lui è la voce della pace per tutti gli uomini di buona volontà, segno di purezza, di fede e di amore. Mi ha colpito che il Papa era sempre sorridente e le sue parole sono state molto belle e di immensa saggezza. Mi ha colpito quando il Papa ha baciato sulla fronte una ragazza paralizzata su una barella coperta ino al collo da dei teli.

.

CAMMINIAMO INSIEME48

Per me Roma è stata un esperienza unica. Tutto è iniziato lunedì 8 febbraio. Ci siamo sve-

gliati prestissimo ma ne è valsa la pena perché una volta arrivati siamo andati davanti a Castel Sant’Angelo dove abbiamo fatto un cammino a piedi percorrendo il viale della Conci-liazione con cinque tappe di rilessione e preghiera e varcare la Porta Santa della Basilica di S. Pietro con un emozione unica ed indimenticabile. Basilica è una meraviglia. Poi siamo saliti sul cupolone anche se io devo ammettere avevo un pò di paura ma una volta arrivati, in alto si contempla un panorama mozzaiato. Alla sera in albergo è stato altrettanto bello perché ci siamo ritrovati in una stanza e ci siamo confrontati sulle cose belle che abbiamo visto. È stato interessante sentire quello che pensavano le mie compagne sulle stesse cose che abbiamo visto. Il giorno dopo davanti all’altare del Bernini sembrava di essere formiche minuscole. Più tardi abbiamo partecipato alla messa celebrata dal Cardinal RE. Nel pomeriggio abbiamo visitato un po’ Roma. Mi è piaciuto un sacco buttare tutti insieme una moneta nella fon-

tana di Trevi. Il terzo giorno è stata emozionante l’udienza con il Papa, vederlo da vicino, sentirlo parlare con il cuore dicendo cose vere ed è stato interessante poterle ascoltare dal vivo. È stata un esperienza fantastica che lascerà un segno indelebile nella mia vita. È stata un’occasione per conoscerci meglio e conoscere nuove persone. È stata una gita favolosaaa! Ciò che la resa ancora più bella è stata condividerla insieme con i miei amici.

Roma 2016: un esperienza indimenticabile!

A febbraio siamo andati tre giorni a Roma. Abbiamo pregato e varcato la Porta Santa, abbiamo visitato la Basilica di S. Pietro e siamo saliti sulla cupola. Abbiamo partecipato alla Messa presieduta dal Cardinale Giovan Battista Re davanti alla tomba di S. Pietro nelle grotte vaticane dove abbiamo sostato in preghiera davanti alla tomba del Beato Papa Paolo VI e del Servo di Dio Giovanni Paolo I. L’incontro con il Papa da vicino è stato emozionante. Un’altra cosa importante è stata la compagnia. Abbiamo condiviso giornate indimenticabili parlando e scherzando anche se alla sera eravamo stanchi per la giornata intensa. Una cosa importante: siamo tornati a casa più legati tra noi rispetto a quando siamo partiti.

CAMMINIAMO INSIEME 49

Per me Roma è stata un esperienza unica. Tutto è iniziato lunedì 8 febbraio. Ci siamo svegliati prestissimo ma ne è valsa la pena perché una volta arrivati siamo andati davanti a Castel Sant’Angelo dove abbiamo fatto un cammino a piedi percorrendo il viale della Conciliazione con cinque tappe di rilessione e preghiera e varcare la Porta Santa della Basilica di S. Pietro con un emozione unica ed indimenticabile. Basilica è una meraviglia. Poi siamo saliti sul cupolone anche se io devo ammettere avevo un pò di paura ma una volta arrivati, in alto si contempla un panorama mozzaiato. Alla sera in albergo è stato altrettanto bello perché ci siamo ritrovati in una stanza e ci siamo confrontati sulle cose belle che abbiamo visto. È stato interessante sentire quello che pensavano le mie compagne sulle stesse cose che abbiamo visto. Il giorno dopo davanti all’altare del Bernini sembrava di essere formiche minuscole. Più tardi abbiamo partecipato alla messa celebrata dal Cardinal RE. Nel pomeriggio abbiamo visitato un po’ Roma. Mi è piaciuto un sacco buttare tutti insieme una moneta nella fontana di Trevi. Il terzo giorno è stata emozionante l’udienza con il Papa, vederlo da vicino, sentirlo parlare con il cuore dicendo cose vere ed è stato interessante poterle ascoltare dal vivo. È stata un esperienza fantastica che lascerà un segno indelebile nella mia vita. È stata un’occasione per conoscerci meglio e conoscere nuove persone. È stata una gita favolosaaa! Ciò che la resa ancora più bella è stata condividerla insieme con i miei amici.

A febbraio siamo andati tre giorni a Roma. Abbiamo pregato e varcato la Porta Santa, ab-

biamo visitato la Basilica di S. Pietro e siamo saliti sulla cupola. Abbiamo partecipato alla Messa presieduta dal Cardinale Giovan Battista Re davanti alla tomba di S. Pietro nelle grotte vaticane dove abbiamo sostato in preghiera davanti alla tomba del Beato Papa Paolo VI e del Servo di Dio Giovanni Paolo I. L’incontro con il Papa da vicino è stato emozionante. Un’altra cosa importante è stata la compagnia. Abbiamo condiviso giornate indimenticabili parlando e scherzando anche se alla sera era-

vamo stanchi per la giornata intensa. Una cosa importante: siamo tornati a casa più legati tra noi rispetto a quando siamo partiti.

CAMMINIAMO INSIEME50

Il pellegrinaggio a Roma mi è servito molto. È stata una gita spirituale, culturale e anche divertente. Incontrare il Papa e stringergli la mano è stato emozionante. Ringrazio di cuore don Vittorio.

Il viaggio a Roma è stato carico di emozioni. Una bellissima esperien-

za perché vissuto con i miei amici. Ho trovato unica ed emozionante andare sulla cupola ed oltrepassare la Porta Santa. Poi l’udienza con il Santo Padre, ero pieno d’aspettative, felice per questa opportunità incredibile, che emozione … Ma poi un po’ di delusione e rabbia per non essere riuscito a stringere la mano a Papa Francesco, l’avevo sperato così tanto!

La gita a Roma mi è piaciuta tantissimo perché è stata la prima volta che ci sono andato. In più perché eravamo tra amici e con il Don. Mi è piaciuto soprattutto l’incontro con il Papa, ero vicinissimo a lui. Poi un’altra cosa che mi è piaciuta tantissimo è stata la visita sulla cupola. Spero di tornarci.

Il viaggio a Roma mi è piaciuto tantissimo. Mi ha colpito molto la fontana di Trevi e la chiesa di S. Pietro.

CAMMINIAMO INSIEME 51

Il pellegrinaggio a Roma mi è servito molto. È stata una gita spirituale, culturale e anche divertente. Incontrare il Papa e stringergli la mano è stato emozionante. Ringrazio di cuore don Vittorio.

Il viaggio a Roma è stato carico di emozioni. Una bellissima esperienza perché vissuto con i miei amici. Ho trovato unica ed emozionante andare sulla cupola ed oltrepassare la Porta Santa. Poi l’udienza con il Santo Padre, ero pieno d’aspettative, felice per questa opportunità incredibile, che emozione … Ma poi un po’ di delusione e rabbia per non essere riuscito a stringere la mano a Papa Francesco, l’avevo sperato così tanto!

La gita a Roma mi è piaciuta tantissimo perché è stata la prima volta che ci sono andato. In più perché eravamo tra amici e con il Don. Mi è piaciuto soprattutto l’incontro con il Papa, ero vicinis-

simo a lui. Poi un’altra cosa che mi è piaciuta tantissimo è stata la visita sulla cupola. Spero di tornarci.

Il viaggio a Roma mi è piaciuto tantissimo. Mi ha colpito molto la fontana di Trevi e la chiesa di S. Pietro.

CAMMINIAMO INSIEME52

CAMMINIAMO INSIEME 53

CAMMINIAMO INSIEME54

Cari ragazzi per entrare in Basilica di S. Pietro, avete fatto i gradini per venire su e quindi, essendo costruita sette metri più alta, sotto è rimasto questo posto dove ci sono le tombe dei papi. Moltissimi cristiani dal secolo IV sono passati di qui, su questo pavimento … Ogni città del mondo ha le sue bellezze, anche Bergamo ha le sue bellezze e le sue caratteristiche, però Roma è unica al mondo, unica al mondo per la storia, nessun’altra città al mondo ha la storia di Roma che va indietro nei secoli. Nessun’altra città al mondo ha il respiro universale aperto al mondo intero che Roma ha, questo respiro universale l’aveva la Roma degli imperatori, ma ce l’ha anche la Roma dei Papi. Roma oltre che a tante cose belle e grandi dal punto di vista artistico e culturale ha il vantaggio di avere la sede del Papa e di essere quindi il centro del cristianesimo, quel punto a cui guardano tutti i cristiani del mondo. Anche voi domani avrete la gioia di vedere il Santo Padre, e siete qui a Roma nei giorni in cui in Basilica abbiamo il corpo di Padre Pio e di Padre Leopoldo, due grandi confessori della Chiesa.

CAMMINIAMO INSIEME 55

Cardinal ReDiscorso Cardinal Re

Cari ragazzi per entrare in Basi-lica di S. Pietro, avete fatto i gradini per ve-

nire su e quindi, essendo costru-

ita sette metri più alta, sotto è rimasto que-

sto posto dove ci sono le tombe dei papi. Moltis-

simi cristiani dal secolo IV sono passati di qui, su questo pavimento … Ogni città del mondo ha le sue bellezze, anche Bergamo ha le sue bellezze e le sue ca-

ratteristiche, però Roma è unica al mondo, unica al mondo per la storia, nessun’altra città al mondo ha la storia di Roma che va indietro nei secoli. Nessun’altra città al mondo ha il respiro universale aperto al mondo intero che Roma ha, questo respiro universale l’aveva la Roma degli imperatori, ma ce l’ha anche la Roma dei Papi. Roma oltre che a tante cose belle e grandi dal punto di vista artistico e culturale ha il vantaggio di avere la sede del Papa e di essere quindi il centro del cristianesimo, quel punto a cui guardano tutti i cristiani del mondo. Anche voi domani avrete la gioia di vedere il Santo Padre, e siete qui a Roma nei giorni in cui in Basilica abbiamo il corpo di Padre Pio e di Padre Leopoldo, due grandi con-

fessori della Chiesa.

CAMMINIAMO INSIEME56

Una casa per persone diversamente abiliUscita degli adolescenti presso l’istituto don luigi Palazzolo

di Grumello del Monte domenica 10 aprile 2016.

Gli adolescenti con i loro anima-

tori si sono recati Domenica 10 Aprile 2016 presso l’ RSD Resi-denza Socio Sanitaria per perso-

ne disabili di Grumello del Monte gestito dalle suore delle Poverel-le per una testimonianza con i vo-

lontari e loro ospiti.Suor Annamaria, responsabile dei volontari dell’Istituto ci ha illu-

strato con delle diapositive come è composto l’Istituto. Attualmen-

te accoglie 120 persone disabili (le ospiti)con undici nuclei abi-tativi. Lavorano degli operatori che con cicli di turni di lavoro ge-

stiscono ogni servizio. Poi ci sono i volontari, persone che dedicano il loro tempo libero per stare in compagnia delle ospiti di solito al sabato e la domenica qualche vo-

lontario anche in settimana. Vi è poi una piccola comunità di suore , nove in tutto ed ognuna ha dei compiti speciici. La giornata del-le ospiti è scandita da diverse attività: motorie, artistiche, cognitive, terapia con gli animali. Vi è pure il gruppo danze e il gruppo di canto.Il fondatore delle Suore delle Poverelle don Luigi Palazzolo aveva a cuore tutte le persone povere e bisognose e diceva: “i ragazzi, gli orfani li tengo come igli e non come garzoni” per sottolineare l’amore che aveva per i suoi poveri. Aggiungo che i valori che Don Luigi Palazzolo sosteneva sono i valori della famiglia: l’accoglienza e il vivere l’ordinario in modo straordi-nario. Si è passati alla testimonianza di Claudia la prima delle tre ospiti che ci hanno racconta-

to un po’ della loro storia e della loro vita in Istituto. Ci ha riferito che è stata portata in Istituto a 9 anni, quindi sono 47 anni che vive qui a Grumello. Dopo le prime dificoltà dice di aver imparato ad accogliere la vita come un dono, a crescere con onestà, ad avere atten-

zione al vicino. Chiede di poter essere dono, di vedere il bicchiere mezzo pieno,quindi essere più ottimista. La rende felice sapere che noi adolescenti siamo venuti a trovarla.Questo luogo lo sente come casa sua e le suore sono la sua seconda famiglia. Ringrazia tanto i volontari che il sabato e la domenica dedicano del loro tempo libero per fargli compagnia,

per dar loro da mangiare e per portarle a passeggio nei bei giorni di primavera e d’estate. Poi ci ha riferito che ogni giorno fa delle attività diverse esempio attività di creta, pittura, catechesi e alcune volte va al mercato con altre ospiti accompagnata dalla responsabile. Antonietta invece ci ha detto che è impegnata a far il giornalino interno, e ci ha donato alcune copie a noi adolescenti. Milva piace stare in compagnia perché il sorriso è il suo forte, è solo 2 anni che è in Istituto.E’ intervenuto poi Alessio come volontario, giovane di anni 23. Ci ha detto che lui viene il Lunedì pomeriggio perché lavorando al supermercato ha libero questo giorno per fare servizio. E’ arrivato in istituto perché invitato da una sua amica. Il primo approccio con le ospiti è stato nel fare niente in quanto ci si è trovato impacciato, quindi un atteggiamento di silenzio e di ascolto. Poi si è fatto amico di Davide un ragazzo disabile, e da allora ha aperto il suo cuore donando la sua amicizia e ora si trova bene, felice di fare il volontario.

Dice che dà un po’ del suo tempo ma in cambio riceve tantissimo, in affetto, gioia. Capisce che ti vogliono bene, aspettano sempre che tu ci sia. Poi Stefania volontaria dal 1991, ha ribadito che quando gli è stato fatto la proposta dalla iglia di fare volontariato per sostituire una volontaria non era proprio dell’idea ma ha voluto provare e ha continuato. Poco alla volta si viene a conoscenza delle esigenze delle diverse ospiti e si è contenti di poter essere utili verso l’altro. Dopo quattro anni si è aggiunto come volontario anche il marito Giorgio in quanto la iglia dovette abbandonare per motivi personali. Nel gruppo Stelle (ogni nucleo abitativo a un nome) ci sono ospiti di una certa gravità perché non parlano, non camminano, devono essere imboccate, allora il volontario usa il linguaggio degli occhi e poi quello del sorriso e inine quello del cuore. Quest’ultimo linguaggio ti porta ad amare il tuo vicino, il diverso da te. Le ospiti ti cercano con il sorriso e ti senti accolto. E’ stato espresso un desiderio da parte di Stefania che poi è di tutti i volontari, che ci siano giovani che possano accogliere questa opportunità. Suor Annamaria è intervenuta dicendo che chi viene

qui a fare volontariato si sente a casa sua, questo servizio è un’opportunità di crescita nella misura in cui ci si dona all’altro. Diventa un’opportunità di crescita, di maturazione. Dopo questa bella esperienza, abbiamo fatto una foto di gruppo e dopo una breve merenda ci siamo lasciati con la voglia di vederci ancora anche con gli adolescenti più grandi.

CAMMINIAMO INSIEME 57

lisso

Gli adolescenti con i loro animatori si sono recati Domenica 10 Aprile 2016 presso l’ RSD Residenza Socio Sanitaria per persone disabili di Grumello del Monte gestito dalle suore delle Poverelle per una testimonianza con i volontari e loro ospiti.Suor Annamaria, responsabile dei volontari dell’Istituto ci ha illustrato con delle diapositive come è composto l’Istituto. Attualmente accoglie 120 persone disabili (le ospiti)con undici nuclei abitativi. Lavorano degli operatori che con cicli di turni di lavoro gestiscono ogni servizio. Poi ci sono i volontari, persone che dedicano il loro tempo libero per stare in compagnia delle ospiti di solito al sabato e la domenica qualche volontario anche in settimana. Vi è poi una piccola comunità di suore , nove in tutto ed ognuna ha dei compiti speciici. La giornata delle ospiti è scandita da diverse attività: motorie, artistiche, cognitive, terapia con gli animali. Vi è pure il gruppo danze e il gruppo di canto.Il fondatore delle Suore delle Poverelle don Luigi Palazzolo aveva a cuore tutte le persone povere e bisognose e diceva: “i ragazzi, gli orfani li tengo come igli e non come garzoni” per sottolineare l’amore che aveva per i suoi poveri. Aggiungo che i valori che Don Luigi Palazzolo sosteneva sono i valori della famiglia: l’accoglienza e il vivere l’ordinario in modo straordinario. Si è passati alla testimonianza di Claudia la prima delle tre ospiti che ci hanno raccontato un po’ della loro storia e della loro vita in Istituto. Ci ha riferito che è stata portata in Istituto a 9 anni, quindi sono 47 anni che vive qui a Grumello. Dopo le prime dificoltà dice di aver imparato ad accogliere la vita come un dono, a crescere con onestà, ad avere attenzione al vicino. Chiede di poter essere dono, di vedere il bicchiere mezzo pieno,quindi essere più ottimista. La rende felice sapere che noi adolescenti siamo venuti a trovarla.Questo luogo lo sente come casa sua e le suore sono la sua seconda famiglia. Ringrazia tanto i volontari che il sabato e la domenica dedicano del loro tempo libero per fargli compagnia,

per dar loro da mangiare e per portarle a passeggio nei bei giorni di primavera e d’estate. Poi ci ha riferito che ogni giorno fa delle attività diverse esempio attività di creta, pittura, catechesi e alcune volte va al mercato con altre ospiti accompagnata dalla responsabile. An-

tonietta invece ci ha detto che è impegnata a far il giornalino interno, e ci ha donato alcune copie a noi adolescenti. Milva piace stare in compagnia perché il sorriso è il suo forte, è solo 2 anni che è in Istituto.E’ intervenuto poi Alessio come volontario, giovane di anni 23. Ci ha detto che lui viene il Lu-

nedì pomeriggio perché lavorando al supermercato ha libero questo giorno per fare servizio. E’ arrivato in istituto perché invitato da una sua amica. Il primo approccio con le ospiti è stato nel fare niente in quanto ci si è trovato impacciato, quindi un atteggiamento di silenzio e di ascolto. Poi si è fatto amico di Davide un ragazzo disabile, e da allora ha aperto il suo cuore donando la sua amicizia e ora si trova bene, felice di fare il volontario.

Dice che dà un po’ del suo tempo ma in cambio riceve tantissimo, in affetto, gioia. Capisce che ti vogliono bene, aspettano sempre che tu ci sia. Poi Stefania volontaria dal 1991, ha ribadito che quando gli è stato fatto la proposta dalla iglia di fare volontariato per sostituire una volontaria non era proprio dell’idea ma ha voluto provare e ha continuato. Poco alla volta si viene a conoscenza delle esigenze delle diverse ospiti e si è contenti di poter essere utili verso l’altro. Dopo quattro anni si è aggiunto come volontario anche il marito Giorgio in quanto la iglia dovette abbandonare per motivi perso-

nali. Nel gruppo Stelle (ogni nucleo abitativo a un nome) ci sono ospiti di una certa gravità perché non parlano, non camminano, devono essere imboccate, allora il volontario usa il linguaggio degli occhi e poi quello del sorriso e inine quello del cuore. Quest’ultimo linguaggio ti porta ad amare il tuo vicino, il diverso da te. Le ospiti ti cercano con il sorriso e ti senti accolto. E’ stato espresso un desiderio da parte di Stefania che poi è di tutti i volontari, che ci siano giovani che possano accogliere questa opportunità. Suor Annamaria è intervenuta dicendo che chi viene

qui a fare volontariato si sente a casa sua, questo servizio è un’opportunità di crescita nella misura in cui ci si dona all’altro. Diventa un’opportunità di crescita, di matura-

zione. Dopo questa bel-la esperienza, abbiamo fatto una foto di gruppo e dopo una breve meren-

da ci siamo lasciati con la voglia di vederci an-

cora anche con gli adole-

scenti più grandi.

58 CAMMINIAMO INSIEME

Sacra SpinaOmelia del parroco don

Vittorio nel giorno di Pasqua

Carissimi fratelli e sorelle, vale la pena es-

sere cristiani in questo mondo che sembra sempre più rinnegare i valori cristiani, in un mondo sempre più violento che calpesta la vita umana e la pace? SI! Perché la croce di Gesù è il prezzo dell’AMORE. Anche se agli occhi di questo mondo, con la morte di Gesù sulla croce sembrava che tutto fosse inito, la croce di Cristo è la chiave dell’esisten-

za, è la chiave che non solo apre e chiude il lucchetto ma apre e chiude le porte della salvezza e le sue sofferenze operano come medicina capace di guarire tutti i nostri mali, qualsiasi forma di egoismo e qualsiasi peccato.Prendo spunto dalle parole augurali rivolte da Don Davide Pelucchi, Vicario Generale della nostra Diocesi di Bergamo al termine della S. Messa Crismale in Duomo presiedu-

ta dal nostro Vescovo Francesco per espri-mere il mio Augurio Pasquale.“Il Venerdì Santo di questo anno (2016) è coinciso con il 25 Marzo, Solennità dell’Annunciazione. Questa coincidenza è stata vissuta con intensità e attesa in un paese a noi vicino, a S. Giovanni Bianco, perché in passato, in par-

ticolare nel 1932, ci fu un segno prodigioso: la così detta “FIORITURA” della SACRA SPINA. Il prodigio venne riconosciuto uficialmente e moltissimi fedeli vi accorsero in pellegrinaggio

traendo motivo di ispirazione per una condotta più consona al Vangelo. Al di là di quanto il Signore vorrà fare o ad esprimere per aiutare la nostra fede, dalla festa della SACRA SPINA, così sentita in VAL BREMBANA, ci viene un primo insegnamento: VIVERE UNA VITA COERENTE AL VANGELO”. Lo auguro ai ragazzi che si stanno pre-

parando al Sacramento della Cresima, ai bambini che si stanno preparando alla loro prima comunione, alle due bambine che ricevono il battesimo e a noi adulti con la speranza di essere adulti nella fede. “Una seconda con-

siderazione ci viene dalla rilessione

sulla SPINA, partendo da un famoso detto popolare che dice: “Non c’è rosa senza spine”. In genere questo detto lo si cita per evidenziare la presenza, nella vita, di fatiche, sofferenze, amarezze. Questo, lo sperimentiamo tutti, lo ha sperimentato anche Gesù. Certamente perché gli furono coniccate delle spine nel capo, ma molto di più perché ha subito ogni tipo di tormento isico e morale. Le spine più dolorose di Cristo non furono quelle messe sul capo ma quelle che furono messe nel suo animo. Molte volte anche noi siamo tentati di chiedere a Gesù che tolga le spine dalla nostra vita ma se vogliamo conformarci a Lui possiamo tenere presenti alcune considerazioni:

Non sono stati gli estranei, (gli extra comunitari, i profughi), a far soffrire Gesù ma gli amici. I compaesani di Nazaret hanno cercato di gettarlo giù dal monte; i familiari lo hanno considerato pazzo. I discepoli lo hanno abbandonato. L’apostolo Giuda lo ha tradito. L’amico Pietro lo ha rinnegato. I malati guariti lo hanno dimenticato.

Questo succede a tutti. Succede agli sposati, perché le sofferenze più profonde a volte derivano dal coniuge con cui si vive, o dai igli che non crescono come si vorrebbe, o da dai genitori anziani e ammalati e che involontariamente caricano le loro sofferenze sui propri cari che gli sono accanto. Succede anche a noi preti, perché le mani che coniggono le spine nel nostro cuore sono le mani di chi frequenta la chiesa ma forse non vive l’ESSERE CHIESA, di chi collabora nell’azione pastorale nei vari servizi ma deve ancora imparare il servizio della CARITA’, dell’UMILTA’, della FRATERNITA’ e vera COLLABORAZIONE e non del saluto di facciata e poi di critica alle spalle mancante di rispetto e non costruttiva di una comunità cristiana che chiede corresponsabilità e impegno di tutti e non essere ostacolati nel servizio e per il bene di tutti.

Il Signore non si è vendicato, non ha fatto del male, ma ha continuato ad amare chi gli traiggeva il cuore: “Perdonali perché non sanno quello che fanno”. Egli continua ad amarci anche quando lo facciamo soffrire. Da parte Sua è sempre pronto il perdono, addirittura un accrescimento del suo amore.

I cuori senza spine, comprendono poco le sofferenze degli altri. Finiscono per diventare dei cuori esigenti, tremendamente esigenti, perché hanno l’impressione che tutto sia loro dovuto, che tutti debbano inchinarsi e chiedere a loro. Fa soffrire vedere persone dure nei giudizi, duri nei dinieghi, duri nel ricucire le relazioni, duri negli stili con cui si accostano alle persone.

59CAMMINIAMO INSIEME

squa

Carissimi fratelli e sorelle, vale la pena essere cristiani in questo mondo che sembra sempre più rinnegare i valori cristiani, in un mondo sempre più violento che calpesta la vita umana e la pace? SI! Perché la croce di Gesù è il prezzo dell’AMORE. Anche se agli occhi di questo mondo, con la morte di Gesù sulla croce sembrava che tutto fosse inito, la croce di Cristo è la chiave dell’esistenza, è la chiave che non solo apre e chiude il lucchetto ma apre e chiude le porte della salvezza e le sue sofferenze operano come medicina capace di guarire tutti i nostri mali, qualsiasi forma di egoismo e qualsiasi peccato.Prendo spunto dalle parole augurali rivolte da Don Davide Pelucchi, Vicario Generale della nostra Diocesi di Bergamo al termine della S. Messa Crismale in Duomo presieduta dal nostro Vescovo Francesco per esprimere il mio Augurio Pasquale.“Il Venerdì Santo di questo anno (2016) è coinciso con il 25 Marzo, Solennità dell’Annunciazione. Questa coincidenza è stata vissuta con intensità e attesa in un paese a noi vicino, a S. Giovanni Bianco, perché in passato, in particolare nel 1932, ci fu un segno prodigioso: la così detta “FIORITURA” della SACRA SPINA. Il prodigio venne riconosciuto uficialmente e moltissimi fedeli vi accorsero in pellegrinaggio

traendo motivo di ispirazione per una condotta più consona al Vangelo. Al di là di quanto il Signore vorrà fare o ad esprimere per aiutare la nostra fede, dalla festa della SACRA SPINA, così sentita in VAL BREMBANA, ci viene un primo insegnamento: VIVERE UNA VITA COERENTE AL VANGELO”. Lo auguro ai ragazzi che si stanno preparando al Sacramento della Cresima, ai bambini che si stanno preparando alla loro prima comunione, alle due bambine che ricevono il battesimo e a noi adulti con la speranza di essere adulti nella fede. “Una seconda considerazione ci viene dalla rilessione

sulla SPINA, partendo da un famoso detto popo-

lare che dice: “Non c’è rosa senza spine”. In genere questo detto lo si cita per evidenzia-

re la presenza, nella vita, di fatiche, sofferenze, amarezze. Questo, lo sperimentiamo tutti, lo ha sperimentato anche Gesù. Certamente perché gli furono coniccate delle spine nel capo, ma molto di più perché ha subito ogni tipo di tormento i-

sico e morale. Le spine più dolorose di Cristo non furono quelle messe sul capo ma quelle che furono messe nel suo animo. Molte volte anche noi siamo tentati di chiedere a Gesù che tolga le spine dalla nostra vita ma se vogliamo conformarci a Lui possiamo tenere pre-

senti alcune considerazioni:

1. Le spine più dolorose di Gesù gli sono state messe dalle persone amiche.

Non sono stati gli estranei, (gli extra comu-

nitari, i profughi), a far soffrire Gesù ma gli amici. I compaesani di Nazaret hanno cercato di gettarlo giù dal monte; i familiari lo hanno considerato pazzo. I discepoli lo hanno abban-

donato. L’apostolo Giuda lo ha tradito. L’amico Pietro lo ha rinnegato. I malati guariti lo hanno dimenticato.

Questo succede a tutti. Succede agli sposati, perché le sofferenze più pro-

fonde a volte derivano dal coniuge con cui si vive, o dai igli che non cresco-

no come si vorrebbe, o da dai genitori anziani e ammalati e che involonta-

riamente caricano le loro sofferenze sui propri cari che gli sono accanto. Succede anche a noi preti, perché le mani che coniggono le spine nel nostro cuore sono le mani di chi frequenta la chiesa ma forse non vive l’ESSERE CHIESA, di chi collabora nell’azione pastorale nei vari servizi ma deve ancora imparare il servizio della CARITA’, dell’UMILTA’, della FRATERNITA’ e vera COLLABORAZIONE e non del saluto di fac-

ciata e poi di critica alle spalle mancante di rispetto e non costruttiva di una comunità cristiana che chiede corresponsabilità e impegno di tutti e non essere ostacolati nel ser-

vizio e per il bene di tutti.

2. Gesù ha continuato ad amare chi gli metteva spine nel cuore. Il Signore non si è vendicato, non ha fatto del male, ma ha continuato ad amare chi gli

traiggeva il cuore: “Perdonali perché non sanno quello che fanno”. Egli continua ad amarci anche quando lo facciamo soffrire. Da parte Sua è sempre pronto il perdono, addirittura un accrescimento del suo amore.

3. Sono duri i cuori senza spine. I cuori senza spine, comprendono poco le sofferenze degli altri. Finiscono per diventare

dei cuori esigenti, tremendamente esigenti, perché hanno l’impressione che tutto sia loro dovuto, che tutti debbano inchinarsi e chiedere a loro. Fa soffrire vedere persone dure nei giudizi, duri nei dinieghi, duri nel ricucire le relazioni, duri negli stili con cui si acco-

stano alle persone.

60 CAMMINIAMO INSIEME

4. Chi non ama non soffre.

Se uno nella vita non vuole soffrire non amerà mai. Se un prete desidera ama-

re deve prepararsi a soffrire. Chi non soffre mai non rie-

sce a capire le sof-

ferenze di Cristo e dei fratelli, si illude di trovare una vita tranquilla, ma alla ine rimane solo.

Anche S. Paolo ha avuto una spina nella carne e da essa ha imparato a conidare di più nella grazia: “Afinché non m’insuperbisca mi è stata data una spina nella carne. Ho pregato tre volte il Signore che lo allontanasse da me, ma egli mi ha detto: Ti basta la mia grazia che si compie nella debolezza”.

5. Vi sono spine che derivano dai nostri peccati. Non sempre le spine ci vengono inlitte dagli altri. In alcuni casi ce le mettiamo da soli

nel cuore. Sono quelle che derivano dai nostri peccati, dai nostri risentimenti, dal nostro disordine morale.

6. Il posto dove deporre le nostre spine è il cuore di Cristo. Il Signore Risorto si presenta a noi dicendo: “Venite a me voi tutti che sie-

te affaticati e oppressi e io vi ristorerò”. Nessuno ci può capire meglio di Lui. Nes-

suno può vivere una sofferenza che il cuore di Gesù non abbia sperimentato. In Gesù, che ha trasformato il dolore in AMORE, possiamo riversare il dolo-

re che ci danno le spine per evitare che diventino motivo di scontentezza e ri-sentimento. Raccogliendo le spine, le lacrime e le sofferenze di tante persone. Vorrei ricordarvi che i giardini del paradiso non sono come quelli della terra.

In terra le spine restano e le rose passano; in Paradiso le spine passano e le rose restano eternamente. La Pasqua del Signore ci insegna a invertire i termini del proverbio sulle spine, leggendolo non in forma negativa ma positiva. Ci insegna a non dire: “Non c’è rosa senza spina”, ma a dire: “Non c’è spina senza rosa”. Cioè a riconoscere che se c’è un dolore è perché c’è un amore, se c’è una fatica è perché c’è una generosità, se c’è un riiuto è perché c’è un dono. L’ermeneutica della vita è la Pasqua, che non c’è risurrezione senza morte. La Pasqua è questa certezza: l’ultima parola non è la parola spina ma la parola rosa. L’ultima parola è la VITA, l’AMORE, la RISURREZIONE. Con la mia preghiera e affetto sincero, con la grazia di Dio vorrei togliere le spine dal cuore di chi soffre e dagli occhi lacerati di chi piange per molteplici motivi… e versare l’olio della tenerezza e della mi-sericordia. Al di là di ogni apparenza esteriore, le spine del Signore sono sempre SPINE FIORITE”.

Cari fratelli e sorelle nella tradizione viva della chiesa siamo passati dal buio che rappre-

senta il peccato e la morte alla luce di Cristo rappresentata dal cero pasquale per essere partecipi della vita divina luce del mondo, costruttori di PACE e AMORE in questo mondo segnato da violenza e morte. Di fronte alla manifestazione dell’Amore di Dio così grande che non conosce barriere di nessun genere riconoscendo la nostra pochezza per avvici-

narci al Signore della vita che nella sua risurrezione riconcilia l’uomo con Dio e con gli altri fratelli. Proprio per signiicare questi sentimenti laviamo i nostri occhi per accogliere tutta la luce del Signore Risorto grande nell’amore e misericordioso e sperimentare la gioia che in questa notte abita i cuori di chi partecipa della fede in Cristo.

Una fede che non è separazione ne esperienza privata ma che si vive nella dimensione comunitaria. Ecco perché abbiamo benedetto il fuoco, che se da un lato richiama il trionfo della luce sulle tenebre, del calore sul freddo, della vita sulla morte, dall’altro esprime la profonda ricerca del calore dell’amicizia e dell’accoglienza proprie di una comunità cristiana. Auguro a tutti l’Amore di Cristo Risorto, un Amore che ti dona TEMPO e SENSO.

Ho letto da qualche parte che gli uomini sono angeli con un ala soltanto: possono volare solo rimanendo abbracciati. Solo così potremo aiutare i nostri ragazzi non solo a venire in chiesa ma ad essere gli uomini di domani e veri cristiani. Camminiamo nella fede nel Cristo Risorto e nell’amore perché la vera disabilità è l’incapacità di amare. Mostriamo la forza dell’Amore di Dio, diventiamo come una spina che iorisce, testimoni credibili del Vangelo della Misericordia, un segno dell’Amore di Dio. E così sia!

SACRA SPINA FIORITA: Il segno è arrivato nel giorno di Pasqua come nel 1932.

Mercoledì 30 marzo preghiera dei bambini di terza elementare nella Parrocchia di S. Giovanni Bianco davanti alla reliquia iorita della Sacra Spina in preparazione alla prima comunione.

CAMMINIAMO INSIEME 61

4. Chi non ama non

Se uno nella vita non vuole soffrire non amerà mai. Se un prete desidera amare deve prepararsi a soffrire. Chi non soffre mai non riesce a capire le sofferenze di Cristo e dei fratelli, si illude di trovare una vita tranquilla, ma alla ine rimane solo.

Anche S. Paolo ha avuto una spina nella carne e da essa ha imparato a conidare di più nella grazia: “Afinché non m’insuperbisca mi è stata data una spina nella carne. Ho pregato tre volte il Signore che lo allontanasse da me, ma egli mi ha detto: Ti basta la mia grazia che si compie nella debolezza”.

Non sempre le spine ci vengono inlitte dagli altri. In alcuni casi ce le mettiamo da soli nel cuore. Sono quelle che derivano dai nostri peccati, dai nostri risentimenti, dal nostro disordine morale.

6. Il posto dove deporre le nostre spine è il cuore di Cristo. Il Signore Risorto si presenta a noi dicendo: “Venite a me voi tutti che sie

te affaticati e oppressi e io vi ristorerò”. Nessuno ci può capire meglio di Lui. Nessuno può vivere una sofferenza che il cuore di Gesù non abbia sperimentato. In Gesù, che ha trasformato il dolore in AMORE, possiamo riversare il dolore che ci danno le spine per evitare che diventino motivo di scontentezza e risentimento. Raccogliendo le spine, le lacrime e le sofferenze di tante persone.Vorrei ricordarvi che i giardini del paradiso non sono come quelli della terra.

In terra le spine restano e le rose passano; in Paradiso le spine passano e le rose restano eternamente. La Pasqua del Signore ci insegna a invertire i termini del proverbio sulle spine, leggendolo non in forma negativa ma positiva. Ci insegna a non dire: “Non c’è rosa senza spina”, ma a dire: “Non c’è spina senza rosa”. Cioè a riconoscere che se c’è un dolore è perché c’è un amore, se c’è una fatica è perché c’è una generosità, se c’è un riiuto è perché c’è un dono. L’ermeneutica della vita è la Pasqua, che non c’è risurrezione senza morte. La Pasqua è questa certezza: l’ultima parola non è la parola spina ma la parola rosa. L’ultima parola è la VITA, l’AMORE, la RISURREZIONE. Con la mia preghiera e affetto sincero, con la grazia di Dio vorrei togliere le spine dal cuore di chi soffre e dagli occhi lacerati di chi piange per molteplici motivi… e versare l’olio della tenerezza e della misericordia. Al di là di ogni apparenza esteriore, le spine del Signore sono sempre SPINE FIORITE”.

Cari fratelli e sorelle nella tradizione viva della chiesa siamo passati dal buio che rappresenta il peccato e la morte alla luce di Cristo rappresentata dal cero pasquale per essere partecipi della vita divina luce del mondo, costruttori di PACE e AMORE in questo mondo segnato da violenza e morte. Di fronte alla manifestazione dell’Amore di Dio così grande che non conosce barriere di nessun genere riconoscendo la nostra pochezza per avvici

narci al Signore della vita che nella sua risurrezione riconcilia l’uomo con Dio e con gli altri fratelli. Proprio per signiicare questi sentimenti laviamo i nostri occhi per accogliere tutta la luce del Signore Risorto grande nell’amore e misericordioso e sperimentare la gioia che in questa notte abita i cuori di chi partecipa della fede in Cristo.

Una fede che non è separazione ne esperienza privata ma che si vive nella dimensione co-

munitaria. Ecco perché abbiamo benedetto il fuoco, che se da un lato richiama il trionfo della luce sulle tenebre, del calore sul freddo, della vita sulla morte, dall’altro esprime la profonda ricerca del calore dell’amicizia e dell’accoglienza proprie di una comunità cri-stiana. Auguro a tutti l’Amore di Cristo Risorto, un Amore che ti dona TEMPO e SENSO.

Ho letto da qualche parte che gli uomini sono angeli con un ala soltanto: possono volare solo rimanendo abbrac-

ciati. Solo così potremo aiutare i nostri ragazzi non solo a venire in chiesa ma ad essere gli uomini di domani e veri cristiani. Camminiamo nella fede nel Cristo Risor-

to e nell’amore perché la vera disabilità è l’incapacità di amare. Mostriamo la forza dell’Amore di Dio, diventiamo come una spina che iorisce, testimoni credibili del Van-

gelo della Misericordia, un segno dell’Amore di Dio. E così sia!

SACRA SPINA FIORITA: Il segno è arrivato nel giorno di Pasqua come nel 1932.

Mercoledì 30 marzo preghiera dei bambini di terza ele-

mentare nella Parrocchia di S. Giovanni Bianco davanti alla reliquia iorita della Sacra Spina in preparazione alla prima comunione.

CAMMINIAMO INSIEME62

Scultore - Alessandro VerdiIn queste opere, che oggi in occasione dell’apertura della Porta Santa della cappella del vostro Oratorio, vengono benedette, ho voluto rafigurare:■ la Storia della Salvezza. Una storia che ha origine con la Creazione per poi con-

tinuare in Adamo ed Eva, Noè e l’arca, la liberazione del popolo d’Israele dalla schiavitù dell’Egitto: sono le varie alleanze che Dio ha fatto con l’uomo.

In fondo ho rappresentato l’albero di Iesse, gli ante-

nati di Cristo, ino a Maria. Come potete notare la sce-

na dell’annunciazione dell’angelo a Maria è posta allo stesso livello di Adamo ed Eva, proprio per indicare in Maria la “nuova Eva”, colei che darà origine al “nuovo Adamo”: Gesù Cristo, che stabilirà con l’uomo la nuova ed eterna alleanza nel suo sangue sparso sulla croce. La vita di Gesù è rafigurata in piccoli episodi: la nascita, il ritrovamento tra i dottori della Legge nel Tempio di Gerusalemme, non ho rappresentato il primo miracolo di Gesù alle nozze di Cana, ma la risurrezione di Lazza-

ro, la condanna di Cristo, la morte e la mano del Padre che dona al Figlio … la vita? la risurrezione, l’annuncio alle donne che vanno al sepolcro e poi … e poi ci siamo noi, perché Dio continua a scrivere la “sua Storia” con ciascuno di noi!

■ La preghiera del Padre Nostro Sottolineando in questo Anno Santo la MISERICORDIA di Dio: “Rimetti a noi i nostri debiti,

come noi li rimettiamo ai nostri debitori e non ci indurre in tentazione ma liberaci dal male”.■ Il ricordo del Concilio Vaticano II Nel ricordo di Papa Giovanni XXIII (oggi Santo) che illuminato dallo Spirito Santo ha voluto

ed ha aperto il Concilio Vaticano II con accanto i vari Cardinali richiamo dei vari continenti, di tutto il mondo ed anche dei Papi che in seguito hanno portato avanti gli insegnamenti del Concilio Vaticano II. Un ricordo particolare al Beato Paolo VI che ha condotto e portato a compimento il Concilio. Papa Francesco ha voluto aprire l’Anno Santo della Misericordia l’8 Dicembre 2015 a cinquanta anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II.

Questa opera vuole essere un ri-cordo anche per i cresimandi, ra-

gazzi di seconda media del loro pellegrinaggio a Roma in questo Anno Santo della Misericordia nel cammino che li ha portati a varcare la Porta Santa e l’incon-

tro con Papa Francesco.

Sabato pomeriggio siamo andati a Clusone e siamo rimasti anche alla domenica per un ritiro. Io, Cristina e Francesca ci eravamo scelte, ma non sapevamo con chi saremmo state in camera ed eravamo agitate. Quando siamo arrivati, don Vittorio ci ha detto i numeri delle camere: noi eravamo tutte e tre insieme nella camera n° 14 e con noi c’era anche Sara, l’aiuto catechista. Più tardi, nel salone, il don ci ha spiegato quello che avremmo fatto e ci ha detto che noi siamo tutti chiamati ad amare la nostra vita e la natura che ci circonda. Dopo un’ottima cena abbiamo guardato un ilm “LORAX”, mi è piaciuto tantis

simo e alla ine (era quasi mezzanotte) abbiamo ballato la canzone “CRESCERA’”. Alla domenica mattina, dopo aver fatto colazione, siamo andati in pineta con il professore Arzufi che ci ha fatto ascoltare il canto degli uccelli e ci ha fatto vedere le piante. E’ stato bellissimo e il don ci ha detto che dobbiamo dire grazie a Dio per tutto quello che ha creato. Abbiamo anche fatto un gioco con il professore: divisi in gruppi dovevamo cercare il maggior numero di foglie e iori diversi e abbiamo vinto noi. Quando sono arrivati i genitori, abbiamo fatto merenda insieme e il don ha celebrato la Messa. In questo ritiro ho capito che la vita è un gran

de dono e dobbiamo amare e rispettare la nostra e quella degli altri e anche che dobbiamo cercare di aver cura del creato. Mi sono divertita tantissimo e abbiamo portato a casa come ricordo una cornice con le nostre irme e un bellissimo iore. Voglio dire grazie a don Vittorio, alle mie catechiste e al professore perché sono stati due giorni bellissimi.

Carissime catechiste e don Vittorio, a me il ritiro di Clusone mi è piaciuto molto perché ho imparato a rispettare il creato e il Creatore sia guardando il ilm di “Lorax” e anche come ha detto il professor Arzufi sapendo ascoltare la natura con i suoni, i rumori, i colori e i profumi di

quello che ci sta accanto. E’ stato un momento bellissimo perché l’ho trascorso con i miei amici imparando a condividerlo insieme anche con le catechiste e con don Vittorio. Un grazie di cuore a tutti.

Il ritiro a Clusone è stato una bellissima esperienza, è stato divertentissimo. Quando sono arrivata dove ci aspettava il pullman, ero agitata, un po’ per la paura di non riuscire a dormire e un po’ per la felicità. Quando siamo saliti sul pullman don Vittorio ci ha detto di salutare con un fazzoletto le mamme e così abbiamo fatto.

CAMMINIAMO INSIEME 63

In queste opere, che oggi in occasione dell’apertura della Porta Santa della cappella del vostro Oratorio, vengono benedette, ho voluto rafigurare:■ la Storia della Salvezza. Una storia che ha origine con la Creazione per poi con

tinuare in Adamo ed Eva, Noè e l’arca, la liberazione del popolo d’Israele dalla schiavitù dell’Egitto: sono le varie alleanze che Dio ha fatto con l’uomo.

In fondo ho rappresentato l’albero di Iesse, gli antenati di Cristo, ino a Maria. Come potete notare la scena dell’annunciazione dell’angelo a Maria è posta allo stesso livello di Adamo ed Eva, proprio per indicare in Maria la “nuova Eva”, colei che darà origine al “nuovo Adamo”: Gesù Cristo, che stabilirà con l’uomo la nuova ed eterna alleanza nel suo sangue sparso sulla croce. La vita di Gesù è rafigurata in piccoli episodi: la nascita, il ritrovamento tra i dottori della Legge nel Tempio di Gerusalemme, non ho rappresentato il primo miracolo di Gesù alle nozze di Cana, ma la risurrezione di Lazzaro, la condanna di Cristo, la morte e la mano del Padre che dona al Figlio … la vita? la risurrezione, l’annuncio alle donne che vanno al sepolcro e poi … e poi ci siamo noi, perché Dio continua a scrivere la “sua Storia” con ciascuno di noi!

■ La preghiera del Padre Nostro Sottolineando in questo Anno Santo la MISERICORDIA di Dio: “Rimetti a noi i nostri debiti,

come noi li rimettiamo ai nostri debitori e non ci indurre in tentazione ma liberaci dal male”.■ Il ricordo del Concilio Vaticano II Nel ricordo di Papa Giovanni XXIII (oggi Santo) che illuminato dallo Spirito Santo ha voluto

ed ha aperto il Concilio Vaticano II con accanto i vari Cardinali richiamo dei vari continenti, di tutto il mondo ed anche dei Papi che in seguito hanno portato avanti gli insegnamenti del Concilio Vaticano II. Un ricordo particolare al Beato Paolo VI che ha condotto e portato a compimento il Concilio. Papa Francesco ha voluto aprire l’Anno Santo della Misericordia l’8 Dicembre 2015 a cinquanta anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II.

Questa opera vuole essere un ricordo anche per i cresimandi, ragazzi di seconda media del loro pellegrinaggio a Roma in questo Anno Santo della Misericordia nel cammino che li ha portati a varcare la Porta Santa e l’incontro con Papa Francesco.

Ritiro a Clusone: Gruppo 4a elementareSabato pomeriggio siamo andati a Cluso-

ne e siamo rimasti anche alla domenica per un ritiro. Io, Cristina e Francesca ci eravamo scelte, ma non sapevamo con chi saremmo state in camera ed erava-

mo agitate. Quando siamo arrivati, don Vittorio ci ha detto i numeri delle came-

re: noi eravamo tutte e tre insieme nella camera n° 14 e con noi c’era anche Sara, l’aiuto catechista. Più tardi, nel salone, il don ci ha spiegato quello che avremmo fatto e ci ha detto che noi siamo tut-

ti chiamati ad amare la nostra vita e la natura che ci circonda. Dopo un’ottima cena abbiamo guardato un ilm “LORAX”, mi è piaciuto tantis-

simo e alla ine (era quasi mezzanotte) abbiamo bal-lato la canzone “CRESCERA’”. Alla domenica mattina, dopo aver fatto colazione, siamo andati in pineta con il professore Arzufi che ci ha fatto ascoltare il can-

to degli uccelli e ci ha fatto vedere le piante. E’ stato bellissimo e il don ci ha detto che dobbiamo dire grazie a Dio per tutto quello che ha creato. Abbiamo anche fatto un gioco con il professore: divisi in gruppi dove-

vamo cercare il maggior numero di foglie e iori diversi e abbiamo vinto noi. Quando sono arrivati i genitori, abbiamo fatto merenda insieme e il don ha celebrato la Messa. In questo ritiro ho capito che la vita è un gran-

de dono e dobbiamo amare e rispettare la nostra e quella degli altri e anche che dobbiamo cercare di aver cura del creato. Mi sono divertita tantissimo e abbiamo portato a casa come ricordo una cornice con le nostre irme e un bellissimo iore. Voglio dire grazie a don Vittorio, alle mie catechiste e al professore perché sono stati due giorni bellissimi.

Carissime catechiste e don Vittorio, a me il ritiro di Clusone mi è piaciuto molto perché ho imparato a rispettare il cre-

ato e il Creatore sia guardando il ilm di “Lorax” e anche come ha detto il profes-

sor Arzufi sapendo ascoltare la natura con i suoni, i rumori, i colori e i profumi di

quello che ci sta accanto. E’ stato un momento bel-lissimo perché l’ho trascorso con i miei amici impa-

rando a condividerlo insieme anche con le catechi-ste e con don Vittorio. Un grazie di cuore a tutti.

Il ritiro a Clusone è stato una bellissima esperien-

za, è stato divertentissimo. Quando sono arrivata dove ci aspettava il pullman, ero agitata, un po’ per la paura di non riuscire a dormire e un po’ per la fe-

licità. Quando siamo saliti sul pullman don Vittorio ci ha detto di salutare con un fazzoletto le mamme e così abbiamo fatto.

64 CAMMINIAMO INSIEME

Prima di arrivare a Clusone ci siamo fermati a S. Lorenzo a bere una cioccolata, io ho preso un tè e già lì la paura di non riuscire a dormire mi era pas-

sata. Appena siamo arrivati a Clusone don Vittorio ci ha detto come erano disposte le camere e io non mi aspettavo che, come scritto sul biglietto, ero in camera con Cristina e Francesca. La sera don Vitto-

rio ci ha fatto vedere un ilm dal titolo “Lorax” che parlava del rispetto per la natura, poi siamo andati a letto. Il giorno dopo è arrivato un professore che ci ha parlato delle piante e ci ha spiegato la differen-

za tra abete e pino. E’ stato bellissimo! Era la mia prima esperienza fuori casa e con tutti i miei amici, le mie catechiste e il Don. E’ stata indimenticabile!

Questo ine settimana è stata la mia prima uscita senza la famiglia dormendo con i miei amici. E’ stata un’esperienza bellissima e mi piacerebbe poterla rifare. In particolare mi è piaciuta la visita nel bosco e l’uso del “lentino” del professore Arzufi. La compagnia del Don è molto piacevole perché scherza, gioca e ci fa ridere. W le catechiste.

Per me il ritiro è stato bellissimo. Stare all’aria aperta senza tecnologia, con gli amici e divertirsi! Ho provato sensazioni di gioia, di allegria, di felicità. Ho imparato molte cose con il professore, mi sono di-vertita a giocare a calcio ma anche a dormire con le amiche e con il don Vittorio. I miei amici quel giorno erano come fratelli!

L’esperienza di condividere la gioia e le emozioni di trarre nuove amicizie, mi hanno arricchito di felicità. Un grazie fatto con il cuore, caro don Vittorio! E un forte abbraccio alle mie catechiste!

A Clusone mi sono trovato molto bene, il cibo era ottimo, i letti comodi e morbidi, la camera era molto spaziosa. Ho giocato tantissimo. Di domenica mi sono divertito a raccogliere le piante con il professore. Abbiamo visto molte piante, la cosa che mi è piaciuta è stata il ilm intitolato “Lorax”. Parlava di una città che si pensava che era tutta perfetta, ma mancava una cosa e quella cosa era la natura.

Porterò sempre nel mio cuore questi due giorni di ritiro a Clusone trascorsi insieme al mio Don, alle mie catechiste e ai miei compagni. Spero che ci saranno altre occasioni così belle come questa.

Sabato e domenica scorsa io e i miei amici siamo andati al ritiro a Clusone. Siamo partiti con il pullman e abbiamo fatto sosta al bar. Quando siamo arrivati abbiamo sistemato le camere, io ero con la mia amica Giulia e Anna. Siamo usciti a giocare a nascondino e ci siamo divertiti. Dopo cena abbiamo visto il ilm “Lorax” e alla ine abbiamo ballato e cantato “Crescerà”. Mi è piaciuto stare tutti insieme felici e gioiosi. Successivamente siamo andati a dormire con il don e mi faceva ridere quando diceva: “Devi comprare un letto?” Perché Giulia è caduta dal letto. Ero molto agitata perché era strano dormire fuori casa con gli amici. Al mattino presto ci siamo svegliati e abbiamo fatto colazione. Dopo siamo andati con il professore al bosco, mi facevano male le gambe però sopportavo. Mi è piaciuto scoprire la natura e ho imparato che il pino è più basso dell’abete. Al pomeriggio sono arrivati i geni-tori e il don ci ha fatto rilettere sull’importanza delle piante, non si strappano perché è come strappare un pez-

zo di noi. Inine abbiamo cenato tutti insieme come una grande famiglia. Ringrazio il don Vittorio e le mie speciali catechiste: Giuliana, Amalia, Clelia e Sara l’aiutante per questa giornata ricca di esperienze di vera amicizia e di amore.

Caro don Vittorio, ti ringrazio per questi bellissimi due giorni di ritiro. Mi sono divertito tantissimo, sei un bravissimo Don. Non mi dimenticherò mai di questa gita. Grazie Don!

Grazie Don Vittorio per l’esperienza che ci hai dato, mi sono divertito molto e sono stato felice di trascorrere il mio tempo con i miei compagni. Per fortuna che Dio ha pensato di mandarti a Paladina. Ti voglio bene.

Il ritiro è stato molto bello perché sono stato con i miei amici. Sono stato bene, mi sono divertito e abbiamo giocato molto. Ho scoperto cose nuove sulla natura e quanto è importante averne cura.

Questo ritiro è stato bellissimo: mi è piaciuto quando siamo andati nel bosco a vedere alcune piante, poi quando abbiamo visto il ilm, quando abbiamo dormito insieme e quando abbiamo giocato a calcio … Alla ine sono arrivati i genitori e abbiamo mangiato insieme. Spero che andremo ancora in ritiro. Grazie Don e grazie catechiste.

Il ritiro mi ha insegnato molte cose: a distinguere gli alberi, a pensare come un albero, a rispettare la natura e fare attenzione a quello che ci circonda. Il ilm è stato

divertentissimo, è stato bello giocare tutti insieme. I miei compagni di stanza erano simpaticissimi, mi piacerebbe rifarlo 1000 volte.

Grazie Don, è stata un’esperienza bellissima non solo perché ci siamo staccati un po’ dalla scuola, ma anche perché per una volta sono stato tutta la domenica insieme ai miei compagni. GRAZIE MILLE DON!

Per me la gita con te, Don, è stata super bella perché eravamo tutti insieme tra amici, e mi sono divertita un sacco. Non vedo l’ora di tornare. Mi è piaciuto perché sono stata con te e con i miei amici e anche perché non c’è stato nessun infortunio.

65CAMMINIAMO INSIEME

Prima di arrivare a Clusone ci siamo fermati a S. Lorenzo a bere una cioccolata, io ho preso un tè e già lì la paura di non riuscire a dormire mi era passata. Appena siamo arrivati a Clusone don Vittorio ci ha detto come erano disposte le camere e io non mi aspettavo che, come scritto sul biglietto, ero in camera con Cristina e Francesca. La sera don Vittorio ci ha fatto vedere un ilm dal titolo “Lorax” che parlava del rispetto per la natura, poi siamo andati a letto. Il giorno dopo è arrivato un professore che ci ha parlato delle piante e ci ha spiegato la differenza tra abete e pino. E’ stato bellissimo! Era la mia prima esperienza fuori casa e con tutti i miei amici, le mie catechiste e il Don. E’ stata indimenticabile!

Questo ine settimana è stata la mia prima uscita senza la famiglia dormendo con i miei amici. E’ stata un’esperienza bellissima e mi piacerebbe poterla rifare. In particolare mi è piaciuta la visita nel bosco e l’uso del “lentino” del professore Arzufi. La compagnia del Don è molto piacevole perché scherza, gioca e ci fa ridere. W le catechiste.

Per me il ritiro è stato bellissimo. Stare all’aria aperta senza tecnologia, con gli amici e divertirsi! Ho provato sensazioni di gioia, di allegria, di felicità. Ho imparato molte cose con il professore, mi sono divertita a giocare a calcio ma anche a dormire con le amiche e con il don Vittorio. I miei amici quel giorno erano come fratelli!

L’esperienza di condividere la gioia e le emozioni di trarre nuove amicizie, mi hanno arricchito di felicità. Un grazie fatto con il cuore, caro don Vittorio! E un forte abbraccio alle mie catechiste!

A Clusone mi sono trovato molto bene, il cibo era ottimo, i letti comodi e morbidi, la camera era molto spaziosa. Ho giocato tantissimo. Di domenica mi sono divertito a raccogliere le piante con il professore. Abbiamo visto molte piante, la cosa che mi è piaciuta è stata il ilm intitolato “Lorax”. Parlava di una città che si pensava che era tutta perfetta, ma mancava una cosa e quella cosa era la natura.

Porterò sempre nel mio cuore questi due giorni di ritiro a Clusone trascorsi insieme al mio Don, alle mie catechiste e ai miei compagni. Spero che ci saranno altre occasioni così belle come questa.

Sabato e domenica scorsa io e i miei amici siamo andati al ritiro a Clusone. Siamo partiti con il pullman e abbiamo fatto sosta al bar. Quando siamo arrivati abbiamo sistemato le camere, io ero con la mia amica Giulia e Anna. Siamo usciti a giocare a nascondino e ci siamo divertiti. Dopo cena abbiamo visto il ilm “Lorax” e alla ine abbiamo ballato e cantato “Crescerà”. Mi è piaciuto stare tutti insieme felici e gioiosi. Successivamente siamo andati a dormire con il don e mi faceva ridere quando diceva: “Devi comprare un letto?” Perché Giulia è caduta dal letto. Ero molto agitata perché era strano dormire fuori casa con gli amici. Al mattino presto ci siamo svegliati e abbiamo fatto colazione. Dopo siamo andati con il professore al bosco, mi facevano male le gambe però sopportavo. Mi è piaciuto scoprire la natura e ho imparato che il pino è più basso dell’abete. Al pomeriggio sono arrivati i genitori e il don ci ha fatto rilettere sull’importanza delle piante, non si strappano perché è come strappare un pezzo di noi. Inine abbiamo cenato tutti insieme come una grande famiglia. Ringrazio il don Vittorio e le mie speciali catechiste: Giuliana, Amalia, Clelia e Sara l’aiutante per questa giornata ricca di esperienze di vera amicizia e di amore.

Caro don Vittorio, ti ringrazio per questi bellissimi due giorni di ritiro. Mi sono divertito tantissimo, sei un bra-

vissimo Don. Non mi dimenticherò mai di questa gita. Grazie Don!

Grazie Don Vittorio per l’esperienza che ci hai dato, mi sono divertito molto e sono stato felice di trascorrere il mio tempo con i miei compagni. Per fortuna che Dio ha pensato di mandarti a Paladina. Ti voglio bene.

Il ritiro è stato molto bello perché sono stato con i miei amici. Sono stato bene, mi sono divertito e abbiamo gio-

cato molto. Ho scoperto cose nuove sulla natura e quanto è importante averne cura.

Questo ritiro è stato bellissimo: mi è piaciuto quando siamo andati nel bosco a vedere alcune piante, poi quando abbiamo visto il ilm, quando abbiamo dormito insieme e quando abbiamo giocato a calcio … Alla ine sono arrivati i genitori e abbiamo mangiato insieme. Spero che andremo ancora in ritiro. Grazie Don e grazie catechiste.

Il ritiro mi ha insegnato molte cose: a distinguere gli al-beri, a pensare come un albero, a rispettare la natura e fare attenzione a quello che ci circonda. Il ilm è stato

divertentissimo, è stato bello giocare tutti insie-

me. I miei compagni di stanza erano simpaticis-

simi, mi piacerebbe rifarlo 1000 volte.

Grazie Don, è stata un’esperienza bellissima non solo perché ci siamo staccati un po’ dalla scuola, ma anche perché per una volta sono stato tutta la domenica insieme ai miei compagni. GRAZIE MILLE DON!

Per me la gita con te, Don, è stata super bella perché eravamo tutti in-

sieme tra amici, e mi sono divertita un sacco. Non vedo l’ora di tornare. Mi è piaciuto perché sono stata con te e con i miei amici e anche perché non c’è stato nessun infortunio.

CAMMINIAMO INSIEME66

L’0ratorio del futuroUna comunità che educa … equipe educativa.Relazione del prof. Johnny Dotti sul futuro degli oratori.Il Professore Johnni Dotti è originario di Seriate, abita a Carobbio degli Angeli, è sposato e padre di quattro igli e di tantissimi altri ragazzi che nella sua vita di famiglia ha avuto in afido e ha adottato. E’ insegnante di pedagogia all’Università Cattolica Sacro Cuore ed è molto impe-

gnato nell’ambito sociale. Nel corso degli anni, ci siamo avvicinati ad una fase di spiccato individualismo e l’idea che ognu-

no si è fatto da sé, si è realizzato da sé, competendo con gli altri (è stato il grande mantra del capitalismo più o meno soisticato a seconda delle zone del mondo, che però abbiamo vissuto tutti) ha fatto perdere il senso della responsabilità. Questo riguarda soprattutto noi che siamo entrati in un tempo della tecnica molto spinto, e la tecnica non aiuta la responsabilità. La tec-

nica richiede al massimo un po’ di deontologia, richiede che fai bene quella cosa che ti è stata afidata, non richiede assolutamente responsabilità. Pensiamo ai ragazzini, agli adolescenti e al rapporto che hanno con il digitale … La tecnica ti porta in una specie di oblio di mondo che sem-

bra non dipenda da te, tu devi solo accedere a quel mondo, poi, una volta dentro, ti lasci portare. Ricordiamo che noi siamo la generazione che in 6000 anni di storia umana si trova a cavallo di due millenni e possiamo chiederci: come ci passeremo e come ci passeranno le cose che abbiamo ereditato?Passeranno bene se saremo capaci di innescare dei processi di CORRESPONSABILITA’. Cosa vuol dire? La parola CORRESPONSABILITA’ ricorda innanzitutto che c’è qualcuno che ci fa una domanda a cui noi rispondiamo, e la domanda non è la nostra, la domanda è di qualcuno, è di una comunità, di una realtà, la domanda è di adolescenti, bambini … c’è una domanda che dobbiamo ascoltare! Non si attiva la responsabilità se noi non ascoltiamo, se non ascoltiamo qualcuno che ci dice qualcosa che risuona dentro noi, che ci riguarda. Questo non sarebbe ancora suficiente se noi non avessimo dentro questa competenza a rispondere, che è la nostra libertà. La respon-

sabilità è l’azione che nasce dalla libertà. Gli oratori avranno un futuro non perché torneranno tanti preti o ci saranno i laici, ma se ci saranno persone, gruppi, comunità che ascolteran-no, che ascoltano una domanda educativa, cioè che attribuiscono ancora all’educazione un senso e, in una società tecnocratica, in una società dove tutti sostanzialmente fanno ciò che vogliono, non è per niente scontato. In questa società, quindi, attribuire ancora un senso all’educazione è già una opzione di valore, e questo lo dico da papà, da professore, da educatore. Credere che l’educazione sia ancora una questione umana e non solo di apprendimento didattico per usare delle cose è un’opzione enorme, che possiamo fare solo noi che siamo interpellati nella nostra libertà, nella libertà di scegliere, di stare, di fare tutte quelle cose che nei gruppi avete citato: perdere il proprio tempo, prendersi cura, avere passione … Sempre dalla rilessione nei vari gruppi è emerso che in oratorio si è fatta un’esperienza di affetto tanto quanto in una fa-

miglia: è qualcosa che supera il legame di sangue, è la cosa che si prova in un’amicizia, nell’amore tra marito e moglie, che si prova dentro una vocazione di qualsiasi natura essa sia.La parola RESPONSABILITA’ si porta dentro non solo la “risposta”, ma la risposta che ti coin-

volge. Non è una risposta solo prestazionale, fatta di competenze, di funzioni: Faccio funzionare bene l’oratorio” … Entri in una relazione che cambia anche la tua vita, non cambia soltanto la vita dell’altro che tu ascolti, ma proprio perché tu lo ascolti cambia anche la tua vita! Ed è interessante che nella rilessione di gruppo, la maggior parte delle persone che avete segnalato signiicative, igure di riferimento, siano persone consacrate. La responsabilità ha bisogno di consacrazione e, nel nuovo millennio, forse siamo di fronte ad altre forme di consacrazione, forse gli oratori hanno bisogno di generare forme nuove di consacrazione/congregazione, perché senza quello spazio siamo dentro un meccanismo molto funzionale, molto prestazionale, magari anche competente … però non si innesca il meccanismo della

forze che porteranno avanti poi la comunità. L’oratorio è una specie di NURSERY dove si

gruppi sono stati citati, hanno vissuto questa consacrazione implicita: non facevano solo i

non facevano solo gli animatori, ma erano animatori … Tra “fare” e “essere” c’è una certa distanza, e non sempre “fare le cose” vuol dire averle interiorizzate dal punto di vista di ciò che si è! Uno può essere un bravissimo impiegato … resta un impiegato. Il contrario della parola RESPONSABILITA’ è la parola IPOCRISIA. L’ipocrita è un attore che risponde ad una sceneggiatura, ad un copione, un bravissimo attore. Gesù chiama ipocriti i farisei perché rispondevano bene alla legge, erano inquadrati, giusti … non rispondevano però alla domanda che veniva dalla realtà. Oggi, all’inizio del terzo millennio, questa è una questione fondamentale: VOGLIAMO ESSERE RESPONSABILI O IPOCRITI? Non riguarda il “funzionamento” dell’oratorio,

CORRESPONSABILITA’ sia una chiamata di senso, prima che una chiamata al “fare andare avanti” gli oratori. I principi di Don Bosco sono ancora buoni principi, ma cosa vuol dire oggi che l’ORATORIO è CASA? E’ una cosa che diciamo retoricamente oppure gli spazi possono essere abitati dagli adolescenti anche in maniera più continuativa durante l’anno avendo la possibilità di fare CASA fuori casa, visto che c’è grande necessità di uscire dalle strette di una famiglia che è sempre più piccola, soffocante e in dificoltà? L’oratorio è una CASA che ci permette di entrare in una CASA-MONDO, visto che la Chiesa è in tutto il mondo, con un cuore, le mani e un cervello aperti? Oppure, in una società sempre più digitale, l’oratorio è il posto dove sono abilitato a riconnettere la testa col cuore e con le mani? Io lo chiamo “lavorare”

che pesci pigliare… Nell’oratorio posso abilitare i ragazzi e i giovani ad una vita sociale che

bene comune? Uscire dall’individualismo spinto? Le domande sono grandi, non richiedono solo

per immaginare un mondo che non abbiamo mai visto!“IL BELLO DELL’ORATORIO NON STA ALLE SUE SPALLE, STA DAVANTI AI NOSTRI OCCHI, COME IL BELLO DELLA FAMIGLIA NON STA ALLE SUE SPALLE, MA STA DAVANTI ALLA FAMIGLIA” Non c’è nulla da rimpiangere!

La parola LITURGIA vuol dire azione del popolo. Tante volte mi sono trovato a pensare, a spiegare e a dire: come può un adolescente fare la comunione …? Prima di fare la comunione c’è l’offertorio e nella preghiera si dice: “Frutto della nostra terra e del lavoro dell’uomo” … se uno non sa cos’è il lavoro, come può capire ed essere consapevole di ciò che succede dopo? Lavorare sulla liturgia non è fare più messe, è andare in fondo a quel rito che è pieno di simboli per farlo parlare nella modernità. È prenderlo sul serio! C’è un percorso educativo che passa dalla liturgia che è fenomenale. La liturgia è rapporto con il mistero … l’adolescente stesso è mistero. Noi veniamo da una fase ipermaterialista potentissima, dire che la realtà è fatta anche di invisibile, che è altrettanto concreto, è dificile anche con gli adulti e a maggior ragione nella mentalità bergamasca. Essere concreti dal latino “cum crescere”che vuol dire crescere insieme e non essere materialotti. Tante cose si potrebbero approfondire chiedendoci: Cos’è la parola dentro la liturgia? Cos’è il silenzio? Cos’è il rito? Il rito è l’azione del mito, il simbolo è il linguaggio del mito. Se chiediamo ai ragazzini perché festeggiano il Natale tutti gli anni non sanno risponderti se non hanno coscienza del mito e non hanno coscienza che Gesù Cristo non è vissuto solo 2000 anni fa, ma è lì vicino … Sono cose reali, però bisogna fare esperienza nella propria comunità, non esperimenti, eventi, ma esperienza di mani, di testa e di cuore. Il Cristo è il Cristo di tutti ed è la grande tensione dell’essere cristiani e io non vivo il cristianesimo come una setta religiosa. Sono contento di avere questo Papa e per me il terzo millennio è porsi il tema cosa signiica che Cristo è di tutti.

67CAMMINIAMO INSIEME

Relazione del prof. Johnny Dotti sul futuro degli oratori.Il Professore Johnni Dotti è originario di Seriate, abita a Carobbio degli Angeli, è sposato e padre di quattro igli e di tantissimi altri ragazzi che nella sua vita di famiglia ha avuto in afido e ha adottato. E’ insegnante di pedagogia all’Università Cattolica Sacro Cuore ed è molto impegnato nell’ambito sociale. Nel corso degli anni, ci siamo avvicinati ad una fase di e l’idea che ognuno si è fatto da sé, si è realizzato da sé, competendo con gli altri (è stato il grande mantra del capitalismo più o meno soisticato a seconda delle zone del mondo, che però abbiamo vissuto tutti) ha fatto perdere il senso della responsabilità. Questo riguarda soprattutto noi che siamo entrati , e la tecnica non aiuta la responsabilità. La tecnica richiede al massimo un po’ di deontologia, richiede che fai bene quella cosa che ti è stata afidata, non richiede assolutamente responsabilità. Pensiamo ai ragazzini, agli adolescenti e al rapporto che hanno con il digitale … La tecnica ti porta in una specie di oblio di mondo che sembra non dipenda da te, tu devi solo accedere a quel mondo, poi, una volta dentro, ti lasci portare. Ricordiamo che noi siamo la generazione che in 6000 anni di storia umana si trova a cavallo di due millenni e possiamo chiederci: come ci passeremo e come ci passeranno le cose che abbiamo ereditato?Passeranno bene se saremo capaci di innescare dei processi di CORRESPONSABILITA’. Cosa vuol dire? La parola CORRESPONSABILITA’ ricorda innanzitutto che c’è qualcuno che ci fa una domanda a cui noi rispondiamo, e la domanda non è la nostra, la domanda è di qualcuno, è di una comunità, di una realtà, la domanda è di adolescenti, bambini … c’è una domanda che dobbiamo ascoltare! Non si attiva la responsabilità se noi non ascoltiamo, se non ascoltiamo qualcuno che ci dice qualcosa che risuona dentro noi, che ci riguarda. Questo non sarebbe ancora suficiente se noi non avessimo dentro questa competenza a rispondere, che è la nostra libertà. La responsabilità è l’azione che nasce dalla libertà.

no, che ascoltano una domanda educativa, cioè che attribuiscono ancora all’educazione un senso e, in una società tecnocratica, in una società dove tutti sostanzialmente fanno ciò

. In questa società, quindi, attribuire ancora un senso all’educazione è già una opzione di valore, e questo lo dico da papà, da professore, da educatore. Credere che l’educazione sia ancora una questione umana e non solo di apprendimento didattico per usare delle cose è un’opzione enorme, che possiamo fare solo noi che siamo interpellati nella nostra libertà, nella libertà di scegliere, di stare, di fare tutte quelle cose che nei gruppi avete citato: perdere il proprio tempo, prendersi cura, avere passione … Sempre dalla rilessione nei vari gruppi è emerso che in oratorio si è fatta un’esperienza di affetto tanto quanto in una famiglia: è qualcosa che supera il legame di sangue, è la cosa che si prova in un’amicizia, nell’amore tra marito e moglie, che si prova dentro una vocazione di qualsiasi natura essa sia.La parola RESPONSABILITA’ si porta dentro non solo la “risposta”, ma la risposta che ti coinvolge. Non è una risposta solo prestazionale, fatta di competenze, di funzioni: Faccio funzionare bene l’oratorio” … la vita dell’altro che tu ascolti, ma proprio perché tu lo ascolti cambia anche la tua vita!Ed è interessante che nella rilessione di gruppo, la maggior parte delle persone che avete segnalato signiicative, igure di riferimento, siano persone consacrate.

congregazione, perché senza quello spazio siamo dentro un meccanismo molto funzionale, molto prestazionale, magari anche competente … però non si innesca il meccanismo della

responsabilità che genera altra responsabilità, che diventa il motore di una comunità, delle forze che porteranno avanti poi la comunità. L’oratorio è una specie di NURSERY dove si allevano le forze che poi andranno nel mondo, nelle comunità: è una responsabilità educa-tiva dentro uno spazio religioso. Probabilmente nel loro intimo anche alcuni laici, che nei gruppi sono stati citati, hanno vissuto questa consacrazione implicita: non facevano solo i catechisti, ma erano catechisti … non facevano solo gli allenatori, ma erano allenatori … non facevano solo gli animatori, ma erano animatori … Tra “fare” e “essere” c’è una certa distanza, e non sempre “fare le cose” vuol dire averle interiorizzate dal punto di vista di ciò che si è! Uno può essere un bravissimo impiegato … resta un impiegato. Il contrario della parola RESPONSABILITA’ è la parola IPOCRISIA. L’ipocrita è un attore che risponde ad una sceneggiatura, ad un copione, un bravissimo attore. Gesù chiama ipocriti i farisei perché rispon-

devano bene alla legge, erano inquadrati, giusti … non rispondevano però alla domanda che veniva dalla realtà. Oggi, all’inizio del terzo millennio, questa è una questione fondamentale: VOGLIA-MO ESSERE RESPONSABILI O IPOCRITI? Non riguarda il “funzionamento” dell’oratorio, riguarda che cosa è un oratorio dentro una parrocchia, e io credo che la chiamata alla CORRESPONSABILITA’ sia una chiamata di senso, prima che una chiamata al “fare andare avanti” gli oratori. I principi di Don Bosco sono ancora buoni principi, ma cosa vuol dire oggi che l’ORATORIO è CASA? E’ una cosa che diciamo retoricamente oppure gli spazi possono essere abitati dagli adolescenti anche in maniera più continuativa durante l’anno avendo la possibilità di fare CASA fuori casa, visto che c’è grande necessità di uscire dalle strette di una famiglia che è sempre più piccola, soffocante e in dificoltà? L’oratorio è una CASA che ci permette di entrare in una CASA-MONDO, visto che la Chiesa è in tutto il mondo, con un cuore, le mani e un cervello aperti? Oppure, in una società sempre più digitale, l’oratorio è il posto dove sono abilitato a riconnettere la testa col cuore e con le mani? Io lo chiamo “lavorare” e sostengo che bisogna riportare al lavoro i ragazzini molto presto, altrimenti avremo un gruppo di giovani completamente persi con un mare di anziani da curare e che non sapranno che pesci pigliare… Nell’oratorio posso abilitare i ragazzi e i giovani ad una vita sociale che è radicalmente cambiata? Prepararli ad una forma nuova di politica che è prendersi cura del bene comune? Uscire dall’individualismo spinto? Le domande sono grandi, non richiedono solo la sostituzione di ruoli e di personaggi, ma richiedono la costruzione di una corresponsabilità per immaginare un mondo che non abbiamo mai visto!“IL BELLO DELL’ORATORIO NON STA ALLE SUE SPALLE, STA DAVANTI AI NOSTRI OCCHI, COME IL BELLO DELLA FAMIGLIA NON STA ALLE SUE SPALLE, MA STA DA-VANTI ALLA FAMIGLIA” Non c’è nulla da rimpiangere!

La parola LITURGIA vuol dire azione del popolo. Tante volte mi sono trovato a pensare, a spie-

gare e a dire: come può un adolescente fare la comunione …? Prima di fare la comunione c’è l’offertorio e nella preghiera si dice: “Frutto della nostra terra e del lavoro dell’uomo” … se uno non sa cos’è il lavoro, come può capire ed essere consapevole di ciò che succede dopo? Lavorare sulla liturgia non è fare più messe, è andare in fondo a quel rito che è pieno di simboli per farlo parlare nella modernità. È prenderlo sul serio! C’è un percorso educativo che passa dalla liturgia che è fenomenale. La liturgia è rapporto con il mistero … l’adolescente stesso è mistero. Noi veniamo da una fase ipermaterialista potentissima, dire che la realtà è fatta anche di invisibile, che è altrettanto concreto, è dificile anche con gli adulti e a maggior ragione nella mentalità bergamasca. Essere concreti dal latino “cum crescere”che vuol dire crescere insieme e non es-

sere materialotti. Tante cose si potrebbero approfondire chiedendoci: Cos’è la parola dentro la liturgia? Cos’è il silenzio? Cos’è il rito? Il rito è l’azione del mito, il simbolo è il linguaggio del mito. Se chiediamo ai ragazzini perché festeggiano il Natale tutti gli anni non sanno risponderti se non hanno coscienza del mito e non hanno coscienza che Gesù Cristo non è vissuto solo 2000 anni fa, ma è lì vicino … Sono cose reali, però bisogna fare esperienza nella propria comunità, non esperimenti, eventi, ma esperienza di mani, di testa e di cuore. Il Cristo è il Cristo di tutti ed è la grande tensione dell’essere cristiani e io non vivo il cristianesimo come una setta religiosa. Sono contento di avere questo Papa e per me il terzo millennio è porsi il tema cosa signiica che Cristo è di tutti.

Premiate trenta donne eccellenti in Regione Lombardia: Tra le premiate la nostra Superiora delle Suore; Suor Anna Cecilia. Sono state premiate donne che hanno avuto coraggio nella loro vita fatta di dificoltà e sono riuscite a proseguire nel loro impegno, chi nello sport, chi nel volontariato, chi nel settore imprenditoriale, chi nella dedizione alla famiglia.

“Ringraziamento dopo la consegna della pergamena”

Sono onorata di ricevere questa attenzione anche se sono in profondo imbarazzo, sapendo che molte delle mie sorelle la meriterebbero piu’ di me essendo ancora in Costa d’avorio per continuare la missione e favorire gli ultimi.L’ accetto, anche come riconoscimento al mandato caritativo dell’ istituto don Luigi Palazzolo al quale per grazia di dio appartengo.Ringrazio tutti coloro che in qulache modo hanno voluto riconoscermi.Grazie.

Noi abbiamo vissuto una fase che si è chiamata CRISTIANITA’, per cui il potere temporale e religioso stavano insieme. Abbiamo vissuto una fase chiamata CRISTIANESIMO, che era l’in-

luenzamento culturale delle forme politiche, economiche, sociali, affettive che la società non dava. Cristo però continua a mandare al centro e quindi il problema non è che ci siano o meno in oratorio musulmani, induisti …, ma che ci sia un incontro religioso vero. Ora noi siamo ancora nel ramo assistenza sociale, non c’è un incontro. Io sono convinto che se i nostri ragazzi fossero stimolati a incontri con storie religiose di altri si farebbero delle domande … Nel nord Italia se questo lavoro non lo fanno gli oratori lo faranno i simboli del consumo, lo farà l’ORIO CENTER …Questo tipo di dialogo o trova un punto di incontro responsabile, di sposi, sponsale o eroghiamo solo dei servizi, interessante ma rimaniamo solo nell’ambito di erogazione di servizi.Il rapporto genitori – igli e il compito dell’oratorio. C’è un momento in cui io auspico che ci sia il conlitto tra igli adolescenti e genitori, perché senza conlitto poi è dura perché ci ritroveremo adulti con una strutturazione di partenza del proprio se molto fragile. Conlitto, non vuol dire guerra, spacchiamo su tutto ma vivere l’ oratorio come occasione per confrontarsi perché stai dentro in uno stile, in un abitus cristiano. C’è molto da fare, molto, molto! L’ho detto anche a tanti vescovi; signiica ripensare il cammino dei sacramenti. Per me la cresima va insieme al servizio civile. La comunione è un percorso da fare davvero come famiglie. Io credo che ci arriveremo perché all’interno della Chiesa vi è un grande fermento e l’oratorio è uno spazio educativo molto stimato. È un punto di partenza, è una tradizione nel senso nobile, un fuoco, un valore molto interessante che ci viene consegnato da cinquecento anni che oggi può avere un grande senso. Sono sicuro però, pur volendo molto bene ai miei amici preti che questa cosa non la faranno i preti non perché sono cattivi ma perché hanno tutti i loro travagli in questo momento. Questa cosa ha bisogno di fratelli laici insieme al suo importantissimo sacramento e nell’ambito della Liturgia si aprirebbe per i preti uno spazio che li connoterebbe veramente uno spazio di senso e di presenza che li connota davvero come ministri di Dio e non come manager, costruttori di chiese, oratori, asili nido, case di riposo. Facoltà ottocentesche interessanti, oggi un po’ di meno. Certo, hanno bisogno di laici popolo di Dio e non di funzionari, impiegati o factotum per le cose pratiche dalla lampadina bruciata al riscaldamento che non funziona ecc. Ricordo che le Parrocchie sono Comunità Parrocchiali e non dei preti i quali girano, cambiano. È un occasione di rilessione pastorale. Anche i laici fanno parte del popolo di Dio e vanno resi corresponsabili. Non stiamo erogando dei servizi educativi a dei clienti o dagli utenti. In questi anni abbiamo incorporato questo sistema.

68

CAMMINIAMO INSIEME 69

Suor Anna Cecilia

Premiate trenta donne eccellenti in Regione Lombar-

dia: Tra le premiate la nostra Superiora delle Suo-

re; Suor Anna Cecilia. Sono state premiate donne che hanno avuto coraggio nella loro vita fatta di dificoltà e sono riuscite a proseguire nel loro impegno, chi nello sport, chi nel volontariato, chi nel settore imprendi-toriale, chi nella dedizione alla famiglia.

“Ringraziamento dopo la consegna della pergamena”

Sono onorata di ricevere questa attenzione anche se sono in profondo imbarazzo, sapendo che molte delle mie sorelle la meriterebbero piu’ di me essendo an-

cora in Costa d’avorio per continuare la missione e favorire gli ultimi.L’ accetto, anche come riconoscimento al mandato ca-

ritativo dell’ istituto don Luigi Palazzolo al quale per grazia di dio appartengo.Ringrazio tutti coloro che in qulache modo hanno vo-

luto riconoscermi.Grazie.

SuorAnna

Milano. Premio internazionale stand out 2016 – il coraggio

delle donne

Anche la comunità di Paladina esprime immensa gratitudine a Suor Anna Cecilia,

Superiora delle nostre suore per il suo encomiabile

servizio

Noi abbiamo vissuto una fase che si è chiamata CRISTIANITA’, per cui il potere temporale e religioso stavano insieme. Abbiamo vissuto una fase chiamata CRISTIANESIMO, che era l’inluenzamento culturale delle forme politiche, economiche, sociali, affettive che la società non dava. Cristo però continua a mandare al centro e quindi il problema non è che ci siano o meno in oratorio musulmani, induisti …, ma che ci sia un incontro religioso vero. Ora noi siamo ancora nel ramo assistenza sociale, non c’è un incontro. Io sono convinto che se i nostri ragazzi fossero stimolati a incontri con storie religiose di altri si farebbero delle domande … Nel nord Italia se questo lavoro non lo fanno gli oratori lo faranno i simboli del consumo, lo farà l’ORIO CENTER …Questo tipo di dialogo o trova un punto di incontro responsabile, di sposi, sponsale o eroghiamo solo dei servizi, interessante ma rimaniamo solo nell’ambito di erogazione di servizi.Il rapporto genitori – igli e il compito dell’oratorio. C’è un momento in cui io auspico che ci sia il conlitto tra igli adolescenti e genitori, perché senza conlitto poi è dura perché ci ritroveremo adulti con una strutturazione di partenza del proprio se molto fragile. Conlitto, non vuol dire guerra, spacchiamo su tutto ma vivere l’ oratorio come occasione per confrontarsi perché stai dentro in uno stile, in un abitus cristiano. C’è molto da fare, molto, molto! L’ho detto anche a tanti vescovi; signiica ripensare il cammino dei sacramenti. Per me la cresima va insieme al servizio civile. La comunione è un percorso da fare davvero come famiglie. Io credo che ci arriveremo perché all’interno della Chiesa vi è un grande fermento e l’oratorio è uno spazio educativo molto stimato. È un punto di partenza, è una tradizione nel senso nobile, un fuoco, un valore molto interessante che ci viene consegnato da cinquecento anni che oggi può avere un grande senso. Sono sicuro però, pur volendo molto bene ai miei amici preti che questa cosa non la faranno i preti non perché sono cattivi ma perché hanno tutti i loro travagli in questo momento. Questa cosa ha bisogno di fratelli laici insieme al suo importantissimo sacramento e nell’ambito della Liturgia si aprirebbe per i preti uno spazio che li connoterebbe veramente uno spazio di senso e di presenza che li connota davvero come ministri di Dio e non come manager, costruttori di chiese, oratori, asili nido, case di riposo. Facoltà ottocentesche interessanti, oggi un po’ di meno. Certo, hanno bisogno di laici popolo di Dio e non di funzionari, impiegati o factotum per le cose pratiche dalla lampadina bruciata al riscaldamento che non funziona ecc. Ricordo che le Parrocchie sono Comunità Parrocchiali e non dei preti i quali girano, cambiano. È un occasione di rilessione pastorale. Anche i laici fanno parte del popolo di Dio e vanno resi corresponsabili. Non stiamo erogando dei servizi educativi a dei clienti o dagli utenti. In questi anni abbiamo incorporato questo sistema.

CAMMINIAMO INSIEME70

All’insegna dell’enciclica di Papa Francesco “Laudato si” Ama e ripetta il creato

Carnevale

CAMMINIAMO INSIEME 71

72 CAMMINIAMO INSIEME

Ritiro a Clusone: Gruppo 5a elementare

Sabato 23 gennaio sono andato in ritiro a Clusone con i miei compagni di catechismo. Salutati i genitori siamo partiti con il pulman e siamo arrivati a destinazione: la Casa dell’Orfano. Il don e le catechiste ci hanno fatto le raccomanda-

zioni e mostrato le no-

stre camere, abbiamo scelto i nostri compagni di stanza e sistemate le nostre cose siamo scesi a cenare. Terminata la cena ci siamo messi il pigiama e siamo andati in salone per guardare il ilm dal titolo “UP”: io l’avevo già visto, ma rivederlo tutti insie-

me è stato più bello. Al termine del ilm siamo andati a letto, ma non riuscivo a dormire per le chiacchiere dei miei compagni. Il giorno se-

guente siamo andati ancora in salone e riu-

niti in gruppi abbiamo rilettuto sul tema del ilm che è l’amicizia. Abbiamo capito che ci sono valori come l’amicizia, la solidarietà, la comprensione, l’apertura al nuovo rendono la vita più bella. Più tardi sono arrivati i genitori e il don ha celebrato la S. Messa, alla ine abbiamo cenato e siamo tornati a casa. E’ un vero peccato che il ritiro sia ini-to, l’importante è che siamo stati tutti insieme con gioia. SAMUELE

La mia esperienza è stata la dimostrazione che si può riempire il cuore di gioia, condividendo preghiera, rilessioni e divertimento. Il tema di questo ritiro è stato l’amicizia, che per me è uno dei valori fondamentali. Il ritiro mi ha lasciato un bel ricordo per essere stato in compa-

gnia di tanti compagni che vedevo poco e la simpatia del don che ci ha rallegrato le giornate. DAVIDE

Io e i miei compagni di catechismo, le mie catechiste e don Vittorio siamo andati al ritiro a Clusone, ho condiviso la camera con le mie amiche, pranzato tutti insieme, abbiamo pregato e giocato. Questo ritiro mi ha fatto capire che l’amicizia è importante e non si devono giudicare le persone prima di conoscerle, è un’esperienza che mi piacerebbe rifare. GIADA

E’ stata una bella esperienza perché ho condiviso la giornata con i miei compagni e amici nei suoi vari momenti: dal gioco ai momenti di rilessione, anche la dormita insieme. LUCA

Clusone si si si !!! tutti insieme in armonia. Questa esperienza la vorrei rifare, è stato bellis-

simo stare insieme condividendo tutto con rispetto e amicizia. Grazie a don Vittorio, Stei, Nives, Filippo e Elena. EMMA

E’ stata un’esperienza pazzesca: stare con i miei amici tutto il giorno e anche la notte, le catechiste nel ruolo di mamme e il don che giocava e scherzava con noi, spero che possa ripetersi al più presto. SAMUEL

E’ stato bello trascorrere dei giorni senza genitori e in compagnia dei miei amici. L’amicizia è una bellissima cosa che si coltiva giorno dopo giorno. E’ stato bello giocare tutti insieme, mi è piaciuto molto anche il ilm “UP” dove l’anziano Carl rinuncia alla sua casa, ai suoi mobili, al quadro di sua moglie, per aiutare il ragazzino che andava a salvare il “beccaccino” (uccello di specie mai conosciuta). Tra queste persone e animali nasce una grande amicizia che li renderanno inseparabili. GABRIELE

Mi è piaciuto molto stare tutti insieme in questo ritiro, condiviso momenti di serenità, gioia e amicizia. SOFIA

È stato tutto fantastico, è stato bello dormire nei sacchi a pelo, insieme ai miei amici mi sono divertito molto. Abbiamo guardato il ilm “UP” è stato molto bello il momento di rilessione sul tema dell’amicizia. Bellissimo stare insieme con rispetto e gioia. ROSARIO

Sono stati momenti divertenti e anche molto educativi perché ci hanno insegnato cos’è veramente l’amicizia. LINDA

Il momento più bello per me è stato la sera riunita in camera con le mie amiche, chiacchierare allegramente, ridere, azzittire per un attimo per poi ridere ancora più forte, le catechiste si sono un pochino lamentate, però mi sono divertita molto sopratutto perché insieme abbiamo respirato aria di vera amicizia. ELENA

È stato bello passare dei giorni con i miei amici perché l’amicizia è bella, è stato divertente passare dei momenti con il don condividendo preghiera e gioco. SIMONE G.

Sinceramente avevo un po’ di timore, perché ho nostalgia di casa, poi ho preso coraggio e con le mie fantastiche compagne, la mia super catechista ho passato dei splendidi momenti. Ho scoperto emozioni nuove e indimenticabili, don Vittorio è un super don, ci insegna a pregare e non ci fa mancare….la Nutella. CAMILLA

Pensieri dei ragazzi

73CAMMINIAMO INSIEME

re

Sabato 23 gennaio sono andato in ritiro a Clusone con i miei compagni di catechismo. Salutati i genitori siamo partiti con il pulman e siamo arrivati a destinazione: la Casa dell’Orfano. Il don e le catechiste ci hanno fatto le raccomandazioni e mostrato le nostre camere, abbiamo scelto i nostri compagni di stanza e sistemate le nostre cose siamo scesi a cenare. Terminata la cena ci siamo messi il pigiama e siamo andati in salone per guardare il ilm dal titolo “UP”: io l’avevo già visto, ma rivederlo tutti insieme è stato più bello. Al termine del ilm siamo andati a letto, ma non riuscivo a dormire per le chiacchiere dei miei compagni. Il giorno seguente siamo andati ancora in salone e riuniti in gruppi abbiamo rilettuto sul tema del ilm che è l’amicizia. Abbiamo capito che ci sono valori come l’amicizia, la solidarietà, la comprensione, l’apertura al nuovo rendono la vita più bella. Più tardi sono arrivati i genitori e il don ha celebrato la S. Messa, alla ine abbiamo cenato e siamo tornati a casa. E’ un vero peccato che il ritiro sia inito, l’importante è che siamo stati tutti insieme con gioia. SAMUELE

La mia esperienza è stata la dimostrazione che si può riempire il cuore di gioia, condividendo preghiera, rilessioni e divertimento. Il tema di questo ritiro è stato l’amicizia, che per me è uno dei valori fondamentali. Il ritiro mi ha lasciato un bel ricordo per essere stato in compagnia di tanti compagni che vedevo poco e la simpatia del don che ci ha rallegrato le giornate. DAVIDE

Io e i miei compagni di catechismo, le mie catechiste e don Vittorio siamo andati al ritiro a Clusone, ho condiviso la camera con le mie amiche, pranzato tutti insieme, abbiamo pregato e giocato. Questo ritiro mi ha fatto capire che l’amicizia è importante e non si devono giudicare le persone prima di conoscerle, è un’esperienza che mi piacerebbe rifare. GIADA

E’ stata una bella esperienza perché ho condiviso la giornata con i miei compagni e amici nei suoi vari momenti: dal gioco ai momenti di rilessione, anche la dormita insieme. LUCA

Clusone si si si !!! tutti insieme in armonia. Questa esperienza la vorrei rifare, è stato bellissimo stare insieme condividendo tutto con rispetto e amicizia. Grazie a don Vittorio, Stei, Nives, Filippo e Elena. EMMA

E’ stata un’esperienza pazzesca: stare con i miei amici tutto il giorno e anche la notte, le cate-

chiste nel ruolo di mamme e il don che giocava e scherzava con noi, spero che possa ripetersi al più presto. SAMUEL

E’ stato bello trascorrere dei giorni senza genitori e in compagnia dei miei amici. L’amicizia è una bellissima cosa che si coltiva giorno dopo giorno. E’ stato bello giocare tutti insieme, mi è piaciuto molto anche il ilm “UP” dove l’anziano Carl rinuncia alla sua casa, ai suoi mobili, al quadro di sua moglie, per aiutare il ragazzino che andava a salvare il “beccaccino” (uccello di specie mai conosciuta). Tra queste persone e animali nasce una grande amicizia che li rende-

ranno inseparabili. GABRIELE

Mi è piaciuto molto stare tutti insieme in questo ritiro, condiviso momenti di serenità, gioia e amicizia. SOFIA

È stato tutto fantastico, è stato bello dormire nei sac-

chi a pelo, insieme ai miei amici mi sono divertito mol-to. Abbiamo guardato il ilm “UP” è stato molto bello il momento di rilessione sul tema dell’amicizia. Bellissimo stare insieme con rispetto e gioia. ROSARIO

Sono stati momenti diver-

tenti e anche molto educati-vi perché ci hanno insegnato cos’è veramente l’amicizia. LINDA

Il momento più bello per me è stato la sera riunita in camera con le mie amiche, chiacchierare allegramente, ridere, azzittire per un atti-mo per poi ridere ancora più forte, le catechiste si sono un pochino lamentate, però mi sono divertita molto sopratutto perché insieme abbiamo respirato aria di vera ami-cizia. ELENA

È stato bello passare dei giorni con i miei amici per-

ché l’amicizia è bella, è stato divertente passare dei momenti con il don condividendo preghiera e gioco. SIMONE G.

Sinceramente avevo un po’ di timore, perché ho no-

stalgia di casa, poi ho preso coraggio e con le mie fantastiche compagne, la mia super catechista ho passato dei splendidi momenti. Ho scoperto emo-

zioni nuove e indimenticabili, don Vittorio è un su-

per don, ci insegna a pregare e non ci fa mancare….la Nutella. CAMILLA

CAMMINIAMO INSIEME74

È bello stare con gli amici e dalla visione del ilm “UP” abbiamo capito che l’amicizia è la cosa più bella che ci sia e se la vivi bene sa colorare e dare sapore alla vita. STEFANO

È stata una nuova e bellissima esperienza, mi sono divertita quando abbiamo giocato e scher-

zato e mi è piaciuto il momento di rilessione sull’amicizia dopo la vista del ilm “UP”. ELISA

La visione del ilm “UP” mi è molto piaciuta per-

ché parlava di amicizia, Carl e Ellie due ragazzini uniti dalla passione dell’avventura volevano diventare esploratori, nasce amicizia che poi si trasforma in affetto e poi in amore. L’amicizia tra i personaggi del ilm, in particolar modo quando Dag un cane parlante, appena vede Carl dice: “Ti ho appena conosciuto e già ti voglio bene” poi diventeranno amici e si aiuteranno. Mi è piaciuto tanto anche quando si andava a ta-

vola, non solo per il cibo, ma perché stavamo insieme a ridere e a chiacchierare. DEVIS

Tra paura e emozioni le cose belle sono state: quando sono arrivati i genitori e insieme abbia-

mo fatto merenda, nella stanza insieme alle torte le nostre catechiste hanno goniato tantissi-mi palloncini colorati, che noi abbiamo giocato a scoppiarli. I palloncini ricor-

dano il ilm che abbiamo visto, Carl il protagonista decide di partire e rag-

giungere le cascate del Paradiso: la sua fuga è di quelle che non si dimenticano, migliaia di palloncini colorati sollevano la casetta, su in alto verso le nuvole è la realizzazione dei sogni. Divertente il gioco a palla prigioniera con i miei ami-ci. GIUSEPPE

È stato bello condividere questa espe-

rienza con i miei amici di catechismo. Ci siamo conosciuti meglio giocando, pregando e vivendo insieme momenti di amicizia e armonia. RICCARDO

Mi sono divertita molto a stare con il don e i miei compagni, la sera abbiamo

visto un bellissimo ilm. Il giorno seguente dopo colazione abbiamo parlato e fatto delle riles-

sioni sul valore dell’amicizia, elencato le qualità che il nostro amico ideale dovrebbe avere e poi elencare quelle che dovremmo avere noi se vogliamo essere dei veri amici. Insieme abbiamo giocato a calcio, nel pomeriggio il don ci voleva spalmare la nutella sul viso è stato divertente. La sera è stata celebrata la S. Messa, poi abbiamo cenato con i genitori, è stata una bellissima esperienza. LISA

È stata una bella esperienza, perché ho passato del tempo con i miei amici e le catechiste, senza i genitori ho passato una bella notte, però a dire la verità ho sentito qualcuno russare. Il giorno dopo abbiamo giocato a calcio con il risultato cinque a quattro perché gli avversari erano forti. È stato molto divertentissimissimissimissimissimo!!!!! SIMONE L.Clusone è stato bello perché sono stata più tempo con i miei amici. La cosa principale che ab-

biamo vissuto durante il ritiro è stata l’amicizia. CHIARA

Le cose che mi sono piaciute di più sono: mangiare tutti insieme, cibo molto buono!, giocare con il don e la sua nutella, dormire in compagnia e pregare tutti insieme. FRANCESCA

Durante il ritiro a Clusone che ho fatto con i miei amici di catechismo, le mie catechiste e don Vittorio, ho capito che l’amicizia è una cosa importante e preziosa. Signiicative le scene del ilm in particolare quella dove Chars (il protagonista) lascia perdere il passato e aiuta i suoi compagni di avventura. Importante e stato condividere le cose tra amici e passando questi due giorni con loro. MARTINA F.

A Clusone mi sono divertita molto, è stato bello giocare insieme ai miei amici, bello e educativo il ilm. È stato tutto bello e emozionante, non scorderò mai questa bellissima esperienza! AURORA

Il ritiro che abbiamo fatto con don Vittorio e le miei catechiste è stato molto bello, divertente e ricco di emozioni. In modo particolare quando tutti i nostri genitori ci hanno raggiunto e con loro condiviso momenti di rilessione, di preghiera e con la gioia nel cuore abbiamo cenato tutti insieme. MARTINA C.

Clusone 2016 RitiroCosa si può dire? Questo ritiro è stato fantastico sotto tutti gli aspetti: sia quello religioso che relazionale. I ragazzi e noi adulti siamo riusciti a portare a termine il nostro intento, cioè far capire il signiicato di amicizia sotto vari aspetti passando dal gioco al lavoro a gruppi. È stato bello vedere come il concetto veniva appreso in modo chiaro e come erano volenterosi nell’intervenire durante i momenti di condivisione. Penso che tutto ciò abbia creato una visione diversa della parola amicizia e della sua importanza. Cat. ELENA

Clusone 2016 ritiroPerché un ritiro? Un ritiro è un momento speciale, è prendersi del tempo per stare insieme, condividere emozioni, vivere esperienze che aiutano a crescere. La struttura che ci ospita è immersa in un paesaggio naturale bellissimo, ricco di alberi e di pini che profumano l’aria. Respiriamo ad occhi chiusi nel silenzio e per un attimo pensiamo a chi ci ha donato tutto questo, a quanto è grande il Signore e il nostro silenzio diventa preghiera. La giornata scorre con momenti di lavoro fatto di pensieri, rilessioni sul valore dell’amicizia che è il tema del ritiro. Abbiamo evidenziato l’importanza di saper costruire relazioni, saper distinguere i segni di amicizia vera che è fatta di trasparenza, iducia, solidarietà, comprensione. I ragazzi hanno accolto entusiasti il lavoro proposto e penso abbiano capito che c’è un amico grande, importante che è Gesù e che se stiamo vicini a Lui e viviamo quello che ci insegna saremo capaci di vera amicizia. La giornata inisce in armonia con i ragazzi e i loro genitori, un arrivederci alla prossima esperienza che sarà altrettanto stupenda! Cat. Nives

CAMMINIAMO INSIEME 75

È bello stare con gli amici e dalla visione del ilm “UP” abbiamo capito che l’amicizia è la cosa più bella che ci sia e se la vivi bene sa colorare e dare sapore alla vita. STEFANO

È stata una nuova e bellissima esperienza, mi sono divertita quando abbiamo giocato e scherzato e mi è piaciuto il momento di rilessione sull’amicizia dopo la vista del ilm “UP”. ELISA

La visione del ilm “UP” mi è molto piaciuta perché parlava di amicizia, Carl e Ellie due ragazzini uniti dalla passione dell’avventura volevano diventare esploratori, nasce amicizia che poi si trasforma in affetto e poi in amore. L’amicizia tra i personaggi del ilm, in particolar modo quando Dag un cane parlante, appena vede Carl dice: “Ti ho appena conosciuto e già ti voglio bene” poi diventeranno amici e si aiuteranno. Mi è piaciuto tanto anche quando si andava a tavola, non solo per il cibo, ma perché stavamo insieme a ridere e a chiacchierare. DEVIS

Tra paura e emozioni le cose belle sono state: quando sono arrivati i genitori e insieme abbiamo fatto merenda, nella stanza insieme alle torte le nostre catechiste hanno goniato tantissi

mi palloncini colorati, che noi abbiamo giocato a scoppiarli. I palloncini ricordano il ilm che abbiamo visto, Carl il protagonista decide di partire e raggiungere le cascate del Paradiso: la sua fuga è di quelle che non si dimenticano, migliaia di palloncini colorati sollevano la casetta, su in alto verso le nuvole è la realizzazione dei sogni. Divertente il gioco a palla prigioniera con i miei amici. GIUSEPPE

È stato bello condividere questa esperienza con i miei amici di catechismo. Ci siamo conosciuti meglio giocando, pregando e vivendo insieme momenti di amicizia e armonia. RICCARDO

Mi sono divertita molto a stare con il don e i miei compagni, la sera abbiamo

visto un bellissimo ilm. Il giorno seguente dopo colazione abbiamo parlato e fatto delle rilessioni sul valore dell’amicizia, elencato le qualità che il nostro amico ideale dovrebbe avere e poi elencare quelle che dovremmo avere noi se vogliamo essere dei veri amici. Insieme abbiamo giocato a calcio, nel pomeriggio il don ci voleva spalmare la nutella sul viso è stato divertente. La sera è stata celebrata la S. Messa, poi abbiamo cenato con i genitori, è stata una bellissima esperienza. LISA

È stata una bella esperienza, perché ho passato del tempo con i miei amici e le catechiste, senza i genitori ho passato una bella notte, però a dire la verità ho sentito qualcuno russare. Il giorno dopo abbiamo giocato a calcio con il risultato cinque a quattro perché gli avversari erano forti. È stato molto divertentissimissimissimissimissimo!!!!! SIMONE L.Clusone è stato bello perché sono stata più tempo con i miei amici. La cosa principale che abbiamo vissuto durante il ritiro è stata l’amicizia. CHIARA

Le cose che mi sono piaciute di più sono: mangiare tutti insieme, cibo molto buono!, giocare con il don e la sua nutella, dormire in compagnia e pregare tutti insieme. FRANCESCA

Durante il ritiro a Clusone che ho fatto con i miei amici di catechismo, le mie catechiste e don Vittorio, ho capito che l’amicizia è una cosa importante e preziosa. Signiicative le scene del ilm in particolare quella dove Chars (il protagonista) lascia perdere il passato e aiuta i suoi compagni di avventura. Importante e stato condividere le cose tra amici e passando questi due giorni con loro. MARTINA F.

A Clusone mi sono divertita molto, è stato bello giocare insieme ai miei amici, bello e educa-

tivo il ilm. È stato tutto bello e emozionante, non scorderò mai questa bellissima esperienza! AURORA

Il ritiro che abbiamo fatto con don Vittorio e le miei catechiste è stato molto bello, diverten-

te e ricco di emozioni. In modo particolare quando tutti i nostri genitori ci hanno raggiunto e con loro condiviso momenti di rilessione, di preghiera e con la gioia nel cuore abbiamo cenato tutti insieme. MARTINA C.

Clusone 2016 RitiroCosa si può dire? Questo ritiro è stato fantastico sotto tutti gli aspetti: sia quello religioso che relazionale. I ragazzi e noi adulti siamo riusciti a portare a termine il nostro intento, cioè far capire il signiicato di amicizia sotto vari aspetti passando dal gioco al lavoro a gruppi. È stato bello vedere come il concetto veniva appreso in modo chiaro e come erano volenterosi nell’intervenire durante i momenti di condivisione. Penso che tutto ciò abbia creato una visione diversa della parola amicizia e della sua importanza. Cat. ELENA

Clusone 2016 ritiroPerché un ritiro? Un ritiro è un momento speciale, è prendersi del tempo per stare insieme, condividere emozioni, vivere esperienze che aiutano a crescere. La struttura che ci ospita è immersa in un paesaggio naturale bellissimo, ricco di alberi e di pini che profumano l’aria. Respiriamo ad occhi chiusi nel silenzio e per un attimo pensiamo a chi ci ha donato tutto que-

sto, a quanto è grande il Signore e il nostro silenzio diventa preghiera. La giornata scorre con momenti di lavoro fatto di pensieri, rilessioni sul valore dell’amicizia che è il tema del ritiro. Abbiamo evidenziato l’importanza di saper costruire relazioni, saper distinguere i segni di amicizia vera che è fatta di trasparenza, iducia, solidarietà, comprensione. I ragazzi hanno accolto entusiasti il lavoro proposto e penso abbiano capi-to che c’è un amico grande, importante che è Gesù e che se stiamo vicini a Lui e viviamo quello che ci insegna saremo capaci di vera ami-cizia. La giornata inisce in armonia con i ragazzi e i loro genitori, un arrive-

derci alla prossima esperienza che sarà altrettanto stupen-

da! Cat. Nives

CAMMINIAMO INSIEME76

psichiatrici. L’imprenditore ha invogliato ogni componente della cooperativa ad imparare un mestiere per sottrarsi alle elemosine dell’assistenza, inventando per ciascuno un ruolo adatto alle proprie capacità. Così ognuno si è sentito realizzato nel contesto del gruppo portando avanti un’attività di lavoro gratiicante moralmente ed economicamente. Questo ci insegna che ogni persona se si impegna si può realizzare come singolo e nel gruppo attraverso l’aiuto reciproco. La sera del penultimo giorno si è organizzato un grande gioco a squadre. Il gioco consisteva nel rispondere a varie domande di cultura generale su diversi argomenti. Domenica 3 gennaio ultimo giorno, dopo la colazione, siamo partiti con l’autobus per il rientro a casa. Abbiamo fatto una sosta a Lovere a mezzogiorno. Dopo la passeggiata lungo il lago e la foto di gruppo siamo ripartiti per Paladina dove siamo giunti a metà pomeriggio. Ringraziamo Don Vittorio e tutti gli animatori per la bella esperienza vissuta tutti insieme. Grazie

Gruppo AdolescentiUscita a Ponte di Legno

Giovedì 31 Dicembre 2015 partenza con l’autobus, destinazione una località del tu-

rismo invernale a Ponte di Legno.La Casa Alpina Pavese S. Maria al Tona-

le si trova sulla SS 42 a 5 km sopra Pon-

te di Legno e ad altrettanti km dal Passo del Tonale. Siamo arrivati in mattinata e dopo esserci sistemati nelle stanze abbia-

mo ammirato le bellezze della natura che ci circondavano. Montagne purtroppo senza neve, il paesaggio bellissimo lo stesso con tanti pini che sovrastavano i pendii della montagna. Davanti a noi c’era una stazione di transito per gli sciatori che arrivavano da Ponte di legno e che poi proseguivano ino al passo del Tonale.Oltre al divertimento assicurato, questi giorni sono stati utili per conoscerci me-

glio, infatti non sempre le amicizie sono autentiche e vere. In questi giorni è emersa la nostra personalità e quella dei ragazzi/e.Gli animatori hanno organizzato al pomeriggio partite di calcetto e pallavolo presso la palestra di Ponte di Legno, i ragazzi si sono divertiti. L’ultimo dell’anno, dopo la S. Messa di ringrazia-

mento, abbiamo partecipato al cenone preparato dai bravissimi cuochi della Casa Alpina S. Maria. Poi gli animatori hanno organizzato nel salone balli, giochi, ed il lancio di coriandoli. Con un buon brindisi analcolico di mezzanotte abbiamo festeggiato l’arrivo del 2016.

Il giorno successivo, primo giorno dell’anno, a tarda mattina, abbiamo afidato al Signore nella S.Messa l’inizio del nuovo anno e al po-

meriggio siamo andati al Passo del Tonale a pattinare o a fare una passeggiata ammiran-

do le bellezze della natura, approittando del sole che baciava le nostre pallide guance. Nel salire si potevano osservare gli sciatori sulle piste i n n e v a t e artificial-

mente. Le montagne circostanti avevano poca neve. Arrivati al passo abbiamo occupato il pattinaggio. I ragazzi e alcu-

ni animatori si sono attrezzati di pattini e via sul ghiaccio. Questo sport si pratica stando attenti a stare in equilibrio usando una certa tecnica con i pattini ai piedi. Sembra facile ma ci vuole impegno ed esercizio, come in tut-

te le attività. Il giorno successivo, dopo il gioco in palestra a Ponte di Legno e la cena, abbiamo visto un ilm dal titolo: “Si può fare” con Claudio Bisio; parlava di un imprenditore che si trovava a dirigere una cooperativa di ex pazienti di ospedali

CAMMINIAMO INSIEME 77

psichiatrici. L’imprenditore ha invogliato ogni componente della cooperativa ad imparare un mestiere per sottrarsi alle elemosine dell’assistenza, inventando per ciascuno un ruolo adatto alle proprie capacità. Così ognuno si è sentito realizzato nel contesto del gruppo portando avanti un’attività di lavoro gratiicante moralmente ed economicamente. Questo ci insegna che ogni persona se si impegna si può realizzare come singolo e nel gruppo attraverso l’aiuto reciproco. La sera del penultimo giorno si è organizzato un grande gioco a squadre. Il gioco consisteva nel rispondere a varie domande di cultura generale su diversi ar-

gomenti. Domenica 3 gennaio ultimo giorno, dopo la colazione, siamo partiti con l’autobus per il rientro a casa. Abbiamo fatto una sosta a Lovere a mezzogiorno. Dopo la passeggiata lungo il lago e la foto di gruppo siamo ripartiti per Paladina dove siamo giunti a metà pomeriggio. Ringraziamo Don Vittorio e tutti gli animatori per la bella esperienza vissuta tutti insieme. Grazie

Giovedì 31 Dicembre 2015 partenza con l’autobus, destinazione una località del turismo invernale a Ponte di Legno.La Casa Alpina Pavese S. Maria al Tonale si trova sulla SS 42 a 5 km sopra Ponte di Legno e ad altrettanti km dal Passo del Tonale. Siamo arrivati in mattinata e dopo esserci sistemati nelle stanze abbiamo ammirato le bellezze della natura che ci circondavano. Montagne purtroppo senza neve, il paesaggio bellissimo lo stesso con tanti pini che sovrastavano i pendii della montagna. Davanti a noi c’era una stazione di transito per gli sciatori che arrivavano da Ponte di legno e che poi proseguivano ino al passo del Tonale.Oltre al divertimento assicurato, questi giorni sono stati utili per conoscerci meglio, infatti non sempre le amicizie sono autentiche e vere. In questi giorni è emersa la nostra personalità e quella dei ragazzi/e.Gli animatori hanno organizzato al pomeriggio partite di calcetto e pallavolo presso la palestra di Ponte di Legno, i ragazzi si sono divertiti. L’ultimo dell’anno, dopo la S. Messa di ringraziamento, abbiamo partecipato al cenone preparato dai bravissimi cuochi della Casa Alpina S. Maria. Poi gli animatori hanno organizzato nel salone balli, giochi, ed il lancio di coriandoli. Con un buon brindisi analcolico di mezzanotte abbiamo festeggiato l’arrivo del 2016.

Il giorno successivo, primo giorno dell’anno, a tarda mattina, abbiamo afidato al Signore nella S.Messa l’inizio del nuovo anno e al pomeriggio siamo andati al Passo del Tonale a pattinare o a fare una passeggiata ammirando le bellezze della natura, approittando del sole che baciava le nostre pallide guance. Nel salire si potevano osservare gli sciatori sulle piste i n n e v a t e artificial

mente. Le montagne circostanti avevano poca neve. Arrivati al passo abbiamo occupato il pattinaggio. I ragazzi e alcuni animatori si sono attrezzati di pattini e via sul ghiaccio. Questo sport si pratica stando attenti a stare in equilibrio usando una certa tecnica con i pattini ai piedi. Sembra facile ma ci vuole impegno ed esercizio, come in tutte le attività. Il giorno successivo, dopo il gioco in palestra a Ponte di Legno e la cena, abbiamo visto un ilm dal titolo: “Si può fare” con Claudio Bisio; parlava di un imprenditore che si trovava a dirigere una cooperativa di ex pazienti di ospedali

CAMMINIAMO INSIEME78

USCITA RAGAZZI 1a MEDIACittà Alta

Domenica noi ragazzi di 1a media abbiamo vissuto una giornata bella in buona compa-

gnia. Grazie Don Vittorio perché ci ha ar-

ricchito le conoscenze religiose sulla cri-stianità.

Che c’è di più piacevole che andare sotto un cielo sereno, con la mia famiglia ed in-

sieme ad una bella compagnia di amici … E’ stata una domenica indimenticabile … Gra-

zie a Don Vittorio e alle mie catechiste per averci reso partecipi di questa giornata così speciale!...

L’uscita in Città Alta ci è piaciuta moltissi-mo. Abbiamo imparato moltissime cose e ci siamo divertiti tutti in compagnia.

E’ stata una bella giornata. Mi sono diverti-to con i miei amici e con il Don. Il mio posto preferito è stato il Seminario dove ho impa-

rato molte cose.

A me è piaciuto molto il Seminario e la chiesa dove sotto c’erano le tombe dei vescovi. Quando sono passato attraverso la Porta Santa mi ha fatto pensare che non bisogna pen-

sare solo a se stessi ma anche agli altri.

Secondo me questa uscita è stata molto bella perché in compagnia abbiamo scoperto l’immenso amore di Dio per noi che ci comunica anche con il creato.

E’ stata una giornata magniica perché siamo stati con i nostri famigliari e i nostri amici. Abbiamo pre-

gato per le vie di Città Alta e il Don ci ha spiegato cose che non sapevo. Ci ha portato a mangiare il ge-

lato e poi a visitare il Seminario … ed inine abbiamo mangiato una pizza tutti insieme. E’ stata una giorna-

ta da non dimenticare.

Il pomeriggio/ritiro che abbiamo passato in Città Alta è stato molto interessante, abbiamo visto cose molto interessanti, abbiamo visto cose molto belle della storia della nostra città, che il nostro Don ci ha spiegato il loro signiicato. Abbiamo camminato mol-to tutti insieme come una grande famiglia. E’ stata una giornata fantastica.

CAMMINIAMO INSIEME 79

Domenica noi ragazzi di 1a media abbiamo vissuto una giornata bella in buona compagnia. Grazie Don Vittorio perché ci ha arricchito le conoscenze religiose sulla cristianità.

Che c’è di più piacevole che andare sotto un cielo sereno, con la mia famiglia ed insieme ad una bella compagnia di amici … E’ stata una domenica indimenticabile … Grazie a Don Vittorio e alle mie catechiste per averci reso partecipi di questa giornata così speciale!...

L’uscita in Città Alta ci è piaciuta moltissimo. Abbiamo imparato moltissime cose e ci siamo divertiti tutti in compagnia.

E’ stata una bella giornata. Mi sono divertito con i miei amici e con il Don. Il mio posto preferito è stato il Seminario dove ho imparato molte cose.

A me è piaciuto molto il Seminario e la chiesa dove sotto c’erano le tombe dei vescovi. Quando sono passato attraverso la Porta Santa mi ha fatto pensare che non bisogna pensare solo a se stessi ma anche agli altri.

Secondo me questa uscita è stata molto bella perché in compagnia abbiamo scoperto l’immenso amore di Dio per noi che ci comunica anche con il creato.

E’ stata una giornata magniica perché siamo stati con i nostri famigliari e i nostri amici. Abbiamo pregato per le vie di Città Alta e il Don ci ha spiegato cose che non sapevo. Ci ha portato a mangiare il gelato e poi a visitare il Seminario … ed inine abbiamo mangiato una pizza tutti insieme. E’ stata una giornata da non dimenticare.

Il pomeriggio/ritiro che abbiamo passato in Città Alta è stato molto interessante, abbiamo visto cose molto interessanti, abbiamo visto cose molto belle della storia della nostra città, che il nostro Don ci ha spiegato il loro signiicato. Abbiamo camminato molto tutti insieme come una grande famiglia. E’ stata una giornata fantastica.

CAMMINIAMO INSIEME80

PERCORSO FIDANZATI 2016

E’ da pochi giorni cominciato il nuovo anno e Lunedì 11 Gennaio inizia anche il nostro percorso di coppia. Io e il mio compagno, decidiamo di cogliere quest’occasione per raggiungere l’oratorio a piedi, godendoci una passeggiata dove poter parlare e prenderci il nostro tempo, quello che, per i mille impegni di ognuno, fatichiamo a dedicarci. Non abbiamo particolari aspettative : il desiderio di condividere qualcosa di profondo e spirituale ci appare già un grande dono.Arrivati in oratorio ciò che ci colpisce è il gran numero di coppie presenti: siamo più di venti e questo stupisce anche Don Vittorio e gli organizzatori che dicono di non avere una partecipa-

zione così ricca da anni. L’essere in molti, all’inizio, si rivela uno scoglio nella comunicazione, ma incontro dopo incontro, la timidezza lascia spazio ad un confronto costruttivo fatto di dialogo e di ascolto. Di grande aiuto è il supporto dei nostri “tutor” Angelo e Graziella, Marco e Anto-

nella, Oliviero. Il percorso proposto ci sembra ben equilibrato nelle tematiche affrontate: ci sono interventi che favoriscono la nostra rilessione interiore come quello di Don Vittorio sul Sacramento del matrimonio e altri che ci regalano nuovi punti di vista come le testimonianze sui temi dell’afido e della separazione. Alcune esperienze ci siorano appena, altre ci toccano dentro, ma nessuna ci lascia indifferenti, soprattutto per chi, come noi, vuole trasformare l’innamoramento di una giovane coppia nell’Amore di una famiglia cristiana.Particolarmente signiicativa è la Veglia con il Vicario di Bergamo, Mons. Pelucchi, alla quale sono invitati a partecipare tutti i idanzati della diocesi. La rilessione sull’accogliere l’altro e sul “farsi dono” per l’altro passa dalla condivisione di parole che fanno parte del nostro quotidiano come “Posso?” , “Grazie”, “Scusa”. Parole così semplici di cui spesso dimentichia-

mo il valore, ma che racchiudono il segreto del vivere insieme. Durante la celebrazione, su un semplice foglio, ci scambiamo un messaggio d’amore, per vivere questo momento di preghiera non solo in ascolto, ma con partecipazione attiva. Che emozione alzare lo sguardo e vedere il coinvolgimento di ognuno, anche di chi fatica ad esprimere un semplice “ Ti voglio bene”. Quanto sono importanti ed essenziali le “cose semplici”. L’Amore non si manifesta solo nelle grandi occasioni, l’Amore è ogni istante, è sorridere col cuore scegliendosi quotidianamente, è rendere ogni giorno il più importante della nostra vita. Le settimane passano velocemente e in un sofio siamo già al termine di questo cammino.Il nostro percorso dei idanzati si completa Sabato 12 Marzo con il ritiro in oratorio guidati da Don Angelo, al termine del quale celebriamo la S. Messa. Con un lucchetto appeso alla Porta Santa testimoniamo il nostro Amore di fronte alla comunità. Dopo la celebrazione condividiamo una pizza tutti insieme e ci scambiamo auguri, risate, e semplici sorrisi, con la promessa di creare nuove occasioni per rivederci. Di questa esperienza conserviamo la scelta profonda di vivere un matrimonio cristiano, la riscoperta dei valori che fondano il nostro stare insieme, l’importanza di prendersi il proprio tempo senza farsi sopraf-

fare dagli impegni di ogni giorno.Concludiamo, inine, con un “GRAZIE!” a Don Vit-

torio e ai nostri “tutor” che ci hanno fatto senti-re come a casa anche con un semplice caffè bevuto in compagnia e a tutte le coppie partecipanti per-

ché con il loro impegno, la serietà e la curiosità han-

no reso indimenticabile questa esperienza che ha arricchito noi e il nostro stare insieme.

Un percorso lungo una vita

CAMMINIAMO INSIEME 81

Via Crucis del venerdì SantoSTAZIONE 1 (donna che combatte contro il cancro)STAZIONE 2 (ragazzo in coma – stato vegetativo persistente)STAZIONE 3 (bambino disabile) STAZIONE 4 (sordomuto) STAZIONE 5 (tossicodipendente)STAZIONE 6 (uno sguardo di speranza: dalla morte alla vita per risorgere con Cristo)

Mandato nuovi chierichetti

E’ da pochi giorni cominciato il nuovo anno e Lunedì 11 Gennaio inizia anche il nostro percorso di coppia. Io e il mio compagno, decidiamo di cogliere quest’occasione per raggiungere l’oratorio a piedi, godendoci una passeggiata dove poter parlare e prenderci il nostro tempo, quello che, per i mille impegni di ognuno, fatichiamo a dedicarci. Non abbiamo particolari aspettative : il desiderio di condividere qualcosa di profondo e spirituale ci appare già un grande dono.Arrivati in oratorio ciò che ci colpisce è il gran numero di coppie presenti: siamo più di venti e questo stupisce anche Don Vittorio e gli organizzatori che dicono di non avere una partecipazione così ricca da anni. L’essere in molti, all’inizio, si rivela uno scoglio nella comunicazione, ma incontro dopo incontro, la timidezza lascia spazio ad un confronto costruttivo fatto di dialogo e di ascolto. Di grande aiuto è il supporto dei nostri “tutor” Angelo e Graziella, Marco e Antonella, Oliviero. Il percorso proposto ci sembra ben equilibrato nelle tematiche affrontate: ci sono interventi che favoriscono la nostra rilessione interiore come quello di Don Vittorio sul Sacramento del matrimonio e altri che ci regalano nuovi punti di vista come le testimonianze sui temi dell’afido e della separazione. Alcune esperienze ci siorano appena, altre ci toccano dentro, ma nessuna ci lascia indifferenti, soprattutto per chi, come noi, vuole trasformare l’innamoramento di una giovane coppia nell’Amore di una famiglia cristiana.Particolarmente signiicativa è la Veglia con il Vicario di Bergamo, Mons. Pelucchi, alla quale sono invitati a partecipare tutti i idanzati della diocesi. La rilessione sull’accogliere l’altro e sul “farsi dono” per l’altro passa dalla condivisione di parole che fanno parte del nostro quotidiano come “Posso?” , “Grazie”, “Scusa”. Parole così semplici di cui spesso dimentichiamo il valore, ma che racchiudono il segreto del vivere insieme. Durante la celebrazione, su un semplice foglio, ci scambiamo un messaggio d’amore, per vivere questo momento di preghiera non solo in ascolto, ma con partecipazione attiva. Che emozione alzare lo sguardo e vedere il coinvolgimento di ognuno, anche di chi fatica ad esprimere un semplice “ Ti voglio bene”. Quanto sono importanti ed essenziali le “cose semplici”. L’Amore non si manifesta solo nelle grandi occasioni, l’Amore è ogni istante, è sorridere col cuore scegliendosi quotidianamente, è rendere ogni giorno il più importante della nostra vita. Le settimane passano velocemente e in un sofio siamo già al termine di questo cammino.Il nostro percorso dei idanzati si completa Sabato 12 Marzo con il ritiro in oratorio guidati da Don Angelo, al termine del quale celebriamo la S. Messa. Con un lucchetto appeso alla Porta Santa testimoniamo il nostro Amore di fronte alla comunità. Dopo la celebrazione condividiamo una pizza tutti insieme e ci scambiamo auguri, risate, e semplici sorrisi, con la promessa di creare nuove occasioni per rivederci. Di questa esperienza conserviamo la scelta profonda di vivere un matrimonio cristiano, la riscoperta dei valori che fondano il nostro stare insieme, l’importanza di prendersi il proprio tempo senza farsi sopraffare dagli impegni di ogni giorno.Concludiamo, inine, con un “GRAZIE!” a Don Vittorio e ai nostri “tutor” che ci hanno fatto sentire come a casa anche con un semplice caffè bevuto in compagnia e a tutte le coppie partecipanti perché con il loro impegno, la serietà e la curiosità hanno reso indimenticabile questa esperienza che ha arricchito noi e il nostro stare insieme.

a

82

Anagrafe parrocchialeRINATI IN CRISTO CON IL SACRAMENTO DEL BATTESIMO

LUCAS BRUNO BENDOTTIbattezzato il 22 novembre 2015

ANDREA MICHELETTI

ADELE BERTOLAbattezzata il

25 ottobre 2015

Sacramenti - BATTESIMITHOMAS PERSONENI

DAVIDE ROTAbattezzato il 25 ottobre 2015

CAMMINIAMO INSIEME

PERLA EDOARDO

83CAMMINIAMO INSIEME

LUCAS BRUNO BENDOTTIANDREA MICHELETTI battezzato il 10 gennaio 2016

ADELE BERTOLA

THOMAS PERSONENIbattezzato il 20 dicembre 2015

DAVIDE ROTA

PERLA EDOARDObattezzato il

20 dicembre 2015

84 CAMMINIAMO INSIEME

Anagrafe parrocchialeRINATI IN CRISTO CON IL SACRAMENTO DEL BATTESIMO

Sacramenti - BATTESIMI

DANIEL TESTAbattezzato il 10 gennaio 2016

LORENZO CORDELLA

RAFFAELE GRANATA

battezzato il 21 febbraio 2016

PANZA EMMAbattezzata il 13 marzo 2016

ZENAB E JOICE MARIAM SIKIRU

DANIEL TESTA

LORENZO CORDELLAbattezzato il 13 marzo 2016

GRANATA

PANZA EMMA

ZENAB E JOICE MARIAM SIKIRU battezzate il 26 marzo 2016

CAMMINIAMO INSIEME86

Ci hanno lasciato...per la casa del Padre

MAZZOLA FELICEdi anni 8604/11/2015

TRABUCCHI GIOVANNI di anni 76

06/1/2016

BUSSINI MARIA di anni 8726/12/2015

MANZONI MARIAdi anni 7230/11/2015

PEDRINELLI CARLINOdi anni 8513/2/2016

BENAGLIA LUIGIdi anni 5806/1/2016

TOGNI ALESSANDROdi anni 7314/11/2015

RONCALLI GINOdi anni 88 30/10/2015

SCARPELLINI GIUSEPPE di anni 90

10/1/2016

TURANI ROCCOdi anni 9815/1/2016

CAMMINIAMO INSIEME

VIGANO' MARIAdi anni 6407/09/2015

CAMMINIAMO INSIEME 87

BONALUMI GIULIANOdi anni 8002/03/2016

AGOSTINELLI ALESSANDRO di anni 7904/03/2016

CATTANEO ROSAdi anni 8806/03/2016

DADDA ELISABETTAdi anni 7207/03/2016

CONSONNI PALMAdi anni 9322/03/2016

ROTTOLI LUCIAdi anni 8909/04/2016

DOSSI FRANCESCOdi anni 8922/03/2016

DON MONS. CORNELIO LOCATELLIdi anni 94

11/03/2016

SUOR GIAN ROBERTAdi anni 79

04/03/2016

BRIOSCHI ANGELAdi anni 8522/2/2016

IL SIGNORE È VERAMENTE RISORTO!Credo nella risurrezione

e la vita eterna

Andiamo incontro al Signore