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Cambiamo, Allora Siamo. Apprendere il paradigma dell’action research. 1. Una paternità discussa: le origini dell’Action Research. A Kurt Lewin si riconosce generalmente il merito di aver introdotto il termine “action research”, definendola come un modo di generare conoscenza su un sistema sociale nello stesso momento in cui si prova a cambiarlo. In effetti, anche solo attraverso uno sguardo superficiale alla letteratura prodotta attorno all’AR 1 , è evidente l’influenza esercitata dal pensiero di Lewin nonostante lo stesso abbia scritto relativamente poco su questo argomento e la sua morte prematura abbia interrotto i suoi esperimenti di AR di cui daranno poi testimonianza i suoi allievi e altri ricercatori. Sebbene sia ragionevole affermare che a Lewin «è toccato il ruolo di colui che ha distillato l’essenza di una nuova idea emergente così bene da avere associato per sempre il proprio nome a quell’idea» (Russett 1966 - cit. in Samà, 2007, p 17), ci sono altre tradizioni che meritano un riconoscimento. Alcuni autori sottolineano l’esistenza di altre figure contemporanee a Lewin fondative dell’AR che contribuirono alla nascita e allo sviluppo di questo nuovo approccio. McKernan afferma che vi sono prove dell'uso dell’AR da parte di una serie di riformisti sociali prima di Lewin: Collier nel 1945, Lippitt e Radke nel 1946 e Corey nel 1953 (McKernan 1991, p 8). Secondo Hodgkinson, le origini dell’AR possono essere ricondotte al testo di Breakingn, intitolato Research for Theachers. Kemmis e altri (1982), citando Corey sull’effettiva origine dell’AR, la riconducono al lavoro di Collier (Hart e Bond 1995). Secondo Neilsen la paternità del termine andrebbe attribuita a Collier in ragione della sua pubblicazione nel 1945, cioè un anno prima dell’articolo di Lewin, dell’articolo “United States Administration as Laboratory of Ethnic Relations”: «While not the primary focus of the article, Collier argued that what he called action research was the primary vehicle through which he accomplished his objectives» 2 . Altri due autori, Altrichter e Gstettner, hanno recentemente fatto un pò di luce sulla presunta paternità di Lewin, affermando che nel momento in cui Lewin si recò negli Stati Uniti, era stato molto influenzato dal pensiero di Moreno. Quest’ultimo aveva già elaborato una profonda critica nei confronti delle scienze sociali convenzionali e si era fatto fautore di un approccio partecipativo 1 In questa dispensa seremo l’abbreviazione AR. L’uso del termine inglese Action Research non è casuale, ma è indicativo della scelta della letteratura, delle elaborazioni e delle posizioni proprie del dibattito e della tradizione anglosassone quale riferimento. 2 «Anche se non è l'obiettivo principale di questo articolo, Collier ha sostenuto che ciò che egli chiama action research è stato il veicolo principale attraverso il quale ha portato a termine i suoi obiettivi».

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“Cambiamo, Allora Siamo”.

Apprendere il paradigma dell’action research.

1. Una paternità discussa: le origini dell’Action Research.

A Kurt Lewin si riconosce generalmente il merito di aver introdotto il termine “action research”,

definendola come un modo di generare conoscenza su un sistema sociale nello stesso momento in

cui si prova a cambiarlo. In effetti, anche solo attraverso uno sguardo superficiale alla letteratura

prodotta attorno all’AR1, è evidente l’influenza esercitata dal pensiero di Lewin nonostante lo stesso

abbia scritto relativamente poco su questo argomento e la sua morte prematura abbia interrotto i

suoi esperimenti di AR di cui daranno poi testimonianza i suoi allievi e altri ricercatori.

Sebbene sia ragionevole affermare che a Lewin «è toccato il ruolo di colui che ha distillato

l’essenza di una nuova idea emergente così bene da avere associato per sempre il proprio nome a

quell’idea» (Russett 1966 - cit. in Samà, 2007, p 17), ci sono altre tradizioni che meritano un

riconoscimento. Alcuni autori sottolineano l’esistenza di altre figure contemporanee a Lewin

fondative dell’AR che contribuirono alla nascita e allo sviluppo di questo nuovo approccio.

McKernan afferma che vi sono prove dell'uso dell’AR da parte di una serie di riformisti sociali

prima di Lewin: Collier nel 1945, Lippitt e Radke nel 1946 e Corey nel 1953 (McKernan 1991, p

8). Secondo Hodgkinson, le origini dell’AR possono essere ricondotte al testo di Breakingn,

intitolato “Research for Theachers”. Kemmis e altri (1982), citando Corey sull’effettiva origine

dell’AR, la riconducono al lavoro di Collier (Hart e Bond 1995). Secondo Neilsen la paternità del

termine andrebbe attribuita a Collier in ragione della sua pubblicazione nel 1945, cioè un anno

prima dell’articolo di Lewin, dell’articolo “United States Administration as Laboratory of Ethnic

Relations”: «While not the primary focus of the article, Collier argued that what he called action

research was the primary vehicle through which he accomplished his objectives»2.

Altri due autori, Altrichter e Gstettner, hanno recentemente fatto un pò di luce sulla presunta

paternità di Lewin, affermando che nel momento in cui Lewin si recò negli Stati Uniti, era stato

molto influenzato dal pensiero di Moreno. Quest’ultimo aveva già elaborato una profonda critica

nei confronti delle scienze sociali convenzionali e si era fatto fautore di un approccio partecipativo

1 In questa dispensa seremo l’abbreviazione AR. L’uso del termine inglese Action Research non è casuale, ma è

indicativo della scelta della letteratura, delle elaborazioni e delle posizioni proprie del dibattito e della tradizione anglosassone quale riferimento. 2 «Anche se non è l'obiettivo principale di questo articolo, Collier ha sostenuto che ciò che egli chiama action research

è stato il veicolo principale attraverso il quale ha portato a termine i suoi obiettivi».

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in cui la ricerca attiva del cambiamento conduce all'autonomia e alla spontaneità creativa. Anche

per Moreno la ricerca è una parte e un presupposto essenziale del cambiamento sociale (Kemmis,

1993, p 1).

Lungo tutto il periodo che attraversa le due guerre l’AR prese forma e si sviluppò a partire da

ulteriori padri fondatori. Sin dagli anni trenta il Tavistock Clinic avvia tutta una serie di lavori

clinici e sociali che condurranno nel 1946 alla nascita del Tavistock Institute of Human Relations.

Nato nel 1947 grazie a una sovvenzione concessa al Tavistock Clinic, all’interno di questo istituto

di ricerca privato, prende forma un approccio simile a quello Lewiniano: anche in questo caso si

assegna alle scienze sociali il compito di affrontare e risolvere questioni di rilevanza sociale, ancor

prima che teorica e conoscitiva.

Come sottolineano da J Neuman è evidente l’influenza che il pensiero di Lewin ha esercitato

tanto sull’identità professionale quanto sull’approccio al lavoro del Tavistock. Tuttavia l’autrice

specifica che Lewin è stato uno “shadow founder” del Tavistock in quanto ha esercitato la sua

influenza «not through an actual presence, but through ‘relatedness’. That is, The Tavistock

Institute’s initial staff enacted a significant relationship in their minds with Kurt Lewin and his

ideas. As the early volumes of Human Relations demonstrate, Institute staff worked in Britain, while

Lewin’s colleagues worked in America. Together and separately they prepared the ground for

several fields that eventually constituted applied social science. Furthermore, that relatedness

became embedded in the structural and ideological fabric of the Institute»3 (J Neumann, 2005, p.

119)

In effetti Eric Trist conobbe personalmente Lewin durante una vista di questi a Cambridge nel

1934. Sir Frederick Bartlett, di cui Trist era allievo, doveva incontrare Lewin e invitò Trist a

prendere il tè a casa sua per soddisfare le sue curiosità attorno a questo studioso. Inoltre negli anni

’30 fu suo allievo negli Stati Uniti. Un altro contatto si ebbe quando E. Trist e A. T. Wilson

invitarono Lewin a collaborare alla fondazione della rivista “Human Relations” e appresero con

entusiasmo l’effettiva volontà di Lewin di collaborare. Il primo numero della rivista risale al 1947,

appena prima della morte del Lewin, e su di esso appare l’unico contributo di Lewin. Nella sua

autobiografia Trist riconosce in modo esplicito il legame tra il pensiero di Lewin e l’approccio

socioclinico, sottolineando come lui stesso fosse considerato il suo “rappresentante” in Gran

Bretagna (Kaneklin, 2010, p 45). Verso la fine della sua carriera Trist individuerà nell’AR

3 «non attraverso una presenza reale, ma attraverso la ‘relatedness’. Cioè, il personale iniziale del Tavistock Institute

ha instaurato una relazione significativa nelle loro menti con Kurt Lewin e le sue idee. Come i primi volumi di Human Relations dimostrano, il personale dell'Istituto ha lavorato in Gran Bretagna, mentre Lewin e colleghi hanno lavorato in America. Insieme e separatamente hanno preparato il terreno per diversi campi che alla fine hanno costituito le scienze sociali applicate. Inoltre, tale ‘relatedness’ è stata incorporata nel tessuto strutturale e ideologico dell'Istituto». Il termine ‘relatedness’è difficile da tradurre in italiano, il termine utilizzato in letteratura e che più si avvicina al concetto è “correlazioni mentali”.

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l’elemento essenziale rispetto alla possibilità di fondare una psichiatria sociale e nella teoria del

campo di Lewin un concetto altrettanto importante perché fondante la costruzione della prospettiva

socio-psicologica che caratterizza il Tavistock:

«appealed to several of the Tavistock psychiatrists’ were Lewin’s emphasis on the here-and-now,

the Galilean as opposed to the Aristotelian philosophy of science ... the theory of joint causation

expressed in the formula B = f(P,E) and ... his work on group decision-making and on the dynamics

of social change»4 (Trist & Murray, 1990)

È indiscutibile che, fin dall'inizio e per i primi 25 anni della sua storia, nel Tavistock si è fatto

esplicitamente riferimento alla teoria di Lewin e si esplicitamente sperimentata e applicata l’AR.

Tuttavia c’è una differenza fondamentale nelle due tradizioni: mentre nel pensiero di Lewin lo

studio di un problema sociale e gli sforzi per una sua soluzione sottostavano a un approccio tipico

della psicologia sperimentale, i fondamenti teorici dei ricercatori del Tavistock, istituito proprio per

affrontare problemi sociali e avviare possibili soluzioni, ruotano attorno alla psicoanalisi e alla

psicologia sociale e a un’impostazione mutuata dal Tavistock Clinic. Sin dalle sue origini il

Tavistock Institute of Human Relations ha messo al centro della propria analisi le relazioni umane

nelle organizzazioni sviluppando «a research approach to organizational consultancy which,

although the term ‘action research’ was not specifically used to described it until the 1960, is

acknowledged as pioneering»5 (Hart e Bond, 1995, p 23). In effetti sin dagli anni ‘20 il Tavistock

Clinic opera in Inghilterra, con la duplice finalità di formare diverse figure che lavoravano nel

sociale e fornire un servizio di psicoterapia e psicoanalisi anche a chi non poteva permetterselo. Si

forma in quegli anni un gruppo interdisciplinare (psichiatri, psicoanalisti,psicologi, sociologi,

antropologi) la cui situazione cambia sensibilmente nel periodo bellico in virtù dell’avvio di una

serie di esperienze legate a processi di selezione degli ufficiali e allo studio dei fattori che

influenzavano il morale e l’efficacia dei militari. È in questi anni che si sviluppa l’idea di un

compito soprattutto sociale della psichiatria che doveva quindi superare un’impostazione centrata

sul caso e sul livello individuale. Sul finire della guerra il tema diventa quello del ritorno alla vita

civile: psichiatri e psicoanalisti inglesi furono chiamati a prendersi cura dei reduci di guerra affetti

da disturbi psichici. Si avviano così una serie di sperimentazioni e esperienze terapeutiche

accomunate dalla volontà di applicare la psicoanalisi all’interno dell’organizzazione sociale

4 «l’interesse di alcuni degli psichiatri del Tavistock era dato dall'enfasi di Lewin sul qui-e-ora, il Galileano opposto

all’Aristotelica filosofia della teoria della causalità congiunta espressa nella formula B = f (P, E) e... il suo lavoro sulle decisioni di gruppo e sulla dinamica del cambiamento sociale». 5 «un approccio di ricerca alla consulenza organizzativa che, sebbene non sia stato descritto con il termine ‘action

research’ fino al 1960, è riconosciuto come pionieristico».

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dell’ospedale militare di Northfield6. In questo contesto, soprattutto dal punto di vista psicanalitico,

è stato molto importante il ruolo giocato da W. Bion che sperimentò una nuova modalità di lavorare

sui gruppi, portando in primo piano l’importanza del gruppo in sé7. Questa e altre esperienze

maturate in quel periodo, evidenziano che l’approccio di base, arricchito di un’impostazione

multidisciplinare, è quello del «traditional client-consultant model, which was problem-specific in

both perspectives and conclusions»8 (ivi). La responsabilità scientifica del ricercatore si muove su

due livelli: la presa in carico delle domande e la partecipazione e coooperazione dei soggetti

coinvolti rispetto all’attivazione di processi di cambiamento tesi alla risoluzione di quello specifico

problema/domanda. Come sottolineato da Hart e Bond «The Tavistock Institute’s work included a

problem - centred approach, a commitment to establishing relationship with clients over time, a

focus on client needs and an emphasis upon research as a social process […] The consultancy style

of the Tavistock Institute was designed to enable an organization to work through conflict by a

therapeutic process underpinned by action reserach »9 (ivi, p 24).

È indubbio che Lewin e il Tavistock Institute possono essere considerati, ancora oggi, le due

principali forze che hanno determinato lo sviluppo dell’Action Research nel mondo. È possibile

dimostrare una stretta correlazione fra questi e gli sviluppi più recenti dell’AR: ne è un esempio la

“partecipatory action research” che è una forma radicale di ricerca organizzativa connessa tanto

all’esperienze recenti del Tavistock Institute, quanto al costrutto lewiniano di AR. In essa l’enfasi è

posta nella collaborazione che deve esserci tra ricercatore e partecipanti alla ricerca. In questo ha

molto in comune con l’idea lewiniana di action research rispetto alla pratica professionale in cui i

6Nell’ospedale psichiatrico militare di Northfield sono emerse essenzialmente tre esperienze di gruppo a

orientamento psicoanalitico che fanno capo al pensiero di W.R.Bion (analisi di gruppo), S.H.Foulkes (gruppoanalisi), J.Rickman (gruppo senza leaderW.O.S.B.). Sullo sfondo l’influenza esercitata dall’idea provienente dalla psicologia della “Gestalt” tedesca, infatti sul finire del XIX secolo Wilhelm Wundt fece degli esperimenti sulla percezione in cui era centrale la domanda sul come la mente estrae una forma o un pattern ( in tedesco gestalt) dal contesto: si trattava di comprendere il rapporto tra figura e sfondo. Questa idea della “gestalt” è allargata alla psicologia sociale, portando in auge il tema del gruppo, a partire dagli anni ’30 . Foulkes e Lewin rappresentano i due tentativi importanti dell’applicazione di questi principi alla psicologia. Il primo si interessò particolarmente all’opera di un neurologo Kurt Goldstein sulle reti neurali del cervello e traspose il concetto delle connessioni neuronali a quello di matrice comunicativa in un gruppo, in cui gli individui costituiscono i punti nodali (neuroni), inseriti nella configurazione delle comunicazioni tra loro (impulsi). Il secondo costruì la teoria del campo: il campo è l’intera entità sociale, descritto come un sistema di forze interdipendenti in cui gli individui, con specifici ruoli sociali e stati psicologici, agiscono. 7 Nella teorizzazione di Bion il gruppo agisce sempre a due livelli: il gruppo di lavoro che si organizza in virtù del

compito che deve perseguire, e il gruppo di base che si muove a un livello inconscio. Bion ha identificato tre assunti di base (dipendenza, attacco e fuga, accoppiamento) ognuno dei quali può lavorare a un livello implicito, nascosto ed emergere in superficie in caso di difficoltà o insicurezza influenzando il lavoro del gruppo. 8 «tradizionale modello cliente-consulente, che è centrato sul problema sia nelle prospettive che nelle conclusioni».

9«Il lavoro del Tavistock Institute comprende un approccio centrato sul problema, un impegno a instaurare una

relazione con i clienti duratura nel tempo, un focus sulle esigenze del cliente e l'accento sulla ricerca come processo sociale […] Lo stile di consulenza del Tavistock Institute è stato progettato per permettere a un'organizzazione di lavorare attraverso il conflitto con un processo terapeutico sostenuto dalla ricerca-azione».

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ruoli di professionista e ricercatore si fondono, e la tendenza è quella di individuare il processo di

cambiamento.

2. Action Research come “rational social management”

L’itinerario personale e intellettuale di Lewin è imprescindibile dalla situazione vissuta da lui e

dal mondo intero negli anni in cui nasce e si sviluppa il concetto di AR. Erano gli anni tragici in cui

l’Europa assisteva al nascere e all’affermarsi del nazismo. In quegli stessi anni gli Stati Uniti

soffrivano di tutte le difficoltà generate dalla crisi economica cominciata nel 1929 e protrattasi fino

alla vigilia della seconda guerra mondiale. Erano gli anni in cui il mondo si preparava a vivere

l’orrore di un secondo conflitto mondiale. Proprio «the pressures created by Second World had led

to a rapid growth of social psychology on a scale unprecedented in its short history»10

(Cartwright

1948 cit. in Hart e Bond, 1995, p 17), spostando il suo focus dalla ricerca pura alla ricerca applicata

ai problemi sociali. Con l’affermarsi del nazismo Lewin, ebreo tedesco, è costretto a emigrare con

la sua famiglia negli Stati Uniti (1933).

Verso la fine della seconda guerra mondiale, Lewin comincia la sua esperienza presso il

Massachusetts Institute of Technology, dove ha sede il Research Center for Group Dynamics.

Questo centro di ricerca è stato coinvolto non solo in ricerche di stampo accademico, ma anche

negli sforzi per affrontare problemi legati alla discriminazione delle minoranze. Il coinvolgimento

di Lewin rispetto alla questione delle minoranze e della discriminazione razziale è strettamente

legato all’esperienza anti-semita vissuta in Germania che lo condusse a lasciare il suo paese. Sarà

proprio nel tentativo di trovare soluzioni a tali questioni sociali che Lewin si interrogherà sulla

possibilità di sviluppare una metodologia di ricerca nuova. In questo senso l’AR è radicata

nell’interesse di Lewin rispetto ai problemi posti dalla convivenza interrazziale, non solo in

riferimento alla comunità ebraica, ma più in generale rispetto alla società americana di quei tempi.

Il momento in cui il nostro“pratical theorist” esplicita l’idea di AR coincide con gli ultimi anni

della sua vita, a conclusione di un’esperienza trentennale di attività di ricerca. In questo senso

l’elaborazione del concetto si colloca in continuità rispetto alla precedente produzione teorica di

Lewin che costituisce la cornice entro la quale costruire e comprendere il discorso sull’AR. Teoria

del campo, Action research e dinamica di gruppo sono strettamente connesse tra loro nel pensiero di

Lewin: attraverso la “field-theory” l’autore applica al comportamento interpersonale e al concetto di

personalità i principi gestaltici della percezione.

10

«le pressioni create dalla seconda guerra avevano portato ad una rapida crescita della psicologia sociale su una scala senza precedenti nella sua breve storia».

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Il concetto di campo è inteso quale totalità di fenomeni psicologici che agiscono in reciproca

interdipendenza: l'individuo dunque si colloca al centro di un campo di forze ambientali che lo

modificano e che, grazie a lui, si modificano. Il concetto di campo non è il concetto di un campo

fisico ma di uno spazio di vita (life space) dato dalla totalità dei fatti che determinano il

comportamento di un individuo in un certo momento. I motivi del comportamento di una persona

non si ricercano in ciò che e' accaduto alla stessa nel corso della sua vita passata, ma si prendono in

esame le interrelazioni attuali tra la persona e l'ambiente. La teoria del campo elaborata da Lewin ha

trovato applicazione proprio nella psicologia sociale, offrendo importanti spunti rispetto alla

spiegazione sulle dinamiche di gruppo. Il gruppo è visto infatti non come un insieme di persone, ma

come una totalità dinamica, dotata di un'unità propria che trascende i singoli. Non e' quindi una

realtà statica ma dinamica e racchiude in se conflitti, forze e tensioni che producono mutamenti. Nel

gruppo l'azione di ogni persona modifica sia le altre persone che il gruppo stesso, ed anche la sua di

azione (del gruppo), viene modificata sia dalle azioni che dalle reazioni degli altri

(interdipendenza). Nonostante questa dinamicità, il gruppo tenderà sempre all'equilibrio attraverso

l'assestamento delle forze in campo. Il legame tra teoria del campo, dinamica di gruppo e ricerca-

azione cominciò a concretizzarsi nella fondazione dei Training- group, poi noto com T-Group.

Quella dei T-groups può essere definita come una situazione di apprendimento in cui gli individui

che vi partecipano acquistano sensibilità ai fenomeni del gruppo e nel momento in cui si vivono

l'esperienza riflettono su di essa per cambiare. La finalità è proprio quella di stimolare i processi di

cambiamento personali, organizzativi e quindi sociali. Proprio il gruppo, la natura delle sue

dinamiche e lo studio del comportamento in condizioni sperimentali è stato il leitmotiv delle

molteplici esperienze di Lewin: da quelle in laboratorio, ai seminari di formazione, alla fabbrica. Il

gruppo a cui un individuo appartiene è il terreno per le sue percezioni, i suoi sentimenti, e le sue

azioni e attraverso i suoi esperimenti su di esso Lewin fu il primo a mostrare « […] the power of the

group in promoting changes in attitude and behaviour, and this influence is later work on action

research»11

(Hart e Bond, 1995, p 16). L’AR diventa la modalità di ricerca che collega la ricerca

stessa al cambiamento dei sistemi sociali con i quali viene in contatto. Con essa si modifica il

campo di indagine nel momento stesso in cui lo si studia.

Secondo Marrow Lewin si esprime esplicitamente a proposito dell’AR tra il 1944 e il 1945 in

occasione di un suo contributo ai lavori della Commission for Community Interrelations12

: «quando

11

«[…]il potere del gruppo nel promuovere cambiamenti di atteggiamento e di comportamento, e questo ha influenzato il suo successivo lavoro sulla ricerca-azione». 12

La “Commissione per le interrelazioni tra le comunità” realizzava tutta una serie di attività finalizzate a individuare e sperimentare l’efficacia, in termini di utilità sociale, di differenti approcci rispetto alla risoluzione di problemi relativi alla convivenza di gruppi di diverse etnie. Queste attività si concretizzarono, più che in ricerca, in processi formativi che investirono gli operatori di comunità

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parliamo di ricerca, intendiamo dire action research, cioè azione ad un livello realistico, azione

che deve essere seguita da un riconoscimento oggettivo autocratico e da una valutazione dei

risultati. Poiché ci piace apprendere rapidamente, non avremo mai paura di incontrarci davanti

alle nostre deficienze. Noi iniziamo a far si che nessuna azione sia senza ricerca e nessuna ricerca

sia senza azione» (Marrow, 1977 p 223). Lewin connette qui la ricerca e l’azione sottolineando una

necessaria circolarità tra le due: la ricerca deve essere finalizzata a uno scopo, che l’autore ha da

sempre individuato nel cambiamento in senso democratico, e l’azione deve necessariamente

fondarsi sulla ricerca (conoscenza per l’azione). Proprio la sua vocazione democratica è una

questione che da sempre alimenta il dibattito attorno a Lewin, questione che ancora una volta è

connessa alla sua biografia. Sebbene l’autore non abbia mai discusso in maniera sistematica la

questione della democrazia, molti dei suoi scritti sono impregnati di una sua profonda convinzione

rispetto alla necessità di perseguire l’ideale democratico e di definire le modalità per farlo. Per

Lewin la democrazia è innanzitutto «opposed to both autocracy and laissez-faire»13

( Lewin, 1943

cit. in Bargal, 2006, p 376) e si fonda sul riconoscimento dell'importanza della leadership che

«remains responsible to the group as a whole and does not interfere with the basic equality of

rights of every member»14

(ivi). Lewin fa dunque riferimento a una leadership democratica fondata

sulle ragioni del gruppo, la responsabilità e l’equità. Sottolinea più volte che mentre l’autocrazia

non richiede a chi la subisce comprensione, la democrazia presuppone l’apprendimento attraverso la

partecipazione e che il ruolo della leadership è quello di sostenere i processi di cambiamento a

partire dallo sviluppo delle competenze e dell’autonomia del gruppo.

Nei suoi esperimenti di Harwood15

, Lewin vuole proprio dimostrare la relazione tra il grado di

partecipazione democratica sul luogo di lavoro e il livello di soddisfazione dei lavoratori. Questo

tipo di partecipazione si oppone, nel pensiero dell’autore, a una gestione autocratica coercitiva

imposta dall’alto.

E’ essenziale evidenziare quanto sostenuto da G. W. Allport. Nella prefazione del libro di Lewin

Resolving Social Conflicts l’autore ci parla di una sorprendente affinità tra l'opera di Kurt Lewin e

il lavoro di John Dewey:

13

«il contrario sia di autocrazia che di laisser - faire». 14

«resta responsabile per il gruppo nel suo insieme e non interferisce con la fondamentale uguaglianza dei diritti di ogni membro». 15

Questi esperimenti devono il loro nome alle industrie tessili della Harwood Manufacturing Corporation con cui Lewin avviò una collaborazione avviata nel 1939 e protrattasi per otto anni fino alla sua morte. Il programma di ricerca si sviluppò attorno a un problema di turnover delle lavoratrici ed ebbe come focus le relazioni tra lavoratori e management. Lewin avviò un programma con i suoi allievi che era un lavoro contemporaneamente sia di consulenza che di ricerca. «L’approccio metodologico che viene a delinearsi, dunque, prova a combinare le regole dell’esperimento con nuovi strumenti, caratterizzati dal coinvolgimento degli operai nelle loro pratiche di lavoro e nella decisioni circa i comportamenti produttivi che li riguardano. Implicitamente emerge anche un nuovo ruolo del ricercatore, che si fa tramite, con la direzione, delle proposte degli operai e dei risultati della ricerca, sostenendo la progettazione di nuove azioni manageriali» (C. Kaneklin, C. Piccardo, G. Scaratti, 2010, p 43).

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«Both agree that democracy must be learned anew in each generation, and that it is a far more

difficult form of social structure to attain and maintain than is autocracy. Both see the intimate

dependence of democracy upon social science. Without knowledge of, and obedience to, the laws of

human nature in group settings, democracy cannot succeed. And without freedom for research and

theory as provided only in a democratic environment social science will surely fail »16

(Allport

1948 cit. in Hart e Bond, 1995, p 14).

Per Allport Dewey è il notevole esponente filosofico di una forma di democrazia di cui Lewin è

l’esponente più illustre in psicologia. Fu questo uno dei problemi che più stimolarono lo studioso,

proprio perché la questione lo riguardava da vicino visto il suo coinvolgimento personale..

Attraverso le sue esperienze sperimentali cercava di capire alcuni dei più pressanti problemi sociali

del suo tempo, concentrandosi soprattutto sull’accrescersi dell’autoritarismo e dell’antisemitismo e

cercando un metodo attraverso il quale sostenere il modello democratico.

3. Che cos’è l’Action Research?

Per comprendere la natura dell’AR è innanzitutto necessario sgombrare il campo da visioni

mitiche del metodo ‘scientifico’, inteso come l’unico metodo rigoroso in grado di scoprire la verità

del mondo. Questo significa abbandonare la tradizionale concezione della scienza ispirata alla

visione positivista e con essa l’utopia dell’oggettività delle scienze sociali, e della scienza in genere.

Sono tante le testimonianza illustri che hanno messo in crisi l’idea di una possibile conoscenza

oggettiva della realtà, svelando limiti e inadeguatezze delle scienza che si erge a detentrice di una

presunta verità. In primis Berger e Luckmann, quando hanno sottolineato che il mondo quale è noto

a noi è una realtà costruita socialmente. Tutto ciò che conosciamo è necessariamente il prodotto di

una mediazione sociale. Ci sono dei "quadri" o "cornici" (si parla di ‘frames’) per mezzo dei quali,

o secondo i quali, noi vediamo il mondo e cerchiamo di farci strada in esso. Questi quadri sono

socialmente determinati e possono variare all’interno di uno sistema o da un sistema all’altro, o da

un'epoca all'epoca seguente. In questo senso ciò che vale come conoscenza scientifica, oggettiva, è

dunque, ciò che è definito tale dalla comunità scientifica, e in questo senso la conoscenza scientifica

non è nient'altro che un "costrutto sociale". In ultima analisi, allora, possiamo affermare che la

16 « Entrambi concordano sul fatto che la democrazia debba essere di nuovo appresa da ogni generazione, e che essa è una struttura sociale molto più difficile da realizzare e mantenere rispetto all’autocrazia. Entrambi colgono la stretta dipendenza della democrazia dalle scienze sociali. Senza conoscenza di, e rispetto per, le leggi della natura umana nel gruppo, la democrazia non può affermarsi. E senza la libertà per la ricerca e la teoria così contemplata solo in un

ambiente democratico le scienze sociali falliranno sicuramente».

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'verità scientifica' poggia essenzialmente sull'intersoggettività e cioè sull'accordo della comunità

scientifica, socialmente e culturalmente connotata: è scientifico ciò che è riconosciuto come tale

dalla maggioranza degli scienziati. Pertanto non esiste un’unica scienza in grado di produrre una

conoscenza certa e definitiva. Action Research è un nuovo paradigma delle scienze sociali fondato

sul rigetto della concezione di scienza proprio dell’approccio positivista e su una nuova concezione

della relazione tra teoria e prassi. Nell’ambito delle scienze sociali, l’attacco alle idee del

positivismo è radicato nel dibattito sul metodo (Methodenstreit) in cui si pose come centrale la

“svolta ermeneutica” di Max Weber che anticipa ed è a fondamento di quella che oggi potremmo

definire la tradizione costruttivista. Questa si sviluppa a partire dalla fenomenologia di Schutz e

trova una sua sistematizzazione in ambito sociologico nel contributo di Berger e Luckmannn che

definiscono i processi di costruzione della conoscenza a partire da una definizione della realtà come

“costruzione sociale”.

Il paradigma dell’Action Research, come altri percorsi di sociologia post-weberiana, è radicata

tanto nella filosofia fenomenologica quanto nella sociologia della costruzione sociale della realtà,

proponendosi però come ulteriore sviluppo vista la sua vocazione al cambiamento e all’azione.

In generale l’obiettivo di cambiare qualcosa in una situazione particolare in cui è centrale la

connessione con la pratica è un elemento comune alle differenti tipologie di Action Research.

L’idea di praxis dell’Action muove da problemi complessi, affrontati all’interno di contesti sociali

reali in cui si rivela la natura sociale del “fare” all’interno dei gruppi, delle organizzazioni, della

società. Un fare che non può trovare un senso in sé, perché è sempre situato in un contesto specifico

dal quale trae il proprio significato. È in questo quadro che la connessione tra teoria e azione è

realizzata attraverso il nodo della partecipazione, come l’essere e il prendere parte in azione: è nella

partecipazione che si fonda la precisa scelta epistemologica e valoriale dell’Action Research. A

partire dall’idea originale di Lewin si giunge a una “moderna” Action Research connotata dal suo

radicamento nella critica contemporanea al positivismo e dall’essere un più solido approccio

democratico e empowering al cambiamento.

Carr e Kemmis, sostengono che il rinnovato interesse per l’AR, che si registra a partire dagli anni

‘70, è fondato sulla sua capacità di essere

«opzione alternativa ad ogni positivismo, rispondendo così alla necessità di metodologie “soft”

in grado di contribuire, per esempio, alla sostituzione degli approcci inutili a promuovere e

sostenere cambiamenti organizzativi in epoca di veloci turbolenze, rappresentati da molte teorie

organizzative, ancora radicate nel problem solving. È una metodologia ed una tradizione che può

garantire uno statuto scientifico forte per lo studio dei fatti umani e sociali» (Carr e Kemmis 1986

cit. in Samà, 2007, p 18).

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Per sviluppare le loro argomentazioni Susman e Evered individuano in sei punti i caratteri

distintivi dei metodi e degli obiettivi propri dell’AR:

è orientata verso il futuro: idea che implica una finalizzazione di ogni processo di AR. Essa

mira a perseguire degli obiettivi, dichiarati e sempre in definizione, rispetto ai quali si

presuppone un’idea di azione orientata verso una situazione futura desiderata. In questo

senso essa può essere considerata come un’attività di produzione di mondi possibili a

partire dall’esistenza di una situazione, un contesto attuale (reale) in cui prende forma il

processo di AR in virtù di una ideale verso cui muoversi;

è collaborativa : il cambiamento è realizzato a partire dalla piena partecipazione di tutti i

soggetti, questo si traduce nella necessaria riduzione della distanza tra il ricercatore e i

soggetti coinvolti nella ricerca;

implica lo sviluppo del contesto in esame: riferito al cambiamento che investe il contesto,

non in relazione a contenuti tecnici, ma rispetto a un intento ‘emancipatorio’ e educativo;

genera teoria fondata sull’azione: essa da voce alla volontà di ridurre il divario tra teoria e

pratica, favorendo una posizione, definita ‘praxis’, nella quale teoria e azione sono in

relazione dialettica (W. Carr, S. Kemmis, 1986, p 3);

è agnostica: rispetto a un atteggiamento concettuale assunto dal ricercatore, con cui

sospende il giudizio rispetto al problema in esame, poiché non se ne ha (o non se ne può

avere) sufficiente conoscenza, riconosce cioè la sua parzialità in quanto considera le sue

teorie e prescrizioni soggette al riesame e alla riformulazione in relazione alle nuove

situazioni di ricerca; rispetto alla definizione del problema, degli obiettivi e del metodo della

ricerca, generati nel processo stesso; rispetto alle azione da intraprendere e alle loro

conseguenze che non possono essere mai definite e conosciute in anticipo;

è situazionale: è sempre radicata in un contesto reale di cui è necessario riconoscere le

specificità.

Il testo considerato fondamentale rispetto a una definizione esplicita dell’AR è il saggio “Action

Research and minority problem”. In esso Lewin conferma che l’AR «It is a type of action research,

comparative research on the conditions and effects of various forms of social action, and research

leading to social action» (Lewin, 1946, pp. 202-3). Denominato dallo stesso Lewin come “rational

social management” questo tipo di ricerca doveva condurre all’unione tra l’approccio sperimentale

delle scienze sociali e l’azione sul sistema sociale, con la finalità di rispondere ai problemi sociali

del tempo. È chiaro nell’idea di Lewin l’intento trasformativo della ricerca, nonché le componenti

etiche e sociali che ad essa sono necessariamente connesse. Il cambiamento diventa strumento e

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obiettivo di ogni ricerca, infatti se la ricerca “producesse dei libri,[e non azione per il cambiamento]

non sarebbe soddisfacente”.

In generale l’AR è definita come «una metodologia di ricerca che mira a produrre conoscenza su

un sistema sociale mentre, allo stesso tempo, si prova a cambiarlo. Connette l’approccio

sperimentale e l’azione sociale come risposta ai principali problemi sociali» (Samà 2007, p 17).

Essa si qualifica come una specifica modalità di ricerca scandita da una serie di fasi la cui

successione non è in sequenza lineare, ma inserita in una logica a spirale, per cui i momenti della

pianificazione (piano), azione (decisione), osservazione (fact-finding), riflessione (valutazione)

vanno a costituire le singole fasi di complesso processo che si fonda essenzialmente sulla

valutazione. L’AR è intesa quindi come una forma di ricerca che genera conoscenza con l’obiettivo

esplicito di agire per promuovere il cambiamento. Così, mediante l’analisi dei contesti e della realtà

su cui dovevano intervenire Lewin e i suoi collaboratori si resero conto che la dinamica dei processi

deve essere sempre derivata dalle relazioni fra l’individuo concreto e la situazione concreta. In tal

modo, si sottolineò il ruolo decisivo del reciproco scambio e del confronto paritario fra le

componenti coinvolte nelle varie dinamiche sociali. Lo scopo dell’AR, infatti, è di elaborare

conoscenza contestualizzata e orientata al cambiamento. Quest’ultimo passa per la trasformazione

della realtà sotto esame che può essere ottenuto solo mediante l’azione congiunta del ricercatore con

i soggetti coinvolti. L’AR teorizzata da Kurt Lewin nasce dall’esigenza di collegare l’attività di

ricerca al cambiamento e al miglioramento in senso democratico dei sistemi sociali e delle

situazioni reali con cui veniva a contatto. Attraverso l’analisi dei contesti e delle diverse realtà su

cui si trovava a intervenire e facendo riferimento alla sue teorizzazioni precedenti (teorie del

campo, gruppi) Lewin arriva alla conclusione che la dinamica dei processi «[…] always to be

derived from the relation of the concrete individual to the concrete situation» (Bargal, 2006, p

273). Per queste ragioni, nel pensiero e nell’esperienza dell’autore, i processi stessi dipendono dalla

stretta collaborazione tra ricercatore e lavoratore, ricercatore e operatore. Se però Lewin e il suo

gruppo di collaboratori definiscono questa partecipazione a partire dall’emersione, implicita, di un

nuovo ruolo del ricercatore rispetto alla gestione della relazione tra lavoratore e management,

negli sviluppi successivi dell’AR si declinerà in modo esplicito un concetto di partecipazione

centrato sull’importanza di un rapporto fondato su uno scambio reciproco e un confronto paritario

tra le parti coinvolte nel processo di ricerca e azione, e si porrà una maggiore enfasi rispetto al

superamento di una presunta neutralità del ricercatore. Si può concludere dicendo che il merito di

Lewin fu senz’altro quello di collegare l’attività di ricerca al cambiamento dei sistemi sociali con

cui veniva in contatto, anche se il rapporto tra il ricercatore e i soggetti della ricerca, rimaneva

ancora distante.

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4. La collocazione dell’Action Research rispetto ai paradigmi sociologici e ai

disegni di ricerca

Vorremmo riflettere sull’AR partire da una sua collocazione rispetto ai cinque disegni di ricerca

individuati da Alan Bryman e ai paradigmi sociologici individuati da Burrell e Morgan. Con tale

riflessione si vuole porre in rilievo la complessità dell’AR rispetto alle diverse dimensioni che la

caratterizzano tanto come paradigma, quanto come processo di ricerca (Strati, 2004). Nella proposta

di Strati (ivi) Il dibattito nella ricerca organizzativa è inserito in un dibattito di più ampie

implicazioni. L’organizzazione è trattata nei termini di una realtà costruita socialmente e

collettivamente e la stessa ricerca organizzativa, seguendo l’ottica del costruzionismo, è una pratica

che diventa oggetto della riflessione teorica: in questo quadro la chiusura dicotomica tra ricerca

qualitativa e ricerca quantitativa, diatriba dalle proporzioni storiche rispetto alla quale non si vuole

qui entrare nel merito, lascia spazio al problema della costruzione del dato. Ogni ricerca è

innanzitutto un ‘processo’, che lega assieme problemi / teorie / metodi, all’interno del quale la

costruzione del ‘dato di conoscenza è il frutto di precise scelte operate dal ricercatore.

Bryman (1989 cit. in Strati, 2004, p 150-158) individua cinque disegni di ricerca, premettendo

che la scelta di approcci qualitativi piuttosto che quantitativi è connessa al tipo di domanda che

anima la nascita della ricerca stessa e che sia possibile che essi coesistano in uno stesso disegno di

ricerca. Per l’autore la distinzione tra ricerca quantitativa e ricerca qualitativa è una questione di

puro carattere tecnico, dove la scelta fra l’una o l’altra ha a che fare solo con la sua adeguatezza a

rispondere al particolare problema posto dalla ricerca. Il disegno di ricerca «costituisce l’impianto

generale e complessivo dell’indagine organizzativa sul campo e può avvalersi di più metodi

attraverso i cui costruire dati e informazioni utili per il contesto organizzativo in esame» (ivi). I

cinque disegni individuati sono:

1. Ricerca sperimentale: il disegno di ricerca sperimentale più semplice è quello a due gruppi,

idealmente selezionati secondo rigorosi criteri statistici (campionamento casuale) - il gruppo

sperimentale vero e proprio, con cui si lavora e il gruppo di controllo, rispetto al quale non

si introduce nessuna modifica - procedendo all'analisi e alla comparazione dei dati del test

iniziale e di quello finale, somministrati sia all'uno che all'altro gruppo. questo disegno di

ricerca ci si avvale di tutti i metodi di analisi (intervista, simulazione, questionario). Essa

pone il problema del controllo della sperimentazione, inteso non nei termini di neutralità

scientifica (il distacco del ricercatore), ma nella necessità di «osservare il processo

medesimo del fare l’esperimento» (ivi).

2. Indagine o survey: in questo disegno di ricerca lo scopo è lo studio delle relazioni tra

variabili. Si raccolgono un volume di informazioni che riguardano un gruppo di persone,

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una popolazione. Queste informazioni vengono ricercate riferendosi a un numero di variabili

rispetto alle quali si vuole studiare il grado di correlazione causale, affinché si possa valutare

la relazione che le lega in virtù dell’ipotesi di ricerca. Essa si avvale perlopiù di metodi a

forte strutturazione, come questionario, intervista e osservazione strutturata.

3. Ricerca qualitativa: in questo disegno di ricerca si ha lo scopo di dare spazio alle

«interpretazioni degli attori circa diversi aspetti e eventi della vita organizzativa» (ivi, p

151). In genere si avvale contemporaneamente dei metodi dell’intervista in profondità,

dell’analisi documentaria, dell’osservazione partecipante.

4. Studio di caso: questo disegno di ricerca mira a approfondire una questione, un nodo teorico,

rispetto al quale si svolge un’analisi dettagliata e multidimensionale con la finalità di

argomentare un’ipotesi di intervento, più che arrivare a una generalizzazione. Esso si

differenzia dal disegno di ricerca qualitativa, perché, come quella sperimentale, può

avvalersi di tutti i metodi di ricerca.

5. Action Research: in questo disegno di ricerca è centrale la particolare relazione che si

instaura tra «chi svolge la ricerca e chi opera nell’organizzazione, relazione che vede

entrambi i soggetti coinvolti nell’individuare, attivare, supervisionare e valutare le

iniziative di azione e di studio intraprese» (ivi). Se da un parte è possibile affermare che i

soggetti della ricerca diventano ricercatori, dall’altra si deve tenere in considerazione che il

ricercatore agisce all’interno dell’organizzazione, attraverso il processo di AR, e nello

specifico i processi negoziali, che al suo interno si sviluppa. Sebbene questo possa creare

confusione, i due ruoli rimangono distinti in virtù delle pratiche differenti che li

contraddistinguono: mentre il ruolo dei ricercatori è quello di veicolare le informazioni utili

per avviare corsi di azione di cambiamento, valutando l’impatto prodotto nella pratica e

nella vita organizzativa, sviluppando anche conoscenze teoriche; il ruolo dei soggetti della

ricerca, che operano nell’organizzazione, identificano quali siano i processi organizzativi su

cui intervenire per realizzare il cambiamento desiderato. In questo quadro è evidente la

centralità della volontà dei soggetti di ricerca rispetto alla possibilità di individuare il

cambiamento e realizzarlo.

Burrell e Morgan (1979 cit. in Stati p 77-82) identificano quattro paradigmi dell’analisi

organizzativa, incrociano incrociando tra di loro due dimensioni: la prima dimensione (soggettività /

oggettività) comprende al suo interno tutta una serie di ipotesi circa la natura delle scienze sociali,

rispetto a più aspetti, cioè: l’aspetto ontologico (nominalismo/realismo), quello epistemologico

(anti-positivismo/positivismo), quello umano (volontario/determinismo) e quello metodologico

(ideografico/nomotetico). Questi presupposti costituiscono una sola dimensione di analisi, perché

Page 14: Cambiamo, Allora Siamo Apprendere il paradigma dellaction ...

sono interconnessi e non possono essere separati. La seconda dimensione rappresenta l’ipotesi circa

la natura della società che oscilla tra regolazione dell’ordine sociale o processo di cambiamento

radicale (regolazione/ cambiamento). Combinando queste due dimensioni i due autori individuano

quattro paradigmi (funzionalista, interpretativo, umanesimo radicale e strutturalismo radicale),

contigui ma distinti, cioè seppur ciascun paradigma condivida alcune caratteristiche con quello

vicino, non perde la sua specificità. Per questi due autori, le teorie sul mondo sociale devono essere

concepite come attraverso questi quattro paradigmi-chiave che sono concepiti a partire dai diversi

assunti di base sulla natura della scienza sociale e della società. Le scienze sociali, infatti, affermano

che la realtà sociale è oggettiva o soggettiva, allo stesso modo la natura della società è considerata

da alcuni come un cambiamento regolare (frutto della regolazione sociale) e da altri come un

cambiamento radicale.

Riportiamo di seguito le caratteristiche dei singoli paradigmi:

a) Paradigma dell'umanesimo radicale soggettivo /cambiamento radicale

Organizzazione come realtà quotidiana costruita socialmente.

– Analisi critica: alienazione e impedimenti organizzativi alla realizzazione individuale

– Vi appartengono gli studi sulle politiche tecnologiche, così come quelli sulla creazione delle

controculture teorie dell'antiorganizzazione, che hanno le proprie radici nelle scienze umane;

b) Paradigma dello strutturalismo radicale oggettivo / cambiamento radicale

Organizzazione come realtà sociale in quanto “fatto”.

– studio del potere e dell'oppressione sociale

– ricerche ispirate all'action research

– ispirazione al rapporto conflittuale tra classi

– focus su agire organizzativo (piuttosto che su analisi statiche)

→ Approcci marxiani (es. Labour process theory di Bonazzi e controllo organizzativo di Reed)

c) Paradigma interpretativo soggettivo / regolazione dell'ordine sociale

Organizzazione non esiste di per sé, è il frutto di esperienza intersoggettive in continuo

mutamento.

– le organizzazioni sono una costruzione sociale

– la comunità scientifica dei teorici organizzativi si autoproduce sulla base della credenza che

le organizzazioni esistano

→ Approcci fenomenologici (ordine sociale e realtà organizzativa di Reed)

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d) Paradigma della sociologia funzionalista oggettivo / regolazione dell'ordine sociale

Organizzazione ha una sua esistenza reale, concreta, sistematica.

– scuola classica

– teoria delle contingenze

– scuola socio-tecnica

– teoria delle disfunzioni burocratiche (Merton, 1949): funzioni latenti dell'organizzazione

costituite da conseguenze inattese (es. partecipare a un rituale vuoto di significato)

I quattro paradigmi individuati non costituiscono una mera tassonomia, ma hanno una valenza

euristica, nel senso che ci offrono un criterio per distinguere e valutare anche altri approcci (quelli

successivi agli anni '70 che per questo non sono considerati nel loro scritto). Questi approcci

possono collocarsi, in virtù delle loro caratteristiche rispetto alle due polarità oggettivo / soggettivo

e regolazione / cambiamento:

al centro del paradigma: è il caso del paradigma della teoria funzionalista che osservano il

comportamento organizzativo a partire dal rigore delle scienze naturali;

ai confini tra un paradigma e l'altro: è il caso della teoria dell’azione (esempio azione dotata

di senso Max Weber) sociale che si trova nel paradigma funzionalista, ma in prossimità di

quello interpretativo;

in più paradigmi:è il caso in cui lo stesso impianto teorico e metodologico può rivelare

complessità tali da ricadere in paradigmi diversi. È questo il caso dell’AR.

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Fig. 1 Paradigmi sociologici dell’organizzazione.

Fonte: G. Burrell e G. Morgan (1979 cit. in Strati, 2004 , p 78

Sociologia del cambiamento radicale

soggettivo

Sociologia della regolazione

Umanesimo radicale

Teoria della

antiorganizzazione

Etnometodologia e interazionismo

simbolico fenomenologico

Sociologia interpretativa

Sociologia interpretativa

Strutturalismo radicale

Teoria radicale dell’organizzazione

Pluralismo

Disfunzioni burocratiche

Sistemi sociali

Oggettivismo

Azione come frame

Sociologia Funzionalista

oggettivo

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Sociologia funzionalista

Sociologia Funzionalista

Sociologia interpretativa

Sociologia interpretativa

Strutturalismo radicale

Umanesimo radicale

Fig. 2 Paradigmi sociologici e disegno della ricerca

Fonte: Strati (2004 , p 153).

L’AR si colloca nel paradigma dello strutturalismo radicale, in quanto pone al centro la

«volitività dei soggetti e, in virtù di ciò, il loro fare e cambiare, in misura maggiore o minore, tanto

l’organizzazione che l’ambiente. La action research è infatti radicata in larga misura nella filosofia

fenomenologica e nella sociologia della costruzione sociale (Susman, Evered,1978), invece che nel

positivismo e nello strutturalismo. Possiamo aggiungere alle indicazioni di Burell e Morgan quella

nostra per cui la action research, quando si fonda, come avviene in molti casi sul costruzionismo,

ricade nel paradigma interpretativo, oltre che in quello dello strutturalismo radicale per l’enfasi

sul cambiamento, e rimane, invece estranea al paradigma della sociologica funzionalista» (Strati,

2004, p 81).

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Ponendo in relazione disegni della ricerca empirica e paradigmi sociologici possiamo osserva

che ai due estremi si collocano disegno survey e ricerca qualitativa: essi si pongono agli estremi

rispetto all’asse soggettività/oggettività dell’approccio. Nella survey, privilegiata dai paradigmi

teorici dello strutturalismo radicale e nella sociologia funzionalista, la realtà è considerata oggettiva

e autonoma rispetto agli individui che la pongono in essere, essa è cioè indipendente rispetto

all’interagire dei soggetti che ne fanno parte. Nella ricerca qualitativa la realtà è una costruzione

frutto dell’interagire tra i diversi soggetti, tanto da risultare inseparabile dal processo che la pone in

essere. In questo caso il disegno di ricerca è radicato nella sociologia interpretativa e

nell’umanesimo radicale. Per lo studio dei casi bisogna considerare questi due paradigmi a cui

occorre aggiungere quello della sociologia funzionalista. Infine il disegno di ricerca dell’AR , come

già era emerso, ha il proprio orizzonte teorico nel paradigma interpretativo, quello dello

strutturalismo radicale e quello del funzionalismo.

6. Ciclo di cambiamento per lo sviluppo organizzativo di Jean Neumann.

Il Ciclo di cambiamento per lo sviluppo organizzativo di Jean Neumann rappresenta

un’applicazione dei principi propri dell’Action Research allo sviluppo organizzativo che è radicato

nell’ethos fondamentale che ha ispirato tanto Lewin quanto i padri fondatori del Tavistock Insitute,

a cui l’autrice appartiene: partire dai problemi reali e cercare di risolverli. La finalizzazione al

cambiamento, il focus sul problema del cliente, l’aspetto relazionale della consulenza, intesa

innanzitutto come un processo di aiuto, e anche uno sforzo rispetto allo sviluppo di un’Action

Research più rigorosa sul piano teorico-metodologico, nonché il suo ancoraggio ai principi

originari dell’Action Research, sono tutti elementi che ci condurranno a assumere il Ciclo di

cambiamento Il Ciclo di cambiamento per lo sviluppo organizzativo di Jean Neumann17

, a partire da

alcune regole e principi che l’autrice condivide in virtù della sua appartenenza al Tavistock

Institute, rappresenta un’applicazione dell’AR allo sviluppo organizzativo che, come nelle migliori

delle tradizioni, si pone la duplice finalità di produrre cambiamento e sviluppare conoscenza nel

contesto organizzativo di riferimento. In esso, riprendendo la formulazione di Kolb e Frohman

(1970 cit. in J. Neumann 2007, p 6), il ciclo di cambiamento si articola in sei fasi:

17

Nell’enucleazione del ciclo di cambiamento e sviluppo organizzativo di J. Neumann si è fatto riferimento a due esperienze vissute in prima persona: la partecipazione al seminario internazionale ‘Action Research and Organisational Change’, organizzato dal professore Antonio Samà presso l’Aula Magna Centro Congressi Unical nell’anno accademico 2007; la partecipazione al corso “La costruzione delle competenze nell’ambito della Ricerca-Azione. Fare teoria dalla prassi” nell’ambito del ‘Progetto Spazi di Professionalizzazione Sociale’ a cura del CNCA.

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‘scouting’(esplorazione), ‘entry and contracting’ (ingresso e negoziazione), ‘diagnosis’

(diagnosi/analisi della situazione), ‘planning and negotiating interventions’ (pianificazione e

negoziazione degli interventi); ‘taking action’ (agire), ‘critique’ (critica), ‘evaluation’ (valutazione)

il cui risultato è sia condurre a un altro ciclo di cambiamento o a chiudere la relazione di consulenza

(possibile istituzionalizzazione nella pratica organizzativa del cambiamento). Nella visione

dell’autrice è molto importante avere una rappresentazione di tutto il ciclo di cambiamento fin dalla

prima fase.

La fase di ‘scouting’, come dice la parola stessa, indica una momento iniziale di esplorazione di

solito molto caotico e caratterizzato dai primi contatti che possono prendere forma a un livello

molto informale (dalla telefonata, all’incontro casuale). L’obiettivo generale di questa fase è quello

di decidere o meno se si possa procedere nella fase successiva. Questa decisione deve fondarsi su

una serie di valutazioni che il consulente/ricercatore deve sviluppare:

definire in maniera molto generica il tipo di problema presentato per valutare

l’opportunità di aprire la consulenza e di definirla in relazione al tipo di richiesta che si

pone,

valutare l’autorità della persona che ci pone la domanda nell’organizzazione di

riferimento (bisogna individuare qualcuno che abbia l’autorità per avviare il processo

nell’organizzazione);

valutare questioni relative all’aspetto relazionale;

cominciare a pensare alla fase successiva in termini di tempi e risorse (finanziare,

logistiche).

Già in questa fase c’è una prima negoziazione tra le parti, J. Neumann la definisce una

‘conversazione di significato’ rispetto alla possibilità stessa di procedere nella consulenza (si può

fare qualcosa?).

La fase di ‘entry e contracting’, seppur potrebbe apparire semplice, risulta spesso difficile da

governare, perché richiede al consulente di portare avanti due compiti contemporaneamente.

Innanzitutto il consulente deve attraversare tutta una serie di confini, sociali, spaziali, di ruolo, che

hanno un peso rilevante rispetto all’accordo che si dovrà negoziare con l’organizzazione. Ma allo

stesso tempo questa è una fase importante rispetto a una prima definizione della relazione con il

cliente. È necessario sviluppare una comprensione reciproca, almeno attorno ad alcune questioni

fondamentali:

l’obiettivo della consulenza (perché?)

l’esplicitazione delle attività e degli obiettivi della fase specifica (perché siamo qui?cosa

stiamo facendo?)

Page 20: Cambiamo, Allora Siamo Apprendere il paradigma dellaction ...

individuare gruppi e persone che saranno coinvolti nel processo (chi può essere

coinvolto?chi potrebbe fare la differenza?chi può organizzare le attività?chi autorizza

l’intervento?)

individuare risorse e setting (dove?quando?con quali risorse?)

La fase di entry e contracting è l’anello di congiunzione tra il momento di valutazione, che informa

tutto il ciclo di cambiamento, e l’azione. Ogni volta che si chiude una fase, infatti, il momento di

valutazione si concreta anche in un momento di restituzione e negoziazione nella relazione tra

consulente e cliente attorno alle attività da realizzare. Nello specifico, in questa fase, cominciano a

delinearsi delle domande, e le relative negoziazioni, relative alla fase successiva.

La diagnosi/analisi della situazione è una prima fase di lavoro. rispetto a questa fase è

innanzitutto necessario valutare l’oggetto dell’analisi e i tempi, in relazione a tutto il ciclo di

cambiamento. In generale in questa fase è centrale l’identificazione di chi debba essere coinvolto,

anche in virtù di una presenza nel momento delle azioni, e si apre la formazione di un gruppo che

comincia a progettare la raccolta dei dati a partire dall’identificazione dell’oggetto della diagnosi e

dal tempo che si ritiene di avere a disposizione. Per la formazione del gruppo è quindi necessaria

una fase di entry e contracting che serve a pianificare e negoziare l’attività di raccolta e analisi dei

dati, stabilendo l’oggetto, le risorse e le modalità e i soggetti con cui sarà condiviso il momento di

restituzione dell’analisi.

Nella fase di pianificazione e negoziazione degli interventi si presuppone la motivazione degli

attori coinvolti a impegnarsi rispetto alla situazione organizzativa prospettata e di attivare il

cambiamento attraverso una serie di azioni. Affinché ciò si realizzi è necessario che il consulente

condivida l’analisi della situazione con chi ha ruoli di ‘governo’ per decidere come procedere,

pianificare le modalità di diffusione dei risultati; sostenere lo sviluppo del piano di intervento a

partire dalla definizione condivisa di obiettivi e possibilità di intervento; cominciare a delineare i

passi che comporranno tutto l’intervento. Centrale è l’obiettivo di sviluppare un impegno degli

attori organizzativi, a partire dalla restituzione dei risultati dell’analisi e dalle loro reazioni, che

possono anche essere di resistenza all’intervento di cambiamento. Maggiore è la loro inclusione nei

processi di valutazione, decisione e azione nel processo di cambiamento e rispetto alle azioni da

intraprendere, minore sarà il rischio dell’emersione di resistenze.

Nella fase di ‘taking action’ si implementano le azioni pianificate e concordate in un modo che

massimizzi la realizzazione degli obiettivi condivisi nella fase precedente. In questa fase è

importante che il consulente sostenga i partecipanti al processo rispetto ai ruolo e ai compiti, ma

anche rispetto a una valutazione in itinere delle azioni in relazione alle aspettative e all’esperienza

che ne viene fatta. Inoltre si devono sostenere processi di inclusione rispetto ad altri membri

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dell’organizzazione: questo è un elemento da tenere in considerazione sempre, perché sebbene, di

solito, si inizi a lavorare con un piccolo gruppo, l’obiettivo è quello di allargare la partecipazione ad

altri membri dell’organizzazione man mano che l’intervento va avanti.

Rispetto alla fase di valutazione è prioritario sviluppare modalità, metodi e strumenti di

valutazione rispetto alle attività, ai ruoli e ai compiti che i partecipanti pongono in essere. L’esito

della valutazione è duplice: può sia condurre a un altro ciclo di cambiamento, sia a chiudere la

relazione di consulenza il che può condurre a un’istituzionalizzazione nella pratica organizzativa del

cambiamento.

A Cicle of Planned Change Organisational Development.

Fonte: J. Neumann Paper lecture Seminario Internazionale ‘‘Action Research for Organisational

Change e Development’’ (2007)

Entry e Contracting

(Ingresso e

contrattazione)

Scouting

(Esplorazione)

Diagnosis

(Analisi )

Planning e Negotiating

Interventions

(Pianificazione e

negoziazione degli

interventi)

Taking action

(tessere l’azione)

Critique

(critica)

Evaluation

(Valutazione)

Institutionalitiation

(Instituzionalizzazione)

Termination

(Conclusione)

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J. Neumann ha posto in evidenza un elemento specifico del ciclo di cambiamento per lo sviluppo

organizzativo: si tratta di un ciclo multiplo e ricorsivo. Il consulente oltre a sostenere la relazione e

le decisioni in ogni fase attraverso l’ ‘entry e contracting’ deve concettualizzare e sviluppare cicli

multipli attraverso i quali si sviluppa il ciclo di cambiamento. L’idea di fondo è che la conoscenza

necessaria a identificare il problema e avviare il cambiamento sia radicata nel contesto di

riferimento, per cui la sperimentazione di diversi cicli di cambiamento permette di avviare un

processo di apprendimento ‘by doing’ che permetterà ai partecipanti di scoprire soluzioni inedite e

di sviluppare una capacità di apprendere ad apprende. In questo senso si possono considerare pochi

gli interventi di sviluppo organizzativo che possono concludersi i un singolo ciclo.

Multiple iteration = Action Research.

Fonte: J. Neumann Paper lecture Seminario Internazionale ‘‘Action Research for Organisational

Change e Development’’ (2007)

1

2

3

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Il Ciclo di cambiamento per lo sviluppo organizzativo di Jean Neumann rappresenta

un’applicazione dei principi propri dell’AR allo sviluppo organizzativo che è radicato nel lavoro

Tavistock Institute. Come esplicitato nel primo capitolo, in questa tradizione è centrale un

approccio centrato sul problema, la relazione tra committente e cliente, un focus sulle esigenze del

cliente e l'accento sulla ricerca come processo sociale sostenuto dai principi propri dell’AR. È

indubbio che Lewin e il Tavistock Institute possono essere considerate le due principali forze che

hanno determinato lo sviluppo dell’AR nel mondo e che esercitano ancora oggi una forte influenza

come dimostrato dallo sviluppo più recente della“partecipatory action research”, fortemente

radicata tanto nei principi lewiniani quanto nella tradizione del Tavistock.

Nello specifico J. Neummann è sostenitrice di una posizione di recupero dell’eredità di Lewin e

della necessità di un impegno esplicito, che era proprio dei padri fondatori dell’istituto,di integrare

il pensiero lewiniano con la teoria delle relazioni oggettuali e la teoria dei sistemi sociali, nonché

della centralità dell’approccio socio-analitico ai gruppi e alle organizzazioni. Questo per evitare di

incorrere nel rischio di limitarsi a applicare il costrutto metodologico dell’AR, perdendo l’ethos

fondamentale che ha ispirato tanto il Lewin e quanto i padri fondatori del Tavistock: partire dai

problemi reali e cercare di risolverli. Per questo i giovani ricercatori del Tavistock dovrebbero

partire dal recupero delle regole e dei principi lewiniani così come sono stati descritti nel primo

capitolo, e che in questo ci limitiamo solo ad elencare:_ la regola del metodo costruttivo; la regola

dell’approccio dinamico; la regola della teoria del campo; la regola della contemporaneità. La

centralità assunta dal cambiamento, la focalizzazione sul problema del cliente, considerato in un

ottica sistemica e socio-tecnica, l’aspetto relazionale della consulenza, intesa innanzitutto come un

processo di aiuto, e anche uno sforzo rispetto allo sviluppo di un’AR più rigorosa sul piano teorico-

metodologico, nonché il suo ancoraggio ai principi originari dell’AR, sono tutti elementi che ci

condurranno ad assumere il Ciclo di cambiamento per lo sviluppo organizzativo quale riferimento

metodologico per effettuare, nel capitolo successivo, una comparazione con il procedimento

metodologico proprio del servizio sociale.

Page 24: Cambiamo, Allora Siamo Apprendere il paradigma dellaction ...

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