CAMBIAMO STILE DI VITA… È IL MOMENTO! · L CAMINETTO E LA STUFA . 13 . I. ... L'installazione di...

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CAMBIAMO STILE DI VITA… È IL MOMENTO! COME RISPARMIARE ENERGIA NELLECONOMIA DOMESTICA E NEI TRASPORTI A cura di Gabriele Trioschi Docente di Chimica nella Scuola Superiore di II Grado e di Educazione Tecnica nella Scuola Superiore di I Grado della Provincia di Ravenna Con il contributo di Fondazione Giovanni Dalle Fabbriche - Faenza (RA) BCC Credito Cooperativo Ravennate e Imolese Con la collaborazione di Istituo Tecnico per Periti Aziendali I.T.P.A.C.L.E. “Sacro Cuore” – Lugo (RA) Istituto Comprensivo “F.Baracca” – Lugo (RA) 1

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CAMBIAMO STILE DI VITA… È IL MOMENTO!

COME RISPARMIARE ENERGIA NELL’ECONOMIA DOMESTICA E NEI TRASPORTI

A cura di Gabriele Trioschi

Docente di Chimica nella Scuola Superiore di II Grado e di Educazione Tecnica nella Scuola Superiore di I Grado della Provincia di Ravenna

Con il contributo di

Fondazione Giovanni Dalle Fabbriche - Faenza (RA)

BCC Credito Cooperativo Ravennate e Imolese

Con la collaborazione di

Istituo Tecnico per Periti Aziendali I.T.P.A.C.L.E. “Sacro Cuore” – Lugo (RA)

Istituto Comprensivo “F.Baracca” – Lugo (RA)

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INDICE: PREMESSA 3

LE DISPERSIONI DI CALORE ATTRAVERSO LE FINESTRE 4

METTIAMO IL CAPPOTTO ALLA CASA! 5

PARLIAMO UN PO’ DI CALDAIE… 7

RISTRUTTURARE CASA? QUALCHE MIGLIORIA ESISTE 8

I PANNELLI SOLARI PER L'ACQUA CALDA 11

IL CAMINETTO E LA STUFA 13

I PANNELLI FOTOVOLTAICI O ELETTROSOLARI 15

CASE PASSIVE? UN BUON COMPROMESSO… 18

INTANTO PER INIZIARE SPEGNIAMO LO STAND-BY! 20

QUANTO SPRECO PER UN PO' D'ACQUA CALDA 21

NON PERDIAMO DI VISTA L'ETICHETTA ENERGETICA 23

CHE BELLA INVENZIONE LE LAMPADINE A BASSO CONSUMO! 26

FRESCO D’ESTATE? NON ESISTONO SOLO CONDIZIONATORI D'ARIA 28

QUAL È L’AUTO IDEALE? 29

L’AUTO È DA ELIMINARE 33

IL SUV, L’AUTO DEI “PATACCA”! 35

W LA BICICLETTA! 38

RIFERIMENTI 42

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PREMESSA La domanda mondiale di energia ha raggiunto gli 11 miliardi di tonnellate equivalenti di petrolio all’anno. Secondo il World Energy Outlook 2007 dell’IEA – International Energy Agency, nei prossimi 20 anni la domanda mondiale di energia aumenterà di oltre il 50 % superando abbondantemente, nel 2030, i 17 miliardi di ton/anno. Questo incremento dipenderà in gran parte dall’accellerata crescita economica di numerosi paesi emergenti, e in particolare di Cina e India. La nuova domanda sarà coperta in prevalenza dai combustibili fossili, cioè da petrolio, carbone e gas. Sul fronte dell’ambiente e dei cambiamenti climatici, tutto ciò comporterà un aumento del 57% delle emissioni di CO2 con tutte le conseguenze negative che ne comporta. Per far fronte a questo quadro, i Paesi industrializzati stanno sviluppando politiche energetiche che si basano su tre azioni chiave:

1. diversificazione delle fonti con incremento delle fonti rinnovabili (in particolare idroelettrico, solare, eolico, biomasse) e di quelle alternative ai combustibili fossili come, per esempio, il nucleare.

2. sviluppo di nuove tecnologie in grado di limitare le emissioni in atmosfera dei combustibili fossili che, ancora per qualche decennio, non potranno essere sostituiti da quote davvero significative di fonti rinnovabili.

3. diffusione dell’efficienza e del risparmio energetico in tutti i suoi settori. È in quest’ultimo punto che ogni singolo cittadino potrebbe fare realmente qualcosa. Per salvaguardare l’ambiente ma anche il nostro portafoglio dalle sempre più onerose bollette è fondamentale non solo conoscere l’impatto del nostro stile di vita ma anche imparare a vivere e consumare in maniera più efficiente ed eco-compatibile. Tutti noi possiamo influire soprattutto sui consumi energetici nel settore domestico e dei trasporti, con possibilità di risparmio comprese, nel loro complesso, tra il 15 ed il 40%.Il problema energia-ambiente è una faccenda molto seria, che ci sono tanti motivi per risparmiare energia e tanti obiettivi da raggiungere, che conviene imparare, e presto, ad economizzare l'energia prima che le circostanze (negative) ci costringano a farlo. Scopo di questa pubblicazione è trattare una serie di suggerimenti per risparmiare energia: alcuni di questi si possono facilmente mettere in pratica, da subito, mentre altri richiedono alcuni investimenti.Si è quindi scelto di sviluppare nel dettaglio la voce "risparmio energetico nell'economia domestica" e "risparmio energetico nei trasporti", proprio perché sono i settori dove maggiore può essere il contributo immediato del comune cittadino.

Gabriele Trioschi

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LE DISPERSIONI DI CALORE ATTRAVERSO LE FINESTRE La quantità di calore offerta dall'impianto di riscaldamento in inverno non serve solo per portare a temperatura ottimale (20 gradi) i locali abitati, ma deve anche compensare il regolare ricambio d'aria ogni volta che si aprono le finestre. Il ricambio è necessario per far uscire odori e inquinanti (spesso maggiori di quelli presenti nell'aria esterna) e per evitare muffe e condense, tanto che la più recente normativa di igiene e sicurezza prevede un ricambio d'aria pari a 0,25 volumi /ora e la presenza nelle cucine di aperture per consentire l'apporto di ossigeno necessario a compensare quello usato nella combustione dei fornelli a gas (si tratta in genere di un buco circolare sulla parete esterna). Il calore però esce dall'abitazione anche attraverso le finestre o le porte chiuse, creando fastidiosi spifferi e differenze di temperature rilevanti all'interno dello stesso locale. Isolare porte e finestre e evitare le dispersioni è quindi un modo semplice e poco costoso per ridurre sprechi e spese di riscaldamento. L'installazione di doppi vetri fa da barriera al freddo che si prova vicino alle finestre anche se la temperatura dell'ambiente è elevata. Senza trascurare che la sostituzione di vecchi infissi può anche essere utile per ridurre il rumore proveniente dall'esterno. Attenzione poi all'orientamento delle finestre: una abitazione ben orientata ha gran parte delle finestre a sud, magari con tettoie, schermi o porticati, per far entrare il sole basso dell'inverno e ricevere ombra d'estate. Quelle rivolte a nord debbono essere più piccole e vanno meglio isolate. Al di là delle dispersioni, cambiare aria in casa è necessario per espellere inquinanti chimici dannosi, vapori e odori molesti: per un ricambio totale bastano pochi minuti con tutte le finestre di casa aperte. Peccato che ogni volta che lo si faccia si butti un litro di gasolio al vento. Come rimediare allora? Nell'esperienza di certificazione edilizia a Bolzano, in Austria e in Svizzera, grandi risultati in termini di soddisfazione degli abitanti sono stati raggiunti dai sistemi di ventilazione meccanica controllata dell'aria, che permettono di avere in ogni momento della giornata un adeguato ricambio d'aria con perdite di calore minime. Negli impianti più semplici, l'aria pulita viene immessa nei locali a bassa produzione di inquinanti, come soggiorni e camere da letto, attraverso bocchette insonorizzate montate sui cassonetti o sugli infissi: da qui passa poi ai locali dove più alta è la produzione di inquinanti, come la cucina e i bagni, richiamata dalla depressione creata da ventilatori che la espellono all'esterno. Negli impianti più complessi, condotte parallele permettono il ricambio d'aria nei diversi ambienti, consentendo lo scambio termico tra l'aria esterna e quella interna. In questo modo, in inverno, l'aria interna viziata ma calda, prima di essere espulsa, cede calore all'aria entrante pura. In estate, al contrario, l'aria calda esterna si

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raffresca prima di entrare in casa. Questo sistema, affiancato da sistemi di riscaldamento a pannelli radianti, assicura un costante ricambio d'aria, l'espulsione degli inquinanti che si formano in casa, comfort termico e risparmi energetici notevoli.

Consigli

1. Eliminare le infiltrazioni, apponendo guarnizioni di gomma o di metallo (in vendita in tutti i negozi di fai da te e ferramenta) oppure impiegando il silicone. Costo indicativo: massimo 10 euro a finestra.

2. Applicare tendaggi pesanti alle finestre e provvedere a chiuderli di notte. Attenzione a non farlo davanti ai termosifoni, spesso inopportunamente sistemati sotto le stesse finestre dove il muro è più sottile! Costo indicativo: variabile, poche decine di euro a finestra.

3. Controllare le dispersioni del cassonetto delle tapparelle e, se c'è abbastanza spazio (bastano 2 cm), porvi rimedio coprendo le fessure e l'involucro con materiale isolante. Costo indicativo: 10 euro a finestra.

4. Nel caso la finestra abbia un solo vetro e l'infisso lo permetta, sostituire il primo con una vetrocamera, cioè un doppio vetro sigillato realizzato da un vetraio, in modo da impedire la formazione di condensa tra i due strati. Ci sono anche vetrocamere termoisolanti (gas inerte) e con tripli vetri (più care). Costo indicativo: 100 euro a m2.

5. Se è necessario, sostituire i vecchi infissi con nuovi, isolanti. Costo indicativo: da 155 a 320 euro a m2.

6. Nel caso di abitazioni nuove o ristrutturazioni radicali, applicare sistemi di ventilazione controllata con recupero di energia. Costo contenuto sul nuovo.

METTIAMO IL CAPPOTTO ALLA CASA! Ridurre le dispersioni verso le pareti o il tetto della casa è certamente una spesa. Ma è anche un investimento che si tramuta in un risparmio immediato sulle spese di riscaldamento, in un maggior comfort di vita e, in futuro, in una valorizzazione dell'immobile. In tutta l'Unione Europea è in vigore la certificazione edilizia, obbligatoria per legge anche in Italia sulle nuove costruzioni, per le ristrutturazioni e la compravendita, dal 2009 anche per i singoli appartamenti. Molte regioni, province e comuni hanno varato, o si accingono a varare, nuovi regolamenti edilizi per rendere più confortevoli le case nuove o ristrutturate, evitando gli sprechi. Pareti interne. Si ottiene l'effetto di riscaldare più rapidamente il locale e di eliminare muffe e condense, anche se a discapito dello spazio disponibile. L’isolamento dall’interno è consigliabile soprattutto nelle abitazioni che hanno un utilizzo saltuario come le seconde case o le case per le vacanze. Pareti esterne. Un isolamento ben fatto dovrebbe essere applicato all'esterno, in modo da evitare “ponti termici” (cioè dei percorsi di trasmissione del calore) tra un piano e l'altro, dove non è possibile applicare lo strato isolante all'interno. Si tenga

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presente che, secondo alcune normative regionali, lo strato di isolante (sino a 15 cm) non può essere considerato aumento di volumetria esterna per l'ottemperanza dei vincoli urbanistici. Un’alternativa interessante, ma più cara, è la “parete ventilata” (rivestimento esterno alla parete con intercapedine areata): in estate il sole non batte sulla parete interna, che si conserva più fresca. Coperture. I pavimenti posti al di sopra di porticati o di garage e piani non riscaldati possono essere mantenuti caldi solo applicando pannelli isolanti sotto la pavimentazione, oppure ricoprendo il soffitto dei locali non riscaldati. L'isolamento dei

tetti o dei solai è in genere l'intervento più conveniente, perché il calore si disperde verso l'alto. Convenienza che aumenta se l'intervento viene effettuato su una copertura che si è degradata negli anni. L'operazione più semplice consiste nella copertura isolante del pavimento del sottotetto, se non abitato. In alternativa si può isolare il tetto: per quelli a falda, si deve disporre l'isolante sotto le tegole, lasciando uno spessore e aperture esterne per la ventilazione. Per i condomini: ogni decisione riguardante

l'impianto di riscaldamento e l'efficienza energetica dell'edificio (quindi anche l'isolamento o l'applicazione di pannelli solari) può essere presa a maggioranza millesimale (legge n. 10 del 1991) e non più all'unanimità. Si tenga presente che si tratta di interventi che richiedono buone competenze di chi progetta e fa i lavori e che, per la dimensione della spesa, vale la pena chiedere preventivi a diverse ditte specializzate.

Consigli

1. Isolamento dall'esterno (detto anche isolamento a cappotto). Particolarmente conveniente quando si deve rifare la facciata, affidandosi a una ditta specializzata. I materiali usati sono noti e poco costosi (ad esempio poliuretanici). Costo indicativo: almeno 15 euro a m2 (il doppio se si utilizzano materiali naturali)+ il ponteggio, l'intonaco e la finitura.

2. Isolamento dall'interno. L'intervento è più facile e può essere effettuato in proprio solo se si hanno buone doti e conoscenze. Costo indicativo: 16-20 euro a m2.

3. Isolamento di coperture piane (tetto). E' un intervento particolarmente delicato perché si deve assicurare l'accurata impermeabilizzazione del tetto e l'eventuale praticabilità dello stesso. Costo indicativo: 25-30 euro a m2 per tetto non praticabile, 50-60 euro a m2 per tetto calpestabile.

4. Isolamento sottotetto. Se il sottotetto non è utilizzato, vale la pena distendere l'isolante sul pavimento, in caso contrario si deve applicare l'isolante alla superficie inclinata del tetto, con costi superiori. Costo indicativo: 10 euro a m2 se non utilizzato, 25 euro se frequentato.

5. Isolamento soffitto dell'ultimo piano, con un strato di cartongesso e lana di vetro applicato al soffitto. Costo indicativo: 13-15 euro a m2.

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PARLIAMO UN PO’ DI CALDAIE… L'impianto di riscaldamento è un po' come l'automobile: per funzionare bene e consumare poco occorre un'accurata manutenzione. Proprio per questa ragione la legge ha reso obbligatori i controlli sulla sicurezza e sull'efficienza degli impianti termici anche per le piccole caldaie autonome. Ogni cittadino è tenuto ad effettuare la manutenzione della propria caldaia, anche ogni anno. La correttezza della manutenzione deve, per legge, essere poi verificata dai Comuni (oltre i 40.000 abitanti) o dalla Provincia nei Comuni più piccoli. Il controllo dell'impianto deve essere biennale nel caso di impianti a metano (a meno di diversa prescrizione scritta sul libretto di manutenzione allegato obbligatoriamente all'impianto) o avvenire ogni 4 anni nel caso di impianti che non superino gli 8 anni di età, a camera stagna o installati all'aperto. Il controllo e la verifica dei comuni ha lo scopo di garantire la sicurezza, l'efficienza dell’impianto e minore impatto ambientale. Al termine di ogni controllo l'operatore deve rilasciare un rapporto tecnico conforme a quanto previsto dalla legge (Allegato G del decreto legislativo 192/2005, confermato dal successivo 311/2007). Coloro che hanno un impianto autonomo hanno l’opportunità di attestare i regolari adempimenti sulla manutenzione e sul corretto funzionamento della propria caldaia tramite l’autocertificazione. Chi si autocertifica non pagherà nulla all’atto della verifica. Per autocertificarsi è meglio rivolgersi al proprio manutentore che si preoccupa anche di registrare tutte le operazioni di manutenzione e i dati di funzionamento nel “libretto di impianto”, di cui è responsabile ciascun utente. Se la caldaia è vecchia, richiedete un preventivo per sostituirla e controllate i possibili vantaggi di riduzione dei consumi. Le migliori caldaie a gas oggi disponibili sono quelle così dette a condensazione, perché capaci di sfruttare anche il calore latente del vapore acqueo contenuto nei tubi di scarico. Per questa ragione consentono un aumento del rendimento fino al 30% se si interviene anche sul sistema di distribuzione del calore. Sono caldaie che costano anche il 50% di più, ma che possono usufruire di maggiori detrazioni fiscali. Ciascun utente è sempre direttamente responsabile del periodo annuale di accensione (in Pianura Padana dal 15 ottobre al 15 aprile) e del mantenimento della temperatura entro i 19 gradi (con una tolleranza di un grado in più o in meno nelle diverse parti dell'appartamento). Non esagerate con la temperatura, meglio un maglione in più. La temperatura di benessere è 19 gradi e un solo grado di temperatura in più del necessario fa aumentare i consumi anche del 10%. La regolazione della temperatura interna ai vari locali non è sempre facile a causa di

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diversi fattori: la differente esposizione (le stanze a nord sono più fredde), le variazioni del tempo e la presenza di finestre (in una bella giornata si può persino spegnere il calorifero della camera soleggiata). Quando la differenza di temperatura nello stesso appartamento è notevole si può applicare una valvola termostatica al calorifero: si tratta di un semplice apparecchio che sostituisce la normale valvola di chiusura e regola automaticamente l'afflusso di acqua calda. Per chi vuole essere lungimirante, sono oggi in genere convenienti, nel lungo tempo o nel caso di ristrutturazione, collettori solari (per l'acqua calda), pompe di calore che sfruttano l'acqua di falda e sistemi di distribuzione del riscaldamento a bassa temperatura con serpentine a pavimento o alle pareti.

Consigli

1. Far controllare alla scadenza prevista la caldaia da un tecnico autorizzato, e chiedere l'esito del controllo di sicurezza e di efficienza, nonché un consiglio in merito alla convenienza di interventi sulla caldaia e sull'impianto di riscaldamento. Costo indicativo: 150 euro.

2. Applicare valvole termostatiche nei locali o sui caloriferi che necessitano di regolazione. Costo indicativo: 60-80 euro a calorifero.

3. Regolare attentamente la valvola termostatica (è obbligatoria nei nuovi edifici) in modo da ridurre il riscaldamento quando si è assenti o durante la notte. Regolare manualmente i caloriferi nei diversi ambienti in funzione delle necessità. Nessun costo.

4. Sostituire la caldaia con una a condensazione, con relativa messa a punto dell'impianto di distribuzione. Costo stimato: circa 2.500 euro, esclusi interventi sulla distribuzione.

RISTRUTTURARE CASA? QUALCHE MIGLIORIA ESISTE

C'è molta più competenza ed esigenze in chi compra una macchina o un telefonino, che in chi compra casa. Una prova? Domandate in giro quanti litri di gasolio o metri cubi di gas consuma casa tua?, oppure che tariffa di riscaldamento paghi? Non saranno in molti a rispondere. Eppure qualcosa sta cambiando. Per disposizione dell'Unione europea e grazie alla legge italiana:

• chi costruisce una nuova casa o la ristruttura coinvolgendo almeno il 20% dell’involucro, ha l’obbligo di farlo secondo criteri di isolamento più restrittivi (pareti e coperture isolate, serramenti efficienti e impianti con alti rendimenti);

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• il controllo spetta ai Comuni che ricevono la documentazione prima dei lavori, con una relazione tecnica e il nome del professionista incaricato a rilasciare l’Attestato di certificazione energetica con la classe energetica della casa (generalmente dalla A – o persino A+ - sino alla G – la peggiore);

• dal luglio 2009 anche chi affitta o vende l’appartamento dovrà preoccuparsi di dare informazioni sull’efficienza energetica dell’abitazione allegando l’Attestato di certificazione energetica (che il nuovo governo ha confermato, pur non obbligando di allegarlo al rogito);

• gli edifici dovranno consumare sempre meno energia: approssimativamente ogni due anni il 20 - 25% in meno;

• le nuove case dovranno ricorrere, almeno parzialmente, ad energie rinnovabili (come ad esempio avere i collettori solari per l'acqua calda), e dovranno disporre di protezioni solari (schermi) per ridurre il fabbisogno di condizionamento.

Alcune Regioni (ad esempio l'Alto Adige e la Lombardia) si sono portate avanti e hanno introdotto l’obbligo di certificazione energetica secondo una procedura di calcolo propria. Le altre sono in attesa di conoscere le "linee guida" nazionali. Insomma, chi compra e affitta casa oggi ha nuovi diritti e doveri, di cui è importante tener conto, perché queste nuove attenzioni permettono una buona qualità dell'abitare e una valorizzazione nel tempo dell'immobile. Per prima cosa conviene osservare bene l'ambiente in cui l'abitazione è inserita, esaminando i fattori di rischio: in Italia non è banale domandarsi se la costruzione è davvero antisismica anche in regioni a rischio, se è in area di esondazione (anche se con tutti i permessi comunali), se è stato commesso abuso edilizio o se la tettoia del capannone vicino è ancora in cemento amianto. Poi è bene informarsi sui servizi di quartiere, sui mezzi pubblici a disposizione, sulla presenza di verde (anche se non fa ombra direttamente all'abitazione, contribuisce a mantenere la temperatura più bassa d'estate), e infine sull'orientamento. L'orientamento è fondamentale, non solo per la vista dalle finestre, ma perché da sud le finestre (che dovrebbero essere ampie) ricevono il sole d'inverno, mentre balconi, porticati e schermi solari procurano ombra d'estate. A nord dovrebbero trovarsi finestre più piccole, i muri più coibentati e le parti dell'abitazione che possono essere più fresche (garage, corridoi, scale). Soggiorno e camere da letto dovrebbero essere disposte a sud o ad est, mai ad ovest, perché d'estate il sole del pomeriggio è il più caldo. Meglio dunque le abitazioni su due esposizioni (nord-sud o est-sud), per facilitare correnti e cambio d'aria. Anche le prestazioni dell'involucro vanno controllate: i muri e il tetto devono garantire un buon isolamento termico (e quindi nelle zone più fredde avere almeno 40 o 50 cm di spessore), le finestre (doppio vetro da Roma in su e in montagna) una buona

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tenuta e un buon isolamento acustico. Nelle zone d'Italia esposte al rischio gas radon (gas radioattivo emesso da certe rocce), le abitazioni vanno predisposte con vespai ventilati posti al di sotto del piano abitato. I tetti verdi o giardini pensili (buon isolamento sia d'estate che d'inverno, oltre che fattore di pregio) e la ventilazione meccanica controllata rappresentano ulteriori fattori di miglioramento. Fondamentale l'efficienza energetica degli impianti: in primo luogo l'impianto di riscaldamento deve avere buon rendimento, meglio se centralizzato a metano (o ancor meglio a biomassa, o pompa di calore ad alta efficienza, ad esempio “geotermica”, o collegato con il teleriscaldamento di quartiere). I sistemi di regolazione locale della temperatura devono essere dotato di contabilizzazione d'appartamento. Il riscaldamento ottimale è a bassa temperatura a pavimento o a parete. Infine l'impianto elettrico andrebbe predisposto per controllare l'inquinamento elettromagnetico e, l'illuminazione esterna studiata per evitare l'inquinamento luminoso. Indispensabile ormai l'installazione (o almeno la predisposizione) di collettori solari per l'acqua calda e la presenza di pannelli elettrosolari. Meglio ancora se sono presenti sistemi solari passivi (muri ventilati, serre solari...). Per concludere l'uso dell'acqua: la contabilizzazione individuale di consumo, l'impianto predisposto per la riduzione degli sprechi di acqua potabile e infine l'attenzione al recupero delle acque piovane e la permeabilità del suolo in cortile sono tutti aspetti da apprezzare prima dell'acquisto o della stipula di un contratto d'affitto di lungo termine.

Consigli

1. Informarsi sulle novità normative rivoluzionarie per le abitazioni nuove e ristrutturate. Non farsi scrupolo a rivolgersi ad un esperto anche nel caso di affitto. Costi: solo vantaggi.

2. Richiedere sempre la certificazione energetica e, nel caso non fosse ancora obbligatoria, i costi della bolletta energetica (gas, elettricità, gasolio) degli ultimi tre anni. Costi: solo vantaggi.

3. Far certificare le proprie abitazioni da un tecnico abilitato e consigliare gli interventi più convenienti per migliorarne le prestazioni. Costo indicativo della certificazione: 300 – 500 euro ad appartamento, 2 - 3.000 per un condomini

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I PANNELLI SOLARI PER L'ACQUA CALDA Che il sole sia una fonte di riscaldamento gratuita e disponibile ovunque è noto da millenni, ma solo recentemente abbiamo appreso come scaldare in maniera efficiente l’acqua. I collettori solari (da non confondere con i pannelli elettrosolari o fotovoltaici, impiegati per produrre energia elettrica) servono alla produzione di acqua calda per gli usi sanitari delle famiglie (bagno, cucina, lavatrice, lavastoviglie), per il riscaldamento domestico, per le piscine e la collettività (centri sportivi, ospedali, alberghi) o persino per i processi produttivi.

Ma come funzionano? Con la radiazione del sole che scalda una superficie scura, attraversata da tubi contenenti acqua e antigelo. L'acqua riscaldata viene poi veicolata in un serbatoio di accumulo. In genere il collettore è ricoperto da una superficie in vetro che ha la proprietà di intrappolare la radiazione infrarossa (i raggi invisibili caldi), favorendo così l'ulteriore riscaldamento della superficie scura e dell'acqua.

Alle nostre latitudini, cinque metri quadri di collettori solari termici soddisfano in un anno gran parte del fabbisogno di acqua calda sanitaria di una famiglia di quattro persone: nei sei mesi più caldi la disponibilità di acqua calda è superiore a quanto se ne consuma, mentre, per sopperire il fabbisogno rimanente di energia nei mesi freddi, è necessario un sistema integrativo di tipo tradizionale, come una caldaia a metano o a biomasse. I collettori solari sono particolarmente indicati per soddisfare i bisogni energetici delle famiglie che abitano in case mono e bifamiliari, ma possono anche essere installati sui tetti dei condomini nelle grandi città nel caso in cui il sistema di produzione di acqua calda sia centralizzato. Un impianto solare termico installato oggi a regola d’arte funziona per vent'anni e può durare per trenta. La sua spesa si ammortizza in circa 4 o 5 anni se sostituisce una caldaia elettrica (boiler), il doppio se ne sostituisce una a gas. Negli anni successivi l'energia prodotta è gratis e le spese di manutenzione non superano i 50/100 euro l’anno, solo dopo i primi 3 – 5 anni. Ancora più conveniente è l'installazione dei collettori solari se previsto già in fase di costruzione dell’edificio: i costi si riducono di un terzo e quindi i tempi di ritorno dell'investimento risultano ancora minori! In genere si dimensiona l’impianto in maniera tale da coprire la totalità del fabbisogno di energia per il riscaldamento dell’acqua sanitaria (bagno e cucina) nei mesi estivi e una piccola quota di base di riscaldamento per la stagione intermedia: questo corrisponde a circa 0,8 m2 a persona di superficie dei collettori nelle regioni del Sud

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e 1,2 m2 per persona in quelle del Nord. Se il solare viene utilizzato anche per una quota significativa del riscaldamento, si debbono moltiplicare queste superfici per due al Sud e per tre al Nord. Il riscaldamento con collettori solari è tanto più conveniente quanto più l'abitazione è ben costruita e il fabbisogno più contenuto: minore è l'energia necessaria, minore è la superficie di collettori necessaria! Il riscaldamento solare è in genere associato a sistemi di riscaldamento che usano i pannelli radianti o serpentine sotto il pavimento, perché richiedono temperature dell'acqua non superiori ai 35 – 40 gradi, facilmente raggiungibili nei collettori solari anche d'inverno. Mentre termosifoni funzionanti con temperature dell'acqua di 60 - 70 richiedono l'intervento di una caldaia tradizionale. L'impianto solare è in grado così di coprire l'intero fabbisogno di riscaldamento alla fine dell'autunno e a marzo, mentre nelle giornate invernali di sole può coprire solo una parte del fabbisogno. E' quello che succede nei 500 metri quadri di uffici della sede di Legambiente a Milano, riscaldata con 24 metri quadrati di collettori. Gli impianti di collettori solari si distinguono in due tipologie: i più semplici, a circolazione naturale, sono molto meno costosi e servono per l'acqua calda del bagno e della cucina. Spesso il serbatoio d'acqua di accumulo è posto al di sopra del pannello rendendo in questo modo più semplice l'installazione, ma spesso anti estetico l'impianto. Gli impianti a circolazione forzata prevedono un impianto idraulico regolato da una pompa e un sistema di controllo automatico della temperatura: l'accumulo d'acqua calda è più grande e posto in uno spazio di servizio dell'edificio, l'impianto è decisamente più costoso, ma garantisce in genere rendimenti maggiori. Adatto per famiglie numerose e per impianti collegati al riscaldamento. Suggeriamo di cercare nei siti internet del Comune, Provincia e Regione di vostro interesse l'esistenza di agevolazioni o di bandi che promuovano l'installazione in conto capitale. Per impianti a regola d'arte è opportuno rivolgersi a produttori che abbiano acquisito certificati di qualità (quello più prestigioso in Europa è il Solar keymark) e installatori autorizzati a seguito di un corso specifico sulla tecnologia solare termica, come il “SolarPass” di Assolterm (Associazione Italiana Solare Termico). Il Comune di Castellarano (provincia di Reggio Emilia) ha coinvolto gli artigiani termoidraulici locali per promuovere una sorta di grande “gruppo d'acquisto” con l'obiettivo di installare collettori su mille tetti del paese: mettendosi insieme sono riusciti a spuntare prezzi e condizioni molto interessanti. Esperienze simili si stanno diffondendo in tutta Italia.

Consigli

1. Installare un impianto di 5m2 con un serbatoio di accumulo per l'acqua sanitaria. Costo indicativo: 3/7.000 euro, compresa l’installazione, la manodopera e l’IVA.

2. Installare un impianto di 15 m2 e 1.000 litri di serbatoio che contribuisce anche al riscaldamento. Costo indicativo: 12.000 euro, compresa l'installazione, la manodopera e l'IVA.

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IL CAMINETTO E LA STUFA Numerosi e diversi impianti sfruttano le biomasse per il riscaldamento domestico e per l’acqua calda, come la vecchia “cucina economica”, molto funzionale nelle aree montane, fino ai moderni termocamini o alle centrali termiche di quartiere. Lo strumento più diffuso nelle case italiane rimane sempre il caminetto, piacevole e romantico, ma in genere poco efficiente (più dell'80% dell’energia della legna se ne va per il camino) e molto inquinante. Da alcuni anni il mercato offre caminetti a ventilazione forzata (come le stufe) che possono essere integrati con il riscaldamento della casa. Sono nati così i termocamini, cioè stufe mimetizzate da caminetto (grazie ad un vetro termico che permette di vedere la fiamma): il mercato offre dei moduli per trasformare il proprio caminetto in un termocamino, riducendo i lavori di muratura, ma migliorando l'efficienza e riducendo l'inquinamento dei fumi. Anche le stufe a legna tradizionali, ad irraggiamento, che riscaldano cioè solo in prossimità, costano poco (solo qualche centinaio di euro) ma non sono consigliate per l'elevato inquinamento e la scarsa efficienza energetica. Decisamente migliori, le tradizionali stufe a maiolica o a ole, tipiche delle zone alpine del nostro paese. Costruite in materiali refrattari, del costo di 7 - 10 mila euro, montaggio incluso, hanno una capacità di riscaldamento maggiore e possono diventare l’unica sorgente termica della casa o del piano, se posizionate e costruite in maniera corretta. Una soluzione vantaggiosa nelle aree montane non servite dal gas metano e dove il costo della legna è sensibilmente minore. Le stufe a legna di moderna concezione, con circolazione forzata dell'aria e dei fumi, garantiscono un migliore rendimento energetico e sono meno inquinanti. Prima di adottarle però, si tenga presente che richiedono di essere caricate più volte al giorno: sono adatte quindi a case o ad uffici dove sia garantita una presenza costante. Ci sono stufe studiate per essere alimentate anche a cippato di legna (legname sminuzzato) e a bricchetti di legna (una sorta di ceppi di legna ma fatti di segatura pressata), oltre alle stufe a pellet, assai diffuse grazie alla possibilità di essere alimentate anche una sola volta a giorno. Per un acquisto davvero vantaggioso, vale la pena scegliere l'alimentazione in funzione del costo e della reperibilità negli anni del combustibile: la legna conviene quando la si può ottenere gratis o a modico prezzo, come nel caso delle zone montane e rurali. Il mercato oggi offre persino stufe a mais. Pur garantendo un'ottima resa termica, le

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sconsigliamo per ragioni di carattere ambientale e tecnologico. Il mais è un alimento pregiato, per ottenere il quale si consuma molta acqua (mille tonnellate per una di prodotto), molti fertilizzanti (e le nostre falde sono zeppe di nitrati) e un certo quantitativo di gasolio per alimentare i trattori. Se la sua produzione non fosse sovvenzionata dalla politica agricola comunitaria, il mais sarebbe un combustibile estremamente costoso. Oltre a questo produce una vetrificazione delle ceneri pericolosa per la durata della stufa e le sue emissioni inquinanti sono ancora tutte da studiare. Particolarmente interessanti sono, infine, le moderne stufe caldaie, che riscaldano l'acqua che serve i caloriferi o le superfici radianti e il serbatoio dell'acqua sanitaria. Si tratta di impianti, che per resa ed emissioni, si avvicinano alle normali caldaie a gasolio, e che risultano particolarmente convenienti per condomini o case grandi, abitate spesso. Vale la pena soffermarsi sull'inquinamento prodotto dalla combustione delle biomasse. C'è chi elogia la sostituzione del petrolio (combustibili fossili) con la legna per ridurre le emissioni di anidride carbonica e gas, principali responsabili delle alterazioni climatiche. Contemporaneamente alcune regioni hanno vietato l'uso di caminetti in pianura con l'accusa che le stufe a legna provocherebbero più particolato sottile dei camion. Chi ha ragione? Entrambi: non hanno senso i caminetti poco efficienti in città, mentre si dovrebbero diffondere moderne, efficienti e meno inquinanti stufe caldaie là dove si producono legno e biomasse di scarto dalle produzioni silvicole e agroalimentari. Tabella: inquinamento da particolato (PM 10) prodotto da diversi sistemi di riscaldamento a parità di energia (GJ, ovvero milioni di joule). Riscaldamento Media Minimo Massimo

Stufa tradizionale 500 300 900

Camino 500 (chiuso) 300 700

Stufa moderna 150 50 250

Stufa automatica (pellet o cippato)

50 30 100

Metano 0,2 0,03 1

Gasolio 5 0,5 50

Olio combustibile 40 3 60 Si deve poi sapere che i caminetti e tutte le stufe a carica manuale (quelle a legna) producono in genere una maggiore quantità di particolato sottile e catrame, molto dannosi per la salute, rispetto alle stufe e alle caldaie a pellet e a cippato, ad

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alimentazione automatica e caratterizzate da un rapporto stechiometrico (cioè un rapporto aria – combustibile) ottimizzato. Caminetti e stufe in cui la combustione entra in contatto con l'aria della casa, anche in presenza di un buon tiraggio, contribuiscono a diffondere nell'ambiente domestico inquinanti quali metalli pesanti e formaldeidi. La legna infatti, soprattutto nella parte della corteccia, può contenere metalli pesanti derivanti dall'inquinamento atmosferico o del terreno e rilasciarli durante la combustione. La formaldeide, cancerogeno umano certo, che si sprigiona principalmente dalla combustione di colle e resine usate nella fabbricazione di lamellati e truciolari. E' pertanto assolutamente sconsigliato bruciare legno verniciato, trattato e truciolare, o ancor peggio qualsiasi altro scarto: trasformereste la vostra stufa o il vostro caminetto in un pessimo inceneritore di rifiuti.

Consigli

1. Far controllare la canna fumaria e il tiraggio, accendere raramente il caminetto ed alimentarlo esclusivamente con legno naturale di buona qualità. Tutta salute.

2. Per chi abita in montagna o in campagna: acquistare una moderna stufa ad alta efficienza e minor inquinamento. Farsi consigliare dove posizionarla e assicurarsi la disponibilità di legna a buon prezzo. Costo minimo per l'acquisto e installazione: 2/3 mila euro.

3. Progettare o ristrutturare abitazioni a basso consumo energetico e collegare il riscaldamento a moderni impianti centralizzati (condominio o quartiere) a biomasse. Costo variabile, ma decisamente inferiore ad una soluzione autonoma.

I PANNELLI FOTOVOLTAICI O ELETTROSOLARI Nel corso del 2007, in tutto il mondo, sono stati installati pannelli elettrosolari per una potenza pari a circa 2.000 megawatt, solo 63 in Italia, dieci volte meno della Germania e del Giappone! L'Italia, all'avanguardia nella tecnologia fotovoltaica sino a vent'anni fa, si è poi completamente fermata fino a settembre 2005, quando è entrato in vigore il meccanismo di incentivo “conto energia”, rivolto a coloro che installano pannelli fotovoltaici sulla propria abitazione o proprietà. Dopo alcune difficoltà iniziali da un anno a questa parte si assiste ad una forte accelerazione all'installazione: con il nuovo Conto Energia gli impianti in esercizio a fine gennaio 2009 sono oltre 21.000 per una potenza installata pari a circa 180 megawatt. I pannelli o film elettrosolari trasformano direttamente la radiazione solare in energia elettrica tramite degli elementi base, sensibili alla luce, collegati a circuiti elettrici. Oggi la tecnologia più diffusa è basata su pannelli costituiti da celle fotovoltaiche. Per il futuro i ricercatori nutrono grandi aspettative nei confronti di film o membrane, costituiti da materiali derivanti dalla chimica organica, che potranno essere applicati su qualsiasi superficie. La cellula fotovoltaica è costituita da materiali (in genere silicio, elemento molto

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diffuso in natura) trattati in maniera tale da cambiare il proprio comportamento elettrico quando sono colpiti dalla luce. Lo strato di silicio esposto al sole si comporta come un generatore di corrente, tanto più potente quanto maggiore è la radiazione e la temperatura. Una cellula quadrata con un lato di 10 centimetri, colpita dai raggi del sole, è capace di produrre una corrente di 3 ampére e una potenza elettrica di 1,5 watt (accendere una lampadina di una pila). Un insieme di più moduli collegati assieme, in serie o in parallelo, forma un pannello fotovoltaico. I pannelli, sistemati in genere sul tetto o lungo le facciate degli edifici, collegati tra loro da fili elettrici, alimentano l'impianto elettrico. La corrente elettrica generata dai moduli fotovoltaici è continua: per essere utilizzata dagli elettrodomestici, oppure per essere immessa nella rete elettrica nazionale deve essere trasformata in corrente alternata attraverso apparecchi chiamati inverter. Un impianto può essere collegato alla rete elettrica, ma può anche rappresentare un’intelligente opzione per le abitazioni isolate, come le baite e i rifugi in montagna. In questi casi dovrà essere dotato di batterie di accumulo per le ore notturne.

I pannelli elettrosolari durano per diversi decenni , in genere sono garantiti per 20 o 25 anni, scontando una perdita di rendimento dell’ordine del 10% in 12 anni e del 20% in 25 anni, ma possono funzionare, con rese decrescenti anche per mezzo secolo, producendo energia elettrica praticamente senza costi e senza inquinare. L'unico freno per uno sviluppo su vasta scala di questa tecnologia è il costo iniziale: un impianto da 3 kw, sufficiente a soddisfare gran parte del fabbisogno elettrico di una famiglia di quattro persone in Italia, costa 20 mila euro e occupa una superficie di almeno 20 m2. Proprio per questa ragione alcuni governi europei hanno deciso di maggiorare di poco le bollette elettriche e di destinare i proventi per remunerare di più l'energia prodotta dal sole. Un simile incentivo dovrebbe decrescere negli anni, quando la tecnologia elettrosolare sarà diventata competitiva con il petrolio. E' questo il “conto energia”, in quanto prevede di retribuire il kwh prodotto dai pannelli solari in rapporto alla taglia dell'impianto e al grado di integrazione architettonica con l'edificio (vedi scheda di

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promemoria allegata). L'impianto è sottoposto esclusivamente all'autorizzazione del Comune (a meno che si tratti di edificio storico) e va comunicato al GSE (l'Autorità di regolazione della rete elettrica) quando entra in funzione (massimo 60 giorni): salvo qualche ritardo dell'Enel nella consegna dei contatori, da quel momento e per 20 anni vi verrà riconosciuta la tariffa a kilowattora in vigore al momento della richiesta. Con il contratto “scambio sul posto” si può riuscire a non pagare l’elettricità consumata, se l'impianto è di dimensioni sufficienti. Inoltre, se dimostrate di aver eseguito interventi di risparmio energetico sulla casa e siete già "clienti" del Conto Energia, vi verrà riconosciuto un premio che consiste nell'aumento della tariffa incentivante di una percentuale pari alla metà della riduzione del fabbisogno di energia conseguita. Il fotovoltaico conviene? Facciamo un esempio: un impianto da 3 kw su una casa di Roma (costo: 21 mila euro) produce circa 3.600 kwh/anno di elettricità, parte destinato al consumo dell'abitazione, parte “venduto” alla rete elettrica. Ebbene, tra contributo del “conto energia” e risparmio sul costo della bolletta, si può stimare un ricavo di 2.160 euro all’anno per 20 anni. Il recupero dell'investimento iniziale avverrà in metà del tempo (11 anni circa), poi si guadagna senza fare più nulla sino a quando l'impianto funziona (per altri 9 anni con il contributo in “conto energia”, poi con il prezzo di mercato dell'elettricità). La legge Finanziaria 2007 e 2008 ha stabilito che i regolamenti comunali debbano prevedere per tutti i nuovi edifici l'obbligo di installare pannelli fotovoltaici nella misura di almeno 0,2 kw (1 kw dal 2009) per ogni nucleo abitativo. Di conseguenza, ecco i criteri di scelta dal punto di vista della famiglia:

• i collettori solari per l'acqua calda vanno progettati sulla base delle proprie necessità di acqua calda, mentre i pannelli elettrosolari vanno progettati come un investimento: più elettricità riuscirò a vendere alla rete elettrica, più guadagnerò;

• l'elettrosolare è un investimento strettamente associato all'abitazione: tanto più il progetto sarà integrato all'edificio (sia dal punto di vista strutturale, che energetico) e tanto più riuscirò a guadagnare.

Consigliamo in ogni caso di farsi fare un preventivo da più installatori, facendosi garantire le prestazioni dell’impianto fotovoltaico (energia elettrica realmente prodotta ogni metro quadrato o potenza teorica dei pannelli acquistati). Se si prevede l'inserimento dei pannelli solari in fase di progettazione, il costo per l'installazione dell’impianto è minore e l'integrazione architettonica decisamente più facile. Per questa ragione stanno nascendo decine di proposte di componenti edili che incorporano già le celle fotovoltaiche: solette e coperture di tetti piani, tegole solari, mattonelle, vetri e pannelli trasparenti o semi trasparenti, luci da giardino... E siccome di investimento si tratta, investimento con redditività modesta, ma sicura e duratura (il capitale si raddoppia in vent'anni), anche le banche si stanno preparando a

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soddisfare le richieste di prestiti per il solare con mutui (“mutui verdi”), talvolta a tassi interessanti o agevolati da enti pubblici. Vale la pena informarsi presso diversi istituti di credito.

Consigli

1. Scegliere con attenzione l'abitazione da acquistare o da affittare anche sulla base dell'esistenza o disponibilità ad installare pannelli solari. Nessun costo.

2. Installare un impianto fotovoltaico, ad esempio, da 3 kW, di circa 20 m2 di superficie. Costo indicativo: 21 mila euro.

CASE PASSIVE? UN BUON COMPROMESSO… Il concetto di “casa passiva” fa riferimento ad una casa o un edificio che sfruttando al massimo gli apporti solari gratuiti, assicura il benessere termico senza alcun impianto di riscaldamento e/o raffrescamento. Le prime case passive si sono sviluppate nel nord Europa in un clima più rigido del nostro; molti degli esempi esistenti si trovano in Austria, Germania, Francia del nord, Svezia e Svizzera. In tutta Europa ne sono state costruite più di 6.000 e si pensa che entro il 2010 un quinto delle nuove case in Germania saranno Case Passive. Vi sono degli edifici conformi agli standard di Casa Passiva nel nord Italia, ma questi si trovano principalmente nella regione montana del Trentino Alto Adige, che possiede un clima con la stagione invernale dominante. Esportare il concetto di Casa Passiva, se abitiamo ad esempio nel Centro-Sud Italia, richiede una revisione del concetto originario poiché le esigenze di comfort e di energia, connesse al raffrescamento della casa, saranno prevalenti rispetto a quelle necessarie nei mesi invernali. Prendiamo ad esempio il caso delle superfici vetrate: devono essere meno estese al Centro-Sud che al Nord sia perché fa meno freddo, sia soprattutto perchè in estate potrebbero rivelarsi un'arma a doppio taglio se non opportunamente schermate da falde inclinate od altri sistemi ombreggianti. La casa passiva, può consumare sino ad un massimo di 15 kWh di energia di riscaldamento al metro quadrato di superficie della costruzione all'anno, una quantità che corrisponde a circa 1,5 litri di olio combustibile per il riscaldamento. Il consumo totale di energia è pari a meno di 40 kWh per metro quadrato all'anno, compreso il riscaldamento, l'acqua calda ed i normali consumi elettrici dell'illuminazione e degli elettrodomestici,decisamente inferiore al solo consumo per l'acqua calda ed il normale uso di elettricità (escludendo quindi il riscaldamento) di una casa europea media. In generale una casa passiva in Italia consente un risparmio energetico, per il riscaldamento invernale, di circa il 90% rispetto ad un edificio tradizionale costruito secondo i requisiti della precedente vecchia normativa sull'efficienza nell'edilizia e 80% rispetto alla moderna casa standard conforme ai più avanzati regolamenti edilizi europei. L'efficienza richiesta alle case identificate come passive, rispetto a quelle

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esistenti sul mercato immobiliare, non rende economicamente conveniente ed in alcuni casi neanche fattibile raggiungere tale livello di efficienza sulle case esistenti. Per costruire una casa passiva in fase di progettazione è necessario prendere in considerazione i seguenti aspetti:

• la forma dell'edificio: tanto più la superficie che racchiude il volume è elevata, tanto più elevato è lo scambio termico e quindi le perdite termiche

• l'orientamento delle stanze, delle finestre e delle superfici vetrate: per sfruttare al meglio la luce del sole nei diversi periodi dell'anno, è di essenziale importanza valutare i guadagni in termini di energia derivanti dalla radiazione solare/dagli apporti solari. Ad esempio sono ideali ampie aperture rivolte verso sud che permettano al sole di entrare durante l’inverno e siano facilmente schermabili durante l’estate per non dar luogo ad un eccessivo surriscaldamento

• l'utilizzo di fonti rinnovabili di energia: i bassi consumi elettrici totali di una casa passiva possono essere coperti totalmente mediante l'uso di energie rinnovabili

• il super isolamento: il super-isolamento delle pareti e del tetto impedisce al calore di disperdersi verso l’esterno nella stagione invernale e per contro riduce l’entità della calura estiva; un opportuno sistema di isolamento, ad esempio “a cappotto”, consente di ridurre drasticamente o eliminare i ponti termici (discontinuità tra materiali) che costituisce una via privilegiata per gli scambi di calore da e verso l'esterno

• la ventilazione meccanica controllata con recupero di calore in uscita: il flusso dell'aria viene regolato in modo tale da assicurare precisamente la quantità di aria richiesta per avere un'eccellente qualità dell'aria interna. Uno scambiatore di calore ad alta efficienza (>80%) viene utilizzato per trasferire calore dall'aria interna in uscita con l'aria fresca in entrata, che viene pulita attraverso un filtro

• serramenti ad elevati standard prestazionali: questi dovranno essere altamente isolati per evitare il più possibile le dispersioni di calore mentre le finestre saranno costruite con vetri tripli basso emissivi.

Consigli

1. Richiedere e verificare l'etichetta energetica della casa che si vuole acquistare (che deve essere più alta della classe A). La certificazione è obbligatoria per le nuove costruzioni: nessun costo aggiuntivo.

2. In fase progettuale: rivolgersi ad uno studio di progettazione o a professionisti (architetti o ingegneri) con specifiche competenze in materia di efficienza energetica nell'edilizia. L'esperienza e la fiducia verso il progettista è fondamentale. Il costo supplementare di una casa passiva può essere molto variabile e comporta almeno un 15 – 20% in più di costi di costruzione rispetto all'attuale standart minimo di legge.

3. In una fase successiva alla progettazione, dovrà essere riposta particolare attenzione anche alla scelta dei sistemi di illuminazione, degli elettrodomestici e alla gestione e

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manutenzione della casa, per non vanificare l'investimento iniziale. In compenso non si spende (quasi) nulla in bollette energetiche.

INTANTO PER INIZIARE SPEGNIAMO LO STAND-BY! Nella scelta del contratto di fornitura di energia elettrica, si può già oggi pagare meno la notte e la domenica: si possono anche acquistare apparecchi e programmi in grado di azionare automaticamente gli elettrodomestici quando l'elettricità costerà meno, evitando il sovraccarico. Ma il risparmio massimo cui si può auspicare sulle differenti tariffe elettriche (la così detta bi-oraria) è contenuto (qualche per cento), mentre può essere considerevole se accompagnato dal completo spegnimento e dall'uso più efficace e attento delle decine di apparecchi che ormai popolano le nostre case. E' la casa – robot, o meglio la domotica, la casa elettronica capace, nei sogni degli architetti e degli ingegneri che la progettano, di regolare tutte le proprie funzioni per essere contemporaneamente più comoda per noi e più parsimoniosa nei consumi. In attesa del futuro, una prima attenzione: lo stand-by. Si tratta di quella lucina (o orologio) sempre accesa della televisione, del videoregistratore, del forno a microonde, presente ormai anche nei computer, nei lettori DVD, negli home video, negli stereo, negli interruttori luce. Una volta consumava anche l'80% dell'energia dell'elettrodomestico acceso, mentre i più recenti consumano solo 1 watt. Tutti insieme fanno spendere ogni anno almeno 50 euro di elettricità ad ogni famiglia italiana all'anno. Spegnerli dunque, anche applicando prese elettriche (“ciabatte”) dotate di interruttori generali, permette un importante risparmio energetico. Alcuni apparecchi consumano, nella loro vita utile, più elettricità con lo stand by acceso che quando vengono usati: è tipicamente il caso dei videoregistratori o degli Hi-Fi. Ma talvolta il sadismo di chi li ha progettati impedisce lo spegnimento completo. Togliendo, ad esempio, la corrente nei videoregistratori si perde la programmazione con il sintonizzatore del televisore e l'ora e la data. La soluzione tecnologica è facile e pronta: basterebbe progettare l'apparecchio con una pila ricaricabile in modo che mantenga la tensione necessaria per conservare la memoria, così come un computer spento alimenta l'orologio interno. In futuro gli elettrodomestici saranno dotati tutti di interruttore di spegnimento completo: anzi, per legge, dal 1 gennaio 2011, sarà vietata in Italia l'importazione e la vendita di elettrodomestici privi di sistemi di distacco totale dalla rete elettrica. Questo accade perché il sistema di generazione elettrica, con centrali a petrolio se non addirittura a carbone altamente inquinanti, comporta forti perdite nella produzione, trasmissione e distribuzione. Per questo è meglio usare direttamente il metano per scaldare l'acqua e cucinare i cibi. Questa

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regola generale presenta alcune lodevoli eccezioni, come nel caso dei forni a microonde che sono invece molto efficienti (e anche salutari per molti cibi). La stessa acqua calda per lavare, può essere scaldata in maniera vantaggiosa con collettori solari, apparecchi semplici che hanno raggiunto ormai grande affidabilità e convenienza. Si può persino pensare di produrre in proprio l'elettricità che ci serve, immettendo in rete quella che non si usa: in questo caso si possono installare sul proprio edificio pannelli elettrosolari.

Consigli

1. Spegnere e applicare "ciabatte" con interruttori agli apparecchi dotati di stand-by. Costo indicativo: da 0 a 20 euro ad abitazione.

2. Acquistare solo elettrodomestici dotati di dispositivi per interrompere il collegamento con la rete elettrica. Solo risparmio.

3. Per accendere e spegnere gli elettrodomestici automaticamente, acquistare spine e interruttori dotati di temporizzatore. Poche decine di euro.

4. Produrre elettricità da immettere sul mercato installando pannelli elettrosolari sul tetto. Costo indicativo: 20 mila euro di investimento per un impianto di 3 kw di picco.

QUANTO SPRECO PER UN PO' D'ACQUA CALDA Gli scienziati la considerano una “strage termodinamica”: si tratta dell'uso dell'elettricità per riscaldare gli ambienti o l'acqua di poche decine di gradi. L'elettricità è la forma di energia più sofisticata, versatile e pregiata che abbiamo imparato ad usare appena 100 anni fa, mentre il calore, il fuoco e l'acqua calda i nostri antenati li sapevano produrre da almeno 300 mila anni. Il riscaldamento elettrico è – sostengono - come "ammazzare una mosca con un cannone" oppure "usare l'acqua distillata per lavare per terra". Perché?

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Quando ci laviamo le mani sotto l'acqua calda, riscaldata con uno scaldabagno elettrico, usiamo acqua a 30-35 gradi. Ma la gran parte dell'elettricità è stata prodotta in centrali termoelettriche, che bruciano petrolio o gas a migliaia di gradi centigradi e che, con un rendimento decisamente basso (mediamente 40%), trasformano il calore in energia elettrica. Questa a sua volta per arrivare a casa nostra, deve scontare le perdite di rete (6-10%). Lo scaldabagno, infine, disperde calore durante le ore di inutilizzo, è a sua volta poco efficiente anche a causa delle incrostazioni... Conclusione: il rendimento complessivo e' bassissimo, anche del 10%. E' molto meglio bruciare il combustibile (metano) a casa nostra per riscaldare l'acqua direttamente. Il rendimento di una normale caldaia a metano si aggira intorno all'80%,

mentre quelle a condensazione (per le basse temperature) arrivano vicine al 100%. Pertanto, rispetto allo scaldabagno elettrico, uno a gas consente di risparmiare due terzi dell'energia primaria impiegata a monte per fornirci lo stesso identico servizio! Per rendersi conto della rilevanza dello spreco, si consideri che in Italia ci sono 8 milioni di scaldabagni elettrici (Libro Bianco Europeo sull'energia) e che, normalmente, metà della bolletta elettrica domestica serve a pagare il riscaldamento dell'acqua. Ecco perché si consiglia di bandire, ove possibile, gli elettrodomestici "elettrotermici", ovvero tutti quei dispositivi che trasformano l'energia elettrica in calore

come:

• le stufette elettriche e i termoventilatori elettrici, • gli scaldabagni elettrici, • le cucine elettriche, • tutti i dispositivi che scaldano l'acqua.

La nostra condanna del riscaldamento elettrico vale anche per le lavatrici e le lavastoviglie, che usano la maggior parte dell'energia elettrica per riscaldare l'acqua di lavaggio, mentre la rotazione del cestello (nella lavatrice) o la pompa di circolazione (della lavastoviglie) consumano relativamente poca energia. I modelli di lavatrici e lavastoviglie venduti nel Nord Europa o negli USA (anche di fabbricanti italiani) sono per questa ragione dotati di un miscelatore con due prese d'acqua, una per l'acqua fredda e l'altra per l'acqua calda proveniente da un impianto esterno (meglio se da un impianto solare, oppure dallo scaldabagno a gas o dalla centrale termica di caseggiato o di quartiere). Gli stessi modelli possono essere importati anche in Italia, chiedendo, nelle case di nuova costruzione o approfittando di lavori di ristrutturazione per installare la doppia tubazione a

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muro. Diverso è invece il caso delle pompe di calore. Si tratta di apparecchi che funzionano come un frigorifero all'incontrario: usano l'energia elettrica per raffreddare l'aria esterna e riscaldare quella interna in inverno e viceversa in estate. L'efficienza di queste apparecchiature riesce a generare energia termica pari anche a tre volte l'energia elettrica impiegata. Le pompe di calore rappresenterebbero quindi la soluzione perfetta in abbinamento con pannelli elettrosolari (fotovoltaici) o con qualsiasi altra fonte rinnovabile.

Consigli

1. Sostituire il riscaldamento con stufe elettriche e lo scaldabagno elettrico con uno a gas. Costo indicativo: 1.000 euro per lo scaldabagno, 2 mila euro per una caldaia a metano (3 mila se a condensazione), più un costo variabile per l'impianto di riscaldamento per eventuali problemi di collegamento alla canna fumaria.

2. Sostituire lo scaldabagno con 5 m2 di pannelli solari dotati di un serbatoio di accumulo da 400 litri per l'acqua sanitaria (in caso di famiglia numerosa). Costo indicativo: 5 mila euro, compresa l’installazione, la manodopera e l'IVA.

3. Prevedere un doppio attacco dell'acqua per la lavatrice e la lavastoviglie, per riscaldare direttamente da una caldaia a gas o da pannelli solari: per ogni lavaggio si viene così a spendere circa un terzo di quanto si spenderebbe usando la resistenza elettrica. Costo indicativo: 200 – 250 euro per i lavori di muratura; costo da 350 euro per lavatrice con doppio attacco.

NON PERDIAMO DI VISTA L'ETICHETTA ENERGETICA Il prezzo d'acquisto degli elettrodomestici è talvolta decisamente inferiore al costo dell'elettricità necessaria per farli funzionare per tutti gli anni del ciclo di vita utile. Per questa ragione una maggior spesa per l'acquisto di un apparecchio più efficiente può essere più che compensata nel tempo. Attenzione in particolare a quegli elettrodomestici che consumano di più, come il condizionatore d'aria: in una giornata calda un condizionatore che sta acceso sette ore consuma 7 kwh: quanto tutta l'energia consumata in un giorno da tutti gli altri apparecchi e lampadine. State attenti anche all'utilizzo medio: il congelatore, che sta sempre acceso, consuma relativamente poco, ma tutto l'anno. La tabella 1 è un buon prospetto di quali siano i consumi annuali dei vari elettrodomestici di una casa italiana. Provate a crearvi la tabella di casa vostra: vi sarà utile per poter cambiare gli utilizzi di alcuni elettrodomestici oppure per valutarne la sostituzione con nuovi ben più parsimoniosi.

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Tabella 1: Esempio di valutazione del consumo di elettricità.

Elettrodomestico Potenza (Watt)

Utilizzo medio Consumi anno (kWh)

Scaldabagno elettrico

1.000 3,5 ore/giorno 2.000

Stufa elettrica 2.000 1 ora/giorno per 2 mesi 120

Condizionatore 1.000 4 ore/giorno per 2 mesi 420

Frigorifero 200 300 litri con congelatore 240

Congelatore 200 420

Illuminazione 60-100 3,5 ore/giorno 360

Lavatrice 2.000 4 lavaggi/settimana a 60°C

300

Lavastoviglie 2.000 4 lavaggi/settimana 330

Televisione 100 4 ore/giorno (senza stand-by)

235 - (130)

Forno elettrico 1.000 4 volte/settimana 100

Videoregistratore 80 2 ore/giorno (senza stand-by)

165 - (55)

Computer 100 2 ore/giorno (senza stand-by)

170 - (70)

HI-FI 30 2 ore/giorno (senza stand-by)

80 - (20)

L'Unione Europea ha reso obbligatoria da una decina d'anni l'etichetta energetica sugli elettrodomestici: etichetta che contiene tutte le informazioni utili ad una scelta attenta. Eccola, presentata qui di seguito.

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Parte alta: le frecce. Le classi previste nel 1996 andavano dalla G alla A. E' noto che la “classe A” sia quella che garantisce maggior risparmio di elettricità. Questa etichetta ha avuto tanto successo che, ormai, non solo non è possibile mettere in vendita classi inferiori alla D, ma le case costruttrici sono arrivate a produrre frigoriferi e lavatrici che garantiscono risparmi ancora superiori. Sono così nati frigo A+ e A++, oppure lavatrici AA e AAA che assicurano il massimo risparmio sia nel lavaggio, che nella centrifuga (anche se il bucato è meglio asciugarlo all'aria). A fianco della classe energetica, si trova talvolta il simbolo del fiore dell'ecolabel, il marchio europeo dei prodotti ecologici: gli elettrodomestici che lo esibiscono possiedono una qualità ambientale e prestazionale superiore. Seconda parte: i consumi. Appena sotto le frecce che indicano la classe energetica, l'etichetta chiarisce anche il consumo di energia (in kWh) in un anno di utilizzo

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“medio” e corretto dell'apparecchio. Dalla propria bolletta elettrica è facile controllare il costo medio del chilowattora: si può così stimare, per ogni elettrodomestico, la spesa energetica annuale. Terza parte: caratteristiche funzionali. Nel settore ancora più in basso l'etichetta indica le caratteristiche prestazionali fondamentali dell'apparecchio, ad esempio il volume di frigoriferi e congelatori o il consumo d'acqua per le lavatrici. Segue infine il livello di rumorosità, spesso molto importante per convivere con l'apparecchio CHE BELLA INVENZIONE LE LAMPADINE A BASSO CONSUMO! L'energia elettrica impiegata in Italia per l'illuminazione è pari a 7 miliardi di chilowattora all'anno e l'Enea (Ente per le Nuove Tecnologie, l'Energia e l'Ambiente) valuta che sia possibile risparmiarne almeno 5 illuminando meglio le nostre case! Ancora oggi solo una minoranza delle lampadine che si vendono in Italia sono a risparmio energetico: si tratta di lampadine di grandezza e con attacchi ormai del tutto equivalenti a lampadine tradizionali, ma costano decisamente di più (anche 5 o 10 volte).

A partire dal settembre 2009 ed entro il 2012, le classiche lampadine ad incandescenza verranno gradualmente ritirate dal commercio, fino a scomparire, ed entro il 2016 tutte le lampade dovranno appartenere almeno alla classe B. Cominciamo ad acquistare subito queste. Le vecchie lampadine ad incandescenza (vetro a bulbo, con il filamento interno), a parità di luce erogata, consumano infatti anche 5 volte più elettricità delle nuove lampadine fluorescenti compatte. Quelle che garantiscono maggiori risparmi energetici sono di “classe A” (l'etichetta è obbligatoria). Le lampadine

fluorescenti ad accensione elettronica si accendono subito, senza lo sfarfallio tipico delle prime lampade al neon. L'accensione e lo spegnimento frequente possono accorciarne la vita, ma alcune lampade meglio costruite resistono a frequenti accensioni. Attenzione anche al tipo di luce che fanno (più “calda” o più “fredda”). Leggendo attentamente l'etichetta si possono controllare tutte queste informazioni (a cominciare dal marchio CE di conformità alle norme europee): diffidate delle lampade con istruzioni sommarie e poco dettagliate. A proposito di etichetta, la legge non obbliga i produttori a dichiarare la durata, che è invece un'informazione molto utile anche ai fini del risparmio conseguibile. Una lampadina ad incandescenza dura circa mille ore o poco più, una alogena circa 2 mila, quelle fluorescenti da 6 mila a 15 mila ore. Nei luoghi dove la lampadina rimane accesa

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alcune ore al giorno, vale la pena privilegiare quelle che garantiscono una vita di almeno 10 mila ore. Ma quanto si risparmia? Molto più di quel che non si creda. La tabella mette a confronto due tipi di lampadine che fanno la stessa quantità di luce: una lampadina ad incandescenza da 100 watt e una a fluorescenza di “classe A” da 20 watt, che restano accese 3 ore al giorno (circa mille ore all'anno), per 10 anni. Il risparmio che si ottiene con una lampada di classe A supera i 15 euro all'anno e raggiunge i 150 euro dopo 10 anni, quando anche la lampada più duratura sarà giunta alla fine della sua vita utile. Tabella: confronto tra una lampadina tradizionale (100 watt) e una di classe A (20 watt, garantita 10 mila ore), capaci di erogare la stessa luce, che stanno accese mediamente 3 ore al giorno per tutto l'anno.

voci di costo lampadina a incandescenza

lampadina a fluorescenza classe A

risparmio

singolo acquisto 1 euro 10 euro - 9 euro

acquisti in 10 anni 10 euro 10 euro 0 euro

elettricità 1 anno 19,71 euro 3,95 euro 15,77 euro

elettricità 10 anni 197,10 euro 39,50 euro 157,60 euro

Costo totale 207,10 euro 49,50 euro 157,60 euro E' evidente che nei locali in cui la luce rimane accesa per minor tempo, il risparmio energetico ed economico sarà minore. Ecco perché si consiglia di iniziare la sostituzione delle lampadine dai locali dove si usa di più la luce (cucina, sala, luogo di lavoro, le scale ...) e solo in seguito là dove la si usa meno (camere da letto, corridoio, garage, ripostiglio...). Se il risparmio è garantito, a rendere difficile la scelta di una buona lampadina di “classe A” è certamente la mancanza di un indicatore semplice di qualità: a parità di classe e di durata, si possono trovare lampadine di qualità (luce) e resistenza (al tempo e alle accensioni) molto diverse. E non sempre quelle che costano di più, offrono prestazioni migliori!

Consigli

1. Sostituire le lampadine con quelle a fluorescenza di “classe A”, cominciando dai locali in cui stanno accese di più. Costo indicativo: 3-15 euro a lampadina (occhio a qualità e durata).

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2. Spegnere le luci quando non servono. Orientare bene quelle del cortile o del giardino, evitando di generare inquinamento luminoso che impedisce di vedere le stelle, come ormai previsto in diverse leggi regionali. Nessun costo.

3. Lavare lampadine e corpi luminosi: polvere e vapori di cucina riducono la luce erogata anche del 20%. Nessun costo.

4. Preferire sempre la luce diretta, proveniente da lampadine di buona qualità. Quella riflessa perde gran parte della propria energia luminosa. Studiare attentamente i punti luce necessari, prevedendo interruttori indipendenti. Costo: variabile.

5. Ricordarsi che le lampade a fluorescenza sono veri e propri apparecchi elettronici che non vanno mischiati con gli altri rifiuti, ma consegnati in maniera differenziata ai servizi comunali. I materiali sono quasi tutti riciclabili e anche pericolosi (sali di mercurio). Nessun costo.

6. Valutare l'installazione di sensori di presenza che accendono la luce solo quando c'è qualcuno in un locale di passaggio (toilette, cortili o garage). Costo medio: 20 – 30 euro.

7. La luce naturale è sempre la migliore, aprire dunque scuri e tapparelle. Nei locali che si desiderano ben illuminati imbiancare le pareti di bianco o con colori chiari. Si risparmierà sulla potenza delle lampade. Costo: nullo, se fatto in occasione di ristrutturazioni o “rinfreschi”.

FRESCO D’ESTATE? NON ESISTONO SOLO CONDIZIONATORI D'ARIA I comuni condizionatori, gli split (detti così perché composti di due unità separate, una interna e una esterna, collegate da tubi e cavi elettrici), sono sicuramente i più diffusi, ma non rappresentano l'unica alternativa: altre tecnologie di raffrescamento attivo risultano ben più convenienti, confortevoli e parche nei consumi energetici. Eccone alcune. I sistemi idronici sono costituiti da un refrigeratore ad aria o ad acqua e da una serie di unità terminali, ventilconvettori o “fan coil”, specie di caloriferi, capaci di generare fresco d'estate e caldo d'inverno (generalmente sono collegati anche alla caldaia o a pannelli solari). E' una soluzione particolarmente diffusa negli edifici commerciali, garantisce un elevato grado di adattabilità a condizioni di carico variabile e permette la regolazione indipendente della temperatura, locale per locale, limitando quindi anche gli sprechi. Un'altra alternativa al condizionatore è costituita dagli impianti a pannelli radianti a pavimento, a soffitta o a parete, costituiti da robusti tubi in plastica, all'interno dei quali, in inverno, circola acqua calda e, d'estate, quella refrigerata per il raffrescamento. Si tratta di impianti che vanno in genere associati a deumidificatori per evitare qualsiasi forma di condensa nelle pareti. Il sistema garantisce minori consumi dell'ordine del 20-30%. Il solar cooling impiega pannelli solari per la produzione di acqua calda, utilizzata poi per alimentare la macchina frigorifera (un impianto ad assorbimento): si richiedono in

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genere temperature dell'acqua proveniente dai pannelli solari assai elevate e macchine frigorifere di dimensioni giustificate solo nel caso di grandi uffici e condomini. Per l'utenza domestica è relativamente più facile una quarta soluzione, che combina i pannelli elettrosolari o fotovoltaici e l'energia geotermica (dell'acqua sotterranea o dell'acqua dei laghi) per produrre l'energia necessaria ad alimentare pompe di calore e macchine frigorifere. Anche in questo caso lo stesso apparecchio è in grado di riscaldare l'edificio d'inverno e raffrescarlo d'estate con consumi energetici molto bassi o nulli (nel caso di ricorso totale al sole). I costi dell'investimento iniziale per queste ultime due soluzioni sono estremamente superiori a quelli richiesti per l'acquisto di un climatizzatore, ma i vantaggi sono molteplici: tali impianti ecologici serviranno non solo per la climatizzazione estiva ma anche per il riscaldamento dell'acqua calda e la produzione di elettricità.

Consigli

1. Installare, al posto dei normali radiatori, un sistema idronico con ventilconvettore con la possibilità di aggiungere alla caldaia un impianto di refrigerazione dell'acqua. Costo indicativo per appartamento: da euro 36 a euro 93 per m3, più il costo dell'impianto frigorifero da affiancare alla caldaia.

2. Installare un impianto a pannelli radianti a pavimento o a parete e aggiungere alla caldaia (meglio a condensazione) un impianto di refrigerazione dell'acqua e di deumidificazione. Costo indicativo: circa 10 euro per m3 per la sola posa del sistema radiante.

3. Installare un sistema di climatizzazione da fonti alternative: solar cooling o un sistema combinato di fotovoltaico e geotermia. Costo indicativo: non meno di 30 mila euro per per villa o unità famigliare

QUAL È L’AUTO IDEALE? Ci sono utilitarie o berline dai consumi molto bassi (attorno ai 4/5 litri ogni 100 chilometri) e auto sportive o “fuoristrada” di lusso (Sport Utility Vehicle, SUV) che sembrano possedute da petrolieri (persino 12 o più litri per 100 chilometri!): il famoso Porsche Cayenne, il fuoristrada di lusso da 4.500 cc, viaggia in città a 22 litri di benzina per 100 Km ed emette oltre 350 grammi

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di CO2 a Km. L'Europa ha pensato che per orientare il mercato dell'auto verso modelli parsimoniosi e poco inquinanti fosse sufficiente un'azione di informazione simile a quella adottata per gli elettrodomestici. Anzi un'azione ancora più blanda: non l'etichetta energetica con le fasce colorate, ma almeno la dichiarazione obbligatoria delle emissioni di CO2. In Svizzera e da poco in Francia c'è già l'etichetta energetica sull'auto presso il concessionario. L'arrogante industria automobilistica è riuscita, in gran parte d'Europa e segnatamente in Italia, ad ignorare l'obbligo anche dell'etichetta CO2! Anche il governo è inadempiente: avrebbe dovuto divulgare la lista delle auto con i relativi consumi ed emissioni. Invece si è limitato a pubblicare sul sito web del Ministero delle Attività Produttive un libretto di 160 pagine con le emissioni di CO2 di 500 modelli di veicoli, incompleto e non aggiornato. Anche per questa ragione Legambiente, in accordo con l'Associazione Traffico e Ambiente Svizzera, ha deciso di elaborare la classifica ambientale delle auto meno inquinanti in vendita sul mercato italiano. Emissioni CO2. A vincere la gara dei bassi consumi e delle basse emissioni di gas serra sono le piccole city car delle marche europee e asiatiche (in testa la nuova mini iQ di casa Toyota) e le auto ibride elettrico - benzina (Honda Insight, Honda Civic e Toyota Prius), più qualche modello di piccola auto a metano. Vero è che la crisi e l'instabilità dei prezzi dei combustibili hanno portato novità importanti. In un anno in tutto i modelli di autoveicoli al di sotto della soglia dei 120 grammi di CO2 a Km sono raddoppiati, da una quarantina a circa 80. Tabella: top-ten della classifica delle auto meno inquinanti presenti sul mercato italiano (marzo 2009)

POS. MARCA MODELLO CC CV COMBUSTIBILE CO2

1 Toyota iQ 1.0 996 68 benzina 99 2 Honda Insight Hybrid 1339 88 benzina 101 3 Toyota Prius 1.5 Hybrid 1497 113 benzina 104 4 Honda Civic 1.3 Hybrid 1339 115 benzina 109 5 Peugeot 107 1.0 998 68 benzina 106 5 Citroen C1 1.0 998 68 benzina 106 5 Toyota Aygo 1.0 VVT-i 998 68 benzina 106

8 Smart fortwo coupé / cabrio mhd 999 61 benzina 104

9 Daihatsu Cuore 1.0 998 69 benzina 104 10 Daihatsu Sirion 1.0 998 69 benzina 118

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Al di sotto dei 140 grammi di CO2 a Km, la soglia che la Commissione Europea aveva chiesto quest'anno all'industria automobilistica, il panorama si affolla e oltre a quasi tutte le auto piccole si trovano anche numerosi modelli di classe media, a cominciare da quelli che compongono le top ten della classifica delle auto meno inquinanti elaborata da Legambiente in collaborazione con Ata Svizzera. In tabella abbiamo riassunto la testa della classifica. Gas nocivi. Attenzione anche ai combustibili e alle emissioni inquinanti. Tutte le auto di nuova immatricolazione sono ormai “Euro 4” (le meno inquinanti, almeno sino a quando non arriveranno le Euro 5, già annunciate per il 2009), ma si è scoperto che non basta questo limite per ridurre l'inquinamento da polveri sottili (PM10) prodotto dai veicoli diesel. Ma allora il diesel conviene ancora? I motori diesel garantiscono in genere minori consumi (circa 10% in meno), ma spesso decisamente più contenuti di quanto si pensa. Il gasolio ha una densità più alta della benzina e quindi il consumo misurato in litri al chilometro può trarre in inganno: la misura delle emissioni di anidride carbonica, CO2, fornisce una indicazione più precisa. I motori diesel in compenso producono una quantità decisamente maggiore di inquinanti e in particolare di particolato fine (PM 10) e di ossidi d'azoto. In molte città italiane più della metà delle polveri sottili proviene dai motori diesel. Se avete intenzione di acquistarne uno, scegliete assolutamente quelli già dotati di “trappole” o filtri contro il particolato (detti in genere FAP, dal brevetto di una nota casa automobilistica francese). Alcune città e intere regioni italiane bloccano la circolazione per auto e camion che non ne sono dotati. Ed è probabile che leggi regionali o ordinanze di sindaci obblighino nei prossimi mesi l'adozione di filtri anche sulle auto già circolanti. Il metano (e in misura minore il GPL) costa la metà della benzina, ma purtroppo ha una rete di distributori molto carente in alcune regioni. Mentre per le auto a gas nuove, progettate cioè per andare a metano, è dimostrato il minore inquinamento (quasi assenza di particolato, 20% in meno di emissioni di CO2). Molto promettenti infine, ma ancora costose, le auto ibride (motore termico ed elettrico): modelli di punta sono quelli proposti dalla Toyota e dalla Honda, entrambe con nuove versioni 2009. Trattandosi di auto grosse e molto brillanti, hanno rendimenti ed emissioni molto contenuti nella categoria, ma sostanzialmente analoghi a quelli delle più parsimoniose utilitarie a gasolio e benzina. E i biocombustibili? Sono un'ottima soluzione per ridurre le emissioni di gas che provocano cambiamenti climatici (in particolare anidride carbonica), ma sono solo un po' meno inquinanti rispetto ai combustibili tradizionali. Nei paesi stranieri, i biocombustibili fino all'anno scorso sono stati incentivati molto più che in Italia. Ma è vero che si può aggiungere olio di colza, comprato nei supermercati, direttamente nel serbatoio? Ebbene sì, è vero. D'altronde un secolo fa i motori andavano a olio vegetale e alcol. Su quasi tutti i modelli di auto diesel si può tranquillamente aggiungere un 10% circa di olio di colza al pieno di gasolio, così come per le auto a benzina una percentuale analoga di etanolo (alcol etilico). Il problema è che si è in aperta violazione delle leggi sulle accise dei combustibili e che l'aggiunta

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manuale di biocombustibili non è proprio di grande comodità. Attenzione poi ai costi ambientali complessivi dei biocarburanti, talmente alti da rendere poco conveniente, anche dal punto di vista ambientale, la sostituzione con i combustibili fossili. La trasformazione industriale delle biomasse in carburante richiede lavorazioni talvolta onerose dal punto di vista energetico, così come la stessa produzione, in taluni casi a discapito di quelle alimentari. Molto diversa è la produzione di alcuni biocombustibili da scarti agricoli. Di grande interesse è la diffusione in Svizzera del metano di origine biologica per l'autotrazione. Derivato dalla fermentazione in assenza di ossigeno (serbatoi stagni) di materiale organico vegetale o dalle deiezioni degli animali d'allevamento, il "biogas" è composto in prevalenza da metano impiegabile direttamente per l'alimentazione dei serbatoi dei veicoli, una volta depurato da gas inerti e inquinanti. Nella confederazione elvetica gli automobilisti possono scegliere tra il “gas naturale” (con il 25% di biometano) e il Kompostgas (50% biometano).

Consigli

1. Per chi deve acquistare un'auto nuova, non andate mai al di sopra dei 140 grammi di CO2 al Km.

2. Acquistare un'auto nuova a metano: pochi vantaggi per i consumi di energia, ma notevole per l'inquinamento e per il portafoglio. Costo indicativo: 2.000 euro in più dell'analogo modello a benzina.

3. Sia diesel che benzina, valutare attentamente costi di gestione e consumi di carburante. Se diesel, ricordate che il filtro antiparticolato sarà prescritto per legge.

4. Auto ibride (benzina + elettriche). Sono fantastiche sia per i bassi consumi che per il basso inquinamento. Ma non c'è verso di spendere meno di 25.000 euro.

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L’AUTO È DA ELIMINARE L'automobile è, per il singolo come per la famiglia, la seconda voce di spesa dopo l'abitazione, sia per l'acquisto, che per il combustibile e il mantenimento. Rappresenta generalmente il più alto contributo individuale all'inquinamento ambientale. Secondo LeasePlan (grande società di noleggio a lungo termine) nel 2007 abbiamo speso, per 40 milioni di autoveicoli, 213 miliardi di euro, il 14% del nostro PIL! Solo in carburante, nel 2006, abbiamo speso quasi 59,7 miliardi. Ecco la spesa media per una automobile.

Tabella: Prezzi e costi di esercizio 2006 per una autovettura media a benzina da 1001 a 1500 cc (Elaborazione: Ufficio Studi LeasePlan su dati Aci).

VOCE DI COSTO EURO/ANNO % Prezzo d'acquisto su strada 13.463 Costo di esercizio (15.000 km annui) 5.862 100% di cui: - Ammortamento 1.902 32% - Bollo 156 3% - Assicurazione R.C. 1.331 23% - Carburante 1.296 22% - Pneumatici 226 4% - Manutenzione e riparazione 951 16% Dopo l'assicurazione, negli ultimi due anni la voce di costo in maggiore crescita è il carburante tanto che nel corso del 2006 e del 2007 i consumi di combustibili sono leggermente calati, con la sola eccezione del metano. Nonostante la crescita inarrestabile dei costi dei combustibili, mantenere un'automobile costa molto anche se la si tiene ferma al bordo marciapiede: si arriva a spendere non meno di 3.000 euro all'anno. Garage e meccanico esclusi. I primi 5 mila chilometri ci costano altri mille euro (tra combustibile, manutenzione e ricambi): e siamo già a più di 4 mila euro. Poco meno di un euro a chilometro. Crescendo l'uso il costo a chilometro si riduce, ma la spesa complessiva aumenta. Per chi fa pochi chilometri rischia davvero di essere una spesa notevole, e soprattutto, un fastidio (burocrazia, meccanici). Liberi di fare un po' di conti: presso il sito dell'Aci potete calcolare il costo medio annuo di gestione di un auto in funzione del suo valore e dei chilometri percorsi. Sul sito del servizio di car sharing (auto in condivisione senza vincolo di possesso) di Milano si può anche calcolare la convenienza o meno a rinunciare all'auto propria. E infatti tre quarti degli iscritti al servizio

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milanese di car sharing non sono più proprietari di auto. Non più solo in città come New York e Londra, ma anche a Milano, Bologna, Firenze, Torino e Genova, tanti abitanti non possiedono auto propria e usano solo i mezzi pubblici e all'occasione, il taxi. Milano dal 1990 ha “perso” 185.000 auto, Firenze 48.000, Bologna 42.000. La tendenza, però, non è uniforme: Roma ne ha aggiunte 170.000 e Napoli 82.000. L'abbonamento annuale o mensile ai mezzi pubblici in molte città è più conveniente dell'acquisto occasionale di biglietti. Certo, nelle nostre grandi aree urbane l'offerta di mezzi pubblici non regge il confronto con l'estero: il numero di posti offerti per chilometro percorso e per ogni chilometro quadrato di superficie cittadina è di 392 a Milano, 360 a Torino, 112 a Roma, 5.100 a Londra, 3.000 a Monaco di Baviera, 1.500 a Parigi. Conviene quindi usare i mezzi pubblici e il treno per i percorsi più lunghi, e la bicicletta per gli spostamenti urbani. A Ferrara, ad esempio, grazie a posteggi e piste ciclabili, il 31% degli spostamenti cittadini avvengono in bicicletta, quanto in Olanda. Il modello non è dunque da cercare lontano. L'uso della bicicletta dovrebbe essere più facile nelle piccole e medie città, dove gli spostamenti sono mediamente inferiori ai 3 chilometri. Per i tratti più lunghi e nelle città più popolate, si fa invece sentire la mancanza di piste ciclabili (in Germania la rete nazionale è di 35.000 chilometri, in Italia poco più di mille). Pedalare è inoltre un buon modo per mantenersi in forma e di buon umore: si bruciano 4 o 5 calorie al minuto! Il futuro è negli interscambi tra diverse modalità di trasporto: da casa esco in bicicletta (oppure la trovo a noleggio), che poi posso facilmente parcheggiare alla stazione o presso la fermata dell'autobus, o persino portare sul treno o in metropolitana. Gli orari dei mezzi, se ben sincronizzati, permettono il rispetto delle coincidenze. Diffusi servizi di noleggio possono mettere a disposizione l'auto o il furgone quando indispensabile. Un bell'impulso a forme di mobilità diverse dall'auto privata può arrivare non solo dai Comuni, ma anche dai datori di lavoro. La proposta è quella di erogare ai dipendenti dei “ticket trasporto” del tutto simili ai “ticket restaurant”, spendibili per tutte le forme di mobilità possibili: mezzi pubblici e car sharing, ma persino per acquistare una bicicletta e pagarsi l'assicurazione o per la benzina dell'auto usata insieme (car pooling) tra più dipendenti per compiere tragitti comuni casa–ufficio e ritorno. Il costo del ticket è senz'altro una parte della retribuzione del dipendente, ma ha il vantaggio di non essere tassata come costo del lavoro. Decisamente un bel vantaggio per tutti. Allora, se dovete comprare la vostra prima macchina o sostituire quella vecchia, è l'occasione per fare due conti. Se, ad esempio, ritenete di viaggiare meno di 10mila chilometri con una spesa prevista di 4.500 euro e abitate vicino ad una fermata di

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mezzi pubblici che vi può portare tutti i giorni sul lavoro, allora correte a fare l'abbonamento annuale ai mezzi pubblici: costerà tra i 200 (Roma e Napoli) e i 400 euro (Milano e abbonamenti integrati per l'hinterland). Calcolate che una corsa in taxi di 15 minuti costa circa 12 euro. 50 corse in taxi all'anno (1 alla settimana) costano 600 euro. L'iscrizione ad un servizio di car sharing e l'uso di un auto condivisa per 50 volte per fare ben 1500 chilometri all'anno, costa circa 1500 euro. L'autonoleggio per qualche week-end (quando costa meno) e per il luogo dove andrete in vacanza: altri 800 euro. Totale: poco più di 2.000 euro, meno della metà di quanto avreste speso con l'auto. Ma dal 2008 c'è l'ecoincentivo anche per chi rottama la vecchia auto e non ne compra una nuova: un contributo di 800 euro in tariffa chilometrica ai servizi di car sharing che il gestore del servizio locale vi scalerà dalla fattura. Il futuro della mobilità urbana è fatto di soluzioni on demand.

Consigli

1. Abbonatevi ai mezzi pubblici, particolarmente interessanti i pacchetti integrati. L'abbonamento annuale varia tra i 200 e i 400 euro all'anno.

2. Associatevi ad un servizio di car sharing se abitate o vi recate spesso in una delle città dove è presente. Abbonarsi costa in genere 100-200 euro all'anno.

3. Usate la bicicletta. 4. In mancanza di alternative, usate i taxi. 5. Vendete l'automobile o rottamatela: potete usufruire degli ecoincentivi.

IL SUV, L’AUTO DEI “PATACCA”! In ottobre 2007 gli studiosi di antropologia culturale dell'Università La Sapienza di Roma hanno presentato una ricerca che ha coinvolto 6.000 giovani sugli stili di guida. Ne emerge il ritratto dell'indisciplinato della strada: in maggioranza maschio, tra 18 e 35 anni, sogna il Suv, ritiene che la trasgressione in strada sia eccitante e segno di distinzione, viola le regole sentendosi più furbo dei controlli e la fa franca. E così il guidatore di Suv, stando agli studi del governo inglese, guida con una mano sola (55%), telefona (10%), non allaccia la cintura (20%), hanno il 27% di probabilità in più di essere coinvolti in incidenti, vengono più spesso fermati dalla polizia. I grandi fuoristrada da città, in continua crescita di immatricolazioni (oltre il 10% del mercato) in Italia sino all'inizio di quest'anno, sono un fenomeno in espansione in tutto il mondo: un fenomeno che viene dagli Usa, dove rappresentano già il 20% del parco auto circolante.

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I Suv sono i porta-bandiera di un processo di regresso tecnologico che sta portando ad una perdita di efficienza energetica nel trasporto privato su gomma. L'aumento della stazza media delle auto minaccia infatti di vanificare tutte le conquiste fatte dalla ricerca per ottenere motori più efficienti. I 10 Suv più venduti in Italia hanno consumi urbani del 60-70% superiori rispetto a quelli delle 10 auto più vendute. All'inefficienza si associa l'ingombro: 4,50 – 4,80 metri di lunghezza in media con picchi di 5 metri, per larghezze che in media si aggirano intorno

ai 1,9 metri, rappresentano stazze pachidermiche che non solo recano disturbo agli altri ma che procurano grave impaccio agli stessi conducenti. Tanto più se consideriamo che i possessori di Suv sono per lo più abitanti di città che mai useranno l'auto per andare su percorsi accidentati. Prova ne è che solo 4 dei 10 modelli di SUV più venduti in Italia sono dotati di ridotte, le marce adatte alla guida fuoristrada. Spesso chi acquista un Suv lo fa perché crede che siano auto molto sicure: forse per questa ragione se ne vedono tanti ad accompagnare i bambini a scuola. Ma non sempre è così. Il baricentro è molto alto e dà una forte instabilità alla vettura. Dalle prove su strada effettuate da Quattroruote emerge che “in certe manovre d'emergenza le fuoristrada risultano più impacciate, meno agili e disinvolte e quindi per costituzione più inclini all'incidente”. Questa grande instabilità si traduce anche in un forte pericolo di ribaltamento: per un Suv le probabilità di ribaltarsi in caso di incidente che coinvolge un solo veicolo sono quasi tre volte più alte che per una normale autovettura. Gli spazi di frenata in media sono notevolmente più lunghi che nelle normali automobili a causa della possente massa inerziale. Altri problemi derivano dalla rigidità: se è vero che essa offre protezione negli impatti con i veicoli più piccoli (“effetto schiacciasassi”) è anche vero che la rigidità può diventare molto pericolosa nel caso di scontri con veicoli di massa superiore (per esempio autocarri) o peggio con barriere fisse indeformabili. In questi casi i corpi degli occupanti sono sottoposti a sbalzi di accelerazione spesso letali. L’Ospedale per bambini di Filadelfia ha pubblicato uno studio (su 3.933 ricoverati da 0 e 15 anni) sul giornale Pediatrics (2005) nel quale si dimostra che i rischi di ferite per i bambini che viaggiano su una Sport Utility sono i medesimi, e non inferiori, rispetto a quelli di un’auto normale. I rischi di ribaltamento durante gli incidenti annullerebbero, infatti, i vantaggi offerti dalla “mole” maggiore. In caso di incidente, il ribaltamento avviene nel doppio dei casi rispetto alle altre auto; se un Suv si ribalta, il rischio di ferite aumenta di ben 25 volte se il bambino non è correttamente legato ad un seggiolino, o alle cinture di sicurezza, e, in questo caso, il 41% dei bambini subisce ferite gravi.

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L'effetto schiacciasassi. Non completamente sicuri per gli occupanti, i Suv, a causa del loro peso, rigidità del telaio e altezza sono auto molto pericolose per i pedoni, i ciclisti e tutti quegli automobilisti che non sono disposti (o in grado) di spendere migliaia di euro per queste specie di carri armati. Ricerche condotte dalla Insurance Institute for Highway Safety (IIHS), istituto finanziato dalle società di assicurazione Uuv, hanno dimostrato che nel caso di scontri laterali tra un Suv e un'auto normale le possibilità di avere un morto sono 5,6 volte superiori che non negli scontri tra due auto normali. Alto il pericolo anche nel caso di scontri frontali: l'altezza e la massa del Suv innescano l'effetto schiacciasassi, il Suv monta sul cofano dell'auto normale, schiacciandolo ed entrando con il muso nel parabrezza. Nel 56.3% degli incidenti mortali che coinvolgono un auto normale e un Suv, il morto era a bordo dell'auto normale, mentre solo nel 17,6% dei casi era a bordo del Suv. Il problema della scarsa sicurezza verso terzi è aggravato dalla presenza delle cosiddette bull bars, i paraurti sporgenti e rafforzati che rendono ancora più disastrosi gli impatti. Già nel 2001 una direttiva del Consiglio Europeo (26/11/2001) imponeva di vietare questi paraurti, ma per il momento solo la Danimarca l'ha recepita. Un altro problema è quello della scarsa visibilità rispetto a quello che succede in basso: passanti e soprattutto bambini di bassa statura rischiano di rimanere fuori dal campo visivo del guidatore di Suv in manovra. Se tutte queste ragioni vi bastano, dopo aver venduto il vostro (eventuale) macchinone, impegnatevi a limitarne la circolazione. Come? Ecco delle proposte:

• il comune di Firenze ne ha vietato la circolazione in centro. L'associazione delle case automobilistiche straniere ha presentato ricorso al Tribunale e ha perso: divieto confermato (l'ordinanza si trova sul web);

• il comune di Parigi ha stabilito una tariffa di parcheggio maggiorata, motivata dalle dimensioni dei Suv;

• il comune di Londra, nell'area di pedaggio del centro, farà pagare 25 sterline al giorno (33 euro) le auto con emissioni superiori a 225 grammi di CO2 al chilometro: ci rientrano tutti i grandi Suv e le auto sportive. In più, se il proprietario è residente, perde la possibilità di usufruire di abbonamenti scontati;

• Legambiente ha proposto l'obbligo di un esame di guida particolare per la guida di veicoli di peso elevato;

• tassa di possesso maggiorata (bollo); • far rispettare il divieto delle bull bars previsto dalla direttiva 26/11/2201 del

Consiglio Europeo, vera e propria arma ammazza pedone.

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Consigli

1. Se ancora non l'avete chiaro: vendete il Suv. 2. Organizziamoci in Comitati e Associazioni per espellere i Suv dalle città. 3. Chiedete di tassare i veicoli in proporzione ai consumi, all'ingombro e all'inquinamento.

W LA BICICLETTA! Per la maggior parte degli spostamenti urbani la bici è imbattibile in quanto a velocità, se si considerano i tempi di percorrenza effettivi, “da portone a portone”, ossia si includono anche tempi morti come i tempi di parcheggio o di attesa dell'autobus. La bici non conosce code, può fare scorciatoie, passare dalle aree pedonali e dai parchi e per questo in centro è più veloce anche di moto e di scooter. Il confronto con gli altri mezzi è ancora più schiacciante se si considerano gli spostamenti inferiori ai 5 km, che rappresentano oltre la metà degli spostamenti quotidiani con mezzi motorizzati in Italia.

La bici non va in letargo. Molti pensano che la bici sia solo per la bella stagione. Niente di più sbagliato. Come ci insegnano i cittadini del Nord Europa, per la bici invernale servono solo l'abbigliamento e l'alimentazione giusta. Chi abita la fredda Val Padana ed è abituato allo sci, non dovrebbe certo spaventarsi di fronte a un po' di attività outdoor invernale. Per l'abbigliamento, meglio prediligere materiali traspiranti e impermeabili ma non troppo pesanti, perché in bici ci si scalda parecchio. Per la dieta servono

abbondanti carboidrati. Non teme la pioggia. Per affrontare la pioggia basta la giusta attrezzatura. In commercio ci sono ottime mantelle, che coprono benissimo gambe e busto. Occhio a giacche e pantavento impermeabili non traspiranti: finirete per trovarvi bagnati all'interno, per via della traspirazione. Per le scarpe meglio portarsi un ricambio o i copriscarpa. Bici station wagon. Opportunamente attrezzata la bici è adatta anche al trasporto di materiali voluminosi come la spesa settimanale. In commercio esistono soluzioni da trasporto di vario tipo. La soluzione più semplice è il rimorchio, con capacità fino ai 40

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litri, che si può montare e smontare all'occorrenza. Per carichi più ingombranti esistono speciali bici e tricicli. Rivolgetevi ai migliori rivenditori di bici. Il comune di Reggio Emilia con il Conad ha introdotto un carrello speciale per la spesa da bicicletta con una capienza da 150 litri: può essere noleggiato o comprato. Flotte aziendali. La società Comieco, una delle tante con uffici nel centro di Milano, è stata premiata da Legambiente perché ha offerto a tutti i propri addetti una bici aziendale, comprensiva di rastrelliera in cortile, caschetto e copertura assicurativa di responsabilità civile (l'RC bici). Altre bici aziendali diffuse un po' in tutta Italia, sono quelle dei vigili urbani e dei postini. Recentemente anche Comune, Provincia di Milano e Regione si sono dotate di flotte a pedali per i propri dipendenti, come ha fatto il Politecnico per docenti e studenti. La legge (DL 38/2000) riconosce per la prima volta l'infortunio in itinere come possibile estensione degli infortuni sul lavoro: il lavoratore viene così tutelato nel tragitto da casa al lavoro se avviene a piedi o con i mezzi pubblici, mentre l'uso del mezzo privato è riconosciuto solo se “necessitato” (cioè se non esistono alternative). Le associazioni ciclistiche e ambientaliste chiedono che l'uso della bicicletta sia considerata alla stessa stregua dell'andare a piedi o con i mezzi pubblici, così come avviane in diverse città e Paesi (vedi tabella 1): a Bolzano il 32% degli spostamenti in bicicletta sono per andare al lavoro, il 27% per andare a scuola, il 22% per commissioni e acquisti, solo il 19% nel tempo libero. Tabella1: Percentuale d'uso della bicicletta sull'insieme degli spostamenti quotidiani della popolazione

PAESE SPOSTAMENTI BICILETTA

CITTA' ABITANTI SPOSTAMENTI BICICLETTA

Olanda 27% Amsterdam 736.000 27% Danimarca 19% Copenaghen 499.000 20% Germania 10% Graz 287.000 14% Austria 9% Colonia 966.000 11% Svizzera 9% Zurigo 364.000 7% Belgio 8% Svezia 7% Ferrara 130.000 31% Francia 5% Bolzano 94.000 21% Italia 5% Modena 175.000 9% Irlanda 3% Firenze 356.000 6% Rep.Ceca 3% Milano 1.256.000 5% Regno Unito 2%

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Assicurazione. Nate in Svizzera, le assicurazioni responsabilità civile (Rc) per ciclisti sono una buona norma. Succede raramente, ma quando la causa dell'incidente è il ciclista e per combinazione i danni subiti da terzi sono di grave entità (pensate ad una macchina che esce di strada per evitare un ciclista indisciplinato), il ciclista è chiamato a rispondere personalmente dei danni. La Federazione degli amici della bicicletta ha studiato e offre ai suoi soci polizze concordate con società di assicurazioni. Piste ciclabili. A Helsinki si sono predisposti 200 metri di piste ciclabili ogni 100 abitanti, a Stoccolma 96, a Heidelberg 82, a Vienna 61, a Dresda 55, a Berlino 18, a Lione e Parigi 13. La prima città d'Italia è Ravenna con 32, ma la prima grande città, equiparabile per dimensioni a quelle europee citate, è Bologna con 7, Torino con 3,6, Milano con 1,8 e Roma con 1,5. Se volete una mappa delle piste ciclabili romane basta cercare sul sito del comune di Roma “piste ciclabili.pdf”. Bici + treno. La storia delle biciclette e dei treni in Italia ha del rocambolesco. Ad imitazione di quanto succedeva all'estero, una quindicina d'anni fa le Ferrovie dello Stato introducono su tutti i treni locali le carrozze per biciclette con un notevole e lodevole investimento. Ad esse viene associato un biglietto giornaliero e un abbonamento annuale per portare la bici sul treno (80mila lire di allora). Ma l'abbonamento non viene pubblicizzato e si deve litigare per ottenerlo presso le biglietterie delle principali stazioni. Quando poi le ferrovie locali passano a società regionali di Trenitalia, rimangono i treni ma scompare l'abbonamento. Ragione? “Tanto nessuno lo chiedeva” è la risposta che i responsabili delle associazioni ciclistiche si sentono dare. Insistiamo per riottenere l'abbonamento: “Ma se lo chiedete in tanti avremo dei problemi di caricamento dei ciclisti” rispondono le ferrovie. Così in Lombardia si è ottenuto il ritorno dell'abbonamento annuale (60 euro per gli associati Legambiente, Fiab e Wwf, 80 per gli altri). Sono seguite altre regioni: dal 2007 in Puglia il trasporto delle biciclette è gratuito. A Milano il week-end si può portare la bicicletta anche sulla metropolitana. Un suggerimento: andare sul sito web delle ferrovie svizzere per sognare. Al via il bike sharing? E' già una realtà anche in Italia in 14 comuni italiani come Parma, Bari, Reggio Emilia, Prato, Pistoia, Cuneo, Novara e altri centri minori del Piemonte, con un migliaio di biciclette in tutto. Dovrebbe partire a Milano nel 2008 un servizio a noleggio automatizzato di biciclette simile a quello già attivo a Parigi con 10 mila bici, Barcellona, Lione. Il modello Parigi è basato su un sistema di sblocco con carta magnetica del lucchetto elettronico della bicicletta nei numerosissimi parcheggi sul suolo pubblico, un abbonamento annuale dal costo di 25 euro l'anno, 3 euro per una settimana. Le bici saranno gratuite per la prima mezz'ora, poi si paga 1 euro all'ora.

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Sempre grazie alle tessere elettroniche gli utenti registrati possono pagare, ritirare e restituire le due ruote da postazioni diverse. A Parma una “Mobility card” gratuita consente un noleggio gratuito di biciclette elettriche di 4 ore al mese e di un voucher del valore di 15 euro per i successivi utilizzi di bike sharing.

Consigli

1. Una buona bicicletta da città, con robusto lucchetto, casco e mantella per la pioggia: fatevi anche una assicurazione RC.

2. La bicicletta aziendale dovrebbe entrare nella responsabilità sociale delle imprese e nella contrattazione di lavoro.

3. Per il futuro, il bike sharing e il noleggio delle biciclette, non solo per turismo.

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RIFERIMENTI

- “Efficienza energetica degli edifici”, Cappello Muro, Editore Grafill, 2008

- “Gestione dei sistemi energetici”, Giacone Elena, Gabriele Pietro, Mancò Salvatore, Editore Politeko, 2008

- “Efficienza energetica in edilizia”, Travisi Antonio, Laforgia Domenico, Ruggero Francesco, Maggioli Editore, 2007

- “Le energie rinnovabili”, Carnazzi Stefano, Editore Xenia, 2007 - “Energetica”, Cuculo Mario, Kaliakatsos Dimitrios, Marinelli Valerio,

Editore Pitagora, 2006 - “Economia all’idrogeno”, Rifkin Jeremy, Editore Saggi Mondatori,

2002 - “Energia, natura e civiltà. Un futuro possibile?”, Bertani Carlo, Giunti

Editore, 2003 - www.legambiente.it - www.cened.it - www.qualenergia.it - www.sacert.eu - www.enea.it - www.anit.it - www.confedilizia.it - www.viviconstile.org - www.acs.enea.it - www.premioinnovazione.legambiente.org - www.vaillant.it - www.buderus.it - www.topten.ch - www.costruire-bene.ch - www.assolterm.it - www.fonti-rinnovabili.it - www.energiacomune.org - www.gsel.it - www.assosolare.org - www.eerg.it - www.autorita.energia.it

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