Bollettino 1-2014 1-80 - S.M. di Leuca · Inaugurazione della Casa della convivialità “don...

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Bollettino Diocesano

S. Maria de Finibus Terrae Atti ufficiali e attività pastorali della

Diocesi di Ugento - S. Maria di Leuca

Bollettino Diocesano

S. Maria de Finibus Terrae

Atti ufficiali e attività pastorali della

Diocesi di Ugento - S. M. di Leuca

Anno LXXVII n. 1 gennaio - giugno 2014

Direzione, redazione e amministrazione

Curia Vescovile Ugento - S. M. di Leuca

Piazza S. Vincenzo, 21 - 73059 Ugento

Tel. 0833-555049 Fax 0833-955801

www.diocesiugento.org e-mail: [email protected]

Direttore responsabile

mons. Salvatore Palese

Redazione ed editing

Gigi Lecci

EDIZIONI VIVEREIN - 70043 Monopoli (BA) - C.da Piangevino, 224/A - Tel. 0806907030 - Fax 0806907026

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INDICE

DOCUMENTI PONTIFICI

Discorso di Papa Francesco ai vescovi italiani riuniti in assemblea pag. 9

DOCUMENTI DELLA CHIESA UNIVERSALE

Presentazione dell’«Instrumentum laboris»

dell’assemblea straordinaria del sinodo dei vescovi ” 21

DOCUMENTI DELLA CHIESA ITALIANA

Incontriamo Gesù ” 25

DOCUMENTI DELLA CHIESA PUGLIESE

Nomina ” 33

INSEGNAMENTI PASTORALI DEL VESCOVO

2014: non uomini di sabbia e di paglia, ma di speranza! ” 37

Il cammino della fede: cercare, incontrare, adorare ” 39

Il Capo di Leuca, una città diffusa ” 41

La Vergine del divin pianto ” 47

La famiglia, oggi ” 51

Attenzione alle nuove povertà ” 55

«Sacerdote per la potenza di una vita indefettibile» (Eb 7,16) ” 57

La Pasqua, il segreto dell’Amore ” 63

La “Casa della convivialità” ” 67

Riflessione sull’esortazione apostolica Evangelii gaudium ” 70

La dignità e il valore delle confraternite, oggi ” 73

DOCUMENTO PASTORALE

Un dono alla Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca ” 79

Educare a una forma di vita meravigliosa ” 81

ORDINAZIONI, NOMINE, MINISTERI, DISPOSIZIONI

Ordinazioni, Nomine, Ministeri, Disposizioni ” 181

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CONSIGLIO PRESBITERALE, CONSIGLIO PASTORALE

Verbale della riunione del 20 febbraio 2014 ” 185

Verbale della riunione del 10 aprile 2014 ” 188

Relazione preparatoria della Diocesi al Convegno ecclesiale di Firenze ” 190

ATTIVITÀ PASTORALE DELLA DIOCESI

Curia ” 201

Ufficio per la Pastorale ” 203

Ufficio Liturgico ” 218

Ufficio Missionario ” 220

Ufficio Famiglia ” 222

Ufficio per l’Ecumenismo ” 233

Ufficio Confraternite ” 236

Ufficio Beni culturali ” 245

SETTIMANA TEOLOGICA, CONVEGNO PASTORALE

XXXIX Settimana Teologica Diocesana ” 249

XXVIII Convegno Pastorale Diocesano ” 251

Presentazione del documento del vescovo mons. Vito Angiuli ” 253

CRONACA RELIGIOSA E PASTORALE

90° Genetliaco di mons. Carmelo Cassati ” 275

Inaugurazione della Casa della convivialità “don Tonino Bello” ” 281

Aggiornamento residenziale del clero ” 290

AGENDA PASTORALE DEL VESCOVO ” 293

DOCUMENTI PONTIFICI

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DISCORSO DI PAPA FRANCESCO AI VESCOVI ITALIANI RIUNITI IN ASSEMBLEA *

A me sempre ha colpito come finisce questo dialogo fra Gesù e Pietro:

“Seguimi!” (Gv 21,19). L’ultima parola. Pietro era passato per tanti stati

d’animo, in quel momento: la vergogna, perché si ricordava delle tre volte

che aveva rinnegato Gesù, e poi un po’ di imbarazzo, non sapeva come

rispondere, e poi la pace, è stato tranquillo, con quel “Seguimi!”. Ma poi, è

venuto il tentatore un’altra volta, la tentazione della curiosità: “Dimmi,

Signore, e di questo [l’apostolo Giovanni] che puoi dirmi? Cosa succederà a

questo?”. “A te non importa. Tu, seguimi”. Io vorrei andarmene con questo

messaggio, soltanto… L’ho sentito mentre ascoltavo questo: “A te non

importa. Tu, seguimi”. Quel seguire Gesù: questo è importante! È più

importante da parte nostra. A me sempre, sempre ha colpito questo…

Vi ringrazio di questo invito, ringrazio il Presidente delle sue parole.

Ringrazio i membri della Presidenza… Un giornale diceva, dei membri della

Presidenza, che “questo è uomo del Papa, questo non è uomo del Papa,

questo è uomo del Papa…”. Ma la presidenza, di cinque-sei, sono tutti

uomini del Papa!, per parlare con questo linguaggio “politico”… Ma noi

dobbiamo usare il linguaggio della comunione. Ma la stampa a volte inventa

tante cose, no?

Nel preparami a questo appuntamento di grazia, sono tornato più volte

sulle parole dell’Apostolo, che esprimono quanto ho – quanto abbiamo tutti –

nel cuore: “Desidero ardentemente vedervi per comunicarvi qualche dono

spirituale, perché ne siate fortificati, o meglio, per essere in mezzo a voi

confortato mediante la fede che abbiamo in comune, voi ed io” (Rm 1,11-12).

Ho vissuto quest’anno cercando di pormi sul passo di ciascuno di voi:

negli incontri personali, nelle udienze come nelle visite sul territorio, ho

ascoltato e condiviso il racconto di speranze, stanchezze e preoccupazioni

* Dall’Osservatore Romano, 20 maggio 2014.

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pastorali; partecipi della stessa mensa, ci siamo rinfrancati ritrovando nel

pane spezzato il profumo di un incontro, ragione ultima del nostro andare

verso la città degli uomini, con il volto lieto e la disponibilità a essere

presenza e vangelo di vita.

In questo momento, unite alla riconoscenza per il vostro generoso

servizio, vorrei offrirvi alcune riflessioni con cui rivisitare il ministero, perché

si conformi sempre più alla volontà di Colui che ci ha posto alla guida della

sua Chiesa.

A noi guarda il popolo fedele. Il popolo ci guarda! Io ricordo un film: “I

bambini ci guardano”, era bello. Il popolo ci guarda. Ci guarda per essere

aiutato a cogliere la singolarità del proprio quotidiano nel contesto del

disegno provvidenziale di Dio. È missione impegnativa la nostra: domanda di

conoscere il Signore, fino a dimorare in Lui; e, nel contempo, di prendere

dimora nella vita delle nostre Chiese particolari, fino a conoscerne i volti, i

bisogni e le potenzialità. Se la sintesi di questa duplice esigenza è affidata

alla responsabilità di ciascuno, alcuni tratti sono comunque comuni; e oggi

vorrei indicarne tre, che contribuiscono a delineare il nostro profilo di

Pastori di una Chiesa che è, innanzitutto, comunità del Risorto, quindi suo

corpo e, infine, anticipo e promessa del Regno.

In questo modo intendo anche venire incontro – almeno indirettamente

– a quanti si domandano quali siano le attese del Vescovo di Roma sull’Epi-

scopato italiano.

1. Pastori di una Chiesa che è comunità del Risorto

Chiediamoci, dunque: Chi è per me Gesù Cristo? Come ha segnato la

verità della mia storia? Che dice di Lui la mia vita?

La fede, fratelli, è memoria viva di un incontro, alimentato al fuoco della

Parola che plasma il ministero e unge tutto il nostro popolo; la fede è sigillo

posto sul cuore: senza questa custodia, senza la preghiera assidua, il Pastore

è esposto al pericolo di vergognarsi del Vangelo, finendo per stemperare lo

scandalo della croce nella sapienza mondana.

Le tentazioni, che cercano di oscurare il primato di Dio e del suo Cristo,

sono “legione” nella vita del Pastore: vanno dalla tiepidezza, che scade nella

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mediocrità, alla ricerca di un quieto vivere, che schiva rinunce e sacrificio. È

tentazione la fretta pastorale, al pari della sua sorellastra, quell’accidia che

porta all’insofferenza, quasi tutto fosse soltanto un peso. Tentazione è la

presunzione di chi si illude di poter far conto solamente sulle proprie forze,

sull’abbondanza di risorse e di strutture, sulle strategie organizzative che sa

mettere in campo. Tentazione è accomodarsi nella tristezza, che mentre

spegne ogni attesa e creatività, lascia insoddisfatti e quindi incapaci di

entrare nel vissuto della nostra gente e di comprenderlo alla luce del

mattino di Pasqua.

Fratelli, se ci allontaniamo di Gesù Cristo, se l’incontro con Lui perde la

sua freschezza, finiamo per toccare con mano soltanto la sterilità delle

nostre parole e delle nostre iniziative. Perché i piani pastorali servono, ma la

nostra fiducia è riposta altrove: nello Spirito del Signore, che – nella misura

della nostra docilità – ci spalanca continuamente gli orizzonti della missione.

Per evitare di arenarci sugli scogli, la nostra vita spirituale non può ridursi

ad alcuni momenti religiosi. Nel succedersi dei giorni e delle stagioni, nell’av-

vicendarsi delle età e degli eventi, alleniamoci a considerare noi stessi

guardando a Colui che non passa: spiritualità è ritorno all’essenziale, a quel

bene che nessuno può toglierci, la sola cosa veramente necessaria. Anche

nei momenti di aridità, quando le situazioni pastorali si fanno difficili e si ha

l’impressione di essere lasciati soli, essa è manto di consolazione più grande

di ogni amarezza; è metro di libertà dal giudizio del cosiddetto “senso

comune”; è fonte di gioia, che ci fa accogliere tutto dalla mano di Dio, fino a

contemplarne la presenza in tutto e in tutti.

Non stanchiamoci, dunque, di cercare il Signore – di lasciarci cercare da

Lui –, di curare nel silenzio e nell’ascolto orante la nostra relazione con Lui.

Teniamo fisso lo sguardo su di Lui, centro del tempo e della storia; facciamo

spazio alla sua presenza in noi: è Lui il principio e il fondamento che avvolge

di misericordia le nostre debolezze e tutto trasfigura e rinnova; è Lui ciò che

di più prezioso siamo chiamati a offrire alla nostra gente, pena il lasciarla in

balìa di una società dell’indifferenza, se non della disperazione. Di Lui –

anche se lo ignorasse – vive ogni uomo. In Lui, Uomo delle Beatitudini –

pagina evangelica che torna quotidianamente nella mia meditazione – passa

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la misura alta della santità: se intendiamo seguirlo, non ci è data altra

strada. Percorrendola con Lui, ci scopriamo popolo, fino a riconoscere con

stupore e gratitudine che tutto è grazia, perfino le fatiche e le contraddizioni

del vivere umano, se queste vengono vissute con cuore aperto al Signore,

con la pazienza dell’artigiano e con il cuore del peccatore pentito.

La memoria della fede è così compagnia, appartenenza ecclesiale: ecco il

secondo tratto del nostro profilo.

2. Pastori di una Chiesa che è corpo del Signore

Proviamo, ancora, a domandarci: che immagine ho della Chiesa, della

mia comunità ecclesiale? Me ne sento figlio, oltre che Pastore? So ringra-

ziare Dio, o ne colgo soprattutto i ritardi, i difetti e le mancanze? Quanto

sono disposto a soffrire per essa?

Fratelli, la Chiesa – nel tesoro della sua vivente Tradizione, che da ultimo

riluce nella testimonianza santa di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II – è

l’altra grazia di cui sentirci profondamente debitori. Del resto, se siamo

entrati nel Mistero del Crocifisso, se abbiamo incontrato il Risorto, è in virtù

del suo corpo, che in quanto tale non può che essere uno. È dono e

responsabilità, l’unità: l’esserne sacramento configura la nostra missione.

Richiede un cuore spogliato di ogni interesse mondano, lontano dalla vanità

e dalla discordia; un cuore accogliente, capace di sentire con gli altri e anche

di considerarli più degni di se stessi. Così ci consiglia l’apostolo.

In questa prospettiva suonano quanto mai attuali le parole con cui,

esattamente cinquant’anni fa, il Venerabile Papa Paolo VI – che avremo la

gioia di proclamare beato il prossimo 19 ottobre, a conclusione del Sinodo

Straordinario dei Vescovi sulla famiglia – si rivolgeva proprio ai membri della

Conferenza Episcopale Italiana e poneva come “questione vitale per la

Chiesa” il servizio all’unità: “È venuto il momento (e dovremmo noi dolerci

di ciò?) di dare a noi stessi e di imprimere alla vita ecclesiastica italiana un

forte e rinnovato spirito di unità”. Vi sarà dato oggi questo discorso. È un

gioiello. È come se fosse stato pronunciato ieri, è così.

Ne siamo convinti: la mancanza o comunque la povertà di comunione

costituisce lo scandalo più grande, l’eresia che deturpa il volto del Signore e

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dilania la sua Chiesa. Nulla giustifica la divisione: medio cedere, meglio

rinunciare – disposti a volte anche a portare su di sé la prova di un ingiustizia

– piuttosto che lacerare la tunica e scandalizzare il popolo santo di Dio.

Per questo, come Pastori, dobbiamo rifuggire da tentazioni che diver-

samente ci sfigurano: la gestione personalistica del tempo, quasi potesse

esserci un benessere a prescindere da quello delle nostre comunità; le

chiacchiere, le mezze verità che diventano bugie, la litania delle lamentele

che tradisce intime delusioni; la durezza di chi giudica senza coinvolgersi e il

lassismo di quanti accondiscendono senza farsi carico dell’altro. Ancora: il

rodersi della gelosia, l’accecamento indotto dall’invidia, l’ambizione che

genera correnti, consorterie, settarismo: quant’è vuoto il cielo di chi è

ossessionato da se stesso… E, poi, il ripiegamento che va a cercare nelle

forme del passato le sicurezze perdute; e la pretesa di quanti vorrebbero

difendere l’unità negando le diversità, umiliando così i doni con cui Dio

continua a rendere giovane e bella la sua Chiesa…

Rispetto a queste tentazioni, proprio l’esperienza ecclesiale costituisce

l’antidoto più efficace. Promana dall’unica Eucaristia, la cui forza di coesione

genera fraternità, possibilità di accogliersi, perdonarsi e camminare insieme;

Eucaristia, da cui nasce la capacità di far proprio un atteggiamento di sincera

gratitudine e di conservare la pace anche nei momenti più difficili: quella

pace che consente di non lasciarsi sopraffare dai conflitti – che poi, a volte,

si rivelano crogiolo che purifica – come anche di non cullarsi nel sogno di

ricominciare sempre altrove.

Una spiritualità eucaristica chiama a partecipazione e collegialità, per un

discernimento pastorale che si alimenta nel dialogo, nella ricerca e nella

fatica del pensare insieme: non per nulla Paolo VI, nel discorso citato – dopo

aver definito il Concilio “una grazia”, “un’occasione unica e felice”, “un

incomparabile momento”, “vertice di carità gerarchica e fraterna”, “voce di

spiritualità, di bontà e di pace al mondo intero” – ne addita, quale “nota

dominante”, la “libera e ampia possibilità d’indagine, di discussione e di

espressione”. E questo è importante, in un’assemblea. Ognuno dice quello

che sente, in faccia, ai fratelli; e questo edifica la Chiesa, aiuta. Senza

vergogna, dirlo, così…

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È questo il modo, per la Conferenza episcopale, di essere spazio vitale di

comunione a servizio del’unità, nella valorizzazione delle diocesi, anche delle

più piccole. A partire dalle Conferenze regionali, dunque, non stancatevi di

intessere tra voi rapporti all’insegna dell’apertura e della stima reciproca: la

forza di una rete sta in relazioni di qualità, che abbattono le distanze a

avvicinano i territori con il confronto, lo scambio di esperienze, la tensione

alla collaborazione.

I nostri sacerdoti, voi lo sapete bene, sono spesso provati dalle esigenze

del ministero e, a volte, anche scoraggiato dall’impressione dell’esiguità dei

risultati: educhiamoli a non fermarsi a calcolare entrate e uscite, a verificare

se quanto si crede di aver dato corrisponde poi al raccolto: il nostro – più

che di bilanci – è il tempo di quella pazienza che è il nome dell’amore

maturo, la verità del nostro umile, gratuito e fiducioso donarsi alla Chiesa.

Puntate ad assicurare loro vicinanza e comprensione, fate che nel vostro

cuore possano sentirsi sempre a casa; curatene la formazione umana,

culturale, affettiva e spirituale; l’Assemblea straordinaria del prossimo

novembre, dedicata proprio alla vita dei presbiteri, costituisce un’opportu-

nità da preparare con particolare attenzione.

Promuovete la vita religiosa: ieri la sua identità era legata soprattutto

alle opere, oggi costituisce una preziosa riserva di futuro, a condizione che

sappia porsi come segno visibile, sollecitazione per tutti a vivere secondo il

Vangelo. Chiedete ai consacrati, ai religiosi e alle religiose di essere

testimoni gioiosi: non si può narrare Gesù in maniera lagnosa; tanto più che,

quando si perde l’allegria, si finisce per leggere la realtà, la storia e la stessa

propria vita sotto una luce distorta.

Amate con generosa e totale dedizione le persone e le comunità: sono

le vostre membra! Ascoltate il gregge. Affidatevi al suo senso di fede e di

Chiesa, che si manifesta anche in tante forme di pietà popolare. Abbiate

fiducia che il popolo santo di Dio ha il polso per individuare le strade

giuste. Accompagnate con larghezza la crescita di una corresponsabilità

laicale; riconoscete spazi di pensiero, di progettazione e di azione alle

donne e ai giovani: con le loro intuizioni e il loro aiuto riuscirete a non

attardarvi ancora su una pastorale di conservazione – di fatto generica,

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dispersiva, frammentata e poco influente – per assumere, invece, una

pastorale che faccia perno sull’essenziale. Come sintetizza, con la pro-

fondità dei semplici, Santa Teresa di Gesù Bambino: “Amarlo e farlo

amare”. Sia il nocciolo anche degli Orientamenti per l’annuncio e la cate-

chesi che affronterete in queste giornate.

Fratelli, nel nostro contesto spesso confuso e disgregato, la prima

missione ecclesiale rimane quella di essere lievito di unità, che fermenta nel

farsi prossimo e nelle diverse forme di riconciliazione: solo insieme

riusciremo – e questo è il tratto conclusivo del profilo del Pastore – a essere

profezia del Regno.

3. Pastori di una Chiesa anticipo e promessa del Regno

A questo proposito, chiediamoci: Ho lo sguardo di Dio sulle persone e

sugli eventi? “Ho avuto fame…, ho avuto sete…, ero straniero…, nudo…,

malato…, ero in carcere” (Mt 25,31-46): temo il giudizio di Dio? Di

conseguenza, mi spendo per spargere con ampiezza di cuore il seme del

buon grano nel campo del mondo?

Anche qui, si affacciano tentazioni che, assommate a quelle su cui già ci

siamo soffermati, ostacolano la crescita del Regno, il progetto di Dio sulla

famiglia umana. Si esprimono sulla distinzione che a volte accettiamo di fare

tra “i nostri” e “gli altri”; nelle chiusure di chi è convinto di averne abba-

stanza dei propri problemi, senza doversi curare pure dell’ingiustizia che è

causa di quelli altrui; nell’attesa sterile di chi non esce dal proprio recinto e

non attraversa la piazza, ma rimane a sedere ai piedi del campanile,

lasciando che il mondo vada per la sua strada.

Ben altro è il respiro che anima la Chiesa. Essa è continuamente

convertita dal Regno che annuncia e di cui è anticipo e promessa: Regno che

è e che viene, senza che alcuno possa presumere di definirlo in modo

esauriente; Regno che rimane oltre, più grande dei nostri schemi e ragio-

namenti, o che – forse più semplicemente – è tanto piccolo, umile e

nascosto nella pasta dell’umanità, perché dispiega la sua forza secondo i

criteri di Dio, rivelati nella croce del Figlio.

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Servire il Regno comporta di vivere decentrati rispetto a se stessi, protesi

all’incontro che è poi la strada per ritrovare veramente ciò che siamo:

annunciatori della verità di Cristo e della sua misericordia. Verità e miseri-

cordia: non disgiungiamole. Mai! “La carità nella verità – ci ha ricordato Papa

Benedetto XVI – è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni

persona e dell’umanità intera” (Enc. Caritas in veritate, 1). Senza la verità,

l’amore di risolve in una scatola vuota, che ciascuno riempie a propria

discrezione: e “un cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente

scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale,

ma marginali”, che in quanto tali non incidono sui progetti e sui processi di

costruzione dello sviluppo umano (ibid., 4).

Con questa chiarezza, fratelli, il vostro annuncio sia poi cadenzato

sull’eloquenza dei gesti. Mi raccomando: l’eloquenza dei gesti.

Come Pastori, siate semplici nello stile di vita, distaccati, poveri e mise-

ricordiosi, per camminare spediti e non frapporre nulla tra voi e gli altri.

Siate interiormente liberi, per poter essere vicini alla gente, attenti a

impararne la lingua, ad accostare ognuno con carità, affiancando le persone

lungo le notti delle loro solitudini, delle loro inquietudini e dei loro falli-

menti: accompagnatele, fino a riscaldare loro il cuore e provocarle così a

intraprendere un cammino di senso che restituisca dignità, speranza e

fecondità alla vita.

Tra i “luoghi” in cui la vostra presenza mi sembra maggiormente neces-

saria e significativa – e rispetto ai quali un eccesso di prudenza condan-

nerebbe all’irrilevanza – c’è innanzitutto la famiglia. Oggi la comunità

domestica è fortemente penalizzata da una cultura che privilegia i diritti

individuali e trasmette una logica del provvisorio. Fatevi voce convinta di

quella che è la prima cellula di ogni società. Testimoniatene la centralità e la

bellezza. Promuovete la vita del concepito come quella dell’anziano.

Sostenete i genitori nel difficile ed entusiasmante cammino educativo. E non

trascurate di chinarvi con la compassione del samaritano su chi è ferito negli

affetti e vede compromesso il proprio progetto di vita.

Un altro spazio che oggi non è dato di disertare è la sala d’attesa affollata

di disoccupati: disoccupati, cassintegrati, precari, dove il dramma di chi non

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sa come portare a casa il pane si incontra con quello di chi non sa come

mandare avanti l’azienda. È un’emergenza storica, che interpella la respon-

sabilità sociale di tutti: come Chiesa, aiutiamo a non cedere al catastrofismo

e alla rassegnazione, sostenendo con ogni forma di solidarietà creativa la

fatica di quanti con il lavoro si sentono privati persino della dignità.

Infine, la scialuppa che si deve calare è l’abbraccio accogliente ai mi-

granti: fuggono dall’intolleranza, dalla persecuzione, dalla mancanza di

futuro. Nessuno volga lo sguardo altrove. La carità, che ci è testimoniata

dalla generosità di tanta gente, è il nostro modo vivere e di interpretare la

vita: in forza di questo dinamismo, il Vangelo continuerà a diffondersi per

attrazione.

Più in generale, le difficili situazioni vissute da tanti nostri contempo-

ranei, vi trovino attenti e partecipi, pronto a ridiscutere un modello di

sviluppo che sfrutta il creato, sacrifica le persone sull’altare del profitto e

crea nuove forma di emarginazione e di esclusione. Il bisogno di un nuovo

umanesimo è gridato da una società priva di speranza, scossa in tante sue

certezze fondamentali, impoverita da una crisi che, più che economica, è

culturale, morale e spirituale.

Considerando questo scenario, il discernimento comunitario sia l’anima

del percorso di preparazione al Convegno ecclesiale nazionale di Firenze nel

prossimo anno: aiuti, per favore, a non fermarsi sul piano – pur nobile –

delle idee, ma inforchi occhiali capaci di cogliere e comprendere la realtà e,

quindi, strade per governarla, mirando a rendere più giusta e fraterna la

comunità degli uomini.

Andate incontro a chiunque chieda ragione della speranza che è in voi:

accoglietene la cultura, porgetegli con rispetto la memoria della fede e la

compagnia della Chiesa, quindi i segni della fraternità, della gratitudine e

della solidarietà, che anticipano nei giorni dell’uomo i riflessi della Domenica

senza tramonto.

Cari fratelli, è grazia il nostro convenire di questa sera e, più in generale,

di questa vostra assemblea; è esperienza di condivisione e di sinodalità; è

motivo di rinnovata fiducia nello Spirito Santo: a noi cogliere il soffio della

sua voce per assecondarlo con l’offerta della nostra libertà.

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Vi accompagno con la mia preghiera e la mia vicinanza. E voi pregate per

me, soprattutto alla vigilia di questo viaggio che mi vede pellegrino ad

Amman, Betlemme e Gerusalemme a 50 anni dallo storico incontro tra Papa

Paolo VI e il Patriarca Atenagora: porto con ma la vostra vicinanza partecipe

e solidale alla Chiesa Madre e alle popolazioni che abitano la terra

benedetta in cui Nostro Signore è vissuto, morto e risorto. Grazie.

DOCUMENTI DELLA CHIESA UNIVERSALE

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PRESENTAZIONE DELL’«INSTRUMENTUM LABORIS»

DELL’ASSEMBLEA STRAORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI *

Il Vangelo della famiglia; le situazioni familiari difficili; l’educazione alla

fede e alla vita dell’intero nucleo familiare. Sono questi i tre ambiti nei quali

si sviluppa l’Instrumentum laboris per l’assemblea straordinaria del Sinodo

dei vescovi sulla famiglia, che si riunirà dal 5 al 19 ottobre di quest’anno per

riflettere sul tema «Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto generale

dell’evangelizzazione». Il contenuto del documento è stato presentato

questa mattina, giovedì 26 giugno, nella Sala Stampa della Santa Sede.

La prima parte del testo tratta del disegno di Dio, della conoscenza

biblica e magisteriale e della loro ricezione, della legge naturale e della

vocazione della persona in Cristo. Il riscontro della scarsa conoscenza del-

l’insegnamento della Chiesa domanda agli operatori pastorali una maggiore

preparazione e l’impegno a favorirne la comprensione da parte dei fedeli,

che vivono in contesti culturali e sociali diversi.

La seconda parte, che affronta le sfide pastorali inerenti alla famiglia,

considera in maniera particolare le situazioni pastorali difficili, che riguar-

dano le convivenze e le unioni di fatto, i separati, i divorziati, i divorziati

risposati e i loro eventuali figli, le ragazze madri, coloro che si trovano in

condizione di irregolarità canonica e quelli che richiedono il matrimonio

senza essere credenti o praticanti. Nel documento si sottolinea l’urgenza di

permettere alle persone ferite di guarire e di riconciliarsi, ritrovando nuova

fiducia e serenità. Di conseguenza, è invocata una pastorale capace di offrire

la misericordia che Dio concede a tutti senza misura. Si tratta dunque di

«proporre, non imporre; accompagnare, non spingere; invitare, non espel-

lere; inquietare, mai disilludere».

La terza parte presenta dapprima le tematiche relative all’apertura alla

vita, quali la conoscenza e le difficoltà nella ricezione del magistero, i sug-

* Dall’Osservatore Romano, 26 giugno 2014.

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gerimenti pastorali, la prassi sacramentale e la promozione di una mentalità

accogliente.

Nel documento si denuncia poi la scarsa conoscenza dell’enciclica

Humanae vitae. Nella stragrande maggioranza delle risposte vengono messe

in risalto le difficoltà che si incontrano sul tema degli affetti, della gene-

razione della vita, della reciprocità tra l’uomo e la donna, della paternità e

maternità responsabili. Quanto alla responsabilità educativa dei genitori, dal

documento emerge la difficoltà nel trasmettere la fede ai figli e nel dar loro

un’educazione cristiana soprattutto in situazioni familiari difficili, i cui riflessi

sui figli si estendono anche alla sfera della fede.

Il documento sarà ora oggetto di studio e di valutazione da parte delle

conferenze episcopali e confrontato con le diverse realtà locali in modo da

evidenziare i punti focali sui quali avanzare proposte pastorali da discutere e

approfondire durante i lavori dell’assemblea straordinaria e poi in quella

ordinaria che si svolgerà dal 4 al 25 ottobre del 2015 e che avrà come tema

«Gesù Cristo rivela il mistero e la vocazione della famiglia».

DOCUMENTI DELLA CHIESA ITALIANA

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INCONTRIAMO GESÙ Presentazione

Il testo Incontriamo Gesù, redatto dalla Commissione Episcopale per la

dottrina della fede l’annuncio e la catechesi e sancito dal voto della 66a As-

semblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana (Roma, 19-22 maggio

2014), è il frutto del lungo cammino svolto per delineare gli Orientamenti

per l’annuncio e la catechesi in Italia.

La necessità di un testo che potesse sostenere la riflessione e la proget-

tazione della pastorale catechistica, dopo un decennio di sperimentazioni

diocesane1 e durante il cammino decennale su Educare alla vita buona del

Vangelo, era avvertita da molti. L’ampia consultazione delle Conferenze Epi-

scopali Regionali, avvenuta tra l’estate e l’autunno del 2013, ha sollecitato

numerosi spunti di lavoro con significativi apporti. Il magistero del Santo Pa-

dre Francesco, condensato nell’Esortazione Evangelii gaudium, ha offerto,

non solo molteplici riflessioni – che abbondantemente risuonano nel testo –

ma anche un quadro di sintesi, nel quale si collocano quelle questioni che

necessariamente il testo di questi Orientamenti ha lasciato aperte perché,

proprio su indicazioni delle Conferenze Episcopali Regionali, si sviluppino ul-

teriori approfondimenti.

Incontriamo Gesù è un documento che vuole orientare la pastorale cate-

chistica per quanto le compete aiutandola a ridefinire i suoi compiti

all’interno dell’azione evangelizzatrice della Chiesa, intesa come orizzonte e

processo. Non si tratta dunque di un testo che voglia descrivere tutta la pa-

storale: esso si concentra specificamente sull’annuncio e la catechesi ovvia-

mente anche nei loro rapporti con l’insieme delle azioni pastorali. Il testo

mantiene un ampio riferimento al Direttorio generale della catechesi (ap-

1 Va ricordato come tali sperimentazioni furono richieste – all’interno di precise consegne –

nella 51a Assemblea Generale della CEI: cfr. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Comunicato

finale della 51a Assemblea Generale, 23 maggio 2003.

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provato da Papa Giovanni Paolo II il 15 agosto 1997), e tiene conto della

scansione metodologica (nonché, ovviamente, contenutistica) del Cate-

chismo della Chiesa Cattolica2. Naturalmente nella struttura e nella trama

del testo si possono riconoscere riferimenti organici al magistero «catechi-

stico» degli ultimi pontefici: l’Evangelii nuntiandi, la Catechesi tradendae, la

Novo millennio ineunte, la Fides et ratio, la Deus caritas est, la Lumen fidei, e

agli Orientamenti pastorali della CEI: soprattutto Comunicare il vangelo in un

mondo che cambia e Educare alla vita buona del vangelo, nonché ai Docu-

menti e Note sulla parrocchia missionaria, sull’iniziazione cristiana, sul primo

annuncio e sugli Oratori.

L’obiettivo dell’annuncio e della catechesi è la conversione e la forma-

zione e l’assunzione del pensiero di Cristo: «Pensare secondo Cristo e pensa-

re Cristo attraverso tutte le cose» (San Massimo il Confessore)3. Per questo

l’azione catechistica necessita di legami integranti con l’esperienza celebrativa

e con quella caritativa, nonché della valorizzazione di particolari momenti –

quali la richiesta del Battesimo, della Confermazione e della prima Comunione

– per un cammino di relazione e di incontro con la famiglia, in una prospettiva

pastorale attenta a mantenere il carattere popolare dell’esperienza ecclesiale.

Il titolo «Incontriamo Gesù» esprime sinteticamente l’obiettivo cui tende la

formazione cristiana: l’incontro di grazia con Gesù. Il verbo posto alla prima

persona plurale sottolinea (come nei simboli di fede) la dimensione ecclesiale

di questo incontro, intendendo mostrare sia la dimensione del discepolato sia

la dinamica della testimonianza. Si tratta di una ideale continuità con quanto

affermato nel n. 25 di Educare alla vita buona del Vangelo, dove si delinea lo

stile educativo, la pedagogia di Gesù.

Questi Orientamenti non sono un «nuovo» documento di base (DB) che

sostituisca il Rinnovamento della catechesi del 1970, e neppure una sua ri-

scrittura4. Incontriamo Gesù vuole aiutare le nostre chiese, oggi, a cin-

2 Il CCC è esplicitamente ricordato nel suo impianto metodologico in Incontriamo Gesù, n.

22. 3 L’espressione è ora ripresa in Incontrare Gesù, n. 11. Si veda anche il n. 38 di CONFERENZA

EPISCOPALE ITALIANA, Il Rinnovamento della catechesi, Roma 2 febbraio 1970. 4 Quanto alla validità delle intuizioni teologiche, pedagogiche e pastorali del DB si possono

27

quant’anni dal Concilio Vaticano II, a quarantacinque anni dal DB, nel tempo

di una rinnovata evangelizzazione, e dopo l’Esortazione apostolica Evangelii

gaudium, a rafforzare una comune azione pastorale nell’ambito della cate-

chesi ed uno slancio comune nell’annuncio del Vangelo.

L’iter di stesura del Documento è stato abbastanza prolungato in quanto,

la Commissione Episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la cate-

chesi, ha desiderato coinvolgere, oltre ai Vescovi – responsabili in primis del-

la Catechesi – l’Ufficio Catechistico Nazionale e la sua Consulta, ed il più ampio

numero di persone capaci, per ministero, per scienza e per esperienza pasto-

rale concreta, di leggere l’attuale contesto ecclesiale alla luce del cammino

delle nostre chiese, del magistero del Papa e delle linee pastorali espresse

dall’episcopato. In tal modo si è inteso ripercorrere quella consultazione am-

pia e articolata che aveva anche presieduto alla stesura del DB.

Il testo presenta un indice assai semplice. Una breve analisi di 1Ts 1-2 ac-

compagna i singoli capitoli: si tratta di un testo denso di significato, proba-

bilmente il più antico del Nuovo Testamento, che mostra come l’avventura

dell’evangelizzazione sia una dimensione originaria nonché originante della

Chiesa. In quattro capitoli Incontriamo Gesù vuole descrivere l’azione evan-

gelizzatrice dalla comunità cristiana ed il primato della formazione cristiana

di adulti e giovani (I cap.), si sofferma sul primo annuncio (II cap.), si concen-

tra sull’Iniziazione cristiana (III cap.), ed infine evidenzia (IV cap.) il servizio e

la formazione di evangelizzatori e catechisti, nonché degli Uffici catechistici

diocesani. Il testo offre alla fine di ogni capitolo delle «proposte pastorali»

affidate alle diocesi ed alle parrocchie ed esplicita più volte alcune riflessioni

che vanno attentamente considerate e rese operative dalle Conferenze Epi-

scopali Regionali.

Incontriamo Gesù presenta quattro caratterizzazioni fondamentali. L’as-

soluta precedenza della catechesi e della formazione cristiana degli adulti, e,

all’interno di essa, del coinvolgimento delle famiglie nella catechesi dei pic-

vedere (tra le tante attestazioni): CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Lettera dei Vescovi per la riconsegna del testo «Il rinnovamento della catechesi» (3 aprile 1988); COMMISSIONE

EPISCOPALE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, L’ANNUNCIO E LA CATECHESI, Annuncio e catechesi per la vita cristiana, Lettera pubblicata nel 40° del Documento di Base, 4 aprile 2010.

28

coli5. Si tratta di valorizzare tutta l’azione formativa (che comprende anche

liturgia e testimonianza della carità) in chiave «adulta». L’ispirazione cate-

cumenale della catechesi con una esplicita attenzione all’Iniziazione cristiana

degli adulti (Catecumenato) ed insieme una forte attenzione al dono di gra-

zia operato da Dio, alla scelta di fede, agli itinerari, ai riti, alle celebrazioni e

ai passaggi che scandiscono il cammino. La formazione di evangelizzatori e

catechisti e – in forma curriculare e permanente – la formazione dei presbi-

teri e dei diaconi. La proposta mistagogica ai preadolescenti, agli adolescenti

ed ai giovani, caratterizzata da una non scontata continuità con la catechesi

per l’Iniziazione cristiana ma anche dalla considerazione della realtà di

«nuovi inizi» esistenziali.

Sono molto sottolineate alcune dimensioni. L’invito all’ascolto/lettura

della Scrittura nella Chiesa, anche con attenzioni ad armonizzare tale pro-

spettiva con un corretto approccio liturgico e catechistico6. La dimensione

kerigmatica, in chiave fortemente cristocentrica, dell’annuncio e della cate-

chesi viene sottolineata come “cuore” dell’azione evangelizzatrice7. La pro-

posta che i padrini e le madrine siano figure veramente «scelte, qualificate e

valorizzate»8. Il valore del Mandato del vescovo che esprime la ministerialità

peculiare dei catechisti9.

Il Santo Padre Francesco rivolgendosi ai Vescovi italiani ha espresso

questo auspicio: «Accompagnate con larghezza la crescita di una corre-

sponsabilità laicale; riconoscete spazi di pensiero, di progettazione e di a-

zione alle donne e ai giovani: con le loro intuizioni e il loro aiuto riuscirete

a non attardarvi ancora su una pastorale di conservazione – di fatto gene-

rica, dispersiva, frammentata e poco influente – per assumere, invece, una

pastorale che faccia perno sull’essenziale. Come sintetizza, con la profondi-

tà dei semplici, Santa Teresa di Gesù Bambino: “Amarlo e farlo amare”. Sia

5 Cfr. particolarmente Incontriamo Gesù n. 24.

6 Cfr. particolarmente Incontriamo Gesù n. 17.

7 Cfr. particolarmente Incontriamo Gesù nn. 27 e 35.

8 Cfr. particolarmente Incontriamo Gesù n. 70.

9 Cfr. particolarmente Incontriamo Gesù n. 78.

29

il nocciolo anche degli Orientamenti per l’annuncio e la catechesi che af-

fronterete in queste giornate»10.

Incontriamo Gesù possa dunque interpellare coloro che, accanto ai loro

Vescovi, hanno responsabilità nel formulare progetti diocesani e percorsi

parrocchiali per l’annuncio e la catechesi a vari livelli: i vicari per l’evangeliz-

zazione, i direttori diocesani, i responsabili e i collaboratori dell’Ufficio cate-

chistico, della pastorale familiare e di quella giovanile. Nel contempo il testo

interroga le comunità parrocchiali con i loro consigli pastorali, le associazioni

e i movimenti ecclesiali, in particolare parroci, presbiteri, diaconi, persone

consacrate, catechisti, formatori di giovani, animatori di percorsi per fidan-

zati e famiglie, e tutti gli altri operatori pastorali. Possa Maria, la Madre del-

l’evangelizzazione, accompagnare il nostro popolo cristiano, nelle sue co-

munità, attraverso l’entusiasmante avventura di una crescita costante

nell’incontrare, conoscere e gustare Gesù. Roma, 29 giugno 2014.

Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo

Angelo Card. Bagnasco

Presidente della Conferenza Episcopale Italiana

10

Discorso del Santo Padre Francesco alla 66a Assemblea Generale della Conferenza Episco-

pale Italiana, 19 maggio 2014.

DOCUMENTI DELLA CHIESA PUGLIESE

mons. Vito Angiuli

INSEGNAMENTI PASTORALI DEL VESCOVO

37

2014: NON UOMINI DI SABBIA E DI PAGLIA, MA DI SPERANZA!*

Chi siamo e dove va il nostro mondo? Cosa aspettiamo dal nuovo anno?

La crisi economica sta rendendo molto difficile la vita di un numero sempre

maggiore di famiglie. Sono sempre di più le persone che cadono sotto soglia

della povertà. Ma basterà la ripresa economica (se ci sarà) a ridare spe-

ranza? Le insoddisfazioni attuali nascono non solo dalla precarietà eco-

nomica, ma soprattutto dall’incapacità a gestire la propria libertà.

Siamo diventati uomini di sabbia! È la conclusione a cui è arrivata la nota

psicologa C. Ternynck. Un suo recente libro porta un significativo titolo:

L’uomo di sabbia, individualismo e perdita di sé (Vita e Pensiero, Milano

2012). Secondo la psicologa, oggi l’uomo è frustrato perché, lasciato troppo

in balia di se stesso, fatica a portare la sua vita. La società non sa sostenerlo

perché è diventata come una “poltiglia”, una “mucillagine” composta da

tanti coriandoli che stanno l’uno accanto all’altro, ma non riescono a stare

insieme e non formano una unità. Nella nostra società “senza radici” le

parole tradizionali si sono svuotate e tendono a perdere il loro significato. Si

è affievolita la passione per i grandi ideali, ritenuti sorpassati o impossibili da

raggiungere e la libertà viene esaltata come disponibilità di se stessi senza

una corrispettiva responsabilità sociale. E così aumenta la solitudine e la

fragilità.

Lo sapeva bene anche il poeta inglese T. S. Eliot che già nel 1925, durante

un periodo di assenza dal lavoro a causa di un esaurimento nervoso, scrisse i

seguenti versi in una poesia intitolata The Hollow Men (Gli uomini vuoti):

Siamo gli uomini vuoti / Siamo gli uomini impagliati / Che appoggiano l’un

l’altro / La testa piena di paglia. Ahimè! È la rappresentazione angosciosa

dell’uomo contemporaneo ridotto a un manichino impagliato, privo di

ombra, di colore, di moto e di parola. Dalla sua bocca escono solo mormorii

* Messaggio per l’inizio del nuovo anno, 1 gennaio 2014.

38

senza senso che stridono come il vento tra le erbe secche o la zampa di un

topo su vetri infranti.

Per il cristiano, invece, l’anno nuovo si apre nel segno della Vergine

Maria, Madre di Dio, che annuncia la benedizione del Signore e una nuova

stagione di speranza. Per questo invito tutti a far proprie la preghiera di

Paolo VI: Maria, tu il preludio, / Maria, tu l’aurora, Maria, tu la vigilia, / (…)

tu il traguardo della profezia, / tu la chiave d’intelligenza / dei misteriosi

messaggi messianici, / tu il punto d’arrivo del pensiero di Dio. Insomma, la

speranza è ancora possibile. E noi, “uomini di sabbia e di paglia”, possiamo

ridiventare “uomini di speranza”. È l’augurio che rivolgo a tutti per il nuovo

anno 2014!

39

IL CAMMINO DELLA FEDE: CERCARE, INCONTRARE, ADORARE*

Celebriamo oggi la solennità dell’Epifania, la manifestazione del Verbo

incarnato a tutti i popoli. «Oggi, il Redentore di tutte le genti si è rivelato a

tutte le genti chiede solennità. E, per questo, abbiamo celebrato la sua na-

scita, pochissimi giorni fa, e oggi celebriamo la sua stessa manifestazione»1.

L’immagine dei Magi è molto eloquente. Essi appaiono negli affreschi

delle catacombe romane due secoli prima dell’effigie dei pastori. La tradi-

zione li ha fatti re, ne ha contati tre, ha attribuito loro nomi diversi, ha

disseminato le reliquie da Milano a Colonia, nei tre doni ha visto segni

particolari: oro (regalità), incenso (divinità), mirra (passione e morte). Sotto

la guida della stella, essi trovano la via verso il divino Bambino. È l’inizio di

una grande processione che pervade la storia. Il loro cammino insieme con

le splendide visioni profetiche di Isaia 60 e del Salmo 72, illustrano con

immagini audaci il pellegrinaggio dei popoli verso Gerusalemme. Per questo

la liturgia prega: «O Dio, con la guida della stella, hai rivelato alle genti il tuo

unico Figlio; conduci benigno anche noi, che già ti abbiamo conosciuto per la

fede, a contemplare la grandezza della tua gloria» (Colletta).

I Magi erano uomini che cercavano Dio e, in definitiva, erano in cammino

verso di Lui. Il loro pellegrinaggio esteriore è espressione dell’interiore pelle-

grinaggio del loro cuore. Il loro viaggio indica le tappe del nostro cammino di

fede che si può esprimere con tre verbi: cercare, incontrare, adorare.

Il viaggio dei Magi diventa l’emblema della vita cristiana intesa come

sequela, discepolato e ricerca. Come loro, siamo tutti lontani da Dio, benché

egli non sia lontano da noi. Occorre mettersi in cammino per incontrarlo. Ma

è lui a farsi vicino a ognuno di noi. I lontani lo attraggono, solleticano il suo

affetto, stimolano la sua gelosia, muovono la sua carità. Anche Dio è viatore

col suo popolo; ospite che bussa alla porta per essere accolto a mensa (cfr.

* Omelia nella Messa dell’Epifania, Cattedrale, Ugento 6 gennaio 2014.

1 Agostino, Sermo 203, 1.

40

Ap 3,20); pastore che cammina col suo gregge (cfr. Sal 42, Gv 10); profugo

nel suo Figlio che presto dovrà conoscere l’amarezza dell’esilio e della per-

secuzione.

I Magi seguono una stella: sidereus è una parola che rievoca molto da

vicino proprio il de-siderium. La stella ci invita a seguirla, proprio come il

desiderio. Per guardare le stelle occorre alzare lo sguardo. Così il desiderio ci

chiede di alzare lo sguardo e di contemplare i segni che Dio manda dal cielo.

Interpretando i segni dei tempi e scrutando la Scrittura, i Magi arrivano

alla meta e incontrano il Salvatore. La stella si ferma sulla casa dove si

trovano una donna con un bambino. La stella li ha guidati, ma adesso essi

devono riconoscere in quella quotidianità la presenza di Dio. Nell’intimo del

cuore, giorno dopo giorno, anche noi dobbiamo incontrare il Signore. «Il

Verbo di Dio che fu generato secondo la carne una volta per tutte. Ora, per

la sua benignità verso l’uomo, desidera ardentemente di nascere secondo lo

Spirito in coloro che lo vogliono e diviene bambino che cresce con il crescere

delle loro virtù»2.

«E prostratisi, lo adorarono» (Mt 2,11). È questa la meta del cammino

della fede: l’adorazione del Dio fattosi uomo. La porta della fede ci fa

entrare nella casa dove Dio dimora perché, prostrandoci, possiamo adorarlo.

Nel mondo antico il termine greco προσκiνησις e il suo equivalente latino

adoratio erano usati per indicare il sentimento di venerazione e di rispetto

verso la divinità. Adorare è il fine della vita umana nel tempo e nell’eternità:

«Corpo e anima, o saranno due mani giunte in eterna adorazione, o due

polsi ammanettati per una cattività eterna» (C. Peguy).

2 San Massimo il Confessore, Centuria 1, 8.

41

IL CAPO DI LEUCA, UNA CITTÀ DIFFUSA*

La festa del santo patrono ha un significato religioso e una valenza an-

tropologica e sociale. Richiama l’unità dell’intera comunità cristiana, ma

evoca anche l’identità culturale e sociale di un popolo che vive in un

determinato territorio. Nel suo contenuto specificamente cristiano, la festa

esprime l’onore reso a Cristo attraverso un luminoso testimone della fede.

In quanto testimonianza sociale e culturale, la festa del patrono mette in

luce il genio peculiare di un popolo, i suoi valori caratteristici, le espressioni

più genuine del suo folklore, diventando l’occasione per dilatare i rapporti

interpersonali e aprire nuove possibilità di impegno e di azione. In tal modo,

Chiesa e società civile vivono insieme un avvenimento che li accomuna e li

sollecita a interrogarsi intorno al bene comune.

Per questo ringrazio voi sindaci e le altre autorità civili e militari presenti

a questo sacro rito in quanto rappresentate l’intera popolazione che vive in

questo territorio del Capo di Leuca. È un appuntamento, questo, che ci invita

a riflettere sul momento storico che viviamo e su quanto è necessario

mettere in atto per dare risposte comuni e convergenti di fronte alle nuove

emergenze sociali e culturali.

Ci domandiamo, allora, cosa rappresenta oggi il Capo di Leuca?

Certo non possiamo più definirlo allo stesso modo dell’onorevole Alfredo

Codacci Pisanelli, che in un’interpellanza presentata alla Camera dei Deputati

il 1° giugno 1903, si espresse con queste parole: «Il Capo di Leuca è un vasto

triangolo, che ha due lati formati dal mare e il terzo costituito dalla strada

ferrata Gallipoli-Zollino-Maglie-Otranto, che va dallo Ionio all’Adriatico. Di

siffatto estremo triangolo, ricco di antiche leggende e di autentica storia

civile, oggi non pochi in Italia ignorano perfino l’esistenza, tanto è tagliato

* Omelia nella Messa della festa di S. Vincenzo, Cattedrale, Ugento 22 gennaio 2014.

42

fuori da ogni comunicazione, tanto è isolato, non solo materialmente, ma

anche economicamente»1.

Oggi, il Capo di Leuca ha acquisito un altro significato e un altro ruolo.

Sinteticamente si può dire che da terra di confine è diventato terra di

frontiera con un suo simbolo, una sua configurazione, una sua missione.

Il simbolo è dato dal santuario di Leuca. Si tratta certo di un simbolo

religioso, ma con una forte valenza culturale e sociale. Un simbolo – si badi

bene – inscritto nella storia e nell’animo del nostro popolo, non un prodotto

utile per fare un’operazione di marketing. Un simbolo che non è scelto da

noi, ma ci è consegnato dalla tradizione e per questo è carico di valori

comuni, anche al di là della stessa professione di fede. Un simbolo che

rappresenta un segno di unità. In quel luogo, convergono le Serre che

attraversano il nostro territorio e le strade, colorate dal rosso della terra

arsa e dal bianco delle rocce calcaree, trovano il loro punto confluenza.

In quanto segno di unità il santuario di Leuca diventa un segno pro-

spettico perché spalanca un orizzonte sconfinato. Unità e prospettiva sono

le coordinate racchiuse nel simbolo che definiscono l’identità del Capo di

Leuca.

È il pensiero che mi ritorna frequentemente alla mente ogni volta che mi

incammino verso Leuca. Il percorso stradale mi sembra come il dipanarsi di

un sogno, mentre sale nel cuore la gioia di raggiungere la casa della Vergine,

posta ai confini del mondo: dove gli estremi si toccano, i contrasti si

annullano e i due mari diventano una sola tavola azzurra. Sì, questa meta del

nostro pellegrinare, è il luogo terminale della Puglia e il punto di partenza

per l’incontro con i popoli del Mediterraneo. E proprio lì, nell’estremo lembo

della terra, gli opposti si sciolgono e si ricompongono in unità e un nuovo

orizzonte si spalanca dinanzi agli occhi e al cuore. Quel punto di unità e di

prospettiva ridona soddisfazione al desiderio di incontro tra i popoli. È una

gioia per l’anima arrivare alla casa di Maria, collocata proprio all’estremità

1 A. Codacci Pisanelli, Le condizioni del Capo di Leuca agli inizi del XX secolo, in R. Fracasso-

G. Ricchiuto, Il Cardinale Panico e la sua terra, a cura di D. Valli, Congedo Editore, Galatina 1995, pp. 35-52, qui p. 40.

43

della terra, lì dove il suolo cade a strapiombo e si tuffa nell’acqua cerulea

per raggiungere il fondo del mare; lì dove l’intimo del cuore si svela e si

specchia dentro quel mare azzurro che riflette i colori del cielo e mette in

risalto, quasi per contrasto, il bianco colore della costa; lì dove la terra, il

cielo e il mare si incontrano e si prendono per mano per annullare divisioni e

separatezze, conflitti e rancori, contrasti e ambivalenze.

Questo simbolo aiuta a comprendere l’attuale configurazione del Capo di

Leuca. Esso non è altro se non una città diffusa. E così – quasi per continuare

il mio sogno – mentre cammino con gli occhi fissi al santuario della Vergine,

vedo scorrere, lungo la via, piccoli paesi raccolti attorno alla Chiesa in un

groviglio di antiche strade che sfociano in campi arati, costretti dentro i

muretti a secco a disegnare le rispettive zone di confine, in un territorio

comune che non vuole divisioni e separazioni, e soffre di queste arcane

gelosie. Ogni paese ha un nome e una sua antica nobiltà che vuole custodire

con cura e mantenere immutata nel tempo senza cederla a nessuno,

disdegnando anche tutto l’oro del mondo. Col tempo, però, i paesi si sono

addossati l’uno all’altro, le distanze si sono annullate, i confini si sono

ristretti fin quasi a scomparire, ma il nome proprio di ciascun paese resiste,

non vuole dileguarsi, vuol rimanere per sempre. Si difende strenuamente

contro l’avanzare del tempo. Sembra quasi un soldato posto a difesa

dell’identità del castello, ormai accerchiato da nemici potenti, che vogliono

fare irruzione nella sala regale e cancellare l’antica identità. Occorre essere

rispettosi di ogni singola identità, ma occorre anche prendere coscienza che

è molto più ciò che unisce di ciò che divide.

Solo tenendo ferma questa verità sarà possibile a questa terra esprimersi

non solo come fuoco e fumo, come l’ha definita un recente libro pubblicato

da un autore salentino, ma come un’identità plurale la cui missione è quella

di sciogliere i contrasti e i chiaroscuri in una nuova e più sapiente identità.

Il primo contrasto si riferisce al tema del lavoro e alla situazione che vede

il Salento essere nello stesso tempo terra di emigrazione e di immigrazione.

Mentre sulle nostre coste sbarcano persone che vengono dai paesi che si

affacciano sul Mediterraneo, e donne che vengono dall’Est-Europa per

trovare occupazione nei nostri paesi e nelle nostre famiglie, molti nostri

44

giovani e, talvolta anche intere famiglie, emigrano in altri paesi europei in

cerca di lavoro. Come sciogliere questo contrasto?

Un secondo aspetto tocca il tema dell’innovazione tecnologica e della

salvaguardia del creato. Solo per fare un esempio, l’antitesi tra i campi di

ulivi secolari e le nuove filiere di pannelli fotovoltaici sono lo stridente em-

blema di una realtà che deve essere affrontata con maggiore rigore. Come

stare al passo con i tempi e con la necessità di innovazione rispettando

l’ambiente e custodendo la sua integrità e la sua bellezza?

Una terza antitesi è data dal fatto che il Capo di Leuca è una terra che

canta e, nello stesso tempo, piange. Da una parte si assiste all’esplosione del

talento salentino in campo artistico. Non è un caso che, in ambito musicale,

si sono affermati a livello nazionale molti talenti nostrani. Dall’altra parte,

sembrano quasi del tutto scomparsi quegli abili maestri nel settore dell’ar-

tigianato che hanno fatto grande la cultura salentina e che, modellando il

legno e la pietra, hanno creato monumenti di indubbio valore artistico.

Come valorizzare le risorse e i nuovi talenti senza disperdere i valori che la

tradizione ha tramandato? Come essere nello stesso tempo “nuovi e

antichi”?

Una quarta antinomia caratterizza il nostro territorio: essere una terra di

santi e di peccatori. Sotto questo profilo entra in gioco il tema della legalità e

della trasparenza a fronte di comportamenti meno limpidi e più disinvolti.

Non basta richiamare le grandi figure che in campo religioso, sociale e

politico hanno fatto grande questo territorio, se i comportamenti quotidiani

perseguono una logica alternativa all’esemplarità di vita di quelle nobili

figure di testimoni. Come conciliare il giusto orgoglio per aver dato i natali a

personalità dal forte spessore morale con una prassi che non smentisca nei

fatti quanto affermato con le parole?

Chi siamo, allora, noi gente della Puglia e del Salento? Qual è la nostra

attuale identità?

Penso che la migliore definizione sia quella proposta dai vescovi pugliesi

che, nella Nota pubblicata dopo il terzo Convegno ecclesiale regionale,

hanno scritto queste parole: «Siamo europei del Mediterraneo. Siamo

europei e vogliamo restare tali, senza perdere la nostra appartenenza a un

45

contesto culturale che ci induce a operare perché la vita dell’Unione

Europea non avvenga soltanto lungo l’asse Est-Ovest, ma anche lungo quello

Nord-Sud. Operare perché essa non resti chiusa egoisticamente nella ricca

fortezza del Nord Europa, ma si apra a una cultura di scambio di doni con i

popoli del Mediteranno, compresi quelli delle nazioni del Nord Africa che si

affacciano sullo stesso mare»2.

Cosa dobbiamo fare noi, salentini, in quanto europei del Mediterraneo,

collocati nell’estremo lembo dell’Europa?

A noi tocca soprattutto amare la nostra terra per custodirla e renderla

ancora più bella. È questa l’esortazione proposta dai vescovi pugliesi nello

stesso documento prima richiamato: «A voi, Chiese di Puglia, e in particolare

a voi, cristiani laici, nostri fratelli nella fede, la prima parola che vogliamo

dire è la seguente: amate la nostra terra! Amatela con tutta la forza della

ragione e tutta la passione della nostra fede in Cristo morto e risorto. Amate

il luogo dove viviamo e lavoriamo, così come esso è, con la sua storia e la

pluriforme tradizione culturale e religiosa, con l’identità culturale che ci

ritroviamo, con le risorse che possediamo, con le problematiche umane e

sociali che siamo chiamati ad affrontare. Amate la nostra terra soprattutto

in questo momento di crisi economica e sociale, che ci provoca a ricercare

nuovi stili di vita e nuovi modelli di sviluppo per il nostro futuro (…). Amate,

perciò, la nostra regione Puglia, impregnata come è di cultura greco-romana

e giudaico-cristiana e con la sua radicata vocazione ecumenica. Amate e

stimolate il suo prezioso contributo allo sviluppo delle altre regioni europee

e alla promozione della pace nel bacino del Mediterraneo. Amate la nostra

terra benedetta da Dio, che ha ricevuto l’annuncio della fede cristiana sin

dai primordi e che sembra proiettare le nostre Chiese del Sud verso un ruolo

significativo nel cristianesimo che verrà»3.

L’amore alla terra si esprimerà in forme corrette ed efficaci se saremo

capaci di mettere da parte ogni forma di autarchia e di individualismo e

2 CONFERENZA EPISCOPALE PUGLIESE, Cristiani nel mondo testimoni di speranza, Nota Pastorale

dopo il terzo Convegno Ecclesiale Pugliese I laici nella Chiesa e nella società pugliese, oggi, S. Giovanni Rotondo 27-30 aprile 2011, n. 10. 3 Ibidem.

46

progettare insieme per mantenere viva la nostra vera identità, quella cioè di

essere, nello stesso tempo, uomini nuovi e antichi. È l’accorata invocazione

rivolta qualche anno fa da P. Davide Maria Turoldo in una sua splendida

poesia. Ed è anche l’appello che rivolgo a tutti noi. Queste le parole del

poeta:

Salva la terra che è tua, uomo

del Sud, la libera terra

austera e antica! E questa

cultura sia la placenta

della tua umanità più vera: qui

ove vita fiorisce, come

fra le rocce i germogli, e nessuno

qui è senza radici:

tutti orgogliosi d’essere

nuovi e antichi 4.

4 La poesia di Davide Maria Turoldo Nessuno è qui senza radici è citata in G. Invitto, La verità

liberante. Quattro preti e il Salento, Piero Manni, 1998, p. 39.

47

LA VERGINE DEL DIVIN PIANTO*

La celebrazione di questa sera rievoca l’apparizione della Madonna a

suor Elisabetta Redaelli durante la quale la Vergine mostra Gesù Bambino

che piange «perché non è abbastanza amato, cercato, desiderato anche dal-

le persone che gli sono consacrate». La peculiarità di questa apparizione

consiste nel fatto che si tratta del pianto di Gesù. In questo senso, l’avve-

nimento ha una connotazione non solo mariologica, ma anche cristologica.

Vengono subito alla mente due episodi della vita di Cristo durante i quali

egli piange: la morte di Lazzaro (cfr. Gv 11,35) e lo sguardo sulla città di Ge-

rusalemme (cfr. Lc 19,41). Il primo episodio è uno dei sette segni richiamati

nel Vangelo di Giovanni. E precisamente l’ultimo. Si tratta di un lungo rac-

conto, che fa da cerniera tra il libro dei segni e il libro dell’Ora, composto di

ben 54 versetti, rispetto ai 12 del primo segno (Cana), e ai 41 del penultimo

(cieco nato). Il versetto 35 (Gesù scoppiò in pianto) è l’unico in tutto il quarto

Vangelo in cui si fa cenno al “pianto” di Gesù. Il verbo si dovrebbe tradurre

«versò lacrime»; «pianse a dirotto».

Sono lacrime miste di amore (cfr. Gv 11,36) e di ira. Per due volte (Gv

11,33.38), l’evangelista usa il verbo «fremere», che letteralmente significa

«sbuffare, ansimare». Il fremito rivela il profondo turbamento di Gesù di

fronte alla morte dell’amico (cfr. Gv 11,33). Egli è venuto nel mondo per «li-

berare quelli che per paura della morte erano tenuti in schiavitù (dal diavo-

lo) per tutta la vita» (Eb 2,15). Il pianto di Gesù esprime, dunque, la sua

umanità e la sua pietà (tarassìa), ben diversa dall’atarassìa degli stoici. Se-

condo lo stoicismo, l’uomo ideale è quello che non si lascia coinvolgere nel

profondo dell’animo e ha un perfetto controllo delle proprie emozioni1. Al

* Omelia nella Messa del 90° dell’apparizione della Vergine del divin pianto, Chiesa della

Natività, Tricase, 23 febbraio 2014. 1 «Se vedi qualcuno che piange di dolore per la partenza del figlio fa’ in modo che

l’impressione non ti travolga, e comunque, se capita, non esitare a piangere con lui: attento però a non piangere anche dentro di te» (Epitteto, Manuale, n. 16).

48

contrario, Gesù si lascia «percuotere nell’animo» (Gv 11,33) dal dolore di

Maria, sorella di Lazzaro, e non reagisce secondo le convenienze di rito, con i

tipici lamenti orientali, ma «freme in se stesso».

Gesù piange anche alla vista di Gerusalemme. Letteralmente il verbo si

dovrebbe tradurre «fece lamento». È la lamentazione profetica del Messia

sulla città impenitente che non ha voluto «conoscere ciò che giova alla sua

pace». Si avvera così la profezia di Geremia: «Tu riferirai questa parola: “I

miei occhi grondano lacrime notte e giorno, senza cessare, perché da grande

calamità è stata colpita la figlia del mio popolo, da una ferita mortale”» (Ger

14,17). Il pianto di Gesù rivela la misericordia del Padre (cfr. Es 34,6-7; Sal

86,15; 103,8; Gio 4,2; ecc.), manifesta il suo amore appassionato per gli uo-

mini e si fa invito alla penitenza e alla conversione. Dio Padre nasconde la

sua potenza nell’amore di Cristo e salva l’uomo attraverso la debolezza del

Figlio. Le parole che Gesù rivolge a Gerusalemme non sono minacce, ma una

sofferta constatazione del male che il popolo fa a se stesso: quel male che

egli prenderà su di sé e redimerà con la sua morte in croce.

Come alle nozze di Cana, anche nell’apparizione a suor Redaelli, la Vergi-

ne Maria prende l’iniziativa e invita la Chiesa e il mondo a meditare sulle la-

crime versate da Gesù. Come una madre e una maestra, ella sembra dire:

«Non passate oltre, ma guardate il dolore di Gesù, mio figlio e vostro fratel-

lo». La Madonna del divin pianto mostra, dunque, le lacrime di Dio. Che cosa

nascondono queste lacrime? Che cosa vogliono dire e quale effetto dovreb-

bero produrre in noi?

Le lacrime di Cristo mostrano innanzitutto la tristezza di Dio. Si tratta di

una tristezza che esprime un fremito interiore che non si può esternare at-

traverso le parole e «produce un pentimento irrevocabile che porta alla sal-

vezza, mentre la tristezza del mondo produce la morte» (2Cor 7,10). Il pianto

di Cristo rivela la passione di Dio (pati divina) per non essere amato, cercato,

desiderato dagli uomini. Il Dio vivente non è distaccato, freddo, distante, ma

carico dell’intensa e incontenibile passione d’amore che, di fronte alla du-

rezza del cuore dell’uomo, scoppia in pianto.

Il senso di queste lacrime consiste negli effetti spirituali che esse vorreb-

bero produrre: il pentimento e la conversione. Occorre spezzare la durezza

49

del cuore e realizzare un cammino di conversione così profondo da giungere

alle lacrime, come il figliol prodigo. Egli si converte e la sua conversione na-

sce dalla considerazione di essere stato amato e di non aver corrisposto

all’amore del Padre. Così un fremito di dolore si fa strada nel suo cuore. E da

lì nasce la decisione di far ritorno alla casa del Padre. Le lacrime diventano

preghiera e invocazione al Signore perché egli doni un cuore contrito e umi-

liato. Tra i tanti doni che Dio può fare a una persona, il dono delle lacrime è

certamente uno dei più significativi, perché esprime il dolore per i propri

peccati. I Padri della Chiesa su questo tema hanno scritto pagine straordi-

narie.

Le lacrime del Bambino Gesù sono anche lacrime di condivisione e di vi-

cinanza ad ogni persona che soffre. Sono lacrime divine che raccolgono le la-

crime umane. Sotto questo profilo, è suggestiva l’invocazione di Giuseppe

Ungaretti nella poesia Il dolore:

Cristo, astro incarnato nelle umane tenebre,

fratello che t’immoli per riedificare

umanamente l’uomo,

Santo, Santo che soffri

per liberare dalla morte i morti

e sorreggere noi infelici vivi.

Care suore Marcelline, è bello pensare che voi, con la vostra presenza e il

vostro apostolato, custodite il pianto degli uomini. Che grande compito ave-

te: prendervi cura dei malati e custodire la sofferenza degli uomini che ge-

nera il pianto di Dio. E voi, cari abitanti di Tricase, siete testimoni di questa

quotidiana com-passione divina e umana. Partecipare al dolore, infatti, signi-

fica infondere speranza perché nessuno deve sentirsi solo. Così scrive Bene-

detto XVI: «La misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto

con la sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la so-

cietà. Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di

contribuire mediante la com-passione a far sì che la sofferenza venga condi-

visa e portata anche interiormente è una società crudele e disumana. La so-

cietà, però, non può accettare i sofferenti e sostenerli nella loro sofferenza,

50

se i singoli non sono essi stessi capaci di ciò e, d’altra parte, il singolo non

può accettare la sofferenza dell’altro se egli personalmente non riesce a tro-

vare nella sofferenza un senso, un cammino di purificazione e di maturazio-

ne, un cammino di speranza. Accettare l’altro che soffre significa, infatti, as-

sumere in qualche modo la sua sofferenza, cosicché essa diventa anche mia.

Ma proprio perché ora è divenuta sofferenza condivisa, nella quale c’è la

presenza di un altro, questa sofferenza è penetrata dalla luce dell’amore. La

parola latina con-solatio, consolazione, lo esprime in maniera molto bella

suggerendo un essere-con nella solitudine, che allora non è più solitudine»

(Spe salvi, 38).

Le lacrime di Gesù, infine, sono lacrime di amore. La commozione del-

l’amore arriva fino alle lacrime. Dio piange perché ama. Nell’omelia della

Messa celebrata martedì mattina, 4 febbraio 2014, nella cappella della Casa

Santa Marta, Papa Francesco ha detto che ogni buon padre «ha bisogno del

figlio: lo aspetta, lo cerca, la ama, lo perdona, lo vuole vicino a sé, tanto vici-

no come la gallina vuole i suoi pulcini». E ciò fa pensare alla paternità di Dio.

Qualcuno potrebbe osservare: «Ma padre, Dio non piange!». Obiezione alla

quale il Papa ha risposto: «Ma come no! Ricordiamo Gesù quando ha pianto

guardando Gerusalemme: “Gerusalemme, Gerusalemme, quante volte ho

voluto raccogliere i tuoi figli!”, come la gallina raduna i suoi pulcini sotto le

ali». Dunque «Dio piange; Gesù ha pianto per noi». E in quel pianto c’è la

rappresentazione del pianto di Dio, «che ci vuole tutti con sé nei momenti

difficili».

Queste parole del Papa confermano l’importanza dell’avvenimento che

stiamo celebrando. È un fatto accaduto tanto tempo fa, ma rimane molto

attuale perché richiama un aspetto fondamentale della fede: l’amore gratui-

to e misericordioso di Dio che si manifesta anche attraverso il pianto. Anche

noi dobbiamo ricambiare il suo amore e invocare il dono delle lacrime segno

di conversione e di amore.

51

LA FAMIGLIA, OGGI*

1. La diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca ha deciso di impegnare la

propria riflessione e formazione al tema della “famiglia”. Quale la ragione?

C’è una crescente preoccupazione che la cultura nichilista o la seco-

larizzazione eroda una delle proposte più importanti della evangelizzazione?

Il tema della famiglia non costituisce per la Chiesa un “argomento alla

moda”, e nemmeno “uno” dei tanti aspetti della sua opera evangelizzatrice,

ma una “questione centrale” della sua azione pastorale e, per questo, un

soggetto da considerare sempre con grande attenzione. Il motivo del grande

credito che la Chiesa rivolge verso la famiglia nasce da considerazioni di ca-

rattere “religioso”, ma anche da una valutazione del suo valore pubblico e

sociale. La famiglia è la “cellula fondamentale della società”; un bene che ha

le sue ricadute sull’intera convivenza civile e sociale. Le conseguenze della

“crisi” della famiglia investono inevitabilmente l’intera società. Papa France-

sco nella sua recente esortazione apostolica ha scritto: «Nel caso della fami-

glia, la fragilità dei legami diventa particolarmente grave perché si tratta del-

la cellula fondamentale della società, del luogo dove si impara a convivere

con la differenza e ad appartenere ad altri» (Evangelii gaudium, 66). In altri

termini, la posta in gioco non riguarda solo la vita della Chiesa, ma la stessa

identità dell’uomo e del suo modo di relazionarsi e, conseguentemente, il

modello di società che si vuole realizzare.

2. Si può pensare che il modello familiare, con ruoli distinti maschio-

femmina, che ha funzionato nella società arcaica, possa oggi reggere alla

sfida della complessità e della precarietà? Che cosa dovrebbe spingere i gio-

vani di oggi a scegliere il matrimonio cristiano?

Non vi è alcun dubbio che, nel nostro tempo, vi sono stati profondi cam-

biamenti sociali e culturali che hanno coinvolto l’istituto familiare. Occorre, * Intervista, inedita, rilasciata a Luigi Russo, marzo 2014.

52

però, precisare che la distinzione tra maschio e femmina, non è una que-

stione di “ruoli”, ma di costituzione essenziale della persona. I caratteri ma-

schili e femminili costituiscono l’identità, non solo il compito o la funzione

da esercitare perché appartengono alla conformazione della persona nella

sua unità di individuo costituito da una triplice dimensione: fisica, psicologi-

ca e spirituale. Queste caratteristiche essenziali non solo legate ai tempi e

non valgono solo per la “società arcaica”, ma rimangono “strutture perma-

nenti”. La teoria del gender, vorrebbe accreditare l’idea che la distinzione

uomo-donna sia un “fatto culturale”, e non una dimensione inscritta nella

natura. Questa impostazione teorica ha notevoli ricadute sul piano pratico

che, certo, non promuovono il bene della persona e della società. L’amore

ha sempre un carattere sponsale e la dimensione sponsale richiede la diffe-

renza e la distinzione tra uomo e donna. Ed è proprio questa verità che il cri-

stianesimo afferma. Ciò costituisce un buon motivo che dovrebbe spingere i

giovani a scegliere il matrimonio, cioè la relazione stabile tra l’uomo e la

donna come compimento dell’amore. Vale la pena di sottolineare che la re-

lazione stabile uomo-donna non è solo un valore cristiano, ma appartiene

alla stessa costituzione naturale della persona. In fondo, la verità e la pro-

fondità dell’amore tra l’uomo e la donna aiuta cogliere il mistero della per-

sona e a percepire il mistero di Dio, che è amore.

3. Non ci sono solo meno matrimoni cristiani, ma aumentano anche le

convivenze (unioni di fatto), in alcune regioni sono già la metà delle famiglie

in queste condizioni. Come vede questa sfida? È la morte del matrimonio cri-

stiano oppure una domanda “diversa” che va capita e magari aiutata a tro-

vare la formula giusta?

Il fenomeno sociale da lei richiamato è generato da una serie di cause

che vanno dalla difficoltà e dalla precarietà economica alla fragilità e provvi-

sorietà dei legami, da motivazioni di carattere sociale a cambiamenti di na-

tura culturale. Certamente l’aumento delle convivenze e le “unioni di fatto”

costituisce una novità rispetto al recente passato e si presenta come “sfida”

per la Chiesa e per la società. Ribadisco, ancora una volta, che le tematiche

familiari hanno profonde ricadute sociali. Per questo la promozione del vero

53

volto della famiglia non riguarda solo la Chiesa, ma l’intera società. La Chiesa

intende affrontare queste nuove sfide con grande attenzione, con un pro-

fondo discernimento e con un fraterno accompagnamento. È quanto Papa

Francesco ha chiesto a tutta la Chiesa. Egli ha indetto un sinodo straordina-

rio (ottobre 2014) e un sinodo ordinario (ottobre 2015) perché la Chiesa

possa trovare le giuste risposte a queste nuove sfide.

4. Altra questione è quella del matrimonio tra le persone dello stesso

sesso. Papa Francesco ha messo in secondo piano l’approccio della condanna

o difensiva, e di recente ha detto che vuole impegnare maggiori risorse per

cercare di conosce e capire queste unioni. Lei pensa che il papa si stia

spingendo troppo su un terreno spinoso, oppure il suo è un bisogno molto

forte di non privare nessuno della possibilità di ricevere il Vangelo?

L’atteggiamento con cui Papa Francesco affronta le diverse questioni è

improntata all’idea tradizionale nell’insegnamento della Chiesa che «la mi-

sericordia è la più grande di tutte le virtù» (Evangelii gaudium, 37). La medi-

cina proposta dal vangelo è sempre la misericordia. L’amore del Padre non

ha confini e non fa preferenze per nessuno, ma è sempre rivolto verso tutti.

Nessuno è escluso dall’amore di Dio. Anche la Chiesa deve essere sempre –

come afferma Papa Francesco – “una madre dal cuore aperto”. La miseri-

cordia non è disgiunta dalla verità, ma si accorda sempre con essa in modo

che a tutti giunga «la consolazione e lo stimolo dell’amore salvifico di Dio,

che opera misericordiosamente in ogni persona, al di là dei suoi difetti e del-

le sue cadute» (Evangelii gaudium, 44). D’altra parte si deve rilevare che ac-

canto alle questioni di carattere etico, si devono tenere presenti anche le

questioni di carattere sociale.

5. Che cosa intende fare per rendere più efficace e propositiva la

pastorale familiare nella sua diocesi? Con quali soggetti pastorali, con quali

“limiti”, con quali “aperture”?

La Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca ha sempre mostrato una grande

attenzione alla pastorale famigliare. La Settimana Teologica che abbiamo

vissuto in questi giorni è stato solo l’ultimo atto di una serie di iniziative

54

pastorali già messe in cantiere. Solo a mo’ di esempio, richiamo l’ultima nota

pastorale del mio venerato predecessore, mons. Vito De Grisantis, Per una

pastorale di accoglienza dei divorziati risposati civilmente (gennaio 2010). La

parola “accoglienza” indica l’orientamento fondamentale che bisogna per-

seguire. In un clima culturale profondamente cambiato, quello che occorre è

che tutti i membri della Chiesa adottino uno stile di accompagnamento e di

discernimento. Più che una questione di “programmi”, è una questione di

stile. Ed è propria la necessità di una conversione dello stile pastorale

l’indicazione più volte ripetuta negli interventi di Papa Francesco.

55

ATTENZIONE ALLE NUOVE POVERTÀ*

Abbiamo rivolto una serie di domande a mons. Vito Angiuli, vescovo del-

la diocesi di Ugento-S. M. di Leuca, una delle più antiche del continente eu-

ropeo ma anche una realtà periferica (nell’estremo Sud Salento) che deve

fare i conti con le necessità di decine di migliaia di persone distribuite nelle

42 parrocchie di competenza. Qui è nata l’idea del microcredito di solidarie-

tà grazie alla Fondazione “Monsignor Vito De Grisantis” e al «Progetto Poli-

coro».

Eccellenza, quale importanza riveste lo strumento del microcredito in un

territorio, come quello della sua diocesi, fortemente provato dalla crisi eco-

nomica?

Il territorio della diocesi ugentina, come del resto quello dell’intera terra

salentina, ha fortemente risentito della situazione di crisi che si è venuta a

creare in questi ultimi anni, con centinaia di aziende costrette a chiudere e

giovani che ripercorrono la strada dell’emigrazione sui passi dei loro genito-

ri. Sicuramente il microcredito è uno strumento che può essere validamente

utilizzato su tre fronti: quello del venire incontro alle principali necessità di

chi non riesce a sopravvivere di fronte a una realtà sempre più esigente; in

secondo luogo serve a infondere fiducia e speranza in chi crede di aver perso

tutto, ma può ancora trovare un’àncora e un approdo sicuro; ultimo, ma

non meno importante, serve a creare una rete di solidarietà capace di coin-

volgere tutte le forze sociali.

L’impegno della diocesi nella distribuzione di questi piccoli aiuti in cosa si

traduce?

Partiamo dal fatto che, dai parroci e dal vescovo, la fila di persone che si

presenta a chiedere aiuto è lunghissima, anche se c’è pure chi non si avvici-

* Intervista rilasciata a Mauro Ciardo, pubblicata sulla “Gazzetta del Mezzogiorno”, 1° aprile

2014.

56

na per vergogna o timidezza. Oltre all’impegno personale, facciamo riferi-

mento all’opera del «Progetto Policoro» che è quella di aiutare a far nascere

imprese e a sostenere il lavoro. Il microcredito è una delle forme con cui

vengono messi in atto gli scopi dell’intera iniziativa a favore della solidarietà.

Attraverso la caritas diocesana e le caritas parrocchiali cerchiamo di racco-

gliere i bisogni delle persone e di offrire risposte concrete alle loro necessità.

Come si può convincere chi ha di più a donare per la crescita di tutto il

popolo diocesano e della società in genere?

Credo che a tutti i fedeli, non solo a quelli benestanti, vanno dati tre

semplici consigli: condurre una vita sobria ed esemplare, sulla scorta di

quanto ha detto Papa Francesco riferendosi al Vangelo che insegna a rivol-

gere maggiore attenzione verso i poveri; realizzare gesti concreti di solida-

rietà. È proprio attraverso la forza di questi gesti che la comunità cresce e

l’individuo si rende partecipe del suo miglioramento. L’ultimo invito è quello

ad accrescere la sensibilità. In questi anni, ho potuto registrare che i fedeli

della diocesi ugentina non hanno fatto mai mancare il loro apporto nel mo-

mento in cui ci sono state raccolte a favore di eventi eccezionali e di calami-

tà naturali. Essere sensibili e donare significa condividere con chi ha bisogno

un percorso di vita cristiana.

57

«SACERDOTE PER LA POTENZA DI UNA VITA INDEFETTIBILE» (Eb 7,16)*

Cari sacerdoti e fedeli,

in questa celebrazione crismale, festeggiamo il sacerdozio di Cristo e, in

lui, il nostro sacerdozio.

Fin dalle origini del genere umano, il sacerdozio si è manifestato come un

tratto fondamentale della vita spirituale dell’uomo. Per questo, come ogni

altra istituzione, esso tende a conservare nel tempo le stesse modalità. In

realtà, niente è più antico e più nuovo del sacerdozio di Cristo.

La novità del sacerdozio di Cristo

In questo caso si tratta di una novità così sconvolgente da non sembrare

affatto un sacerdozio secondo lo schema tradizionale. Ne è prova il fatto

che, tra i molteplici titoli riferiti a Gesù, i vangeli non gli attribuiscono mai

quello di sacerdote o di sommo sacerdote. Questa assenza indica la chiara

consapevolezza di una novità tanto radicale da non potersi esprimere con le

parole antiche. Solo dopo la rielaborazione delle categorie sacerdotali

compiuta dalla Lettera agli Ebrei è stato possibile proporre una cristologia

sacerdotale in modo da presentare Cristo come la «via nuova e vivente» (Eb

10,20) per la comunicazione tra gli uomini e Dio. Nella divina umanità di

Cristo, il sacerdozio raggiunge il suo fine e la sua perfezione (teleiosis).

Tre sono gli aspetti che qualificano la novità del sacerdozio di Cristo: la

mediazione, il servizio, il dono di sé. Cristo è sacerdote, perché è «mediatore

di una nuova alleanza» (Eb 9,15). Egli sta in mezzo tra Dio e gli uomini: è

sempre rivolto verso il Padre e, in lui, costantemente riposa; nello stesso

tempo, cammina con gli uomini per andare incontro al Padre. Ha obbedito

alla volontà del Padre (cfr. Eb 10,9; Sal 40,8-9) e si è fatto servo di tutti (cfr.

Mc 10,45). Imparò «l’obbedienza dalle cose che patì» (Eb 5,8) ed espresse la

sua vicinanza agli uomini non in forma rituale, ma attraverso una concreta

* Omelia nella Messa crismale, Cattedrale, Ugento 16 aprile 2014.

58

solidarietà, esercitata attraverso l’abbassamento, la sofferenza, la morte.

Assumendo la carne fragile, debole e mortale degli uomini (cfr. 2Cor 13,4),

Cristo ha innalzato a Dio «preghiere e suppliche con forti grida e lacrime"

(Eb 5,7). In tal modo, egli è divenuto sommo sacerdote «fedele e mise-

ricordioso» (Eb 2,17). “Fedele” per la relazione con Dio; “misericordioso” per

la compassione nei riguardi degli uomini. Questa dimensione di “medietà”

costituisce la dignità del sacerdozio cristiano e diventa la sorgente del nuovo

circolo virtuoso: per corrispondere pienamente all’amore del Padre, occorre

offrire la propria vita per i fratelli; per salvare i fratelli, è necessario obbedire

al Padre. Sono così saldate le due dimensioni dell’amore verso Dio e verso il

prossimo alle quali corrispondono le due dimensioni, verticale e orizzontale,

della croce. Cristo – scrive sant’Agostino – «ci unì a lui come membra, in

modo che egli fosse Figlio di Dio e figlio dell’uomo, unico Dio con il Padre, un

medesimo uomo con gli uomini […]. In tal modo, la stessa persona, cioè

l’unico Salvatore del corpo, il Signore nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, sarà

colui che prega per noi, prega in noi, è pregato da noi. Prega per noi come

nostro sacerdote, prega in noi come nostro capo, è pregato da noi come

nostro Dio. Riconosciamo, quindi, sia le nostre voci in lui, come pure la sua

voce in noi»1.

Sacerdote fedele e misericordioso

La dignità sacerdotale si esprime, pertanto, come offerta a Dio e servizio

agli uomini. Da qui la necessità che i sacerdoti esercitino il loro ministero

«non per forza, ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di

buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma

facendovi modelli del gregge» (1Pt 5,2-3).

Queste parole invitano ogni sacerdote ad essere servo di tutti e a

donare la propria vita per la gloria di Dio e la salvezza del mondo. Il santo

curato d’Ars soleva dire: «Il sacerdote non è sacerdote per sé. Non può

assolvere se stesso. Non può amministrare i sacramenti a se stesso. Egli

non è per se stesso: è per voi. Non sarebbe male se un sacerdote morisse a

1 Agostino, Sal. 85, 1; CCL 39, 1176-1177.

59

forza di fatiche e di pene sopportate per la gloria di Dio e la salvezza delle

anime».

Grande è, dunque, la dignità sacerdotale, ma nessuno può accedere ad

essa, se non è chiamato da Dio e confermato dalla Chiesa. Il sacerdozio non

è una proprietà personale, ma un dono ricevuto che si esercita «per la

potenza di una vita indefettibile» (Eb 7,16). In tal senso, ogni sacerdote

dovrebbe considerare attentamente una famosa espressione di sant’Ago-

stino. Così egli scrive: «Da quando mi è stato posto sulle spalle questo peso,

di cui dovrò rendere un non facile conto a Dio, sempre sono tormentato

dalla preoccupazione per la mia dignità. La cosa più temibile nell’esercizio di

questo incarico è il pericolo di preferire l’onore proprio alla salvezza altrui.

Però, se da una parte mi spaventa ciò che io sono per voi, dall’altra mi

consola il fatto che sono con voi. Per voi infatti io sono vescovo, con voi

sono cristiano. Quello è nome di un mandato che ho ricevuto, questo è

nome di grazia. Quello di pericolo, questo di salvezza»2.

In altre parole, la dignità non è disgiunta dalla fragilità personale del

sacerdote. Egli, come tutti i cristiani, è un uomo debole e un servo inutile

(“acreios”) ossia un “semplice servitore”. Ciò, però, non deve distoglierlo

dalla fatica del ministero che egli deve esercitare con tutto se stesso per

tutta la vita, nella consapevolezza che il primato spetta a Dio e che egli è

solo uno “strumento” nelle sue mani.

La dimensione umana del sacerdote non annulla però la grandezza del

suo ministero, ma esalata l’infinita misericordia di Dio. Per questo, cari

fedeli, vi esorto ad amare i vostri sacerdoti e a seguire i loro insegnamenti.

In loro dovete ammirare la dignità del sacerdozio di Cristo, non la

conformità della persona del sacerdote ai vostri gusti, alle vostre attese e,

talvolta, alle vostre pretese.

I sacerdoti sono “figura di Cristo capo”, mentre i fedeli cristiani sono

“figura di Cristo corpo”. Si distinguono per la natura e la funzione

ministeriale, sono accomunati dalla medesima consacrazione battesimale. A

tal proposito, san Leone Magno scrive: «Tutti quelli che sono rinati in Cristo

2 Agostino, Disc. 340, 1; PL 38, 1483-1484.

60

conseguono dignità regale per il segno della croce. Con l’unzione dello

Spirito Santo poi sono consacrati sacerdoti. Non c’è quindi solo quel servizio

specifico proprio del nostro ministero, perché tutti i cristiani sono rivestiti di

un carisma spirituale e soprannaturale, che li rende partecipi della stirpe

regale e dell’ufficio sacerdotale»3.

Differente è la natura del sacerdozio, identica è la sua origine e la sua

fonte: la carità che scaturisce dal mistero pasquale di Cristo. La carità è

l’essenza del sacerdozio di Cristo ed è la comune eredità di tutti i discepoli di

Gesù. L’amore, infatti, è l’anima della vita cristiana, il contenuto fon-

damentale dell’annuncio, lo stile della testimonianza. La carità è il segreto di

tutti gli stati di vita perché in essa è racchiusa «la potenza di una vita

indefettibile» (Eb 7,16).

L’unica sorgente di carità si manifesta in una molteplicità di forme. I

ministri ordinati sono chiamati a vivere la “carità pastorale”, i consacrati la

“carità verginale”, gli sposi la “carità coniugale”. Sul fondamento dello stesso

amore, la differenza tra gli stati di vita trova il suo comune fondamento e

ogni problema trova la sua soluzione. Lo aveva intuito il giovane Karol

Wojtyla. Nella raccolta di poesie, Canto del Dio nascosto, composta durante

il tempo della sua preparazione al sacerdozio e pubblicata nel 1946, anno

della sua ordinazione sacerdotale, egli scrisse i seguenti versi che disegnano

una proposta di vita di un’incomparabile bellezza:

«L’amore mi ha spiegato ogni cosa,

l’amore ha risolto tutto per me

perciò ammiro questo Amore

dovunque Esso si trovi».

Sia, dunque, la forza dell’amore la vera ispirazione del sacerdozio di tutti

i christifideles: ministri ordinati, consacrati e consacrate, fedeli laici.

3 Leone Magno, Disc. 4,1-2; PL 54, 148-149.

61

Al termine della Messa Crismale il vicario generale della diocesi, mons. Benia-

mino Nuzzo, ha rivolto al vescovo mons. Vito Angiuli il saluto a nome di tutta la

comunità diocesana e porto glia auguri di Pasqua. Si riporta di seguito il testo

dell’intervento.

Eccellenza reverendissima,

la partecipazione alla Messa Crismale risulta sempre un’esperienza bella ed en-

tusiasmante. Colpisce positivamente vedere i presbiteri, i diaconi, i consacrati, i

seminaristi, gli operatori pastorali, i giovani, i ragazzi cresimandi e i fedeli laici rap-

presentanti le varie comunità parrocchiali, che fanno corona al proprio Pastore in

una vera epifania di comunione. Ma è doveroso cogliere, in questa solenne assem-

blea eucaristica, anche la presenza spirituale del Vescovo emerito Mons. Carmelo

Cassati, dei confratelli don Eugenio Licchetta, don Giovanni Stefano e di tanti laici as-

senti per età o per motivi di salute, ai quali va il nostro affettuoso e grato pensiero.

Non possiamo, pertanto, Eccellenza, terminare questa messa crismale, senza

alcune parole di augurio per Lei. Lo Spirito Santo, come olio penetrante e come bal-

samo, come “olio di letizia”, riempia il Suo cuore della forza e della dolcezza del suo

amore, e La renda capace di servire i fratelli con l’amore del buon Pastore che offre

la vita per le sue pecorelle .

Desideriamo ringraziarla anche per l’ infaticabile dedizione e l’amore paterno

per questa Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca; dedizione e amore dimostrati in tan-

ti modi, attraverso gli innumerevoli incontri nelle visite pastorali alle comunità par-

rocchiali, la partecipazione e la presidenza attente e illuminanti ai tanti convegni

ecclesiali e non, la sua solerte attenzione alla dimensione sociale e caritativa, la ca-

pacità di porsi in ascolto del territorio per salvaguardare e promuovere il genio

umano, l’ambiente, la cultura, le nostre tradizioni, la pastorale del turismo e, infine,

l'insistenza sulla formazione permanente a tutti i livelli e la sollecitazione ad un im-

pegno comune fra preti, consacrati e laici di lavorare sempre di più insieme, con

stima reciproca e senso di responsabile collaborazione.

In sintonia con gli orientamenti pastorali della chiesa italiana che sottolineano

l’emergenza educativa, insieme con Lei, vogliamo dare maggiore impulso alla Pa-

storale giovanile ed alla famiglia, nell’attuale contesto sociale, per tanti versi critico,

ostile e minaccioso.

Si tratta, siamo consapevoli, di un cammino pastorale e sociale esigente e av-

vincente che ci trova non sempre tutti pronti all'unisono (come succede, del resto,

in ogni famiglia!), ma che tutti richiama alla serietà dell’impegno assunto con il bat-

tesimo e la cresima e specificato con i sacramenti del servizio e del dono di sé. Sap-

62

piamo anche, che la condivisione degli stessi obiettivi pastorali tradotti poi in con-

crete e comuni linee operative nelle parrocchie , sono sempre mete da riconquista-

re non secondo una piatta e monotona uniformità , ma secondo una giusta creativi-

tà che, tuttavia, non deve cedere alla tentazione di pericolose forme di autonomia

e protagonismo pastorale.

Ci aiuti, Eccellenza, a rimotivare e ad accrescere la gioia di essere di Cristo, ci

aiuti a seguirlo sulla via della croce e ad avere un cuore disposto non solo a costrui-

re l’unità all’interno della Chiesa, ma più ancora pronto a farsi carico e ad accom-

pagnare l’uomo di oggi nella risoluzione dei problemi che mettono in pericolo la

sua dignità e mortificano la speranza nel futuro. Vogliamo diventare una Chiesa

salda e compatta sulla roccia che è Cristo per essere, nello stesso tempo, una Chiesa

credibile in quanto affascinante, estroversa, capace cioè di entrare in dialogo con il

mondo.

Le chiediamo, Eccellenza, di continuare a guidarci con semplicità, di essere vici-

no a noi e di incoraggiarci ed esortarci a rimanere uniti sull'essenziale nella nostra

vita di presbiteri e laici: e cioè attingere dall’amore di Dio, con fiducia incrollabile, il

fervore dello Spirito, per affrontare tutti insieme il compito della nuova evangeliz-

zazione per un nuovo umanesimo in Cristo Gesù. Con questo spirito Le auguriamo,

in sincerità di cuore e unanime preghiera, una buona e santa Pasqua!

63

LA PASQUA, IL SEGRETO DELL’AMORE*

La Pasqua commemora l’intera storia della salvezza: dalla creazione alla

parusia. Nel suo densissimo nucleo, essa racchiude la vita della Chiesa, la

dottrina e il patrimonio teologico e spirituale che progressivamente si è arti-

colato nella riflessione sul mistero cristiano e nell’anno liturgico.

Le quattro notti

La Pasqua cristiana è in un rapporto di continuità e di sviluppo con la Pa-

squa ebraica. Per entrambe le tradizioni, si tratta di una notte di veglia. Gli

ebrei siedono attorno a una mensa addobbata con i segni della redenzione e

proclamano le meraviglie che Dio ha compiuto per loro. Nel dialogo tra il

padre e il figlio (cfr. Es 13,14) risuona una domanda: «Perché questa notte è

diversa da tutte le altre notti?». E si ode la risposta: «Perché essa fa memo-

ria della liberazione dalla schiavitù di Egitto e dispone a gustare il sapore del-

la libertà bevendo alle quattro coppe della salvezza».

Le quattro coppe simboleggiano le quattro notti. Nella notte pasquale

confluiscono le quattro notti più importanti della storia della salvezza: la

notte della creazione, la notte del sacrificio di Abramo, la notte dell’Esodo e

la notte futura della venuta del Messia. Sono quattro perché, tra le innume-

revoli meraviglie operate da Dio, esse risultano quelle fondamentali, dalle

quali derivano tutte le altre. La notte diventa un simbolo: nel buio del tempo

e nel buio del cuore la luce ha diradato le tenebre.

Per il cristiano, la Pasqua di Cristo è “l’ultima notte”, quella che raccoglie

la tradizione antica e ricapitola i suoi significati, dando inizio al nuovo mondo

e alla nuova storia. Così canta sant’Efrem in un suo inno pasquale:

«Beata sei tu, o notte ultima,

perché in te si è compiuta la notte d’Egitto.

Il Signore nostro in te mangiò la piccola Pasqua * Omelia nella Veglia pasquale, Cattedrale, Ugento 19 aprile 2014.

64

e divenne lui stesso la grande Pasqua:

la Pasqua si innestò sulla Pasqua,

la festa sulla festa.

Ecco la Pasqua che passa

e la Pasqua che non passa;

ecco la figura e il suo compimento»1.

Le quattro tappe dell’amore

Il mistero di questa “ultima notte” avviene in un profondo silenzio e in

un assoluto nascondimento. Nessuno scritto del Nuovo Testamento narra

l’evento della risurrezione di Gesù. L’avvenimento centrale e più importante

sul quale si fonda la fede cristiana non è stato visto da nessuno. Solo la notte

ne custodisce il segreto. In essa viene svelato il mistero nascosto da secoli e

da generazioni. Vegliando in questa notte, tutti possono diventare “testi-

moni oculari” di ciò che «occhio non vide né orecchio udì» (1Cor 2,9): la ma-

nifestazione dell’abisso dell’amore.

Questa notte custodisce il “segreto dell’amore” e lo manifesta attraverso

le quattro tappe dell’amore. Perciò la liturgia della Veglia pasquale canta:

«Questa è la notte che salva su tutta la terra i credenti del Cristo dal-

l’oscurità del peccato e della corruzione del mondo, li consacra all’amore del

padre e li unisce alla comunione dei santi. Questa è la notte in cui Cristo,

spezzando i vincoli della morte, risorge vincitore dal sepolcro».

In questa notte, l’amore si rivela come amore originario. Tutto nasce

dall’amore perché Dio è amore, vissuto al suo interno e riversato sul-

l’umanità. L’iniziativa dell’amore spetta sempre al Padre: è Lui il principio, la

sorgente e l’origine dell’amore. Dall’Amore (Padre) che genera l’Amato (Fi-

glio) procede ancora Amore (Spirito). Questa storia intratrinitaria è la radice

di ogni amore. Dio non è solitudine, ma amore. E l’uomo, che è la sua parola

d’amore pronunciata nel tempo, non è fatto per vivere da solo, ma per ama-

re ed essere amato.

L’amore eterno si fa amore incarnato in Gesù e in ogni realtà creata.

1 S. Efrem, Inno sulla Crocifissione 3, 2.

65

L’amore (Spirito) agisce in tutta la vita di Gesù: nella sua concezione vergina-

le in Maria (cfr. Mt 1,18-20; Lc 1,35), nel battesimo (cfr. Mc 1,10) e in tutti i

giorni della sua vita, fino alla risurrezione. Con la Pentecoste, viene effuso

perché gli uomini possano partecipare alla vita trinitaria. In Cristo, ogni uo-

mo incontra l’amore di cui egli stesso è impastato. Tutti possono fare questa

esperienza. Veronica Giuliani prima di morire lanciò questo messaggio: «Ho

trovato l’amore, l’amore si è pur lasciato vedere, ditelo a tutte, ditelo a

tutte. È questo il segreto delle mie sofferenze e delle mie gioie. L’amore si

è lasciato trovare».

L’amore eterno ha voluto correre il rischio della libertà della creatura,

che è capace di rifiutare questo amore. Per questo ha assunto la forma della

croce e si è manifestato come amore crocifisso. Da quel momento, dolore e

amore si appartengono reciprocamente, sono strettamente legati: la soffe-

renza dell’amore non è passività, ma un attivo lasciarsi coinvolgere. Per

amore, Dio può anche soffrire e rivelare così la sua divinità. Il segno del do-

lore divino per il non-amore della creatura gratuitamente amata è la croce

del Figlio di Dio. Santa Caterina da Siena in una sua lettera invita ad abbrac-

ciare questo amore crocifisso: «Abbraccia, dunque, Gesù crocifisso, elevan-

do a lui lo sguardo del tuo desiderio! Considera l’infuocato amore per te, che

ha portato Gesù a versare sangue da ogni parte del suo corpo! Abbraccia

Gesù crocifisso, amante ed amato, e in lui troverai la vita vera, perché è Dio

che si è fatto uomo. Arda il tuo cuore e l’anima tua per il fuoco d’amore at-

tinto a Gesù confitto in croce! Devi, poi, divenire amore, guardando l’amore

di Dio, che ti ha così tanto amata, non per qualche obbligo che avesse con

te, ma per puro dono, spinto soltanto dal suo ineffabile amore. Non avrai al-

tro desiderio che quello di seguire Gesù! Come inebriata dall’Amore, non fa-

rai più caso se ti troverai sola o in compagnia: non preoccuparti di tante co-

se, ma solo di trovare Gesù e andargli dietro! Corri, Bartolomea, e non star

più a dormire, perché il tempo corre e non aspetta un solo attimo! Rimani

nel dolce amore di Dio. Gesù dolce, Gesù amore»2.

2 Caterina da Siena, lettera n. 165 a Bartolomea, moglie di Salviato da Lucca. G.D. Ciaccia,

Lettere S. Caterina da Siena. Versione in italiano corrette, III vol., ESD, Bologna, 1996-1999.

66

L’amore che ama senza misura e «fino alla fine» (Gv 13,1) è un amore in-

vincibile e glorioso. Le ultime parole di Gesù sulla croce sono una testi-

monianza che nemmeno la sofferenza e la morte annullano l’amore. Esso

sempre rinasce e risorge. La risurrezione di Cristo è la risurrezione di ogni

amore.

La poesia di David Maria Turoldo, Amore, che mi formasti, ricapitola

l’intera vicenda di questi quattro amori:

Amore, che mi formasti

a immagine dell’Iddio che non ha volto,

Amore che sì teneramente

mi ricomponesti dopo la rovina,

Amore, ecco, mi arrendo:

sarò il tuo splendore eterno.

Amore, che mi hai eletto fin dal giorno

che le tue mani plasmarono il corpo mio,

Amore, celato nell’umana carne,

ora simile a me interamente sei,

Amore ecco, mi arrendo:

sarò il tuo possesso eterno.

Amore, che al tuo giogo

anima e sensi, tutto m’hai piegato,

Amore, tu m’involi nel gorgo tuo,

il cuore mio non resiste più,

ecco, mi arrendo, Amore:

mia vita ormai eterna3.

3 D.M. Turoldo-G. Ravasi, «Lungo i fiumi...». I Salmi. Traduzione poetica e commento, San

Paolo, Cinisello Balsamo, 2012.

67

LA “ ASA DELLA CONVIVIALITÀ” *

Monsignor Angiuli, la venuta del cardinale Bagnasco ha dimostrato la

grande attenzione del Vaticano per la figura di don Tonino Bello. Quando,

secondo Voi, giungerà a conclusione la sua causa di beatificazione?

Il Cardinale Angelo Bagnasco è intervenuto alla manifestazione che si è

tenuta ad Alessano, il 25 aprile 2014, nella sua qualità di Presidente della

Conferenza episcopale italiana. Ciò indica la grande attenzione con la quale

la Chiesa italiana guarda alla figura del Servo di Dio, don Tonino Bello, per

l’esemplare vita evangelica che egli ha saputo manifestare in tutti i momenti

della sua esistenza. La santità, infatti, non è altro se non la conformità con lo

stile di vita di Gesù. La causa di beatificazione di don Tonino è ormai alla sua

seconda fase. Si è concluso il processo diocesano ed è iniziato l’iter proces-

suale da parte della Congregazione per le Cause dei Santi. Attualmente non

è possibile indicare la data conclusiva del lavoro da parte della Congregazio-

ne vaticana, ma certo tutti auspichiamo che l’iter si svolga nel più breve

tempo possibile.

Il ricordo di don Tonino Bello è ancora molto forte nella comunità di Ales-

sano e in generale del sud Salento. E insieme a Padre Pio è sicuramente uno

dei religiosi più amati in Puglia. Perché?

Il messaggio e l’insegnamento di don Tonino hanno avuto una risonanza

molto vasta che ha valicato i confini del territorio salentino e pugliese già

durante la sua vita. Nel corso del tempo, il riferimento alla sua persona non

si è affievolito. Sono molti, infatti, i pellegrini che durante l’anno vengono ad

Alessano a pregare sulla sua tomba e molti di più sono coloro che leggono,

con grande frutto spirituale, i suoi scritti. Come Lei giustamente afferma,

don Tonino e Padre Pio sono due testimoni di fede molto amati dal popolo

* Intervista rilasciata ad Andrea Colella, Direttore responsabile del giornale “Belpaese”,

anno XIII, n. 536, 3 maggio 2014, pp. 4-5.

C

68

di Dio. I motivi sono i più diversi. Mi piace soprattutto pensare che essi han-

no saputo interpretare le più profonde aspirazioni dell’uomo contem-

poraneo: la sete di Dio, la voglia di pace, l’aspirazione a una vita bella, il bi-

sogno di riconciliazione e di amore, l’anelito a una speranza che non delude.

Quanto sono importanti e attuali gli insegnamenti lasciati da Don Tonino

per tutti noi?

I temi sopra richiamati danno ragione dell’attualità dell’insegnamento la-

sciato da don Tonino. Viviamo in un mondo che presenta aspetti contraddit-

tori. Siamo assetati di bellezza, verità e gioia. La realtà, però, presenta non

pochi elementi che offuscano la speranza e provocano dolore. Da qui, nasce

il bisogno di guardare a testimoni credibili che, con la loro vita, aprono nuovi

orizzonti e infondono fiducia nel futuro. Don Tonino è un segno di speranza

e di carità.

Come si è arrivati alla realizzazione della "Casa della convivialità”?

La vicenda riguardante la “Casa della convivialità” è estremamente signi-

ficativa perché indica alcuni tratti della personalità di don Tonino. La parola

“convivialità”, che lui ha utilizzato frequentemente, esprime il desiderio di

unità, di incontro e di relazione tra le perone. La struttura è un ex-convento

francescano. Anche questo elemento richiama il grande amore di don Toni-

no per San Francesco. Non bisogna dimenticare che don Tonino volle essere

un “terziario francescano”. Alla realizzazione della “Casa della convivialità” si

è giunti attraverso gesti concreti di carità: la donazione dell’immobile da

parte dei proprietari, le numerose offerte della gente e il contributo della

Conferenza episcopale italiana. In altri termini, si tratta di un’opera voluta e

finanziata dal popolo, perché anche il contributo della CEI è il frutto delle ri-

sorse che la gente destina alla Chiesa Cattolica attraverso l’8 per mille. Que-

sto aspetto esprime un’altra caratteristica di don Tonino: il fatto che lui è

stato un Vescovo “fatto popolo”; un Vescovo cioè che ha amato ed è stato

amato dalla gente. La “Casa della convivialità” intende essere un segno con-

creto di amore e di accoglienza dei poveri e dei pellegrini.

Don Tonino è stato protagonista di numerose battaglie in favore della

69

pace, come quelle contro l’installazione degli F16 a Crotone, degli Jupiter a

Gioia del Colle e contro la guerra del Golfo, per la quale venne accusato di

incitamento alla diserzione. Nella messa di Pasqua Papa Francesco ha invo-

cato il "cessate il fuoco" nel mondo, dall’Africa al Venezuela. Sembrerebbe

dunque che la Chiesa tutta ha sposato il pensiero di don Tonino Bello.

Per comprendere bene la figura di don Tonino bisogna considerarla l’in-

terno della Chiesa. Per questo mi sembra giusto capovolgere la sua espres-

sione e dire che è stato don Tonino a sposare il pensiero della Chiesa sulla

pace. Il tema della pace, infatti, è stato continuamente ribadito dal recente

magistero della Chiesa. Richiamo solo alcune espressioni dei papi vissuti tra

la fine dell’800 e l’inizio del ’900, al tempo delle due grandi guerre mondiali:

la guerra è un “flagello” (Leone XIII, 1899); la guerra è una “inutile strage”

(Benedetto XV, 1917); “nulla è perduto con la pace. Tutto può essere perdu-

to con la guerra” (Pio XII, 1939). Tralascio di ricordare quanto è stato scritto

dal Concilio Vaticano II fino ai nostri giorni, per evidenti problemi di spazio.

Basti solo considerare che l’enciclica Pacem in terris di san Giovanni XXIII,

considerata la Magna charta del pensiero della Chiesa sulla pace, è del

1963. Don Tonino allora era all’inizio del suo ministero sacerdotale. Egli ha

fatto suo questo ricco patrimonio ecclesiale e lo ha ripresentato nel suo ma-

gistero episcopale con uno linguaggio accattivante e con gesti significativi.

Quali altre iniziative la Diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca ha in pro-

gramma nel futuro per ricordare e celebrare Don Tonino?

L’impegno della Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca è di mantenere vivo il

ricordo di don Tonino, evitando, però, di rinchiuderlo dentro interpretazioni

schematiche e unilaterali che rischiano di non presentare il suo vero volto.

Come ho scritto in un recente messaggio ai giovani, dal titolo Tutto passa…

solo l’Amore resta!, don Tonino è stato un cristiano e un vescovo che ha a-

mato la vita, la terra salentina e soprattutto ha amato Gesù e i poveri. Per

lui, ciò che contava era amare come Gesù! Questo è il centro del suo pensie-

ro. Questo è anche il messaggio del Vangelo.

70

RIFLESSIONE SULL’ESORTAZIONE APOSTOLICA EVANGELII GAUDIUM*

L’esortazione apostolica Evangelii gaudium non riprende solo le riflessio-

ni dei Padri sinodali, ma presenta sinteticamente le principali idee di Papa

Francesco. Richiamo i riferimenti fondamentali.

Una Chiesa della gioia e della misericordia

Gioia e misericordia sono due parole che connotano la prima esortazione

apostolica di Papa Francesco, Evangelii gaudium (EG) e, più in generale, tut-

to il suo ministero petrino. In questo primo anno del suo pontificato, egli è

ritornato spesso sull’idea che la vita cristiana si fonda sulla misericordia di

Dio e sulla gioia che nasce dall’accoglienza del suo perdono.

«Per me, lo dico umilmente – ha confessato in una sua omelia quaresi-

male nella parrocchia di sant’Anna in Vaticano (17 marzo 2013) – il messag-

gio più forte del Signore è la misericordia». Essa riveste un posto così fon-

damentale nel pensiero di Papa Francesco da aver dato origine a un

neologismo: misericordiando. Il motto di Papa Bergoglio, tratto da Beda il

venerabile, è composto di due verbi: miserando atque eligendo. Nell’intervi-

sta alla Civiltà Cattolica (19-9-2013), il Papa stesso ha spiegato che, com-

mentando l’episodio evangelico della vocazione di san Matteo, Beda il Vene-

rabile ha scritto che Gesù, vedendo un pubblicano, lo «guardò con amore

(miserando) e lo scelse (eligendo)». Papa Bergoglio ha tradotto il verbo “mi-

serando” in “misericordiando”. Volendo così significare di essere stato scelto

per essere strumento di misericordia (misericordiare). Dio però non fa solo

opere di misericordia: egli è la misericordia. La misericordia di Dio è la sua

pazienza, il fatto cioè che Dio non si stanca mai di perdonarci (EG, 3). Per

questo «la Chiesa dev’essere il luogo della misericordia gratuita, dove tutti

possano sentirsi accolti, amati, perdonati e incoraggiati a vivere secondo la

vita buona del Vangelo» (EG, 114).

La gioia è la ricaduta della misericordia nella vita degli uomini. Il tema * Riflessione proposta il 25 maggio 2014.

71

della gioia è evocato fin dalle prime pagine dell’esortazione apostolica. In

tutto il testo, la presentazione gioiosa del Vangelo è evidenziata dalla ripeti-

zione per ben 59 volte della parola “gioia”. Il Vangelo è gioia perché Dio è

gioia. L’incipit dell’esortazione apostolica può tradursi in due modi distinti e

complementari: può indicare la gioia del Vangelo, nella prospettiva del no-

stro rapporto diretto e personale con Gesù, ma può anche significare la gioia

di evangelizzare, ossia il nostro modo di comunicare il Vangelo agli altri.

Essere felice è il supremo anelito dell’uomo. Portare gioia al mondo è la

missione della Chiesa. Come è noto, l’inno dell’Europa è l’inno alla gioia di

Schiller, che conclude la Nona sinfonia di Beethoven. Ma la gioia di cui par-

lano Schiller, Beethoven e l’Europa è una dea, è la figlia dell’Eliso. La gioia di

cui parla Papa Francesco, invece, è la gioia della misericordia, del perdono e

dell’infinito amore di Dio; una gioia che «riempie il cuore e la vita intera di

coloro che si incontrano con Gesù […]. Con Gesù Cristo sempre nasce e rina-

sce la gioia» (EG, 1).

Una Chiesa del dialogo e della responsabilità

Dialogo e responsabilità sono due altre idee fondamentali dell’esorta-

zione apostolica. Papa Francesco rilancia con forza la responsabilità di tutto

il popolo di Dio nell’annuncio del Vangelo, richiama la dimensione sociale

dell’evangelizzazione, riafferma lo strumento del dialogo tra fede e ragione,

tra Chiesa e società, tra confessioni religiose, e ribadisce la necessità di met-

tere al centro il bene comune e la pace sociale.

«L’evangelizzazione implica anche un cammino di dialogo» (EG, 238).

Con questa frase, posta all’inizio del capitolo relativo al tema dell’ecume-

nismo, Papa Francesco chiarisce quanto il dialogo sia parte fondamentale

della Chiesa e della società. Il dialogo, infatti, non è una semplice questione

ecclesiale, ma un progetto culturale articolato capace di diventare una tipica

forma d’incontro. Sotto questo profilo, dialogare non è un optional, ma un

dovere che deve coinvolgere tutti nel cammino verso la verità. Il dialogo si

snoda su tre livelli perché riguarda «il dialogo con gli Stati, con la società –

che comprende il dialogo con le culture e le scienze – e quello con altri cre-

denti che non fanno parte della Chiesa» (EG, 238). In questa prospettiva, è

72

significativa la scansione dei temi. Si parte dal dialogo sociale (EG, 238-239),

come contributo al pieno sviluppo dell’uomo, al perseguimento del bene

comune al fine di instaurare la pace. In questa linea, si muove il dialogo in-

terculturale (EG, 242-243), aperto a promuovere nuovi orizzonti e ad amplia-

re le possibilità della ragione nella consapevolezza che «anche questo è un

cammino di armonia e di pacificazione» (EG, 242). Il dialogo ecumenico (EG,

244-246), a sua volta, «è un apporto all’unità della famiglia umana»(EG, 245)

ed è la premessa per il dialogo interreligioso (EG, 250-254).

Questa visione di Papa Bergoglio si pone in continuità con i suoi prede-

cessori. Attualizza l’intuizione di Paolo VI che, in Ecclesiam suam e in Evan-

gelii nuntiandi, aveva proposto un dialogo a cerchi concentrici con tutti gli

uomini. Richiama quel pellegrinaggio verso la pace, iniziato da Giovanni Pao-

lo II ad Assisi, che Benedetto XVI ha proseguito, coinvolgendo nel cammino

verso la verità anche coloro che non hanno un riferimento religioso.

In tal modo, Il dialogo assume la forma del pellegrinaggio. La Chiesa e

l’umanità sono in cammino verso la verità; un cammino che non esclude

nessuno e coinvolge tutti. Nello reciproco scambio dei doni, con la loro ricca

multiformità, i tesori radicati nei popoli e culture di tutto il mondo, è possibi-

le esprimere il bene inesauribile che è contenuto nel Vangelo.

Con queste premesse, il dialogo e il contributo alla pace saranno autenti-

che vie di evangelizzazione. Questo progetto impegna la responsabilità di

tutti; non deve contare su pochi, anche se “illuminati”, ma si deve appro-

priare di un sentimento collettivo. È l’esplicito invito di Papa Francesco a

spiegare le vele al vento e ad avventurarsi nel mare aperto, piuttosto che

rimanere ancorati nella comodità del porto sicuro.

73

LA DIGNITÀ E IL VALORE DELLE CONFRATERNITE, OGGI *

Cari confratelli e consorelle,

nel Convegno celebrato ieri sera sono state proposte alcune interessanti

riflessioni sull’attualità delle confraternite anche nel nostro tempo. La loro

storia millenaria è costellata di significative realizzazione in campo liturgico e

caritativo.

Di solito, si afferma che esse sono il frutto del Concilio di Trento. Si

dimentica, però, di sottolineare che esse rispecchiamo lo spirito del Concilio

Vaticano II. Innanzitutto, perché sono una forma di aggregazione laicale che

ha la stessa dignità delle altre. Tutte sono fondate sul battesimo. In secondo

luogo, perché il loro ideale di vita è quello di tenere insieme il culto, la

cultura e la carità. Queste tre dimensioni segnano la loro identità e manife-

stano il compito che esse hanno assolto nel corso dei secoli. Certo, occorre

vigilare perché sappiamo mantenere nel tempo l’ispirazione originaria. Oggi,

esse possono assumere una particolare rilevanza se sapranno coniugare

fraternità, solidarietà, popolarità.

Per mantenere il sentimento popolare della fede risulta molto prezioso il

contributo offerto dalle confraternite. La dimensione popolare della Chiesa

è una caratteristica del cristianesimo in Italia; questa dimensione costituisce

un argine al sempre più invadente individualismo.

L’individualismo si traduce in campo economico in una forma di

capitalismo selvaggio che mina dalle fondamenta la relazione tra le persone

e il loro legame sociale. La dimensione popolare delle confraternite trova la

sua più luminosa espressione nella solidarietà e nell’aiuto reciproco per

superare ogni forma di mercatismo economico.

La solidarietà, poi, deve trasformarsi in una vera esperienza di fraternità.

Questa consiste non solo nell’evitare qualsiasi atteggiamento di esclusione,

che è frutto di una “cultura dello scarto”, ma soprattutto deve promuovere

* Omelia nella Messa per il Cammino diocesano delle Confraternite, Tricase 3 giugno 2014.

74

un incontro effettivo e affettivo tra le persone. Il fatto che queste pie asso-

ciazioni di chiamino “confraternite” dà il senso del loro impegno a vivere la

fraternità.

La pagina del Vangelo di Luca che abbiamo ascoltato contiene alcune

parole che illustrano l’identità e delle confraternite e orientano la loro

attività nel nostro tempo. La parole sono le seguenti: cammino, ricono-

scimento, catechesi, eucaristia, annuncio.

Come i due discepoli di Emmaus, le confraternite sono comunità in

cammino. Esse vivono in un territorio, in un ambiente umano e fanno parte

di un contesto ecclesiale. Vivono dentro la storia e portano dentro di loro i

desideri le speranze, i dubbi gli interrogativi degli altri uomini. Con tutti

quanti gli altri uomini condividono gioie, sofferenze e problemi. Il loro

compito è quello di farmi prossimo ad ogni uomo.

Cristo prende per primo l’iniziativa. Durante il tragitto dei due discepoli

da Gerusalemme ad Emmaus, il Signore Risorto si avvicina e cammina

insieme con loro. Cristo è il Vivente, sta in mezzo a noi e cammina con noi. Si

immerge nella nostra vita, entra nelle nostre case e nelle nostre famiglie.

Forse anche noi, come i discepoli di Emmaus, non sappiamo riconoscerlo.

Egli è realmente presente in mezzo a noi, ma non abbiamo gli occhi della

fede per avvertire la sua presenza. Le confraternite sono ambiti ecclesiali nei

quali dovrebbe maturare un vero sguardo di fede.

L’incontro con il Signore si trasforma in un grande insegnamento, in una

speciale catechesi. Gesù spiega le Scritture cominciando da Mosè. Si

comprende così l’importanza di conoscere tutta la Parola di Dio e di

familiarizzarsi con essa. San Paolo, nelle sue lettere, afferma che Cristo è

risuscitato secondo le Scritture. Evidentemente egli si riferisce a quanto

affermato nei salmi e nei profeti. Le confraternite sono il luogo dove si

impara ad ascoltare il Cristo che parla attraverso le Scritture e attraverso la

storia.

L’approfondimento delle Scritture riempie il cuore di gioia. Il cristiano

vive nel mondo, si accorge dei problemi della gente. Leggendo però le

Scritture, egli riconosce che Cristo risorto ha vinto tutta la realtà negativa. Si

riaccende così la speranza e la gioia nel cuore. Non sarebbe bello se una

75

confraternita dicesse all’altra: ”oggi siamo andati a Messa”; e l’altra

confraternita rispondesse: “anche noi!”. E, dandosi reciproca testimonianza

dicessero l’una all’altra: “abbiamo visto il Signore risorto!”.

Non dovrebbe essere cosi la vita delle confraternite?

Ieri sera, i professori hanno illustrato il ruolo che le confraternite

continuano ad avere nel nostro tempo. Talvolta sembra molto complicato.

In realtà, è tutto molto semplice. L’essenziale è leggere la Sacra Scrittura,

possibilmente insieme; celebrare la Messa, ossia incontrare e vedere il

Signore attraverso i segni liturgici; testimoniare nel mondo la sua presenza.

Il cristianesimo non è complicato. È una proposta di vita. Ci indica il

cammino della felicità.

Che cosa dobbiamo fare? Essere felici! Essere contenti, avere la gioia di

Cristo risorto nel cuore! Questa è la semplicità cristiana: vedere il Signore

risorto nella celebrazione liturgica domenicale, gioire della sua presenza e

annunciarlo agli altri.

Sia questo il vostro impegno e la vostra missione!

DOCUMENTO PASTORALE

79

UN DONO ALLA CHIESA DI UGENTO-S. MARIA DI LEUCA*

Cari fratelli e sorelle,

questo documento, educare a una forma di vita meravigliosa, è un dono

che faccio alla nostra Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca, dopo questi primi

anni del mio ministero episcopale; un dono che esprime la mia gratitudine al

Signore per tutto il bene che voi mi avete dato, frutto della benefica opera

dello Spirito in voi e nelle vostre comunità.

Esso contiene la riflessione su quanto tutti insieme abbiamo prodotto in

questi anni e su quanto noi potremo fare ancora, man mano che scopriremo

tempi e modi concreti del nostro impegno per la gente cristiana del nostro

territorio diocesano. Il documento non disegna un progetto completo e tan-

to meno un piano definitivo, ma delinea semplicemente un «quadro di rife-

rimento teologico-pastorale per il decennio 2010-2020».

Ho cercato di spiegare per intero quanto ho scoperto, stando tra voi dal

19 dicembre 2010. Le considerazioni sul tema dell’educare si muovono dalla

rilettura delle evoluzioni storiche della nostra Chiesa diocesana, nel solco del

Concilio Vaticano II. Avete lavorato tanto, insieme con i vescovi, miei vene-

rati predecessori. E poi ho descritto il contesto geografico e culturale nel

quale siamo tutti chiamati a lavorare per il Regno di Dio. La nostra terra e le

nostre popolazioni vanno amate, così come sono, e vanno servite secondo i

loro reali bisogni, al fine della loro continua evangelizzazione.

Educare per noi cristiani consiste nel fare incontrare Gesù, il Figlio di Dio,

per imparare dal suo esempio e dal suo insegnamento a vivere una «vita

bella». In Lui, diventato nostro fratello, è la bellezza che salva la nostra esi-

stenza e la nostra libertà. Oggi questa ricerca della «vita bella» sta diventan-

do un desiderio sempre più sentito, anche se non espresso chiaramente. Il

* Lettera alla comunità diocesana di consegna del documento pastorale “Educare a una

forma di vita meravigliosa”, Cattedrale, Solennità della Risurrezione del Signore, Ugento 20 aprile 2014.

80

nostro impegno di cristiani potrà diventare gioia di comunicare e di dare, di

accompagnare e di raggiungere la meta, «una forma di vita meravigliosa»:

tutto questo significa educare.

Se ci lasceremo ammaestrare da Maria, la Madre di Gesù e sua prima di-

scepola, donna bellissima, come la canta don Tonino, servo di Dio e nostro

compagno di viaggio, riusciremo a diradare paure e scoraggiamenti e a edu-

carci ed educare alla «vita meravigliosa» di cristiani.

È quanto ho scritto nei 163 punti del mio testo, con i suoi 7 capitoli e con

le preghiere che propongo per il nostro lavoro.

Nel prossimo convegno pastorale, convocato per il 26-28 maggio, potre-

te suggerirmi i tempi e modalità di riflessione su questo «quadro di riferi-

mento teologico – pastorale» e sugli orizzonti esaltanti che il Signore ci aiu-

terà a vedere per il nostro lavoro educativo. Vi chiedo di accompagnarmi nel

mio cammino tra voi e insieme con voi.

Accogliete il mio dono come un messaggio rivolto a voi, presbiteri, dia-

coni, consacrati e laici della nostra cara diocesi, alle comunità parrocchiali e

ai gruppi che la arricchiscono, quelli di antica tradizione e quelli di storia an-

cor breve.

Muoviamoci tutti insieme, certi che con noi cammina il Signore e che il

suo Spirito è dentro di noi e ci anima.

Così continuerà la Pasqua del Signore in questa sua Chiesa del basso Sa-

lento, la nostra Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca, mia sposa e vostra ma-

dre.

Ci benedica tutti il Padre nostro, che ci ama.

Ugento, 20 aprile 2014.

Solennità della Risurrezione del Signore

Il Vostro vescovo

† Vito Angiuli

81

EDUCARE A UNA FORMA DI VITA MERAVIGLIOSA

QUADRO DI RIFERIMENTO TEOLOGICO-PASTORALE DELLA

CHIESA DI UGENTO-S. MARIA DI LEUCA PER IL DECENNIO 2010-2020

Introduzione

Nel vostro amore sinfonico cristo è cantato

«Nella vostra Concordia, e nel vostro amore sinfonico, Gesù Cristo è cantato»

(Sant’Ignazio di Antiochia)

Lo spartito musicale

1. Come in una composizione musicale lo spartito è il punto di riferimento di

tutti gli orchestrali, così nell’azione pastorale della nostra diocesi di Ugento-S. Ma-

ria di Leuca questo documento traccia gli orientamenti fondamentali da tenere

presenti per dare unità e armonia alla prassi e all’impegno profuso da tanti opera-

tori pastorali. Non si tratta di un progetto compiuto in tutte le sue parti e nemme-

no di uno specifico programma, ma di un “quadro di riferimento teologico-pasto-

rale per il decennio 2010-2020”. In esso, presento le linee orientative per il

cammino della nostra Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca, lasciando che la pro-

grammazione si sviluppi di anno in anno secondo un’idea centrale, chiaramente de-

finita, seguendo un percorso segnato da alcune tappe in parte previste e in parte

ancora da individuare. In altri termini, non si tratta di un piano specificato in tutti i

dettagli che chiede solo di essere concretizzato, ma di un “documento aperto” che

bisogna continuare a riscrivere. Si potrebbe parlare di una mappa orientativa che

indica i punti essenziali di riferimento per il cammino della nostra Chiesa locale in

questo secondo decennio del terzo millennio. Considero, pertanto, questo docu-

mento come uno spartito musicale dove il compositore, lasciandosi afferrare da

un’intensa emozione, ha scritto sul pentagramma le note fondamentali della sinfo-

nia, in attesa di poter dare seguito allo sviluppo melodico in un armonico accordo

con tutti i componenti dell’orchestra sinfonica.

L’orchestra e il coro

2. La Chiesa, infatti, è come un grande coro. Essa, sapientemente guidata da

Cristo e dal suo Spirito, diffonde nel mondo la parola di verità e di amore che sca-

82

turisce dall’infinita misericordia del Padre. L’immagine del coro è molto cara ai Pa-

dri della Chiesa. Sant’Atanasio scrive: «Prendiamo l’immagine di un immenso coro.

In un coro composto di molti uomini, bambini, donne, vecchi e adolescenti, sotto la

direzione di un solo maestro, ciascuno canta secondo la propria costituzione e ca-

pacità: l’uomo come uomo, il bambino come bambino, il vecchio come vecchio,

l’adolescente come adolescente, tuttavia costituiscono insieme una sola armonia»1.

Compito dei coristi è, innanzitutto, quello di studiare la propria parte. Il vero

apprendimento avviene quando si leggono attentamente le note segnate sul pen-

tagramma per comprendere il loro valore e dare forma alla melodia. La bellezza

armonica della sinfonia potrà risuonare in modo perfetto se i coristi e i componenti

dell’orchestra seguiranno le movenze del “Maestro interiore”. La verità, che risuo-

na nell’intimo dell’anima, deve essere accompagnata da un esercizio personale che

deve coinvolgere l’intera persona. L’esecuzione musicale, poi, richiederà l’accordo

degli strumenti e degli orchestrali seguendo le indicazione del “capo-coro”. Scri-

vendo ai cristiani di Efeso, sant’Ignazio di Antiochia esorta a «procedere insieme

d’accordo col pensiero del Vescovo, cosa che già fate. Infatti il vostro collegio dei

presbiteri, giustamente famoso, degno di Dio, è così armonicamente unito al Ve-

scovo come le corde alla cetra. Per questo nella vostra concordia e nel vostro amo-

re sinfonico Gesù Cristo è cantato. E così voi, ad uno ad uno, diventate coro, affin-

ché nella sinfonia della concordia, dopo aver preso il tono di Dio nell’unità, possiate

cantare a una sola voce»2.

Il tema dominante: educare

3. La mia venuta nella diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca (19 dicembre 2010) è

coincisa con l’avvio del nuovo decennio pastorale dedicato al tema dell’educazione.

In seguito all’appello rivolto da Benedetto XVI nel Convegno ecclesiale di Verona

sull’emergenza educativa (2006), la Chiesa italiana ha deciso di dedicare a questo

tema gli Orientamenti pastorali del decennio 2010-2020, che significativamente

portano il titolo Educare alla vita buona del Vangelo. In sintonia con questa scelta

della Chiesa nazionale, il tema dell’educazione è diventato anche la linea guida

della nostra Chiesa locale. La programmazione pastorale 2011-2012 si è indirizzata

a tradurre le indicazioni della CEI nel nostro contesto culturale e territoriale per

cercare di delineare alcune linee pastorali dell’intero decennio. Abbiamo, pertanto,

approfondito la proposta contenuta negli Orientamenti della Chiesa italiana con

una duplice finalità: compiere una verifica del cammino diocesano vissuto, in modo

1 Atanasio, Discorso contro i pagani, 43.

2 Ignazio di Antiochia, Lettera gli Efesini, 4,1-2.

83

particolare, negli ultimi cinque anni riflettendo sui cinque ambiti proposti dal Con-

vengo di Verona; delineare le priorità pastorali del decennio 2010-2020.

Il fondamento, i soggetti e i principali ambiti educativi

4. Nel mio primo documento programmatico3, ho indicato il fondamento, i sog-

getti e i principali ambiti educativi. Quanto al primo aspetto ho richiamato la cen-

tralità della liturgia nella vita cristiana. In quanto epifania del mistero, essa ha una

dimensione educativa e rivelativa. Naturalmente, la liturgia va sempre coniugata

con la catechesi e la carità in una feconda circolarità tra annuncio, celebrazione e

vita4. Se la liturgia costituisce il fondamento dell’educazione cristiana, la famiglia e

la parrocchia rappresentano i due principali soggetti educativi. Tra di essi si deve

instaurare un rapporto di collaborazione e di reciproco sostegno, stringendo un’al-

leanza educativa con gli altri soggetti, in modo particolare con la scuola. Infine ho

richiamato alcuni ambiti dell’impegno pastorale: l’iniziazione cristiana, la pastorale

giovanile, l’accompagnamento dei fidanzati e delle giovani coppie, la pietà popo-

lare, la pastorale del turismo e del tempo libero.

La verifica nelle quattro foranie

5. La successiva verifica compiuta a livello delle quattro foranie ha ulterior-

mente arricchito questa proposta pastorale evidenziando alcuni aspetti dell’opera

educativa: la soggettività della comunità cristiana, l’integrazione pastorale,

l’attenzione alla formazione, lo stile di vita evangelica, la comunione e la corre-

sponsabilità di tutti gli operatori pastorali. La forania di Leuca (28 maggio 2012) ha

sottolineato che «l’obiettivo finale è la formazione di comunità sempre più unite e

fraterne, ricche di relazioni umane, sincere e significative, educate dalla fede e dalla

preghiera». La forania di Ugento (5 giugno 2012) ha evidenziato l’urgenza di «ri-

qualificare la formazione e la preparazione degli educatori e dei genitori». La fora-

nia di Taurisano (7 giugno 2012) ha ribadito che «è necessaria una “buona cultura”,

che permetta di acquisire “la capacità di elevarsi dall’effimero”, di saper discernere

ciò che vale da ciò che allontana dalla strada del Vangelo e di assumere a tutti i liv-

elli – come famiglie, operatori, credenti – uno stile di vita coerente con il Vangelo».

La forania di Tricase (8 giugno 2012) ha richiamato «il bisogno di mostrare

3 V. Angiuli, Dagli Orientamenti CEI all’elaborazione del Progetto pastorale diocesano per il decennio

2010-2020, “Bollettino Diocesano S. Maria de finibus terrae”, 74, 2011, pp. 387-406. 4 Cfr. F. Cacucci, La Mistagogia. Una scelta pastorale, Edizioni Dehoniane, Bologna 2006; V. Angiuli,

Educazione come mistagogia. Un orientamento pedagogico nella prospettiva del Concilio Vaticano II, CLV- Centro Liturgico Vincenziano, Roma 2010.

84

all’esterno comunità che vivono la comunione come stile. Una pastorale non a

compartimenti stagni ma più integrata, che tenga presente la vita della persona

nella sua totalità; ciò porta a una maggiore corresponsabilità dei laici più impegnati

che si sentono partecipi della vita della comunità. Bisogna rompere il guscio dei

singoli gruppi che tendono ad isolarsi e ad agire in proprio, cercando di incastrare

uno nell’altro, per far crescere e sviluppare la convinzione che il soggetto principale

è la comunità, una comunità articolata ma sempre in comunione e che si impegna

ad educare a 360° attraverso la liturgia, la catechesi e la carità».

Educazione come stupore

6. Raccogliendo questi suggerimenti è ora possibile proporre un quadro di rife-

rimento generale e riassumere il tema dominante della nostra azione pastorale in

questo decennio con un’espressione dello scritto A Diogneto: educare a una «for-

ma di vita meravigliosa». A ben vedere, si tratta della segreta aspirazione di ogni

persona che anela a dare alla propria vita una modalità espressiva che ne esalti la

bellezza. All’uomo di oggi, desideroso di bellezza e di felicità, la Chiesa deve presen-

tare il centro del suo messaggio, «ciò che è più bello, più grande, più attraente e

allo stesso tempo più necessario (…) il cuore del Vangelo. In questo nucleo fonda-

mentale ciò che risplende è la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in

Gesù morto e risorto»5. L’azione educativa consiste essenzialmente nel suscitare lo

stupore per la bellezza di Cristo. Oggi è necessario sperimentare che «la sua bellez-

za ci stupisce, torna ogni volta ad affascinarci. Perciò è urgente ricuperare uno spiri-

to contemplativo, che ci permetta di riscoprire ogni giorno che siamo depositari di

un bene che umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova. Non c’è niente di me-

glio da trasmettere agli altri»6. Il fascino che si prova davanti alla sua persona è

l’inizio, il fondamento e la forza dell’evangelizzazione e dell’educazione cristiana. Se

sarà la meraviglia a guidare l’azione pastorale, il resto verrà di conseguenza. Il cri-

stiano, per sua natura, è una “persona estatica”, un contemplatore del volto di Cri-

sto. Educare, pertanto, non consiste solo nell’indicare gli obiettivi che segnano il

percorso della crescita umana e cristiana, ma nel lasciarsi affascinare da Gesù Cri-

sto, che è il canone della bellezza divina e umana.

Non un programma, ma una Persona

7. Ciò che conta primariamente è fissare lo sguardo su Cristo, il «pastore grande

delle pecore» (Eb 13,20), e seguire il suo luminoso esempio di vita. Infatti, «all’inizio

5 Papa Francesco, Evangelii gaudium, 36.

6 Ivi, 264.

85

dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro

con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò

la direzione decisiva»7. Cristo, il Rivelatore del Padre, è l’eterna novità e la “bella

notizia” da annunciare al mondo8. La sua persona è il gioioso annuncio che la Chi-

esa deve far risuonare nel nostro tempo, conformandosi al suo luminoso esempio

di vita e agli insegnamenti che egli ha lasciato nel suo Vangelo. Le grandi sfide del

nostro tempo non possono essere affrontate pensando che esista una “formula

magica” capace di indicare la giusta soluzione. Ciò che è indispensabile, invece, è

tenere fisso lo sguardo su Gesù e conformarsi al suo modello di vita. «Non una

formula ci salverà, – afferma Giovanni Paolo II in Novo millennio ineunte – ma una

Persona, e la certezza che essa ci infonde: Io sono con voi! Non si tratta, allora, di

inventare un “nuovo programma”. Il programma c’è già: è quello di sempre, rac-

colto dal Vangelo e dalla viva tradizione. Esso si incentra, in ultima analisi, in Cristo

stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria, e trasfor-

mare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste. È un pro-

gramma che non cambia col variare dei tempi e delle culture, anche se del tempo e

della cultura tiene conto per un dialogo vero e una comunicazione efficace. Questo

programma di sempre è il nostro per il terzo millennio»9.

Cristo: modello e pedagogo

8. A duemila anni di distanza dall’avvenimento di Cristo, incarnato, morto e ri-

sorto, la Chiesa rivive il mistero della sua Pasqua come un fatto a noi contempora-

neo. In lui, il Padre ha fatto splendere il suo volto misterioso e inaccessibile e ha

rivelato il volto autentico dell’uomo. Cristo, infatti, «rivelando il mistero del Padre e

del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua al-

tissima vocazione»10. Con gli occhi della fede è possibile contemplare il mistero di

quel volto e scoprire nella sua persona il modello ideale da imitare. Cristo, «il nos-

tro pedagogo, ha tracciato per noi il modello della vita vera e ha educato l’uomo

che vive in lui […]. Assumiamo il salvifico stile di vita del nostro Salvatore, noi figli

del Padre buono e creature del buon pedagogo11.

7 Benedetto XVI, Deus caritas est, 1.

8 Cfr. Papa Francesco, Evangelii gaudium, 11.

9 Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, 29.

10 Gaudium et spes, 22.

11 Clemente Alessandrino, Il pedagogo, I, 98, 1. 3.

86

La suddivisione del documento

9. In questo documento, propongo la splendida espressione della lettera A

Diogneto (una “forma di vita meravigliosa”) come il paradigma della vita cristiana

(l’icona). I primi due capitoli contestualizzano il tema dell’educazione all’interno

della storia, dell’ambiente e della cultura della nostra Chiesa di Ugento-S. Maria di

Leuca. In questi anni postconciliari, essa ha cercato di delineare il proprio progetto

educativo e pastorale secondo gli orientamenti delineati dal Concilio Vaticano II. I

differenti periodi storici che hanno segnato il suo cammino possono essere consid-

erati come i tempi di una sinfonia. Nell’insieme, essi formano una grande com-

posizione musicale (capitolo I). Non meno importante dello sviluppo storico è il

contesto geografico e culturale. L’educazione si realizza non solo in un legame con

le radici storiche, ma anche in riferimento all’ambiente nel quale la vita viene con-

cretamente vissuta. Per questo ho richiamato alcuni aspetti che caratterizzano

l’ambiente, la mentalità e il territorio del Sud Salento (capitolo II). Nel terzo capi-

tolo, ho ribadito l’idea che ciò che conta nell’opera educativa è lasciarsi affascinare

dal mistero di Cristo (capitolo III). In questa prospettiva, è fondamentale il compito

degli educatori. Essi devono essere dei sapienti mistagoghi (capitolo IV), capaci di

introdurre nell’affascinante ricerca della “vita bella” (capitolo V) per aiutare a sco-

prire che Cristo è la “bellezza che salva” (capitolo VI). Sentendosi parte viva del

corpo di Cristo, la nostra Chiesa locale è chiamata ad assolvere con gioia il suo inal-

ienabile compito educativo (capitolo VII) lasciandosi ammaestrare dalla vergine

Maria, la tota pulchra, (conclusione), la donna nella quale la bellezza del Verbo in-

carnato ha preso forma per risplendere nel mondo come luce delle genti.

L’icona

Una forma di vita meravigliosa12

Il mistero cristiano

I cristiani non si differenziano dal resto degli uomini né per territorio, né per lin-

gua, né per consuetudini di vita. Infatti non abitano città particolari, né usano di

un qualche strano linguaggio, né conducono uno speciale genere di vita. La loro

dottrina non è stata inventata per riflessione e indagine di uomini amanti delle no-

vità, né essi si appoggiano, come taluni, sopra un sistema filosofico umano.

Abitano in città sia greche che barbare, come capita, e pur seguendo nel vesti-

to, nel vitto e nel resto della vita le usanze del luogo, si propongono una forma di

12

A Diogneto, 5-6.

87

vita meravigliosa e, per ammissione di tutti, incredibile. Abitano ciascuno la loro

patria, ma come forestieri; partecipano a tutte le attività da buoni cittadini e ac-

cettano tutti gli oneri come ospiti di passaggio. Ogni terra straniera è patria per

loro, mentre ogni patria è per essi terra straniera. Come tutti gli altri si sposano e

hanno figli, ma non espongono i loro bambini. Hanno in comune la mensa, ma

non il talamo.

Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Trascorrono la loro vita sulla ter-

ra, ma la loro cittadinanza è quella del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, ma,

con il loro modo di vivere, sono superiori alle leggi.

Amano tutti e da tutti sono perseguitati. Sono sconosciuti eppure condannati.

Sono mandati a morte, ma con questo ricevono la vita. Sono poveri, ma arricchisco-

no molti. Mancano di ogni cosa, ma trovano tutto in sovrabbondanza. Sono disprez-

zati, ma nel disprezzo trovano la loro gloria. Sono colpiti nella fama e intanto si ren-

de testimonianza alla loro giustizia.

Sono ingiuriati e benedicono, sono trattati ignominiosamente e ricambiano con

l’onore. Pur facendo il bene, sono puniti come malfattori; e quando sono puniti si

rallegrano, quasi si desse loro la vita. I giudei fanno loro guerra, come a gente stra-

niera, e i pagani li perseguitano. Ma quanti li odiano non sanno dire il motivo della

loro inimicizia.

Come l’anima nel corpo

In una parola i cristiani sono nel mondo quello che è l’anima nel corpo. L’anima

si trova in tutte le membra del corpo e anche i cristiani sono sparsi nelle città del

mondo. L’anima abita nel corpo, ma non proviene dal corpo. Anche i cristiani abita-

no in questo mondo, ma non sono del mondo. L’anima invisibile è racchiusa in un

corpo visibile, anche i cristiani si vedono abitare nel mondo, ma il loro vero culto a

Dio rimane invisibile.

La carne, pur non avendo ricevuto ingiustizia alcuna, si accanisce con odio e

muove guerra all’anima, perché questa le impedisce di godere dei piaceri sensuali;

così anche il mondo odia i cristiani pur non avendo ricevuto ingiuria alcuna, solo

perché questi si oppongono al male.

Sebbene ne sia odiata, l’anima ama la carne e le sue membra, così anche i cri-

stiani amano coloro che li odiano. L’anima è rinchiusa nel corpo, ma essa a sua vol-

ta sorregge il corpo. Anche i cristiani sono trattenuti nel mondo come in una prigio-

ne, ma sono essi che sorreggono il mondo. L’anima immortale abita in una tenda

mortale, così anche i cristiani sono come dei pellegrini in viaggio tra cose corruttibi-

li, ma aspettano l’incorruttibilità celeste.

88

L’anima, maltrattata nei cibi e nelle bevande, diventa migliore. Così anche i cri-

stiani, esposti ai supplizi, crescono di numero ogni giorno. Dio li ha messi in un posto

così nobile, che non è loro lecito abbandonare.

La storia del testo

10. A Diogneto può essere considerato un prolungamento dei Vangeli e delle

lettere di Paolo. Sconosciuto e mai citato dagli apologisti e dai Padri della Chiesa,

questo scritto rappresenta uno tra i più affascinanti testi della letteratura cristiana

di lingua greca. La sua storia ha dell’incredibile e del leggendario. Il testo greco è

giunto fino a noi tramandato da un solo manoscritto, quando ormai si era alle so-

glie dell’era moderna, verso il 1436. Faceva parte di un manoscritto cartaceo di

duecentosessanta pagine usato, insieme a un’altra carta da imballaggio, per avvol-

gere il pesce in una rivendita di Costantinopoli. Fu acquistato a poco prezzo da un

giovane umanista italiano, Tommaso d’Arezzo, che era andato a studiare greco nel-

la capitale bizantina. Dopo varie peripezie, il manoscritto entrò a far parte della bi-

blioteca municipale di Strasburgo e venne distrutto nel 1870 durante un bombar-

damento dell’artiglieria prussiana. Di esso, tuttavia, esistevano due accuratissime

trascrizioni dovute a studiosi alsaziani, a cui si sono riferite tutte le edizioni suc-

cessive13.

Il valore testimoniale

11. Il cuore di questo breve scritto è nei capitoli V e VI, in cui si delinea e si giu-

stifica la condizione del cristiano nel mondo. Diogneto era un pagano colto che vo-

leva rendersi conto della natura del messaggio cristiano. Dopo aver motivato il ri-

getto del paganesimo e del culto ebraico, l’ignoto Autore risponde alle domande di

Diogneto circa il Dio dei cristiani, la natura del culto che essi gli rendono, il loro at-

teggiamento di fronte al mondo. La risposta non indugia nel trattare in maniera si-

stematica le principali idee della dottrina cristiana né propone un’analisi dettagliata

dei riti del culto cristiano, come fa Giustino nella Prima Apologia (61-67), ma va al

nocciolo della questione, proponendo un’evangelizzazione che si manifesta attra-

verso la testimonianza della vita dei cristiani. Essi non si ritagliano una propria zona

franca e nemmeno abitano in luoghi differenti dagli altri uomini, ma vivono nelle

medesime città testimoniando nell’esistenza quotidiana la gioia e la bellezza del

proprio ideale di vita.

13

Per l’edizione francese cfr. H.I. Marrou, A Diognète (SCh 33bis), Paris 1965²; per l’edizione italiana cfr. A. Quacquarelli, I Padri Apostolici, Città Nuova Editrice, Roma 1967, pp. 353-363.

89

Il paradosso cristiano

12. L’ouverture, solenne e senza artificio, è caratterizzata da un ritmo antitetico

che accentua mirabilmente la singolarità della condizione del cristiano nel mondo.

Lo stretto rapporto, che i cristiani intessono con gli altri uomini, non cancella la

specificità della loro vita, ma evidenzia la loro “cittadinanza paradossale” ossia,

come suggerisce il senso etimologico paradoxa, una “forma di vita meravigliosa”,

differente rispetto all’opinione comune. Il paradosso consiste in quell’et-et che

consente di superare la falsa alternativa tra l’appartenenza alla città di Dio e il sen-

tirsi parte viva della città degli uomini. Per i cristiani, ogni terra straniera è la loro

patria, e ogni patria è terra straniera. Questo nuovo concetto di cittadinanza con-

tiene una tensione dinamica che non tende all’esclusione, ma coniuga la doppia

appartenenza. I cristiani vivono nel mondo come “domiciliati temporanei”, quasi

fossero “immigrati che hanno il permesso di soggiorno”. Essi adempiono i loro do-

veri di cittadini e partecipano alla vita sociale con interiore distacco. Accettano di

vivere nella città degli uomini, con la riserva di sentirsi parte di una realtà che è in-

visibile e sta prima e oltre lo Stato. Vivono nella carne, ma non secondo la carne.

Trascorrono la vita sulla terra, ma si sentono cittadini del cielo. Obbediscono alle

leggi stabilite, ma con il loro modo di vivere superano quanto indicato dalle leggi.

La spiritualità dello scritto A Diogneto non è di tipo monastico, ma di ispirazione

“laica”: una proposta che invita a stare dentro i processi mondani, facendosi carico

della loro imperfezione per sanare le ferite sociali con una irreprensibile condotta

di vita.

Nelle vene della storia

13. I cristiani svolgono nel mondo la stessa funzione di presenza e di animazi-

one che l’anima adempie in rapporto al proprio corpo. Come l’anima unifica e gov-

erna l’azione del corpo così i cristiani costituiscono un principio di unità e di amore

tra gli uomini. Essi attuano e propongono agli altri un tipo altissimo di moralità per-

sonale e sociale, animano il mondo attraverso una forma di vita meravigliosa. Sono

minoranza da un punto di vista statistico, ma annunciatori di un messaggio univer-

sale. Fanno parte del regno di Dio che è già in mezzo agli uomini come fermento,

aspirazione e speranza (cfr. Lc 17,21). Consapevoli che esso «non è di questo

mondo» (Gv 18,36), attendono con gioia la sua pienezza e il suo pieno compi-

mento. Si sentono parte della società civile e politica e assolvono lealmente il loro

compito, sapendo che tocca a loro conferire un supplemento d’anima e immettere

nel mondo un’ispirazione superiore con un servizio gratuito e un interiore distacco

dal potere. La costituzione dogmatica Lumen Gentium, alla fine del capitolo quarto

90

sui laici, ha recepito la lezione di A Diogneto, per questo auspica: «Ciò che l’anima è

nel corpo, questo siano i cristiani nel mondo»14.

La persecuzione

14. Secondo il detto evangelico, i cristiani sono nel mondo, ma non sono del

mondo (cfr. Gv 15,18-19). Il loro atteggiamento di serena presenza nel mondo si

fonda sull’incrollabile decisione di non svendere la propria anima e la propria fede

alle minacce e alle lusinghe dello “spirito del mondo”. Essi sanno che così facendo,

vanno incontro a una riprovazione sociale. Sono, infatti, consapevoli che il destino

del “cittadino del cielo” è diverso da quello del “cittadino della polis”. L’incom-

prensione e la persecuzione da parte del mondo non è per loro occasione di rimo-

stranze o di auto-commiserazione, ma è il prezzo sacrificale che la logica dell’amore

paga alla logica del mondo e si esprime in una partecipazione solidale al destino del

mondo dando testimonianza di una vita differente che nasce dal Vangelo.

Incarnazione e trascendenza

15. I cristiani non possono venir meno alla loro vocazione di coniugare insieme

incarnazione e trascendenza. Il mistero cristiano propone una vita differente, ma

non esclude, anzi esige la sua incarnazione nel mondo. Ai discepoli di Cristo non è

consentito di far propria una sorta di mondanità spirituale15, confondendo i valori

del Vangelo con quelli dello “spirito del mondo” in una sorta di “irenismo valoriale”,

né di isolarsi in un angelismo infecondo in nome di una approssimativa interpreta-

zione della legge di trascendenza. Essi devono superare la falsa alternativa tra la fu-

ga dal mondo e l’asservimento ad esso, e vivere in un atteggiamento di simpatia

verso il mondo, testimoniando con coraggio la differenza evangelica secondo la

prospettiva indicata dal Discorso della montagna (cfr. Mt 5,13-16).

Capitolo primo

I tempi della sinfonia

«È possibile intendere il senso della storia

in cui siamo inseriti, ma che ci sovrasta?»

(Remo Bodei)

14

Lumen gentium, 38. 15

Cfr. Papa Francesco, Evangelii gaudium, 93-97.

91

Un modello di vita valido per il nostro tempo

16. In un tempo, come il nostro, caratterizzato da un processo di secolarizzazi-

one avanzata, l’orientamento di vita proposto dallo scritto A Diogneto è di grande

attualità. Oggi, è ricorrente la tentazione di ridurre il messaggio rivelato alla mera

dimensione sociologica o ideologica16. Come il pagano Diogneto, anche noi cristiani

dobbiamo cercare una risposta intelligente che non si disperda nell’analisi delle

questioni secondarie (la polypragmosýnē di cui parla A Diogneto), ma sappia coglie-

re l’essenziale, evidenziando coraggiosamente la differenza della visione evangelica

rispetto alla cultura dominante. La testimonianza cristiana deve essere capace di

proporre una forma di vita libera, gioiosa e attraente in conformità con la verità del

Vangelo.

Il sensus fidei del cristiano

17. Questo compito deve essere assolto dai singoli fedeli e dalle comunità cri-

stiane. Nessun uomo è un’isola e nessun credente è un navigatore solitario. La fede

è un dono che si riceve e si vive nella comunità. Tutti i credenti in Cristo sono «di-

scepoli missionari», perché «in tutti i battezzati, dal primo all’ultimo, opera la forza

santificatrice dello Spirito che spinge ad evangelizzare. Il popolo di Dio è santo in

ragione di questa unzione che lo rende infallibile “in credendo”. Questo significa

che quando crede non si sbaglia, anche se non trova parole per esprimere la sua

fede. Lo Spirito lo guida nella verità e lo conduce alla salvezza. Come parte del suo

mistero d’amore verso l’umanità, Dio dota la totalità dei fedeli di un istinto della

fede – il sensus fidei – che li aiuta a discernere ciò che viene realmente da Dio»17.

La fede: un incontro che avviene nella storia

18. Immersi nel flusso della storia e della tradizione della Chiesa, i cristiani im-

parano ogni giorno a riconoscere e ad ammirare il volto di Cristo, valorizzando il

senso dello scorrere del tempo come il luogo in cui la fede si esprime e si tramanda

da persona a persona, da testimone a testimone, da comunità a comunità18. La

comunicazione della fede «passa attraverso l’asse del tempo, di generazione in

generazione. Poiché la fede nasce da un incontro che accade nella storia e illumina

il nostro cammino nel tempo, essa si deve trasmettere lungo i secoli. È attraverso

una catena ininterrotta di testimonianze che arriva a noi il volto di Gesù (…). Il pas-

sato della fede, quell’atto di amore di Gesù che ha generato nel mondo una nuova

16

Cfr. Benedetto XVI, Porta fidei, 2. 17

Papa Francesco, Evangelii gaudium, 119-120. 18

«Il tempo è il messaggero di Dio» (Ivi, 171).

92

vita, ci arriva nella memoria di altri, dei testimoni, conservato vivo in quel soggetto

unico di memoria che è la Chiesa»19.

Memoria e segni dei tempi

19. L’insegnamento materno della Chiesa si esplica attraverso il richiamo alla

memoria e il discernimento dei segni dei tempi. «Il credente è fondamentalmente

“uno che fa memoria”»20 e, nello stesso tempo, uno che scruta i segni dei tempi. La

vita di Gesù costituisce la «memoria fondante» della Chiesa. In quanto memoria di

una promessa, essa non riguarda solo il passato, ma si caratterizza come «memoria

futuri»21. Per questo in ogni tempo della storia occorre saper leggere i segni dei

tempi. Questa categoria, rimessa in auge da Giovanni XXIII, trova il suo riferimento

originario nell’espressione di Gesù riportata nel Vangelo (cfr. Mt 16,2-3; Lc 12,56-

57). Il Concilio Vaticano II l’ha solennemente codificata22. Anche la liturgia, facen-

dosi eco di questo compito, invoca dal Signore una sapiente lettura dei segni dei

tempi23.

Il discernimento comunitario

20. La comprensione dei segni dei tempi si realizza attraverso l’esercizio del dis-

cernimento comunitario. La Chiesa italiana ha proposto alle comunità cristiane

questo metodo in quanto espressione della comunione ecclesiale, stimolo alla let-

tura della storia e invito alla progettazione pastorale. La sua autenticità richiede la

compresenza dei seguenti elementi: «docilità allo Spirito e umile ricerca della vo-

lontà di Dio; ascolto fedele della Parola; interpretazione dei segni dei tempi alla

luce del Vangelo; valorizzazione dei carismi nel dialogo fraterno; creatività spiritu-

ale, missionaria, culturale e sociale; obbedienza ai pastori, cui spetta disciplinare la

ricerca e dare l’approvazione definitiva. Così inteso, il discernimento comunitario

diventa scuola di vita cristiana, una via per sviluppare l’amore reciproco, la corre-

sponsabilità, l’inserimento nel mondo a cominciare dal proprio territorio»24.

19

Id., Lumen fidei, 38. 20

Id., Evangelii gaudium, 13. 21

Id., Lumen fidei, 4 e 9; cfr. M. Semeraro, La memoria: per una rilettura della Lumen fidei, in “Rivista di Scienze Religiose”, 27, 2013, pp. 493-503. 22

Cfr. Gaudium et spes, 4; cfr. A. Bello, I segni dei tempi, in Id., Omelie e scritti quaresimali, vol. 2, Luce e vita, Molfetta (BA) 2005, pp. 285-294. 23

Cfr. Messale Romano, Preghiera eucaristica, V/B. 24

Conferenza episcopale italiana, Col dono della carità dentro la storia, 21.

93

Il mistero del tempo

21. In definitiva, da una parte occorre conservare la memoria del proprio pas-

sato per scoprire il senso della storia, dall’altra è necessario saper discernere i segni

dei tempi per dare una testimonianza evangelica adatta al mutare della sensibilità e

delle categorie culturali. La storia non è un confuso susseguirsi di fatti o un caotico

accavallarsi di eventi, senza che si possa trovare in essi una ragione che dia senso al

loro accadere o intravedere un significato nascosto nella profondità del reale. La

storia della Chiesa è il mistero di Dio che si rivela nel tempo25. Il modello della sinfonia

22. Qual è, allora, il senso nascosto nella storia della nostra Chiesa locale? A che

cosa possiamo paragonare il cammino compiuto in questi anni postconciliari? La

figura della sinfonia è un’immagine che esprime bene il significato della nostra

storia diocesana. Il termine greco sinfonia significa “accordo di suoni”. Nel linguag-

gio musicale, per sinfonia si intende una composizione orchestrale che, nel

Seicento, si è affermata come brano strumentale introduttivo di un’opera o di una

cantata e, nel Settecento, è diventata una forma musicale da concerto autonoma e

complessa. Fino a tutto l’Ottocento, la sinfonia è stata uno dei più significativi mezzi

espressivi musicali. La sua parabola è terminata con i compositori tardoromantici

all’inizio del Novecento. Ripartita in quattro movimenti, la sinfonia si caratterizza

per l’impiego di una compagine orchestrale ampia e complessa, per la ricchezza

sonora e per la valorizzazione dei caratteri peculiari che sono propri delle diverse

famiglie orchestrali. La bellezza della composizione è il risultato della diversità dei

temi musicali tenuti insieme da una melodia fondamentale e dall’accordo di diversi

strumenti. I singoli temi, se ascoltati singolarmente, esprimono in modo incompleto

l’idea del compositore, mentre acquistano tutto il loro valore se considerati all’in-

terno dell’intera composizione. Il riferimento alla nostra Chiesa locale

23. La storia della nostra Chiesa locale nel cinquantennio postconciliare as-

somiglia a una composizione sinfonica modulata in diversi tempi e caratterizzata da

differenti sviluppi musicali. La Vergine de finibus terrae funge da tema dominante e

da paradigma fondamentale che consente di ammirare l’armonia e la magnificenza

dell’intera composizione. Attorno a questo tema principale si intrecciano gli altri

sviluppi melodici. La loro forma musicale non sempre è chiaramente definita, anzi

talvolta risulta disarmonica. La bellezza del tema mariano dà significato a ogni det-

25

Cfr. J. Daniélou, Saggio sul mistero della storia, Morcelliana, Brescia 1963.

94

taglio e, con abile maestrìa, ridona armonia allo sviluppo orchestrale. La vergine

Maria, infatti, è la nota esemplare e sintetica del Concilio Vaticano II ed è il simbolo

più eloquente della nostra Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca. Essa fin nel titolo,

porta impresso il sigillo della sua identità mariana.

LA PROSPETTIVA MARIANA DEL CONCILIO VATICANO II

Il 1959: annuncio e finalità del Concilio Vaticano II

24. L’anno 1959 può essere considerato come il punto di ripartenza della storia

contemporanea della Chiesa. Con l’annuncio dell’indizione del Concilio Vaticano II

da parte di Giovanni XXIII (25 gennaio 1959), ha inizio un nuovo cammino eccle-

siale. Non si tratta di una “cesura storica” con il passato, ma di un nuovo punto di

partenza per il sopraggiungere di nuovi paradigmi sociali e culturali e la conse-

guente necessità per la Chiesa di saper interpretare i segni dei tempi. Nella costi-

tuzione apostolica Humanae Salutis, papa Roncalli giustificò l’indizione del Concilio

per il fatto che le trasformazioni sopravvenute imponevano alla Chiesa nuovi com-

piti di fronte alle sfide del mondo contemporaneo26.

25. Il Vaticano II fu convocato soprattutto per affrontare i problemi generati

dalla sconvolgente evoluzione della cultura e per ridefinire la relazione della Chiesa

con il mondo. Nell’omelia tenuta a conclusione del Concilio nella 9a sessione pub-

blica (7 dicembre 1965), Paolo VI osservò che il Concilio era stato «vivamente in-

teressato dallo studio del mondo moderno. Non mai forse come in questa occa-

sione la Chiesa ha sentito il bisogno di conoscere, di avvicinare, di comprendere, di

penetrare, di servire, di evangelizzare la società circostante e di coglierla, quasi di

rincorrerla nel suo rapido e continuo mutamento»27. E nella lettera apostolica di

chiusura del Vaticano II, In Spiritu Sancto, egli scrisse: «Il Concilio Vaticano II […],

avendo presenti le necessità dell’epoca odierna, innanzitutto va incontro alle ne-

cessità pastorali e, alimentando la fiamma della carità, grandemente si è sforzato di

raggiungere non solo i cristiani ancora separati dalla comunione della sede aposto-

lica, ma anche tutta la famiglia umana»28. Maria: cornice, orientamento e chiave di comprensione del Concilio

26. Una cornice mariana circonda il Concilio. Inaugurato l’11 ottobre 1962, al-

26

Cfr. EV 1/3*. 27

EV 1/ 454*. 28

EV 1/ 532*.

95

lora festa della maternità di Maria, la grande assise ecclesiale ebbe la sua conclusione

nel giorno dell’Immacolata. In realtà, il riferimento conciliare alla Madonna è molto di

più di una semplice cornice: è un orientamento ecclesiologico fondamentale e, per

certi versi, è la chiave di comprensione dell’intero suo insegnamento. Paolo VI, nel

suo discorso in occasione della promulgazione della costituzione conciliare sulla Chi-

esa, qualificò Maria come protettrice di questo Concilio29 e, con un’allusione incon-

fondibile al racconto di Pentecoste (cfr. At 1,12-14), sottolineò che i Padri si erano ri-

uniti nell’aula del Concilio «con Maria, Madre di Gesù»30 e, nel suo nome, ne

sarebbero usciti. Inoltre egli mise in evidenza che, con l’inserimento di Maria nel mis-

tero della Chiesa, il Concilio Vaticano II aveva ripreso una verità presente nella tra-

dizione e nella genuina devozione mariana e l’aveva indicata come «una chiave per

l’esatta comprensione del mistero di Cristo e della Chiesa»31.

Maria e la Chiesa

27. Sottolineando il parallelismo tra Maria e la Chiesa, il Concilio ha presentato

Maria come parte, tipo e madre della Chiesa32. La Vergine Maria fa parte del popolo

di Dio, ne condivide il cammino e percorre il “pellegrinaggio della fede” insieme con

tutti i credenti in Cristo. Maria è il tipo della Chiesa perché anticipa nella sua perso-

na la storia ecclesiale rimanendo sempre la stella luminosa dell’evangelizzazione. In

lei, i fedeli di tutti i tempi riconoscono il modello della fede, della speranza e della

carità nel quale tutti possono rispecchiarsi. Maria, infine, è la madre della Chiesa.

Con questo titolo, Paolo VI intendeva riassumere la dottrina mariana del Concilio e

dare la chiave per la sua comprensione e interpretazione. Maria sta in un rapporto

singolare con Cristo e in una relazione specialissima con la Chiesa. Madre del Capo,

ella è anche madre del corpo.

28. In quanto madre e componente della Chiesa, Maria è inseparabile dalla

Chiesa come è inseparabile da Cristo. L’identificazione tra Maria e la Chiesa giunge

fino al punto che esse possono essere considerate come una sola madre. Tra i

molteplici scritti che trattano questo tema è utile riportare un bellissimo testo di

Isacco della Stella: «Maria e la Chiesa sono una sola e molte madri, una sola e

molte vergini. Ambedue madri, ambedue vergini, ambedue concepiscono per opera

dello Spirito Santo senza concupiscenza, ambedue danno al Padre figli senza pec-

29

EV 1/ 298*. 30

EV 1/ 313*. 31

EV 1/304*. 32

Cfr. EV 1/302*-308*.

96

cato. Maria senza alcun peccato ha generato al corpo il Capo, la Chiesa nella remis-

sione di tutti i peccati ha partorito al Capo il corpo. Tutte e due sono madri di

Cristo, ma nessuna delle due genera il tutto senza l’altra. Perciò giustamente nelle

Scritture divinamente ispirate quel ch’è detto in generale della vergine madre Chi-

esa, s’intende singolarmente della vergine madre Maria; e quel che si dice in modo

speciale della vergine madre Maria, va riferito in generale alla vergine madre Chi-

esa; e quanto si dice d’una delle due, può essere inteso indifferentemente dell’una

e dell’altra. Anche la singola anima fedele può essere considerata come sposa del

Verbo di Dio, madre, figlia e sorella di Cristo, vergine e feconda. Viene detto dun-

que in generale per la Chiesa, in modo speciale per Maria, in particolare anche per

l’anima fedele […]. Nel tabernacolo del grembo di Maria Cristo dimorò nove mesi,

nel tabernacolo della fede della Chiesa sino alla fine del mondo, nella conoscenza e

nell’amore dell’anima fedele per l’eternità»33.

Principio petrino e principio mariano

29. Riscoprendo la feconda e ricca tradizione patristica sulla figura e la funzione

di Maria, il Concilio Vaticano II ha ridisegnato l’identità della Chiesa rimettendo in

auge, accanto al principio petrino sottolineato dal Concilio Vaticano I, il principio

mariano. I due principi si rapportano entrambi all’unità della Chiesa, e lo fanno nel

loro modo peculiare secondo un movimento dinamico e circolare in una specie di

pericoresi e di interrelazione reciproca34. Il loro rapporto «può essere caratterizzato

come paternità della generazione della salvezza e come maternità della ricezione

della salvezza»35. Pietro rappresenta l’offerta della grazia mediante il ministero;

Maria esprime la disponibilità alla ricezione della grazia. L’identità della Chiesa è,

dunque, espressa dall’inscindibile unità tra dimensione petrina e mariana. La di-

mensione mariana evidenzia l’indole laicale, pneumatologica e carismatica della

Chiesa; la figura petrina rappresenta la sua nota gerarchica e istituzionale. Adot-

tando il linguaggio della famiglia, von Balthasar parla del ministero petrino come

del ruolo del capofamiglia. Maria, invece, è la madre. Nell’ambito del collegio degli

33

Isacco della Stella, Disc. 51. 34

«“Pietro” e “Maria”, nonostante siano caratterizzati da una personalità e storicità singolari, possono essere considerati “principi” della realtà della fede cattolica […]. Non lo sono tanto nella loro autono-mia, ma proprio nel loro rapporto e nel loro orientamento reciproco» (L. Scheffczyk, Maria crocevia della fede cattolica, Eurpress, Lugano 2001, p. 154); cfr. Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem, 27; H.U. von Balthasar, Sponsa Verbi. Saggi teologici, II, Queriniana, Brescia 1972, pp. 153-162. 35

A. Amato, Vaticano II e mariologia postconciliare, in Pontificia Academia mariana internationalis, Mariologia a tempore Concilii Vaticani II. Receptio, ratio et prospectus, Città del Vaticano 2013, pp. XI-XX, qui p. XVII.

97

apostoli, Pietro è il principio di unità esterna; Maria costituisce l’unità interna, il

modello dell’atteggiamento spirituale con il quale la Chiesa celebra e vive i divini

misteri. Per questo «l’amore per la Chiesa si traduce in amore per Maria, e l’amore

per Maria, in amore per la Chiesa»36. Alla correlazione tra questi due principi ha

fatto riferimento Benedetto XVI durante la sua omelia pronunciata sul piazzale del

santuario di Leuca (14 giugno 2008)37.

Maria figura della Chiesa

30. In questa prospettiva, si comprende lo stretto rapporto tra Maria e la Chiesa:

Maria è la personificazione della Chiesa e il modello esemplare della comunità cristi-

ana. «Fra la Chiesa e la Vergine, i legami non sono soltanto numerosi e stretti: sono

essenziali»38. Se da una parte Maria è «sostanza e rivelazione del mistero della Chi-

esa», dall’altra «veramente la Chiesa è la Maria della storia universale»39. Ciò significa

che «il richiamo ai concetti fondamentali esposti dal Concilio Vaticano II circa la

natura della Chiesa, come famiglia di Dio, popolo di Dio, regno di Dio, corpo mistico di

Cristo, permetterà ai fedeli di riconoscere più prontamente la missione di Maria nel

mistero della Chiesa e il suo posto eminente nella comunione dei Santi; di sentire più

intensamente il legame fraterno che unisce tutti i fedeli»40.

La “comunicazione delle proprietà” tra Maria e la Chiesa

31. Tra Maria e la Chiesa vige, dunque, una reciproca comunicazione delle pro-

prietà. I titoli mariani indicano le qualità e le note essenziali della Chiesa e, vice-

36

Paolo VI, Marialis cultus, 30. 37

«La fede di Pietro e la fede di Maria si coniugano in questo santuario. Qui si può attingere al duplice principio dell’esperienza cristiana: quello mariano e quello petrino. Entrambi, insieme, vi aiuteranno, cari fratelli e sorelle a “ripartire da Cristo”, a rinnovare la vostra fede, perché risponda alle esigenze del nostro tempo. Maria vi insegna a restare sempre in ascolto del Signore nel silenzio della preghiera, ad accogliere con generosa disponibilità la sua Parola col profondo desiderio di offrire voi stessi a Dio, la vostra vita concreta, affinché il suo Verbo eterno, per la potenza dello Spirito Santo, possa ancora “farsi carne” oggi, nella nostra storia. Maria vi aiuterà a seguire Gesù con fedeltà, ad unirvi a Lui nell’offerta del sacrificio, a portare nel cuore la gioia della sua risurrezione e a vivere in costante docilità allo Spirito della Pentecoste. In modo complementare, anche san Pietro vi insegnerà a sentire e credere con la Chiesa, saldi nella fede cattolica; vi porterà ad avere il gusto e la passione dell’unità, della comunione, la gioia di camminare insieme con i pastori e, al tempo stesso, vi parteciperà l’ansia della missione, di condividere il Vangelo con tutti, di farlo giungere fino agli estremi confini della terra» (Benedetto XVI, Omelia, in “Bollettino Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca”, 71, 2008, n. 1, pp. 21-22). 38

H. de Lubac, Meditazione sulla Chiesa, Paoline, Milano 1965, p. 392. 39

H. Rahner, Maria e la Chiesa, Paoline, Milano 1974, pp. 68 e 79. 40

Paolo VI, Marialis cultus, 28.

98

versa, le note della Chiesa illuminano il ruolo della madre di Dio nella storia della

salvezza. Maria, la Donna che ai piedi della croce diventa la madre di tutti coloro

che formano la “nuova famiglia”, è simbolo della Chiesa che, celebrando il mistero

della redenzione, riunisce in una sola famiglia i figli che sono dispersi. In quanto fi-

glia di Sion pienamente inserita nella storia del popolo di Dio, Maria è la personifi-

cazione della Chiesa che cammina lungo i sentieri della storia anelando all’incontro

con il suo Signore. Generando e custodendo la carne di Cristo, Maria è figura

dell’Ecclesia Mater che genera e introduce i fedeli nel mistero della vita divina, li ac-

compagna con la sua materna sollecitudine e presiede spiritualmente l’unità e

l’armonia tra tutte le membra del corpo mistico di Cristo. Infine, i due titoli di ianua

coeli e stella matutina qualificano Maria come immagine della Chiesa che «porta la

figura fugace di questo mondo; essa vive tra le creature, le quali ancora gemono, so-

no nel travaglio del parto e sospirano la manifestazione dei figli di Dio»41. Questi titoli

mariani mentre richiamano la riflessione mariologica conciliare, specificano l’identità

ecclesiale secondo quattro dimensioni: misterica, comunionale, storica, ed escatolo-

gica. A questa identità ecclesiale bisogna riferirsi per trovare il modello di Chiesa da

incarnare nella vita pastorale e nell’azione evangelizzatrice42.

IL PRIMO PERIODO POSTCONCILIARE

Il 1959 e la Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca

32. La dottrina conciliare sulla Vergine Maria come immagine, personificazione

e madre della Chiesa costituisce il richiamo teologico fondamentale anche per la

nostra Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca. Come avvenuto per la Chiesa universale,

il 1959 segna una nuova fase della nostra storia diocesana43. In quell’anno, infatti,

Giovanni XXIII accogliendo la proposta di mons. Giuseppe Ruotolo (13 dicembre

1937-9 novembre 1968), approvò la nuova denominazione della diocesi che prese il

titolo di “Ugento-S. Maria di Leuca”. Non si trattò soltanto di un semplice atto for-

male o devozionale, ma il segno di una nuova indicazione di rotta. L’esplicito riferi-

mento al titolo mariano, da una parte raccoglieva e valorizzava la lunga e gloriosa

tradizione di fede popolare legata al culto e alla devozione alla Vergine de finibus

41

Lumen gentium, 48. 42

Cfr. Papa Francesco, Evangelii gaudium, 288; A. Dulles, Modelli di Chiesa, Messaggero, Padova 2005. 43

Per la storia della diocesi ugentina cfr. S. Palese, Ugento-S. Maria di Leuca, in S. Palese e L.M. de Palma (a cura di), Storia delle Chiese di Puglia, Ecumenica Editrice, Bari 2008, pp. 349-359. Sui vescovi e i preti ugentini cfr. S. Palese-E. Morciano, Preti del Novecento nel Mezzogiorno d’Italia, Congedo Editore, Galatina (LE) 2013.

99

terrae, dall’altra prospettava, nel simbolo mariano, le nuove caratteristiche di una

Chiesa che, mantenendo vivo il legame con il passato, intendeva aprirsi alle nuove

prospettive indicate dal Concilio Vaticano II. In questo contesto, vanno anche ricor-

dati due avvenimenti che avranno un rilievo non secondario nella storia della

nostra Chiesa locale. Nel 1958, mons. Ruotolo completò la costruzione del semi-

nario diocesano, edificato un secolo prima da mons. Francesco Bruni (1837-1863)44.

Il 25 gennaio 1959, il futuro cardinale Giovanni Panico diventò nunzio apostolico in

Portogallo e da lì cominciò a intessere un’intensa relazione con le suore Marcelline

con le quali condivise il progetto di costruire un ospedale a Tricase, sua città natale.

Nemmeno la sua morte, avvenuta il 7 luglio 1962, pose fine alla realizzazione di

questo progetto. L’Ospedale, infatti, fu inaugurato nell’ottobre 1967 e aperto il 4

dicembre dello stesso anno45.

Il santuario di Leuca, «gemma della diocesi»

33. L’intreccio tra Maria e la Chiesa, delineato nei documenti conciliari, acquista

un significato particolare per la nostra Chiesa locale. Fu proprio mons. Ruotolo a

mettere in evidenza lo stretto legame tra la diocesi ugentina e la Vergine di Leuca.

Nella Lettera pastorale del 1959, che porta il significativo titolo Madonna di Leuca

nostra speranza, con una marcata e compiaciuta sottolineatura, il pastore salentino

richiamava l’importanza e il valore simbolico del santuario leucano46. Si tratta di

una convinzione ribadita costantemente e ripresa nella lettera pastorale del 1967,

intitolata Il Vaticano II e il culto mariano. Con vivo compiacimento, egli evidenziò

44

Un’epigrafe, posta all’interno del seminario, datata 19 marzo 1958, commemora l’evento con queste parole: «O chierico, per te questo sacro cenacolo volle mons. Francesco Bruni l’anno MDCCCLVIII l’opera completa ricorrendo l’anno centenario portò a termine mons. Giuseppe Ruotolo chiamando a custode l’Immacolata di Lourdes». Sul seminario di Ugento cfr. S. Palese, La fondazione del seminario diocesano di Ugento (1752) in “la Zagaglia”, 17, 1975, 65-66, pp. 1-35; Id., Seminari in Terra d’Otranto tra rivoluzione e restaurazione, in “Terra d’Otranto in età moderna. Fonti e ricerche di storia religiosa e civile”, a cura di B. Pellegrino, Congedo Editore, Galatina (LE) 1984, pp. 107-188. 45

Sul card. Giovanni Panico e l’Ospedale di Tricase diretto dalle suore Marcelline cfr. R. Fracasso (a cura di), La visione e la speranza. Il cardinale Giovanni Panico e l’attualità delle “magnifiche opere” delle suore Marcelline a Tricase, giugno 2013. L’opera è pubblicata con il sostegno della Pia Fon-dazione di culto e religione “card. G. Panico”. 46

«Difficilmente nella Chiesa di Cristo si trovano diocesi tanto fortunate da avere un santuario così antico e glorioso come il nostro; guardando ad esso la fiducia spunta più facilmente sulle labbra del cuore. La storia del santuario, la fede nella potenza della Madre di Dio e le manifestazioni soprannaturali e miracolose della presenza della Madonna nei fatti più recenti dell’umanità danno diritto a sperare e conservare la pace nei nostri animi perplessi» [S. Palese (a cura di), Un vescovo meridionale tra primo e secondo Novecento. Giuseppe Ruotolo a Ugento (1937-1968), Congedo Editore, Galatina (LE) 1993, pp. 377-378].

100

che bisognava considerare il santuario di S. Maria di Leuca come «la gemma della

nostra diocesi»47. Il cammino di riforma della nostra Chiesa locale nel senso indicato

dal Concilio va, dunque, letto in riferimento alla Vergine Maria. I vescovi ugentini

che hanno guidato la Chiesa locale dopo il Concilio Vaticano II hanno richiamato co-

stantemente questo “filo rosso” del cammino ecclesiale diocesano.

Mons. Giuseppe Ruotolo e il Concilio Vaticano II

34. È risaputo che l’indizione della grande assise conciliare colse di sorpresa la

Chiesa e trovò impreparati gran parte dei vescovi italiani. È, però, significativo che

tra i vescovi salentini, mons. Ruotolo fu il più solerte a rispondere alla richiesta del

card. Tardini circa gli argomenti da trattare al Concilio e il primo a proporre una

preghiera per il Concilio, anticipando quella ufficiale composta dal Papa48. Egli, in-

fatti, riteneva che il Concilio fosse stato indetto «audacemente e felicemente» da

Giovanni XXIII49 e che, dai lavori conciliari, sarebbero scaturiti frutti positivi. Nella

lettera pastorale del 1963, Il Concilio ecumenico e l’ora di Dio, egli fece un’aperta

professione di ottimismo circa le benefiche conseguenze del Concilio. Tuttavia, da

uomo esperto di storia della Chiesa, mise in guardia da una facile lettura del grande

evento ecclesiale. Sapeva bene che la recezione del Concilio avrebbe richiesto un

lungo lasso di tempo e, pertanto, prudentemente sottolineò che «i frutti non

potranno valutarsi in pieno. Come si è verificato nei Concilii precedenti, le conse-

guenze benefiche per la vita della Chiesa e dell’umanità si potranno stimare a lunga

scadenza»50. La profonda convinzione della piena riuscita del Concilio era radicata

in lui dalla certezza della presenza e dell’azione dello Spirito. La successiva lettera

pastorale, fin dal titolo, ribadì che Lo Spirito Santo guida il Concilio (1964) e porta a

compimento gli obiettivi che il Concilio si era proposto fin dall’inizio51.

47

Ivi, p. 502. 48

Cfr. ivi, p. 60. 49

Gli interventi di mons. Ruotolo al Concilio sono riportati in C.F. Ruppi (a cura di), I Vescovi pugliesi al Concilio Vaticano II, Edizioni VivereIn, Monopoli (BA) 2007, pp. 477-521, qui p. 211; cfr. anche S. Palese (a cura di) Un vescovo meridionale, cit., pp. 60-78, 415-518, 551-558; Id., Mons. Giuseppe Ruotolo Padre del Concilio Vaticano II (1962-1965), in “Bollettino Diocesano S. Maria de finibus terrae, 75, 2012, n. 1, pp. 251-254; E. Morciano, Le proposte dei vescovi del Salento meridionale per il Concilio Vaticano II, in “Leucadia”, Miscellanea storica salentina “Giovani Cingolani”, Nuova Serie, IV, 2012, pp. 91-120. 50

S. Palese (a cura di), Un vescovo meridionale, cit., p. 440. 51

Mons. Ruotolo sintetizzò gli obiettivi che il Concilio si era prefissato con le seguenti parole: «Chiarire le verità (scopo teologico), rendere più efficace l’istruzione religiosa per l’elevazione spirituale dei fedeli (scopo pastorale) ed attirare (scopo ecumenico) (…). Lo scopo pastorale e quello ecumenico sono i predominanti, ma non possono effettuarsi senza l’adesione alla verità» (Ivi, p. 446).

101

35. Le sue ultime quattro lettere pastorali contengono la sintesi degli orienta-

menti conciliari che, a suo giudizio, dovevano guidare la vita della Chiesa. Essi si

possono raccogliere attorno a questi ambiti: l’attenzione ai problemi sociali,

l’apostolato dei laici, la devozione alla Madonna. Come recita il titolo della lettera

pastorale del 1965 (Vocazione del cristiano alla pace e alla gioia), secondo il

vescovo ugentino occorreva innanzitutto considerare i temi della pace e della gioia

come aspetti fondamentali del Concilio. Essi si fondano sulla centralità del mistero

di Gesù, principe della pace, e sull’assistenza materna della Vergine Maria52. Non è

difficile intravedere una certa assonanza con l’accorato appello alla pace rivolto da

Giovanni XXIII nella Pacem in terris (11 aprile 1963) e con i contenuti della costi-

tuzione pastorale Gaudium et spes (7 dicembre 1965). Segno dell’attenzione alle

questioni sociali, fu l’affidamento, nel 1941, ai Padri Trinitari di un complesso im-

mobiliare, appartenuto precedentemente ai Minimi, con annessa una Chiesa dedi-

cata a san Francesco da Paola, sito a pochi chilometri dal santuario di Santa Maria

di Leuca e integrato nel contesto urbano del comune di Gagliano del Capo. I Padri

Trinitari realizzarono un importante Istituto e Centro di Riabilitazione che, ancora

oggi, presta un prezioso servizio in favore dei disabili.

36. Il secondo aspetto sottolineato da mons. Ruotolo riguardava la vocazione e

la missione dei laici. Nella lettera pastorale del 1966 dal significativo titolo, Rinno-

vamento alla luce del Concilio, egli indicò i tre pilastri per un rinnovato impegno dei

laici. Sottolineò innanzitutto l’idea che l’apostolato laicale doveva consistere nel

«dilatare la vita cristiana nella Chiesa, nella famiglia e nell’ambiente sociale»53. Ri-

badì la centralità della liturgia nella formazione dei laici e riaffermò la visione

conciliare secondo la quale tutti i membri della Chiesa sono chiamati alla santi-

tà54. Nella sua ultima lettera pastorale, L’Apostolato dei laici in Italia (1968), il ve-

scovo ugentino ritornò sul tema del laicato e, senza trascurare le diverse forme di

associazioni laicali (il Terz’ordine francescano, le Confraternite, le associazioni ca-

ritative, l’Apostolato della preghiera, la Legione di Maria) si soffermò, in modo

particolare sull’Azione Cattolica55. In particolare, egli sottolineò che il rinnova-

mento voluto dal Concilio richiedeva che, insieme allo spirito comunitario, doveva

«rafforzarsi lo zelo missionario non solo per collaborare con i propagatori del

52

Cfr. ivi, p. 475. 53

Ivi, p. 481. 54

Cfr. ivi, pp. 483-486. 55

Cfr. ivi, p. 511.

102

Vangelo oltre i confini d’Italia, ma anche nell’ambito della nazione, della diocesi e

della parrocchia»56.

37. Il terzo aspetto si riferisce alla funzione materna di Maria all’interno della

vita della Chiesa. Nella già citata lettera pastorale del 1967, mons. Ruotolo ribadì

l’importanza della riflessione ecclesiologica conciliare in prospettiva mariana es-

sendo «la Madonna il fiore più profumato della Chiesa di Cristo»57. Dopo aver

richiamato il culto alla Vergine presente nella storia della Chiesa, egli diede conto

delle discussioni intervenute nell’aula conciliare, illustrò le novità circa la dottrina

mariana e riprese le principali affermazioni proposte dalle catechesi mariane di

Paolo VI fino all’asserzione che «la conoscenza della vera dottrina cattolica su

Maria costituirà sempre una chiave per la esatta comprensione del mistero di

Cristo e della Chiesa»58. Mons. Ruotolo richiamò anche le esortazioni di Paolo VI ri-

portate nell’enciclica Christi Matri (15 settembre 1966) nella quale il pontefice si

soffermava a descrivere le ansie dei popoli e la sofferenza del suo animo per la

guerra in Medio Oriente ed esortava i cristiani a chiedere a Maria, con la preghiera

del rosario, il dono della pace. Da parte sua, egli ribadì la funzione di testimonianza

di fede che il santuario di Leuca aveva avuto in passato e doveva continuare ad

avere per la gente salentina ed invitò la Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca ad ac-

cogliere l’appello del pontefice, sottolineando l’importanza della preghiera del

rosario perché la meditazione dei misteri della vita di Cristo «offre l’immagine della

nostra vita cristiana»59.

Il lascito spirituale e pastorale

38. Queste ultime lettere pastorali possono essere considerate come il suo tes-

tamento pastorale. Esse sono state scritte mentre andava maturando in lui la

consapevolezza che i tempi nuovi richiedevano una nuova guida per il cammino

della Chiesa ugentina. Per questo, il 22 novembre, egli lasciò il governo della diocesi

e si ritirò come monaco nella trappa delle Tre Fontane (Roma), realizzando un

sogno lungamente accarezzato. Nella sua lettera di commiato, Cuore a cuore con i

miei diocesani (12 novembre 1968), motivò i termini della sua decisione60. Si trattò

di una scelta coraggiosa e, per certi versi, profetica. Fu, infatti, la prima rinuncia al

56

Ivi, p. 517. 57

Ivi, p. 492. 58

Ivi, p. 501. 59

Ivi, p. 504. 60

Cfr. ivi, pp. 552-553.

103

ministero episcopale dei tempi postconciliari; una decisione dettata dalla sua pro-

fonda umiltà e, per questo, lodata da Paolo VI. Mons. Ruotolo morì l’11 giugno

1970 e secondo le sue stesse disposizioni, il 28 marzo 1971, venne tumulato nel

santuario di Leuca, dove tutt’ora riposa. Questo suo desiderio di riposare nella casa

della Vergine de finibus terrae acquista un significato simbolico: la Vergine Maria,

non è solo il modello esemplare e l’archetipo della Chiesa, ma è anche il grembo

materno che genera alla vita e il luogo su cui riposare.

39. Cosa dire del lungo episcopato di mons. Ruotolo? Donato Valli vede nel magi-

stero del presule ugentino il fattore fondamentale della rinascita del popolo salentino

e del laicato cattolico61. Considerando l’azione pastorale all’interno dei processi stori-

ci che caratterizzarono il suo tempo, mons. Salvatore Palese scrive: «I processi gene-

rali che trasformarono la società salentina, con qualche ritardo a confronto con altre

regioni ma con non minore profondità, misero a nudo la debolezza strutturale di

questa diocesi periferica, piccola e frammentata, ed evidenziarono l’esigenza di un

impegno culturale che sostenesse il rapporto diverso che venne a delinearsi tra fede

e storia, cattolici e società, Chiesa e contesto umano. A mons. Ruotolo toccò operare

nel tramonto della cristianità salentina, attraversata anch’essa dai problemi della

modernizzazione dell’intera società italiana, che posero anche in questa diocesi “in

finibus terrae” l’urgenza della rifondazione cristica delle comunità meridionali e del

rilancio del Vangelo cristiano agli uomini del Salento»62.

L’amministrazione apostolica degli arcivescovi idruntini

40. Dopo il lungo governo pastorale di mons. Ruotolo, la Chiesa ugentina si

trovò a vivere per circa un sessennio senza la presenza del proprio vescovo. Paolo

VI, infatti, affidò la diocesi all’amministrazione apostolica degli arcivescovi metro-

politi di Otranto mons. Gaetano Pollio (9 novembre 1968-5 febbraio 1969) e mons.

Nicola Riezzo (24 maggio (1969-12 ottobre 1974). Questa situazione, da una parte,

poneva la comunità diocesana di fronte ad aspetti inediti, dall’altra la sollecitava a

proseguire il cammino di rinnovamento conciliare pur senza la presenza del

vescovo titolare come punto di riferimento dell’attività diocesana. A onor del vero,

bisogna dire che mons. Riezzo guidò la diocesi ugentina con lo stesso zelo profuso

61

«È forse l’unico momento in cui il Basso Salento si è sentito unito; e se qualcosa di bello e di utile, socialmente e culturalmente, è nato da quella stagione di entusiasmi e di generosa operatività, è dovuto proprio al senso della rinnovata coscienza cristiana che mons. Ruotolo ha saputo alimentare in tutti» (Ivi, p. 141). 62

Ivi, p. 88.

104

in quella idruntina. Durante la sua amministrazione apostolica, egli istituì il Consig-

lio presbiterale, promulgò lo Statuto del Consiglio pastorale diocesano, promosse

l’azione del laicato, in particolare dell’Azione Cattolica, valorizzò il movimento mis-

sionario e l’impegno in campo catechistico.

41. Un’importante decisione fu quella presa dal Consiglio pastorale diocesano

nella riunione del 22 giugno 1971: realizzare un’inchiesta sulla situazione socio-reli-

giosa della diocesi come base per la futura programmazione pastorale. L’indagine si

articolò in cinque parti: la condizione sociale ed economica, la situazione politica,

gli orientamenti culturali, la situazione del clero, dei religiosi e dei laici organizzati,

la vita cristiana. Non rientrava nelle sue finalità dare indicazioni operative e pro-

grammatiche. Essa intendeva solo suscitare un’approfondita riflessione da parte di

tutti gli operatori pastorali circa quei “segni di Dio” che la ricerca, almeno in parte,

aveva evidenziato. Si manifestava così la volontà di una Chiesa che intendeva cam-

minare nella direzione indicata dal Concilio in un’interazione tra la liturgia e la cate-

chesi, soprattutto la catechesi agli adulti. Ciò esigeva da parte dei presbiteri e dei

laici la chiara consapevolezza dell’urgenza dell’evangelizzazione secondo uno stile

che doveva raccogliere l’azione pastorale tradizionale attorno al primato della fede

nel Dio vivente che parla e agisce nella storia63.

42. La mancanza del vescovo titolare si fece sentire. Per questo, durante il pe-

riodo dell’amministrazione apostolica, più volte fu rivolto alla Santa Sede un acco-

rato appello a mettere fine a questa situazione. Nel giugno del 1970 in occasione

della consacrazione episcopale di mons. Carmelo Cassati, il vicario generale, mons.

De Vitis, fece presente questa richiesta al Prefetto della S. Congregazione per i

Vescovi, il card. Carlo Confalonieri. Nel settembre 1973, fu inviata al Papa at-

traverso la S. Congregazione dei Vescovi, una lettera firmata da tutti i sacerdoti

della diocesi. In essa, pur apprezzando l’opera pastorale di mons. Riezzo, «per

l’esempio insuperabile di sacrifici, di umiltà e di dedizione» quale «autentico “uomo

di Dio” che trova nella preghiera la forza per la sua tanto faticosa “diaconia” pas-

torale», il presbiterio diocesano sottolineava la necessità di assicurare la presenza

stabile di un Vescovo, che fosse «segno e strumento di una autentica comunione

63

«Il futuro della Chiesa ugentina richiede preti evangelizzatori e laici con coscienza ecclesiale, che affermino il primato della fede sul culto, delle persone sulle organizzazioni, la prevalenza del diritto della Parola di Dio sulle tradizioni, la priorità del piano di Dio sulle iniziative pur generose degli uomini» (Consiglio pastorale diocesano, Indagine socio-religiosa sulla diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca, a cura di S. Palese, dattiloscritto, 3 gennaio 1972, p. 65).

105

diocesana». La lettera venne accompagnata da un’altra missiva inviata da mons. De

Vitis un mese dopo al cardinale prefetto della S. Congregazione per i Vescovi64.

IL SECONDO PERIODO POSTCONCILIARE

L’episcopato di mons. Michele Mincuzzi: rinnovamento e

impostazione programmatica

43. Finalmente la richiesta fu esaudita. E così, il 10 novembre del 1974, fece il

suo ingresso in diocesi il nuovo vescovo, mons. Michele Mincuzzi, proveniente dalla

arcidiocesi di Bari (12 ottobre 1974-27 gennaio 1981). Nell’indirizzo di saluto, mons.

De Vitis rilevò che erano trascorsi esattamente «sei anni di attesa e di trepidazi-

one» da quando il Santo Padre aveva accettato le dimissioni di mons. Ruotolo e si

disse certo che la presenza del vescovo avrebbe favorito «in tutto il popolo di Dio

quella presa di coscienza del suo “essere Chiesa”, senza la quale un’autentica vita

cristiana è oggi utopistica e illusoria»65. Nell’omelia, pronunciata nella Messa di

inizio del ministero pastorale, mons. Mincuzzi delineò le coordinate pastorali del

suo ministero episcopale. Come il suo predecessore, esse avevano come punti di

riferimento il Concilio Vaticano II e la Vergine de finibus terrae66.

44. Mons. Mincuzzi promosse l’aggiornamento e il rinnovamento conciliari con

uno stile di servizio e di fraterna condivisione, senza chiusure e in dialogo con il

mondo. I punti salienti del suo programma presero forma nel piano pastorale pub-

blicato nell’agosto del 1975. Attorno ai due perni strutturali della parrocchia e della

famiglia67 dovevano articolarsi tre impegni fondamentali sul piano catechistico, li-

turgico e caritativo. L’attuazione di questo piano si sviluppò in quattro direzioni.

64

Per questi riferimenti G. Gragnaniello (a cura di), Mons. Antonio De Vitis. Una vita per gli altri, Ed. Insieme, Terlizzi 2011, pp. 61-66. 65

A. De Vitis, Benvenuto nel nome del Signore, “Bollettino Ufficiale della Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca”, 38, agosto 1974-dicembre 1975, p. 6. 66

«Mons. Ruotolo ora, in Dio, sa che i tempi sono mutati e comprenderà, egli, padre conciliare, e incoraggerà il nostro comune impegno per far crescere nel senso e nello spirito del Concilio la nostra Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca. Ecco un altro motivo di fiducia. Siamo, se non erro, l’unica diocesi che prende il nome anche dalla Madre di Gesù. È una diocesi mariana. Abbiamo un titolo tutto nostro per venerare la Madre di Gesù. Come madre e modello della Chiesa universale e della nostra Chiesa diocesana» (M. Mincuzzi, Insieme in Cristo nel presente verso il futuro, “Bollettino Ufficiale della Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca”, 38, agosto 1974-dicembre 1975, pp. 7-16, qui p. 16). 67

«Il polo di convergenza operativa doveva essere la famiglia (…) Luogo privilegiato di attuazione pastorale doveva essere la parrocchia» (V. Cassiano, In tensione missionaria, in G. Piccinni e A. Picicco, (cura di), Ti voglio bene, Ed Insieme, Terlizzi, 2013, p. 138).

106

Una prima linea di azione riguardava la rivisitazione degli organismi di partecipazi-

one: la costituzione del Consiglio diocesano per gli affari economici (1976), la pub-

blicazione di un nuovo statuto del Consiglio presbiterale (1976), la ricostituzione del

Consiglio pastorale diocesano (1977), l’istituzione del Consiglio diocesano dei re-

ligiosi (1978) e della federazione diocesana delle Confraternite (1979). Una seconda

linea attuativa va ricercata nella valorizzazione della dimensione culturale e forma-

tiva della pastorale. Tra le altre iniziative, vanno segnalate: la costituzione delle Set-

timane teologiche68, trasformando le catechesi quaresimali e i corsi di cultura re-

ligiosa in convegni diocesani; la decisione di affidare la casa “Stella Maris di Leuca”

all’Opera Madonnina del Grappa di Sestri Levante (1979); la fondazione della

Scuola diocesana di Teologia, la quale iniziò la sua attività il 1 novembre 1981, dopo

la venuta del nuovo vescovo. Un terzo elemento si riferisce al dialogo con il mondo

e all’attenzione al territorio e alle dinamiche sociali. In questo settore si segnalano

l’attenzione ai problemi dei contadini, dei coltivatori di tabacco, dei pescatori; gli

appelli alle autorità e ai cattolici salentini a contribuire alla promozione integrale

della persona umana. Un ultimo aspetto riguarda la promozione di uno stile fondato

sulla comunione e la corresponsabilità, la fraternità sacerdotale e il protagonismo

del laicato. Il raduno di tipo sinodale della Chiesa ugentina del 1979 sul tema Siamo

una Chiesa viva? segnò il momento della verifica del cammino compiuto. Il seme

era stato gettato, ma il cambiamento richiedeva tempi più lunghi.

L’episcopato di mons. Mario Miglietta: camminare insieme

45. Gli elementi di innovazione presenti nel piano pastorale si evidenziarono,

almeno in parte, negli anni successivi. La lettera pastorale per la quaresima del

1982 del nuovo vescovo, mons. Mario Miglietta (21 febbraio 1981-14 novembre

1992), era incentrata sul tema Comunione vera e comunità viva. In sintonia con gli

orientamenti pastorali della Chiesa italiana, Comunione e comunità, il vescovo

ugentino invitava la comunità diocesana a «camminare insieme, a ritmo serrato e

dinamico, nel processo dei tempi, verso i saldi traguardi di una società ordinata e

vivificata da Dio»69. E fu appunto su questo tema che si articolò il piano pastorale

diocesano per gli anni ’80 (Camminiamo insieme), promulgato il 1 novembre 1984

nel quale vennero ripresi alcuni aspetti del “Piano Quadro” del ’75. Il testo defini-

tivo fu il frutto di un intenso lavoro di rielaborazione dei contenuti e delle prospet-

68

Sulle Settimane teologiche e i Convegni pastorali cfr. V. Cassiano, Nel solco del Concilio. Settimane teologiche e Convegni pastorali nella diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca (= Theologica Uxentina, 3), Edizioni VivereIn, Roma-Monopoli 2014. 69

M. Miglietta, Comunione vera e comunità viva. Lettera pastorale per la quaresima dell’anno 1982, 2.

107

tive pastorali. Il vescovo, dal canto suo, mise in luce che il cammino pastorale anche

se generoso e sincero, a volte era contrassegnato «dalla frammentarietà e dallo

spontaneismo»70. La consapevolezza del primato dell’evangelizzazione si articolò in

una serie di indicazioni che toccavano il rinnovamento della vita parrocchiale nelle

sue dimensioni fondamentali: catechesi, liturgia e carità. Mons. Miglietta auspicò

che il piano pastorale, frutto di una collaborazione tra gli organismi diocesani,

potesse divenire «il punto di riferimento di ogni forania, di ogni associazione e di

ogni collaboratore pastorale della nostra diocesi, affinché la Chiesa ugentina cam-

mini unita e più speditamente verso il Regno di Dio»71. Una particolare attenzione,

egli dedicò al tema delle vocazioni al sacerdozio e al seminario diocesano. Nella let-

tera pastorale del 1986, Chiamati e inviati, concluse il documento con queste pa-

role: «Mi verrebbe da pensare al mondo e, particolarmente alla nostra diocesi,

come a un giardino in cui la semina della Chiesa, su di un terreno fecondato dalla

santità del popolo, garantisce il sorgere di scelte e numerose vocazioni»72.

46. Dell’episcopato di mons. Miglietta vanno segnalati tre avvenimenti per il

loro valore simbolico. Il primo riguarda l’ordinazione episcopale di don Tonino

Bello. Il 4 settembre 1982, egli annunciò con gioia la nomina di don Tonino a

vescovo di Molfetta e il 30 ottobre affiancò mons. Mincuzzi nel rito di ordinazione

in qualità di vescovo con-consacrante. Il secondo avvenimento si riferisce

all’impegno missionario della diocesi. Il 31 dicembre 1985, don Rocco Maglie, diret-

tore del centro missionario diocesano, insieme con l’assistente del movimento gio-

vanile missionario si recarono in Rwanda per sottoporre all’arcivescovo di Kigali la

convenzione di collaborazione tra le due Chiese. Il 1991, don Tito Oggioni

Macagnino partì come sacerdote “fidei donum”. Ebbe così inizio l’attività missio-

naria della Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca in terra d’Africa73. Il terzo avveni-

mento concerne la visita pastorale indetta il 15 agosto 1986 e iniziata nell’avvento

1987 sul tema La parrocchia a vent’anni dal Concilio Vaticano II. La visita prese il via

dal santuario di Leuca, come segno di speciale venerazione verso la Vergine de fini-

bus terrae. Successivamente, con il breve apostolico del 19 giugno 1992, il santu-

ario venne elevato a Basilica pontificia minore. Questo avvenimento mariano costi-

70

Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca, Camminiamo insieme, Piano Pastorale per gli anni ’80, 1 novembre 1984, p. 1. 71

Ivi, p. 1-2. 72

M. Miglietta, Chiamati e inviati, lettera pastorale per le vocazioni, 25 maggio 1986, p. 33. 73

Cfr. V. Angiuli, La diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca: una Chiesa tutta missionaria. Messaggio alla diocesi in occasione dell’inizio dell’Anno della Fede (11 ottobre 2012), in “Bollettino Diocesano S. Maria de finibus terrae”, 75, 2012, pp. 375-384.

108

tuisce l’atto conclusivo del ministero pastorale di mons. Miglietta. Il 14 novembre

1992, Giovanni Paolo II accettò le sue dimissioni. Il vescovo si ritirò per alcuni anni

presso il santuario di Leuca. La morte sopraggiunse nel gennaio del 1996.

L’amministrazione apostolica di mons. Cosmo Francesco Ruppi

47. Dal novembre 1992, la diocesi fu affidata all’amministratore apostolico

mons. Cosmo Francesco Ruppi, arcivescovo metropolita di Lecce. Nei cinque mesi

della sua amministrazione, mons. Ruppi portò avanti con zelo il cammino pastorale

diocesano. Nel gennaio 1993, insieme con una delegazione composta da sacerdoti

e laici, si recò a Kigali in Rwanda per inaugurare il Centro sanitario. Al ritorno inviò

alla diocesi una lettera esprimendo ammirazione per il lavoro compiuto dall’Ufficio

missionario74. Con la settimana teologica Famiglia cristiana e società (1-5 marzo

1993) si concluse il ciclo triennale dedicato al tema della famiglia. In precedenza er-

ano stati trattati i seguenti temi: Famiglia cristiana fondamento di una nuova con-

dizione giovanile (1991) e Famiglia cristiana: itinerari educativi (1992). Il 5 marzo

1993 venne inaugurato a Ugento il centro diocesano per la famiglia.

L’episcopato di mons. Domenico Caliandro: evangelizzazione e pastorale giovanile

48. Il nuovo vescovo, mons. Domenico Caliandro (23 aprile 1993-13 maggio

2000), fin dall’inizio del suo episcopato orientò l’impegno diocesano verso una

particolare attenzione alla pastorale giovanile. Dopo l’aggiornamento del clero e la

Settimana teologica (21-25 febbraio 1994), una commissione, presieduta da don

Gerardo Antonazzo redasse la bozza di un piano che, esaminato e integrato, venne

promulgato il 24 novembre 1994 con il titolo Progetto di pastorale giovanile “Fissa-

tolo lo amò”. Successivamente, seguendo le indicazioni della lettera apostolica di

Giovanni Paolo II, Tertio millennio adveniente, fu predisposto il Piano pastorale dio-

cesano (1996-1999) intitolato Chiesa e nuova evangelizzazione verso il Giubileo del

2000. Vennero riorganizzati gli organismi di partecipazione e furono promulgati i

seguenti decreti: quello di riforma della Curia (8 dicembre 1993), lo Statuto e il Re-

golamento del Consiglio per gli affari economici (25 dicembre 1993) e del Consiglio

presbiterale diocesano (24 aprile 1994), il Decreto di riordino delle foranie (30

giugno 1999). Un evento particolarmente significativo fu la costruzione, nel 1995,

del monastero della “SS. Trinità” ad Alessano in cui si insediò la comunità delle

Clarisse cappuccine come fondazione del monastero di Lucca. Il monastero fu costi-

tuito come punto di riferimento per tutta la comunità diocesana, quale luogo di ac-

74

Cfr. C.F. Ruppi, Lettera alla diocesi, “Bollettino Ufficiale della Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca”, 56, 1992, n. 1, p. 7.

109

coglienza e di accompagnamento spirituale, di preghiera e di promozione del dia-

logo ecumenico.

L’episcopato di mons. Vito De Grisantis: evangelizzazione e carità

49. L’inizio dell’episcopato di mons. Vito De Grisantis (13 maggio 2000-1° apri-

le 2010) coincise con il nuovo decennio pastorale. Il suo magistero episcopale si

indirizzò su quattro versanti principali: pastorale, missionario, sociale e artistico.

Il percorso pastorale del decennio 2000-2010 si sviluppò in due fasi. Nel primo

quinquennio (2000-2005) la programmazione pastorale si ispirò agli Orientamenti dei

vescovi italiani Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia ed ebbe come meta la

riscoperta dell’iniziazione cristiana per una identità comunitaria e missionaria della

fede. Questo obiettivo prioritario fu discusso nel Consiglio presbiterale del gennaio

2000 e motivato da diverse esigenze riconosciute come dirompenti anche nelle co-

munità cristiane salentine: il processo di scristianizzazione delle famiglie; la prevalen-

za del culto rispetto al primato dell’annuncio; il relativismo morale dei giovani e degli

adulti nelle scelte decisive e pratiche; la riduzione della fede a puro “sentire” sogget-

tivo, indipendentemente dalla comunità cristiana. Il Convegno di Verona, celebrato a

metà del decennio (ottobre 2006), segnò il passaggio alla programmazione del se-

condo quinquennio. In questo caso, gli ambiti nei quali si articolò il Convegno eccle-

siale nazionale furono assunti come linee guida del cammino pastorale e diventarono

gli ambiti tematici della questione educativa.

50. Mons. De Grisantis accompagnò il cammino diocesano con due Visite pas-

torali. Con la prima (settembre 2001-dicembre 2004), egli volle promuovere una

maggiore presa di coscienza dell’essere Chiesa locale in un mondo che cambia e

stimolare la verifica della vita delle comunità parrocchiali in vista di un rinno-

vamento ispirato sempre più alla comunione e alla missione. Nella lettera pastorale

del 15 maggio 2005, egli fece “quasi una fotografia” della realtà pastorale con le

sue luci e le sue ombre e chiese che queste sfide fossero affrontate «con un im-

pegno maggiore da parte di tutte le componenti della comunità ecclesiale»75. La

seconda Visita pastorale (ottobre 2005-maggio 2007) ribadì le due esigenze fonda-

mentali emerse già nella prima: la necessità di realizzare e di vivere una comunione

più intensa e più profonda dalla quale far scaturire l’impegno generoso per la mis-

sione. La comunione – sottolineò il vescovo – «si concretizza nella conoscenza,

nella stima, nell’accoglienza reciproca, nell’aiuto vicendevole, nella carità, nel per-

75

Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca, Visita pastorale di verifica (2005-2007) del vescovo Vito De Grisantis, Supplemento al Bollettino Ufficiale, 70, 2007, n. 1, p. 5.

110

dono. Si diviene così costruttori di unità e di comunione»76. A tale scopo, promulgò

una serie di norme per il migliore funzionamento degli organismi di partecipa-

zione77.

51. Con vivo entusiasmo mons. De Grisantis sostenne l’azione missionaria dio-

cesana. Nel novembre del 2000, visitò le opere diocesane in Rwanda e, succes-

sivamente, si recò in Tanzania. L’attenzione ai problemi sociali si espresse con due

significative istituzioni: la casa di accoglienza “Maior caritas” per i familiari degli

ammalati degenti nell’ospedale di Tricase e il fondo di garanzia finalizzato alla con-

cessione di prestiti (“Progetto Tobia”). Significativo fu il recupero dei beni storici e

artistici tra i quali vanno segnalati la residenza vescovile, gli Uffici di Curia, la Cat-

tedrale e il Museo diocesano. La visita di Papa Benedetto XVI (14 giugno 2008) fu

un grande avvenimento di fede e quasi il suggello del suo episcopato. Dopo la sua

morte avvenuta il 1 aprile 2010, il vicario generale, mons. Gerardo Antonazzo, as-

sunse l’incarico di amministratore della Diocesi. Negli anni precedenti egli aveva

collaborato con mons. Caliandro e mons. De Grisantis nella programmazione della

pastorale diocesana in qualità di vicario episcopale. Sotto la sua guida, la comunità

diocesana continuò il cammino pastorale concludendo, nel convegno di giugno del

2010, lo studio dei cinque ambiti proposti a Verona. Il 22 gennaio 2013, mons. An-

tonazzo è stato nominato vescovo di Sora-Aquino-Pontecorvo e l’8 aprile 2013 è

stato ordinato da mons. Dominique Mamberti, segretario dei rapporti della S. Sede

con gli Stati, e dai due conconsacrati: mons. Adriano Bernardini, nunzio apostolico

in Italia e il sottoscritto.

I temi melodici della sinfonia

52. All’inizio di questo capitolo ho sottolineato che il cammino pastorale della

Chiesa ugentina, nei cinquant’anni postconciliari, assomiglia a una sinfonia. Attorno

a un’idea centrale, sono stati indicati, di volta in volta, alcuni obiettivi pastorali

specifici, quasi fossero differenti temi melodici. Considerati singolarmente, essi

possono ingenerare l’idea di una realtà incompiuta e disarticolata; inseriti all’in-

terno dell’intero percorso, contribuiscono a disegnare la forma unitaria dell’azione

pastorale diocesana. L’obiettivo fondamentale è stato quello di attuare la riforma

della Chiesa locale secondo la visione e lo spirito del Concilio. Le indicazioni speci-

fiche si sono espresse secondo accentuazioni differenti e complementari e si pos-

76

Ivi, p. 6. 77

Cfr. Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca, Decreti Statuti Regolamenti, Tipografia Marra, Ugento settembre 2005.

111

sono sintetizzare nel seguente modo: conferire all’azione pastorale una forte im-

pronta conciliare attraverso un maggiore ancoraggio alla centralità dell’azione li-

turgica; promuovere un aggiornamento delle strutture e degli organismi di comun-

ione secondo uno stile di corresponsabilità e partecipazione; mantenere viva la

dimensione popolare della fede; intensificare lo spessore culturale e imprimere un

maggiore dinamismo missionario e caritativo a tutta l’azione pastorale; orientare le

comunità verso una crescente attenzione alla dimensione sociale della fede.

Nel loro insieme, queste mete delineano un progetto pastorale unitario e or-

ganico. La loro attuazione, però, non è avvenuta sempre in modo lineare e conse-

guente. Non tutto quello che, di volta in volta, è stato programmato è stato concre-

tamente attuato. La vita di una comunità, come l’esistenza di una persona, è

caratterizzata da tempi di maturazione e di crescita, ma anche da lentezze e mo-

menti di difficoltà e di stanchezza. Situazioni e avvenimenti particolari possono

frenare e condizionare l’attuazione coerente e logica dei progetti. Tuttavia, lungo il

percorso postconciliare vissuto dalla Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca si può

scorgere il desiderio di dare concreta attuazione agli insegnamenti del Concilio, pur

se non sono mancati ritardi e resistenze.

I tre fari luminosi del cammino diocesano

53. Fin dall’inizio del mio episcopato ho fatto riferimento a questa storia dioce-

sana indicando, già nella mia prima omelia, i tre fari luminosi che devono dare luce

alla nostra Chiesa locale78. Innanzitutto la fede del popolo di Dio: una fede colma di

umanità e incarnata in una storia, ricca di memoria e capace di farsi progetto. Il

riferimento al primato della fede assume una particolare rilevanza se si considera

che, un anno dopo il mio ingresso in diocesi, con il motuproprio Porta fidei (11 ot-

tobre 2011), Benedetto XVI ha indetto l’“Anno della fede” auspicando che fosse un

tempo di risveglio e di annuncio gioioso della misericordia di Dio Padre rivelata in

Cristo Gesù. L’enciclica Lumen fidei di Papa Francesco (29 giugno 2013) ha ribadito

la necessità di lasciarsi illuminare da questa luce soprannaturale. Le luci del mondo,

infatti, sono “piccole e illusorie”, solo la fede è «capace di illuminare tutta l’esisten-

za dell’uomo»79. Essa risplende nel mondo soprattutto nell’esempio offerto da tes-

timoni credibili per il loro stile di vita. Per questo ho indicato nell’esemplare testi-

monianza di don Tonino Bello il secondo faro del nostro cammino. La sua figura e il

suo messaggio richiamano ancora oggi la bellezza della vita vissuta seguendo il

78

Cfr. V. Angiuli, I tre fari luminosi della Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca, in “Bollettino Ufficiale Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca”, 73, 2010, pp. 96-102. 79

Papa Francesco, Lumen fidei, 4.

112

Vangelo. Il suo stile e i suoi gesti sembrano rivivere nelle parole e nel comporta-

mento di Papa Francesco. La simbiosi tra don Tonino e Papa Francesco è uno

sprone all’imitazione della loro “bella condotta di vita”.

54. In questo sforzo di rinnovamento personale e comunitario continueremo ad

essere sostenuti dalla materna protezione della Vergine de finibus terrae, il vero

“filo rosso” che percorre tutta la storia della nostra Chiesa locale e rimane il sim-

bolo del rinnovamento pastorale. Ammaestrate dal Concilio Vaticano II, le nostre

comunità cristiane devono ispirarsi alla Vergine Maria per vivere forti nella fede,

liete nella speranza, operose nella carità. Considerando la programmazione pas-

torale già realizzata in questi primi anni della mia presenza in diocesi, si può rilevare

la sintonia e la continuità con il precedente cammino, in particolare con il “Piano

Quadro” del 1975. Di anno in anno, abbiamo preso in considerazione i seguenti as-

petti: la vocazione e la missione dei laici (2011), la centralità della liturgia (2012), il

volto educativo e missionario della parrocchia (2013), il ruolo insostituibile della

famiglia, immagine della Trinità (2014). Su questo sfondo, si innesta il presente

“quadro di riferimento teologico-pastorale”. Tenendo conto del cammino compi-

uto, esso indica come meta centrale del decennio 2010-2020 il compito di educare

a una forma di vita meravigliosa.

Capitolo secondo

Una terra luminosa che riflette i colori del cielo

«Il meraviglioso è sempre bello,

anzi, solo il meraviglioso è bello»

(André Breton)

L’educazione si realizza in un ambiente di vita

55. L’opera educativa è un’azione complessa. Non si compie isolatamente nella

relazione interpersonale, ma coinvolge tutti «in un itinerario condiviso, in cui edu-

catori ed educandi intrecciano un’esperienza umana e spirituale profonda e coin-

volgente»80. Senza voler sminuire l’opera dei singoli educatori, si deve sottolineare

che l’educazione è un’azione comunitaria. La cultura, le tradizioni, la società for-

mano un ambiente di vita che, quasi come un grembo materno, genera, nutre e fa

80

Conferenza episcopale italiana, Educare alla vita buona del Vangelo, 26.

113

crescere i singoli e le comunità e orienta i loro rapporti e le loro scelte81. In altri

termini, educare non è un’operazione asettica e avulsa da un contesto, ma acquista

le forme tipiche di una comunità, sedimentate nel tempo, e delle quali ogni per-

sona porta in sé un intimo retaggio82.

Educare a mantenere i legami con le proprie radici

56. In un mondo globalizzato, l’opera educativa consiste nella capacità di

guardare l’orizzonte globale mantenendo saldi i legami con la propria terra. Da una

parte occorre tener conto della situazione generale, dall’altra bisogna coltivare gli

affetti, i rapporti, le relazioni con il proprio ambiente di vita «senza evadere, senza

sradicamenti. È necessario affondare le radici nella terra fertile e nella storia del

proprio luogo, che è un dono di Dio. Si lavora nel piccolo, con ciò che è vicino, però

con una prospettiva più ampia. Allo stesso modo, una persona che conserva la sua

personale peculiarità e non nasconde la sua identità, quando si integra cordial-

mente in una comunità, non si annulla ma riceve sempre nuovi stimoli per il pro-

prio sviluppo»83.

Educare ad amare la propria terra

57. L’opera educativa non può, dunque, prescindere dall’amore per il proprio

territorio e il proprio ambiente di vita. È questa l’esortazione rivolta recentemente

dai vescovi pugliesi: «A voi, Chiese di Puglia, e in particolare a voi, cristiani laici,

nostri fratelli nella fede, la prima parola che vogliamo dire è la seguente: amate la

nostra terra! Amatela con tutta la forza della ragione e tutta la passione della

nostra fede in Cristo morto e risorto. Amate il luogo dove viviamo e lavoriamo, così

come esso è, con la sua storia e la pluriforme tradizione culturale e religiosa, con

l’identità culturale che ci ritroviamo, con le risorse che possediamo, con le pro-

blematiche umane e sociali che siamo chiamati ad affrontare. Amate la nostra terra

soprattutto in questo momento di crisi economica e sociale, che ci provoca a ricer-

care nuovi stili di vita e nuovi modelli di sviluppo per il nostro futuro (…). Amate,

perciò, la nostra regione Puglia, impregnata come è di cultura greco-romana e giu-

daico-cristiana e con la sua radicata vocazione ecumenica. Amate e stimolate il suo

prezioso contributo allo sviluppo delle altre regioni europee e alla promozione della

81

«La società nella sua globalità, infatti, costituisce un ambiente vitale dal forte impatto educativo; essa veicola una serie di riferimenti fondamentali che condizionano in bene o in male la formazione dell’identità, incidendo profondamente sulla mentalità e sulle scelte di ciascuno» (Ivi, 50). 82

L’educazione «si gioca sempre all’interno delle relazioni fondamentali dell’esistenza; è efficace nella misura in cui incontra la persona nell’insieme delle sue esperienze» (Ivi, 33). 83

Papa Francesco, Evangelii gaudium, 235.

114

pace nel bacino del Mediterraneo. Amate la nostra terra benedetta da Dio, che ha

ricevuto l’annuncio della fede cristiana sin dai primordi e che sembra proiettare le

nostre Chiese del Sud verso un ruolo significativo nel cristianesimo che verrà»84.

Come si presenta, oggi, il Basso Salento?

58. Se l’amore verso la propria terra è condizione indispensabile per educare, è

necessario che esso si esprima attraverso un’attenta lettura dei cambiamenti so-

ciali e culturali sopraggiunti con lo scorrere del tempo. L’amore non consiste in un

superficiale e vago sentimento di ammirazione, ma deve spingere a compiere un

approfondito discernimento che aiuti a conoscere la reale situazione sociale,

economica, culturale e religiosa del territorio con le sue luci e le sue ombre. È

unanimemente riconosciuto che il Basso Salento è una terra ricca di tradizioni e di

cultura, la cui bellezza suscita un’attrazione spontanea per l’ambiente e per la

gente che la abita. Ma, oggi, in che cosa consiste la sua bellezza? Il Capo di Leuca

può essere ancora definito “estremo lembo della Puglia” o i processi e i cambia-

menti sopravvenuti hanno assegnato un nuovo ruolo e una nuova funzione?

ESTREMO LEMBO DELLA PUGLIA?

Terra di periferia

59. L’indicazione del Basso Salento come “estremo lembo della Puglia” è una

locuzione frequentemente richiamata per indicare non solo la sua collocazione

geografica, ma anche la sua condizione di “terra di periferia”. In un’interpellanza

presentata alla Camera dei Deputati il 1° giugno 1903, l’onorevole Alfredo Codacci

Pisanelli definì il Capo di Leuca «un vasto triangolo, che ha due lati formati dal mare

e il terzo costituito dalla strada ferrata Gallipoli-Zollino-Maglie-Otranto, che va

dallo Ionio all’Adriatico. Di siffatto estremo triangolo, ricco di antiche leggende e di

autentica storia civile, oggi non pochi in Italia ignorano perfino l’esistenza, tanto è

tagliato fuori da ogni comunicazione, tanto è isolato, non solo materialmente, ma

anche economicamente»85.

84

Conferenza episcopale pugliese, Cristiani nel mondo testimoni di speranza, nota pastorale dopo il terzo Convegno ecclesiale pugliese, Laici nella Chiesa e nella società pugliese, oggi (S. Giovanni Rotondo, 27-30 aprile 2011), 10. 85

A. Codacci Pisanelli, Le condizioni del Capo di Leuca agli inizi del XX secolo, in R. Fracasso-G. Ricchiuto, Il cardinale Panico e la sua terra, a cura di D. Valli, Congedo Editore, Galatina 1995, pp. 35-52, qui p. 40.

115

Terra di contrasti

60. Ugualmente significativa è la descrizione fatta da don Tonino Bello della

terra e della società salentina e, in particolare, della Chiesa ugentina come doveva

apparire a mons. Giuseppe Ruotolo all’inizio del suo ministero episcopale sul finire

degli anni ’30. Queste le parole di don Tonino: «Una terra senza risorse. Bella nella

patina ferrigna delle sue rocce. Splendida nel biancore dei suoi paesi. Malinconica nel

contorcimento degli ulivi secolari. Struggente nella purezza del mare, e nel fulgore

del suo biblico sole. Ma arida di piogge e di speranza. Geograficamente emarginata,

era fatta fuori dalle grandi linee di comunicazione e di trasporto. Con tutti i problemi

che si accompagnano alla povertà provocata dallo strapotere degli altri. Priva di

“leaders” capaci di interpretare i bisogni, sembrava che gravassero sul suo popolo

una certa quota di fatalismo, una punta di inerzia agli stimoli del cambio, un costume

di assuefazione all’insicurezza e allo sfruttamento. Anche la Chiesa, sia pur animata

da eccezionali figure di sacerdoti, non si distingueva certo per eccessi di audacia pro-

fetica (improponibile del resto a quei tempi) e, se non era complice del ristagno so-

ciale, perlomeno si adattava senza troppi sussulti al ruolo della conservazione»86.

Terra di braccianti

61. Fino agli anni ’60, il Capo di Leuca, è stata una terra caratterizzata da una

forza-lavoro costituita soprattutto da braccianti. Così, il giovane seminarista Tonino

Bello scriveva nella rivista del Seminario dell’ONARMO: «Tra i proletari, i braccianti,

senza dubbio, costituiscono oggi la categoria che si trova nella più disumana inferi-

orità sociale. L’instabilità del lavoro, l’incertezza di trovarlo anche quando è richie-

sto, la retribuzione meschina svantaggiano in modo evidente nei suoi più fonda-

mentali diritti la personalità del bracciante […]. Oggi, per fortuna, tali “rimedi” si

sono già incominciati a prendere: vaste zone sono state scorporate a grandi lati-

fondi; casette modeste, ma comode, sono state costruite; corsi di istruzione ven-

gono impartiti per i braccianti stessi; numerosi cantieri di lavoro riducono, tempo-

raneamente almeno, la disoccupazione; in ogni zona della Puglia si sono costituite

le comunità braccianti, le quali, oltre al perseguimento di fini materiali, curano in

modo particolare l’impostazione cristiana dei problemi del mondo bracciantile. Il

terreno pare proprio preparato per l’azione del sacerdote: ma i sacerdoti che si

dedicano a questo campo d’apostolato in Puglia sono ancora pochi. Se giungiamo in

ritardo c’è la possibilità che questa grande forza ci sfugga di mano»87.

86

S. Palese (a cura di), Un vescovo meridionale, cit., pp. 129-130. 87

A. Bello, I braccianti di Puglia, Rivista dell’ONARMO, Collegio S. Cristina per la formazione dei cappellani del lavoro, numero unico, 1954, p. 16.

116

Terra di cultura, tradizioni e saggezza popolare

62. Passando a esaminare la cultura, la mentalità e i comportamenti della gente

salentina, don Tonino annotava che si trattava di «gente che affondava le radici in

remotissime civiltà italiche e greche, e che conservava sotto la scorza di una appar-

ente diffidenza i tesori delle successive sedimentazioni, dalle cui cripte affioravano

ogni tanto, come le monete messapiche dai sepolcri del suo sottosuolo, istinti di

forze primigenie e schegge di saggezze patriarcali. Una gente adusa al sacrificio e

alla durezza della vita, i cui silenzi non andavano interpretati come rassegnazione

alla forza del destino, né come allegorie di spinte regressive verso i grembi del

quieto vivere, ma come atteggiamento interiore proprio di chi ha già superato certi

stadi culturali su cui gli altri ancora si attardano, e in cuor suo se ne ride dei ricor-

renti deliri di onnipotenza umana. Una gente povera di denaro, ma ricca di sapi-

enza. Dimessa nel portamento, ma aristocratica nell’anima. Rude nel volto conta-

dino, ma ospitale e generosa. Con le mani sudate di fatica e di terra, ma linda nella

casa e nel cuore. Forse anche analfabeta, ma conoscitrice dei linguaggi arcani dello

spirito. Una gente “naturaliter religiosa”, che trovava simboli del suo affido alla

Provvidenza in due moduli dialettali molto frequenti: “fazza Diu” per l’accoglimento

delle disavventure, e “se vole Diu” per la consegna delle speranze»88.

Terra di bellezza incontaminata

63. Quasi facendo eco a queste parole di don Tonino, anche il filosofo Italo

Mancini, frequentatore assiduo e innamorato del Basso Salento, così scriveva agli

inizi degli anni ’80: «Terra del Salento, anche terra mia, e ti conosco palmo a palmo,

in cui mette radici l’irripetibile pianta della vita, della storia e della fede che cresce

a dismisura nei pavimenti annosi del Duomo di Otranto. Ci sono cose e luoghi che

mi alimentano spesso, con nostalgie improvvise e tenere rimembranze, la solitu-

dine soddisfatta: le bianche scogliere di Leuca, dove si placa l’incontro dei due mari;

le opalescenti sinuosità della Zinzulusa; gli asfalti rapidi, e vitali come il sangue delle

vene e delle arterie, dell’entroterra; i pesci rari del mercatino di Gallipoli eterna-

mente ripuliti dalle delicate purezze della fontana greca; le turgide vene di arcane

acque che serpeggiano nere tra gli scogli di Santa Cesarea; le memorie basiliane,

che s’abbracciano in continuità feconda con il trionfo del barocco non solo leccese,

e per nulla tracotante, proprio per l’incidenza dell’asciutta vena monastica, che

riemerge anche nelle forme attuali della vita religiosa e civile, profonda e sorve-

gliata, come è raro incontrare altrove (qui la categoria del meridionalismo, scoppia,

non basta, e fa cenno non solo all’autoctonia, ma al diversamente civile) – né posso 88

S. Palese (a cura di), Un vescovo meridionale, cit., pp. 130-131.

117

dimenticare i miei incontri di cultura e di fede ad Acquarica e Tricase, a Leuca,

costruiti da uno dei “miei” vescovi animosi, allora di Ugento, ora a Lecce metro-

polita reale di questa terra salentina, Michele Mincuzzi; e infine gli ulivi, gli ulivi, gli

ulivi, annosi o teneri, contorti o svelti, poveri o doviziosi, il cui verde onnipresente

anima le terre pietrose, completando la gamma di colori tipici di questa terra, vo-

glio dire l’azzurro quasi ininterrotto del cielo e dei mari e il rosso acceso dei tra-

monti»89.

CENTRO DEL MEDITERRANEO

Modernizzazione senza sviluppo

64. Gli anni seguenti produssero una serie di radicali cambiamenti in campo cul-

turale, sociale ed ecclesiale. Il ’68 mise in crisi le “grandi narrazioni” e, sul piano cul-

turale, diede il via a un nuovo modo di sentire che esaltava la libertà personale, la

creatività, l’utopia, si immergeva nel relativo e disdegnava il mortificante radica-

mento nel passato. Sul piano economico-sociale, si registrò il passaggio dal tempo

della “migrazione di massa” (anni ’50-’60) che aveva comportato l’abbandono pres-

soché completo dell’agricoltura, all’ultima fase dell’emigrazione (anni ’70-’80). Fu-

rono anni, questi, caratterizzati da un ampliamento della liquidità economica, rin-

veniente quasi principalmente dalla rimesse degli emigranti italiani nel Nord Italia,

in Svizzera, Germania, Belgio, Francia. A riprova della consistenza di questa dispon-

ibilità, proprio nello stesso periodo si sviluppò un sistema bancario salentino prati-

camente inesistente in precedenza. I depositi bancari diventarono elevati, fin quasi

ad essere tra i primi a livello nazionale. Le risorse economiche furono prevalen-

temente utilizzate nel settore delle costruzioni e dell’edilizia. Per converso, questo

orientamento dell’economia assestò un altro duro colpo all’occupazione agricola,

dopo quello degli anni sessanta. Oltre all’edilizia si affermò, in maniera propulsi-

va, un’economia industriale nei settori del calzaturiero, del tessile e dell’abbiglia-

mento. In questo campo, si registrarono fenomeni di “sovraoccupazione” nel sen-

so che, in certi periodi tra la fine degli anni ottanta e gli inizi degli anni novanta, si

faceva fatica a trovare operai (giovani, soprattutto donne) che andassero a lavo-

rare, seppure sottopagati, nelle decine di fabbriche del TAC. Tutto il territorio del

Sud Salento diventò una sorta di “fabbrica diffusa”: gli operai in fabbrica comple-

tavano i processi industriali che venivano iniziati nelle case e nelle strade dei pae-

si del Sud Salento. Si trattò di processi lavorativi nei quali vennero coinvolti quasi

89

I. Mancini, Salento e cristianesimo aperto, in G. Invitto, La verità liberante. Quattro preti e il Salento, Piero Manni, 1998, pp. 30-31.

118

tutti i membri della famiglia dalle donne ai bambini (spesso in nero e senza ga-

ranzie), mentre i mariti stavano all’estero. In qualche modo, si perpetuarono i

processi lavorativi arcaici, tipici della economia salentina e meridionale fino agli

anni del dopoguerra, dove si produceva solo con manodopera non specializzata,

ripetitiva, scarsamente remunerata e ricattabile, con grande rilevanza dell’unità

produttiva della famiglia. 65. Negli anni ’80, il Basso Salento si presentava come una realtà socio-eco-

nomica in fibrillazione, senza una strategia coerente con le sue reali condizioni

economiche. Come in tante aree del Mezzogiorno, anche nel Salento si realizzò una

modernizzazione senza sviluppo, una evoluzione tipica di società che si trovavano

catapultate improvvisamente in processi più grandi delle loro capacità di adegua-

mento economico e culturale; processi che furono assecondati, volenti o nolenti,

per non perdere il treno dello sviluppo, se così si può chiamare una propulsione e-

conomica solo esteriore e superficiale, che non incise in modo profondo e, tuttavia,

non recise le radici e non fece dimenticare le tradizioni proprie di questa terra90. In

questo convulso sviluppo, non mancarono fenomeni di illegalità con conseguenze

sulla qualità del lavoro degli operai e il ricorso al lavoro nero e irregolare.

Gli anni della crisi economica

66. A partire dalla metà degli anni ’90, cominciò ad evidenziarsi una significativa

contrazione dell’attività economica salentina, con l’affacciarsi dei mercati dell’est,

dove migrarono le aziende e i macchinari, per la nota convenienza del sistema fis-

cale e del costo del lavoro. Gradualmente si realizzò un progressivo smantel-

lamento del sistema industriale del TAC (Tessile Abbigliamento Calzaturiero), arri-

vato al suo massimo storico intorno al 2005: data in cui si può collocare la crisi –

anzi il collasso – del sistema produttivo salentino, anche se per due/tre anni ancora

si riuscì a schermare l’effetto della crisi con il consumo delle liquidità bancarie e dei

buoni postali. Il 2007 è stato l’anno in cui è iniziato a crescere in maniera significa-

90

Agli inizi degli anni ’80, mons. Salvatore Palese descriveva la situazione salentina con queste parole: «Il Salento di oggi è sempre meno contadino e va assumendo decisamente diverse proiezioni di sviluppo; perciò nuove connotazioni vanno caratterizzando la sua gente. Sembra necessario immettervi un fattore promozionale, essenzialmente umano, qual è la cultura, ad evitare il pericolo di trapiantarci in un futuro imposto dall’alto e dal di fuori, deserto di riferimenti e di valori propri. Recuperare la tradizione ci sembra impegno di servire l’uomo salentino e lavoro per la sua integrale promozione. Non si tratta di recupero materiale di forme passate, bensì di una riconsiderazione critica ossia di una riscoperta ravvivante che origini fresche energie e susciti immaginazioni antiche, per operare verso l’avvenire con identità propria e quindi libertà creativa» [S. Palese (a cura di), Il Basso Salento. Ricerche di storia sociale e religiosa, Congedo Editore, Galatina 1982, p. 9].

119

tiva, senza fermarsi più, il numero delle persone che vivono nel disagio alimentare.

Dal 2007 ad oggi, si è registrato in tutto il Salento il passaggio da un dato pressoché

fisiologico delle 12.000 unità che fanno ricorso alle Caritas e al volontariato alle at-

tuali 70.000. Intorno al 2010, vista la difficoltà del sistema delle imprese di pro-

durre occupazione, è ripresa l’emigrazione, soprattutto delle giovani generazioni.

Molti di loro sono costretti a ritornare per la difficoltà a integrarsi e a reggere agli

alti costi della vita. Un dato positivo dell’ultimo decennio è lo sviluppo del turismo,

che non è solo mare e sole, ma è anche cultura, archeologia, storia, tradizioni re-

ligiose, musicali e culinarie. Questo dato indica la linea progettuale che si dovrebbe

perseguire per un giusto sviluppo del territorio salentino, puntando su un “modello

di sviluppo lento”91 che valorizzi la bellezza naturale dell’ambiente, il turismo pen-

dolare e destagionalizzato tra mare ed entroterra, il paesaggio, l’artigianato, l’agri-

coltura biologica e di qualità. Occorre reinventare e riappropriarsi di un nuovo set-

tore produttivo: non più il TAC come Tessile Abbigliamento Calzaturiero, ma come

Turismo Ambiente Cultura. Questo tipo di sviluppo, che potrebbe portare un deciso

incremento dell’occupazione, potrà realizzarsi solo se si affermerà una cultura poli-

tica ed economica che metta al centro non solo il PIL, ma soprattutto il valore e il

benessere delle persone e la sostenibilità nel modo di procedere e di programmare

i processi economici e sociali.

Il tempo della globalizzazione

67. In definitiva, con l’avvento della globalizzazione la situazione è cambiata

radicalmente, anche se perdurano alcune caratteristiche sopra richiamate. La glob-

alizzazione ha spalancato nuovi orizzonti e ha riavvicinato mondi differenti per tra-

dizioni, usi e costumi e ha creato una rete di popoli e culture in una mescolanza che

tutto racchiude dentro l’uniforme mondo della comunicazione di massa attraverso

strumenti informatici ormai alla portata di tutti e sempre più sofisticati che, annul-

lando la distanza e accorciando i tempi, sono capaci di offrire ogni cosa in “tempo

reale”. Si è formata così l’idea che tutto si muove in un eterno presente dove il

tempo e lo spazio sono ormai ridotti e quasi annullati. Queste trasformazioni eco-

nomiche, sociali e culturali non sono ininfluenti per la comunità ecclesiale perché

costituiscono il nuovo ambito nel quale si muove la sua vita e la sua missione nel

mondo.

91

Cfr. F. Renzo, Slow Foot per uno sviluppo locale sostenibile del Basso Salento, Libellula Edizioni, Tricase, 2012.

120

Il Basso Salento, ponte tra Oriente e Occidente

68. In questo contesto, la famosa locuzione “de finibus terrae” affibbiata al

promontorio leucano non indica più il confine e il limite, ma la frontiera e il ponte.

Posto sul colle prospiciente il mare, il santuario mariano assomiglia a un “faro lumi-

noso” che getta la sua luce in tutto il Mediterraneo. È il messaggio lanciato da

Benedetto XVI durante la sua visita al santuario di Leuca. Queste le sue parole: «De

finibus terrae: il nome di questo luogo santo è molto bello e suggestivo, perché

riecheggia una delle ultime parole di Gesù ai suoi discepoli. Proteso tra l’Europa e il

Mediterraneo, tra l’Occidente e l’Oriente, esso ci ricorda che la Chiesa non ha con-

fini, è universale. E i confini geografici, culturali, etnici, addirittura i confini religiosi

per la Chiesa sono un invito all’evangelizzazione nella prospettiva della “comunione

delle diversità” […]. La Chiesa che è in Puglia possiede una spiccata vocazione ad

essere ponte tra popoli e culture. Questa terra e questo santuario sono in effetti un

“avamposto” in tale direzione»92.

Terra di frontiera

69. D’altra parte, è l’intera Regione Puglia ad essere diventata una terra di fron-

tiera, ricca di condizioni favorevoli allo sviluppo, all’incontro e allo scambio. La Pug-

lia rappresenta oggi una meta ambita da molti turisti e visitatori, che sempre più

spesso desiderano dimorarvi o considerano questa terra come un punto di riferi-

mento e un luogo da scoprire e da valorizzare. Terra di incrocio e crocevia di popoli

per la sua stessa collocazione geografica, la Puglia è sempre stata considerata terra

di approdo e di passaggio, di confine e di frontiera, un confine che non separa, ma

unisce93. La sua stessa composizione territoriale e le vicende storiche che l’hanno

riguardata ne hanno determinato la sua identità plurale che traspare perfino dal

suo nome, declinabile al singolare (Puglia) o al plurale (Puglie). A seconda del punto

di osservazione, la Puglia può essere considerata come la più settentrionale delle

regioni del Sud o anche come la più orientale delle regioni meridionali. Da sempre,

gli scambi culturali e commerciali con i paesi posti sull’altra sponda dell’Adriatico

hanno caratterizzato la sua composizione sociale e il suo sviluppo. La sua posizione

centrale nel mar Mediterraneo ne ha fatto, in questi anni, la porta dei flussi migra-

tori che dai paesi del Sud del mondo si sono diretti verso il Nord Europa. Oggi, la

92

Benedetto XVI, Omelia, cit., p. 22. 93

È il titolo di un mio articolo pubblicato in A. Staglianò (ed.), Cittadini del regno. Mediterraneo e interculturalità: chance per una fraternità tra i popoli. Atti del Convengo della Pontificia Facoltà teologica dell’Italia Meridionale, Catanzaro, 26-27 marzo 2007, Rubettino, Soveria Manelli (CZ) 2008, pp. 71-82.

121

Puglia non più terra di confine, ma centro del Mediterraneo94. A questa visione

fanno riferimento i vescovi pugliesi quando definiscono gli abitanti della Puglia “eu-

ropei del Mediterraneo”95.

Il Capo di Leuca: città diffusa e nuova evangelizzazione

70. In questo contesto, il Capo di Leuca ha assunto sempre più la forma di una

“città diffusa”96, una terra aperta a nuove opportunità, caratterizzata da forti con-

trasti e bisognosa di un rinnovato impegno di evangelizzazione. Non senza buone

ragioni, in una riunione congiunta del Consiglio presbiterale e del Consiglio pas-

torale diocesano (20 febbraio 2014), la nostra Chiesa locale è stata paragonata a

“un’oasi o a un piccolo orto” che conserva ancora un alone di cristianità, ma è or-

mai circondata da una vasta distesa desertica, sempre più dimentica della tradizi-

one ecclesiale e del riferimento alla trascendenza e per questo bisognosa di un

nuovo impegno di evangelizzazione. Senza cedere al pessimismo, questa nuova

situazione deve suscitare nelle comunità cristiane un nuovo investimento in campo

educativo e culturale e promuovere un cammino che sia il frutto di coinvolgimento,

partecipazione e discernimento comunitario.

Una terra tra due mari

71. Occorre ridisegnare l’identità e il destino del territorio salentino. In un mare

tra due terre (significato etimologico di “Mediterraneo”), il Basso Salento si pre-

senta come una terra tra due mari97, quasi un ponte che si protende nell’acqua per

raggiungere la sponda opposta annullando le distanze e consentendo il passaggio

da una terra all’altra senza soluzione di continuità. Una terra, dunque, dell’incontro

e dello scambio, del reciproco riconoscimento e del comune destino. Una terra in-

nervata dalle “Serre” allineate da Ovest verso Sud e convergenti verso la punta

meridionale del Capo di Leuca. Esse precipitano sul versante adriatico creando

94

«Oggi (noi pugliesi) non siamo più periferia come voleva il meridionalismo. Ora noi siamo frontiera, centro (…). Noi siamo nella guerra, nel magma, nel pieno degli eventi. Non siamo la periferia di un mondo perfetto (…). Oggi esistono tante frecce che vanno verso Sud, Nord, Est, Ovest e noi siamo al centro di questi movimenti, perché siamo al centro del Mediterraneo» R. Nigro, Il progresso non è nella velocità, intervista a Franco Cassano, in “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 6 Maggio 2001, p. 11. 95

Cfr. Conferenza episcopale pugliese, Cristiani nel mondo testimoni di speranza, cit., 10. «Possiamo

pertanto considerare quella del Mediterraneo una vera e propria opzione strategica per il Mezzogior-

no e per tutto il paese, inserito nel cammino europeo e aperto al mondo globalizzato», (Conferenza

episcopale italiana, Per un paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno, 7). 96

Cfr. V. Angiuli, Il Capo di Leuca, una città diffusa, Omelia nella festa di S. Vincenzo, 22 gennaio 2014. 97

Cfr. Gruppo di Azione Locale “Capo S. Maria di Leuca” (a cura di), Nella terra dei due mari. Paesaggi percepiti e paesaggi reali, AUS Comunicazione, Lecce 2009.

122

una costa dal fascino aspro e selvaggio, mentre degradano lentamente verso il

mare Jonio formando una costa prevalentemente bassa accompagnata da una suc-

cessione pressoché ininterrotta di dune sabbiose, risanate da lavori di bonifica e

diventate luoghi dove sono sorti rinomati centri balneari. Allineati nei piani di mi-

nore altitudine, i centri abitati sembrano quasi appoggiarsi lungo gli scoscesi dirupi

quasi a cercare un riparo e la materna protezione della terra, nascondendosi e ri-

parandosi dietro piccole alture ricoperte di alberi e arbusti. La natura carsica del

suolo, una volta ricca di falde acquifere, è abbellita da ulivi secolari dai contorti av-

volgimenti dei tronchi che sembrano disegnare la figura di uomini dalla schiena

curva per il pesante lavoro. Saldamente piantati nel terreno per le loro forti radici,

con la loro muta presenza raccontano il lento e secolare scorrere delle stagioni che

si ripetono nel loro ciclico avvicendarsi e nel calmo e monotono fluire del tempo

che, ritornando su se stesso, sembra quasi manifestare il volto misterioso e nas-

costo dell’eternità. I nodi dei tronchi celano nelle loro fessure i fatti e gli eventi

della storia e li conservano per il secolo che verrà, per un tempo che non è più

tempo e che, per un’ora, diventa perenne continuità. La viscida lucentezza dell’olio

non è solo sostentamento e condimento, merce di scambio e preziosa ricchezza,

ma è sacramento che unge il corpo e l’anima. In una sorta di frenetica creatività

che impegna l’artista a gareggiare con il Creatore, l’arte barocca ha cercato di mi-

mare la realtà per ripresentarla nelle volte e negli altari delle Chiese e negli archi-

travi delle case in forme altrettanto luminose e colorate.

Progresso o regresso?

72. La globalizzazione ha, in parte, modificato questo scenario e ha fatto emer-

gere nuovi problemi di fronte ai quali si presentano interrogativi che non possono

essere rimossi, ma esigono risposte sempre più ineludibili circa le condizioni attuali

e le prospettive future della società e del territorio salentino. Cosa rimane, oggi,

della sua bellezza? Il Basso Salento è ancora un giardino o è diventato una terra al-

terata, abbandonata, deturpata? Rimane una terra accogliente o si è trasformata in

una terra di passaggio per ombre umane venute dal mare, incamminate verso altri

mondi lontani? La gente avverte il silenzioso e lamentoso grido che sale dalle vis-

cere del suolo a implorare nuova purezza e antica fertilità? Ha ancora vivo il de-

siderio e la capacità di udire il gemito che viene da lontano, portato dall’eco del

vento, a ricordare il soave odore di profumi che sembrano essersi dileguati? Ri-

mane la disponibilità ad osservare, con apprensione e con rimpianto, le sofferenze

delle ondulate dune di sabbia sempre più corrose dalle forti correnti del mare che

erodono e ingoiano la terra già aggredita dalla colata incolore di cemento? Gli al-

123

beri d’ulivo, accampati come soldati senz’armi dentro i recinti dei terreni ricchi di

acqua, posti a sentinelle del territorio pianeggiante o lungo gli scoscesi dirupi delle

alture per abbellire le creste delle Serre e salutare i nuovi venuti, assomigliano

forse sempre più a “malati terminali” prossimi a scomparire? Sono stati sostituiti

con specchi metallici, allineati e immobili incuranti del vento che soffia, abilitati

solo a far brillare il suolo di luce riflessa dopo aver spazzato via il verde dell’erba e

delle piante? I rami d’ulivo, ondulanti per la forza del vento, fanno giungere, tra il

fruscìo delle foglie, la voce che parla di pace e invita a stringere le mani, libere da

inganni e traffici illeciti? Sono forse spuntate, quasi per incanto e per un tocco di

magia, costruzioni e abitazioni, come i funghi in un folto bosco, immersi tra le foglie

bagnate da una notte di pioggia? I recinti di pietre e i muri a secco segnano le linee

geometriche di una rete che unisce nel suo variegato dispiegarsi o servono solo a

dividere e separare gelosamente i confini che a nessuno è lecito valicare? La gente

del Salento conserva la sua antica “cultura di popolo” o è ancora pervasa da un

residuo di “cultura feudale”? È diventata forse un variegato mondo di solisti im-

mersi nella strenua difesa del “proprio particulare” o assomiglia a un insieme di co-

risti pronti a cantare, con timbri e voci diverse fuse nell’armonia dell’unico coro, la

bella canzone che infonde speranza e inneggia alla vita, alla terra, all’amore? Sa an-

cora esprimere la sua gioia di vivere e la sua accorata implorazione attraverso le

movenze di una danza intrisa d’amore e di speranza o anche il canto, la musica e la

danza sono asserviti a mode artistiche passeggere, a calcoli politici, a interessi

economici?

Nuovi e antichi

73. Per il Salento è venuto il tempo di fermarsi e riascoltare, con rinnovata at-

tenzione, l’accorata esortazione di Padre David Maria Turoldo che invita a risco-

prire l’orgoglio di essere “nuovi e antichi”:

Uomo che porti un volto di secoli:

quando una terra è intatta ancora

– almeno il lembo di terra che è tuo! –

quali le Doline al Porto di Tricase,

e tu puoi affacciarti alla grande

finestra sul mare, a Calino

– già nome che ti annoda alle origini –

e guardi alla sponda da dove

sulle onde ti giunge il saluto

della Madre della Luce: a Calino

124

nome della originaria Bellezza

salvatrice: alle spalle lascia

il folle paese, e con rostri e unghie

resisti alla seduzione di morte

che viene dal Nord, e con cedere, o Gente

alla ricchezza vampira!

Salva la terra che è tua, uomo

del Sud, la libera terra

austera e antica! E questa

cultura sia la placenta

della tua umanità più vera: qui

ove vita fiorisce, come

fra le rocce i germogli, e nessuno

qui è senza radici:

tutti orgogliosi d’essere

nuovi e antichi 98.

Capitolo terzo

Solo il mistero affascina

«La cosa più bella che possiamo sperimentare è il mistero;

è la fonte di ogni vera arte e di ogni vera scienza.

L’essere che non conosce questa emozione,

che è incapace di fermarsi per lo stupore

e restare avvolto dal timore reverenziale, è come un morto»

(Albert Einstein)

La sfida educativa

74. I cambiamenti sociali ed economici sopra ricordati si sommano con le tra-

sformazioni avvenute in campo culturale. Per questo, oggi, si parla di crisi come di

un fenomeno globale che ha investito ogni dimensione della vita umana. A ben ve-

dere, il concetto di crisi assume un diverso significato. Può indicare una situazione

di paralisi come quando ci si trova in mezzo a un guado; può voler dire una condi-

zione di involuzione e di arretramento, e richiamare una prospettiva di incertezza,

98

La poesia di David Maria Turoldo Nessuno è qui senza radici è citata in G. Invitto, La verità liberante, cit., pp. 38-39.

125

di smarrimento, di delusione, di frustrazione; può anche significare un momento di

passaggio, di cambiamento, di crescita99.

Non si possono certo negare alcuni fenomeni problematici presenti nella no-

stra società: l’offuscamento della speranza, la frantumazione della persona in una

molteplicità di esperienze, le trasformazioni riguardanti il senso e il valore

dell’autorità, la nuova sensibilità nel concepire e vivere la libertà personale, la so-

vrapposizione tra reale e virtuale, la tendenza al consumismo e all’individualismo.

In ambito familiare, la crisi tocca alcuni aspetti fondamentali: la difficoltà di vivere

il rapporto di coppia, i condizionamenti sociali e culturali nell’esercizio della pa-

ternità e della maternità, il diverso modo di considerare la condizione della don-

na, il difficile rapporto tra la dimensione affettiva e le regole di comportamento,

l’esplosione e l’eccitazione del desiderio e il problematico riferimento a un comu-

ne e condiviso indirizzo etico. In tal modo, esplodono alcune questioni educative:

la necessità di proporre regole di comportamento che indichino i limiti del-

l’esercizio della libertà personale, l’urgenza di un dialogo all’interno del nucleo

familiare, il prezzo da pagare per una vera crescita personale, la necessità di af-

frontare le difficoltà e i sacrifici insiti in ogni scelta di vita, il valore di trasformare

le sconfitte in acquisizioni positive.

Scorgere le “invocazioni” dell’uomo contemporaneo

75. In questo contesto di profondi cambiamenti, l’educazione, che è sempre

stata un’arte complessa, si presenta oggi particolarmente ardua. Occorre, però, evi-

tare di guardare con occhio nostalgico al passato e con un accentuato pessimismo

al tempo presente. Non bisogna caricare l’espressione tanto in voga di “emergenza

educativa” con toni pessimistici e allarmanti, ma valutare alcuni nodi problematici

come “invocazioni”, cogliendo positivamente gli spiragli di luce presenti nella socie-

tà contemporanea, considerandoli come aneliti a un rinnovamento: il rinnovato

“desiderio di Dio”, il bisogno di tenerezza, la “voglia di comunità”, la ricerca di sta-

bilità e di un fondamento solido mentre si vive dentro una dimensione liquida, la

riscoperta delle tradizioni in una società che sembra essere senza radici.

L’attuale situazione, caratterizzata da luci e ombre, chiede che si riconsiderino i

criteri educativi, si cerchino nuovi equilibri e significati e si confermi l’idea che l’in-

fluenza della famiglia è decisiva perché in essa la persona, fin dai suoi primi anni,

struttura la propria coscienza, forma il suo equilibrio, consolida le sue convinzioni

più profonde.

99

Cfr. A. Einstein, Il mondo come io lo vedo (1931), Edizione integrale, Newton Compton, Roma 2012.

126

Il punto di partenza: la fiducia nella vita

76. Ciò che è assolutamente necessario è compiere un esercizio di speranza100.

Non si può educare se manca un orizzonte di valori da promuovere e da conse-

gnare alle nuove generazioni. Ciò che blocca la trasmissione dei valori non è soltan-

to l’incoerenza pratica, la contraddizione tra il pensare e l’agire, che è un retaggio

della fragilità umana, ma la sfiducia nella possibilità di aderire alla verità della vita.

«Alla radice della crisi dell’educazione c’è infatti una crisi di fiducia nella vita»101.

Educare, invece, vuol dire guardare gli avvenimenti con realismo, stabilire un rap-

porto sereno col futuro, protendersi all’avvenire con una volontà di dare credito

alle risorse morali di cui l’uomo dispone, sostenere il suo intrinseco desiderio di

cercare e compiere il bene, aspirare a un mondo più giusto e più fraterno, aprirsi ai

fondamentali valori umani e cristiani che danno senso alla vita. Educare significa

avere fiducia nell’altro, considerando la sua persona come un mistero incommensu-

rabile.

L’educazione è un’arte difficile

77. L’educazione, arte delle arti, è sempre stata un’arte difficile. In campo educa-

tivo, non vi sono ricette prestabilite, ma orientamenti da verificare continuamente

nella concretezza della relazione interpersonale. In ogni tempo occorre confrontarsi

nuovamente sulle modalità più opportune per trasmettere il patrimonio di valori alle

nuove generazioni. Anche le più sofisticate teorie pedagogiche devono fare i conti

con la singolarità della persona e la dimensione di mistero in cui ogni uomo è immer-

so. Possono migliorare gli strumenti e le tecniche, ma il processo educativo è sempre

accompagnato da un’intrinseca complessità, perché legato alla specifica e intrasmis-

sibile esperienza che ciascuna persona compie nell’arco della sua esistenza102.

L’educazione fa riferimento a una dimensione esperienziale, tocca il vissuto più pro-

fondo della persona, si riferisce a processi di cambiamento e di trasformazione che

riguardano aspetti determinanti per lo sviluppo della persona.

100

«L’anima dell’educazione può essere solo una speranza affidabile» (Benedetto XVI, Lettera alla diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione). 101

Ivi. «A fondamento di tutto però deve esserci la fiducia» (R. Guardini, L’educazione, in Id., Etica, Morcelliana, Brescia 2001, p. 899); «Fiducia, fiducia nel mondo, – perché esiste quella persona – questo è l’elemento più intimo del rapporto educativo» (M. Buber, Discorsi sull’educazione, Armando, Milano 2009, p. 60). 102

Secondo Maritain «la cosa più importante nell’educazione non è un “affare” di educazione, e ancora meno di insegnamento (…). L’esperienza, che è un frutto incomunicabile della sofferenza e della memoria, e attraverso la quale si compie la formazione dell’uomo, non può essere insegnata in nessuna scuola e in nessun corso» (J. Maritain, Per una filosofia dell’educazione, La Scuola, Brescia 2001, pp. 86-87).

127

L’educazione è un’arte gioiosa e generativa

78. Nonostante la sua ineliminabile complessità, l’educazione è un’arte possibi-

le. Essa è inscritta come una dimensione essenziale del vivere umano. Nella stessa

idea di umanità è intrinsecamente presente la necessità di una paideia, di un’ac-

coglienza del nuovo e della sua crescita secondo valori che danno fondamento alla

vita. Per questo l’educazione va intesa come un’arte generativa. Si basa sulla con-

sapevolezza che la vita si conserva solo se la si trasmette e che la trasmissione ri-

guarda non contenuti astratti, ma la vita stessa. L’educazione è un processo vitale,

uno stimolo a creare qualcosa di nuovo, di buono e di bello103. Educare è vita che

genera vita. In questo senso «l’educazione è un’arte gioiosa, non può essere un la-

voro forzato. Nemmeno può essere motivata in se stessa da un fine di lucro, ma

soltanto dalla creazione armoniosa e felice il più possibile di una persona uma-

na»104. La gioia di vivere sprigiona una forza attrattiva che dona fiducia e speranza e

genera un desiderio di promuovere ogni espressione di amore per la vita.

La crescita integrale della persona

79. Molteplici sono le definizioni di educazione. Si parla di educazione come

“introduzione alla realtà totale”, di “procreazione continua”, di aiuto, sostegno e

guida ai “nuovi” da parte degli “adulti”, attraverso un processo per il quale i

“nuovi” si muovano sempre più consapevolmente verso la propria autonomia. Ogni

definizione risente del tempo e dell’ambiente in cui è stata elaborata, e testimonia

la difficoltà di definire in modo esaustivo il compito educativo; per questo, di solito,

la si descrive più volentieri esplicitandone i fini. Ad ogni modo, una vera azione

educativa deve tendere alla crescita integrale della persona. Nell’attuale situazione

culturale, questa finalità «è resa particolarmente difficile dalla separazione tra le

dimensioni costitutive della persona, in special modo la razionalità e l’affettività, la

corporeità e la spiritualità»105. Per questo occorre ribadire che «la vera formazione

consiste nello sviluppo armonico di tutte le capacità dell’uomo e della sua vocazione

personale, in accordo ai principi fondamentali del Vangelo e in considerazione del

suo fine ultimo, nonché del bene della collettività umana di cui l’uomo è membro e

nella quale è chiamato a dare il suo apporto con cristiana responsabilità»106.

103

«Fare il bene equivale perciò a una vera creazione» (R. Guardini, La coscienza, Morcelliana, Brescia 1977, p. 21). 104

C.M. Martini, Dio educa il suo popolo, 28; cfr. C. Ghidelli, L’educazione è un’arte gioiosa, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1989. 105

Conferenza episcopale italiana, Educare alla vita buona del Vangelo, 13. 106

Paolo VI, Discorso alla Federazione europea per l’educazione cattolica degli adulti, 3 maggio 1971.

128

La passione educativa

80. Più che programmazione, l’educazione è espressione di una passione. Si

educa perché si ama, non solo perché si assolve un compito. L’amore è l’energia

dell’educazione. San Giovanni Bosco soleva affermare che l’educazione è cosa del

cuore e che essa si realizza attraverso la testimonianza dell’educatore. È questo

l’aspetto richiamato da Benedetto XVI: «Specialmente quando si tratta di educare

alla fede, – egli scrive – è centrale la figura del testimone e il ruolo della testimo-

nianza. Il testimone di Cristo non trasmette semplicemente informazioni, ma è

coinvolto personalmente con la verità che propone e attraverso la coerenza della

propria vita diventa attendibile punto di riferimento. Egli non rimanda però a se

stesso, ma a Qualcuno che è infinitamente più grande di lui, di cui si è fidato ed ha

sperimentato l’affidabile bontà. L’autentico educatore cristiano è dunque un testi-

mone che trova il proprio modello in Gesù Cristo, il testimone del Padre che non

diceva nulla da se stesso, ma parlava così come il Padre gli aveva insegnato»107.

La proposta educativa del Concilio Vaticano II

81. Il Concilio Vaticano II ha delineato il grande progetto educativo della Chiesa

nel terzo millennio. Affascinato dalla forza della sua ragione, l’uomo ha creduto di

poter fare a meno della luce che viene dalla fede, fino al punto da ritenere che Dio

non sia più un problema e che la sua esistenza non interessi più. «Il Concilio ha

destato la gioia per Dio»108. Ed è questa gioia che occorre ridestare. La gioia fa sca-

turire il senso della festa, la speranza riaccende la vita e il senso del mistero risve-

glia il desiderio di bene. Si può, pertanto, leggere la riflessione conciliare nella

prospettiva di ricuperare il valore della gioia di vivere e riscoprire nuovamente il

senso del mistero109. Gioia, vita e mistero sono le parole più significative del Concilio

che devono essere riproposte agli uomini del nostro tempo. Ad essi, assetati di vita

e di gioia, bisogna mostrare che la vita è bella se si concepisce come mistero. In

questo senso è giusto sostenere che è proprio la luce della fede la sola possibilità

offerta all’uomo per squarciare il velo del mistero che lo circonda110.

107

Benedetto XVI, Discorso, Convegno della Diocesi di Roma, 11 giugno 2007. 108

W. Kasper, L’interpretazione e la ricezione del Concilio Vaticano II. Rinnovamento che scaturisce dall’origine, in “L’Odegitria. Bollettino della Diocesi di Bari-Bitonto”, 89, 2013, n. 3, pp. 331-346, qui pp. 344-345. 109

«La scomparsa del senso del mistero è forse l’esperienza più dilacerante dell’uomo con-temporaneo» (E. Baccarini, La persona e i suoi volti. Etica e antropologia, Anicia, Roma 2003

2, pp. 252-

253). «Il compito che attende la Chiesa in Europa è impegnativo e insieme esaltante. Esso consiste nel riscoprire il senso del “mistero”» (Giovanni Paolo II, Ecclesia in Europa, 69). 110

Cfr. Papa Francesco, Lumen fidei, 3-4.

129

La polisemia del termine mistero

82. Il Concilio Vaticano II ha fatto della categoria di mistero l’elemento fonda-

mentale della sua proposta di riforma teologica, liturgica e pastorale111. Il termine

mistero ha un valore polisemico perché non riguarda solo l’ambito gnoseologico,

ma comprende anche quello teologico, antropologico e cosmologico. Si riferisce,

cioè, a Dio, all’uomo e al mondo112. In questo senso, il mistero tocca la globalità

dell’esistenza. «Al di fuori del mistero, l’uomo diverrebbe enigma incomprensibile;

inserito in esso, invece, trova la possibilità di “spiegare” e “comprendere” la propria

esistenza e i misteri che l’accompagnano. Tale mistero rivelatore non affonda le ra-

dici al di là dell’esistenza personale, ma impone di riconoscere l’atto supremo della

libertà proprio nell’esistenza storica e terrena di Gesù di Nazareth»113. La bella e-

spressione, con cui si apre il cruciale n. 22 della Gaudium et spes, può essere consi-

derata una tra le più significative enunciazioni del Concilio, in un tempo, come il

nostro, nel quale la “questione antropologica” si è fatta sempre più acuta e proble-

matica.

Vita e mistero: categorie conciliari fondamentali

83. Il Concilio ha richiamato la relazione tra mistero di Dio e vita dell’uomo114;

un rapporto certamente complesso per le infinite suggestioni che i due soggetti ri-

chiamano. Comune a tutti gli uomini, però, è il desiderio che la vita sia davvero

qualcosa di meraviglioso e che, pur se attraversata da mille tensioni, consenta di

approdare alla realizzazione piena delle più intime e profonde aspirazioni umane. In

questo senso, la vita è portatrice di un mistero che si dipana progressivamente, an-

che se parte di esso rimane nascosto e sepolto nella profondità della persona. Non ci

si stancherà mai di ripetere che la vita è più grande di quello che ognuno riesce a ca-

pire e a sperimentare: in ogni persona c’è qualcosa che supera la comprensione che

egli ha di se stesso. Sulla scia della lezione conciliare, si può affermare che mistero e

vita si rapportano reciprocamente e che educare vuol dire far incontrare il mistero di

Dio con la vita dell’uomo. In quanto abitata dal mistero, la vita va intesa come un do-

111

Cfr. V. Angiuli, Educazione come mistagogia, cit., p. 80. 112

Cfr. G. Tanzella-Nitti, Mistero in G. Tanzella-Nitti-A. Strumia, Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede, Urbaniana University Press, vol. I, Città Nuova, Roma 2002, pp. 978-990. Cfr. V. Angiuli, Educazione come mistagogia, cit., pp. 31-34. 113

R. Fisichella, Identità dissolta. Il cristianesimo, lingua madre dell’Europa, Mondadori, Milano 2009,

pp. 90-91. 114

«Il concetto di mistero suppone due termini: Dio e l’uomo. Ma due termini che precisamente si congiungono attraverso un rapporto» (D. Barsotti, Il mistero della Passione - Morte - Risurrezione, “Rivista di Pastorale Liturgica”, 2, 1964, n. 3, 95-96).

130

no gratuito da accogliere e da valorizzare. La vita è il grembo del mistero e il mistero è

la culla della vita. Anzi, si può dire che la vita è mistero!

Dal mistero alla vita, dalla vita al mistero

84. Il termine mistero indica, dunque, la presenza e l’azione di Dio nella storia e

nella vita degli uomini. In questa prospettiva l’educazione «deve mirare alla perfezi-

one integrale della persona umana, al bene della comunità e di tutta la società

umana. Perciò è necessario coltivare lo spirito in modo che si sviluppino le facoltà

dell’ammirazione, dell’intuizione, della contemplazione, e si diventi capaci di formarsi

un giudizio personale e di coltivare il senso religioso, morale e sociale»115.

Una proposta significativa in tal senso è quella avanzata dalla Lettera ai cerca-

tori di Dio. Essa tiene presenti alcune domande dell’uomo e invita all’incontro con

Dio attraverso le diverse esperienze della vita quotidiana: la felicità e la sofferenza,

l’amore e i fallimenti, il lavoro e la festa, la giustizia e la pace. Anche il IV Convegno

di Verona ha preso in esame cinque aspetti dal forte spessore antropologico: la vita

affettiva, il lavoro e la festa, la fragilità umana, la tradizione, la cittadinanza. Si trat-

ta di un invito a scoprire la bellezza della vita percorrendo alcune strade intima-

mente connesse con la realtà quotidiana: la via della verità ossia la gioia del ricono-

scimento del senso ultimo delle cose e la meraviglia che suscita la scoperta della

profonda unità di tutto ciò che esiste; la via dell’amore, ovvero l’irresistibile deside-

rio di relazione e di unione con l’altro diverso da sé; la via dei valori (giustizia, pace,

solidarietà), vale a dire lo struggente anelito a un mondo rinnovato e riconciliato; la

via della debolezza, o per meglio dire l’accettazione consapevole del senso di cadu-

cità e di fragilità che fa capolino in ogni aspetto dell’esistenza116; la via del sacrificio

e della sofferenza, cioè il riconoscimento del dolore come un valore fondamentale

dell’esistenza umana117.

Educare alla bellezza del mistero di Cristo

85. In senso specifico, mistero indica l’avvenimento di Cristo118. Come è av-

venuto per i primi discepoli, anche nel nostro tempo il rapporto con il mistero di

115

Gaudium et spes, 59. 116

«Solo nella nostra debolezza siamo vulnerabili all’amore di Dio e alla sua potenza» (A. Louf, Sotto la guida dello Spirito, Qiqajon, Magnano (BI) 1990, p. 51). 117

Cfr. Giovanni Paolo II, Salvifici doloris; Benedetto XVI, Spe salvi, 39. 118

La rivelazione del mistero di Cristo «si sviluppa attorno a tre categorie-guida: la predestinazione, la ricapitolazione e la riconciliazione» (G. Tanzella-Nitti, Mistero, in G. Tanzella-Nitti-A. Strumia, Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede, cit., p. 982).

131

Cristo nasce e si sviluppa in senso attrattivo119. La sequela consiste nell’essere «af-

fascinati dalla persona di Gesù, interessati a lui e alla bellezza della sua proposta di

vita»120. Considerata in questa prospettiva, l’educazione non rappresenta solo un

aspetto o un settore della pastorale. Non si tratta, infatti, di far riferimento a una

pastorale dell’educazione, ma di conferire una maggiore consapevolezza educativa

a tutta la pastorale. È la linea indicata dal Concilio e, in modo particolare, dagli ul-

timi due Convegni nazionali della Chiesa italiana celebrati rispettivamente a Paler-

mo e a Verona. Proprio nel Convegno di Verona, Benedetto XVI ha parlato del-

l’impegno in campo educativo come della «questione fondamentale e decisiva»

dell’azione pastorale della Chiesa nel nostro tempo121.

La bella condotta di vita

86. In un testo magistrale della Gravissimum educationis, il Concilio ha sottoli-

neato la specificità dell’educazione cristiana122. Questa definizione fa leva sul fatto

che l’opera educativa non consiste solo nella comunicazione veritativa della fede,

ma anche in una testimonianza che tocca la quotidianità della vita.

La predicazione di Gesù aveva un effetto sorprendente per i suoi ascoltatori

non solo per la profondità della sua sapienza, ma soprattutto per il modo autorevo-

le con il quale egli annunciava la sua parola (cfr. Mc 1,29).

A questo modello si richiama la Prima Lettera di Pietro. Essa mette in guardia i

cristiani in diaspora, disseminati in mezzo a città e popoli non ancora evangelizzati,

di fronte a due rischi opposti, di assimilazione o di contrapposizione: di assimila-

zione per non saper discernere ciò che è bene da ciò che è male; di contrapposizio-

ne o di assoluta estraneità nei confronti del mondo. Al contrario, la lettera esorta a

vivere un’esistenza bella, a immagine di quella vissuta da Gesù, in modo che la dif-

ferenza di comportamento interroghi gli altri uomini e li induca a glorificare Dio. I

cristiani devono mantenere una condotta talmente affascinante da convincere gli

altri a cambiare idea nei loro confronti e a riconoscere la verità del Vangelo. La loro

identità di “stranieri e pellegrini” richiede che essi non si assimilino alla mentalità

del mondo, ma vivano secondo uno stile di fraternità e carità. L’insistenza della let-

tera sulla bella condotta e sulle belle opere sottolinea l’importanza di offrire non

119

Cfr. Papa Francesco, Evangelii gaudium, 14; V. Angiuli, Educazione come mistagogia, cit., pp. 106-109. 120

Conferenza episcopale italiana, Educare alla vita buona del Vangelo, 25. 121

Benedetto XVI, Discorso all’Assemblea del Convegno ecclesiale nazionale di Verona, in Conferenza episcopale italiana, Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo, Atti del IV Convegno Ecclesiale Nazionale (Verona 16-20 Ottobre), EDB, Bologna, 2008, p. 57. 122

Cfr. Gravissimum educationis, 2.

132

una prassi qualsiasi, ma una testimonianza eloquente che punti sulla bellezza etica

come manifestazione della bellezza evangelica. La strategia educativa proposta

dall’apostolo Pietro richiama esplicitamente l’estetica proposta da Gesù nel discor-

so sulla montagna (cfr. Mt 5,16).

Lo scritto A Diogneto, che ho posto come icona di questo documento, ripropo-

ne lo stesso modello di vita. Si tratta di un insegnamento molto attuale. Agli uomini

del nostro tempo occorre mostrare la bellezza della vita cristiana.

Lo stile della prossimità

87. L’educazione è anche una questione di stile. Occorre stare in mezzo alla

gente con lo stile di Gesù123, conferendo alla propria azione «il ritmo salutare della

prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel mede-

simo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana»124. L’educazione

cristiana, in ultima analisi, si qualifica come un processo performativo che aiuti ad

assumere il «pensiero di Cristo, a vedere la storia come lui, a giudicare la vita come

lui, a scegliere e ad amare come lui, a sperare come insegna lui, a vivere in lui la

comunione con il Padre e lo Spirito Santo»125.

Il metodo dell’accompagnamento

88. Lo stile educativo richiede che si faccia leva sul metodo dell’accompa-

gnamento126. Ciò esige che ci siano educatori all’altezza di questo compito così deli-

cato. Riconoscendo la novità dell’attuale clima culturale, essi devono essere perso-

nalmente coinvolti nel processo della formazione. Il rapporto educativo non è

unidirezionale, ma circolare e interattivo. L’educatore non è soltanto colui che edu-

ca, ma è anche colui che, mentre forma gli altri, forma se stesso127. In questo senso,

una priorità riguarda la necessità di «formare gli educatori»128.

Il metodo mistagogico

89. Il modello dell’accompagnamento richiama la metodologia classica della mi-

stagogia. Ciò «significa essenzialmente due cose: la necessaria progressività

dell’esperienza formativa in cui interviene tutta la comunità ed una rinnovata valo-

123

Cfr. V. Angiuli, Tra la gente con lo stile di Gesù, in “Presbyteri”, 46, 2012, pp. 267-278. 124

Papa Francesco, Evangelii gaudium, 169. 125

Conferenza episcopale italiana, Il Rinnovamento della catechesi, 38. 126

Cfr. Papa Francesco, Evangelii gaudium, 169. 127

Cfr. G. Savagnone, Maestri di umanità alla scuola di Cristo. Per una pastorale che educhi gli educatori, Cittadella Editrice, Assisi 2010. 128

Conferenza episcopale italiana, Educare alla vita buona del Vangelo, 30.

133

rizzazione dei segni liturgici dell’iniziazione cristiana»129. L’educazione deve intro-

durre nel mistero in modo discreto e sapiente, nella consapevolezza che è il mistero

a educare al mistero. L’educatore ha il compito di mettersi a servizio dell’opera del-

la grazia «accompagnando la sua maturazione con discernimento e competenza,

con cura e materna sollecitudine. Accompagnare ciò che nasce e germoglia vuol di-

re discernere le aspirazioni, pesare le cose, prendere il tempo necessario per lo svi-

luppo, accogliere le domande, lanciare progetti contando su fattori che non sono

tutti sotto il controllo umano, ma facendo credito e confidando su una forza ester-

na che scende all’alto»130.

Educare alla bellezza della liturgia

90. «La Chiesa evangelizza e si evangelizza con la bellezza della liturgia»131. Essa

è dono di Dio e risposta dell’uomo, riunione della comunità e invio nel mondo,

ascolto della Parola e testimonianza della vita. La liturgia è la grande idea proget-

tuale del cristianesimo, un orizzonte di valori che, per la sua stessa forza intrinseca,

è capace di generare un’arte educativa dando forma concreta alla sua visione pro-

gettuale. In tal modo, la liturgia diventa il punto fermo che dà senso a tutto, il prin-

cipio architettonico che dà forma e armonia all’insieme, il perno strutturale che dà

stabilità e, nello stesso tempo, dinamicità ai singoli interventi, il centro dinamico

che rende possibile il superamento della frammentazione e l’individuazione di una

sintesi a livello personale e comunitario. Mantenendo l’unità tra traditio, receptio,

redditio, la liturgia si presenta come una grande scuola di vita cristiana. Per questo

occorre non solo un’educazione alla liturgia, ma un’educazione a partire dalla litur-

gia per scoprire il suo significato antropologico. In questa prospettiva, bisognerà

intendere la liturgia come opus Dei e opus Ecclesiae, memoriale e ripresentazione

del mistero, actuosa participatio e unità tra lex orandi, lex credendi, lex agendi.

Il giorno del Signore

91. Occorrerà valorizzare il giorno del Signore in quanto dono (“il giorno fatto

dal Signore”) che soddisfa il bisogno di contatto con l’assoluto e diventa comanda-

mento che dà senso alla vita (“sine dominico non possumus”). La liturgia domenica-

le ha una forte valenza educativa in riferimento a quei valori umani fondamentali

che, nella nostra società contemporanea caratterizzata dalla frenesia del movimen-

to e del cambiamento, rischiano di essere dimenticanti: il valore del riunirsi e dello

129

Papa Francesco, Evangelii gaudium, 166. 130

V. Angiuli, Educazione come mistagogia, cit., p. 113. 131

Papa Francesco, Evangelii gaudium, 24.

134

stare insieme, l’educazione ai segni e ai simboli, la riscoperta del silenzio, l’esercizio

dell’ascolto, l’esperienza dell’adorazione, la forza liberatrice della preghiera comu-

ne, la gioia del canto corale ed assembleare, la percezione del Totalmente Altro.

Le tre funzioni della Parola di Dio

92. Bisognerà anche evidenziare la funzione narrativa, comunicativa e perfor-

mativa della Parola di Dio proclamata nella liturgia eucaristica. In una società

dell’immagine e del virtuale, l’ascolto assiduo e comunitario della Parola di Dio di-

venta un salutare antidoto a una fede emozionale e superficiale e una possibilità

reale per plasmare cristiani adulti nella fede. L’esercizio di un ascolto meditativo e

di un confronto tra la memoria degli eventi e l’impegno nella storia costituirà una

forza per formare ed educare la comunità cristiana a saper interpretare le sfide del

tempo presente e ad offrire quelle risposte che l’uomo di oggi si attende. La dimen-

sione narrativa, infatti, tende a far interagire gli eventi salvifici del passato con i

nuovi scenari e contesti culturali; la funzione comunicativa apre il cuore all’intelli-

genza delle Scritture e prepara all’accoglienza del dono della salvezza; l’azione per-

formativa agisce come forza trasformante dei cuori e della vita.

Educare alla bellezza delle età della vita

93. La presenza del mistero si coglie non solo attraverso l’azione liturgica, ma

anche attraverso gli avvenimenti e le molteplici relazioni interpersonali che intes-

sono la vita quotidiana. Sotto questo profilo, si tratta di aiutare a scoprire il valore

delle differenti età della vita132. Non c’è una stagione più significativa di un’altra.

Ogni età ha la sua particolare bellezza che va colta e valorizzata. È questo il segreto

di una vita eticamente compiuta, affrancata dall’ansia del cambiamento, libera di

dedicarsi al presente con la memoria grata per il tempo trascorso e con la fiducia

per quanto accadrà in futuro. L’uomo moderno, invece, sembra essere affetto dalla

“sindrome di Peter Pan”133, una condizione psicologica che ostacola il percorso

verso la piena maturità: infatti privilegia strade facili, apparentemente spianate, ma

sicuramente poco gratificanti e prive di quegli stimoli che solo una vita da adulti

può offrire. Oggi sembra più gratificante ascoltare l’eterno fanciullino che è dentro

ogni uomo, spensierato, attraente, affascinante, immune dai legami, apparente-

mente sereno, ma profondamente immaturo e incapace di costruire una relazione

stabile. La persona succube della “sindrome di Peter Pan” è fortemente egocen-

132

Cfr. R. Guardini Le età della vita. Loro significato educativo e morale, Vita e Pensiero 2003; P. Evdo-

kimov, Le età della vita spirituale, EDB, Bologna 2009; C.M. Martini, Le età della vita, Mondadori 2010. 133

Cfr. A. Ferrazzani, Sindrome di Peter Pan, Edimond, Città di Castello 2003.

135

trica, imprevedibile, misteriosa, sfuggente, desiderosa di primeggiare. Rifiuta cate-

goricamente il suo ruolo di adulto. Posta di fronte ai problemi concreti, trova il mo-

do di sottrarsi prontamente e rinuncia ad affrontare quelle tappe significative della

vita che, seppur rischiose e avverse, risultano senz’altro necessarie per confrontarsi

col mondo e raggiungere la piena realizzazione di sé.

La dimensione sponsale della vita cristiana

94. L’azione educativa deve anche aiutare a comprendere che ogni vocazione è

dono e contiene una specifica promessa di felicità. Gli stati di vita differiscono nella

forma, ma sono modellati dall’unico amore nuziale: quello di Cristo sposo (cfr. Mt 9,

15; 25,1-12) verso la Chiesa sposa (cfr. Ef 5,25-33)134. L’idea di un rapporto sponsale

viene presentata nella Bibbia come possibilità aperta a tutti, secondo una concezione

nuziale della vita vissuta sia a livello ecclesiale che individuale. Tutta la vita cristiana

esprime l’amore sponsale di Cristo e della Chiesa135. La decisione di vivere questa di-

mensione sponsale rende la vita libera e bella: libera perché non governata dagli i-

stinti; bella perché rende capaci di amare con tutta la propria persona.

Educare alla bellezza degli stati di vita

95. La nuzialità si esprime come dono totale e sincero di sé e può essere vissuta

nei diversi stati di vita: il matrimonio, la vedovanza, la vita consacrata, il sacerdozio

ministeriale.

Il matrimonio cristiano è una chiamata a testimoniare a livello affettivo ed ef-

fettivo l’amore di Cristo e della Chiesa, in una relazione di fecondità e generosa

apertura alla vita. Così la famiglia diventa scuola di fede e luogo dove nascono au-

tentiche vocazioni cristiane.

I consacrati per il Regno sono uomini e donne che attraverso il dono della ver-

ginità e del celibato offrono la loro persona a Cristo, a servizio dell’umanità, gene-

rando una grande e misteriosa fecondità spirituale ed una forte testimonianza

nell’annuncio di Cristo. La professione che i consacrati fanno dei consigli evangelici

scaturisce da una profonda grazia di intimità con il Signore e li pone quale segno e

profezia del mondo136.

134

Cfr. G. Biffi, Canto nuziale, Jaca Book, Milano 1999; F. Pilloni (a cura di), «Ecco la dimora di Dio con gli uomini (Ap 21, 3)», Effatà Editrice, Cantalupa (TO) 2008; Id., Conformati a Cristo Sposo della Chiesa, Effatà Editrice, Cantalupa (TO) 2009. 135

Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1617. 136

Cfr. Giovanni Paolo II, Vita consecrata, 15-16.

136

I ministri ordinati sono uomini che si uniscono in modo particolare a Cristo, es-

sendo prolungamento della sua presenza, e diventano strumenti della sua miseri-

cordia e dispensatori della sua grazia attraverso i sacramenti della riconciliazione e

dell’eucaristia. Essi agiscono in persona Christi capitis, rappresentano l’immagine

di Cristo sposo e, con la loro vita e il loro ministero, testimoniano il suo amore

sponsale137.

In un mondo edonista e relativista che ha perso il senso della bellezza, della ca-

stità e della verginità, il celibato diventa espressione di un dono escatologico per

questo mondo e un segno urgente, necessario e forte che tutto passa e solo Dio ri-

mane.

Educare alla bellezza delle virtù

96. L’opera educativa, inoltre, deve far scoprire il fascino delle virtù per ras-

somigliare a Cristo, modello di ogni virtù138. L’etica cristiana condivide l’idea che la

virtù è una disposizione stabile dell’anima a compiere il bene139, ma sottolinea an-

che che ogni atteggiamento virtuoso deve essere sostenuto dalla carità che è la

virtù suprema140. In linea con l’insegnamento di sant’Agostino si deve dire che «la

virtù è l’“ordine dell’amore” (ordo amoris). Vivere secondo la carità significa vive-

re secondo l’ordine dell’amore, il che vuol dire vivere rispettando l’ordine

dell’essere»141.

La carità non annulla, ma sublima ogni atto buono. Le virtù umane e quelle cri-

stiane, infatti, «non appartengono ad ambiti separati. Gli atteggiamenti virtuosi del-

la vita crescono insieme, contribuiscono a far maturare la persona e a svilupparne

la libertà, determinano la sua capacità di abitare la terra, di lavorare, di gioire e

amare, ne assecondano l’anelito a raggiungere la somiglianza con il sommo bene,

che è Dio amore»142.

In un contesto culturale che esalta la sfera della corporeità, della sensibilità,

dell’affettività, del sentimento bisogna disegnare un percorso formativo che pro-

ponga una disciplina degli affetti. Educare vuol dire orientare l’affettività nella pro-

spettiva del potenziamento del desiderio, più che nella linea del soddisfacimento

dei bisogni. «In un tempo che ha visto spegnersi i grandi slanci ideali, obiettivo fon-

137

Cfr. Id., Pastores dabo vobis, 22. 138

Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologica, I-II, q. 108, art. 1. 139

Cfr. R. Guardini, Virtù, Morcelliana, Brescia 1972. 140

Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologica, II-II, q. 30, art. 4. 141

A. Da Re, Filosofia morale. Storia, teorie, argomenti, Mondadori, Milano 2010. 142

Conferenza episcopale italiana, Educare alla vita buona del Vangelo, 15.

137

damentale dell’educare dovrebbe essere quello di creare le condizioni perché rina-

scano le virtù che possono motivare i giovani, ridestando esigenze ed energie, da

troppo tempo sopite e misconosciute»143.

Capitolo quarto

Mettere le ali alla vita

«Come un’aquila che veglia la sua nidiata,

che vola sopra i suoi nati,

egli spiegò le ali e lo prese,

lo sollevò sulle sue ali»

(Dt 32,11)

L’immagine dell’aquila

97. L’espressione del libro del Deuteronomio sopra richiamata disegna un’im-

magine significativa dell’opera educativa. Per il suo librarsi in cielo fino ad altezze

inaccessibili, l’aquila è simbolo del movimento ascensionale, dalla terra al cielo, dal

mondo materiale al mondo spirituale. Inquilina del cielo, l’aquila sa anche tornare

immediatamente in picchiata verso terra. Ama la libertà, non teme la solitudine,

cerca le vette più alte per vedere più lontano e lasciarsi accarezzare dal sole.

L’aquila porta i suoi aquilotti sopra le sue ali per difenderli dai nemici e insegnare

loro a volare. Le ali d’aquila simboleggiano la tenerezza materna, la potenza del

volare alto, il bisogno di sconfiggere la mediocrità e i sogni a basso profilo, il de-

siderio di osare e di affrontare mete apparentemente difficili. In realtà, esse sem-

brano impervie perché non si osa abbastanza. L’esercizio fedele e costante della

preghiera, del silenzio, della riflessione riesce a sollevare l’uomo e a portarlo verso

quelle vette che prima gli sembravano proibite. È questa la preghiera di santa

Teresa di Lisieux a conclusione della sua dottrina sulla piccola via: «Un giorno, oso

sperarlo, Aquila dorata, verrai in cerca del tuo uccellino, e risalendo con lui al foco-

lare dell’Amore lo immergerai per l’eternità nell’abisso ardente di quell’amore al

quale egli si è offerto come vittima»144.

143

G. Savagnone, Educare oggi alle virtù, Elledici, Leumann (TO) 2011, p. 106. 144

Teresa di Lisieux, Gli scritti, OCD, Roma 2006, p. 244.

138

Su ali d’aquila

98. La Scrittura utilizza l’immagine dell’aquila per presentare Dio come il grande

educatore. Nel libro dell’Esodo l’immagine fa riferimento alla liberazione dall’Egitto

(cfr. Es 19,3-5). Nel libro del Deuteronomio la metafora dell’aquila, che insegna ai

suoi piccoli a volare, manifesta la pedagogia di Dio: attraverso il cammino faticoso,

ma sorretto dalla sua presenza provvidente, Dio insegna al suo popolo un grande

ideale di vita. Così Israele può volare libero verso la sorgente del bene. Dio stesso

gli infonde speranza e gli ridà vigore (cfr. Is 40,31) dotandolo delle ali della grande

aquila per compiere il suo volo (cfr. Ap 12,14). Il punto centrale della pedagogia di

Dio è la cura dell’uomo. I verbi richiamati nel brano del Deuteronomio (custodire,

allevare, vegliare, guidare, nutrire) indicano la sua attenzione amorosa e concreta.

L’educazione compiuta da Dio «comporta dei momenti di rottura col passato

(l’uscita dalla terra deserta, dalla landa di ululati solitari); si compie attraverso una

crescita progressiva, propiziata da gesti di attenzione e di amore (lo educò, ne ebbe

cura, lo custodì); comporta una “partnership” e una elevazione profonda dello

spirito (lo sollevò sulle sue ali); esige una fiducia assoluta e incondizionata (il Si-

gnore lo guidò da solo, non c’era con lui alcun Dio straniero)»145.

Dio educa il suo popolo

99. La convinzione biblica che Dio è il grande educatore si fonda sulla certezza

che la sua azione educativa è rispettosa della libertà dell’uomo. Dio educa met-

tendo in campo un duplice movimento: dona all’uomo un raggio di luce affinché

egli sia aiutato a vedere; si ritira affinché l’uomo possa esprimere se stesso libera-

mente. La cura e la vicinanza di Dio si coniugano con la necessaria distanza per las-

ciare all’uomo lo spazio della sua azione. Questa visione dell’educazione «è di fatto

molto vicina a una sana comprensione “laica” dell’educare, intesa nei suoi aspetti

positivi, e cioè nella percezione dell’importanza della libertà, nel sommo rispetto

per chi è educato, nella rinuncia a ogni manipolazione. Infatti il vero senso della lib-

ertà presuppone che si sappia “per che cosa” si è liberi; il rispetto per l’educando

non viene dato con un atto di fiducia cieco, ma confidando nel “maestro interiore”,

che muove e attira ciascuno; ogni manipolazione educativa viene esclusa dalla

certezza che è nel santuario della coscienza, nel “cuore”, che ciascuno assume le

decisioni definitive. Mettendo al centro l’azione di Dio si pone in più chiara luce

l’attività sia dell’educatore che del soggetto da educare: l’educando viene stimolato

145

C.M. Martini, Dio educa il suo popolo, 6.

139

a collaborare con la forza interiore che è in lui, di cui la comunità educante è al-

leata»146.

La pedagogia della Trinità

100. L’educazione compiuta da Dio nella storia della salvezza costituisce un pe-

renne modello educativo147. Secondo la felice intuizione di san Giovanni Bosco,

l’educazione «è cosa del cuore, e Dio solo ne è il padrone, e noi non potremo riuscire

a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l’arte, e non ce ne mette in mano le chiavi»148.

In modo più specifico, si dovrebbe dire che la Trinità è la fonte e il prototipo

dell’opera educativa149. La pedagogia del Padre è un mistero di accondiscendenza di-

vina. Egli trae a sé il popolo e lo educa amorevolmente con parole e opere prodigiose

in una progressiva rivelazione della sua infinita misericordia. La pedagogia del Figlio si

manifesta attraverso l’esemplarità della sua vita. Il suo modo di agire rivela l’amore

del Padre e propone un modello concreto di vita bella. La pedagogia dello Spirito

consente al discepolo di Gesù di pervenire «allo stato di uomo perfetto, nella misura

che conviene alla piena maturità di Cristo» (Ef 4,13)150.

Famiglia, parrocchia e scuola: principali soggetti educativi

101. A questo modello devono ispirarsi tutti gli educatori e, in particolar modo,

la famiglia, la parrocchia e la scuola. Nonostante le criticità presenti nel nostro

tempo, questi tre soggetti rimangono punti di riferimento imprescindibili in campo

educativo151. Essi dovrebbero perseguire un fine comune, pur nella specificità dei

loro rispettivi compiti: mettere le ali alla vita. Con questa espressione si vuole sot-

tolineare che l’educatore deve accompagnare i giovani a scoprire i desideri pro-

fondi nascosti in ognuno di loro, valorizzando le doti e le caratteristiche personali e

orientandole alla scoperta del vero bene. L’educatore deve fare sentire l’intima

vicinanza, la tenerezza e la cura perché l’educando si consideri portatore di grandi

desideri e sia capace di volgere lo sguardo verso l’alto per sfidare la mediocrità e

osare la speranza. La famiglia e la parrocchia hanno il compito di far percepire la

vicinanza e la bellezza del mistero di Dio. La scuola, da parte sua, è chiamata a man-

146

Ivi. 147

Cfr. ivi, 6-21. 148

San Giovanni Bosco, Epistolario, Torino 1959, 4, 209. 149

Cfr. Conferenza episcopale italiana, Educare alla vita buona del Vangelo, 25. 150

Cfr. Congregazione del clero, Direttorio generale della catechesi, 139-142. 151

Cfr. V. Angiuli, Lo educò e ne ebbe cura, in “Bollettino diocesano S. Maria de finibus terrae”, 74, 2011, 523-532.

140

tenere «aperto il dialogo con gli altri soggetti educativi – in primo luogo la famiglia

– con i quali è chiamata a perseguire obiettivi convergenti.

La famiglia secondo il Concilio Vaticano II

102. Il Concilio Vaticano II considera la famiglia un modo di essere Chiesa (forma

Ecclesiae), una Chiesa in miniatura, una piccola Chiesa (parva Ecclesia), una Chiesa

domestica (domus Ecclesiae). Questa connotazione “ecclesiale” della famiglia è

molto più di una semplice immagine e rappresenta un vero e proprio “luogo teolo-

gico”, un ambito concreto in cui si attua il mistero della salvezza. La famiglia non

rappresenta tutto il mistero della Chiesa, ma solo un aspetto. Per questo è necessa-

rio che sia intimamente unita alla comunità parrocchiale e alla Chiesa locale e uni-

versale. Il rapporto tra famiglia e comunità cristiana non può essere di estraneità, di

delega o di autosufficienza, ma di circolarità dinamica: la famiglia deve sentirsi

strutturalmente legata alla comunità parrocchiale e questa deve necessariamente

essere attenta a sviluppare il ministero proprio della famiglia; la parrocchia deve

valorizzare la famiglia come l’ambito ecclesiale privilegiato e insostituibile per

l’educazione cristiana, la famiglia deve scoprire la sua costitutiva funzione ecclesia-

le e ministeriale evitando ogni forma di delega e disimpegno.

La famiglia, icona del mistero trinitario

103. La famiglia, infatti, è l’ambiente educativo più appropriato per la proposta

valoriale e la trasmissione della fede in quanto è icona del mistero trinitario già nel-

la sua costituzione naturale152. L’amore e la relazione tra l’uomo e la donna sono

valori sanciti dalla volontà creatrice di Dio ed inscritti come elementi costitutivi del-

la loro relazione interpersonale. La grazia sacramentale suggella il patto coniugale,

lo rende immagine del rapporto tra Cristo e la Chiesa conferendo ai coniugi il cari-

sma dell’educazione, ossia una speciale capacità di essere la prima scuola di vita, di

preghiera e di introduzione all’esperienza della fede. Questa missione costitutiva

della famiglia potrà realizzarsi se saranno rispettate alcune condizioni. I genitori de-

vono vivere la grazia sacramentale ricevuta con la celebrazione del loro matrimo-

nio. Per loro si deve applicare lo stesso principio che vale per ogni cristiano: la gra-

zia sacramentale fonda e sostiene la specifica vocazione di ogni credente in Cristo.

Occorre, poi, che i coniugi riconoscano il dovere di trasmettere la fede ai loro figli

facendo percepire che la vita è un bene assoluto e incommensurabile e infondendo

loro fiducia e speranza.

152

Cfr. A. Panzetta, La famiglia icona del mistero. L’illuminazione reciproca tra la realtà familiare e il mistero di Dio, (= Quaderni della Rivista di Scienza Religiose, 7), Edizioni VivereIn, Roma-Monopoli 2005.

141

La famiglia, Chiesa domestica

104. In tal modo, la famiglia diventa la Chiesa domestica, luogo in cui si com-

prende il valore della vita, si sperimenta il mondo degli affetti, si sviluppano le rela-

zioni interpersonali, si promuove il processo di crescita e di maturazione personale,

si realizza la trasmissione della fede. Per il Concilio Vaticano II, gli elementi che fan-

no della famiglia cristiana una Chiesa domestica sono i seguenti: il sacramento del

matrimonio come segno e partecipazione del mistero della Chiesa; l’amore mutuo

degli sposi e la cooperazione dei membri della famiglia come traduzione del co-

mandamento dell’amore che Gesù presenta come segno di riconoscimento della sua

presenza viva; l’amore fecondo degli sposi aperto all’accoglienza dei figli come

segno della fecondità della Chiesa che continuamente genera nuovi figli di Dio con

il battesimo; l’educazione cristiana dei figli da parte dei genitori come segno e

strumento della maternità della Chiesa, che non solo genera i figli di Dio nel batte-

simo ma li educa con la catechesi, la liturgia, la carità; l’educazione civile dei figli da

parte dei genitori come segno e strumento del contributo di promozione umana che

la missione della Chiesa offre al mondo; le situazioni di primo annuncio e di perse-

cuzione, situazioni nelle quali la famiglia diventa il luogo privilegiato, ma non esclu-

sivo dell’esperienza ecclesiale153.

La famiglia, sposa di Cristo

105. La famiglia cristiana ha una fondamentale dimensione sponsale154. L’amore

sponsale di Dio per l’umanità e l’amore di Cristo per la Chiesa rivive mediante il cos-

tituirsi delle coppie e delle famiglie cristiane. Ciascuna di esse è sposa prediletta e

spazio vitale della nuzialità di Cristo, chiamata a «custodire, rivelare, comunicare

l’amore, quale riflesso vivo e reale partecipazione dell’amore di Cristo per la Chiesa

sua sposa»155. Resa bella da Cristo sposo (cfr. Ef 5,26-27), la famiglia cristiana avvia

la promozione umana della società, consente alla città secolarizzata di riscoprire

l’incredibile simpatia di Dio, «vive l’accoglienza, il rispetto, il servizio verso ogni

uomo [...] e promuove un’autentica comunità di persone, fondata e cementata

dall’interiore comunità di amore»156.

153

Per questi aspetti cfr. Lumen Gentium, 11; Gaudium et spes, 48; Apostolicam actuositatem, 11; Gravissimum educationis, 3 e 39. Il magistero successivo ha ripreso e approfondito questi spunti conciliari: cfr. Paolo VI, Evangelii nuntiandi 71; Giovanni Paolo II, Familiaris consortio 21, 38, 49, 52, 86; Catechismo della Chiesa Cattolica, 1655-1658; 2204. 154

Cfr. Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, 86. 155

Ivi, 17. 156

Ivi, 64; cfr. Padre Enrico Mauri, Il grande sacramento: note di spiritualità coniugale (a cura di G. Bertella), Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1998.

142

La grazia del sacramento del matrimonio

106. I coniugi sono voce e gesto di Cristo sposo. In forza del sacramento del

matrimonio, gli sposi rappresentano realmente il rapporto stesso di Cristo con la Chi-

esa157. Cristo che «ha chiamato gli sposi al matrimonio, continua a chiamarli nel

matrimonio»158 a vivere le esigenze concrete dell’amore sponsale dentro e attraverso

i fatti, i problemi, le difficoltà, gli avvenimenti di tutti i giorni. Nella loro relazione, i

coniugi lasciano trasparire l’amore che li spinge a educare. Abbandonando la cultura

dell’orgoglio e del desiderio egoistico, essi sono chiamati a vivere la logica della gra-

tuità e dell’amore crocifisso, a proclamare ogni giorno le premure sponsali di Cristo, a

rivivere l’amore con la stessa intensità di Gesù e a seguirlo sulle strade della santità,

sostenuti dall’Eucaristia, dalla riconciliazione, dalla preghiera. Camminando secondo

lo Spirito (cfr. Gal 5,25), i loro gesti di amore diventano spazio per le effusioni di

amore dello Spirito Santo, e sono animati da oblatività e da gratuità.

107. Dalla considerazione che la famiglia è mistero, Chiesa domestica e sposa di

Cristo deriva la riscoperta di alcuni impegni educativi: custodire l’amore e vivere la

spiritualità delle relazioni, dell’ethos del dono che si consuma sino alla fine; cogliere

la rivelazione del “mistero grande” nella simpatia e nella dolcezza della famiglia,

sposa innamorata; riscoprire la “sponsalità” come dimensione fondamentale del-

l’esistenza cristiana, considerando realmente la famiglia come risorsa per rigener-

are il tessuto cristiano della comunità ecclesiale; dare forma concreta a una “scuola

di umanità”, capace di proporre itinerari educativi che si innestino nella vita quo-

tidiana e mantengano alta la proposta formativa159.

Il volto educativo e missionario della parrocchia

108. Alla pedagogia divina dovrebbe ispirarsi anche l’azione educativa della par-

rocchia. La situazione di “crisi” e di ripensamento che essa, come molte altre istitu-

zioni, ha vissuto nel periodo postconciliare ha messo in questione una realtà conso-

lidata nel tempo, ma ha anche fatto maturare una nuova consapevolezza della sua

importanza, contribuendo a ridefinire in modo nuovo e creativo il suo ruolo e i suoi

compiti. Segno evidente è la molteplicità delle immagini con cui è stata definita:

fontana del villaggio, casa di Dio tra le case degli uomini, lampada e città posta sul

monte, locanda che accoglie tutti, cellula evangelizzatrice, comunità alternativa,

157

Cfr. Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, 13. 158

Ivi, 51. 159

Cfr. V. Angiuli, Trasmettere la fede in famiglia e con la famiglia, in “Bollettino diocesano S. Maria de finibus terrae” 75, 2012, pp. 339-345.

143

soggetto della nuova evangelizzazione. Oggi, la parrocchia è riconosciuta come un

bene prezioso da valorizzare e custodire per la vitalità dell’annuncio e della tra-

smissione del Vangelo, per il radicamento della Chiesa in un determinato territorio

e in un ambiente umano, per la possibilità di venire a contatto con il contesto con-

creto in cui la gente vive ed evidenziare il carattere popolare della Chiesa. In questo

senso, essa non può essere intesa come una pura circoscrizione amministrativa,

una ripartizione meramente funzionale della diocesi, ma la forma storica privilegia-

ta della localizzazione della Chiesa particolare, impegnata a portare il Vangelo della

salvezza a tutti gli uomini.

Nuove prospettive e nuovi compiti

109. La ricchezza di prospettive che la parrocchia contiene160 può essere minac-

ciata da due possibili derive: diventare una comunità “autoreferenziale”, in cui ci si

accontenta di trovarsi bene insieme, coltivando rapporti ravvicinati e rassicuranti;

ridursi a “centro di servizi” per l’amministrazione dei sacramenti, dando per scon-

tata la fede di quanti li richiedono. In realtà la parrocchia rappresenta l’immagine di

una Chiesa che è di tutti e per tutti, della quale tutti sono chiamati a far parte; un

luogo concreto storico dove si costruisce e si forma un popolo che riconosca la si-

gnoria di Cristo Risorto. Perché ciò accada, bisogna affrontare alcuni snodi essen-

ziali. Essa deve essere figura di Chiesa radicata in un luogo, vicina alla gente, ca-

pace di accogliere e accompagnare le persone, tessendo trame di solidarietà in

nome di un Vangelo di verità e di carità, in un contesto di complessità sociale cres-

cente. In una società pluralista, la parrocchia deve manifestare l’immagine di una

Chiesa semplice e umile, come una porta sempre aperta a tutti. La parrocchia, in-

fine, deve manifestarsi come Chiesa di popolo, avamposto in ogni situazione

umana, strumento di integrazione, punto di partenza per percorsi più esigenti

sfuggendo alla deriva di ridursi a gestire il folklore religioso o il bisogno di sacro.

La pedagogia dell’Ecclesia Mater

110. In questa prospettiva, la parrocchia si presenta non solo come il soggetto,

ma anche come l’ambito educativo. La sua pedagogia si caratterizza come un’azio-

ne materna161, una vera generazione che si realizza in continuità con l’opera della

Trinità. Essa deve promuovere un’educazione integrale della persona attraverso

un’introduzione progressiva e sempre più profonda nell’esperienza dell’amore di

160

Cfr. Papa Francesco, Evangelii gaudium, 28; S. Ancora (a cura di), Il volto educativo e missionario della parrocchia, (= Theologica Uxentina, 2), Edizioni VivereIn, Roma-Monopoli 2014. 161

Cfr. Papa Francesco, Evangelii gaudium, 141.

144

Dio, richiamando il kerigma e le sue implicanze vitali e aiutando a comprendere

l’unità del mistero.

Camminare, generare, farsi prossimo

111. In modo particolare, la parrocchia deve insegnare tre atteggiamenti fon-

damentali: l’itineranza, la generatività, la prossimità. Possiamo richiamare questi

aspetti attraverso tre immagini: la via, la madre, la porta. Negli Atti degli apostoli, i

cristiani sono chiamati «seguaci della via» (cfr. At 9,2; 18,25-26, 19,9.23; 22,4;

24,14.22), e il cammino che essi percorrono è un esodo verso la patria celeste (cfr.

Fil 3,20), la città futura (cfr. Eb 13,14).

L’immagine della via sottolinea che la parrocchia è comunità in cammino. In essa,

i cristiani imparano a riconoscere la loro identità di persone che vivono nel mondo

come «stranieri e pellegrini» (Eb 11,13; 1Pt 2,11) pronti a sperimentare la verità di

quanto afferma il Concilio Vaticano II, e cioè che «la Chiesa cammina insieme con

l’umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena»162.

L’immagine della madre sottolinea che la parrocchia è l’ambiente vitale della

generazione alla fede e alla vita divina. Educare vuol dire generare. Esiste, infatti,

«uno stretto rapporto tra educare e generare: la relazione educativa s’innesta

nell’atto generativo e nell’esperienza di essere figli»163. Il tema dell’Ecclesia Mater è

uno degli aspetti più trattati dai Padri della Chiesa, dai teologi e dagli artisti del

primo millennio. Il senso della maternità della Chiesa era così vivo e forte da espri-

mersi in inni di lode di grande bellezza. Questo tema patristico è stato ripreso dal

Concilio Vaticano II. Oggi, più che mai, occorre che la parrocchia mostri di essere

una «madre dal cuore aperto»164.

L’immagine della porta evoca il tema della prossimità e del dialogo. La comuni-

tà cristiana deve essere come una porta sempre aperta verso l’interno e verso

l’esterno, verso Dio e verso il mondo. L’immagine della porta, da una parte, richia-

ma il fatto che la comunità cristiana settimanalmente si riunisce per ascoltare la Pa-

rola del Signore, celebrare i divini misteri, sperimentare la presenza del Risorto, dal-

l’altra parte, indica lo spazio aperto sul territorio con il quale mettersi in sintonia in

un atteggiamento di reciproco ascolto per far fruttificare i doni che il Signore a pie-

ne mani consegna a ciascuno. La parrocchia deve essere capace di avvicinare il

162

Gaudium et spes, 40. 163

Conferenza episcopale italiana, Educare alla vita buona del Vangelo, 27. 164

Papa Francesco, Evangelii gaudium, 46-49; Sul tema dell’Ecclesia Mater cfr. K. Delahaye, La Comunità, Madre dei credenti, Editrice Ecumenica, Cassano Murge (BA) 1974; H. Rahner, Mater Ecclesia, Jaca Book, Milano 1972; G. Ziviani, La Chiesa Madre nel Concilio Vaticano II, Edizioni Pontificia Università Gregoriana, Roma 2001.

145

mondo alla Chiesa e lanciare la Chiesa lungo le strade del mondo, per dialogare con

tutti, annunciare il Vangelo della salvezza e costruire insieme con tutti gli uomini di

buona volontà una società più giusta e più solidale.

La scuola, come ricerca del senso del mistero

112. La scuola, da parte sua, deve compiere il suo specifico compito in una alle-

anza educativa con la famiglia e la parrocchia. La preoccupazione fondamentale

non deve consistere nel fornire solo delle conoscenze, ma nell’orientare a cercare il

senso della vita, all’accoglienza delle domande fondamentali presenti nel cuore dei

ragazzi e dei giovani165. «Educare vuol dire aprirsi al senso del mistero come un dato

fondamentale sul quale tutti, credenti e non credenti, possono convergere e ritro-

varsi e, su questa base, costruire un progetto educativo che dia ragioni di vita e di

speranza e sia segno di amore all’uomo e al suo futuro, in modo da ricuperare il

senso più profondo dell’esistenza, superare il bivio educativo e creare i presupposti

per l’avvento di una nuova umanità. Si dovrebbe cioè risolvere l’attuale dicotomia

tra individualismo e collettivismo e operare una serie di conciliazioni tra la dimen-

sione individuale e l’azione sociale, la libertà e la responsabilità, i diritti e i doveri, il

bene individuale e il bene comune, il lavoro e il riposo, l’apertura alla trascendenza

e la legittima autonomia delle realtà terrestri»166. Il carattere pubblico non ne

pregiudica l’apertura alla trascendenza e non impone una neutralità rispetto a quei

valori morali che sono alla base di ogni autentica formazione della persona e della

realizzazione del bene comune»167.

Educare in una cultura digitale

113. L’opera educativa, oggi, deve fare i conti con l’attuale cultura digitale. Il

progresso tecnologico e informatico, superando la distanza spaziale e moltiplicando

la rete dei contatti, ha creato nuove possibilità comunicative e un passaggio sem-

pre più generalizzato verso una realtà virtuale. La Chiesa non può non prestare at-

tenzione all’avanzare di questa nuova cultura mediatica che la impegna ad uscire

da antiche sicurezze e recinti chiusi e a puntare su iniziative e proposte culturali che

coinvolgano altri soggetti. I vari ambienti di vita e le nuove possibilità comunicative

esercitano una grande influenza nella formazione dell’opinione pubblica e nelle

scelte personali. In questo contesto mediatico ed esistenziale, la Chiesa è chiamata

165

Cfr. V. Angiuli, Tornare a scuola: perché?, in “Bollettino diocesano S. Maria de finibus terrae”, 74, 2011, pp. 517-521. 166

Id., Educazione come mistagogia, cit., p. 165. 167

Conferenza episcopale italiana, Educare alla vita buona del Vangelo, 46.

146

ad offrire il suo contributo e a sollecitare quello di tutti affinché l’intera «società di-

venti sempre più terreno favorevole all’educazione»168 per costruire insieme per-

corsi educativi che favoriscano stili di vita sani e rispettosi di valori condivisi: la soli-

darietà, l’accoglienza dell’altro, il senso della festa, l’anelito alla giustizia, la salva-

guardia del creato, l’apertura alla mondialità, la ricerca della pace.

Educare i “nativi digitali”

114. I giovani posseggono le chiavi d’accesso più dinamiche alla cultura digitale

e sono capaci di entrare in contatto da subito con un gran numero di mezzi di

comunicazione: internet, telefono cellulare e social network. Il contatto e l’utilizzo,

spesso intensivo, delle tecnologie digitali hanno importanti ripercussioni sui loro

comportamenti e sulle loro scelte. Non bisogna, però, dimenticare che «a fronte di

tali situazioni, è presente nei giovani una grande sete di significato, di verità e di

amore. Da questa domanda, che talvolta rimane inespressa, può muovere il proc-

esso educativo»169. Occorre pertanto risvegliare la motivazione profonda che è den-

tro l’animo giovanile attraverso una disponibilità dell’educatore ad ascoltare, a

dedicare tempo, a dialogare presentando un ideale di vita attraente e affa-

scinante170.

Capitolo quinto

La vita bella

«La modernità ha fallito.

Bisogna costruire un nuovo umanesimo,

altrimenti il pianeta non si salva»

(Albert Einstein)

168

Conferenza episcopale italiana, Educare alla vita buona del Vangelo, 50. 169

Ivi, 32. 170

Cfr. V. Angiuli, «Al vedere la stella provarono una grandissima gioia (Mt 2,10)», in “Bollettino Ufficiale Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca”, 73, 2010, pp. 116-121; Id., Ma il cielo è sempre più blu, in “Bollettino diocesano S. Maria de finibus terrae”, 74, 2011, pp. 127-136; Id., Voglio una vita piena di... Vita!, in “Bollettino diocesano S. Maria de finibus terrae”, 75, 2012, pp. 106-112; Id., Credere o non credere, questo è il problema, in “Bollettino diocesano S. Maria de finibus terrae”, 75, 2012, pp. 332-338.

147

La via pulchritudinis

115. Le considerazioni fin qui esposte sottolineano il fatto che nel nostro tempo

è urgente esplorare la «“via della bellezza” (via pulchritudinis). Annunciare Cristo

significa mostrare che credere in Lui e seguirlo non è solamente una cosa vera e

giusta, ma anche bella, capace di colmare la vita di un nuovo splendore e di una

gioia profonda, anche in mezzo alle prove. In questa prospettiva, tutte le espres-

sioni di autentica bellezza possono essere riconosciute come un sentiero che aiuta

ad incontrarsi con il Signore Gesù. Non si tratta di fomentare un relativismo es-

tetico, che possa oscurare il legame inseparabile tra verità, bontà e bellezza, ma di

recuperare la stima della bellezza per poter giungere al cuore umano e far risplen-

dere in esso la verità e la bontà del Risorto. Se, come afferma sant’Agostino, noi

non amiamo se non ciò che è bello, il Figlio fatto uomo, rivelazione della infinita

bellezza, è sommamente amabile, e ci attrae a sé con legami d’amore. Dunque si

rende necessario che la formazione nella via pulchritudinis sia inserita nella tras-

missione della fede»171.

116. L’educazione estetica è, oggi, la fonte primaria per il ricupero della dimen-

sione etica. «L’uomo contemporaneo, imbevuto com’è di scetticismo e relativismo,

è di gran lunga meno sensibile alla verità e alla bontà. Egli pensa infatti che l’affer-

mazione della verità abbia generato storicamente l’intolleranza e che l’imposizione

del bene morale universale sia incompatibile con la sua libertà. L’armonia tra verità,

bontà e libertà si è rotta e il compito dei cristiani consiste nel restaurarla sulla base

dell’incontro personale con la persona viva di Cristo che risveglia il cuore dell’uomo

e dà senso alla sua vita aprendolo alla totalità del reale»172. La mancanza di bellezza

mortifica l’essenza spirituale dell’uomo, non realizza la sua ispirazione alla pienezza

e non colma la sua sete di verità e di assoluto. Educare, pertanto, significa accom-

pagnare ciascun individuo lungo il percorso della vita sviluppando la forza creativa

dell’intelligenza e del cuore per indirizzare il desiderio di ognuno verso la pienezza.

La Chiesa oggi ha un progetto umano e umanizzante ben preciso: educare ogni

uomo alla bellezza, passando dalla realtà visibile a quella invisibile. La via della

171

Papa Francesco, Evangelii gaudium, 167. 172

M. Ouellet, La bellezza di essere cristiani, in Pontificium Consilium pro laicis, Laici oggi. La bellezza di essere cristiani. I Movimenti nella Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, 2007, p. 46. Per una riflessione teologica cfr. H.U. von Balthasar, Gloria. 1. La percezione della forma, Jaca Book, Milano 1975; P. Evdokimov, La teologia della bellezza, Paoline, Cinisello Balsamo (MI), 1990; P. Florenskij, Le porte regali, Adelphi Edizioni, Milano 1995; B. Forte, La porta della bellezza, Morcelliana, Brescia 1999; Per una traduzione pastorale cfr. C.M. Martini, Quale bellezza salverà il mondo, Lettera pastorale 1999-2000, Centro Ambrosiano, Milano 1999.

148

bellezza, va ricercata e percorsa perché, come avverte il poeta Ugo Fasolo, la man-

canza di bellezza conduce l’uomo alla morte173.

Date bellezza agli uomini che gridano

il pane e l’odio, costruite bellezza

per gli uomini affamati e d’occhi rossi

conturbati in disperazione. Irosi

chiedono il pane poiché non lo sanno

di morire per fame di bellezza.

Il pane è delle membra; il cibo uguale

agli uomini e alle bestie sazia i ventri

dentro annodati d’ombra. Ma chi placa

l’angoscia d’essere, il pianto del cuore,

e del passato e futuro ci accresce?

La rosa incurva i petali e splende;

e chi ha in dono la forma armoniosa,

dissolva il torbido e inquieto sgomento

delle rovine e ritorni alla gioia.

L’ansia dell’uomo che va sulla terra

non è di terra; anche amaro è l’amplesso

senza possesso di bellezza. E voi

che detenete potenza e denaro,

e coltivate terre e molte navi,

non dilatate solo nere fabbriche,

imbiancati ospedali o nuove macchine;

chiamate insieme gli uomini che sanno

le forme intente al ritmo dello spazio

e siano templi sopra le colline,

palazzi splendidi nel volto perpetuo

della bellezza. È il nostro canto d’uomini

e l’abbiamo rinnegato con Dio;

perciò moriamo in ansia di bellezza.

173

U. Fasolo, Date bellezza, in L’Isola assediata, Neri Pozza, Venezia 1957.

149

La struttura drammatica della bellezza

117. Collocata solo nelle realtà terrestri, la bellezza diventa un enigma non pri-

vo di ambiguità (cfr. Sap 13,1-9)174. Essa può catturare per la sua forma esteriore

cadendo in un estetismo privo di verità e bontà. La vera bellezza, invece, ha una

struttura drammatica perché se è vero che essa rivela il fascino del divino, non è

meno vero che l’itinerario per giungere alla contemplazione della bellezza divina

non è né facile, né automatico. In agguato vi è sempre la possibilità di seguire la via

idolatrica dell’adorazione della creatura fino alla cosificazione e al consumismo del

bello. Nel discorso agli artisti tenuto nella Cappella Sistina il 2009, Benedetto XVI ha

affermato che troppo spesso «la bellezza che viene propagandata è illusoria e

mendace, superficiale e abbagliante fino allo stordimento e, invece di far uscire gli

uomini da sé e aprirli ad orizzonti di vera libertà attirandoli verso l’alto, li im-

prigiona in se stessi e li rende ancor più schiavi, privi di speranza e di gioia. Si tratta

di una seducente ma ipocrita bellezza, che ridesta la brama, la volontà di potere, di

possesso, di sopraffazione sull’altro e che si trasforma, ben presto, nel suo con-

trario, assumendo i volti dell’oscenità, della trasgressione o della provocazione fine

a se stessa. L’autentica bellezza, invece, schiude il cuore umano alla nostalgia, al

desiderio profondo di conoscere, di amare, di andare verso l’Altro, verso l’Oltre da

sé. Se accettiamo che la bellezza ci tocchi intimamente, ci ferisca, ci apra gli occhi,

allora riscopriamo la gioia della visione, della capacità di cogliere il senso profondo

del nostro esistere, il mistero di cui siamo parte e da cui possiamo attingere la pie-

nezza, la felicità, la passione dell’impegno quotidiano»175.

118. Per il cristiano, l’espressione “vita bella” non significa altro se non una vita

che assomiglia a quella di Cristo e si conforma al suo stile e al suo modello di com-

portamento. Educare, pertanto, vuol dire far scoprire la bellezza della vita guardan-

dola con gli occhi di Cristo, mistero d’amore che dà gioia all’esistenza. È lui stesso a

proclamare bella la vita di coloro che si incammino sul sentiero delle beatitudini

(cfr. Mt 5,3-12). D’altra pare, questa esigenza della fede trova il suo riscontro anche

in ambito culturale. In tutti i tempi l’uomo ha cercato di incamminarsi sulla “via

della bellezza” disegnando i canoni della vita bella. Le molteplici risposte date nel

corso dei secoli da culture differenti sono la prova che questa domanda è ineludi-

bile e anche oggi chiede di essere esaudita. A mo’ di sintesi, richiamo i principali

ideali di vita bella.

174

Cfr. F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, libro III, “I lussuriosi”. 175

Benedetto XVI, Discorso agli artisti, 21 novembre 2009.

150

RITRATTI DI VITA BELLA

La cultura greca

119. Il mondo greco ha posto il problema su ciò che rende bella l’esistenza e ha

proposto una riflessione su tre aspetti: l’uomo, la pòlis, gli dèi. Privilegiando i valori

dello spirito, la cultura greca sostiene fermamente che i valori che fanno bella la vi-

ta vanno vissuti nella città e nel rispetto delle leggi divine.

La vita dell’uomo è bella se egli lotta per il klèos, la fama176. Ciò che conta è la

lotta per conquistare la gloria. Inoltre, la vita è bella se attraverso il conoscere si

coltiva il lògos, la parola e la sapienza, anche se questo costa sofferenza. Ulisse patì

per conoscere177; tornato a Itaca e ritrovata Penelope, riprese instancabile il suo

viaggio. Saffo, una poetessa greca del VI secolo a.C., riferisce le altre preferenze del

suo tempo: la guerra, il potere, il commercio, il denaro. Per lei, invece, la cosa più

bella è ciò che uno ama, ciò per cui uno prova èros, quella forza potente che il dio

ha messo nell’uomo e che lo spinge verso il divino, verso il bello, il buono, il vero.

La vita dell’uomo è bella se segue ciò che ama, l’èros per la poesia, la musica, la

danza, l’amicizia, la bellezza. «Il buono – afferma la poetessa greca – sarà subito

anche bello»178. Anche Platone, nel Simposio, sottolineerà che èros mette le ali

all’anima e la fa volare verso il Sommo Bene, verso l’Assoluto, verso Dio.

Non si può non apprezzare questa idea dei Greci che celebra l’èros «come forza

divina, come comunione col divino»179. Il cristianesimo – scrive Benedetto XVI – ne

ha condannato lo stravolgimento, quello che chiamiamo erotismo, tuttavia «tra

l’amore e il divino esiste una qualche relazione: l’amore promette infinità, eternità,

una realtà più grande e totalmente altra rispetto alla quotidianità del nostro

essere»180. L’èros non è soltanto passione amorosa, è passione per tutto quello che

pensiamo possa fare bella la vita; è “amore ascendente”, cioè tensione dell’uomo

verso Dio, che l’annuncio cristiano coniuga con l’agàpe, l’“amore discendente”,

quello che all’uomo viene da Dio.

Il secondo aspetto riguarda la vita della città. Questa è bella se c’è la giustizia

(dìke), frutto del lavoro dell’uomo e armonizzazione delle leggi umane con quelle

divine181. Le leggi dello Stato non possono essere in contrasto con la legge morale

(le leggi “non scritte”) che gli dèi hanno posto da sempre negli uomini. La vita della 176

Cfr. Omero, Iliade 22, 304-305. 177

Cfr. Id., Odissea, 1, 1-4. 178

Saffo, fr. 50 LP. 179

Benedetto XVI, Deus caritas est, 4. 180

Ivi, 5. 181

Cfr. Esiodo, Le opere e i giorni, vv. 213.230-232.236; Sofocle, Antigone, vv. 368-370.

151

città è bella se si persegue il bene comune al di là dei risultati e dei propri interessi e

se si amano la cultura e l’arte. Tucidide spiega i motivi della grandezza di Atene con

queste parole: «Amiamo il bello (philokalùmen), ma con compostezza, e amiamo la

sapienza (philosophùmen), ma senza debolezza»182.

Per dare bellezza alla vita occorre anche tendere a Dio. Platone (IV sec. a.C.) ar-

gomenta che, quando per forza di amore delle cose belle, l’anima mette le ali (è il

celebre mito di èros e psyche) «si innalza dove dimora la comunità degli dèi; e in

qualche modo essa partecipa del divino più delle altre cose che hanno attinenza col

corpo: il divino è bellezza, sapienza, bontà e ogni altra virtù affine»183. La tensione

alla vita divina rende beata la vita dell’uomo. Così la pensa Aristotele (IV sec. a.C.),

al quale dobbiamo la celebre definizione di uomo come “animale politico”. Per lui

la vita è soprattutto attività contemplativa (theoretikè enèrgheia)184.

La cultura latina

120. Il mondo latino propone una riflessione su valori più “concreti”: la volup-

tas, la pietas, l’opus commune.

La vita è bella, sostiene il commediografo Plauto (III-II sec. a.C.), se la si gode

così come è, con le imperfezioni e le debolezze degli uomini, scendendo a qualche

“compromesso”, possibilmente nei limiti delle regole familiari e civili e con l’amore,

la buona tavola, un misurato benessere economico. In un mondo in cui «l’uomo è

lupo per l’uomo»185 l’umana comprensione, l’affabile indulgenza sono beni preziosi.

Per il poeta Orazio (I sec. a.C.), la vita è bella se si gode con misura il momento pre-

sente186. Importante è stare nella misura (è la regola morale aristotelica del giusto

mezzo). D’altra parte, ribadisce Petronio (I sec. d.C.) pur godendo della vita, biso-

gna salvare i valori più importanti e condannare le depravazioni morali187.

La vita è bella se c’è la pietas, il rispetto degli dèi, della patria, della famiglia. È

dagli dèi, afferma il pio Virgilio, che viene la pace. «Un dio ci ha dato questa

pace»188, spiega il pastore Titiro, che così può starsene tranquillo a contemplare il

bello della natura e a cantare la sua donna. Per il bene della patria è bello affronta-

re con valore estremi pericoli, come sappiamo dai tanti personaggi che le storie di

Livio (I sec. a.C.) hanno esaltato (chi non ricorda eroi come Orazio Coclite, Cincinna-

182

Tucidide, La guerra del Peloponneso, 2, 40, 1. 183

Platone, Fedro 246 d-e. 184

Cfr. Aristotele, Etica Nicomachea 1177b. 185

Plauto, Asinaria, v. 495. 186

«Cogli il giorno, non darti pensiero del domani» (Orazio, Odi 1, 11, 8). 187

Cfr. Petronio, Satyricon 88. 188

Virgilio, Bucoliche 1, 4.

152

to, Coriolano, Muzio Scevola?). Anche la famiglia è ritenuta il pilastro della società

(chi non ricorda i ‘gioielli’ di Cornelia, i suoi due figli, i fratelli Gracchi?).

La vita è bella se si coltiva la vita di comunità. Bisogna farsi carico di ogni uomo,

dei suoi problemi. Questa la sentenza del commediografo Terenzio (II sec. a.C.):

«Sono un uomo: niente che riguardi l’uomo ritengo debba essermi estraneo»189;

una massima ripresa da Seneca, da sant’Agostino e da tanti altri. La vita è bella se ci

sono gli amici. Pochi hanno cantato l’amicizia come il poeta latino Catullo (I sec.

a.C.). E all’amicizia ha dedicato un intero bellissimo libro Cicerone (I sec. a.C.), il De

amicitia, ripreso anche dalla spiritualità medievale cristiana. Il grande retore latino

ha dedicato pagine significative alla vita resa bella dalla solidarietà tra gli uomini,

dal cercare il bene comune. Gli fa eco il filosofo Seneca (I sec. d.C.) il quale, dopo

aver riproposto il verso prima citato di Terenzio, aggiunge: «Mettiamo tutto in co-

mune: siamo nati per una vita in comune. La nostra società è molto simile a una

volta di pietre: cadrebbe se esse non si sostenessero a vicenda, ed è proprio questo

che la sorregge»190.

La cultura patristica e medievale

121. Molti dei valori positivi che fanno bella la vita, messi in evidenza dal mon-

do greco e da quello latino, si sono felicemente incontrati con il messaggio cristia-

no, dal quale sono stati ulteriormente illuminati ed esaltati. I Padri della Chiesa vi

hanno scorto i “semi del Verbo” e la “preparazione al Vangelo”.

Il Vangelo ha ulteriormente esaltato il valore dell’amore e dell’amicizia propo-

nendo l’amore come agàpe, ossia come donazione totale (cfr. Gv 15,13); annun-

ciando il perdono e la remissione (cfr. Mt 6,12); insegnando a vedere Cristo nei fra-

telli, e soprattutto nei poveri (cfr. Mt 25,40); imitando la prima comunità dove tutto

era in comune e nessuno rimaneva nel bisogno (cfr. At 4,32.34). Nei primi secoli del

cristianesimo, i Padri della Chiesa hanno approfondito e sviluppato questo messag-

gio e, soprattutto i Padri greci, hanno riaffermato il nuovo valore della bellezza, del-

la poesia, delle arti, come manifestazione ed esaltazione della bellezza e della bon-

tà del Creatore. Hanno anche sottolineato l’importanza della vita comune, di quella

civile oltre che di quella religiosa. Le persecuzioni prima e le invasioni barbariche

dopo, con i rivolgimenti politici e sociali che sono susseguiti, non hanno permesso

una tranquilla esperienza di vita comune alla luce dei valori cristiani del Vangelo.

Nel periodo dei comuni di età medievale si è resa possibile una riflessione e una at-

tuazione più matura di tali principi.

189

Terenzio, Il punitore di se stesso v. 77. 190

Seneca, Lettere a Lucilio 15, 95, 53.

153

Il Medioevo cristiano ha proposto il suo ideale di vita bella nella vita cittadina

del comune. Ambrogio Lorenzetti la raffigura nel palazzo comunale di Siena, met-

tendo insieme sapienza e giustizia divina: nel grande affresco che riempie tutte le

pareti della sala dei Nove è rappresentato il buon governo con gli effetti positivi che

produce sia in città che in campagna; è rappresentato di contro il dispotico cattivo

governo con i suoi funesti effetti. L’opera di Lorenzetti è del 1338, di poco posterio-

re al completamento della Divina Commedia di Dante Alighieri (morto nel 1321).

Nel Paradiso, egli aveva proposto il suo ideale politico citando il primo versetto del

Libro della Sapienza: «Diligite iustitiam qui iudicatis terram», («Amate la giustizia,

voi giudici della terra»)191. Sia Dante che Lorenzetti propongono questo ideale a

fondamento di una vita civile ordinata, pacifica, operosa: è dalla sapienza divina

che procede la giustizia tra gli uomini. Lorenzetti raffigura la giustizia con lo sguardo

rivolto verso l’alto, quasi a prendere indicazioni e ispirazione da Dio e porta scritta

sullo scudo la parola ‘sapienza’. E da una giustizia così sapientemente amministrata

la città conosce buoni amministratori, un lavoro al servizio di tutti, le arti e la festa:

tutto è raffigurato nell’affresco con immagini di serenità e di pace, di sobrietà e

gioia.

Nella raffigurazione della Cattedrale viene anche evocato un punto di riferi-

mento non solo della vita liturgica e della predicazione, ma anche della vita civile e

sociale. È il quadro che anche Dante propone, per bocca del suo avo Cacciaguida,

descrivendo la Firenze ‘antica’, prima cioè dei guasti che il poeta aveva conosciuto

negli ultimi anni della sua esistenza192. La Vergine Maria, invocata dalla partoriente,

ha assistito alla sua nascita e nel battistero, quello che ancora oggi sorge accanto

alla Cattedrale, è stato battezzato, cristiano e cittadino, di una città in pace, in un

“bello viver di cittadini”. Dante riassume bene la vita bella della sua Firenze, come

Lorenzetti quella di Siena: una vita operosa, certo non priva di umani contrasti, ma

che insieme si cerca di superare; una vita attiva, che conosce anche la festa e le arti

come ancor più troviamo attestato negli altri due grandi del Trecento italiano: Pe-

trarca, il cantore del bello, della cultura, dell’amore e della passione religiosa, e

Boccaccio, il narratore di una Firenze, ricca di lavoro, di attività, di intelligenza e in-

ventiva, e di tanta gioia di vivere.

La cultura rinascimentale

122. Il mondo rinascimentale propone il suo ideale di vita bella sviluppando i

valori positivi già affermati nel Medioevo, ma completandoli ed esaltandoli con

191

Cfr. Dante Alighieri, Paradiso XVIII, 91-93. 192

Cfr. ivi, XV, 97-99.130-135.

154

l’apporto, fondamentale per la nostra cultura occidentale, che viene dalla

riscoperta del mondo greco antico, delle sue arti, della sua letteratura, della sua

filosofia. Viene così elaborato e proposto un ideale di umanesimo integrale, fon-

dato sull’affermazione della dignità dell’uomo, sulla cultura e le scienze, sul lavoro

e le arti. Perché la vita sia bella, l’uomo deve vivere in quella libertà dello spirito

che il Creatore gli ha dato fin dal principio. Scrive Pico della Mirandola (XV sec.):

«Ultimata l’opera creatrice, l’Artefice desiderava che ci fosse qualcuno capace di

afferrare la ragione di un’opera così grande, di amarne la bellezza, di ammirarne la

vastità»193. Dio crea l’uomo e gli dice: «Non ti ho fatto né celeste, né terrestre, né

mortale, né immortale, perché da te stesso quasi libero e sovrano ti plasmassi e ti

scolpissi nella forma che avresti prescelto»194. Riprendendo il pensiero classico, ma

anche le pagine dei Padri, Pico sostiene che è l’uomo a «forgiare il proprio desti-

no», secondo la propria volontà e libertà.

La vita bella è quella di una dignità fondata sulla cultura, sull’amore del sapere

e del bello. Anche questa è una ripresa del pensiero greco, filtrato però sempre at-

traverso secoli di cultura e vita cristiana. Così l’umanista inglese Tommaso Moro

(XV-XVI sec.), il santo martire vittima della persecuzione di Enrico VIII, propone in

Utopia, una città ideale, la città bella e ben strutturata, vivibile e armonica quale è

dato ancora vedere in città del Quattrocento e del Cinquecento in Italia, nate sulle

teorie e le architetture di Leon Battista Alberti, di Bramante, di Michelangelo: la vi-

ta è ordine, armonia, proporzione e l’arte deve esprimere e favorire questa visione.

Anche il calabrese Tommaso Campanella (XVI-XVII sec.) propone la sua utopia

nella Città del Sole. Secondo il suo pensiero, una vita politica bella dipende da tre

cause: Dio, la prudenza, l’opportunità. L’uomo deve prima di tutto volgere lo sguar-

do a Dio e riferirsi alla sua Parola, ma deve anche esercitare la prudenza e l’oppor-

tunità, virtù umane che favoriscono un efficace collegamento tra i cittadini. La cul-

tura rinascimentale mette sì al centro l’uomo, ma lo considera ancora espressione

della grandezza di Dio creatore. È quanto si può cogliere con grande evidenza nelle

opere di tanti artisti del tempo, soprattutto in Michelangelo, Raffaello, Leonardo. Il

bello da essi creato riempie la vita di bellezza, di armonia, di divino.

La cultura moderna

123. Il mondo moderno, considerato dal Settecento a oggi, propone la vita bella

a partire dalla triade proposta dall’Illuminismo (XVIII-XIX sec.) e dalla rivoluzione

francese (1789): libertà, fratellanza, uguaglianza. Una corrente di pensiero vede

193

Pico della Mirandola, Discorso sulla dignità dell’uomo, § 4. Il racconto della creazione. 194

Ivi, § 5. Il discorso di Dio all’uomo.

155

svilupparsi questi tre valori senza Dio, se non contro Dio; un’altra li interpreta come

valori orientati verso Dio.

Il primo filone di pensiero fonda la vita bella sulla libertà da ogni tirannide politica

o sociale, e da ogni schiavitù di pensiero che imbriglia la ragione. Secondo questa vi-

sione, la religione cristiana è repressiva quando diventa potere, morale borghese,

pratica esteriore. Allora essa funziona come un “oppio dei popoli” (Karl Marx) e im-

pedisce ai più sfruttati, al proletariato, di lottare per la propria liberazione, per una

equità sociale senza discriminazioni. La stessa accusa muove al cristianesimo Frie-

drich Nietzsche che predica la liberazione ‘dionisiaca’ della gioia senza regole.

Rappresentante del secondo filone di pensiero è Alessandro Manzoni (XIX sec.).

Per lui, gli ideali di libertà, fratellanza e uguaglianza sono in realtà valori cristiani e

vanno riferiti al Vangelo. Dopo un primo periodo illuminista e sensista, egli torna

alla fede cristiana e propone negli Inni sacri e nei Promessi sposi la bellezza della

vita cristiana ponendosi dalla parte degli umili, vedendo quegli ideali come frutto

della provvidenza divina, oltre che dell’impegno degli uomini. Nasce la dottrina so-

ciale della Chiesa che, a partire dalla Rerum novarum di Leone XIII (1891), ripro-

pone il Vangelo del riscatto dei poveri, della solidarietà tra i fratelli, dell’uguale dig-

nità degli uomini.

La cultura contemporanea

124. Dopo questa sintetica panoramica sugli ideali di vita bella, viene sponta-

neo domandarsi: cosa rende bella la vita, oggi? Immersi in una società complessa,

facciamo fatica a interpretare adeguatamente il nostro tempo. In modo approssi-

mativo, possiamo ridurre la complessità all’alternativa tra il secolarismo e il postse-

colarismo. Questo bivio culturale rappresenta l’attuale punto critico, perché pone

la sfida non solo all’interno del dibattito culturale, ma come scelta esistenziale.

LA PROSPETTIVA DEL SECOLARISMO

Il secolarismo

125. Il secolarismo (che prende anche il nome di postmoderno, nichilismo, rela-

tivismo)195 si caratterizza per l’eliminazione del mistero e della trascendenza dalla

vita delle persone (qualche autore parla della terza morte di Dio)196 e fonda l’esi-

195

Cfr. J.F. Lyotard, La condizione postmoderna: rapporto sul sapere, Feltrinelli, Milano, 1981; P.L.

Berger, Il brusio degli angeli. Il sacro nella società contemporanea, Il Mulino, Milano 1995. 196

Cfr. A. Glucksmann, La terza morte di Dio. Perché L’Europa è ormai un continente ateo e nel resto del mondo invece si uccide per fede, Fondazione Liberal, Roma 2004.

156

stenza umana sul principio dell’autodeterminazione. L’esito più evidente si mani-

festa «nelle gravi implicanze antropologiche in atto che mettono in discussione la

stessa esperienza elementare umana, come la relazione uomo-donna, il senso della

generazione e della morte»197. L’aspetto più problematico consiste nel fatto che

questa mentalità è entrata «nella vita dei cristiani e delle comunità ecclesiali, dive-

nendo ormai non più soltanto una minaccia esterna per i credenti, ma un terreno di

confronto quotidiano»198. In realtà il secolarismo rappresenta non solo una sfida,

ma anche uno stimolo a testimoniare la verità del Vangelo199.

L’individualismo

126. Dal punto di vista sociale, la postmodernità è attraversata dal “virus

dell’individualismo”. Se una volta era proprio la rigidità dei legami a gettare la per-

sona nello sconforto e nella solitudine, oggi l’uomo è frustrato perché, lasciato

troppo a se stesso, non riesce a gestire la sua libertà diventando egli stesso “di sab-

bia”200; una figura inafferrabile e impastata di contraddizioni, ma con un tratto dis-

tintivo che si staglia nitido: la sensazione di stanchezza e di insicurezza201. L’uomo,

oggi, è una persona che fatica a portare la sua vita. Costantemente dubita del trag-

itto e del senso e per questo chiede riconoscimento e rassicurazione. La società

non sa sostenerlo perché è come una “poltiglia”, una “mucillagine” composta da

tanti coriandoli che stanno l’uno accanto all’altro, ma non riescono a stare insieme

e non formano una unità; una società nella quale coesistono una molteplicità di

codici morali, di orientamenti etici, di proposte valoriali molto diversificate, se non

in contrasto tra loro che generano una pluralità di scelte pratiche e determinano

una caduta della norma da valore orientativo a semplice decisione presa secondo i

propri gusti personali;202 una società “senza radici” dove le parole tradizionali sono

svuotate e tendono a perdere il loro significato203; una società che ha affievolito la

passione per i grandi ideali, ritenuti sorpassati o impossibili da raggiungere e por-

tata ad esaltare la libertà come disponibilità di se stesso senza una corrispettiva re-

197

Cfr. Benedetto XVI, Porta fidei, 6. 198

Ivi. 199

Cfr. R. Guardini, La fine dell’epoca moderna, Morcelliana, Brescia 200711

. 200

Cfr. C. Ternynck, L’uomo di sabbia, individualismo e perdita di sé, Vita e Pensiero, Milano 2012. 201

Cfr. Z. Bauman, La società dell’incertezza, Il Mulino, Bologna 1999. 202

«L’assenza di un sistema di credenze morali radicate è la contraddizione culturale della società, la più grave minaccia alla sua sopravvivenza» (A. Giddens, Oltre la destra e la sinistra, il Mulino, Bologna 1997, p. 44). 203

Cfr. M. Pera-Benedetto XVI (J. Ratzinger), Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo, Islam, Mondadori, Milano 2004.

157

sponsabilità sociale. Da qui la legittimazione della divaricazione tra etica pubblica

ed etica privata, tra solidarismo sociale e radicalismo individuale, fino alla pretesa

di legalizzare qualsiasi desiderio personale proposto come diritto dell’individuo.

L’assenza del padre

127. Nel contesto della postmodernità, la bellezza della vita è espressa dalle

categorie di novità e libertà. Bello è ciò che è nuovo. Così c’è chi vede

l’approssimarsi di una nuova generazione di uomini che sembrano essere dei

“nuovi pagani” o dei “nuovi barbari”204. Bello è ciò che è libero; libertà fondata sulla

dimenticanza e il dileguamento della figura paterna; libertà come frutto

dell’“assenza del padre”. Criticando questa visione, c’è chi sviluppa un’accurata

analisi dei risvolti antropologici che derivano della mancanza della figura paterna.

Quando la società non sostiene più l’autorità del padre, non si può più garantire

l’annodamento che permette di legare l’inconscio alla significazione sessuale205.

Nella società ipermoderna, la legittimazione dell’omosessualità e l’accentuazione

della confusione dei generi è proporzionale al declino del padre e al suo indeboli-

mento simbolico.

L’anelito alla fraternità

128. Alla figura del padre si sostituisce quella del fratello. Oggi, si desidera con-

siderarsi fratelli (persone alla pari), senza riconoscersi primariamente come figli

legati tra loro da vincoli parentali in rapporto a una riconosciuta dipendenza dal-

l’unico padre. La vita è bella se c’è fraternità. Essa nasce dall’impegno dell’uomo

per i propri simili, da una santità laica, una “santità senza Dio”206. In realtà, elimi-

nata o quanto meno indebolita la figura del padre, diventa molto difficile, se non

impossibile, costruire relazioni di fraternità. Dei tre ideali dell’Illuminismo (libertà,

fraternità e uguaglianza) il valore che soffre di più è proprio la possibilità di realiz-

zare una vera fraternità. A questo tema aveva dedicato la sua riflessione il teologo

J. Ratzinger all’inizio del suo insegnamento accademico, spiegando che la fraternità

è una caratteristica interna alla Chiesa. Si tratta, infatti, della reciproca fraternità

dei cristiani che invocano Dio, confidenzialmente, come Abba (“Padre nostro”),

204

Cfr. S. Natoli, I nuovi pagani. Una nuova etica per forzare le inerzie del tempo, Il Saggiatore, Milano

1995; A. Barricco, I barbari. Saggio sulla mutazione, Feltrinelli, Milano 2008. 205

Cfr. C. Risè, Il padre. L’assente inaccettabile, Ed. Paoline, Roma 2003; M. Recalcati, Cosa resta del padre?, Raffaello Cortina editore, Milano 2013; G. Ricci, Il padre dov’era. Le omosessualità nella psicanalisi, Sugarco, Milano 2013; G. Bernheim, Quello che spesso si dimentica di dire. Matrimonio omosessuale, omogenitorialità e adozione, Salomone Belforte & C., Livorno 2013. 206

Cfr. A. Camus, La peste, Bompiani, Milano 2005.

158

come Gesù ha insegnato. Ed è una fraternità aperta, perché la Chiesa è sempre uno

spazio aperto e un concetto dinamico essendo «il movimento di penetrazione del

regno di Dio nel mondo, nel senso di una totalità escatologica»207. La fraternità cris-

tiana, dunque, non è riducibile a filantropia, non è assimilabile al cosmopolitismo

stoico o illuminista, ma è espressione di un vero universalismo, perché è posta al

servizio di tutto, tramite l’agàpe e la diakonìa. Da qui risulta evidente la differenza

tra fraternità universale proposta dall’illuminismo e quella indicata dal cristiane-

simo. La prima è sì universale ed estesa, ma di fatto diventa irrealistica e vaga es-

pressione di umanitarismo. La fraternità cristiana, invece, si apre all’altro, e si fa

fraternità universale appunto nell’agàpe e nella diakonìa, abbattendo così, nella

concretezza della vita, ogni barriera. È il tema ripreso nell’enciclica Caritas in verita-

te. In essa, Benedetto XVI afferma che la vera fraternità, operante oltre ogni barri-

era e confine, nasce dal dono, la cui logica è introdotta nel tessuto economico, so-

ciale e politico208.

Ambiguità e spiragli

129. La visione culturale postmoderna è contraddistinta da due fattori fonda-

mentali: la perdita del telos e l’affermarsi dell’idea di liquidità sul piano valoriale,

relazionale e affettivo209. Il nostro tempo è caratterizzato dal fatto che non si sa be-

ne dove stiamo andando. In un “mondo in fuga”, l’uomo perde il senso e il fine del

cammino e privilegia la gratificazione istantanea come l’unica opzione ragionevole.

Il carpe diem postmoderno sostituisce il memento mori premoderno. In questo

contesto, assistiamo a una sempre più cronica debolezza della fede, alla quale si

aggiunge una debolezza della ragione. La fede cristiana è considerata una possibili-

tà umana tra le altre; una opzione, e non più una prassi scontata210. L’esito finale di

questo processo è una società confusa e smarrita nei riferimenti valoriali e istitu-

zionali. Ne è prova il dibattito sui temi istituzionali e la discussione sui nuovi modelli

di famiglia. Ciò che manca è un orizzonte di senso che dia valore e significato ad

ogni frammento di vita211.

207

J. Ratzinger, La fraternità cristiana, Queriniana, Brescia 2005, p. 100. 208

Cfr. Benedetto XVI, Caritas in veritate, 34. 209

Cfr. A. Giddens, Il mondo che cambia. Come la globalizzazione ridisegna la nostra vita, Il Mulino, Bologna 2000; Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari 2000; Id., Amore liquido, Laterza, Roma-Bari 2004, Id., Vita liquida, Laterza, Roma-Bari 2006; Id., Paura liquida, Laterza, Roma-Bari 2008. 210

Cfr. F. Garelli, Forza della religione e debolezza della fede, Il Mulino 1996; G. Vattimo e P.A. Rovatti, (a cura di), Il pensiero debole, Feltrinelli, 2010; C. Taylor, L’età secolare, Feltrinelli, Milano 2009. 211

«L’uomo globalizzato oltre che un nomade senza spazio e senza tempo, è anche un uomo senza

cielo» (I. Sanna, Sperare in una società globalizzata, in Sufficit gratia tua, Miscellanea in onore del

159

Tuttavia, tra le molte ambiguità della cultura contemporanea, si possono intra-

vedere alcune aperture a un rinnovato annuncio cristiano. Non manca, infatti, chi

sostiene che il padre “assente” è anche il padre “atteso” ossia colui che rinuncia

all’appropriazione del potere e rifiuta le prospettive di disimpegno e di eterna gio-

vinezza per diventare testimone di una liberazione che si fonda sulla coerenza della

vita, sulla fiducia nelle capacità dei propri figli, sulla promessa che esiste una felicità

più grande rispetto a quella della soddisfazione materiale ed epidermica212. La diffi-

coltà, poi, di comprendere l’orientamento verso il futuro offre alla fede cristiana

l’opportunità di indicare il senso globale e definitivo del cammino storico, la sapien-

za del destino finale dell’umanità, nell’idea della ricapitolazione di ogni cosa in Cri-

sto e dell’instaurazione del regno di Dio (cfr. 1Cor 15,20-28). Anche il cambiamento

di paradigma dalla visione fordista del vecchio capitalismo alla trasformazione in

una visione hollywoodiana dell’industria, diventata “industria dello spettacolo”

quasi un paradiso secolare, presenta un’opportunità per l’annuncio evangelico213.

LA PROSPETTIVA DEL POSTSECOLARISMO

Il postsecolarismo

130. Differente è la visione del postsecolarismo. Con questo termine si intende

rappresentare la reazione al nichilismo; una «reazione psicologica, sociologica, re-

ligiosa e filosofica»214. I principali guadagni di questa prospettiva culturale sono la

rinascita d’interesse per la riflessione che non si accontenta del fenomeno, ma

cerca il fondamento delle cose, la ricerca di senso per le situazioni-limite, il rip-

ensamento non soggettivistico dell’antropologia, il recupero della logica del mis-

tero, la crisi degli “ismi”, il crollo dei “muri” e l’orientamento per una nuova sta-

gione di dialogo, la ricerca di un ethos comune, la riconquista della sfera pubblica

da parte delle religioni215.

card. Angelo Scola per il suo 70° compleanno, a cura di G. Marengo, J. Prades López e G. Richi Alberti,

Marcianum Press, Venezia 2012, pp. 657-668, qui p. 661). 212

Cfr. M. Recalcati, Il complesso di Telemaco, Feltrinelli, Milano 2013. 213

«La modernità priva di centro, e pressoché priva di tempo, somiglia un po’ al sogno cristiano della Trinità, il cui centro non è in alcun luogo e la cui circonferenza è in ogni luogo, e la cui eternità irrompe sacramentalmente nel tempo presente» (T. Radcliffe, Testimoni del Vangelo, Edizioni Qiqajon, Magnano 2004, p. 175). 214

A. Caputo, Essere laici oggi, Edizioni CVS, Roma 2011, 37. 215

Ivi, pp. 25-57.

160

Quattro valori fondamentali

131. Nella visione postsecolare, la vita bella consiste nella capacità di tenere in-

sieme quattro valori: libertà, verità, adorazione e carità. La vita bella nasce dal rap-

porto tra la verità e la libertà. Progressivamente il mondo moderno si è allontanato

da un’idea di libertà che trova il suo fondamento nella visione ebraico-cristiana216 e

ha affermato il primato della libertà sulla verità tanto da ritenere quest’ultima

come un valore inattingibile. La scissione tra verità e libertà è l’esito più rilevante di

un lungo processo culturale e costituisce il caso serio di quella “crisi del senso” che

si manifesta in modo sempre più evidente nel nostro tempo. Oggi però, con-

statiamo che «una volta che si è tolta la verità all’uomo, è pura illusione pretendere

di renderlo libero. Verità e libertà, infatti, o si coniugano insieme o insieme mis-

eramente periscono»217.

Verità e libertà

132. In realtà, verità e libertà non sono categorie alternative l’una all’altra, ma in

reciproco rapporto. Per il cristiano, la verità è la stessa persona di Cristo, quale prin-

cipio ermeneutico fondamentale che consente di assumere in unità i diversi fram-

menti di cui è costruita la vita e di coniugare in modo dialettico unità e pluralità.

L’enciclica di Giovanni Paolo II, Fides et ratio, ribadisce l’importanza di questo prin-

cipio quando afferma che «l’incarnazione del Figlio di Dio permette di vedere attuata

la sintesi definitiva che la mente umana, partendo da sé, non avrebbe neppure po-

tuto immaginare: l’Eterno entra nel tempo, il Tutto si nasconde nel frammento, Dio

assume il volto dell’uomo»218. Il mistero di Cristo dischiude una ricchezza di senso,

tale da illuminare lo stesso mistero dell’uomo. Alla comunità cristiana spetta il com-

pito di presentare in tutta la sua verità la persona di Gesù Cristo, l’uomo nuovo che

porta con sé la chiave per interpretare il mistero della vita.

Culto e carità

133. Il reciproco riferimento tra la libertà e la verità trova il suo “ponte” nel-

l’azione liturgica. La liturgia è la pienezza della vita divina che si diffonde nel tempo

e progressivamente trasforma e trasfigura la vita dell’uomo. Rivelando il mistero, la

liturgia educa al mistero, introduce cioè sempre più nella vita divina, modellando la

vita del cristiano secondo la forma di Cristo; educando al mistero, svela le moltepli-

ci dimensioni della vita e aiuta a comprendere l’inesauribile sovrabbondanza del-

216

Cfr. G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze, Laterza, Roma-Bari 2009, § 482, p. 474. 217

Giovanni Paolo II, Fides et ratio, 90. 218

Ivi, 12.

161

l’amore di Cristo, introducendo così nella verità della vita219. La liturgia si presenta

come una vera palestra di vita, perché è capace di far interagire e di integrare valori

contrapposti, ristabilendo tra loro un ordine gerarchico. Essa tocca la vita del-

l’uomo e trasforma l’adorazione del mistero di Dio nella carità, in un amore senza

limiti verso ogni uomo. Il card. Martini ha affermato che «la bellezza che salva il

mondo è l’amore che condivide il dolore»220. È il messaggio che gli uomini del no-

stro tempo sono disposti ad accogliere come dimostra il successo mondiale del film

La vita è bella di Roberto Benigni.

Bellezza e santità

134. Culto, verità e carità sono i valori fondamentali che orientano la libertà a

incamminarsi decisamente sul sentiero della santità. La liturgia riproduce nel

frammento i “numeri del cielo”, rispecchiando nella forma finita l’armonia infinita.

Questi quattro valori danno bellezza alla vita. Così la via della bellezza si rivela come

la via della carità e della verità, e quindi come la via della santità. Bellezza e santità

sono sinonimi! La bellezza cristiana è l’evento di una relazione di grazia. In

quest’ottica, la vita cristiana si configura come vita eucaristica posta sotto il pri-

mato del dono e non della prestazione, come esperienza di luce e avventura di lib-

ertà e amore, dove luce, libertà e amore trovano in Cristo la loro oggettivazione.

Diventare somigliantissimi a Cristo, partecipando alla bellezza della sua vita, è

quindi il compito dei cristiani. Il loro comportamento bello e santo (cfr. 1Pt 1,15-

16), la loro condotta eticamente responsabile e irreprensibile trovano la loro radice

nell’innesto vitale nel mistero pasquale di Cristo e si nutrono di interiorità, di silen-

zio, di solitudine, di attesa, di lacrime, di preghiera. Non di sola efficienza vive

l’uomo, ma anche, e soprattutto, di gratuità, di perdono, di carità. I credenti in

Cristo sono chiamati a vivere nel mondo con la chiara consapevolezza di essere

«stranieri e pellegrini» (1Pt 2,11), scevri da ogni desiderio di dominio e di potere,

mossi dall’unico intento di servire il bene dell’uomo facendosi promotori, con ogni

mezzo a disposizione fino alla coraggiosa testimonianza personale, di una vita

degna di essere vissuta, accettando la fatica di camminare in una situazione in

rapido sviluppo senza rinunciare alla propria identità, quella di essere «irreprensi-

bili e integri, figli di Dio senza biasimo in mezzo ad una generazione ingiusta e per-

versa, fra la quale risplendete come luminari nel mondo, tenendo salda la parola di

vita» (Fil 2,15).

219

Cfr. M. Barba (a cura di), Educati dalla liturgia, educare alla liturgia, (= Theologica Uxentina, 1), Edizioni VivereIn, Roma-Monopoli 2013. 220

C. M. Martini, Quale bellezza salverà il mondo?, cit., p. 11.

162

Capitolo sesto

Cristo, la bellezza che salva

«Il brivido di meraviglia

è dell’uomo la parte migliore»

(Johann Wolfgang von Goethe)

In principio era la meraviglia

135. Una vita santa suscita la meraviglia e lo stupore e invita a incamminarsi

sulla via della bellezza. Educare non consiste solo nel richiamare i valori e le regole

della vita, ma anche nell’insegnare l’arte della meraviglia, l’attitudine a lasciarsi af-

fascinare e attrarre dalla bellezza, soprattutto quella che rifulge in una vita santa.

La meraviglia è la viva sorpresa che si prova davanti a qualcosa di non comune o di

non atteso e sconfina con la contemplazione di un avvenimento o di una persona

che colpisce piacevolmente i sensi e lo spirito e spalanca la porta del mistero. Para-

frasando le parole del prologo del Vangelo di Giovanni potremmo dire che all’inizio

c’era la meraviglia. L’origine del mondo e la creazione dell’uomo è un misto tra la

prorompente energia dell’amore infinito di Dio e la gioia che nasce dalla contem-

plazione della bellezza impressa nelle cose e nell’uomo.

Lo stupore di Dio

136. Anche Dio si meraviglia! Contemplando l’opera delle sue mani, con sommo

stupore, esclama è «cosa meravigliosa»! È il ritornello che segna l’intera opera

creatrice e indica non solo la dimensione di ordine e di armonia del creato, ma

anche la reazione emotiva, estatica, di sorpresa e di gioia di fronte all’opera compi-

uta. La Parola di Dio crea una realtà splendida che desta stupore e ammirazione.

Gratuità e stupore sono dimensioni implicite della bellezza. Essa non serve a niente

se non alla contemplazione. L’ammirazione estatica del creato, uscito bello e

splendido dalle mani di Dio, è espressa mirabilmente dal salmista che passando in

rassegna le opere di Dio esclama: «Quanto sono grandi, Signore, le tue opere!

Tutto hai fatto con saggezza» (Sal 104,24). Il Dio creatore e redentore è il «Dio che

compie meraviglie» (Sal 77,14). La contemplazione della luminosa bellezza del

creato e lo splendore della santità sono espressioni di una stessa azione di Dio che

compie opere meravigliose nel mondo e nella vita degli uomini.

163

La meraviglia è l’inizio della sapienza

137. Lo stupore di fronte alle cose, la capacità di lasciarsi sorprendere e di ri-

manere in ascolto della loro voce silenziosa sono da sempre i temi cari alla rifles-

sione filosofica dell’Occidente. Tutto ha inizio dalla meraviglia, ossia dalla consa-

pevolezza della propria ignoranza e dal desiderio di apprendere, di conoscere, di

sapere. Stato d’animo raro e prezioso, la meraviglia è la sola espressione della vera

libertà. I due massimi filosofi greci, Platone e Aristotele, erano d’accordo sul fatto

che lo stupore era all’origine della speculazione filosofica. Il primo fa dire a Socrate:

«È proprio del filosofo questo che tu provi, di esser pieno di meraviglia, né altro

cominciamento ha il filosofare che questo»221. Il secondo, dal canto suo, ribadisce:

«Gli uomini, sia ora sia in principio, cominciarono a filosofare a causa della meravi-

glia»222. La meraviglia di cui parlano Platone e Aristotele non indica solo un senti-

mento estatico, ma richiama anche un’attitudine cognitiva, una sospensione che

chiede di rendere ragione delle cose che sorprendono per la loro apparente incom-

prensibilità e cercare la spiegazione e il senso più profondo; cercare cioè il fonda-

mento delle cose e non solo il loro aspetto fenomenico e appariscente.

La vita è meravigliosa

138. A chi contempla ogni frammento di vita con stupore, essa appare di una

bellezza sorprendente. In fondo la vita non è che la continua meraviglia di esistere.

Viviamo le nostre giornate percorrendo le stesse vie, frequentando gli stessi luoghi,

incontrando le medesime persone e forse non ci accorgiamo del loro reale valore.

Di volta in volta, scopriamo cose che ci appartengono e ci sono care ed altre che ci

sembrano estranee e indifferenti, ma quando vengono a mancare ne compren-

diamo il loro vero valore. Sì, la vita è una continua sorpresa. Essa ha il sapore della

poesia e, come ogni parola poetica, è la «la limpida meraviglia di un delirante fer-

mento»223. Un sogno divenuto realtà, secondo il poeta russo Arsenij Tarkovskij:

E lo sognavo, e lo sogno,

e lo sognerò ancora, una volta o l’altra,

e tutto si ripeterà, e tutto si realizzerà,

e sognerete tutto ciò che mi apparve in sogno.

221

Platone, Teeteto 155d. 222

Aristotele, Metafisica I, 2, 982 b 12-13. 223

G. Ungaretti, Commiato, nella raccolta Il porto sepolto, in Vita d’un uomo - Tutte le poesie, Arnoldo Mondadori Editore, Segrate (MI) 1969.

164

Là, in disparte da noi, in disparte dal mondo

un’onda dietro l’altra si frange sulla riva,

e sull’onda la stella, e l’uomo, e l’uccello,

e il reale, e i sogni, e la morte: un’onda dietro l’altra.

Non mi occorrono le date: io ero, e sono e sarò.

La vita è la meraviglia delle meraviglie,

e sulle ginocchia della meraviglia

solo, come orfano, pongo me stesso

solo, fra gli specchi, nella rete dei riflessi

di mari e città risplendenti tra il fumo.

E la madre in lacrime si pone il bimbo

sulle ginocchia224.

La vita è un miracolo

139. La vita è una meraviglia non perché è un “dato”, ma perché è un “dono”.

Scoprire la bellezza della vita vuol dire riconoscere che essa è la manifestazione di

un miracolo. Nel suo romanzo I Demoni, Dostoevskij ammoniva che soltanto la

bellezza è indispensabile all’uomo e, pochi decenni dopo, Antoine de St. Exupery

riprendeva con forza quest’idea sostenendo che non si poteva vivere solo di beni di

consumo, ma che occorreva dare all’esistenza un senso spirituale. È un’ammo-

nizione, questa, ancora più valida nel nostro tempo divenuto l’epoca del disincanto

e del consumismo dove sembra che non ci siano più miracoli, ma solo istruzioni per

l’uso. Ma già il filosofo Wittgenstein affermava che la meraviglia per l’esistenza del

mondo nasce dall’esperienza «di vedere il mondo come un miracolo»225.

La meraviglia rivela il volto di Dio

140. Anche la ricerca di Dio è suscitata dalla meraviglia226 perché, in ultima anal-

isi, ciò che fa bello il mondo è la misteriosa presenza di Dio. Nella Bibbia, quando

una persona si trova davanti a Dio o a un suo angelo utilizza il vocabolario dello

stupore e del fascino timoroso. Nel corso della storia della salvezza, Dio si è mani-

festato spesso in modo imprevisto, ha operato frequentemente al di là delle aspet-

tative: ha invitato a vedere un giardino rigoglioso in pieno deserto; ha ordinato di

parlare a una roccia affinché ne sgorgasse acqua; ha aperto una strada in mezzo al

224

A.A. Tarkovskij, Lo sognavo, e lo sogno, in Poesie scelte, Scheiwiller, Milano 1989. 225

L. Wittgenstein, Conferenza sull’etica, in Lezioni e conversazioni sull’etica, l’estetica, la psicologia e la credenza religiosa, Adelphi, Milano 1967, p. 17. 226

Cfr. Gregorio di Nissa, La vita di Mosè, a cura di M. Simonetti, Mondadori, Milano 1984.

165

mare; ha fatto partorire sterili; ha scelto come re del suo popolo il più piccolo tra i

figli di Jesse. L’uomo biblico sa che il Signore è il Dio delle sorprese e che tutte le

sue opere sono meravigliose. La meraviglia diventa così la base dell’adorazione227.

141. Ne è convinto l’evangelista Marco, il quale fa della meraviglia una dimen-

sione fondamentale del suo racconto, quasi la chiave di lettura per la comprensione

di Cristo. Reazioni stupite, meravigliate, piene di timore e di paura accompagnano il

lettore del suo Vangelo. La meraviglia, però, è molto più di un ritornello stereoti-

pato a chiusura dei miracoli compiuti da Gesù o a commento delle sue parole sor-

prendenti. Essa ha una funzione rivelativa e non solo dimostrativa. Stupore e

meraviglia sono le prime reazioni di chi, davanti all’inaspettato, fa cadere le proprie

immagini preconcette e si lascia suggestionare da una novità presente che inter-

roga lo sguardo, la mente, il cuore. Soltanto chi si lascia stupire e interrogare dal

mistero di Gesù lo può incontrare davvero per quello che egli è: il Cristo, il Figlio di

Dio. Gesù annuncia una “bella notizia” che suscita stupore e meraviglia. Il Vangelo

che egli proclama, è lui stesso. Cristo è la “meraviglia delle meraviglie”.

È difficile, oggi, meravigliarsi

142. Oggi, però, è proprio questa convinzione ad essere diventata problem-

atica. Sfogliando un libro di antiche icone russe, Alexander, il protagonista del-

l’ultimo film di Andrej Tarkovskij (“Sacrificio”), si dice colpito da quelle splendide

tavole per la «saggezza e spiritualità (…) profonda e verginale nello stesso tempo.

Incredibile come una preghiera». Ma aggiunge, con sgomento: «Tutto questo è an-

dato perduto. Non siamo più neppure capaci di pregare». Quasi facendo da contral-

tare al “folle” descritto da Nietzsche nella Gaia Scienza che annuncia nella piazza

del mercato il tragico avvenimento della “morte di Dio”, in un altro film dello stesso

regista russo (“Nostalghia”), Domenico, il “folle di Dio”, annuncia il grande scandalo

a cui è giunto l’uomo contemporaneo: «L’umanità è giunta a un punto vergognoso!

Non siamo liberi da noi stessi. Io parlo perché tutti capiate che la vita è semplice e

che per salvarvi, salvare voi stessi e salvare i vostri figli, la vostra discendenza, il

vostro futuro, dovete ritornare al punto dove vi siete persi, dove avete imboccato

la via sbagliata! Bisogna tornare al punto di prima, in quel punto dove voi avete im-

boccato la strada sbagliata». E poco prima di sacrificare se stesso sopra la statua

del Marco Aurelio in Campidoglio grida: «Cosa abbiamo perduto? Perché nessuno

sa dirlo? Beh, lo dirò io: la fede cristiana. Questo abbiamo perso. Cioè l’amore alla 227

Cfr. T. Carlyle, Sartor Resartus, 1831-1834, trad. it. di Carla Maggiori, Sartor Resartus, Liberilibri,

Macerata, 2009.

166

vita». Come ricuperare questa fede? Come credere ancora all’amore? «Solo la bel-

lezza salverà il mondo» afferma Dostoevskij228. Ma di quale bellezza si tratta?

La bellezza della forma

143. La cultura greca ha identificato la bellezza nella forma. Per la tradizione

classica è bello ciò che è armonia, proporzione, misura. Platone ha il merito di ess-

ersi occupato, in modo approfondito, della bellezza e dell’amore. Per lui, bellezza,

amore, felicità, sono strettamente collegati. L’amore si serve della bellezza, come di

uno strumento, per sorpassare i limiti del finito e raggiungere l’eterno. La bellezza è

il fine (telos), l’oggetto dell’amore. Essa ha gradi diversi ai quali l’uomo può solle-

varsi solo successivamente attraverso un lento cammino. In primo luogo, ciò che lo

avvince è la bellezza di un bel corpo. Poi egli si accorge che la bellezza è uguale in

tutti i corpi e così passa a desiderare e ad amare tutta la bellezza corporea. Più so-

pra scopre la bellezza dell’anima; al disopra ancora, la bellezza delle istituzioni e

delle leggi e poi la bellezza delle scienze e infine, al disopra di tutto, la bellezza in

sé, che è eterna, superiore al divenire e alla morte, perfetta, sempre uguale a se

stessa e fonte di ogni altra bellezza229.

La bellezza dell’amore

144. La tradizione ebraica si differenzia dalla visione greca perché mette in

primo piano la bellezza dell’amore230. L’amore è il modo più profondo per com-

prendere la realtà. Bellezza e amore sono due parole spesso associate: l’amore ri-

vela il fascino della bellezza e, senza bellezza, non ci può essere vero amore. Quale

rapporto esiste tra amore e bellezza?

Nel racconto della creazione il termine ebraico tôv (bello/buono) ricorre come

un canto fermo nel commento divino all’opera dei sei giorni (cfr. Gen

1,4.10.12.18.21.25.31) e indica la bontà e la bellezza del creato agli occhi del Crea-

tore. In rapporto alle otto opere di Dio, ricorre sette volte. Secondo la tradizione

rabbinica, tôv non viene ripreso nell’opera del secondo giorno perché in esso Dio

compie la separazione delle acque dalle acque, della terra dal cielo. Ciò significa che

il bello è unità, non separazione, unione con Dio e desiderio del cielo, aspirazione

che nutre la nostalgia dell’eterno.

228

F. Dostoevskij, L’idiota, Ippolìt, III, 5. 229

Cfr. Platone, Simposio, 210a-211a. 230

«L’ideale di vita e di educazione, – scrive W. Grundmann – quale si esprime nella visione greca del kalos kagathos (bello/buono), non trova posto nell’etica biblica fondata sulla volontà di Dio che si manifesta nella legge», Kittel, Grande Lessico del Nuovo Testamento, V, Paideia, Brescia 1969, p. 28.

167

Il vocabolo ebraico tôv assume innanzitutto il significato di utile: il mondo è per

l’uomo, per il suo godimento e la sua fruizione. Tôv indica anche il senso estetico;

non è un caso che il traduttore greco della Genesi userà il termine greco kalòs, ov-

vero bello. La bellezza di cui parla la Bibbia, però, non è la bellezza che rimanda alla

bellezza divina, dalla quale proviene e alla quale perviene (secondo la linea platoni-

ca dell’éros e della partecipazione), ma richiama la benevolenza di Dio, il suo amo-

re, la sua grazia. In questo caso, tôv indica soprattutto un valore morale. È all’in-

terno di questa bontà che va colta la bellezza della creazione. Al di là della sua

fruibilità e bellezza, essa rimanda alla bontà e alla misericordia di Dio. Il mondo è

bello perché amato da Dio. Viene così sottolineato il primato dell’etica sull’estetica.

E ciò costituisce un antidoto alla società attuale minacciata dal pericolo della esteti-

cizzazione, dal momento che in essa prevale il mito del “sempre bello”, “sempre

giovane”, “sempre in forma”.

Cristo, «bellezza antica e nuova»231

145. La visione cristiana compie una sintesi tra pensiero greco e visione ebraica:

Cristo è bellezza della forma perché è bellezza dell’amore. Sant’Agostino e san

Tommaso da una parte richiamano la visione classica, dall’altra riprendono la pro-

spettiva biblica. In sintonia con la visione greca essi sostengono che bello è tutto ciò

che è proporzionato, integro, luminoso. La vera bellezza, tuttavia, si esprime nel-

l’amore e l’archetipo dell’amore è la Trinità divina. Per questo sant’Agostino escla-

ma: «Vedi la Trinità, se vedi la carità»232. L’“ordo amoris” partecipa se stesso alle

creature e segna con la sua impronta ogni realtà creata. Si diventa belli «amando

quello che è bello da tutta l’eternità. Più cresce in te l’amore, più cresce in te la bel-

lezza, perché l’amore è la bellezza dell’anima»233. Tra tutte le meraviglie compiute

da Dio nella storia della salvezza Cristo è la bellezza che salva. Rivelando lo splendo-

re dell’amore trinitario, egli manifesta l’amore che si dona fino alla fine. Ed è pro-

prio questo “amore folle” di Dio il volto della bellezza che redime il mondo ferito

dal male.

La bellezza di Cristo, Verbo incarnato

146. In quanto Verbo incarnato, Cristo è la bellezza divina che si manifesta at-

traverso la sua umanità. Egli è il più bello tra i figli degli uomini: la rivelazione e la

manifestazione della bellezza eterna, l’unità tra la forma e l’amore, tra l’estetica e

231

Agostino, Confessioni, 10, 27, 38. 232

Id., De Trinitate, VIII, 8, 12. 233

Id., In Epist. Jo, 9, 9.

168

l’etica. «A noi dunque, che crediamo, – scrive sant’Agostino – lo Sposo si presenti

bello. Bello è Dio, Verbo presso Dio; bello nel seno della Vergine, dove non per-

dette la divinità e assunse l’umanità; bello il Verbo nato fanciullo, perché mentre

era fanciullo, succhiava il latte ed era portato in braccio, i cieli hanno parlato, gli

angeli hanno cantato lodi, la stella ha diretto il cammino dei magi, è stato adorato

nel presepio, cibo per i mansueti. È bello in cielo, bello in terra, bello nel seno, bello

nelle braccia dei genitori; bello nei miracoli e nei supplizi; bello nell’invitare alla vita

e nel non curarsi della morte; bello nell’abbandonare la vita e nel riprenderla; bello

nella croce, nel sepolcro, in cielo […]. Suprema e vera bellezza è la giustizia; se

ovunque è giusto, ovunque è bello. Venga a noi per farsi contemplare con gli occhi

dello spirito»234.

La bellezza di Cristo povero

147. Nella sua umanità, Cristo rivela la forma più alta della bellezza: l’amore per

ogni uomo e, in modo particolare, per i poveri. In lui, bellezza e povertà non si op-

pongono, ma coincidono. Egli «da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi

diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2Cor 8,9). Ed è a questo ideale di

vita che bisogna ispirarsi in un tempo come il nostro, desideroso di bellezza, ma

avido di denaro. Sempre la Chiesa ha considerato i poveri come il suo “tesoro”.

Oggi essa riconosce che l’opzione per i poveri non è solo «implicita nella fede cris-

tologica»235, ma è anche l’orizzonte valoriale a cui si riferiscono gli spiriti più aperti

del nostro tempo.

Simone Weil ritiene che il rimedio e l’antidoto all’esasperata considerazione per

il danaro che ottunde e chiude in se stessi è la follia della santa povertà. Così ella

scrive: «L’Europa asservita e oppressa vedrà giorni migliori al momento della lib-

erazione, solo se nell’intervallo la virtù della povertà spirituale vi avrà messo

radice»236. E sottolinea che è necessario che «una élite accenda tra le masse mis-

erabili la virtù della povertà spirituale. Per questo, bisogna innanzitutto che i mem-

bri di questa élite siano poveri, non solo spiritualmente, ma di fatto. Bisogna che

subiscano tutti i giorni, nella loro anima e nella loro carne, le sofferenze e le umili-

azioni della miseria»237.

Solo la povertà potrà restituire l’uomo alla verità del reale e dare nuova

234

Id., En. in Ps., 44, 3. 235

Papa Francesco, Evangelii gaudium, 198. Sul tema della povertà cfr. ivi, 197-201. 236

S. Weil, Questa guerra è una guerra di religioni, in S. Weil, Sulla guerra, Pratiche Editrice, Milano 1988, p. 129. 237

Ivi.

169

bellezza alle cose. Ciò non vuol dire proporre un comportamento ascetico, ma ori-

entare gli uomini, liberi dai vincoli del possesso, al godimento condiviso dei beni del

mondo, in un clima di poesia e di bellezza. È la direzione proposta anche dal socio-

logo Zigmunt Bauman nel libro La società dell’incertezza. Queste le sue parole: «Al-

bert Camus scriveva nel 1953 in Retour à Tipasa: “c’è la bellezza e ci sono gli op-

pressi. Per quanto difficile possa essere, io vorrei essere fedele ad entrambi”. A

questa professione di fede si potrebbe solo aggiungere che sarebbe da condannare

il tentativo di realizzare una “fedeltà selettiva”, poiché difficilmente ci può essere

bellezza senza solidarietà con gli oppressi»238. Occorre, dunque, stabilire un legame

tra la dimensione etica (la solidarietà con gli oppressi) e quella estetica (la bellezza).

Cristo è il luminoso esempio e il supremo metro di misura del legame tra bellezza e

povertà. La Chiesa deve annunciare alla società contemporanea l’inscindibile rap-

porto tra la ricerca del bello e l’amore ai poveri239.

La bellezza di Cristo, crocifisso e risorto

148. Nel suo mistero pasquale di morte e resurrezione, Cristo evoca una nuova

idea di bellezza: il contrarsi dell’Onnipotente nella debolezza, dell’Infinito nel finito,

della gloria nell’umiltà, della croce nella risurrezione. La bellezza del Crocifisso-

Risorto è l’umiltà dell’amore che si manifesta nello splendore della kénosi. «Due

trombe – scrive ancora sant’Agostino, – suonano in modo diverso, ma uno stesso

Spirito vi soffia dentro l’aria. La prima dice: Bello d’aspetto, più dei figli degli uomini

(cfr. Sal 45,3); e la seconda, con Isaia, dice: Lo abbiamo visto: egli non aveva

bellezza, non decoro (cfr. Is 53,2). Le due trombe suonano mosse da un identico

Spirito; esse dunque non discordano nel suono. Non devi rinunciare a sentirle, ma

cercare di capirle». «Interroghiamo l’apostolo Paolo – prosegue il santo vescovo di

Ippona – per sentire come ci spiega la perfetta armonia delle due trombe. Suoni la

prima: Bello più dei figli degli uomini: essendo nella forma di Dio, non credette che

fosse una preda l’essere lui uguale a Dio. Ecco in che cosa egli sorpassa in bellezza i

figli degli uomini. Suoni anche la seconda tromba: Lo abbiamo visto e non aveva

bellezza, né decoro: questo perché egli umiliò se stesso, prendendo la forma di

servo, divenendo simile agli uomini, riconosciuto per la sua maniera di essere,

come uomo (cfr. Fil 2,5-7). Egli non aveva bellezza né decoro, per dare a te bellezza

238

Z. Bauman, La società dell’incertezza, cit., p. 24. 239

«La bellezza irresistibile di Dio splende attraverso l’assoluta povertà […]. Questa è la nostra sfida nel villaggio globale: mostrare la bellezza del Dio povero e impotente» (T. Radcliffe, Testimoni del vangelo, cit., p. 137-139).

170

e decoro. Quale bellezza? Quale decoro? L’amore della carità; affinché tu possa

correre amando e possa amare correndo»240.

Capitolo settimo

La bellezza di una Chiesa che ama, canta e cammina

«Canta e cammina!»

(Sant’Agostino)

La bellezza di una Chiesa, mistero di comunione

149. La bellezza di Cristo rifulge nella Chiesa in quanto essa è mistero di comu-

nione. Dono specifico dello Spirito, la comunione è frutto dell’amore del Padre e

della grazia offerta dal Signore Gesù (cfr. 2Cor 13,13). La comunione è partecipa-

zione alla vita divina e unità tra i credenti in Cristo, suscitata dallo stesso Spirito

come suo artefice e principale agente (cfr. Fil 2,1). Riprendendo una stupenda es-

pressione di san Cipriano, il Concilio insegna che la Chiesa è popolo di Dio adunato

nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo241. Icona storica della communio

trinitaria, la Chiesa è mistero che celebra le grandi gesta salvifiche compiute da Dio

nella storia. La liturgia diventa così culmen et fons242, condizione di verità della fede

praticata, alimento della vita quotidiana e della sua trasformazione in culto spiritu-

ale (Rm 12,1). Rimanendo in religioso ascolto di Dio che parla (religiose audiens)243,

la Chiesa ogni giorno riapre lo scrigno della Parola, fa memoria delle mirabilia Dei e

condivide le gioie e le speranze degli uomini considerando il mondo e il tempo

come il grande terreno in cui far germinare la Parola rivelata244.

La bellezza di una Chiesa dal volto eucaristico

150. Plasmata dall’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, la Chiesa,

oggi, deve far risplendere la sua identità come comunità attratta dalla bellezza di

Cristo risorto, nel quale rifulge lo splendore dell’amore della Trinità. Tutto nasce e

prende forma da questa fornace ardente di carità infinita. La carità è il segno di ri-

240

Agostino, In Epist. Io. 9, 9. 241

«Plebs adunata de unitate Patris ed Filii et Spiritus sancti» (Cipriano, De Orat. Dom., 23: PL 4, 536, citato in Lumen gentium, 4). 242

Sacrosanctum concilium, 10. 243

Dei verbum, 1. 244

Gaudium et spes, 1.

171

conoscimento, l’attestazione di credibilità, il contenuto della missione della Chiesa.

L’Eucaristia è la sorgente prima, il cuore pulsante, l’espressione più alta di una spiri-

tualità di comunione che si fa missione nel contesto della vita quotidiana245. Il dono

della comunione diventa un compito da realizzare attraverso l’esercizio della corre-

sponsabilità, della condivisione, della collaborazione.

La bellezza di una Chiesa che sa coniugare i verbi dell’amore

151. La Chiesa manifesta la sua dimensione comunionale quando coniuga i

verbi dell’amore. Stupirsi: rimanere a bocca aperta di fronte a qualcosa troppo

grande che ci supera e non può essere racchiuso in parole troppo piccole. Entusia-

smarsi: avere dentro una divina mania che contagia e avvolge con la sua gioia e las-

cia il cuore in festa. Meravigliarsi: scoprire che anche le piccole cose sono un vero

miracolo perché contengono una riserva di senso che ha dell’incredibile ed è supe-

riore a ciò che non era nemmeno possibile sperare o immaginare. Abbracciare:

stendere le mani per accogliere e ospitare l’altro nella propria anima. Piangere: lac-

rimare quando un forte dolore o una felicità traboccante non trova altra via

d’uscita se non il rivolo delle lacrime che sgorgano dagli occhi. Cantare: esprimere

con il canto l’amore che non si può dire con le parole. Danzare: lasciare che anche il

corpo segua la musica interiore dell’anima. Appassionarsi: sentire e sperimentare la

passione per Dio e per l’uomo (pati divina e pati humana); avvertire la forza di un

amore che sprigiona una energia sopita e trascina in un vortice impetuoso e inar-

restabile. L’amore non è una fiamma smorta né emana una luce fioca, ma arde,

brucia e consuma.

La bellezza di una Chiesa che vede con gli occhi dell’amore

152. Amare è guardare. Sbagliando la prospettiva o l’angolazione, ogni cosa

può risultare deformata. Il segreto per vedere bene è guardare con gli occhi del-

l’amore e scorgere la presenza di Dio in ogni cosa e in ogni uomo. L’amore vede in

ogni realtà l’impronta divina e, nell’uomo, riconosce il fratello da abbracciare.

L’amore, infatti, annulla le distanze, scopre nuovi spazi, si apre all’orizzonte di un

nuovo cielo, intuisce ciò che è invisibile agli occhi del corpo, intravede la bellezza

dell’anima, ridona vita anche a coloro che sono ormai passati. Anche la preghiera è

invocazione che sgorga da uno sguardo d’amore246.

245

Cfr. Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, 43. 246

Cfr. Messale Romano, Preghiera eucaristica V/C.

172

La bellezza di una Chiesa che sa discernere con amore

153. L’uomo sa che non può vivere senza amore247 perché solo l’amore realizza

un profondo discernimento e crea un “circolo virtuoso” tra teoria e prassi, pensiero

e azione. L’amore non ammette parzialità e colpevoli ritardi, ma aspetta e attende

il momento più opportuno per effondere la sua benefica azione. Assume il passo

dell’altro, camminando a seconda delle circostanze con un andamento lento o con

improvvise accelerazioni. Sa comprendere le emergenze, ma disdegna le improvvi-

sazioni. Non è allettato dal prurito delle novità e non si lascia sedurre dalle mode

passeggere. Sa stare dentro le evoluzioni del tempo, ma porta sempre con sé il

sapore dell’eternità. È attento al contesto socio-culturale e si ingegna a individuare

un’idea progettuale attorno alla quale costruire un intero percorso individuando

con una sapiente creatività, strategie e itinerari idonei al raggiungimento del fine

prefissato.

La bellezza di una Chiesa che ama l’essenziale

154. L’amore evita ogni forma di dispersione e frammentazione, tralascia i par-

ticolari e va al nocciolo delle questioni, portando con sé il senso dell’insieme. Cerca

l’essenziale e opera in direzione di una sintesi e di un’integrazione. Si interessa del-

l’unum necessarium e mette da parte ciò che è secondario. Non rimane in superfi-

cie, ma scende in profondità. Non si disperde in una molteplicità di cose, ma perse-

gue ciò che veramente ha valore (non multa, sed multum). Non è ossessionato

«dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di im-

porre a forza di insistere. Quando si assume un obiettivo pastorale e uno stile mis-

sionario, che realmente arrivi a tutti senza eccezioni né esclusioni, l’annuncio si

concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo

stesso tempo più necessario. La proposta si semplifica, senza perdere per questo

profondità e verità, e così diventa più convincente e radiosa»248.

La bellezza di una Chiesa, unita nell’amore

155. L’amore genera l’unità249 e questa si realizza a cerchi concentrici. Si parte

dall’unità nella persona per giungere all’unità tra le persone e tra le comunità.

L’amore realizza innanzitutto l’unità nella persona. Per il peccato «l’uomo si trova in

se stesso diviso. Per questo tutta la vita umana, sia individuale che collettiva, presen-

247

Cfr. Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, 10. 248

Papa Francesco, Evangelii gaudium, 35. 249

«Se davvero l’amore riesce ad eliminare la paura e questa si trasforma in amore, allora si scoprirà

che ciò che salva è proprio l’unità» (Gregorio di Nissa, Omelie sul Cantico dei cantici, 15).

173

ta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre»250.

L’unità nella persona è il primo passo per realizzare l’unità nella comunità e tra le

comunità, l’unità della e nella pastorale (a livello interparrocchiale, foraniale, dioce-

sano). Le comunità non sono divise da muri invalicabili, ma sono legate tra loro da

ponti facilmente percorribili. L’unità nella Chiesa locale, poi, si allarga alla Chiesa uni-

versale e questa diventa «segno e sacramento dell’intima unione con Dio e dell’unità

di tutto il genere umano»251.

La bellezza di una Chiesa, trasfigurata dall’amore

156. L’amore non lascia le cose e le persone come sono, ma le modella, le tras-

forma e dona loro bellezza e luminosità. Non c’è nessuno che l’amore «non trasfig-

uri rendendolo divinamente ispirato alla virtù, al punto da farlo diventare simile a

chi per natura è valoroso in sommo grado»252. L’amore non è riduzione, alienazione

e consegna passiva e nemmeno invasione nell’altro, fusione cieca e amorfa, ma è

unione nella differenza e nella distanza, abbandono nella “giusta misura”. L’amore

non annulla l’altro, ma lo sostiene e lo eleva. Come diceva sant’Agostino, la parola

d’ordine dell’amore è: volo ut sis («voglio che tu sia quello che sei»). L’amore ac-

coglie l’altro così come egli è, ma non lo lascia come l’ha trovato. L’amore insegue e

persegue, guarisce e risana, plasma e orienta, costruisce e trasfigura.

La bellezza di una Chiesa che fascia con amore le ferite

157. Come il buon samaritano, il cristiano manifesta la concretezza del suo a-

more prendendosi cura dell’uomo e fasciando le sue ferite253. Per lui, l’amore è tut-

to, e tutta la sua vita deve essere plasmata da questa legge suprema e da questo

comandamento fondamentale. Per questo sant’Agostino afferma: «Ti viene impo-

sto un breve precetto: ama e fa’ ciò che vuoi; se taci, taci per amore; se parli, parla

per amore; se correggi, correggi per amore; se perdoni, perdona per amore; sia in

te la radice dell’amore, poiché da questa radice non può procedere se non il be-

ne»254. La carità contiene tutte le virtù: «È paziente nelle avversità, moderata nella

prosperità. È forte in mezzo alle dure sofferenze, piena di gioia nelle opere buone;

nelle tentazioni sicurissima; nell’ospitalità larghissima; lietissima tra i veri fratelli;

pazientissima con quelli falsi (...). È l’anima dei libri sacri, la virtù della profezia, la

250

Gaudium et spes, 13. 251

Lumen gentium, 2. 252

Platone, Simposio, 174a. 253

Papa Francesco, Evangelii gaudium, 209-216. 254

Agostino, Commento alla Prima Lettera di San Giovanni, Omelia, 8, 7.

174

salvezza dei sacramenti, la forza della scienza, il frutto della fede, la ricchezza dei

poveri, la vita dei morenti»255.

La bellezza di una Chiesa che loda Dio e serve l’uomo

158. L’amore non ha un fine estrinseco, ma intrinseco. «Basta a se stesso, piace

per se stesso e in ragione di sé. È a se stesso merito e premio. L’amore non cerca

ragioni, non cerca vantaggi all’infuori di sé. Il suo vantaggio sta nell’esistere. Amo

perché amo, amo per amare»256. Il fine dell’uomo è amare e il vero amore consiste

nel dare gloria a Dio vivendo tutta l’esistenza «in laudem gloriae» (Ef 1,6.12.14). «Il

perfetto e pieno gloriarsi in Dio, si verifica quando uno non si esalta per la sua giu-

stizia, ma sa di essere destituito della vera giustizia e comprende di essere stato

giustificato nella sola fede in Cristo»257. La lode di Dio, poi, non consiste in altro se

non nell’offrire la propria vita per la salvezza dell’uomo. La Chiesa esiste «pro mun-

di vita» (Gv 6,51).

La bellezza di una Chiesa che cammina nell’amore

159. Chi ama, cammina. L’amore non lascia nell’inerzia e nell’accidia, né scade

in uno sterile pessimismo258, ma infonde dinamismo, non si arresta di fronte alle dif-

ficoltà e corre con slancio verso la meta agognata. «Caritas Christi urget nos», e-

sclama l’apostolo Paolo (2Cor 5,14). La carità invita ad uscire da sé per andare spedi-

tamente incontro alla meta259. Lo stesso amore che ha spinto Cristo a camminare

decisamente verso Gerusalemme (cfr. Lc 9,51), sprona la Chiesa a compiere il suo pel-

legrinaggio terreno verso la Gerusalemme celeste. La Chiesa, infatti, è «popolo di Dio

in cammino che, con Cristo e dietro a Cristo, consapevole di non avere in questo

mondo una stabile dimora (cfr. Eb 13,14), marcia per le vie della città terrena verso la

Gerusalemme celeste»260. Per questo, come un esule e uno straniero che desidera far

ritorno alla sua patria, il cristiano cammina nel mondo, tra persecuzioni e consolazio-

ni, afflizioni e difficoltà, cercando e pensando «alle cose di lassù, dove Cristo siede al-

la destra di Dio, dove la vita della Chiesa è nascosta con Cristo in Dio, fino a che col

suo sposo comparirà rivestita di gloria»261.

255

Id., Disc., 350, 3. 256

Bernardo di Chiaravalle, Discorsi sul Cantico dei Cantici, 83, 4. 257

Basilio Magno, Omelia 20 sull’umiltà, c. 3. 258

Cfr. Papa Francesco, Evangelii gaudium, 81-86. 259

Cfr. ivi, 20-24. 260

Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, Direttorio su pietà popolare e liturgia, 247. 261

Lumen gentium, 6.

175

La bellezza di una Chiesa che canta l’amore

160. La consapevolezza di essere stati amati senza alcun merito, ma in virtù del-

la sovrabbondante ed infinita misericordia di Dio trasforma l’esistenza in un canto

di lode a quell’Amore che è sorgente perenne di vita. Cantare il proprio amore al

Dio-Amore è il fine dell’uomo e il compito principale della missione della Chiesa.

Per questo sant’Agostino esorta:

O fratelli, o figli, o popolo cristiano,

o santa e celeste stirpe, o rigenerati in Cristo,

o creature di un mondo divino,

ascoltate me, anzi per mezzo mio:

“Cantate al Signore un canto nuovo”.

Ecco, tu dici, io canto.

Tu canti, certo, lo sento che canti.

Ma bada che la tua vita

non abbia a testimoniare contro la tua voce.

Cantate con la voce, cantate con il cuore,

cantate con la bocca,

cantate con la vostra condotta santa.

“Cantate al Signore un canto nuovo”.

Mi domandate che cosa dovete cantare di colui che amate?

Parlate senza dubbio di colui che amate,

di lui volete cantare.

Cercate le lodi da cantare?

L’avete sentito:

“Cantate al Signore un canto nuovo”.

Cercate le lodi?

“La sua lode risuoni nell’assemblea dei fedeli”.

Il cantore diventa egli stesso la lode del suo canto.

Volete dire le lodi a Dio?

Siate voi stessi quella lode che si deve dire,

e sarete la sua lode, se vivrete bene262.

262

Agostino, Disc., 34, 1-3, 5-6.

176

Conclusione

Tota pulchra

«In Maria Immacolata, contempliamo

il riflesso della Bellezza che salva il mondo:

la bellezza di Dio che risplende sul volto di Cristo»

(Benedetto XVI)

Maria, la bellezza della grazia

161. La nostra vita scorre in un contrasto tra la luce e le tenebre, tra il chiarore

dell’alba e l’oscurità della notte. I giorni passano monotoni e si avvicendano in

questo chiaroscuro. Eppure «ogni giorno nel mondo rinasce la bellezza, che risus-

cita trasformata attraverso i drammi della storia»263. Noi uomini aneliamo a questa

luce. Sì, abbiamo bisogno di luce che illumini le nostre menti e riscaldi i nostri cuori,

ci sveli la verità e ci attragga per la sua bellezza. Proprio nei giorni di luce fioca e

dimessa, mentre le tenebre sembrano addensarsi bisogna rivolgersi a Maria264 che,

per uno speciale intervento della grazia, è la tota pulchra (Ct 4,7)265.

Maria, la bellezza che vince il male e dona dignità alla terra

162. È lei la fulgida bellezza, il riflesso della santità divina, l’atto di donazione

totale e assoluta, la forza soprannaturale che sconfigge il male266. In Maria, la donna

alta sopra le stelle, possiamo scorgere l’irrompere della bellezza di Dio nella storia,

quale dono d’amore desiderato e atteso. La nuova Eva è la madre immacolata, im-

mune da ogni peccato e splendente di ogni bellezza, la donna che ridà «dignità alla

terra»267. Sì, Maria è il vanto, il fiore, lo splendore, il profumo, la gloria della terra.

Con parole poetiche, Alda Merini canta la bellezza della Vergine:

che vuol dire la semplice, la buona,

la colma di grazia.

Maria è il respiro dell’anima, è l’ultimo soffio dell’uomo.

Maria discende in noi,

263

Papa Francesco, Evangelii gaudium, 276. 264

Cfr. C. Péguy, La Santa Vergine, La Locusta, Vicenza 1971, pp. 7-11. 265

Sul tema della Vergine Maria quale via della bellezza cfr. S. De Fiores, La via pulchritudinis nella mariologia postconciliare, in A. Langella (a cura di) Via pulchritudinis & mariologia, Atti del II e del III Convegno dell’Associazione mariologica internazionale (Santa Marinella, novembre 2001 e Roma, settembre 2002), Roma 2003, pp. 167-195. 266

«Madre, chi t’ha veduta una volta non subirà mai più il fascino del male» (Novalis, Canti spirituali, XIV). 267

Agostino, Maria, dignitas terrae.

177

è come l’acqua che si diffonde in tutte le membra e l’anima,

e da carne inerte che siamo noi

diventiamo viva potenza.

Germogliava in lei luce

come se in lei in piena notte

venisse improvvisamente il giorno268.

Maria, la bellezza che è verità e bontà

163. La Vergine di Nazaret è icona di quella bellezza che è splendore della bontà

e della verità269. È bella perché con cuore umile e con parola vera ha accolto la vo-

lontà di Dio e si è lasciata possedere dallo Spirito di pace270. Con due immagini, la

Scrittura presenta Maria quale ideale supremo di perfezione: «speculum sine macu-

la» (cfr. Sap 7,26), chiaro riferimento alla bellezza della Vergine che riflette sul

mondo la luce della sapienza incarnata; «Donna vestita di sole» (cfr. Ap 12,1), sim-

bolo cosmico di una bellezza che riconosce in Maria l’aurora della redenzione. La

via della bellezza e la via della verità conducono entrambe a cantare la Vergine

come il tabernacolo della trascendente bellezza divina che ha preso dimora nel suo

grembo verginale e ha ridato nuovo splendore e incanto a tutto il creato271.

Preghiera

Bellezza sei tu o Maria,

e perla smagliante di luce

sei raggio splendente di sole

e gemma dai mille colori.

Corona di dodici stelle

circonda il tuo volto radioso

268

A. Merini, Magnificat, in Mistica d’amore, Frassinelli Editore, Milano 2008. 269

Cfr. Paolo VI, Discorso ai partecipanti del VII Congresso mariologico internazionale e del XIV Congresso mariano internazionale, Roma 17 maggio 1975, AAS 67, 1975, p. 338. 270

Cfr. A. Gouhier, L’approche de Marie selon la via pulchritudinis et la via veritatis, in “Études mariales” 32-33, 1975, pp. 70-80. 271

Cfr. A. Bello, Maria donna bellissima, in Id., Scritti mariani, vol. 3, Luce e vita, Molfetta (BA) 2005, pp. 90-93.

178

e sotto i tuoi piedi la luna,

dal volto lucente, riposa.

Dal tuo paradiso insegni

che ogni bellezza terrena

è appena un ruvido seme

destinato a fiorire in cielo.

O mistica donna credente,

modello di fede immortale,

nei cuori viandanti tu desta

nostalgia e voglia d’eterno.

Sperare contro ogni speranza

è ardua e difficile impresa,

ma tu non ti arresti e non temi,

vivace fontana di speme.

Maria de finibus terrae,

plenilunio di primavera

e faro che segni la rotta

per giunger sicuri al porto.

Veniamo a te con fiducia

pregando con voce filiale

d’aprirci la porta del cielo,

e varcare la stanza regale.

Intorno al trono di gloria

l’angelica danza ci avvolge,

coi santi e tutti i beati

eterna cantiamo la gioia.

Mistero d’amore e di pace

è il Padre che ti ha pensata,

il Figlio che ti ha amata,

lo Spirito che ti ha ornata.

ORDINAZIONI NOMINE MINISTERI DISPOSIZIONI

181

ORDINAZIONI, NOMINE, MINISTERI, DISPOSIZIONI

in data 30 marzo 2014 Antonio Mariano, della parrocchia “Maria SS.

Ausiliatrice” in Taurisano, è istituito lettore, e

Michele Sammali della parrocchia “S. Nicola Ma-

gno” in Salve è istituito accolito, nella Cappella

del Seminario Regionale Pugliese in Molfetta.

Il Vescovo nomina

in data 1° gennaio 2014 padre Pino Schinello, religioso dei Padri Passioni-

sti, vicario parrocchiale della parrocchia “Natività

della Beata Maria Vergine” in Tricase (DV 1/14

cancelleria)

in data 2 gennaio 2014 don Flavio Ferraro, rettore del santuario “Beata

Vergine Maria Assunta” in Marina Serra - Tricase

(DV 2/14 cancelleria).

Il Vescovo conferma

in data 2 febbraio 2014 padre Mario Carparelli, religioso dell’Istituto

Missioni Consolata, vicario parrocchiale della

parrocchia “Annunciazione di Maria Vergine” in

S. Maria di Leuca (DV3/14 cancelleria).

Il Vescovo decreta

in data 4 marzo 2014 l’introduzione della causa di canonizzazione della

serva di Dio Mirella Solidoro (Taurisano 1964-

1999) dopo aver ottenuto l’unanime consenso

della Conferenza Episcopale Pugliese e il nulla o-

sta della Congregazione per le cause dei santi

(DV 13/14 cancelleria).

CONSIGLIO PRESBITERALE

CONSIGLIO PASTORALE

185

VERBALE DELLA RIUNIONE DEL 20 FEBBRAIO 2014

Il giorno 20 del mese di febbraio dell’anno 2014, alla presenza del vesco-

vo mons. Vito Angiuli, si tiene, presso l’Auditorium Benedetto XVI in Alessa-

no, la riunione congiunta del Consiglio Presbiterale e del Consiglio Pastorale

Diocesano, come da convocazione inviata in data 30 gennaio 2014, con il se-

guente ordine del giorno:

– fase preparatoria del Convegno Ecclesiale di Firenze: per una lettura

socio-culturale del territorio in cui vive e opera la diocesi di Ugento-

S.M. di Leuca

– Settimana Teologica Diocesana – 10-14 marzo 2014

– varie ed eventuali.

Risultano assenti giustificati: don Mario Macrì, don Giuseppe Martella,

don Carmine Peluso, don Donato Piccinni, don Rocco Zocco, Fernando De

Pietro, Irene Maglie, Rosetta Martella, Luigi Russo, Delio Sparascio.

Il Vescovo dà il benvenuto ai presbiteri e ai laici convenuti e apre i lavori

con la preghiera.

1. Il Vescovo comunica che, in relazione al Convegno Ecclesiale di Firenze

sul tema“In Gesù Cristo il nuovo umanesimo” la diocesi ha offerto il suo con-

tributo di riflessione, come tutte le diocesi italiane.

Pertanto, la diocesi ha elaborato un documento che, partendo dall’ana-

lisi del territorio circa l’individuazione dei punti di forza e delle persistenti

fragilità, proseguirà il suo lavoro di approfondimento nel periodo di marzo e

aprile, per predisporre un quadro completo della situazione socio-culturale

ugentina.

La specifica commissione, composta da don Giuseppe Indino, Vito Cas-

siano, Mario e Giulia Macrì, Silvana Bramato e Mimmo Turco, procede alla

lettura del documento elaborato dalla stessa. Al termine della lettura, il Ve-

scovo sollecita i presenti a intervenire per offrire opportuni contributi e ap-

profondimenti.

Negli interventi che seguono si ringrazia la commissione per l’ottimo e

186

puntuale lavoro svolto. Alcuni sottolineano la necessità di insistere di più su-

gli aspetti sociali dell’evangelizzazione, altri propongono una maggiore at-

tenzione alla dimensione missionaria ed educativa delle parrocchie, altri in-

fine invitano ad evidenziare di più gli aspetti positivi rispetto ai punti di

criticità.

Il Vescovo ringrazia la commissione e quanti sono intervenuti per le op-

portune integrazioni e chiarificazioni. Propone di inviare il testo una-

nimemente approvato ai componenti dei due Organismi Pastorali e di pub-

blicarlo sul prossimo numero del Notiziario diocesano, perché sia oggetto di

conoscenza e di riflessione da parte di tutti i sacerdoti e i laici.

Richiama, di seguito, alla necessità di intensificare l’opera di evange-

lizzazione, tenendo conto delle grandi risorse presenti sul territorio: la scuo-

la, per avere un contatto diretto con i giovani e aprire un dialogo costruttivo

con gli operatori scolastici sui grandi temi dell’educazione e della cultura;

l’ospedale di Tricase, dove si rende concreta la dimensione caritativa della

comunità diocesana attraverso l’opera zelante delle Suore Marcelline, coa-

diuvate dai sacerdoti e volontari laici; il turismo, grande opportunità di svi-

luppo economico del territorio e di integrazione culturale, grazie al grande

patrimonio artistico e religioso presente in ogni paese della diocesi.

Sottolinea, poi, gli aspetti positivi dell’attività missionaria e delle fonda-

zioni caritative in ambito sociale: fiore all’occhiello della diocesi ugentina.

Comunica, successivamente, che in ambito provinciale e regionale sono in

cantiere delle importanti iniziative per costituire delle fondazioni aventi lo

scopo di supportare le piccole imprese, mediante la concessione di micro-

crediti. Riferisce, anche, la notizia di aver ottenuto importanti contributi per

opere di ristrutturazione e di restauro del Seminario di Ugento e che il pros-

simo 25 aprile, alla presenza della cardinale Bagnasco, avrà luogo l’inaugu-

razione di un centro di accoglienza, Casa della convivialità “Don Tonino Bel-

lo”, presso l’antico convento di sant’Antonio in Alessano, restaurato con

finanziamenti della Caritas Italiana.

Facendo riferimento a un intervento del procuratore generale Cataldo

Motta, richiama la necessità di non trascurare il problema della criminalità

organizzata, e invita tutte le comunità a operare di più per educare la gente

187

al senso della legalità, al rispetto dell’ambiente e, soprattutto, a educare i

giovani perché diventino, oggi, protagonisti del loro futuro.

2. Si passa poi a trattare il secondo punto all’ordine del giorno, la Setti-

mana Teologica Diocesana, che si svolgerà dal 10 al 14 marzo 2014 e avrà

per tema: “La famiglia, immagine della Trinità”.

3. Il Vescovo esorta a una assidua e attenta partecipazione non solo dei

sacerdoti, degli operatori pastorali e dei laici, ma anche dei genitori, inse-

gnanti, professionisti e giovani.

Infine, comunica che dal 12 al 15 marzo sarà presente in diocesi l’arci-

vescovo di Kigali, una visita nel segno della comunione di fede tra Chiese so-

relle, che contribuirà a intensificare il rapporto di collaborazione materiale e

spirituale tra le due diocesi.

Suor Margherita Bramato, invitata dal Vescovo, ringrazia la Chiesa dioce-

sana per quanto fa per l’intera Comunità Ospedaliera “Card. Giovanni Pani-

co”, attraverso l’opera formativa e spirituale della cappellania e le varie as-

sociazioni di volontariato.

Alle ore 21,15, con la preghiera di rito, si chiudono i lavori.

Il Segretario verbalizzante

Antonio Chiuri

188

VERBALE DELLA RIUNIONE DEL 10 APRILE 2014

Il giorno 10 del mese di aprile dell’anno 2014, alla presenza del vescovo

mons. Vito Angiuli, si tiene, presso l’auditorium Benedetto XVI in Alessano,

la riunione congiunta del Consiglio Presbiterale e del Consiglio Pastorale

Diocesano, come da convocazione inviata in data 2 aprile 2014, con il se-

guente ordine del giorno:

– seconda parte della relazione pastorale in preparazione al convegno

ecclesiale di Firenze 2015

– varie ed eventuali.

Risultano assenti giustificati: don William Del Vecchio, don Flavio Ferra-

ro, don Mario Macrì, don Carmine Peluso, don Rocco Zocco, Concettina

Chiarello, M. Antonietta De Giuseppe, Fernando De Pietro, Irene Maglie, Ro-

setta Martella, Enea Scarlino, Ada Storella.

Il Vescovo dà il benvenuto ai presbiteri e ai laici convenuti e apre i lavori

con un breve momento di preghiera.

1. Il Vescovo dichiara aperta la seduta e, prendendo la parola, informa

circa gli incontri svoltisi a livello regionale, riguardanti le tematiche che do-

vranno essere affrontate al Convegno di Firenze.

Invita, quindi, don Stefano Ancora a dare lettura del documento pa-

storale, fatto pervenire preventivamente a tutti i componenti i due Consigli.

Al termine, il Vescovo invita i presenti a dare il proprio contributo di ri-

flessione e di integrazione. Gli interventi sono numerosi. Si constata, da una

parte, la positività di tante attività e iniziative diocesane, ma si rileva,

dall’altra, le tante problematiche da affrontare. Si è comunque in cammino

verso la ricerca delle cause e la risoluzione delle situazioni difficili.

2. Affrontando il tema della pastorale vocazionale, gli intervenuti rileva-

no che non mancano le iniziative finalizzate a promuovere nuove vocazioni

sia a livello maschile sia a livello femminile. Il Vescovo fa notare positiva-

mente l’alta percentuale di religiose straniere presenti nelle varie comunità

e l’aumento delle vocazioni al ministero sacerdotale e alla vita francescana.

189

Si invita, tuttavia, il Centro Diocesano per le Vocazioni a prodigarsi nel met-

tere in atto iniziative sempre nuove e si esortano le comunità cristiane a da-

re particolare attenzione agli oratori, luoghi privilegiati per sviluppare la di-

mensione vocazionale della vita. Suor Margherita, intervenendo, informa

che l’Ospedale da parte sua si prodiga nella preparazione umana, spirituale,

oltre che professionale del personale sanitario, promuovendo l’assistenza ai

malati e la formazione delle associazioni di volontariato.

Riguardo alla pastorale dei problemi sociali e del lavoro, interviene don

Lucio che riferisce come l’iniziativa promossa dal defunto vescovo mons. Vi-

to De Grisantis, Fondo Microcredito, si riveli sempre più utile nella ricerca di

lavoro da parte dei giovani che, sapendo di poter attingere ai finanziamenti

del Fondo, sono incoraggiati a intraprendere nuove attività lavorative. Per

questo motivo, don Lucio ribadisce che sarebbe opportuno e quanto mai uti-

le che le parrocchie si prodigassero in maniera più incisiva nel pubblicizzare

tale fondo, che allo stato attuale dispone di 190.000 euro. Altri interventi sul

tema del lavoro hanno evidenziato la necessità che le parrocchie siano più

disponibili a presentare ai giovani le strutture esistenti, utili alla creazione di

lavoro, quale il “Progetto Policoro”. Gigi Lecci e don Stefano Ancora sottoli-

neano la necessità che le parrocchie interagiscano con le istituzioni locali e,

tenendo presenti i vari contesti sociali e culturali, cerchino insieme le solu-

zioni più adeguate.

Il Vescovo, prendendo la parola, ringrazia tutti gli intervenuti per il pre-

zioso contributo dato nella discussione e ne sottolinea l’utilità per la cono-

scenza reciproca e per una maggiore interazione tra sacerdoti e laici e tra

parrocchie e istituzioni civili. Concludendo, auspica che comunicazione, inte-

grazione e apertura verso orizzonti più ampi, siano le strade maestre da in-

traprendere per uno sviluppo sociale, economico e morale.

L’incontro termina alle ore 21,40 con la preghiera di ringraziamento.

Il Segretario verbalizzante

Antonio Chiuri

190

RELAZIONE PREPARATORIA DELLA DIOCESI

AL CONVEGNO ECCLESIALE DI FIRENZE*

1. Lettura socio-culturale del Capo di Leuca

Le comunità della nostra Diocesi presentano una situazione ambivalente.

Da una parte c’è, e resiste ancora, una comunità cristiana che vive consa-

pevolmente la tradizione nelle forme proprie dell’ethos cristiano fatto di riti,

di un certo modo di essere e di comportarsi. È “zoccolo duro” di cristia-

nesimo che nonostante tutto resiste ed è presente anche in modo rilevante

nella società del Capo di Leuca. Si tratta di una situazione socio-culturale che

certamente va valorizzata perché è da essa che si deve ripartire per impo-

stare un processo di nuova evangelizzazione.

Attorno a questo “zoccolo duro” c’è un grande alone di cristianità forma-

le in cui si evidenziano modalità di vita cristiana caratterizzate da «debolezza

della vita di fede, riduzione del riconoscimento di autorevolezza del magiste-

ro, privatizzazione dell’appartenenza alla Chiesa, diminuzione della pratica

religiosa, difficoltà nella trasmissione della fede alle giovani generazioni».

Soprattutto tra i giovani e giovani-adulti assistiamo al consolidarsi di una

mentalità e di comportamenti fortemente secolarizzati.

Con un’immagine si può rappresentare questa situazione come un’oasi o

un piccolo orto (lo zoccolo duro), che non ha più un muro di cinta, per cui il

deserto che la circonda (l’alone di cristianità formale) penetra nell’oasi e si

estende oggi in una vasta distesa desertica di secolarismo e di materialismo.

A fronte di questa situazione, occorre un rinnovato impegno di missione di

evangelizzazione da parte delle comunità parrocchiali insistendo su tre linee

dell’agire pastorale: la dimensione culturale, la formazione degli operatori,

l’impegno caritativo e sociale.

Dall’analisi effettuata emergono le seguenti criticità:

* Allegata al verbale della riunione del 10 aprile 2014.

191

– l’eccessiva frammentazione nella comunità cristiana, dovuta a feno-

meni spiccati di individualismo, campanilismo, competizione fra persone e

fra gruppi, elemento tipico della cultura salentina;

– la crescita dei fenomeni di disgregazione dei nuclei familiari e nel con-

tempo atteggiamenti iperprotettivi dei genitori nei riguardi dei figli, che fati-

cano a staccarsi dalla famiglia di origine;

– una mentalità ancora fortemente assistenzialistica, legata all’attesa

spasmodica del posto fisso, e che impedisce soprattutto alle nuove genera-

zioni di maturare un atteggiamento di responsabilità nel campo affettivo, la-

vorativo e sociale;

– una mentalità chiusa nei giovani, spesso soffocati nel proprio contesto

territoriale (eccessivo “provincialismo”);

– la ripresa dei fenomeni migratori, che in questi ultimi anni hanno im-

poverito il territorio di talenti, per la mancanza di politiche scolastiche e so-

ciali capaci di prospettare un futuro.

La Chiesa locale nelle sue strutture operative (parrocchie, foranie, uffici e

organismi di partecipazione) cerca di richiamare tutti ad un lavoro concorde

e unanime perché dalle iniziative si passi alla progettualità, dal raccordo dei

soggetti intorno ad una idea pastorale si passi alla corresponsabilità della

missione evangelizzatrice, dal buon lavoro fatto da soli maturi un lavoro fat-

to insieme.

Questo sforzo che la comunità cristiana svolge al suo interno può incide-

re anche a livello culturale e sociale gettando le basi una forma di partecipa-

zione comunitaria nel mondo del lavoro, delle politiche familiari, giovanili,

sociali e civili.

2. Vie per il superamento delle difficoltà

Tra le iniziative e le esperienze che hanno una rilevanza diocesana segna-

liamo le seguenti.

a) Per la formazione degli operatori pastorali e dei catechisti:

– la Settimana Teologica, esperienza giunta alla trentanovesima edizio-

ne, che coinvolge ogni anno, nella seconda settimana di Quaresima, oltre

192

600 fedeli in rappresentanza delle 43 parrocchie, delle associazioni e dei

movimenti, su un tema che viene definito ogni anno dall’Ufficio pastorale in

accordo con il Vescovo;

– il Convegno Pastorale Diocesano, che si svolge alla fine dell’anno pasto-

rale, nel quale si individuano le strategie per la verifica e l’azione pastorale a

livello diocesano, foraniale e parrocchiale;

– la Scuola Diocesana di Formazione per operatori pastorali, attiva sin dal

1974;

– il Convegno Catechistico Diocesano, che viene proposto ogni anno

dall’Ufficio catechistico nel periodo autunnale.

Questo lavoro formativo ha consentito un processo di purificazione della

pietà popolare e un rinnovamento costante della liturgia e della pastorale.

b) Per la famiglia e i giovani:

– il Consultorio Familiare Diocesano, associato alla Federazione pugliese

dei Consultori di ispirazione cristiana, che si occupa di avviare percorsi for-

mativi per operatori e facilitatori di gruppo, per animatori ed educatori di

adolescenti e giovani, di educatori all’affettività, alla sessualità, alla relazio-

nalità e di avviare itinerari di educazione alla vita matrimoniale per giovani

fidanzati e giovani coppie;

– una costante attenzione alla realizzazione di oratori, presenti in diverse

parrocchie della diocesi, diventati nel corso del tempo significative esperien-

ze di animazione giovanile e di vita pastorale; è stato anche realizzato un

percorso formativo per animatori di oratorio;

– la Scuola di Preghiera per giovani, guidata dall’Ufficio di Pastorale gio-

vanile, che si svolge da diversi anni e che vede partecipi molti gruppi giovani-

li, soprattutto adolescenti, provenienti da diverse comunità parrocchiali;

– l’esperienza estiva del GREST, grazie alla collaborazione tra ufficio di pa-

storale giovanile e il FOU (forum degli oratori ugentini), che vede coinvolte la

maggior parte delle parrocchie con la partecipazione di migliaia di ragazzi.

c) Per l’ambito sociale e assistenziale:

– l’esperienza dell’Ospedale “Cardinale Panico” di Tricase, una delle tre

193

strutture ospedaliere di ispirazione religiosa presenti in Puglia, gestita dalla

Pia Fondazione di Culto e Religione “Card. G.Panico” delle Suore Marcelline;

– il Centro “Maior Caritas” di Tricase gestito dall’associazione di volonta-

riato “Orizzonti d’accoglienza” che si occupa di ospitare i familiari dei degen-

ti dell’Hospice “Casa Betania” presso l’Ospedale “Panico” ed una volta alla

settimana eroga il servizio mensa alle persone indigenti;

– il centro socio riabilitativo dei Padri Trinitari di Gagliano del Capo, con

un’attenzione specifica ai problemi della disabilità, grazie al quale sono nate

anche due cooperative sociali;

– l’esperienza della Comunità San Francesco, con sede principale presso

la parrocchia di Gemini, che si occupa del recupero delle tossicodipendenze

e dell’accoglienza di minori;

– il Banco delle Opere di Carità della Puglia, con sede principale ad Ales-

sano, impegnata nell’assistenza alimentare alle famiglie in condizione di in-

digenza, grazie alla fornitura di derrate alimentari attraverso enti caritativi

convenzionati.

d) Per il mondo del lavoro:

– il Progetto Policoro, promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana nel

1995 che vede da sempre impegnata la nostra Diocesi in un progetto di e-

vangelizzazione, formazione e promozione dei gesti concreti relativi al con-

trasto alla disoccupazione, soprattutto quella giovanile;

– sempre nell’ambito del progetto Policoro è operativa dal 7 febbraio

2013 la Fondazione “Mons. Vito De Grisantis” impegnata nella gestione del

progetto di microcredito sociale a sostegno di giovani ed adulti della diocesi

intenzionati ad avviare un’iniziativa imprenditoriale, in collaborazione con la

Banca Popolare Pugliese;

– nell’ambito cooperativo ed associazionistico ispirate dal progetto Poli-

coro si segnalano: la “Domus Dei” formata da giovani volontari per la gestio-

ne dei beni culturali della Diocesi; la “Freedom” in collaborazione con

l’ufficio di Pastorale del turismo per la fruibilità dei beni architettonici ed ar-

tistici di proprietà ecclesiastica e l’individuazione ed esplicitazione di un per-

corso turistico denominata “via Leucadensis”; l’Associazione “Form. Ami”

194

per la formazione nell’ambito del lavoro; la sezione diocesana dell’UCID, per

promuovere un’etica imprenditoriale ispirata alla Dottrina Sociale della

Chiesa.

e) Per l’ambito missionario indichiamo:

– la missione in Rwanda, con la presenza da alcuni decenni di sacerdoti

“Fidei donum” della nostra diocesi

– l’Associazione di volontariato internazionale “Amahoro onlus”, legata

all’Ufficio Missionario diocesano, che gestisce una Bottega del commercio

equo e solidale a Ruffano, presso la parrocchia San Francesco

– la missione in Albania, a Saranda, delle Suore Marcelline con la costitu-

zione del “Centro Sociale Santa Marcellina”.

3. Esperienza positiva

Tra tutte le esperienze pastorali sopra descritte degna di nota, per

l’impegno profuso e per il coinvolgimento dei vari settori della vita pastorale

e il riflesso avuto sulla società civile, è l’esperienza nel mondo del lavoro che

l’Ufficio di pastorale sociale e del lavoro ha promosso in questi anni

nell’ambito del Progetto Policoro.

In particolare si sottolineano le esperienze a favore dei giovani disoccu-

pati o in cerca di lavoro come l’iniziativa “Work in Progress” dove circa 250

giovani dai 18 ai 40 anni sono stati aiutati da una rete di uffici pastorali e so-

ciali a mettersi in contatto con aziende ed esperienze lavorative presenti sul

territorio.

Il nostro Vescovo, Mons. Vito Angiuli, sottolinea come la Chiesa Diocesa-

na vuole e deve "essere accanto" ai giovani che vivono questa situazione di

disoccupazione e sull'importanza "del lavorare insieme". Bello lo stimolo sul-

la necessità di modificare la vecchia idea del lavoro, pensato come lavoro

dipendente e possibilmente pubblico, che da decenni ormai è radicata nella

mentalità dei giovani e degli adulti residenti nei nostri territori, generando

così un atteggiamento di assistenzialismo e di clientelismo politico, per pro-

muovere una nuova cultura del lavoro intesa come promozione di se stessi e

delle proprie virtù, cogliendo le necessità e le opportunità del nostro bellis-

195

simo territorio, ultimo lembo d’Italia – De finibus terrae – bagnato dai due

mari, in modo particolare coniugando agricoltura, artigianato e turismo.

Una forte e solida iniziativa concreta di solidarietà e accompagnamento

dei giovani ed adulti nel mondo del lavoro, tanto vasto quanto problemati-

co, nella diocesi di Ugento è l’esperienza del Progetto Policoro. Sin dal 1995,

nel nostro territorio diocesano ha voluto significare un percorso di cambia-

mento culturale soprattutto nel superamento della concezione errata ed ob-

soleta del lavoro come “posto fisso” calato dall’alto, a quella dell’auto-

imprenditorialità individuale o in forma cooperativa. Questo cammino ha

sviluppato sempre più una presa di coscienza e di responsabilità dell’intera

Comunità diocesana di fronte alla crescente piaga della disoccupazione sia

dei giovani, che hanno difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro, e sia per la

fascia adulta della popolazione che ha perso il lavoro (in particolare in segui-

to all’azzeramento del settore TAC (Tessile, Abbigliamento, Calzaturiero).

Grazie a questo cammino e all’intuizione del compianto Vescovo Mons.

Vito De Grisantis, e all’incoraggiamento del nuovo Vescovo, Mons. Vito An-

giuli, dal 2011 è operativa la Fondazione intitolata allo stesso Vescovo dece-

duto nel 2010, impegnata nella gestione del Fondo di garanzia microcredito

sociale “Progetto Tobia”. Questo programma, attivo dal 7 febbraio 2013, ha

come scopo quello di aiutare i giovani disoccupati, le donne e quanti hanno

perso il lavoro, ad intraprendere in modo singolo o associato.

Il Fondo di Garanzia-Progetto Tobia sostiene l’avvio dell’attività impren-

ditoriale garantendo un prestito concesso dalla Banca Popolare Pugliese in

convenzione con la Fondazione da restituire nei tempi e nelle misura defini-

te. Per la realizzazione dei progetti imprenditoriali, particolare importanza

riveste il tutoraggio verso i giovani svolto dal Comitato tecnico della Fonda-

zione e dal Centro Servizi Progetto Policoro.

A oggi, il fondo di garanzia “Progetto Tobia” è costituito da euro

190.000,00, di cui euro:

– 70.000,00 dall’obolo personale del vescovo, dei sacerdoti e dei diaconi

della diocesi di Ugento-S.M. di Leuca, dal contributo delle parrocchie, enti

ecclesiastici e Istituti Religiosi;

– 50.000,00 dai fondi Cei dell’8x1000, messi a disposizione dalla Diocesi;

196

– 30.000,00 dall’Ambito Territoriale di Gagliano del Capo;

– 40.000,00 dalla Caritas Italiana.

Nel primo anno di operatività del “Progetto Tobia”, coincidente con il pe-

riodo più critico a livello economico nazionale, sono nate 5 attività imprendi-

toriali nel territorio della Diocesi appartenenti a diversi settori del commer-

cio e della ristorazione, di cui 4 su 5 sono state realizzate da donne, inoltre

circa 30 persone hanno ricevuto informazioni dal Centro Servizi circa il mi-

crocredito sociale.

Un’altra importante iniziativa per contrastare la disoccupazione giovanile

è stata il “Work in Progress - 1° laboratorio attivo per il lavoro”: un percorso

per aiutare i giovani ad approcciarsi al mondo del lavoro, giudicato positi-

vamente dai partecipanti proprio per la sua originalità e per la sua dinamici-

tà. Il primo percorso è stato pensato nel far toccare con mano ai giovani di-

soccupati la presenza nella realtà del sud Salento di iniziative imprenditoriali

di eccellenza in diversi settori, proprio per sfatare il detto che al Sud non c’è

nulla e dare coraggio per rimanere sul proprio territorio e pensare insieme

alcune attività.

Già nella modalità di invito dei giovani sono state coinvolte le 43 Comu-

nità Parrocchiali che hanno fatto partecipare all’iniziativa quasi 230 giovani.

Grazie a tutto ciò alcuni giovani hanno partecipato a bandi regionali (es.

Principi Attivi, Piccoli Sussidi) e i loro progetti sono stati ammessi a finanzia-

mento. Altri hanno intrapreso attività imprenditoriali attraverso l’azione del

microcredito sociale - Progetto Tobia.

Certamente, come indica il titolo dell’iniziativa, si tratta di un percorso

che è iniziato e che va proseguito. Infatti anche nel 2014, in modo particola-

re il 29-30 maggio, si sta realizzando lo stesso laboratorio, con modalità e

argomentazioni differenti rispetto alla prima edizione, e si porteranno a co-

noscenza le aziende che hanno intrapreso grazie alla scorsa edizione, inoltre

si rimarcherà nuovamente l’obiettivo di consolidare la rete di relazioni crea-

tasi intorno a questo evento. Infatti Coldiretti, Confartigianato, Confcoope-

rative, Confindustria giovani - LE, CISL, Puglia Sviluppo, Italia Lavoro, daran-

no il loro apporto, gratuitamente, ai giovani che vogliono intraprendere

un’attività lavorativa.

197

“Work in progress” è una testimonianza di come il lavoro vada cercato

secondo altre prospettive, sfruttando anche quelle poche novità che la legi-

slazione italiana e regionale è riuscita a proporre in questi anni. Così come

vanno sfruttate quelle opportunità offerte alle giovani generazioni in termini

di sostegno alla nuova imprenditorialità. È un mondo che sta cambiando

quello che abbiamo voluto proporre ai nostri giovani. Continuare ad incon-

trarli, proprio nella logica dei “lavori in corso”, mettendo a disposizione

strumenti ed opportunità offerti dalla Rete, è l’impegno che il gruppo pro-

motore mette in atto. Oggi grazie a questi cammini c’è anche una certa sin-

tonia con le Istituzioni Pubbliche nell’affrontare queste problematiche.

ATTIVITÀ PASTORALE DELLA DIOCESI

201

CURIA

VERBALE DELLA RIUNIONE DI LUNEDÌ 9 GIUGNO 2014

Oggi, lunedì 9 giugno 2014, si sono riuniti insieme al vescovo mons. Vito

Angiuli i direttori degli Uffici di Curia per programmare le attività del nuovo

anno pastorale.

La riunione si è aperta con l’intervento del Vescovo che ha sottolineato

alcuni principi fondamentali che devono ispirare il servizio alla diocesi da

parte degli Uffici.

Innanzitutto, si chiarisce che il soggetto dell’azione pastorale non è il sin-

golo ma la comunità. Pertanto, i direttori degli Uffici sono invitati a cammi-

nare insieme e in collaborazione reciproca, evitando protagonismi che pro-

ducono solo frammentazione delle attività.

La Curia è al servizio dell’unità nella diocesi; è ponte tra le parrocchie e la

vita diocesana.

Per questo motivo tutti gli Uffici, insieme, sono chiamati a superare la

mentalità dell’individualismo, favorendo una più incisiva ed efficace corre-

sponsabilità.

Conviene più camminare meno spediti ma insieme, piuttosto che più ve-

loci ma da soli.

All’interno di questa idea di servizio comune all’unità, si inserisce la pro-

grammazione pastorale scandita da obiettivi, metodi e tempi.

Il quadro di riferimento teologico-pastorale “Educare a una forma di vita

meravigliosa” sarà per il decennio una bussola di orientamento per tutti: uf-

fici, parrocchie, pastori, comunità.

Esso servirà alla Chiesa diocesana per contestualizzare l’azione pastorale

nel territorio in cui è chiamata a vivere e operare, sollecitata a leggere sem-

pre meglio e con maggiore attenzione il mutamento culturale difficile e

complesso, che chiama tutti a nuove sfide, soprattutto nell’ambito dell’edu-

cazione umana e alla fede.

202

L’azione pastorale non sarà, quindi, astratta o semplicemente teorica ma

avrà dei destinatari ben precisi e chiare finalità: la famiglia, in primis, i gio-

vani e il discernimento vocazionale.

A tal proposito, una maggiore attenzione sarà data alla pastorale familia-

re, a partire dalla preparazione all’iniziazione cristiana e dei fidanzati al ma-

trimonio, accompagnando con appositi percorsi formativi la famiglia sin dal

battesimo dei figli.

Gli Uffici di Curia sono vivamente invitati a progettare e attuare percorsi

formativi integrati che costituiscano un chiaro riferimento per l’organizza-

zione delle attività pastorali.

In conclusione, il Vescovo invita tutti i direttori di Uffici alla formazione

permanente, partecipando a convegni di studio a livello regionale e nazio-

nale.

Dopo l’intervento del Vescovo, il Vicario per la pastorale, don Stefano

Ancora, illustra il tema del nuovo anno pastorale, che è in sintonia con il

prossimo convegno ecclesiale di Firenze: “In Gesù Cristo il nuovo umanesi-

mo”.

Ogni direttore di Ufficio ha esposto in sintesi il programma specifico delle

attività pastorali per l’anno 2014-2015.

La riunione si è conclusa con la preghiera dell’Angelus.

Ugento, 9 giugno 2014.

Il vice-Cancelliere

don Mario Ciullo

203

UFFICIO PER LA PASTORALE

INCONTRI DELLE FORANIE PER LA VERIFICA SUL TEMA PASTORALE DELL’ANNO

A metà anno pastorale, le comunità parrocchiali hanno effettuato, se-

condo le indicazioni dell’opuscolo distribuito alla fine del Convegno pastora-

le del giugno precedente, una verifica sul cammino compiuto e su quello an-

cora da compiere circa il tema dell’anno: “Il volto educativo e missionario

della parrocchia”.

Le relazioni delle singole parrocchie, poi, sono state consegnate al pro-

prio Vicario foraneo per essere unificate in una sintesi da presentare e discu-

tere nell’incontro di forania.

Tali incontri si sono tenuti tra la fine di gennaio e i primi giorni di feb-

braio e sono stati presieduti dal Vescovo.

Si riportano le sintesi delle quattro foranie della diocesi.

SINTESI DELLE RELAZIONI PARROCCHIALI

Forania di S. Maria di Leuca

La comunione tra i sacerdoti è buona: ci si incontra con una certa perio-

dicità per favorire momenti di preghiera, per intensificare il rispetto,

l’attenzione, la stima, la fraternità e il confronto reciproci.

Alcuni, già da tempo, condividono anche il pranzo: si ritrovano insieme

ogni giorno i due parroci di Leuca e il parroco di Castrignano con la Comunità

dei padri Trinitari.

Nel primo incontro di Forania è stato concordato un calendario di incon-

tri per tutto l’anno.

Una maggiore collaborazione si constata tra le Comunità di Castrignano e

204

frazioni e Gagliano e frazioni: le persone, già vicine territorialmente hanno

molti interessi in comune; Alessano e Montesardo, per gli stessi motivi, si ri-

trovano di più con Tiggiano, Corsano, Barbarano e Ruggiano.

Le Comunità, radicate nel territorio, sono attente all’accoglienza verso

tutti, partendo dagli ultimi, e cercano di mettere ognuno a proprio agio È un

cammino che impegna tutti e ciascuno e che richiede un impegno costante e

tenace.

Si tengono in buon conto e sono valorizzati i progetti e le proposte della

Diocesi.

Mediante le caritas parrocchiali o altri gruppi equivalenti, ogni Comunità

cerca di leggere la propria situazione concreta per promuovere una pastora-

le di comunione che superi l’assistenzialismo e favorisca la crescita, la for-

mazione dei singoli, puntando all’attenzione, alla disponibilità, alla condivi-

sione, alla fraternità.

Non soltanto va coordinata meglio, in collaborazione con il Banco ali-

mentare, la distribuzione degli alimenti perché nella stessa Comunità si eviti

che qualche famiglia sia servita da più Enti a scapito di altri poveri, ma va

privilegiata una catechesi che coinvolga tutti, adulti, giovani e ragazzi perché

si superi l’individualismo, che soffoca la voglia di collaborare e di favorire il

bene comune e si deve sensibilizzare ogni Comunità perché punti all’es-

senziale, alla sobrietà, per imparare a non appropriarsi di ciò che per giusti-

zia è dei poveri.

La collaborazione con le Istituzioni è ben avviata: nel rispetto delle com-

petenze e dei ruoli è più facile nei Comuni, meno immediata nelle frazioni.

Le diverse Comunità sono particolarmente impegnate nella catechesi in-

dirizzata ai ragazzi perché assaporino la straordinaria paternità di Dio e viva-

no i Sacramenti come tappe nel loro itinerario di vita cristiana.

I genitori sono coinvolti, in alcune Comunità, con percorsi ben strutturati,

in altre con incontri saltuari che favoriscono l’accoglienza della Buona Novel-

la perché, prendendo coscienza della loro vocazione di coniugi cristiani, con-

solidino il loro amore e diventino ciò che sono: maestri di cattedra nella

formazione dei figli, lasciando trasparire ciò che desiderano affidare al loro

cuore attraverso il linguaggio degli occhi che è l’esempio.

205

I catechisti, valorizzando la Scuola diocesana per animatori e l’apporto

formativo e spirituale delle singole Comunità, offrono più o meno un servizio

adeguato per promuovere nei ragazzi una mentalità di fede.

Sono stati proposti tre incontri per tutti i catechisti della Forania: un’oc-

casione preziosa per uno scambio e un arricchimento vicendevole.

La catechesi dei giovani in alcune Comunità è settimanale, in altre sal-

tuaria: si ritiene di dover incoraggiare soprattutto una formazione umana e

spirituale che favorisca la crescita e la maturazione umana e cristiana dei

ragazzi.

Gli itinerari in preparazione al Matrimonio sono spesso interparrocchiali:

una seria verifica aiuterebbe ad analizzare più approfonditamente la nostra

realtà e proporre percorsi che diventano itinerari di fede: la maggior parte

dei giovani ha chiuso il suo cammino con la Cresima e, all’inizio dei nostri iti-

nerari, spesso si suppone una fede che è vacillante o manca del tutto.

Alessano, 28 gennaio 2014.

Il Vicario Foraneo

don Gigi Ciardo

Forania di Tricase

In seguito alla riflessione che le singole parrocchie della Forania hanno

fatto sul sussidio “Il volto educativo e missionario della parrocchia”, meta

pastorale per l’anno 2013-2014, i rispettivi parroci hanno stilato una sintesi

finale.

Dalle relazioni è emerso che la collaborazione tra i sacerdoti della forania è

visibile nell’aiuto vicendevole, riguardante la sostituzione nella Messa Dome-

nicale e le Confessioni natalizie e pasquali; inoltre due parrocchie condividono

la mensa settimanale per i poveri presso la Maior Caritas. Nonostante queste

iniziative di aiuto pastorale, si è consapevoli che manca, ancora, una pro-

grammazione comune che vada oltre i confini giuridici di una parrocchia.

Durante gli incontri di forania si è discusso molto sulla stima tra presbiteri,

206

base del lavorare insieme; è emerso che la stima reciproca non si veda tanto

dal proporre iniziative in comune, quanto dal rispetto dell’operare del confra-

tello, dal non parlare male di lui, dal tenersi lontano dal pettegolezzo e rispet-

tando la riservatezza e il silenzio. Si è sottolineato inoltre che comunione non

è distruggere ciò che si trova nella Parrocchia non appena se ne prende pos-

sesso, ma è rispetto del lavoro del parroco precedente.

Riguardo l’apertura e l’accoglienza verso gli altri, le nostre parrocchie

manifestano un buon dialogo verso istituzioni e associazioni e si sforzano di

dimostrarsi accoglienti verso i lontani (immigrati, ragazzi ospiti di diverse ca-

se famiglia, ...) e verso le varie forme di povertà, spirituali e materiali. Di

grande aiuto è il Banco delle Opere di Carità e le raccolte di viveri che spesso

si fanno nelle parrocchie durante le Domeniche dei tempi forti. Manca, an-

cora nella maggior parte delle comunità, la caritas parrocchiale.

Le parrocchie testimoniano l’essere comunità di fede innanzitutto con la

partecipazione attiva alla Celebrazione eucaristica, dalla quale si attinge la

forza e la passione a testimoniare la fede in Cristo in diversi ambiti. La Cate-

chesi è uno dei momenti fondamentali della pastorale delle nostre parroc-

chie, nelle quali le attività sono ben preparate e strutturate (incontri con il

parroco, paraliturgia, serate di catechesi e formazione umana, …). Un buon

numero di catechisti hanno frequentato o frequentano la Scuola Diocesana

per animatori pastorali. Riguardo i casi di irregolarità si hanno direttive chia-

re provenienti dalla Diocesi, anche se non sempre si ha un criterio comune.

Riguardo le problematiche giovanili, le nostre parrocchie si dimostrano

molto attente. Con l’aiuto dei vari educatori si cerca sempre più di mettersi

in cammino con i ragazzi, ascoltare i loro bisogni, insoddisfazioni, accompa-

gnarli nella scoperta della loro vocazione con una proposta che sappia pre-

sentare e motivare la bellezza dell’insegnamento evangelico. Le varie par-

rocchie stanno insistendo a comprendere sempre meglio il metodo dell’Ora-

torio per far sì che i ragazzi facciano un’esperienza di vita cristiana.

I Consigli Pastorali Parrocchiali e quegli degli Affari Economici sono pre-

sente nella maggior parte delle parrocchie. Si riuniscono sistematicamente.

Proposte emerse:

1. Contrasto al gioco d’azzardo. In ogni paese sono presenti più sale-

207

giochi e numerose sono le famiglie coinvolte. Alcuni sacerdoti hanno sug-

gerito alcuni azioni comuni per contrastare tale fenomeno:

– non benedire i locali che fanno uso di giochi d’azzardo, né all’apertura

né durante la benedizione annuale dopo la Pasqua;

– proporre ai Servizi Sociali, per le persone con il vizio del gioco, la so-

spensione dei sussidi;

– sgravi fiscali per i locali che non hanno slot-machine e sale di video-

lotterie e inasprimento delle tasse sugli immobili muniti di tali giochi;

– incontri di sensibilizzazione da fare nelle foranie.

2. Laboratorio Diocesano di segni di speranza nella precarietà di lavoro e

di progetto di famiglia:

– conoscenza dei servizi diocesani delle azioni del Progetto Policoro

– il “Prestito della Speranza”

– il “Microcredito” della Fondazione Mons. Vito De Grisantis.

Tiggiano, 29 Gennaio 2014.

Il segretario Il Vicario Foraneo

don Luigi Stendardo don Lucio Ciardo

Forania di Taurisano

1. Tutti hanno affermato la necessità della comunione tra i sacerdoti, per

essere espressione dell’unità pastorale nella parrocchia e tra le parrocchie,

ma nello stesso tempo hanno evidenziato molta difficoltà nel realizzarla,

specialmente dove ci sono più parrocchie. Vi sono, comunque, dei segni po-

sitivi: soprattutto nei tempi forti sono state realizzate esperienze interpar-

rocchiali.

2. Le comunità parrocchiali sono aperte verso tutti e cercano di stabilire

rapporti di dialogo e di collaborazioni con le altre realtà istituzionali. Pur-

troppo non sempre il dialogo è fluido e la collaborazione resa possibile, spe-

cialmente lì dove c’è un atteggiamento di diffidenza verso la Chiesa.

3. In tutte le parrocchie si pone grande attenzione nei confronti delle va-

208

rie povertà, facendo ricorso al Banco delle Opere e alla Caritas, ma anche

con individuali-personali segni di solidarietà.

In particolare vengono realizzate:

– visite agli ammalati

– sostegno a famiglie in difficoltà

– attenzione alle badanti rumene e polacche

– la locanda di Emmaus

– la mensa della comunità

– altre iniziative per creare “benessere sociale”, come – ad esempio- il

Presepe vivente.

Per rispondere alle povertà affettive, relazionali, educative e morali di

molte famiglie, da una parrocchia è stata richiesta la presenza degli operato-

ri del Consultorio Diocesano Familiare, che ormai opera da alcuni anni a pie-

no ritmo.

4. I progetti diocesani, come a esempio il “Progetto Tobia”, non sono co-

nosciuti dalle comunità o, laddove sono stati presentati, non sono presi in

considerazione.

5. In alcune parrocchie si attuano azioni formative sulla legalità, sulla

prevenzione della devianza e sul rispetto dei beni pubblici.

Ad esempio:

– ragazzi delle Scuole Medie hanno incontrato il Commissario di Polizia

per riflettere sulla legalità

– in una parrocchia sono stati accolti ragazzi affidati dal Tribunale dei

Minori e sono stati messi in atto percorsi per il recupero; si incontrano, pe-

rò, grandi difficoltà perché il contesto presenta frequentemente realtà

concrete di illegalità che contraddicono e rendono vano lo sforzo di educa-

re alla legalità.

6. La catechesi dell’iniziazione cristiana è curata in ogni parrocchia. Tutti

hanno rilevato la necessità di coinvolgere le famiglie. Sono già in atto alcune

esperienze che consistono in incontri per genitori o nel coinvolgimento dei

genitori nella catechesi per adulti. Non tutti i genitori si lasciano coinvolgere.

È in atto un’esperienza di catechesi familiare.

7. Altre forme di catechesi:

209

– la catechesi battesimale, che però a volte si riduce a due-tre incontri

per spiegare il rito

– varie occasioni di annuncio, che non sempre si trasformano in percorsi

di catechesi sistematica.

8. Un problema evidenziato riguarda le tappe relative alla celebrazione dei

sacramenti: è necessaria univocità e convergenza nella indicazione dell’età e

della modalità per evitare la confusione e il disorientamento dei genitori.

9. Riguardo alla preparazione degli operatori e dei laici è emersa la diffi-

coltà di farli partecipare alla Scuola Diocesana di Formazione, per cui la for-

mazione avviene in alcuni casi nei gruppi di appartenenza o è curata dal par-

roco.

10. Non vi sono momenti di riflessione, di scambio e di soluzione condivi-

sa riguardo ai casi di irregolarità nel campo della morale familiare e sessua-

le, per cui alcuni hanno detto che li affrontano dopo uno scambio con opera-

tori o con gli organismi diocesani specifici.

11. Gli itinerari di Preparazione al Matrimonio non sempre sono organiz-

zati a livello parrocchiale e non sempre si presentano come itinerari di fede

né nei contenuti, né nel metodo, né nei tempi. In alcune realtà sono orga-

nizzati a livello interparrocchiale.

12. È molto difficile attuare la pastorale giovanile, che in alcuni casi è cu-

rata dall’Azione Cattolica a livello interparrocchiale.

In una parrocchia un gruppo di giovani si impegna sia in incontri di pre-

ghiera e di formazione sia nell’organizzazione di varie attività come campi

scuola, grest, giochi e animazione di piazze, feste con gli anziani, ecc.

13. Le unità pastorali potrebbero essere le foranie.

14. Non tutte le parrocchie hanno fatto riferimento agli organismi di par-

tecipazione come il Consiglio Pastorale Parrocchiale e il Consiglio per gli Af-

fari Economici e non sono state espresse considerazioni circa il funziona-

mento.

Ruffano, 30 gennaio 2014.

Il Vicario Foraneo

don Mario Politi

210

Forania di Ugento

1. Introduzione

Il presente testo è la sintesi delle diverse relazioni pastorali parrocchiali

presentate dai rispettivi parroci della forania di Ugento; il metodo utilizzato

per elaborare le singole relazioni è stato quello assembleare. In alcune par-

rocchie, infatti, è stata convocata un’assemblea parrocchiale per conentire

una più ampia partecipazione dell’intero popolo di Dio; altre comunità

hanno privilegiato gli incontri di verifica pastorale con le diverse commis-

sioni parrocchiali e i diversi gruppi e movimenti.

I sacerdoti della forania si sono poi riuniti con il vicario foraneo per

condividere i risultati delle diverse verifiche parrocchiali e per delineare un

unico documento che di seguito presentiamo.

2. Lettura del contesto sociale

L’odierno contesto sociale si caratterizza per le sue forti antinomie. Una

di queste, tra le più emergenti e perniciose, riguarda lo stato delle relazioni

sociali tra le persone. La tecnologia ha sviluppato nuove frontiere relazionali,

consentendo alle persone di essere sempre in contatto tra loro; i concetti di

confine e di distanza sono in continuo mutamento giacché oggi è possibile

comunicare con qualsiasi area del mondo con un solo “click”.

Assistiamo, però, allo stesso tempo, ad una spersonalizzazione delle

stesse relazioni; aumentate in termini quantitativi, risultano qualitativa-

mente scarse. Le amicizie sono diventate “contatti”, i dialoghi sono divenuti

SMS (Short Message System), post o tweet, assoggettati alle leggi della bre-

vità dei caratteri e dell’essenza assoluta di privacy, tanto cercata, ma sempre

disattesa, almeno nei più noti social network. Il prodotto di questa ipercon-

nessione è in realtà l’iperisolamento.

Parlare oggi di comunità, intesa come luogo delle relazioni tra persone

legate da una comune identità e dall’appartenenza ad un territorio (batte-

simo e territorio parrocchiale, per esempio), sembra oramai desueto. I nuovi

paradigmi che si impongono sono quelli della community, luogo virtuale (o

non luogo) caratterizzato da legami deboli, dipendenti dalla scelta libera dei

contatti e disgiunti da ogni criterio tradizionale di appartenenza.

211

La nostra comunità cristiana, inserita in questo contesto sociale, è for-

temente influenzata da tali fenomeni; i rapporti sociali, che ancora sono im-

portanti e centrali nella nostra cultura, sono viziati dall’influsso negativo dei

social network. Tutto ciò non accade solo tra le giovani generazioni; troppo

spesso gli adulti sono quasi catturati dal mondo digitale e intrappolati nelle

sue logiche. Internet, da potenzialità, diviene limite.

La parrocchia è chiamata, in qualità di comunità di fedeli legati dalla

comune appartenenza alla Chiesa cattolica e che dimorano nello stesso ter-

ritorio, a sostenere i legami tra i suoi membri, suscitando sempre rapporti di

prossimità, con vincoli concreti di conoscenza e di amore, ponendo al centro

della propria vita il mistero di Cristo, celebrato nei sacramenti e testimo-

niato nell’esistenza concreta dei credenti.

3. La parrocchia, casa di Dio tra le case degli uomini

La parrocchia, comunità di persone che condividono la stessa identità

filiale e l’appartenenza ad un medesimo territorio, è il luogo nel quale deve

necessariamente nascere e svilupparsi una comunione fattiva. Tale co-

munione si edifica attorno all’Eucaristia, sacramento di comunione per ec-

cellenza, e si fortifica attraverso relazioni umane sempre più sincere.

In questo senso, significativa è la testimonianza dei sacerdoti. Essi parte-

cipano con il Vescovo dell’unico sacerdozio di Cristo (cfr. PO, 2); per tale ra-

gione, devono esprimere, attraverso la loro vita sacerdotale, la comunione

con il Vescovo e tra di loro, condizione necessaria perché vi sia vera e-

spressione dell’unità pastorale anche tra le singole parrocchie. Emerge

che, laddove i sacerdoti vivono autentici legami di amicizia, intesi come

comunanza di vita, condivisione delle proprie esperienze pastorali, proget-

tazione comune di percorsi pastorali, anche le comunità da loro guidate

sono più facilitate alla collaborazione. Per suscitare sempre nuova e fe-

conda comunione occorre puntare e lavorare molto sull’identità, sulla

spiritualità e sulla missione del sacerdote diocesano, stimolando forme

concrete di condivisione e di fraternità. L’alternanza dei sacerdoti tra le

varie comunità parrocchiali non sempre aiuta la comunione presbiterale. I

sacerdoti auspicano un momento di riflessione e di confronto aperto sul

212

tema. Le nostre comunità parrocchiali sono generalmente animate dalla

buona testimonianza dei sacerdoti, soprattutto in parrocchie nelle quali

sono presenti parroco e vicario parrocchiale; essi fanno emergere una pro-

fonda sintonia pastorale che permette alle comunità di non avere tante

linee di guida – talvolta discordanti – ma una sola voce autorevole, declina-

ta nelle diverse sensibilità di ciascuno dei due. Deve crescere ancor più la

relazione e lo scambio pastorale con le altre comunità parrocchiali. Troppo

spesso la comunione e la collaborazione è limitata solo ai sacramenti.

Le nostre parrocchie si presentano animate da numerosi gruppi e

movimenti ecclesiali che rendono viva e ricca l’esperienza di fede; troppo

spesso però notiamo che la ricchezza di tale proposta è limitata dai tanti

paletti che gli stessi gruppi e movimenti pongono in essere. Il cammino ordi-

nario delle comunità parrocchiali, infatti, sembra essere calibrato sulla vita

dei movimenti e dei gruppi i quali hanno momenti formativi propri, e poche

– tra l’altro difficili – occasioni di incontri comuni. La disgregazione che ne

consegue, ha effetti anche sulla credibilità della vita pastorale delle comu-

nità e rende faticosa una pastorale autenticamente evangelizzatrice. La S.

Messa domenicale – grazie ai ripetuti interventi dei sacerdoti – diviene sem-

pre più il centro propulsore della vita parrocchiale, senza che essa sia carat-

terizzata da alcuna insegna di questo gruppo o di talaltro movimento. Si

auspica che i gruppi e i movimenti parrocchiali siano sempre più strumenti di

comunione, lievito che fermenta la massa, e non ostacolo all’apertura e al

dialogo con il mondo.

Una comunità parrocchiale animata da autentico spirito di carità non può

non volgere al propria attenzione nei confronti delle varie forme di povertà. Il

contesto economico segnato profondamente dalla crisi economica e sociale

ha acuito le difficoltà di numerose famiglie. Diventa sempre più complesso

rispondere alle nuove povertà che si fanno strada anche nei nostri piccoli con-

testi e, con la crisi economica, sta anche aumentando il disagio sociale. Le no-

stre comunità parrocchiali intervengono a sostegno di queste situazioni diffici-

li attraverso le Caritas parrocchiali e i gruppi delle Vincenziane e

dell’Apostolato della preghiera; è vero, però, che la carità sembra sempre de-

legata a queste realtà e, in modo particolare, demandata ai vari sussidi inviati

213

dalla Comunità Europea (AGEA). In questi ultimi anni è cresciuta l’attenzione

alle problematiche sociali e giovanili che riguardano soprattutto i giovani e il

fenomeno crescente degli esodati; come risposta si è data ampia attenzione ai

progetti promossi dall’Ufficio di pastorale sociale, del lavoro e di salvaguardia

del creato, in particolare il Progetto Policoro e il Progetto Tobia. Siamo ancora

lontani dall’idea che è la comunità cristiana a doversi prendere cura della per-

sone più deboli, vivendo una autentica esperienza di carità, pur non man-

cando le collette per le varie giornate di carità e di solidarietà.

Le parrocchie sono sempre state sollecitate al dialogo con le istituzioni e

con le altre realtà associative del territorio, grazie alla dinamicità dei nostri

contesti sociali cittadini. Non mancano durante l’anno occasioni di contatto

e di collaborazione con le varie realtà, in particolare con le Scuole, Ammini-

strazioni Comunali e Forze dell’Ordine per quanto riguarda l’educazione dei

ragazzi e le diverse problematiche sociali. L’Oratorio, laddove è ben organiz-

zato, quale ponte tra strada e Chiesa, diviene lo spazio privilegiato per il dia-

logo fecondo con la comunità civile; in questo luogo si programmano spesso

percorsi educativi comuni per promuove il bene e un senso autentico di cit-

tadinanza attiva e responsabile. Alcune parrocchie, poi, hanno anche fatto

esperienza di una feconda collaborazione con i Servizi Sociali del Tribunale

dei Minori di Lecce.

4. La parrocchia, una madre che genera alla fede

Nei nostri paesi è forte il senso della maternità della Chiesa; la chiesa

parrocchiale, infatti, è chiamata – a buon motivo – “chiesa madre”. Essa

genera, come grembo fecondo, genera nuovi figli a Dio e, come madre

amorevole, continua a educarli nella fede in ogni stagione della loro vita.

La nostre comunità parrocchiali, soprattutto nella celebrazione dei sa-

cramenti e nella catechesi, mettono al centro il mistero dell’amore di Dio e

della maternità della Chiesa, ponendo in luce l’attenzione che essa riserva

per ogni persona accompagnandola in ogni circostanza della propria vita,

dalla nascita fino al suo naturale compimento. La celebrazione dei sacra-

menti è sempre comunitaria e tende a mettere in luce il legame tra i vari

sacramenti e il Battesimo, porta della fede.

214

La catechesi per l’iniziazione cristiana inizia con la preparazione al Bat-

tesimo e continua con i percorsi di catechismo tradizionale e di ACR. La cate-

chesi per l’iniziazione cristina è quella più faticosa; catechisti e animatori

sperimentano, non di rado, la resistenza da parte di ragazzi che, troppo

spesso, sono appesantiti da altre attività collaterali al loro impegno scolasti-

co ordinario. Gli stessi ragazzi non sempre hanno chiara la differenza tra la

catechesi e l’IRC; questo contribuisce a far percepire la catechesi in maniera

scolastica, nonostante tutti gli sforzi fatti in direzione opposta. La proposta

avanzata ai ragazzi è quella di far vivere loro una autentica esperienza di vita

cristiana, cercando di integrare le esigenze di formazione con la vita. Gli

educatori e i catechisti vengono spronati a frequentare la Scuola diocesana

di teologia, a partecipare ai numerosi momenti formativi offerti dalla comu-

nità diocesana (Settimana teologica, convegno catechistico, formazione me-

todologica dell’ufficio catechistico e dei vari gruppi e movimenti ecclesiali

cui fanno capo) e sono accompagnati anche da incontri formativi parrocchi-

ali periodici. Si registra, però, una frammentazione delle varie offerte forma-

tive e si auspica una migliore organicità nelle proposte. Il momento forma-

tivo privilegiato rimane la Messa domenicale, durante la quale cresce

l’identità cristiana e si fortifica la fede nel Cristo Risorto.

Non manca l’attenzione alle giovani coppie di fidanzati. Ogni anno le par-

rocchie della forania organizzano un itinerario di formazione al sacramento

del matrimonio, vissuto come un autentico cammino di fede che mira a ris-

vegliare nei giovani anzitutto quella fede che talvolta è stata lasciata sopire

dopo la Cresima. Durante le catechesi emerge la forte influenza della cultura

contemporanea circa i temi sensibili della convivenza, del divorzio e della

vita umana (nascente e fine vita). Si auspica una maggiore collaborazione tra

le parrocchie della forania nello stabilire gli itinerari in maniera omogenea

durante tutto il corso dell’anno.

Nei percorsi di catechesi le famiglie rivestono un ruolo cruciale. Sono le

famiglie i primi soggetti che educano alla fede i ragazzi. A tal riguardo, nel

corso dell’anno catechistico i genitori dei ragazzi sono coinvolti nel percorso:

– dai sacerdoti, come momento di catechesi specifico per le famiglie, an-

che nella prossimità della celebrazione dei sacramenti dei figli

215

– dai catechisti/educatori, come condivisione del percorso educativo

proposto ai ragazzi.

La partecipazione delle famiglie a questi momenti formativi non è sem-

pre massiccia; è auspicabile una maggiore presenza dei genitori sia per

condividere la stessa esigenza educativa, sia per proporre loro un percorso

specifico di catechesi. Spesso sono proposte catechesi settimanali o mensili

sulla Parola di Dio.

Una delle realtà pastorali più importanti e difficili è quella del mondo gio-

vanile. Nelle nostre parrocchie si svolgono itinerari di fede per giovanissimi

che vanno dal dopo-Cresima fino al momento della fine della scuola superi-

ore. Esistono diversi percorsi; alcuni fanno riferimento ai movimenti ecclesiali,

come l’Azione Cattolica, l’AGESCI e l’MGM; altri, seguono una catechesi par-

rocchiale. Gli itinerari sono in entrambi i casi a cadenza settimanale, gli educa-

tori e i capi sono giovani-adulti e adulti che aiutano i ragazzi a crescere nella

fede e nella responsabilità. Alcune parrocchie hanno messo in evidenza la dif-

ficoltà di parlare di Cristo con i giovani; essi sembrano più disposti ad incon-

trarsi per parlare dei propri problemi e sogni, e non affrontare con serietà il

discorso sulla fede. È chiaro che le realtà giovanili parrocchiali sono una mino-

ranza rispetto ai ragazzi/giovani delle nostre comunità; in questo, rivestono

un grande ruolo gli Oratori. Essi sono frequentati da tanti giovani, anche quelli

che non fanno parte delle associazioni parrocchiali; in questi luoghi si ha la

possibilità di contatto e di dialogo con questi giovani. I giovani universitari non

frequentano i gruppi parrocchiali – anche a motivo delle distanze delle varie

sedi – ma non mancano di partecipare, quando sono in paese, alla Messa

domenicale mantenere il dialogo costante e costruttivo con i sacerdoti. Rive-

stono una notevole importanza le associazione cittadine; in esse sono pre-

senti molti giovani che talvolta rifiutano la fede, ma non sono sordi alle is-

tanze di dialogo e di feconda collaborazione. Alcuni parroci hanno proposto di

affidare la pastorale giovanile di gruppi di parrocchie viciniore a giovani sacer-

doti; la proposta, in realtà, è già stata sperimentata negli precedenti in città

con più parrocchie. Non sempre c’è stata buona riuscita sia a motivo degli im-

pegni dei sacerdoti giovani (essi nelle proprie comunità hanno anche altre at-

tività da seguire), sia per le resistenze degli stessi parroci.

216

5. La parrocchia, comunità corresponsabile e missionaria

L’unità pastorale più significativa è certamente quella all’interno delle

comunità parrocchiali. Riportare ogni realtà pastorale all’unità della fede è

lo sforzo principale fatto in questi anni; camminare nella stessa direzione,

programmare, educarsi e formarsi insieme sono le sfide delle nostre parroc-

chie. È auspicabile una maggiore unità a livello diocesano; troppi impegni,

talvolta non ben coordinati, interrompono la vita ordinaria delle comunità

parrocchiali. È auspicabile una autentica pastorale integrata e integrale nel

campo della formazione degli educatori alla fede.

Pensare le unità pastorali nel nostro contesto sociale vorrebbe dire anzi-

tutto superare le logiche di campanile che troppo spesso chiudono le nostre

comunità, e pensare ad una programmazione integrata in merito ad alcuni

ambiti pastorali specifici, quali la formazione degli educatori, le realtà giova-

nili, gli interventi nell’ambito sociale (carità, devianze, …).

Gli organismi di partecipazione, il Consiglio Pastorale Parrocchiale e il

Consiglio per gli Affari Economici, presenti nella maggior parte delle parroc-

chie, sono convocati periodicamente per la programmazione e verifica pas-

torale.

6. Conclusione

Le nostre comunità parrocchiali, pur condividendo un contesto sociale

segnato da profonde ferite legate alla crisi economica e sociale, vivono au-

tentiche esperienze di fede e di vita fraterna.

Da quanto abbiamo letto e ascoltato dalle verifiche compiute dalle di-

verse parrocchie possiamo dire, allo stato attuale, che:

– la parrocchia è viva: è una realtà in continua evoluzione, che, pur attin-

gendo e custodendo la migliore tradizione ecclesiale, essa sa rispondere alle

istanze del mondo contemporaneo, leggendo i segni dei tempi

– la parrocchia è un segno: essa convive nel contesto sociale, con esso

dialoga, ma allo stesso tempo si distingue come comunità di fede che legge

gli eventi della storia a partire dal mistero della redenzione operata da Cristo

crocifisso e risorto.

– la parrocchia è in missione: per sua natura, la parrocchia è chiamata ad

217

annunciare il Vangelo della speranza, rivolgendo la propria attenzione anche

e soprattutto ai cristiani marginali e ai non credenti, testimoniando una ca-

rità fattiva.

Acquarica del Capo, 6 febbraio 2014.

Coordinatore Il Vicario Foraneo

don Pierluigi Nicolardi don Stefano Ancora

218

UFFICIO LITURGICO

CORSO DI FORMAZIONE SULLA LITURGIA DELLE ORE

Poiché molti laici, in diverse parrocchie, insieme con i sacerdoti e i reli-

giosi, si accostano lodevolmente alla celebrazione della Liturgia delle Ore,

l’Ufficio Liturgico ha ritenuto doveroso introdurre tutti al genuino spirito del-

la preghiera liturgica, nonché alla sua dimensione teologica, spirituale ed ec-

clesiale.

Per la realizzazione di tale obiettivo, l’Ufficio ha organizzato per sacerdo-

ti, religiosi e laici un corso di formazione, che si è tenuto nei giorni 25-26-27

marzo 2014, presso il Centro Pastorale Diocesano “Benedetto XVI” in Ales-

sano.

RITIRO SPIRITUALE COMUNITARIO

La Quaresima è il tempo più propizio per dare maggiore spazio alla cura

della spiritualità di ognuno, in particolare di ogni operatore pastorale, in

modo che il servizio che si presta nella propria comunità sia segnato da una

autentica ed evangelica attenzione ai reali bisogni dei fratelli.

Per questo, il cammino quaresimale di tutti i catechisti, gli operatori della

Caritas, i Lettori istituiti e di fatto, i ministri straordinari della Comunione e

gli animatori della liturgia ha avuto inizio con un ritiro spirituale presso il

Santuario della Madonna di Leuca, domenica 9 marzo 2015, dalle ore 15,30

alle ore 17,30.

219

NUOVA FORMULAZIONE ART. 147 DEL CODICE CIVILE

L’Ufficio Liturgico Nazionale ha incaricato l’Ufficio Liturgico Diocesano di

portare a conoscenza di sacerdoti e diaconi l’entrata in vigore, in data 7 feb-

braio 2014, della nuova formulazione dell’art. 147 del codice civile disposta

dal decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, pubblicato sulla G.U. n. 5

dell’8 gennaio 2014. L’art. 147 è uno degli articoli che devono essere letti

durante la celebrazione del matrimonio concordatario, prima della conclu-

sione del rito liturgico (cfr C.E.I., Decreto generale sul matrimonio canonico,

5 novembre 1990, n. 25; Rito del Matrimonio, n. 91 e passim).

La nuova formulazione dell’art. 147 del codice civile è la seguente: “Il

matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire,

educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, incli-

nazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’articolo 315-bis”.

220

UFFICIO MISSIONARIO

PRESENZA IN DIOCESI DELL’ARCIVESCOVO DI KIGALI

La visita dell’arcivescovo di Kigali mons. Taddée Ntihinyurwa alla diocesi

di Ugento-S. M. di Leuca si inserisce nel cammino di comunione e di condivi-

sione che da anni la diocesi ugentina sperimenta con l’arcidiocesi di Kigali in

Rwanda. Tale esperienza non si limita solo in un aiuto sul piano economico e

di volontariato, pure importante e necessario, ma si completa con uno

scambio di sacerdoti, ancora più arricchente. Nella Chiesa ruandese è pre-

sente un sacerdote fidei donum della Chiesa salentina, don Rocco Maglie, e

nella Chiesa di Ugento svolgono la loro attività pastorale due sacerdoti

rwandesi.

È un importante segno dell’apertura alla mondialità che ogni Chiesa par-

ticolare deve avere per quella missione ad gentes, tanto sollecitata e racco-

mandata dal Concilio Vaticano II.

L’arcivescovo di Kigali, presente in diocesi dal 12 al 15 marzo 2014, ha

voluto incontrare sacerdoti, religiosi, religiose, operatori missionari e fedeli,

per un saluto e per esprimere la riconoscenza della Chiesa ruandese per

l’intensa collaborazione sviluppatasi nel tempo con la Chiesa di Ugento-S. M.

di Leuca.

Particolarmente intenso e gioioso è stato, poi, l’incontro con tutti i laici

della diocesi che hanno vissuto esperienze missionarie nei vari paesi in ter-

ra di missione e con tutti quelli che hanno espresso il desiderio di volersi

arricchire in futuro di una esperienza missionaria di comunione e di condi-

visione.

Mons. Taddée Ntihinyurwa ha voluto recarsi, anche, al cimitero di Ales-

sano per pregare sulla tomba di don Tonino Bello e chiedere la protezione

del Servo di Dio sull’intera Chiesa d’Africa.

221

PRINCIPALI ATTIVITÀ SVOLTE DAL 1° GENNAIO AL 30 GIUGNO 2014

Oltre alle normali attività svolte nel primo semestre 2014, secondo il ca-

lendario diocesano programmato all’inizio dell’anno pastorale, il 24 marzo

l’Ufficio missionario ha organizzato, nella chiesa parrocchiale “S. Francesco

d’Assisi” di Ruffano, una veglia di preghiera per tutta la diocesi, per celebra-

re la “Giornata di digiuno e di preghiera per i missionari martiri”.

Il loro martirio ci ricorda che siamo chiamati a testimoniare la nostra fe-

de, sempre e dovunque, e che il loro esempio ci dà forza e coraggio per sop-

portare ogni sorta di difficoltà e di tribolazione.

Il Movimento missionario giovanile, inoltre, nei diversi incontri organiz-

zati per tutte le parrocchie, ha approfondito il tema “Sulle strade del mon-

do”, declinandolo nei suoi vari aspetti: ‘rispetta i segnali’, ‘fermati a fare il

pieno’ ecc...

Il Movimento missionario adulti, invece, si è interrogato sulla capacità di

discernimento per meglio comprendere i nuovi scenari che via via si sono

aperti nella storia personale e in quella della società in cui viviamo, per sa-

perli leggere correttamente, abitarli e trasformarli in luoghi di testimonianza

e di annuncio del vangelo.

222

UFFICIO FAMIGLIA

RISPOSTE AL QUESTIONARIO

DEL DOCUMENTO PREPARATORIO DEL SINODO DEI VESCOVI

La santa Sede ha inviato a tutti i Vescovi un questionario per preparare il

documento di lavoro per il Sinodo straordinario su “Le sfide pastorali sulla

famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”, che si svolgerà in Vaticano dal 5

al 19 ottobre 2014.

Le risposte sono state curate dal vicario generale mons. Beniamino Nuz-

zo, dal vicario episcopale per la pastorale don Stefano Ancora, dai vicari fo-

ranei don Lucio Ciardo, don Mario Politi, don Gigi Ciardo e dai coniugi Mario

e Giulia Macrì, responsabili della pastorale familiare.

1. Sulla diffusione della Sacra Scrittura e del Magistero della Chiesa

riguardante la famiglia

a) Qual è la reale conoscenza degli insegnamenti della Bibbia, della

“Gaudium et Spes”, della “Familiaris Consortio” e di altri documenti del Ma-

gistero postconcilare sul valore della famiglia secondo la Chiesa Cattolica?

Come i nostri fedeli vengono formati alla vita familiare secondo l’inse-

gnamento della Chiesa?

Da parte del clero e degli operatori pastorali c’è una buona conoscenza

biblica, teologica e del magistero riguardo al tema della famiglia. Anche le

coppie di sposi e le famiglie che vivono percorsi formativi e di spiritualità

coniugale hanno una apprezzabile conoscenza. Risulta carente la forma-

zione della maggior parte dei fedeli, che vengono raggiunti solo in alcune

occasioni:

– per la preparazione al sacramento del matrimonio i fidanzati fre-

quentano itinerari che - per quanto ben organizzati sia nei contenuti

sia nel metodo - non incidono in maniera significativa su quei giova-

223

ni, che, pur dichiarandosi cristiani, sono lontani dalla Chiesa dopo

aver ricevuto la Cresima e sono ormai fortemente influenzati dalla

cultura nella quale sono immersi;

– gli incontri con i genitori dei bambini e ragazzi che frequentano la ca-

techesi dell’iniziazione cristiana, spesso ridotti di numero, non sem-

pre sono dei percorsi nei quali i genitori vengono sollecitati a riflette-

re sul valore della famiglia e sugli stili di vita familiare secondo l’inse-

gnamento della Chiesa;

– nelle omelie e in occasione di convegni o seminari di studio il tema

della famiglia – nei vari aspetti ed ambiti – potrebbe avere uno spa-

zio di annuncio, di riflessione e di proposizione più frequente e più

ampio.

b) Dove l’insegnamento della Chiesa è conosciuto, è integralmente accet-

tato? Si verificano difficoltà nel metterlo in pratica? Quali?

In linea generale si registra una notevole discrepanza tra l’affermazione

dei principi e dei valori (teoria) e la concreta pratica nella vita quotidiana

(prassi). La difficoltà è data dall’incapacità di superare la visione soggettivi-

stica e utilitaristica per mantenere fede ai valori scelti e professati. Ad

esempio, molti praticanti, talvolta impegnati in ambito ecclesiale, quando

riguarda i propri figli, non cercano più di aiutarli a superare le difficoltà e i

problemi che mettono in pericolo l’unità familiare, ma anzi sostengono la li-

nea della separazione e, successivamente, difendono il diritto del proprio fi-

glio a “rifarsi una vita”.

Ci sono, però, famiglie che vogliono vivere il quotidiano in maniera coe-

rente con il Vangelo e si impegnano a non venir meno. Forse queste realtà

andrebbero maggiormente valorizzate e messe in luce.

c) Come l’insegnamento della Chiesa viene diffuso nel contesto dei pro-

grammi pastorali a livello nazionale, diocesano e parrocchiale? Quale cate-

chesi si fa sulla famiglia?

A livello diocesano il Vescovo segue con grande attenzione e cura

l’attività dell’Ufficio di Pastorale Familiare ed interviene personalmente in

maniera particolare e sistematica durante i ritiri spirituali estivi per coppie e

224

famiglie, in quelli dei tempi forti dell’anno liturgico, in occasione della festa

dei fidanzati, della Giornata per la Vita e in occasione di iniziative di forma-

zione per operatori di pastorale familiare. In questi incontri è lui stesso a

proporre riflessioni e meditazioni sul tema della famiglia.

L’Ufficio Diocesano ogni anno programma corsi di formazione e di ag-

giornamento per operatori di pastorale familiare durante i quali è fonda-

mentale e molto ampio lo spazio dato alla riflessione teologico-biblica e alla

conoscenza dei documenti del Magistero.

Inoltre, interviene nella Scuola Diocesana di formazione con un corso

teologico-biblico sul matrimonio e la famiglia e con successive lezioni sui do-

cumenti del magistero.

La catechesi familiare sistematica, che è compito delle parrocchie, è nella

maggior parte dei casi riservata alle coppie che aderiscono a movimenti di

spiritualità coniugale.

Forme di catechesi vengono proposte in occasione della preparazione al

Battesimo o ai sacramenti dell’iniziazione cristiana, sebbene questi eventi di

festa della famiglia potrebbero essere maggiormente valorizzati con una ca-

techesi più approfondita ed incisiva.

d) In quale misura – e in particolari su quali aspetti – tale insegnamento è

realmente conosciuto, accettato, rifiutato e/o criticato in ambienti extra ec-

clesiali? Quali sono i fattori culturali che ostacolano la piena ricezione

dell’insegnamento della Chiesa sulla famiglia?

In ambienti extra-ecclesiali l’insegnamento della Chiesa o è ignorato o è

conosciuto in maniera superficiale e molto approssimativa per cui da questi

ultimi viene giudicato retrogrado e antiquato, non rispondente alla realtà

culturale di oggi.

Soggettivismo e relativismo etico con graduale accoglienza della cultura

edonistica ne sono i fattori culturali determinanti.

2. Sul matrimonio secondo la legge naturale

a) Quale posto occupa il concetto di legge naturale nella cultura civile, sia

a livello istituzionale, educativo e accademico, sia a livello popolare? Quali

225

visioni dell’antropologia sono sottese a questo dibattito sul fondamento na-

turale della famiglia?

Il concetto di legge naturale non fa parte della weltanschauung propu-

gnata dalla cultura dominante.

Le Istituzioni in linea di massima accolgono tale visione della vita rinun-

ziando a quella tradizionale dalle radici cristiane. L’accettazione della legge

naturale trova, pertanto, difficile accoglienza nel mondo accademico ed

educativo, i quali si adeguano, invece, alla dominante visione libertaria

dell’uomo e del suo diritto ad essere felice (edonismo) senza alcun limite e

condizionamento esteriore. Questo modo di concepire l’uomo fa breccia

nella cultura popolare attraverso i talk-shows e i dibattiti televisivi.

Anche molti nostri giovani subiscono i condizionamenti di tale cultura

laicista e libertaria.

b) Il concetto di legge naturale in relazione all’unione tra l’uomo e la

donna è accettato in quanto tale da parte dei battezzati in generale?

In linea generale dai battezzati è comunemente accettato il concetto di

legge naturale in relazione all’unione tra l’uomo e la donna, ma si intravvede

già un subdolo insinuarsi dell’ideologia che la famiglia può fondarsi anche

sull’unione di due persone della stesso sesso.

c) Come viene contestata nella prassi e nella teoria la legge naturale

sull’unione tra l’uomo e la donna in vista della formazione di una famiglia?

Come viene proposta e approfondita negli organismi civili ed ecclesiali?

Ancora non se ne parla in maniera molto diffusa in quanto, mancando

spesso una conoscenza approfondita e sicura del tema, si ha timore di af-

frontarlo.

d) Se richiedono la celebrazione del matrimonio battezzati non praticanti

o che si dichiarino non credenti, come affrontare le sfide pastorali che ne

conseguono?

Solitamente molte coppie di fidanzati, che ritornano in parrocchia dopo

anni dalla ricezione della Cresima per chiedere di celebrare il sacramento del

matrimonio, confessano di aver trascurato la pratica cristiana. L’itinerario di

preparazione al matrimonio, che seguono volentieri e con interesse, in alcu-

226

ni casi diventa un’occasione per risvegliare e rimotivare la fede e la conse-

guente pratica. Coloro che si dichiarano non credenti si astengono dal chie-

dere il sacramento del matrimonio.

3. La pastorale della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione

a) Quali sono le esperienze nate negli ultimi decenni in ordine alla prepa-

razione al matrimonio? Come si è cercato di stimolare il compito di evange-

lizzazione degli sposi e della famiglia? Come promuovere la coscienza della

famiglia come “Chiesa domestica”?

La preparazione al matrimonio si svolge oggi –in linea generale- a livello

parrocchiale come forma di catechesi in preparazione al sacramento del ma-

trimonio. Una catechesi, però, che non rimane sul piano della conoscenza

teorica o intellettuale, bensì che indica come devono tradursi in prassi di vita

cristiana i principi del Vangelo.

Negli ultimi decenni l’Ufficio Famiglia ha curato molto questo aspetto

della pastorale familiare, sperimentando a livello diocesano percorsi sempre

nuovi per rispondere alle esigenze delle nuove generazioni e dei nuovi tempi

e producendo sussidi e linee di azione aggiornate ed adeguate, offrendo alle

parrocchie proposte, sussidi ed operatori preparati.

b) Si è riusciti a proporre stili di preghiera in famiglia che riescano a resi-

stere alla complessità della vita e della cultura attuale?

Sono state fatte molte proposte di stili di preghiera in famiglia, ma non

sempre o in pochi casi sono state accolte e vissute. Grande incidenza in ciò è

da attribuire alla televisione e ai computer che rubano molto tempo alla in-

timità familiare.

c) Nell’attuale situazione di crisi tra le generazioni, come le famiglie cri-

stiane hanno saputo realizzare la propria vocazione di trasmissione della

fede?

Le famiglie veramente cristiane, che ancora resistono alla mentalità se-

colari sta, trasmettono coerentemente e costantemente la fede, sebbene a

volte i genitori incontrano delle difficoltà nel confronto con i figli che subi-

scono l’influenza del gruppo dei pari e, specialmente nell’età dell’adole-

227

scenza, desiderando affermare la propria autonomia, si contrappongono

particolarmente sul piano dei valori.

d) In che modo le Chiese locali e i movimenti di spiritualità familiare han-

no saputo creare percorsi esemplari?

Nella nostra Diocesi incide notevolmente l’Ufficio di Pastorale familiare e

la spiritualità coniugale proposta dall’Equipe Notre Dame.

e) Qual è l’apporto specifico che coppie e famiglie sono riuscite a dare in

ordine alla diffusione di una visione integrale della coppia e della famiglia

cristiana credibile oggi?

Molte coppie e famiglie, che si impegnano a vivere con vera fede, hanno

diffuso una visione integrale della coppia e della famiglia cristiana credibile

attraverso la loro testimonianza.

f) Quale attenzione pastorale la Chiesa ha mostrato per sostenere il

cammino delle coppie in formazione e delle coppie in crisi?

La Chiesa diocesana ha mostrato la sua attenzione e il suo sostegno alle

coppie in cammino e a quelle in crisi in forme diverse, come la riflessione e

la progettazione di attività pastorali e di percorsi finalizzati a far crescere le

prime sia nella relazione coniugale sia nella relazione con Dio e – per le se-

conde – a far superare le difficoltà per poter ritrovare l’armonia e la sereni-

tà. Ha, inoltre, preparato operatori per renderli capaci di accompagnare e

condividere il cammino di crescita spirituale ed umana degli sposi.

Ma l’espressione più evidente di tale cura pastorale è la costituzione di

un Consultorio Familiare Diocesano di Ispirazione Cristiana, nato venti anni

fa, che ha come primo servizio quello di aiutare le coppie in crisi a ricostruire

la relazione coniugale e a “ritrovarsi più sposi”.

4. Sulla pastorale per far fronte ad alcune situazioni matrimoniali difficili

a) La convivenza ad experimentum è una realtà pastorale rilevante nella

Chiesa particolare? In quale percentuale si potrebbe stimare numericamente?

La convivenza ad experimentum è in aumento: i giovani manifestano la

paura di assumersi la responsabilità di scelte definitive. Ma nel nostro terri-

228

torio la convivenza è determinata più spesso da problemi economici e di

mancanza di lavoro che non consentono ai nubendi di realizzare una festa di

nozze, a cui la cultura e la tradizione popolare danno molta importanza, se-

condo i canoni che la modernità definisce.

b) Esistono unioni libere di fatto, senza riconoscimento né religioso né ci-

vile? Vi sono dati statistici affidabili?

Sono rarissime le unioni libere di fatto.

c) I separati e i divorziati risposati sono una realtà pastorale rilevante nel-

la Chiesa particolare? In quale percentuale si potrebbe stimare numerica-

mente? Come si fa fronte a questa realtà attraverso programmi pastorali

adatti?

Separati e divorziati risposati sono una realtà in crescita nella nostra dio-

cesi, che si sta attrezzando per poter manifestare una cura pastorale di ac-

coglienza e di amore pur nel rispetto e nella chiara espressione della verità.

d) In tutti questi casi: come vivono i battezzati la loro irregolarità? Ne so-

no consapevoli? Manifestano semplicemente indifferenza? Si sentono emar-

ginati e vivono con sofferenza l’impossibilità di ricevere i sacramenti?

I battezzati vivono la loro irregolarità in maniera diversa secondo la sen-

sibilità e maturità personale e di fede. Potremmo suddividerli in tre catego-

rie:

– quelli che soffrono per la loro condizione, ma accettano la dottrina

della Chiesa e non si autoescludono dalla vita ecclesiale;

– quelli che sono indifferenti e vivono come se la Chiesa non esistesse;

– quelli che assumono atteggiamenti di ostilità e accusano la Chiesa di

essere anacronistica e di non usare l’evangelica misericordia.

e) Quali sono le richieste che le persone divorziate e risposate rivolgono

alla Chiesa a proposito dei sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione?

Tra le persone che si trovano in queste situazioni, quante chiedono questi sa-

cramenti?

Non sono pochi quelli che trovandosi in situazione di “irregolarità” chie-

dono come se fosse un diritto la recezione dei sacramenti. Quando la situa-

229

zione si chiarisce e si spiega loro la dottrina della Chiesa, molti comprendono

e vivono più serenamente la loro situazione; altri rimangono dell’idea

dell’essere privati di un diritto proprio e rimangono ostili alla Chiesa. Alcuni

pretendono i sacramenti finché sono nello stato di irregolarità, e se questa

situazione viene superata non chiedono più i sacramenti e ritornano a non

frequentare più la comunità ecclesiale.

f) Lo snellimento della prassi canonica in ordine al riconoscimento della

dichiarazione di nullità del vincolo matrimoniale potrebbe offrire un reale

contributo positivo alla soluzione delle problematiche delle persone coinvol-

te? Se sì, in quali forme?

Per molti matrimoni in crisi si intravvedono motivi per la dichiarazione di

nullità, che talvolta non è richiesta perché ritenuta percorso lungo, difficile e

costoso.

È ancora diffusa l’idea che la nullità è concessa solo a coppie facoltose,

che riescono a trovare modalità particolari, non sempre trasparenti e lecite,

per raggiungere lo scopo.

g) Esiste una pastorale per venire incontro a questi casi? Come si svolge

tale attività pastorale? Esistono programmi al riguardo a livello nazionale e

diocesano? Come viene annunciata a separati e divorziati risposati la miseri-

cordia di Dio e come viene messo in atto il sostegno della Chiesa al loro

cammino di fede?

Si cerca di dare la dovuta e giusta applicazione alla nota pastorale della

CEI sulle coppie di sposi in situazione di irregolarità.

5. Sulle unioni di persone della stesso sesso

a) Esiste nel vostro paese una legge civile di riconoscimento delle unioni

di persone dello stesso sesso equiparate in qualche modo al matrimonio?

No, non esiste ancora per grazia di Dio.

b) Quale è l’atteggiamento delle Chiese particolari e locali sia di fronte al-

lo Stato civile promotore di unioni civili tra persone dello stesso sesso, sia di

fronte alle persone coinvolte in questo tipo di unione?

Nel nostro territorio non esiste questa realtà.

230

6. Sull’educazione dei figli in seno alle situazioni di matrimoni irregolari

a) Qual è in questi casi la proporzione stimata di bambini e adolescenti in

relazione ai bambini nati e cresciuti in famiglie regolarmente costituite?

Sono rare queste situazioni, dovute soprattutto a degrado culturale e

morale. è istituito lettore.

b) Con quale atteggiamento i genitori si rivolgono alla Chiesa? Che cosa

chiedono? Solo i sacramenti o anche la catechesi e l’insegnamento in gene-

rale della religione?

Moltissimi genitori chiedono i sacramenti senza coglierne la portata te-

ologica, ma quasi come una benedizione che può preservarli dal male. Al-

cuni ne farebbero a meno, ma li chiedono ugualmente perché non voglio-

no che i loro figli siano considerati diversi dagli altri. Per la catechesi e per

l’educazione cristiana in genere sono pochi i genitori che mostrano inte-

resse.

c) Come si svolge la pratica sacramentale in questi casi: la preparazione,

l’amministrazione del sacramento e l’accompagnamento?

Le parrocchie offrono la catechesi e amministrano i sacramenti a bambi-

ni e ragazzi, che subito dopo la cresima si allontanano e non consentono che

si realizzi alcuna forma di accompagnamento.

7. Sull’apertura degli sposi alla vita

a) Qual è la reale conoscenza che i cristiani hanno della dottrina della

Humanae vitae sulla paternità responsabile? Quale coscienza si ha della va-

lutazione morale dei differenti metodi di regolazione delle nascite? Quali ap-

profondimenti potrebbero essere suggeriti in materia dal punto di vista pa-

storale?

L’Ufficio di Pastorale Familiare affronta l’argomento nei percorsi di pre-

parazione al sacramento del matrimonio e negli incontri con le coppie, in

particolar modo con quelle giovani.

Si avvale, inoltre, di cinque coppie, insegnanti di Metodi Naturali di Rego-

lazione della Fertilità, guidate dalla ginecologa del Consultorio Familiare Dio-

231

cesano, per l’accompagnamento individuale dei fidanzati che accettano di

apprendere tali metodi per essere poi in grado di applicarli.

L’Equipe del Consultorio, formata dalla ginecologa, dal moralista, dallo

psicologo e dagli insegnanti dei Metodi Naturali, è a disposizione delle par-

rocchie e dei gruppi e associazioni, che intendono organizzare corsi di pre-

sentazione dei metodi naturali.

b) È accettata tale dottrina morale? Quali sono gli aspetti più problematici

che rendono difficoltosa l’accettazione nella grande maggioranza delle coppie?

Molte coppie non condividono questa dottrina morale perché non accet-

tano che “il desiderio” venga sottoposto a delle regole, quindi rifiutano la

continenza periodica.Altre condividono le motivazioni per le quali sono pro-

posti questi metodi, ma rinunciano ad applicarli perché difficili e impegnati-

vi. Comunque il problema maggiore è dato dal fatto che questo argomento

si affronta soprattutto in preparazione al matrimonio, quando la maggior

parte dei giovani hanno risolto il problema ricorrendo ad altri metodi definiti

da loro più “sicuri” e più semplici nell’uso.

c) Quali metodi naturali vengono promossi da parte delle Chiese particolari

per aiutare i coniugi a mettere in pratica la dottrina dell’Humanae vitae?

Il Metodo sintotermico del Camen di Milano.

d) Qual è l’esperienza riguardo a questo tema nella prassi del sacramento

della penitenza e nella partecipazione all’eucaristia?

Nella catechesi si parla poco della sessualità per cui molti non hanno

consapevolezza della portata morale di questo ambito della vita umana e,

perciò, non si pongono il problema che non tutto è lecito.

e) Quali contrasti si evidenziano tra la dottrina della Chiesa e l’educa-

zione civile al riguardo?

L’educazione civile si occupa di salvaguardare il ben-essere fisico sugge-

rendo il modo di evitare le malattie e la maternità non desiderata. Relega

questo aspetto della vita umana nella sfera privata e afferma l’autonomia di

giudizio, di valutazione e di decisione al di fuori di qualsiasi ingerenza di ca-

rattere morale e religioso.

232

f) Come promuovere una mentalità maggiormente aperta alla natalità?

Come favorire la crescita delle nascite?

Sottraendo dalla cultura individualistica, relativista ed edonistica le fami-

glie cristiane, aiutandole ad optare per stili di vita familiare ispirati al vangelo.

8. Sul rapporto tra la famiglia e persona

a) Gesù Cristo rivela il mistero e la vocazione dell’uomo: la famiglia è un

luogo privilegiato perché questo avvenga?

La famiglia è il luogo primario ed essenziale nel quale fare esperienza del

mistero di Gesù, che è amore e della vocazione dell’uomo, che è vocazione

all’amore. Non sempre, però, la famiglia è il luogo in cui si esprime la voca-

zione all’amore e, quindi, in cui è possibile che si realizzi l’esperienza

dell’incontro con la persona di Gesù.

b) Quali situazioni critiche della famiglia nel mondo odierno possono di-

ventare un ostacolo all’incontro della persona con Cristo?

La crisi antropologica, le crisi di coppia, la scarsa rilevanza educativa del

ruolo paterno e materno, l’assunzione dei valori del denaro, del piacere, del

successo, della potenza, che contraddicono e contrastano i valori evangelici.

c) In quale misura le crisi di fede che le persone possono attraversare in-

cidono nella vita familiare?

Le crisi familiari in ogni loro forma sono proprio il segno della fragilità e

della crisi di fede che molto spesso si trasformano da momentanee e pas-

seggere in definitive.

233

UFFICIO PER L’ECUMENISMO

SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI

La nostra diocesi ha una profonda vocazione ecumenica sia per posizione

geografica, rivolta verso oriente, sia per l’antichissima e accertata presenza

bizantina nelle nostre terre;presenza che ha favorito lo sviluppo di una or-

mai radicata devozione verso alcuni santi orientali, molti dei quali patroni di

numerose comunità parrocchiali e cittadine.

Per questi motivi, più volte sottolineati dal nostro vescovo, l’impegno

ecumenico, caratterizzato soprattutto dalla preghiera e dal desiderio di

conoscere e amare sempre di più la spiritualità orientale, non è di secon-

daria importanza ma diventa centrale nella vita delle nostre comunità par-

rocchiali.

La settimana di preghiera per l’unità dei cristiani è un’occasione propizia

per riscoprire questa vocazione.

Programma

16 gennaio ore 17:30 santa Messa per l’unità dei cristiani - parrocchia di

S. Dana

18 gennaio ore 18:00 celebrazione eucaristica per l’inizio della settima-

na di preghiera per l’unità dei cristiani, presieduta

dal nostro vescovo mons. Vito Angiuli - Monastero

di Alessano

19 gennaio ore 17:00 santa Messa per l’unità dei cristiani in occasione

della festa di Sant’Ippazio - parrocchia di Tiggiano

20 gennaio ore 18:30 conferenza ecumenica di padre Donato Giordano

o.s.b. sul tema: Il culto dei santi orientali nella dio-

cesi di Ugento-S. M. di Leuca - Auditorium Bene-

detto XVI, Alessano

234

22 gennaio ore 11:00 solennità di san Vincenzo, patrono di Ugento e

della Diocesi, solenne pontificale in cattedrale,

presieduto dal Vescovo;

ore 17:00 solenne processione in onore di san Vincenzo con

la partecipazione di papas Nik Pace, sacerdote

cattolico di rito orientale dell’eparchia di Lungro;

seguirà la celebrazione eucaristica in Cattedrale,

al termine della quale papas Nik terrà una rifles-

sione sul tema della settimana ecumenica

23 gennaio ore 17:30 santa Messa per l’unità dei cristiani in occasione

della festa di S. Giovanni elemosiniere - parrocchia

di Morciano di Leuca

24 gennaio ore 19:00 concerto-meditazione offerto dal coro ecumenico

“S. Maria della strada” di Taurisano - Monastero

di Alessano

25 gennaio ore 18:00 veglia di preghiera a conclusione della settimana

ecumenica,presieduta dal Vescovo e animata dai

giovani del movimento scout della diocesi e dalla

gioventù francescana unitamente al terz’ordine

francescano - Monastero di Alessano

27 gennaio ore 18:00 santa Messa per l’unità dei cristiani in occasione

della festa di S. Giovanni Crisostomo - parrocchia

di Giuliano.

CORSO DI ECUMEMISMO NELL’AMBITO DEL IV ANNO

DELLA SCUOLA DIOCESANA DI FORMAZIONE

Programma

Prima lezione Principi fondamentali di ecumenismo

Seconda lezione La presenza dei fedeli ortodossi nel territorio della

235

diocesi di Ugento-S. M. di Leuca: attenzioni pastorali,

conoscenza reciproca e possibilità di preghiera co-

mune

Terza lezione Introduzione alla liturgia orientale: la Divina Liturgia di

S. Giovanni Crisostomo

Quarta lezione Agiografia e spiritualità orientale: il monachesimo o-

rientale e il culto di alcuni santi orientali particolar-

mente venerati nella diocesi di Ugento-S. M. di Leuca.

236

UFFICIO CONFRATERNITE

IL CAMMINO DIOCESANO DELLE CONFRATERNITE

TRICASE, 2-3 GIUGNO 2014

Si è svolto presso la Chiesa Nuova di S. Antonio di Tricase l’annuale radu-

no delle antiche associazioni confraternali della Diocesi.

Le considerazioni sulla storia di questi sodalizi sono state illustrate nella

mostra bibliografica dei saggi editi su alcune di esse.

L’incontro si è aperto con i saluti del Direttore dell’Ufficio Diocesano, don

Carmine Peluso.

Sono seguite le annotazioni di don Salvatore Palese, Vicario Episcopale

per la Cultura. Questi ha sottolineato che l’iniziativa esplicita il “cammino”

che le più antiche associazioni laicali della diocesi e della cristianità salentina

intendono fare per il loro rinnovamento nel terzo millennio. Gli sviluppi fu-

turi non potranno essere diversi da quelli che si stanno verificando nelle co-

munità parrocchiali. Le confraternite sono chiamate a diventare comunità

radunate per l’ascolto della Parola di Dio, per celebrare l’eucarestia domeni-

cale, per inventare iniziative caritative per i confratelli e per i poveri del ter-

ritorio.

Considerate le trasformazioni che stanno coinvolgendo la società salen-

tina, il rinnovamento si impone in modo necessario. Il futuro delle confra-

ternite dipenderà dal loro slancio rinnovatore, grazie all’intelligente impe-

gno dei loro dirigenti, il contributo educativo dei loro padri spirituali e il

coinvolgimento dentro gli orizzonti complessivi dell’azione pastorale della

diocesi.

Il Prof. Ciro Romano dell’Università Federico II di Napoli ha illustrato la

storia e l’attualità del mondo confraternale. Ci sono almeno dieci secoli di

storia e almeno quattro di diffusione capillare nelle popolazioni dei vari pae-

si europei e di altri continenti. Ricordare i percorsi di vita religiosa e di gene-

237

rosa carità faciliterà la comprensione della loro attualità, considerato il loro

carattere popolare e l’urgenza dell’evangelizzazione cristiana.

Di particolare importanza sono state le conclusioni del Vescovo. Ha af-

fermato che le confraternite sono associazioni di fedeli cristiani che merita-

no, a pieno titolo, attenzione e sostegno come le altre, dentro tutte le inizia-

tive promozionali dei laici nelle comunità ecclesiali. Va riscoperto che

l’ideale della fraternità che è tipico di queste associazioni laicali è un valore

tipicamente cristiano, quanto mai attuale nelle parrocchie e nella società dei

nostri tempi.

Domenica 3 giugno le confraternite della diocesi, con i loro abiti caratte-

ristici e con i loro labari, hanno camminato dalla piazza di S. Eufemia di Tri-

case alla chiesa parrocchiale S. Maria delle Grazie di Tutino. Al termine il Ve-

scovo ha presieduto la solenne celebrazione eucaristica.

CONFRATERNITE ESISTENTI NELLA DIOCESI DI UGENTO-S. MARIA DI LEUCA

1) Acquarica del Capo, MARIA SS. ASSUNTA IN CIELO

Riconosciuta con regio assenso del 7 Marzo 1778

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 16 ottobre 1934

2) Alessano, MARIA SS. ASSUNTA IN CIELO

Riconosciuta con regio assenso del 29 febbraio 1756

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 16 ottobre 1934

3) Alessano, MARIA SS. DEL ROSARIO

Riconosciuta con regio assenso del 1 gennaio 1831

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 16 ottobre 1934

4) Alessano, SAN GIUSEPPE

Riconosciuta con regio assenso del 27 ottobre 1758

238

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 16 ottobre 1934

5) Arigliano, MARIA SS. IMMACOLATA

6) Barbarano, MARIA SS. ASSUNTA IN CIELO

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 16 ottobre 1934

7) Caprarica del Capo, MARIA SS. IMMACOLATA E SS. SACRAMENTO

Riconosciuta con regio assenso del 2 Gennaio 1782

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 16 ottobre 1934

8) Castrignano del Capo, MATER MISERICORDIAE

Riconosciuta con regio assenso del 2 Febbraio 1777

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 16 ottobre 1934

È iscritta nel registro delle persone giuridiche del Tribunale di Lecce dal

31 ottobre 1988, al n. 327

9) Castrignano del Capo, SANT’ANTONIO DI PADOVA

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 16 ottobre 1934

È iscritta nel registro delle persone giuridiche del Tribunale di Lecce dal

27 settembre 1988, al n. 339

10) Corsano, MARIA SS. IMMACOLATA

Riconosciuta con regio assenso del 2 Dicembre 1777

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 16 ottobre 1934

È iscritta nel registro delle persone giuridiche del Tribunale di Lecce dal

15 luglio 1987, al n. 157

11) Gagliano del Capo, MARIA SS. IMMACOLATA

Riconosciuta con regio assenso del 26 Marzo 1778

239

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 16 ottobre 1934

È iscritta nel registro delle persone giuridiche del Tribunale di Lecce dal

26 luglio 1988, al n. 322

12) Gagliano del Capo, MARIA SS. DEL ROSARIO

13) Gemini, MARIA SS. DEL ROSARIO

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 16 ottobre 1934

È iscritta nel registro delle persone giuridiche del Tribunale di Lecce dal 4

aprile 2012, al n. 32

14) Giuliano di Lecce, MARIA SS. IMMACOLATA

Riconosciuta con regio assenso del 14 luglio 1777

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 16 ottobre 1934

15) Lucugnano, MARIA SS. DELLE GRAZIE

Riconosciuta con regio assenso del 2 Giugno 1777

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 16 ottobre 1934

È iscritta nel registro delle persone giuridiche del Tribunale di Lecce dal

16 settembre 1988, al n. 336

16) Miggiano, MARIA SS. DEL CARMINE

Riconosciuta con regio assenso del 12 Ottobre 1781

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 16 ottobre 1934

17) Montesano Salentino, MARIA SS. ADDOLORATA

Riconosciuta con regio assenso del 4 Dicembre 1824

18) Montesardo, MARIA SS. IMMACOLATA

19) Montesardo, SANT’ANTONIO DI PADOVA

20) Montesardo, SS. SACRAMENTO E SS. DEL ROSARIO

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 16 ottobre 1934

240

21) Morciano di Leuca, MARIA SS. DEL ROSARIO

Riconosciuta con regio assenso del 13 Agosto 1778

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 16 ottobre 1934

È iscritta nel registro delle persone giuridiche del Tribunale di Lecce dal

29 marzo 1995, al n. 482

22) Patù, CUORE EUCARISTICO DI GESÙ

23) Presicce, MARIA SS. ASSUNTA IN CIELO

Riconosciuta con regio assenso del 29 Aprile 1777

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 16 ottobre 1934

È iscritta nel registro delle persone giuridiche del Tribunale di Lecce dal 3

settembre 1988, al n. 328

24) Presicce, SAN LUIGI GONZAGA

25) Ruggiano, SAN GIUSEPPE

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 16 ottobre 1934

26) Ruffano, BUON CONSIGLIO

Riconosciuta con regio assenso del 2 Dicembre 1738

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 16 ottobre 1934

27) Ruffano, MARIA SS. DEL CARMINE

Riconosciuta con regio assenso del 9 Ottobre 1776

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 16 ottobre 1934

28) Salignano, PURIFICAZIONE DI MARIA SS.

29) Salve, MARIA SS. DEL ROSARIO

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 16 ottobre 1934

30) Sant’Eufemia, MARIA SS. IMMACOLATA

241

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 12 Ottobre 1933

31) Specchia, MARIA SS. ASSUNTA IN CIELO E SS. SACRAMENTO

Riconosciuta con regio assenso del 8 Febbraio 1785

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 16 ottobre 1934

È iscritta nel registro delle persone giuridiche del Tribunale di Lecce dal

26 febbraio 1990, al n. 456

32) Specchia, SANT’ANTONIO DI PADOVA E DELLA SS. TRINITÀ

Riconosciuta con regio assenso del 9 Giugno 1730

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 16 ottobre 1934

È iscritta nel registro delle persone giuridiche del Tribunale di Lecce dal

26 luglio 1991, al n. 460

33) Supersano, MARIA SS. IMMACOLATA

Riconosciuta con regio assenso del 30 Giugno 1779

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 16 ottobre 1934

È iscritta nel registro delle persone giuridiche del Tribunale di Lecce dal

23 dicembre 1988, al n. 356

34) Taurisano, MARIA SS. IMMACOLATA E SANTO STEFANO

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 16 ottobre 1934

35) Taurisano, SAN GIUSEPPE E MARIA SS. DELLA STRADA

36) Taurisano, SS. SACRAMENTO

37) Tiggiano, MARIA SS. ASSUNTA IN CIELO E SS. SACRAMENTO

Riconosciuta con regio assenso del 19 Gennaio 1730

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 16 ottobre 1934

È iscritta nel registro delle persone giuridiche del Tribunale di Lecce dal

10 gennaio 1989, al n. 357

242

38) Torrepaduli, MARIA SS. DELLE GRAZIE

39) Tricase, MARIA SS. DEL ROSARIO

Riconosciuta con regio assenso del 24 Febbraio 1780

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 16 ottobre 1934

È iscritta nel registro delle persone giuridiche del Tribunale di Lecce dal 5

luglio 1989, al n. 365

40) Tricase, MARIA SS. IMMACOLATA

Riconosciuta con regio assenso del 10 Febbraio 1790

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 16 ottobre 1934

È iscritta nel registro delle persone giuridiche del Tribunale di Lecce dal 5

luglio 1989, al n. 364

41) Tricase, SANTA LUCIA E SAN ROCCO

42) Tutino, MARIA SS. IMMACOLATA E DI SAN NICOLÒ

Riconosciuta con regio assenso del 29 Aprile 1777

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 16 ottobre 1934

È iscritta nel registro delle persone giuridiche del Tribunale di Lecce dal

19 settembre 1988, al n. 337

43) Ugento, MARIA SS. ADDOLORATA

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 16 ottobre 1934

È iscritta nel registro delle persone giuridiche del Tribunale di Lecce dal

25 agosto 1988, al n. 325

44) Ugento, MARIA SS. ASSUNTA IN CIELO

Riconosciuta con regio assenso del 2 Settembre 1779

Riconosciuto lo scopo esclusivo o prevalente di culto con regio decreto

del 16 ottobre 1934

È iscritta nel registro delle persone giuridiche del Tribunale di Lecce dal

25 agosto 1988, al n. 324

243

45) Ugento, SAN GIUSEPPE E SANTI MEDICI

Riconosciuto il fine di culto con decreto del Presidente della Repubblica

del 1° Agosto 1959.

L’organizzazione e l’attività delle confraternite sono regolamentate dallo

Statuto dato dal vescovo mons. Vito De Grisantis il 15 maggio 2002.

Come si può facilmente rilevare, la devozione mariana caratterizza gran

parte di queste associazioni.

Trentatre sono intitolate a Maria Santissima in vario modo, di cui: 11 a

Maria SS. Immacolata (Arigliano, Corsano, Gagliano, Giuliano, Montesardo,

Sant’Eufemia, Supersano, Tricase); alle altre tre viene aggiunto un altro tito-

lo: SS. Sacramento (Tricase-Caprarica) S. Stefano (Taurisano) S. Nicolò (Trica-

se-Tutino); 7 a Maria SS. Assunta in cielo (Acquarica, Alessano, Barbarano,

Presicce, Ugento); alle altre due viene aggiunto il titolo SS. Sacramento

(Specchia, Tiggiano); 6 a Maria SS. del Rosario (Alessano, Gagliano, Gemini,

Morciano, Salve, Tricase), 2 a Maria SS. Addolorata (Montesano, Ugento); 2

a Maria SS. del Carmine (Miggiano, Ruffano); 2 a Madonna della Grazie (Lu-

cugnano, Torrepaduli); 1 a Madonna del Buon Consiglio (Ruffano), a Mater

Misericordiae (Castrignano), a Purificazione di Maria Santissima (Salignano).

Le altre confraternite sono intitolate: 2 al SS. Sacramento (Montesardo,

Taurisano); 1 al Sacro Cuore Eucaristico di Gesù (Patù); 4 a San Giuseppe

(Alessano, Ruggiano), alle altre due viene aggiunto il titolo S. Maria della

Strada (Taurisano) e SS. Medici (Ugento); 3 a Sant’Antonio di Padova (Castri-

gnano, Montesardo, Specchia); 1 a S. Luigi (Presicce) a Santa Lucia e San

Rocco (Tricase).

I comuni, con le relative frazioni, che hanno il maggior numero di confra-

ternite sono Tricase con sette, Alessano con sei, Castrignano e Ugento con

quattro. Poi vengono Gagliano, Ruffano e Taurisano con tre; Morciano, Pre-

sicce, Salve e Specchia con due; tutti gli altri con una.

Altre considerazioni potrebbero farsi circa il numero dei confratelli e del-

le consorelle, e il rapporto degli associati con gli abitanti delle varie località.

244

Inoltre, il possesso della tomba propria nel cimitero locale potrebbe far con-

siderare il ruolo delle confraternite nella società locale.

Infine, la loro sede in chiesa specifica fa comprendere il contributo che le

confraternite danno alla vita religiosa e cultuale della popolazione locale.

245

UFFICIO BENI CULTURALI

RESTAURO E CONSERVAZIONE PREVENTIVA

DELL’ CHIESA MATRICE DI TRICASE

Entrando nella sacrestia della chiesa Madre di Tricase, l’occhio del visita-

tore attento noterà sulla parete destra la nuova collocazione dell’Archivio

Storico parrocchiale. Otto metri complessivi di scaffalatura in massello in-

cassati in un mobile a quattro scompartimenti, vetri opacizzati e un grazioso

stile che richiama l’arredamento d’epoca della sala.

Gli studiosi invece ben ricorderanno il vecchio armadio, il quale dai tempi

di mons. Giuseppe Zocco troneggiava dirimpetto l’altare di san Michele, nel-

l’omonimo oratorio settecentesco. Già da alcuni anni, l’implemento del pa-

trimonio storico-archivistico causava diversi disagi conservativi, tra cui il so-

vraffollamento dei palchetti, la scarsa accessibilità ai pezzi e l’aumento non

indifferente di vari fenomeni di biodegradazione. Così, grazie all’iniziativa

del parroco don Flavio Ferraro, i beni cartacei dell’Archivio Storico sono stati

oggetto di significativi lavori di restauro e riqualificazione conservativa: il

primo libro dei battezzati e dei confermati (1562-1608), con rilegato il pre-

zioso status animarum del 1587, 9 libri dei battezzati (1609-1839), 5 libri dei

confermati (1620-1800), 9 libri dei defunti (1618-1824), 6 libri dei matrimoni

(1649-1824), 8 registri amministrativi (1744-1844), per un totale di 38 pezzi

archivistici collocabili tra i secc. XVI-XIX. Come si deduce da alcune note ver-

gate sui registri più antichi, l’ultimo intervento di restauro risale agli anni

1847-1851, durante il parrocato di Noè Summonte.

L’esecuzione è stata affidata a Giuseppe De Filippis, direttore tecnico del

laboratorio “Codex” di Guagnano. Le operazioni effettuate, svolte nell’arco

di un semestre, hanno visto due fasi. Nella prima, dopo le adeguate analisi

ricognitive, si è proceduto con il risanamento dei registri parrocchiali in cat-

tivo stato di conservazione, attuando interventi di pulitura, interfoliazione e

ARCHIVIO STORICO DELLA

246

lavaggio, deacidificazione, restauro meccanico e tutte le minuziose opera-

zioni di legatoria, dalla rifilatura manuale al rifacimento delle cuciture.

Successivamente, l’intero patrimonio archivistico è stato sottoposto ad

un’operazione di pulitura meccanica e di sanificazione. Per quest’ultimo pas-

saggio si è optato per l’utilizzo della disinfezione anossica, un procedimento

in grado di abbattere significatamene (98%) la presenza di batteri aerobi,

microrganismi micogeni e insetti xilofagi ad ogni stadio di vita. Infine, i beni

sono stati ricollocati nel nuovo armadio ed in nuovi mezzi di condizionamen-

to, come scatole e camicie in cartone deacidificato a carica di carbonato di

calcio.

Scendendo nei dettagli, i benefici del restauro e della riqualificazione so-

no considerevoli. Se il risanamento dei registri garantirà una corretta con-

servazione a lungo tempo dei beni, i vantaggi più interessanti sono riscon-

trabili nella buona pratica della conservazione preventiva. La deaci-

dificazione delle carte e l’utilizzo di mezzi di condizionamento con tecnologia

“acid free” contribuiranno a preservare i documenti dal deterioramento

chimico, grazie al rilascio su lunga scala cronologica – in ambiente ottimale

anche di un secolo – di particelle di carbonato di calcio in grado di contrasta-

re i fenomeni ossidativi. Ugualmente, la spolveratura e la disinfezione anos-

sica contribuiscono all’eliminazione degli agenti acidi e microbiologici indotti

dalla polvere e dalle spore micogene. Anche il nuovo armadio presenta dei

benefici; i documenti godranno del favore della luce solare, e allo stesso

tempo le vetrate opacizzate filtreranno gli effetti dannosi dei raggi UV. Infi-

ne, l’armadio ad altezza uomo semplifica l’accesso alle carte, quindi favori-

sce la corretta fruizione dei pezzi archivistici.

Carlo Vito Morciano

SETTIMANA TEOLOGICA

CONVEGNO PASTORALE

249

XXXIX SETTIMANA TEOLOGICA DIOCESANA 10-14 MARZO 2014

LA FAMIGLIA IMMAGINE DELLA TRINITÀ

Lo specifico della nuzialità è stato il filo conduttore della 39a Settimana

Teologica sul tema “La famiglia immagine della Trinità”, che si è svolta dal 10

al 14 marzo 2014 presso l’Auditorium “Benedetto XVI” di Alessano.

Dopo i temi “Liturgia, fonte e culmine della vita della Chiesa” e “Parroc-

chia, luogo educativo e missionario”, trattati nelle precedenti settimane teo-

logiche, quest’anno la comunità diocesana si è soffermata a riflettere sul

tema della famiglia cristiana, cellula primordiale della società umana ed ec-

clesiale, che richiama l’immagine della Trinità, rivelandone l’amore che la

anima, ed educa alla comunione di vita tra i suoi membri.

Dio crea l’uomo e la donna nel momento della sua massima gioia e poi

ratifica, mette la firma su questo grande progetto d’amore: “E vide che tutto

era molto buono”.

Dio, lo sposo, crea per amore l’umanità, la sposa.

La Bibbia si apre con una coppia, Adamo ed Eva, e si chiude con una im-

magine sponsale descritta nel libro dell’Apocalisse: “Sono giunte le nozze

dell’Agnello, la sua sposa è pronta”. La trama nuziale di tutta la storia della

salvezza è evidente.

È stato interessante il percorso sviluppato dai relatori nel cogliere, so-

prattutto nel Nuovo Testamento, i passaggi più significativi di questa trama.

Il sì di Maria all’angelo Gabriele è un sì sponsale; la trasformazione del-

l’acqua in vino alle nozze di Cana costituisce il primo segno della celebrazio-

ne delle nozze con l’umanità, di cui Maria è la prima, singolare, eccezionale

figura rappresentativa, si potrebbe dire l’archetipo dei segni nuziali; Gesù

che muore in croce, dare la vita e perdonare gli uomini che “non sanno quel-

lo che fanno”, come estremo atto di amore per l’umanità, è il gesto più alto

di nuzialità; l’incontro di Cristo risorto con Maria Maddalena, che guida gli

250

apostoli del tutto increduli, fa parte del mistero nuziale; l’assunzione di Ma-

ria Vergine in cielo che viene fatta sedere alla destra del Padre, è l’ultimo at-

to nuziale.

E tutto questo avviene per mezzo dello Spirito Santo: senza la sua pre-

senza non esiste nuzialità.

Nel concludere la Settimana teologica, il Vescovo ha affermato: “Lo Spiri-

to Santo scende per abituarsi a stare con l’uomo, perché poi l’uomo, spinto

e guidato da questa forza, torni allo Spirito Santo e quindi alla Trinità”.

Programma

Lunedì 10 marzo La nuzialità nella rivelazione biblica

don Francesco Pilloni

Martedì 11 marzo Teologia sponsale e sacramento delle nozze

don Giorgio Mazzanti

Mercoledì 12 marzo L’una carne eucaristica di Cristo e della Chiesa

e l’una caro dell’uomo e della donna

don Giorgio Mazzanti

Giovedì 13 marzo Dal mistero uomo-donna al mistero Unitrino

don Francesco Pilloni

Venerdì 14 marzo Quadro teologico-pastorale per il decennio

2010-2020 mons. Vito Angiuli

251

XXVIII CONVEGNO PASTORALE DIOCESANO 26-28 MAGGIO 2014

LA RIVOLUZIONE DELLA TENEREZZA NELLA PASTORALE FAMILIARE

Dal 26 al 28 maggio 2015, nell’Auditorium “Benedetto XVI” di Alessano,

si è svolto il XXVIII Convegno Pastorale Diocesano, sullo stesso tema trattato

nella Settimana Teologica: “La famiglia immagine della Trinità”, focalizzando,

però, l’attenzione sugli aspetti pastorali.

Nei primi due giorni la riflessione è stata guidata da mons. Carlo Rocchet-

ta, teologo e fondatore del centro familiare “Casa della tenerezza” di Perugia.

Egli ha affermato che è forte l’urgenza di acquisire un metodo pastorale

per accompagnare i fidanzati e le giovani coppie alla scoperta della loro vo-

cazione, affinché la comunione trinitaria si rifletta nella loro vita. Quando si

pensa alla coppia, spesso si rischia di considerarla una realtà statica, ferma,

chiusa in se stessa. La vita coniugale non è tanto uno “stare insieme”, l’uno

accanto all’altro, quanto un “camminare insieme”, verso Qualcuno.

È un cammino, il fidanzamento, verso l’incontro, l’intesa, col verificare la

concordia di idee, di sentimenti, di comportamenti, verso il “noi”. È nei pro-

getti comuni che si può verificare se l’altro ha visto, come me, la possibilità

di diventare una caro (una sola carne), la possibilità di esistere per l’altra

persona.

È un cammino la vita coniugale, soprattutto verso la scelta della “tene-

rezza” come stile di vita. Essa è chiamata a realizzare questo compito fon-

damentale: essere il primo luogo in cui si vive la tenerezza di Dio e si tra-

smette a ogni essere che viene al mondo. Un compito che richiede un

cammino di maturazione negli sposi. La tenerezza coniugale è un clima, uno

stile di vita, che rendono capaci di attenzione amorevole e rispettosa dei bi-

sogni dell’altro/a, specialmente se bambino. I figli sono un dono che aiutano

a far crescere il linguaggio della tenerezza. Ma per essere buoni genitori è

necessario essere buoni sposi; è questo il più bel regalo che si possa fare a

252

un figlio. La tenerezza, ovviamente, non esclude situazioni di sana conflittua-

lità. Le coppie che durano non sono quelle che non litigano mai, ma quelle

che sanno gestire in modo sano i loro conflitti.

Il compito di fare della propria casa il luogo della tenerezza non può pre-

scindere dal soffio dello Spirito Santo, maestro interiore degli sposi e dei ge-

nitori. Lo Spirito Santo vivifica la comunione degli sposi cristiani, ma occorre

che essi ne siano consapevoli, si aprano alla sua azione e lo lascino operare

nel loro cuore. Da qui la necessità di invocarlo ogni giorno.

La vita coniugale è anche un cammino dall’innamoramento all’amore.

Nel corso dell’esistenza occorre continuamente compiere il passaggio dallo

stile narcisista a quello nuziale. L’amore è oblatività, essere dono e acco-

glienza dell’altro. Tale dimensione oblativa si fonda sull’evento pasquale, sul

mistero di dono/amore di Cristo per la sua sposa, la Chiesa. Non solo i pasto-

ri, ma tutti devono collaborare affinché i fidanzati e gli sposi siano sempre

più innamorati della loro chiamata.

Nella terza sera è stato presentato il documento del vescovo, mons. Vito

Angiuli, “Educare a una forma di vita meravigliosa”. Il tema riveste parti-

colare importanza per la diocesi di Ugento-S. M. di Leuca, perché costituisce

il quadro di riferimento teologico-pastorale della Chiesa di Ugento-S. M. di

Leuca per il decennio 2010-2020.

Si riportano, di seguito, i testi degli interventi che hanno illustrato le

varie parti del documento.

Programma

Lunedì 26 maggio Fidanzamento, tempo di grazia nella prospet-

tiva del sacramento delle nozze

mons. Carlo Rocchetta

Martedì 27 maggio La famiglia icona della Trinità: l’accompagna-

mento pastorale della famiglia, oggi

mons. Carlo Rocchetta

Mercoledì 28 maggio Presentazione del documento pastorale del

253

Vescovo “Educare a una forma di vita meravi-

gliosa” Quadro teologico-pastorale per il de-

cennio 2010-2020

don Stefano Ancora, don Lucio Ciardo

don Oronzo Cosi, don Giuseppe Indino

PRESENTAZIONE DEL DOCUMENTO DEL VESCOVO MONS. VITO ANGIULI

EDUCARE A UNA FORMA DI VITA MERAVIGLIOSA

Presentazione introduttiva

Presentare a tutta la comunità diocesana il documento del Vescovo

“Educare a una forma di vita meravigliosa”, quadro di riferimento teologico-

pastorale della Chiesa di Ugento S. M. di Leuca per il decennio 2010-2020, è

una intensa gioia, un grande onore ed una precisa responsabilità.

L’intensa gioia scaturisce dallo sperimentare quant’è grande l’amore del

nostro Vescovo Vito nella sollecitudine pastorale che ha per la Chiesa di

Ugento, sposa diletta di Cristo, per cui non risparmia alcuna energia di cuo-

re, di mente e di azione.

Il grande onore per me e per i miei confratelli, don Giuseppe Indino, don

Lucio Ciardo e don Oronzo Cosi, chiamati dalla stessa sollecitudine del Ve-

scovo a rendere un servizio a tutta la comunità diocesana presentando que-

sto documento perché la lettura sia facilitata, l’assimilazione dei contenuti

favorita e il metodo di lavoro esplicitato.

Questo nostro intervento indica anche una precisa responsabilità in

quanto membri di quel presbiterio, che insieme e sotto la guida del Vescovo,

diventa un unico organo di servizio per il bene di tutta la Chiesa ugentina, in

modo tale che il tema della corresponsabilità, così caro allo spirito e alla let-

tera del Concilio Vaticano II, sia non solo annunciato ma soprattutto realiz-

zato. Una corresponsabilità che sgorga dal presbiterio diocesano e man ma-

254

no si allarga e ingloba tutte le componenti ecclesiali in modo tale che la co-

munione diventa vera e reale così come indicato dal Vescovo al n. 5: “La

successiva verifica compiuta a livello delle quattro foranie ha ulteriormente

arricchito questa proposta pastorale evidenziando alcuni aspetti dell’opera

educativa: la soggettività della comunità cristiana, l’integrazione pastorale,

l’attenzione alla formazione, lo stile di vita evangelica, la comunione e la cor-

responsabilità di tutti gli operatori pastorali”.

Il documento si apre con una introduzione in cui è presente una bella ed

efficace immagine: lo spartito musicale, l’orchestra e il coro. Un modo bello

e singolare di descrivere la corresponsabilità.

Prendendo spunto da una espressione di Sant’Ignazio di Antiochia «Nella

vostra concordia e nel vostro amore sinfonico Gesù Cristo è cantato», il Ve-

scovo al n. 1, afferma: “Come in una composizione musicale lo spartito è il

punto di riferimento di tutti gli orchestrali, così nell’azione pastorale della

nostra diocesi questo documento traccia gli orientamenti fondamentali da

tenere presenti per dare unità e armonia alla prassi e all’impegno profuso da

tanti operatori pastorali.

In esso, presento le linee orientative per il cammino della nostra Chiesa, la-

sciando che la programmazione si sviluppi di anno in anno secondo un’idea

centrale, chiaramente definita, seguendo un percorso segnato da alcune tap-

pe in parte previste e in parte ancora da individuare. In altri termini, non si

tratta di un piano specificato in tutti i dettagli che chiede solo di essere concre-

tizzato, ma di un “documento aperto” che bisogna continuare a riscrivere”.

Considero, pertanto, questo documento – continua il Vescovo – come

uno spartito musicale dove il compositore, lasciandosi afferrare da un’inten-

sa emozione, ha scritto sul pentagramma le note fondamentali della sinfonia

in attesa di poter dare seguito allo sviluppo melodico in un armonico accordo

con tutti i componenti dell’orchestra sinfonica”.

Nel n. 2 esplicita l’immagine del coro, dell’orchestra e della sinfonia: “La

Chiesa, infatti, è come un grande coro. Compito dei coristi è, innanzitutto,

quello di studiare la propria parte. Il vero apprendimento avviene quando si

leggono attentamente le note segnate sul pentagramma per comprendere il

loro valore e dare forma alla melodia. La bellezza armonica della sinfonia po-

255

trà risuonare in modo perfetto se i coristi e i componenti dell’orchestra segui-

ranno le movenze del “Maestro interiore”. La verità che risuona nell’intimo

dell’anima deve essere accompagnata da un esercizio personale che deve

coinvolgere l’intera persona. L’esecuzione musicale, poi, richiederà l’accordo

degli strumenti e degli orchestrali seguendo le indicazione del “capo-coro”.

I coristi, gli orchestrali, lo spartito musicale, il capo-coro, il Maestro inte-

riore sono tutte immagini che richiamano la verità della Chiesa “gerarchica-

mente ordinata” come dice il Concilio Vaticano II (LG 20).

Il tema musicale è quello dell’educazione così come voluto dalla Chiesa

italiana nel documento “Educare alla vita buona del vangelo”, orientamenti

pastorali per il decennio 2010-2020.

Nel n. 4 indica il fondamento, i soggetti e i principali ambiti educativi.

“Quanto al primo aspetto ho richiamato la centralità della liturgia nella vita

cristiana. In quanto epifania del mistero, essa ha una dimensione educativa e

rivelativa. Naturalmente, la liturgia va sempre coniugata con la catechesi e

la carità in una feconda circolarità tra annuncio, celebrazione e vita. Se la li-

turgia costituisce il fondamento dell’educazione cristiana, la parrocchia e la

famiglia rappresentano i due principali soggetti educativi. (…) Infine ho ri-

chiamato alcuni ambiti dell’impegno pastorale: l’iniziazione cristiana, la pa-

storale giovanile, l’accompagnamento dei fidanzati e delle giovani coppie, la

pietà popolare, la pastorale del turismo e del tempo libero”.

Due icone, come una grande inclusione, aprono e chiudono tutto il do-

cumento.

La prima, tratta da uno dei testi più belli dei Padri Apostolici, la Lettera a

Diogneto, offre il titolo a tutto il documento: “Educare a una forma di vita

meravigliosa” e diventa il tema dominante, “il paradigma della vita cristia-

na” (n. 9) dove vita meravigliosa sta ad indicare quella vita bella che vedia-

mo risplendere in Cristo crocefisso e risorto e di riflesso in tutti quelli che

sono di Cristo.

La seconda icona che chiude il documento è Maria vergine, la tota pul-

chra “il riflesso della Bellezza che salva il mondo: la bellezza di Dio che ri-

splende sul volto di Cristo». (Benedetto XVI). Maria, immagine e modello del-

la Chiesa come dice il Concilio Vaticano II (LG cap VIII).

256

Riguardo alla prima icona tratta dalla Lettera a Diogneto, il Vescovo offre

alcune indicazioni molto interessanti e originali.

Al n. 12 enuncia il fine della vita cristiana che è un paradosso.

“Lo stretto rapporto con gli altri uomini non cancella la specificità della

loro vita, ma evidenzia la loro “cittadinanza paradossale” ossia, come sugge-

risce il senso etimologico paradoxa, una “forma di vita meravigliosa”, diffe-

rente rispetto all’opinione comune. Il paradosso consiste in quell’et-et che

consente di superare la falsa alternativa tra l’appartenenza alla città di Dio e

il sentirsi parte viva della città degli uomini”.

Al n. 13 e al n. 14 esplicita il principio veritativo dell’incarnazione che

continua nell’animazione del mondo da parte dei cristiani:

“I cristiani svolgono nel mondo la stessa funzione di presenza e di anima-

zione che l’anima adempie in rapporto al proprio corpo. Come l’anima unifi-

ca e governa l’azione del corpo così i cristiani costituiscono un principio di u-

nità e di amore tra gli uomini. Essi attuano e propongono agli altri un tipo

altissimo di moralità personale e sociale, animano il mondo attraverso una

forma di vita meravigliosa. Sono minoranza da un punto di vista statistico,

ma annunciatori di un messaggio universale”. “Secondo il detto evangelico, i

cristiani sono nel mondo, ma non sono del mondo. Il loro atteggiamento di

serena presenza nel mondo si fonda sull’incrollabile decisione di non svende-

re la propria anima e la propria fede alle minacce e alle lusinghe dello “spiri-

to del mondo”. Essi sanno che è così facendo, vanno incontro a una situazio-

ne di riprovazione sociale”.

Al n. 15 infine, è dato il principio architettonico ed anche ermeneutico

dell’unità degli opposti in Cristo, (coniugare trascendenza e incarnazione)

dove la presenza dei cristiani nel mondo non crea opposizione ma integra-

zione e in questo sviluppo armonico di integrazione degli opposti emerge

tutta la bellezza della vita cristiana, riflesso della bellezza di Dio.

“I cristiani non possono venir meno alla loro vocazione di coniugare in-

sieme trascendenza e incarnazione. La trascendenza del mistero cristiano è

tale che non esclude, ma esige la sua incarnazione nel mondo. A loro non è

consentito né di ricadere in una mondanità spirituale, confondendo i valori

del vangelo con quelli dello “spirito del mondo” in una sorta di “irenismo va-

257

loriale” né di isolarsi in un angelismo infecondo in nome di una appros-

simativa interpretazione della legge di trascendenza. Essi devono superare la

falsa alternativa tra la fuga dal mondo e l’asservimento ad esso, e vivere in

un atteggiamento di simpatia verso il mondo testimoniando con coraggio la

differenza evangelica”.

Il documento consta di sette capitoli che affrontano quattro temi fon-

damentali della vita della Chiesa di Ugento e che saranno presentati da

quattro sacerdoti della nostra diocesi:

1. la storia della diocesi come tempo di grazia, che sarà illustrato da

don Giuseppe Indino

2. l’ambiente vitale in cui è inserita la vita e l’opera della nostra Chiesa,

affidato a don Lucio Ciardo

3. il tema dell’educazione come mistero che affascina, che mette le ali

alla vita rendendola bella così come è Cristo, bellezza che salva, pre-

sentato da don Oronzo Così

4. la Chiesa quale sposa bella di Cristo “bel pastore” è chiamata a co-

niugare i verbi dell’amore perché manifesti tutta la sua bellezza con

cui ama, canta e cammina. Ama il mondo perché creato da Dio, canta

le lodi del suo Signore perché ha redento l’umanità liberandola dal

peccato e dal male, cammina insieme agli uomini di oggi costruendo

il sentiero per il Regno dei cieli perché Dio sia tutto in tutti.

Permettetemi di concludere questa semplice introduzione proponendovi

il n. 151 dove il Vescovo dice la bellezza della Chiesa che deve saper coniu-

gare i verbi dell’amore, in cui le parole intense dell’amore manifestano la

bellezza del pensiero che arde d’amore.

“La Chiesa manifesta la sua dimensione comunionale quando coniuga i

verbi dell’amore. Stupirsi: rimanere a bocca aperta di fronte a qualcosa

troppo grande che ci supera e non può essere racchiuso in parole troppo pic-

cole. Entusiasmarsi: avere dentro una divina mania che contagia e avvolge

con la sua gioia e lascia il cuore in festa. Meravigliarsi: scoprire che anche le

piccole cose sono un vero miracolo perché contengono una riserva di senso

che ha dell’incredibile ed è superiore a ciò che non era nemmeno possibile

sperare o immaginare. Abbracciare: stendere le mani per accogliere e ospi-

258

tare l’altro nella propria anima. Piangere: lacrimare quando un forte dolore

o una felicità traboccante non trova altra via d’uscita se non il rivolo delle la-

crime che sgorgano dagli occhi. Cantare: esprimere con il canto l’amore che

non si può dire con le parole. Danzare: lasciare che anche il corpo segua la

musica interiore dell’anima. Appassionarsi: sentire e sperimentare la passio-

ne per Dio e per l’uomo (pati divina e pati humana); avvertire la forza di un

amore che sprigiona una energia sopita e trascina in un vortice impetuoso e

inarrestabile. L’amore non è una fiamma smorta né emana una luce fioca,

ma arde, brucia e consuma”.

La categoria noetica di bellezza, che mi sembra la nota originale e stupe-

facente del documento, ci aiuterà a compiere un passaggio, doveroso e ob-

bligato nella cultura moderna, dalla bellezza estetica alla bellezza estatica.

Dove lo stupore e la meraviglia di guardare con gli occhi tutto ciò che di bel-

lo c’è sotto il cielo, dirige lo sguardo a contemplare Dio che è nei Cieli. Così

come canta il sommo poeta:

E quindi uscimmo a rivedere le stelle (Canto XXXIV dell’Inferno)

puro e disposto a salire a le stelle (canto XXXIII del Purgatorio)

l’amor che move il sole e le altre stelle (canto XXXIII del Paradiso).

don Stefano Ancora

La storia della diocesi come tempo di grazia

Desidero anzitutto ringraziare il vescovo mons. Angiuli per il dono di que-

sto testo che mi piace definire “gustoso” per i suoi contenuti, da assaporare e

gustare lentamente, e per la sua forma accessibile ed accattivante, e in alcuni

tratti poetica; è un testo che apre il cuore ad una più completa formazione

spirituale e schiude la mente a più ampi gli orizzonti culturali.

Nel primo capitolo, come suggestivo incipit, ritrovo concretizzato quanto

mons. Angiuli ha più volte ripetuto in diverse occasioni, tanto nei suoi scritti,

quanto nelle omelie, come anche negli incontri di forania: l’invito a “fare

memoria!”. Il che non significa ricordare semplicemente quanto accaduto in

259

passato, ma indagare con attenzione la storia per leggervi il senso degli av-

venimenti così ricchi di semi di futuro, trovando cioè in quegli eventi l’antici-

pazione e la preparazione del tempo presente.

È un’indicazione preziosissima di un metodo e di uno stile pastorale, che

purtroppo noi parroci non sempre sappiamo attuare quando ci avvicendiamo

nelle parrocchie. Per usare una bella immagine utilizzata dallo stesso vescovo

nell’introduzione: è lo stile del “compositore che si lascia afferrare da

un’intensa emozione” (n. 1) nel mettere mano ad una nuova composizione, e

direi di più con un’altra immagine, è il desiderio dell’innamorato di conoscere

tutto della sua amata non per sterile curiosità ma per assecondare ed accre-

scere l’amore per lei. E il primo capitolo del documento pastorale è tutto se-

gnato da questo stile, a partire dal titolo: I tempi della sinfonia, l’immagine

musicale utilizzata per cogliere il significato della nostra storia diocesana.

Il passaggio decisivo mi pare di poterlo cogliere nei numeri 22-23 a partire

dalla domanda: “Qual è il senso nascosto nella storia della nostra Chiesa loca-

le?”. Mons. Angiuli introduce l’immagine della sinfonia e scrive: “La bellezza

della composizione è il risultato della diversità dei temi musicali tenuti insie-

me da una melodia fondamentale e dall’accordo di diversi strumenti. I singoli

temi, se ascoltati singolarmente, esprimono in modo incompleto l’idea del

compositore, mentre acquistano tutto il loro valore se considerati all’interno

dell’intera composizione (22). La storia della nostra Chiesa locale nel cinquan-

tennio postconciliare assomiglia a una composizione sinfonica modulata in di-

versi tempi e caratterizzata da differenti sviluppi musicali. La Vergine de fini-

bus terrae funge da tema dominante e da paradigma fondamentale che con-

sente di ammirare l’armonia e la magnificenza dell’intera composizione” (23).

Questa chiave di lettura ci permette di cogliere due idee fondamentali: la

Vergine Maria, oltre ad essere il tema dominante di questa sinfonia inscritta

nella nostra storia, una sorta di cantus firmus, è colei che permette uno

sguardo d’insieme sulla vita della nostra Chiesa diocesana che in lei vede il

prototipo, il modello della Chiesa voluta dal Concilio che cresce nell’ascolto

della Parola e nell’amore per Cristo, nell’attenzione all’altro, nel servizio

umile e disinteressato all’uomo, nella testimonianza della fede che si fa an-

nuncio, celebrazione e speranza per il mondo.

260

Il richiamo al Concilio, con tutte le attese che questo prospetta, impegna la

Chiesa intera e la nostra Chiesa locale in un cammino nuovo, per renderla at-

tenta ai segni dei tempi. In questa prospettiva il documento pastorale ci aiuta

a cogliere con profonda intelligenza i segni che hanno contraddistinto il cam-

mino della nostra Chiesa. Il primo è proprio la Vergine Maria, di cui la nostra

diocesi porta il nome fin dal 1959, per la volontà di mons. Giuseppe Ruotolo,

nostro pastore per un trentennio, e accolta da papa Giovanni XXIII. È questo il

punto di partenza che segna la riflessione mariana sviluppata nella prima se-

zione di questo primo capitolo dal titolo: La prospettiva mariana del Concilio

Vaticano II. Qui, il nostro vescovo, ci aiuta a riflettere sul ruolo di Maria nella

vita della Chiesa così come il Concilio l’ha presentata, soffermandosi sulle ca-

tegorie di tipo, modello e madre della Chiesa, e, citando il n. 28 della Marialis

cultus di Paolo VI, ci invita ad attingere da questo modello le forme di vita e i

legami particolari che devono costituire le nostre comunità cristiane. Il fatto

che la nostra Chiesa abbia assunto anche il nome di S. Maria di Leuca non in-

dica semplicemente “un atto formale o devozionale”, come scrive il vescovo

nel n. 32, ma il chiaro “segno di una nuova indicazione di rotta” per una Chie-

sa che nel simbolo mariano era invitata ad aprirsi a nuove prospettive e a

nuove caratteristiche. Questo avvenne in maniera profetica, visto che nel

1959 il Concilio fu semplicemente indetto ma si aprì solo nel 1962, e la Costi-

tuzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, con il meraviglioso capitolo

VIII sulla figura di Maria nella vita della Chiesa, fu approvato nel novembre

1964. La forza nuova per questa spinta verso orizzonti nuovi e inediti, il nostro

popolo l’ha attinta, e continua ad attingerla, presso il santuario di Leuca,

“gemma della nostra diocesi”, come lo definì mons. Ruotolo nel 1967, in ma-

niera che “l’amore per Maria si traduce in amore per la Chiesa” e viceversa,

come si esprimeva Paolo VI nel n. 30 della Marialis cultus. Anzi nel santuario di

Leuca “si può attingere al duplice principio dell’esperienza cristiana: quello

mariano e quello petrino. Entrambi, insieme, ci aiutano a ripartire da Cristo

per rinnovare la fede, perché risponda alle esigenze del nostro tempo”; sono

le parole di un significativo passaggio dell’omelia di Benedetto XVI durante la

messa celebrata a Leuca il 14 giugno 2008 e riportate in nota nel documento

pastorale.

261

Questo sguardo alla particolare devozione mariana nella nostra Chiesa e

al ruolo del Santuario di Leuca, aprono la seconda parte del primo capitolo

che è divisa in due sezioni: il primo periodo postconciliare, che prende in e-

same la guida episcopale di mons. Ruotolo e l’amministrazione apostolica

degli arcivescovi idruntini, e il secondo periodo postconciliare che parte

dall’episcopato di mons. Mincuzzi fino ai nostri giorni.

In un mirabile sguardo sintetico, mons. Angiuli recupera ed evidenzia i

tratti salenti del magistero di ogni singolo vescovo, sottolineando i contenuti

delle lettere pastorali e i significati dei diversi atti di governo con cui ciascun

pastore ha segnato il cammino della meravigliosa stagione conciliare della

nostra Chiesa. È un importante operazione di recupero della memoria che

diventa essenziale per la nostra esperienza ecclesiale di oggi, la quale, se

perde questa dimensione fondativa, rischia di cadere nella frammentarietà,

nella dispersione e nell’autoreferenzialità. Questa operazione risulta tanto

più importante se si tiene conto dell’immagine che l’anticipa: quella della

sinfonia, che dà il senso della bellezza se si considera l’intera composizione e

non se ci si ferma ad ogni singolo tema musicale. Ciò significa che dobbiamo

guardare all’insieme della nostra storia e non solo ai singoli che l’hanno

scritta, al di là di ogni nostro giudizio talvolta superficiale, il più delle volte

parziale. Questo ci aiuta a non assolutizzare l’operato di questo o quel ve-

scovo, a seconda delle nostre esperienze o simpatie personali, ma a cogliere

l’opera complessiva che ciascuno, con le proprie caratteristiche, pregi e limi-

ti, ha contribuito a sviluppare e alla quale non sempre, purtroppo, sacerdoti

e fedeli hanno saputo corrispondere. Ogni segmento di questa storia è stato

importante, perché ha posto le premesse di quanto è accaduto dopo, ma ciò

che risalta maggiormente è la straordinaria ricchezza dell’insieme della sto-

ria ecclesiale che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo.

Nel delineare questo percorso storico non è mancata l’attenzione ad al-

cuni eventi-segni significativi che, giustamente evocati e collocati nel loro

contesto, contribuiscono ad arricchire la lettura dello sviluppo armonico ed

inclusivo che ha segnato la storia e l’identità della nostra Chiesa locale:

l’affidamento da parte di mons. Ruotolo ai Padri Trinitari, nel 1941, di un

complesso immobiliare in Gagliano del Capo grazie al quale fu realizzato un

262

importante Istituto e Centro di riabilitazione, e poi la nascita del Villaggio del

Fanciullo a Leuca, il completamento della costruzione del seminario dioce-

sano nel 1958, i rapporti intessuti fin dal 1959 da mons. Giovanni Panico,

Nunzio in Portogallo e poi cardinale, con le suore Marcelline, grazie ai quali è

potuto iniziare il progetto dell’Ospedale di Tricase, e poi l’ordinazione epi-

scopale di mons. Cassati nel 1970; durante l’episcopato di mons. Miglietta

l’ordinazione episcopale di don Tonino Bello nel 1982, l’invio di don Tito in

Rwanda nel 1991 e l’inizio delle visite dei nostri vescovi in quella terra,

l’elevazione del santuario di Leuca a Basilica pontificia minore nel 1992; sot-

to l’episcopato di mons. Caliandro si ebbe la costruzione del monastero delle

Clarisse ad Alessano nel 1995; durante l’episcopato di mons. De Grisantis,

dal cui cuore nacquero la casa di accoglienza “Maior Caritas” e il “Progeto

Tobia”, abbiamo vissuto l’indimenticabile visita di papa Benedetto XVI a

Leuca; ed infine l’ordinazione episcopale di mons. Gerardo Antonazzo nel

2013 sotto l’episcopato di mons. Angiuli.

L’ultimo anello di questa ininterrotta catena di testimonianza di fede e di

impegno pastorale, lo stiamo vivendo in questi anni con mons. Angiuli, è la

storia presente. È la storia che stiamo scrivendo per il futuro. Mons. Angiuli,

dopo aver richiamato i tre fari luminosi del nostro cammino diocesano

all’inizio della sua permanenza in mezzo a noi, la fede del popolo di Dio, la

testimonianza di don Tonino Bello, la materna protezione della Vergine de

finibus terrae, ha situato la sua guida pastorale in sintonia e in continuità

con il cammino precedente, spronandoci ad uno stile sinodale di discerni-

mento comunitario, e sviluppando in maniera armonica e consequenziale i

semi gettati nel terreno della nostra Chiesa dall’entusiasmo e dalla passione

di coloro che lo hanno preceduto.

Il mio intimo auspicio è che questo testo non sia solo letto, ma meditato

nelle comunità e studiato nei consigli pastorali parrocchiali, perché possa

veramente guidare il cammino della nostra Chiesa in questo decennio, e no-

nostante le difficoltà e le contrarietà che sembrano offuscare e tormentare

la nostra quotidianità, possiamo arrivare a testimoniare con gioia che davve-

ro la vita cristiana è una forma di vita meravigliosa.

don Giuseppe Indino

263

L’ambiente vitale in cui è inserita la vita e l’opera della nostra Chiesa

Nel ringraziarla per avere voluto che presentassi questo capitolo accor-

dandomi la sua fiducia, colgo l’occasione per ringraziare le persone (Donato,

Emanuele, Grazia, Edoardo e Don Giorgio) con cui ho discusso, e da cui è

scaturita, questa piccola riflessione. L’ho fatto perché non fosse solo il mio

pensiero ma nascesse da un confronto tra persone che hanno età differenti,

responsabilità diverse o sono in cerca di un collocamento di impegno a ser-

vizio della nostra terra per renderla più bella e meravigliosa.

Divido la riflessione in tre punti.

1. Una terra luminosa che riflette i colori del cielo

Una riscoperta delle nostre radici, in modo particolare, la rilettura

dell’ambiente vitale del secolo scorso come luogo educativo dove la Chiesa

non sempre ha colto i segni dei tempi

L’opera educativa si compie in un ambiente vitale dove la cultura, le tra-

dizioni, la società formano quasi un grembo materno, che genera, nutre e fa

crescere i singoli e le comunità e orienta i loro rapporti e le loro scelte. In un

mondo globalizzato non sempre ciò è vero, basti pensare quanti nostri gio-

vani che oggi non sono più presenti e non riescono a vedere nemmeno in

prospettiva futura una loro realizzazione nel nostro territorio. Ecco l’invito

ripreso dal nostro Vescovo che viene anche da Papa Francesco, ad affondare

le radici nella terra fertile del proprio luogo, che è dono di Dio e dai nostri

Vescovi Pugliesi, i quali invitano ad amare la propria terra soprattutto in

questo momento di crisi economica e sociale.

Quindi il nostro Vescovo ci sprona come Chiesa, a svolgere un’opera e-

ducativa che incida nella vita di oggi, a scoprire e ad amare il Basso Salento,

a comprendere i cambiamenti sociali, culturali, economici e religiosi con le

sue luci e le sue ombre.

Ricostruiamo la visione del Capo di Leuca attraverso testimonianze stori-

che.

264

1903 - terra di periferia,

estremo lembo della Puglia, così si esprimeva Alfredo Codacci Pisanelli,

fuori da ogni comunicazione; forse ancora oggi, dai mezzi di comunicazione.

1938 - terra di contrasti,

come doveva apparire a mons. Ruotolo: “una terra senza risorse… bella…

splendida… struggente… malinconica… marginata” (parole di don Tonino)

priva di leader capaci di interpretare i bisogni e far scaturire strategie di svi-

luppo per tutti; una popolazione che viveva nella povertà, assuefatta allo

sfruttamento. Una Chiesa nella sua globalità che, se non era complice del ri-

stagno sociale, era conservatrice dello status quo. (1a occasione persa)

1960 - terra di braccianti,

così scriveva don Tonino: “Tra i proletari, i braccianti, senza dubbio costi-

tuiscono la categoria che si trova nella più disumana inferiorità sociale.

L’instabilità del lavoro, l’incertezza di trovarlo, la retribuzione meschina

svantaggiano in modo evidente i più fondamentali diritti così come la perso-

nalità del bracciante. Oggi per fortuna tali rimedi si sono cominciati a pren-

dere: […] in ogni zona della Puglia si sono costituite le comunità braccianti

che hanno come fine l’impostazione cristiana dei problemi del mondo brac-

ciantile. Il terreno pare proprio preparato per l’azione del sacerdote: ma i sa-

cerdoti che si dedicano in questo campo dell’apostolato in Puglia sono anco-

ra pochi – ed affermava – se giungiamo in ritardo rischiamo che questa

grande forza ci sfugga di mano.” (2a occasione persa)

Terra di cultura, tradizioni e saggezza popolare,

è sempre don Tonino che con acutezza profetica, annotava come la cul-

tura dei nostri avi affondasse le sue radici in una tradizione storica lontana,

che ha la sua origine nel modo di essere e di concepire il territorio delle civil-

tà italiche e greche che si sono succedute nel tempo; annotava come il no-

stro popolo è “aduso al sacrificio e alla durezza della vita,… una gente pove-

ra, quella del Salento, di denaro, ma ricca di sapienza, dimessa nel

portamento ma aristocratica nell’anima, rude nel volto contadino ma ospita-

le e generosa”.

265

Anni ottanta - terra di bellezza incontaminata,

così si esprimeva il filosofo Italo Mancini: “Una bellezza non solo fisica di

un territorio incontaminato, ma anche di una disponibilità all’accoglienza del

forestiero che lo fa sentire parte del territorio e della sua storia sociale e di

fede”. Una riflessione che ascolto ripetere anche oggi dai pellegrini che fan-

no la esperienza della “Via Francigena-Via Leucadensis”, nel trovare ospitali-

tà e calore nell’oratorio S. Ippazio-Luciperti di Tiggiano e pace nell’ultimo

tratto di strada da Tricase al Santuario di S. M. di Leuca della Madonna di fi-

nibus terrae.

Centro del Mediterraneo: modernizzazione senza sviluppo,

anche il nostro Salento sentì, negli Settanta del secolo scorso, il vento del

modernismo che tentò di “rivoluzionare” tradizioni, come abbiamo detto

precedentemente, ataviche. L’abbandono della terra, già avvenuto con la

prima migrazione negli anni ’50-’60 e consolidato dalla seconda migrazione

a fine degli anni ’70, unito al desiderio di svecchiamento di usi e costumi

fermi al secolo precedente, non hanno prodotto il sospirato progresso cultu-

rale-sociale ed economico dell’intera popolazione, così come non hanno mi-

gliorato il territorio rendendolo produttivo; piuttosto il modernismo e le

rimesse economiche degli emigranti si sono caratterizzate, in modo partico-

lare, nell’unidirezionale scopo di dotare la propria famiglia di un apparta-

mento di proprietà; senza preoccuparsi di investire sul territorio per il bene

comune. Le esperienze imprenditoriali del TAC si sono caratterizzate, invece,

per la massimizzazione del profitto a discapito del territorio e degli operai

spesso sottopagati.

A questo è necessario aggiungere una classe politica incapace di orienta-

re scelte socio-economiche per uno sviluppo reale, che tenesse presente

l’habitat naturale del territori, producendo così una cultura individualista.

Gli anni della crisi economica,

una crisi, negli anni ’90, iniziata con l’apertura dei mercati dell’est ed il di-

slocamento delle produzioni, per convenienza fiscale e del costo del lavoro.

2005, la situazione si fece critica, fino all’esplosione nel 2007 i cui strasci-

chi sono a tutti evidenti; si passa nella provincia di Lecce da 12 mila persone

266

che usufruivano negli anni scorsi dell’aiuto alimentare ai 70 mila attuali, at-

traverso l’azione degli caritativi convenzionati con il Banco delle Opere di

Carità.

2010, da questo anno a oggi assistiamo impotenti alla terza emigrazione

della gente del sud, soprattutto giovani ad alta scolarizzazione, oltre alle

persone che hanno perso il lavoro e cercano con grande difficoltà di inserirsi

al Nord nel mondo del lavoro.

L’unico aspetto positivo in questi anni è rilevato nell’incremento del turi-

smo, che scopre non solo la bellezza delle nostre coste; ma tutte quelle tra-

dizioni religiose, musicali, culinarie(sagre) l’archeologia, la storia che noi

stessi avevamo trascurato e dimenticato. Il Capo di Leuca deve opportuna-

mente ispirarsi, nel perseguire un nuovo modello di sviluppo, alle tre priorità

indicate dall’Unione Europea nella “Strategia 2020”, ovvero una crescita in-

telligente, una crescita sostenibile ed una crescita inclusiva. In questo senso,

anche nel Capo di Leuca bisogna ragionare in termini di smart city, ovvero

uno sviluppo sostenuto ed accompagnato dalla diffusione delle nuove tec-

nologie digitali e telematiche, dando risalto e priorità al nuovo TAC (Turi-

smo, Ambiente, Cultura) e con la crescita di un manifatturiero di qualità,

facente parte a pieno titolo del made in Italy che si può vendere in qualsia-

si parte del mondo, soprattutto nei Paesi emergenti (promozione del-

l’export dei nostri punti di forza). È dalla combinazione di una pluralità di

produzioni e non da una visione monosettoriale, che si possono costruire

delle nuove modalità di sviluppo. In questi anni la nostra Chiesa ha svilup-

pato un’attenzione particolare al mondo del lavoro, in modo particolare ai

giovani ed alle donne e a coloro che hanno perso il lavoro, attraverso

l’esperienza del Progetto Policoro e l’azione del Microcredito-Progetto To-

bia per il sostegno alla creazione d’impresa come gesto concreto scaturito

dalla carità di un’intera Chiesa accampata nella città degli uomini di Ugen-

to-S. Maria di Leuca.

2. L’incontro con Benedetto XVI a S. Maria di Leuca 14 giugno 2008, qua-

le ruolo del nostro territorio: frontiera e ponte tra oriente e occidente

Tempo della globalizzazione. Queste trasformazioni non possono essere

267

ininfluenti per le comunità ecclesiali, perché costituiscono un nuovo ambito

nel cui si muove la sua vita e la sua missione nel mondo.

Benedetto XVI a Leuca ci indicò quale il ruolo del nostro territorio indica-

to con il poetico nome “de finibus terrae” che riecheggia in una delle ultime

parole del nostro Maestro Gesù Cristo. Non il confine e il limite del mondo,

ma piuttosto la frontiera e il ponte capace di far comunicare popoli distanti

nelle tradizioni culturali e sociali.

Terra di frontiera, dunque. Una terra ricca di condizioni favorevoli allo

sviluppo, all’incontro e allo scambio; la sua posizione centrale nel Mediter-

raneo ne fa la porta dei flussi migratori che dai Paesi del Sud del mondo so-

no diretti nel Nord Europa. Dunque non fine, ma centro del Mediterraneo.

Il Capo di Leuca: città diffusa: nell’Omelia nella festa del patrono della

Diocesi il Vescovo così descriveva la nostra Diocesi. Mettendo appunto in

evidenza l’aspetto suddetto e proponendo un rinnovato impegno culturale e

di evangelizzazione; perché veramente il Capo di Leuca si dimostri oasi di

evangelizzazione e di promozione sociale in contesto di evidente desertifica-

zione di cultura, fede e tradizioni.

Una terra tra due mari. Dono di Dio a noi; dono che dobbiamo saper cu-

stodire, valorizzare e donare alle generazioni che ci seguiranno.

3. Un progresso che ha bisogno di cristiani capaci di creare rete e oppor-

tunità di integrazione per coloro che sono esclusi e quindi comunità che sia-

no luogo di preoccupazione per la costruzione di un mondo migliore e più

bello, cioè che lavorino per il Regno di Dio.

Il concetto espresso in questa ultima parte del mio intervento è che ab-

biamo bisogno di rivedere il nostro modo di essere, attraverso proposte ca-

paci di guidare il progresso verso un progetto che tenga necessariamente

conto del territorio, con la sua bellezza geografica, che lascia incantati i di-

versi visitatori, un luogo che fa riempire di stupore e meraviglia chi lo calca

per la prima volta, e che tenga conto delle persone, affinché la promozione

sociale sia autentica ed indirizzata non a pochi, ma a tutti. In modo partico-

lare dobbiamo come comunità parrocchiali/civili avere la capacità di coin-

volgere e far sognare i giovani insieme, sostenendoli nel loro essere prota-

268

gonisti, anche con le acquisizioni tecnologiche maturate nelle loro esperien-

ze all’estero.

Da qui discende l’impegno ecclesiale nella formazione di sacerdoti e laici

che imparino a conoscere e valorizzare il Capo di Leuca; capaci di testimo-

niarlo ai giovani con gesti concreti che siano espressione di una Comunità

che vive la comunione e la gratuità, dove“ a nessuno manca il necessario per

vivere dignitosamente”. La testimonianza di una comunità come spazio vita-

le dell’incontro di Dio con gli uomini, in contrasto con la cultura dell’isola-

mento che qualche volta uccide la piantina appena germogliata.

Il progresso di questa terra luminosa che riflette i colori del cielo se ha a

cuore la cura del bello e il rispetto della dignità di ogni essere umano, farà

incontrare al suo popolo il Trascendente .

Infine, per confrontarci in questa ricerca, invito a leggere l’Evangelii Gau-

dium, l’esortazione apostolica di Papa Francesco, dal n. 180 al n. 183.

don Lucio Ciardo

La vita bella

Cristo, la bellezza che salva

Il capitolo V, intitolato “La vita bella”, del Documento scritto dal nostro

Vescovo si apre con un richiamo all’urgenza di esplorare la via della bellezza,

identificata nell’annuncio di Cristo e del Vangelo, il quale annuncio non è so-

lo vero e giusto, ma deve essere anche bello. Questa considerazione culmina

nel capitolo VI, intitolato esattamente Cristo, la bellezza che salva.

Il capitolo V, soprattutto nella parte centrale, è un’interessante excursus

storico-filosofico, grazie al quale veniamo a conoscenza dei canoni della bel-

lezza che hanno orientato la cultura occidentale a partire dell’epoca classica,

quella greco-latina, fino ai nostri giorni. Questa sezione, nella sua profondità

e semplicità è di facile comprensione, per cui non ci soffermeremo su di essa

più di tanto, se non attraverso qualche accenno.

Le provocazioni più interessanti e cariche di conseguenze si trovano nella

269

parte introduttiva del capitolo V e nella parte finale. Il capitolo, infatti, si a-

pre con una frase molto importante e interessante, che costituisce la chiave

di lettura di tutto il capitolo, se non di tutto il documento stesso.

Al paragrafo 116 leggiamo: “L’educazione estetica è, oggi, la fonte prima-

ria per il recupero della dimensione etica”. Questo è un passaggio molto de-

licato sul quale è necessario soffermarsi. L’estetica e l’etica sono messe in

relazione tra loro. Cosa vuol dire? Una parte della teologia contemporanea,

tra cui il noto teologo svizzero Hans Urs von Balthasar, citato anche nel do-

cumento, ha trattato questa associazione in modo approfondito, eviden-

ziando la disarmante concretezza di questo rapporto. Dire estetico e dire

etico può sembrare qualcosa di astratto e ideale: in realtà, se riflettiamo at-

tentamente, non c’è nulla di più concreto. Se, infatti, al termine estetico as-

sociamo il termine promessa, ampiamente utilizzato dalla teologica con-

temporanea, il quadro diventa molto più chiaro ed evidente.

L’estetico, ossia ciò che è bello, ciò che è promettente nella vita, insom-

ma la promessa della vita, suscita l’etico, cioè il desiderio e la libertà.

Sempre nel paragrafo 116 leggiamo: “Educare significa […] indirizzare il

desiderio verso la pienezza”. Ognuno di noi ha nel proprio cuore un deside-

rio che corrisponde all’estetico, corrisponde cioè a ciò che di bello e promet-

tente si presenta davanti agli occhi: questa corrispondenza fa sì che l’etico,

cioè la libertà umana, si attivi in una direzione ben precisa.

Un esempio tra i più comuni, che ha anche una qualità teologica, è quello

del rapporto uomo-donna. Quell’uomo o quella donna corrisponde al mio

desiderio, sento che il mio rapporto con lui o con lei ha qualcosa di promet-

tente, bello (dimensione estetica), quindi mi decido, faccio il passo, attivo la

mia libertà (dimensione etica). La parola pienezza, utilizzata dal Vescovo, e-

sprime la possibilità che si possa vivere per qualcosa o per qualcuno, per cui

si ritiene valga la pena spendere l’intera vita e dunque, la parola pienezza,

esprime la possibilità di vivere una vita che non impoverisca, che non ci

muoia tra le mani, che abbia un obbiettivo il cui valore è indiscutibile e

prende tutta la persona. Senza queste dimensioni la vita si impoverisce, si

svuota, si accontenta di poco: ma questa è la morte della libertà, cioè della

dimensione etica dell’uomo.

270

Diventano chiare, in questo senso, i versi del poeta Ugo Foscolo, citato

dal Vescovo: “Date bellezza agli uomini che gridano / il pane e l’odio, co-

struite bellezza / per gli uomini affamati e d’occhi rossi /conturbati in di-

sperazione. Irosi / chiedono il pane poiché non lo sanno /di morire per fame

di bellezza”.

Così come diventa chiara anche la struttura drammatica della bellezza. La

bellezza diventa drammatica perché l’estetico, cioè la promessa della mia vita,

non è mai posseduto in modo definitivo: è sempre sul punto di essere perso,

smarrito. Esattamente come accade nella vita comune, dove la promessa,

quella realtà promettente che orienta la mia libertà, è sempre sul punto di es-

sere persa. Non posso mai dare per certo il mio rapporto con l’altro, non è al

sicuro per sempre solo perché mi sono deciso per lei, per lui o per qualcosa.

Quel rapporto deve essere vissuto giorno per giorno, deve essere confi-

gurato e modulato quotidianamente attraverso la fiducia: può essere un

rapporto a volte gioioso e sereno, ma può essere anche carico di tensioni e

difficoltà, appunto la bellezza di quel rapporto ha una struttura drammatica.

Anche con Dio è così. Quel volto di Dio, che Gesù nel Vangelo mi presen-

ta come buono, come Padre affidabile, bello, promettente; quella bellezza

promettente del volto di Dio che io vedo solo grazie al Vangelo di Gesù e

molto poco a partire dalla mia vita, può essere smarrita e persa, se mi allon-

tano dal Vangelo. E a Dio posso anche dire: tu non ci sei, tu mi abbandoni, ti

sei dimenticato di me, non mi sostieni più, ti sento lontano. È la struttura

drammatica del rapporto con Dio.

Scrive il Vescovo nel paragrafo 117: “L’autentica bellezza, invece, schiude

il cuore umano alla nostalgia, al desiderio profondo di conoscere, di amare,

di andare verso l’Altro, verso l’Oltre da sé”. Questo è anche il motivo per cui

non posso accontentarmi dell’estetismo, cioè della bellezza esteriore, ma

devo andare all’estetico, che costituisce l’aspetto decisivo. L’estetico, quan-

do è colto nella sua profondità, mi impegna quotidianamente, mi dà da vive-

re. Io non vivo semplicemente un’esistenza, ma vivo una pro-esistenza, cioè

un’esistenza per… qualcosa o qualcuno!

La storia della cultura occidentale conosce benissimo questa impostazio-

ne, anche se non è stata teorizzata in modo così sistematico come oggi; ma

271

è stata vissuta, ed è questo ciò che conta. Noi abbiamo teorizzato, ma sten-

tiamo a vivere.

Nel documento, per ogni periodo storico, sono individuate delle triadi,

cioè tre elementi, per i quali la cultura dell’epoca riteneva valesse la pena

vivere e spendersi totalmente: l’estetico che suscita l’etico.

La cultura greca viveva per l’uomo, la pòlis e gli dèi.

La cultura latina viveva per la voluptas (amore per la vita), la pìetas (reli-

gione, patria e famiglia) e l’opus commune (la vita di comunità).

Nel Medioevo ritroviamo questi valori classici riletti in chiave cristiana.

Nell’Umanesimo-Rinasciamento si vive per affermare la dignità dell’uo-

mo (cultura e scienza) accanto al lavoro e all’arte.

Nell’Epoca Moderna si propone la triade libertà, fraternità e uguaglianza.

Con una particolarità: questi valori sorgono è si sviluppano etsi deus non da-

retur, come se Dio non ci fosse.

In seguito, la prospettiva secolarista teorizza l’eliminazione del mistero e

della trascendenza dalla vita umana, fondando l’esistenza sul principio di au-

todeterminazione e dando origine a fenomeni come l’individualismo, l’as-

senza del padre e l’assenza di un orizzonte di senso nel quale collocare la

storia e l’uomo, che non vede più un telos, cioè un fine della propria vita.

La prospettiva post-secolarista reagisce al nichilismo imperante nel secola-

rismo, prospettando un ritorno, a volte ambiguo, del sacro. Una domanda che

oggi non può essere elusa è questa: per quale bellezza vive l’uomo di oggi? È

difficile dare una risposta, tanto è complessa la società contemporanea.

Ma nel paragrafo 134, che è veramente una piccola perla, il Vescovo po-

ne in relazione bellezza e santità, associando due aspetti che sembrerebbero

distanti e sostenendo che, per il cristiano, la santità è la vera bellezza per la

quale vale la pena spendersi totalmente. Una vita vissuta nella santità susci-

ta meraviglia e stupore. L’educazione è, quindi, “insegnare l’arte della mera-

viglia, l’attitudine a lasciarsi affascinare e attrarre dalla bellezza, soprattutto

quella che rifulge in una vita santa. La meraviglia è la viva sorpresa che si

prova davanti a qualcosa di non comune o di non atteso e sconfina con la

contemplazione di un avvenimento o di una persona che colpisce piacevol-

mente i sensi e lo spirito e spalanca la porta del mistero”. (135)

272

La cultura ebraica e greca conoscono molto bene la meraviglia: la prima

vede in essa l’origine della Sapienza, la seconda l’origine della filosofia stes-

sa. Ma per il cristiano la meraviglia delle meraviglie è Gesù Cristo, il quale

con parole e gesti, rivela il volto buono, bello, promettente e affidabile

dell’Abbà. I vangeli lo sanno benissimo.

Cito nuovamente il Vescovo al n. 145: «Tra tutte le meraviglie compiute

da Dio nella storia della salvezza Cristo è la bellezza che salva. Rivelando lo

splendore dell’amore trinitario, egli manifesta l’amore che si dona fino alla

fine. Ed è proprio questo “amore folle” di Dio, il volto della bellezza che redi-

me il mondo ferito dal male».

Nell’abbassamento di Dio, che in Cristo condivide la natura umana e il

cammino dell’uomo, il Cristianesimo fonda la sua attenzione per i poveri e

gli ultimi, un modo di essere e agire al quale il Cristiano è costantemente

chiamato ad ispirarsi. La bellezza di Cristo e della sua storia deve colpire, af-

fascinare, coinvolgere, deve diventare un luminoso esempio e metro di mi-

sura del cammino cristiano: perché, se il vangelo non colpisce e non rapisce,

resta semplicemente lettera morta.

don Oronzo Cosi

CRONACA RELIGIOSA E PASTORALE

275

90° GENETLIACO DI MONS. CARMELO CASSATI

TRICASE, 7 APRILE 2014

Omelia del card. Salvatore De Giorgi

arcivescovo emerito di Palermo

1. Ho accolto ben volentieri e con animo grato l’invito dell’eccellen-

tissimo e carissimo mons. Vito Angiuli a unirmi a lui, alla Chiesa di Ugento-

Santa Maria Leuca e alla comunità di Tricase nel rendimento di grazie che il

carissimo confratello l’Arcivescovo Mons. Carmelo Cassati, figlio e cittadino

insigne di questa Città, eleva al Signore in occasione del suo 90° Genetliaco,

un traguardo di vita non comune, un grande dono di Dio, un segno della sua

benedizione, come abbiamo pregato nella orazione colletta.

Un traguardo di vita non comune, superiore a quello esaltato dal salmi-

sta: “Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i robusti” (Sal

90,10).

Un grande dono di Dio, che suggella e prolunga il suo amore di Creatore

e Padre, con il quale gli ha donato il primo e più grande dono, quello della

vita, per cui può ripetere col Salmista: “Sei tu, Dio mio, che mi hai tratto dal

grembo, mi hai fatto riposare sul petto di mia madre. Al mio nascere tu mi

hai raccolto, dal grembo di mia madre, sei tu il mio Dio”(Sal 22,9-10).

E il pensiero va spontaneamente al giorno della sua nascita il 6 aprile

1924 e ai suoi genitori Vincenzo e Maria Concetta Panico, che lo hanno ac-

colto ed educato cristianamente come un dono di Dio. E dono di Dio è un fi-

glio, non semplice prodotto umano.

2. Un dono di Dio, arricchito progressivamente da altri doni, come e-

spressioni della tenerezza, della benevolenza e della predilezione del Signo-

re: il Battesimo, la Cresima, il primo incontro eucaristico con Gesù, e soprat-

tutto la chiamata alla vita di speciale consacrazione tra i Missionari del Sacro

Cuore suggellata con la professione solenne il 28 giugno del 42, la vocazione

276

al Sacerdozio ministeriale ricevuto a Roma il 17 dicembre 1949 e la grazia

dell’Episcopato celebrato il 28 giugno 1970 qui a Tricase.

Sono i segni della benedizione del Signore, i prodigi, le meraviglie del suo

amore, per cui il carissimo confratello può pregare col salmista:“Tu mi hai

istruito, o Dio, fin dalla giovinezza, e ancora ne proclamo i tuoi prodigi” (Sal

77,6-7).

E prodigi del suo amore sono stati gli studi e la formazione spirituale ri-

cevuta nei Seminari dei Missionari del S.Cuore, nella Pontificia Università

Gregoriana dove ha conseguito la licenza in teologia e in quella cattolica di

Ottawa (Canadà) in diritto.

Veramente può dire di essere stato istruito da Dio fin dalla giovinezza, in

vista di una missione grande, ricca di avventure apostoliche, alla quale Dio,

nei suoi imperscrutabili disegni, lo preparava con cuore di Padre e che egli

ha poi svolto con cuore di figlio.

3. A distanza di molti anni quei ricordi tornano alla memoria, ma solo per

lodare il Signore e dire col salmista: “Ripenso ai giorni passati, ricordo gli an-

ni lontani. Un canto nella notte mi ritorna nel cuore; rifletto e il mio spirito si

va interrogando. Ricordo le gesta del Signore, ricordo le meraviglie di un

tempo” (ib. 6-7).

Ricorda la sua esperienza sacerdotale missionaria nel Brasile equatoriale

accanto e a capo dei suoi confratelli, e quella diplomatica, prima accanto al

più insigne concittadino di Tricase, suo zio materno e Nunzio Apostolico,

l’Arcivescovo e poi Cardinale Giovanni Panico, seguendolo nella rappresen-

tanza pontificia in Perù, in Canadà, in Portogallo, e successivamente a Roma

accanto ai Cardinali Callori di Vignale e Alfredo Ottaviani.

Esperienze diverse ma complementari, vissute con forte senso ecclesiale

e pastorale: sia a servizio dei poveri delle favelas, sia a servizio della Santa

Sede.

Servizi che gli hanno dato la possibilità di conoscere popoli diversi nel-

l’unico popolo di Dio e di parlare diverse lingue nell’unica lingua della fede.

Ma più direttamente pastorali sono state le sue esperienze episcopali. A

ricordarle sono quì i sacerdoti dell’Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie,

presenti con il loro amato Arcivescovo, il carissimo Mons. Giovanni Battista

277

Pichierri, suo immediato successore in quella santa Chiesa, che Mons. Car-

melo ha servito con amore, dopo quella brasiliana di Pinheiro e quelle italia-

ne di Tricarico, San Severo, Lucera, dove l’ho conosciuto più direttamente

come Arcivescovo di Foggia, con grande stima e fraterna amicizia.

La loro presenza è la testimonianza viva e grata della carità pastorale e

dell’affetto paterno e fraterno che hanno caratterizzato l’episcopato di

Mons. Cassati, che anche per questo può ripetere sereno e riconoscente col

Salmista: ”Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare i tanti suoi bene-

fici” (Sal 103,1).

È il canto di benedizione e di ringraziamento che tante volte egli ha ele-

vato a Dio nella preghiera, soprattutto nella celebrazione eucaristica, la mas-

sima preghiera di lode, di benedizione, di ringraziamento e di adorazione.

4. Oggi siamo lieti in unirci a lui in questo rendimento di grazie al Signore

non solo per le meraviglie di grazia che il buon Pastore ha operato nella sua

vita e per mezzo del suo ministero sacerdotale ed episcopale, ma anche per

il dono della fedeltà, un dono nel dono, riflesso della bontà e della fedeltà

del Signore, che lo accompagnano tutti i giorni della sua vita, come ci ha ri-

cordato il salmista nel salmo responsoriale.

Un salmo, quello 22, che gli antichi padri ripetevano e commentavano ai

catecumeni in preparazione al Battesimo per esprimere le premure del Buon

Pastore verso il suo gregge, la sua Chiesa, tutti noi.

Un salmo che ogni cristiano dovrebbe recitare spesso per sentire il fasci-

no, la gioia, la serenità, la sicurezza nell’affidarsi all’amore del Buon Pasto-

re,sempre pronto ad aiutare, alla sua tenerezza sempre aperta a consolare,

alla sua misericordia, sempre disposta a perdonare.

Ce lo ha ricordato San Giovanni or ora nel Vangelo, nel toccante episodio

dell’adultera che tutti volevano condannare e lapidare, ma che nessuno ha

poi osato condannare e lapidare dopo la provocatoria proposta di Gesù: “Chi

di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”.

È il trionfo della carità pastorale di Gesù, che è stata riversata nel cuore

di ogni sacerdote il giorno dell’ordinazione col dono dello Spirito Santo,

quando ne è divenuto l’icona sacramentale, per prolungare nel tempo e in

modo visibile la sua incessante ma invisibile presenza e missione di Capo-

278

servo, pastore e sposo della Chiesa, nel triplice e indissociabile ministero di

evangelizzatore, di santificatore, di guida.

5. Nel salmo 22 questo triplice ministero pastorale emerge con gli accen-

ti di una poesia che ne esprime sino alla commozione il fascino, la bellezza,

gli impegni e le responsabilità.

Sono certo che a esso si è ispirato e si ispira Mons. Cassati nella sua lun-

ga vita di sacerdote e di vescovo.

Al buon Pastore, che lo ha chiamato, consacrato e mandato, egli si è affi-

dato e si affida tuttora per primo, e per questo può dire “Il Signore è il mio

pastore, non manco di nulla”.

E con questa serenità, con questa certezza, ora abita nella casa del Si-

gnore, nel cuore dell’Azienda Ospedaliera Cardinale Panico, gloria del nostro

Salento, voluta dallo zio con la determinante e preziosa collaborazione delle

Suore Marcelline.

A un’opera così eccellente, della quale ha curato gli esordi e l’inaugu-

razione dopo la morte e per mandato dello zio, Mons. Cassati dedica il servi-

zio pastorale, unendo le sue sofferenze a quelle di Cristo per il bene delle

Chiese che ha servito precedentemente, e offrendo agli ammalati, alle Suore

e al personale dell’Ospedale, come meglio può per le sue condizioni di salu-

te, gli aiuti spirituali del ministero sacerdotale, che non va mai in pensione.

6. Sui pascoli erbosi mi fa riposare. Nella persona e in nome di Cristo

buon Pastore, da sacerdote e da vescovo diocesano, ha condotto il gregge

affidatogli sui pascoli erbosi della Parola di Dio, che nutre la fede di chi crede

e l’accende in chi non crede. Le sue omelie, le sue lettere pastorali, le sue

catechesi,nelle visite pastorali come durante le missioni popolari, pur nella

varietà dei temi trattati, si incentrano nella forza del primo annunzio in ten-

sione missionaria, tanto raccomandato da Papa Francesco nella Evangelii

Gaudium. “Se voi mi chiedete quali sono i progetti del nuovo Pastore – disse

nella prima omelia nella cattedrale di Trani – potrei rispondere: vengo per

parlarvi dell’amore di Dio che si è manifestato in Cristo Signore”. E per un

missionario del S. Cuore non poteva essere diversamente.

7. Ad acque tranquille mi conduce. Mons. Cassati ha condotto il gregge di

Cristo alle acque tranquille dei sacramenti, sorgenti sempre vive e ine-

279

sauribili della grazia, della purificazione dai peccati, della santità alla quale

tutti siamo chiamati, non facendo cose straordinarie ma compiendo i doveri

di ogni giorno, anche più semplici, con amore straordinario a Dio e ai fratelli.

Davanti a me tu prepari una mensa. E nella mensa eucaristica, fonte e

culmine della missione della Chiesa, centro e cuore del ministero sacerdota-

le ed episcopale, ha indicato il nutrimento insostituibile della vita cristiana e

del cammino verso la santità, l’antidoto più sicuro contro i nemici spirituali

che la minacciano, il calice traboccante della gioia pasquale che niente e

nessuno può rubarci.

Rinfranca l’anima mia, mi guida per il giusto cammino. Mons. Cassati ha

guidato il gregge di Cristo, sempre insieme ai sacerdoti, per il giusto cammi-

no, rinfrancando le anime con la sua affabilità, la sua semplicità, il suo sorri-

so e dando sicurezza con i mezzi propri del buon Pastore: il bastone della ve-

rità, che difende il gregge dai lupi, e il vincastro della carità, che lo sostiene

nelle difficoltà del cammino e indica la strada da percorrere insieme, nella

salda comunione ecclesiale, garanzia della credibilità e dell’efficacia missio-

naria della Chiesa, della missione alla quale, come missionario, ha consacra-

to la vita

Un’attenzione particolare ha manifestato ai giovani, maggiormente

esposti alle insidie del materialismo edonista e libertario e alle seduzioni dei

paradisi artificiali, potenziando la pastorale giovanile, connessa con quella

vocazionale, che ha visto crescere nell’Arcidiocesi le risposte alla chiamata

del Signore al sacerdozio ministeriale.

Evangelica predilezione ha manifestato per i i poveri, dei quali in Brasile

ha conosciuto la miseria materiale, morale e spirituale, ossia – come ha pre-

cisato Papa Francesco nel Messaggio quaresimale – una povertà estrema

senza fiducia, senza solidarietà, senza speranza.

Ma al vertice delle sue preoccupazioni pastorali è stata la famiglia, rag-

giunta fin d’allora dalla crisi di identità e di valori che la sta inquinando, lace-

rando, dissacrando, anche col favore di certe leggi.

Non ha mai tentennato nel denunciare i mali sociali del territorio, nel dar

voce al suo popolo di fronte alle ingiustizie o alle indifferenze dei responsa-

bili istituzionali, di contestare progetti o scelte sbagliati, con quel coraggio e

280

con quell’amore per la giustizia, che nella prima lettura abbiamo contempla-

to e ammirato nel giovane Daniele, strenuo difensore dell’innocenza dei de-

boli, come Susanna, e vindice rigoroso dell’iniquità dei prepotenti, come i

due vecchi giudici perversi.

8. Sorelle e fratelli carissimi, nella liturgia eucaristica uniamoci con gioia

al rendimento di grazie di Mons. Carmelo, che oggi soprattutto ripete col

salmista: ”Canterò senza fine le grazie del Signore” (Sal 89,2) “Renderò gra-

zie al Signore con tutto il cuore nel consesso dei giusti e nell’assemblea”(Sal

110,1), certo con lo stesso salmista che nella vecchiaia Dio non ci abbando-

na, ma ci rende “verdi e rigogliosi”, carichi di frutti “per annunciare quanto è

retto il Signore”.

È questo l’augurio affettuoso, carissimo confratello, che ti rivolgo a nome

di tutta l’assemblea: un augurio che depongo sulla mensa del sacrificio euca-

ristico attraverso le mani di Maria, la Madonna del Carmelo, da te tanto a-

mata.

Per lunghissimi anni ancora, canta senza fine le grazie del Signore e servi-

lo nel sacerdozio per amore del suo popolo, che ti vuole bene, ti ama, ti sti-

ma, ti ricorda e ti ringrazia con tutto il cuore.

281

INAUGURAZIONE DELLA CASA DELLA ONVIVIALITÀ “DON TONINO BELLO”

ALESSANO, VENERDÌ 25 APRILE 2014

Il 25 aprile 2014, nella ricorrenza del XXI anniversario della morte di don

Tonino Bello, è stata inaugurata ad Alessano, da s. em. il card. Angelo Ba-

gnasco, alla presenza di s. e. il vescovo mons. Vito Angiuli, la Casa della con-

vivialità, dedicata al Servo di Dio don Tonino Bello.

La Comunità di Alessano, con la collaborazione della diocesi di Ugento e

della Conferenza Episcopale Italiana, ha voluto compiere un segno tangibile

di carità fraterna, nel ricordo del suo illustre concittadino, restaurando una

antica struttura e destinandola a centro di accoglienza sia per i pellegrini che

si avvicendano sulla tomba di don Tonino, sempre più numerosi, sia per

quanti si avventurano in viaggi in cerca di speranza e approdano sulle coste

del Salento.

Si potrà, così, finalmente, tornare a fruire di due strutture, l'ex monaste-

ro dei frati Conventuali Francescani e l’annessa chiesa di Sant'Antonio, mol-

to bella e di notevole valore, che per secoli sono state quasi sepolte e di-

menticate, e che, grazie alla tenacia e l'impegno del parroco di Alessano,

don Gigi Ciardo, hanno ritrovato tutta la loro luce e il loro splendore pur nel

segno della semplicità e dell'essenzialità che contraddistinguono le strutture

antiche, come conventi e monasteri.

Nel pomeriggio di venerdì 25 aprile il card. Angelo Bagnasco, accompa-

gnato dal vescovo mons. Vito Angiuli, dalle autorità civili e militari presenti e

da una numerosa rappresentanza della comunità di Alessano e dell’intera

diocesi, si è recato al cimitero di Alessano per una preghiera comunitaria sul-

la tomba di don Tonino.

Successivamente nella Chiesa Collegiata “SS. Salvatore”, sempre di Ales-

sano, gremita di fedeli, il cardinale ha presieduto la celebrazione eucaristica,

concelebrando col vescovo mons. Angiuli e con tutti i sacerdoti presenti e

c

282

pronunciando una intensa omelia sulle letture del giorno e sulla figura e la

santità del Servo di Dio.

Infine, il Cardinale e il Vescovo, accompagnati dal parroco di Alessano e

dai sindaci dei paesi del Capo di Leuca, hanno benedetto e inaugurato la Ca-

sa di Accoglienza “don Tonino Bello”

Saluto del vescovo mons. Vito Angiuli

Eminenza reverendissima,

le porgo con gioia il saluto della nostra Chiesa di Ugento-S. Maria di Leu-

ca ed esprimo il più vivo ringraziamento per la sua disponibilità a presiedere

questa Liturgia Eucaristica e a inaugurare la “Casa della convivialità don To-

nino Bello”.

Sono uniti alla nostra preghiera anche i vescovi di Puglia. Impossibilitati a

partecipare al sacro rito per impegni pastorali nelle loro diocesi, non hanno

mancato di far giungere i sentimenti della loro vicinanza alla sua persona e

al motivo della sua presenza tra noi.

Le mie parole di saluto e di ringraziamento raccolgono i pensieri e i sen-

timenti di questa assemblea: sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, fedeli

laici. In modo particolare, le esprimo la riconoscenza del parroco, don Gigi

Ciardo, che si è adoperato con zelo ed entusiasmo pastorale a portare a

buon fine la realizzazione della “Casa della convivialità”.

Interpreto la gioia di questo paese: Alessano, terra che ha dato i natali al

Servo di Dio, mons. Antonio Bello, e ora ne custodisce le spoglie mortali.

Parlo della gioia di tutto il popolo, rappresentato in modo ufficiale dal sinda-

co, dott. Osvaldo Stendardo e dall’Amministrazione comunale, dai rappre-

sentanti delle Istituzioni civili e militari, dal mondo politico, dalle organizza-

zioni sociali e associative. Colgo l’occasione per ringraziare tutti per aver

contribuito, in diverso modo, a rendere possibile questa iniziativa. In tutti,

infatti, questo avvenimento esprime la memoria grata al Signore per quanto

egli ha compiuto nella Chiesa e nel mondo attraverso l’opera del Servo di

Dio, mons. Antonio Bello.

283

Il suo messaggio e la sua testimonianza di vita evangelica sono molto vivi

tra noi, anche grazie alla presenza dei suoi familiari, mi riferisco in modo

particolare ai suoi due fratelli, Marcello e Trifone, e all’opera di riflessione e

di approfondimento compiuta dalla “Fondazione don Tonino Bello”, sapien-

temente guidata dal presidente, dott. Giancarlo Piccinni, e fruttuosamente

animata dagli altri membri che fanno parte degli organismi statutari.

Eminenza reverendissima,

la sua presenza è segno del suo affetto e della sua condivisione di

un’opera che, sull’esempio di mons. Bello, vuole mostrare la materna solle-

citudine della Chiesa per ogni uomo, soprattutto per i più poveri. Nello stes-

so tempo, la sua persona rappresenta anche l’intera Chiesa Italiana. E que-

sto ci è di stimolo e di conforto a continuare nel cammino intrapreso. Le

siamo riconoscenti perché la realizzazione di questo segno di carità è il frut-

to anche del suo personale interessamento e dell’attenzione prestata dai

competenti organismi della Conferenza Episcopale Italiana.

Il discernimento compiuto a livello locale e a livello centrale circa le

emergenze sociali e la conseguente necessità di interventi caritativi rafforza

la comunione tra le Chiese che sono in Italia e rende presente nel territorio il

volto di una Chiesa che ama e si prende cura dell’uomo.

È il messaggio che ci ha lasciato mons. Bello e che Papa Francesco ci

esorta a testimoniare nel nostro tempo. La carità, infatti, è la forza del-

l’evangelizzazione e la sorgente della gioia evangelica.

Questa sera, attraverso la sua persona, risuona tra noi questa bella noti-

zia. Per questo le esprimiamo la nostra profonda gratitudine e il nostro sin-

cero ringraziamento.

Omelia del card. Angelo Bagnasco Cari Confratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,

Autorità, Cari Fratelli e Sorelle nel Signore,

è motivo di grande gioia celebrare la Santa Eucaristia in questa festa di

famiglia, nel XXI anniversario del “Dies Natalis” del Servo di Dio don Tonino

284

Bello, che fu Vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi dal 1982 al 1993.

A lui sarà dedicata la Casa della convivialità, come segno vivo di quello stile

di vita che ispirò la sua persona e il suo episcopato, e che rimane esempio,

incoraggiamento e stimolo per tutti, ieri e oggi. Ringrazio di cuore S.E. Mons.

Vito Angiuli per il fraterno invito, i Confratelli presenti, e tutti voi, cari Amici,

che con la vostra partecipazione siete una testimonianza vivente di un Pa-

store secondo il cuore di Dio.

La voce che sento salire è questa: se la comunità cristiana ha bisogno del

Pastore, anche il Pastore ha bisogno del suo popolo. Il Vescovo guida verso i

pascoli alti di Cristo ma, se egli sta in mezzo al suo gregge con amore, anche

lui si sente guidato e sorretto, affinché insieme si possa seguire il Pastore di

tutti.

Il Vangelo ascoltato narra una delle apparizioni del Risorto ai discepoli.

Vogliamo ora ripercorrerlo in compagnia del Servo di Dio.

1. “Io vado a pescare”

Sono le parole di Pietro e gli altri – pronti – “Veniamo anche noi con te”.

Com’è bella la reazione degli Apostoli! I loro animi sono ancora confusi tra

amarezza, nostalgia e speranza: hanno bisogno di stare insieme, non voglio-

no separarsi. Come se dicessero: non vogliamo rimanere soli.

Così è stato per don Tonino, Vescovo per la gente e con la gente. Per que-

sto ha vissuto tra il suo popolo anche nelle forme più immediate e semplici:

ha condiviso le ansie e le paure di grandi e piccoli con il “Vangelo dell’an-

tipaura”. “Coraggio, non temere!” ripeteva, e la gente gli ha detto: “veniamo

anche noi con te”. Dove? Sulla barca della fede, sulle strade della carità, nella

traversata della vita cristiana, dove a volte si pesca con abbondanza e a volte

poco o nulla. Ma non è importante la pesca, il risultato, bensì il desiderio e il

coraggio, la perseveranza nella sequela, anche quando il mare è mosso e il

vento contrario; anche quando sembra che il Signore sia assente.

Nel cuore degli uomini dimora un enorme bisogno di essere chiamati, in-

vitati da qualcuno che è affidabile perché sta in mezzo a loro con tenerezza.

Nonostante tutto, c’è una grande attesa di luce e di speranza che dia senso e

bellezza alla vita.

285

2. “Figlioli, non avete nulla da mangiare?”

Gesù si fa mendicante dell’uomo; gli stende la mano e chiede da mangia-

re. Il Pastore ha qualcosa di straordinario da offrire alla fame del mondo,

qualcosa che non è suo. Ma ha anche bisogno di chiedere, di riconoscersi

povero, mendicante lui stesso dell’amore di Cristo e degli altri. Abbiamo tut-

ti fame di Infinito, di Cielo, del perdono di Dio e dei fratelli, della loro com-

prensione e fiducia. E ognuno ha qualcosa da dare, ognuno è dono con la

sua presenza: i poveri e i deboli – proprio in forza delle loro fatiche – sono

ancor più la carne del Signore. Non si crea forse così – dentro a questo reci-

proco darsi e ricevere, aiutare ed essere aiutati – la comunione dei cuori e

della vita? E non è forse questa la comunità cristiana? Ecco l’Eucaristia, dono

di Dio e sorgente perenne della Chiesa.

Don Tonino viveva lungamente alla presenza della Santissima Eucaristia e

lì ricuperava energie e ispirazione. Era ai piedi del tabernacolo che alimenta-

va la gioia anche nelle difficoltà e nella dolorosa malattia, quella gioia di cui

voleva essere umile “cireneo” e messaggero.

3. “È il Signore”

È il grido di Giovanni che per primo riconosce il Risorto: quel misterioso

uomo che, sulla spiaggia, aveva chiesto loro da mangiare e che li aveva esor-

tati a tornare sul mare, era il Maestro. Giovanni lo riconosce attraverso le

vie veloci del cuore. È spesso così anche tra le persone, ma è così soprattut-

to con Dio: la conoscenza del cuore è più veloce per riconoscere la vicinanza

del Signore nelle vicende quotidiane, nelle gioie e nelle prove. Esse sono i

mantelli di Gesù. E il Servo di Dio sapeva che il mantello più certo di Cristo

sono i piccoli, i perseguitati, coloro – e oggi sono moltitudine – che non han-

no lavoro e casa, sicurezza e famiglia. Giovanni ha indicato ai fratelli il Risor-

to, li ha aiutati a sollevare gli occhi dalla fatica della pesca e a riconoscerlo. È

anche questo il compito del Vescovo che, prima di essere maestro di fede,

deve essere uomo di fede. Così come don Tonino fu anima di fede: una fede

affinata dalla preghiera, dalla carità fatta di accoglienza e convivio anche

nella sua casa, dall’impegno convinto per giustizia e la pace.

286

4. “Venite a mangiare”

Ecco la conclusione della pagina evangelica: l’invito di Gesù a raccogliersi

attorno a Lui, a riposarsi e a mangiare. È il momento sommo dell’intimità dei

fratelli e degli amici, ma non è solamente un momento di riposo e ristoro

dove le energie si rigenerano e l’animo si distende. È anche anticipo e profe-

zia del giorno senza tramonto, della vita eterna, del nostro destino: “Com’è

bello che gli amici stiano insieme!”. Gesù aveva chiesto da mangiare, ma in

realtà aveva fame della nostra fame di Lui, del nostro desiderio, del nostro

amore. E attraverso una paziente pedagogia ha guidato i Dodici verso il lar-

go, là dove gli ormeggi e le sicurezze terrene sono minori e il cuore si trova

nudo davanti a se stesso e ai suoi desideri di felicità e di vita, d’amore e di

compagnia, di solidarietà. È a questo punto che l’uomo è più disponibile a

riconoscere il Signore e, se alza lo sguardo dalle occupazioni che lo assillano,

lo trova lì, sulla spiaggia, in attesa con il fuoco acceso.

È ancora la figura del Pastore che si illumina di responsabilità e di grazia:

essere sempre pronto ad accogliere chi ritorna stanco dal mare delle cose,

forse ferito e deluso, ma desideroso di trovare la parola che scalda e la fra-

ternità che ristora. Don Tonino è stato come Colui che va in cerca dello

smarrito,che attende fiducioso e vigile sulla spiaggia chi approda alla ricerca

di compagnia, di speranza e di aiuto. “Venite e mangiate”: sembra di sentire

queste parole salire dal suo cuore di Padre e Pastore. Sono le parole di Cristo

e lui le rinnova per noi, per la sua amata Diocesi, per il suo Clero, per i poveri

e gli invisibili della società, perché nessuno si senta solo e tutti trovino un

fuoco acceso. Intervento del parroco don Gigi Ciardo

Siamo lieti di accogliere nella nostra comunità s. em. il card. Angelo Ba-

gnasco, arcivescovo di Genova, per la celebrazione del XXI anniversario del

dies natalis di don Tonino Bello e per l’inaugurazione della Casa della convi-

vialità “don Tonino Bello”.

L’aver voluto accogliere l’invito del nostro vescovo mons. Vito Angiuli di

presenziare questa sera a questo evento, anche nella sua qualità di Presi-

287

dente della Conferenza Episcopale italiana, è segno della grande attenzione

con la quale la Chiesa italiana guarda alla figura del Servo di Dio don Tonino

Bello, per l’esemplare vita evangelica che egli ha saputo manifestare in tutti i

momenti della sua esistenza.

Come Comunità parrocchiale abbiamo desiderato che l’ex convento di S.

Antonio, svenduto con la soppressione, tornasse alla Chiesa.

Siamo stati incoraggiati dalle due donazioni delle famiglie Antonio Tor-

sello e Donato Torsello, per le parti di loro proprietà. Successivamente, con

la generosità di tutti, abbiamo acquistato le altri parti e, pian piano, abbiamo

proceduto alla ristrutturazione dello stabile.

Ci portavamo nel cuore due obiettivi:

– l’accoglienza dei pellegrini che da tutta Italia si avvicendano presso la

tomba di don Tonino per lasciarsi raggiungere, nell’esperienza della pre-

ghiera, dalla tenerezza di Dio che è Padre, ama appassionatamente l’uomo

di oggi così com’è e ha a cuore che ciascuno riconosca l’altro come fratel-

lo, partendo dagli ultimi. È la buona novella del Vangelo che don Tonino ha

lasciato trasparire nella sua testimonianza di sacerdote e di vescovo

– l’attenzione e la prima accoglienza per quanti si avventurano in viaggi,

spesso spericolati o trasformati in trappole di morte, in cerca di speranza

e che approdano sulle nostre coste.

Per questo, insieme con il nostro Vescovo, abbiamo voluto che l’ex- con-

vento di S. Antonio si chiamasse Casa della convivialità “don Tonino Bello”.

La ringraziamo, eminenza, per aver condiviso i nostri obiettivi e sostenu-

to la nostra fatica e i nostri sforzi, venendoci incontro con un cospicuo con-

tributo dell’otto per mille della C.E.I.

La ringraziamo perché è venuto a stare con noi per presiedere l’Eucarestia

nel XXI anniversario del dies natalis del Servo di Dio don Tonino Bello.

La ringraziamo perché ha benedetto e ha inaugurato questa struttura

che desideriamo sia per tutti luogo privilegiato di esperienza appassionata

dell’amore di Dio e di fraternità.

Vogliamo ringraziare, anche, la Madre Generale delle nostre Suore Com-

passioniste, Suor Eleonora Simonelli e il suo Istituto, per la lunga e preziosa

presenza tra noi, che dura da più di 80 anni.

288

Curano la formazione dei più piccoli nella Scuola materna e dal 2000 so-

no presenti nella Casa di Accoglienza per anziani, che la Parrocchia, dopo

averla ristrutturata, ha voluto affidare a loro competente e appassionata

opera. Questa casa è il cuore della Comunità, dove gli anziani, con l’apporto

discreto e generoso dei gruppi ecclesiali, accanto al servizio delle suore, re-

spirano il clima di famiglia.

Con gioia, affidiamo questa sera al ministero delle suore anche la Casa della

Madre fondatrice e all’esempio di don Tonino, innamorato di Gesù e appassio-

nato degli ultimi, faranno sentire a casa propria quanti sbarcheranno sulle no-

stre coste e offriranno l’opportunità di lasciarsi raggiungere dalla tenerezza di

Dio a quanti si avvicenderanno per cercare il Signore sulle orme di don Tonino.

Ringraziamo gli ingegneri e le maestranze che, con competenza, hanno

offerto il loro apporto per i lavori di ristrutturazione.

Un grazie di cuore a tutta la Comunità che in questi anni si è prodigata

per la realizzazione dell’opera.

Il card. Bagnasco e il vescovo Angiuli inaugurano la Casa della convivialità “don Tonino Bello” di Alessano.

convivialità “don Tonino Bello”. Siamo certi che esse, fedeli al carisma della loro

289

Un momento di preghiera

sulla tomba di don Tonino

nel cimitero di Alessano.

Celebrazione Eucaristica

nella Chiesa Madre di Alessano

presieduta dal card. Bagnasco.

foto 1982

Casa della convivialità

“don Tonino Bello”.

Chiostro interno.

290

AGGIORNAMENTO RESIDENZIALE DEL CLERO

GRECIA, 16-21 GIUGNO 2014

Il messaggio ecumenico del culto dei santi d’origine orientale venerati sul

territorio salentino di Terra d’Otranto, tema su cui si è riflettuto durante la

Settimana per l’Unità dei cristiani del 2014, ha portato a scegliere la Grecia

per l’aggiornamento residenziale del clero.

Una motivazione prettamente ecumenica. Infatti, la Grecia è la culla

dell’ortodossia e la diocesi di Ugento-S. M. di Leuca è particolarmente sensi-

bile a questa dimensione fondamentale della vita della Chiesa, per i tanti

motivi più volte sottolineati dal vescovo mons. Vito Angiuli.

Il viaggio ha avuto le caratteristiche di un vero e proprio pellegrinaggio

spirituale che ha portato i partecipanti a respirare il profumo della spirituali-

tà orientale tipica dell’ortodossia. Non solo, ha alimentato in ognuno il desi-

derio di meglio conoscere la Chiesa ortodossa e spinto a ricercare sempre di

più, con la preghiera e con l’impegno personale e comunitario, la realizza-

zione dell’unità di tutti i cristiani.

Inoltre, il viaggio ha permesso l’incontro tra due Chiese: la Chiesa dioce-

sana di Ugento e la Chiesa cattolica di Atene. Una esperienza forte di dialogo

e di confronto che ha portato a riflettere sulla situazione, a volte difficile,

delle comunità cattoliche in Grecia, che, pur in una condizione di minoranza,

sono tuttavia fortemente impegnate in prima linea nel cammino faticoso ma

entusiasmante della ricerca dell’unità con la Chiesa Ortodossa.

La diocesi cattolica di Atene è guidata dall’arcivescovo metropolita Nico-

laos Foscolos che ha raccontato ai partecipanti all’aggiornamento residen-

ziale le gioie e le fatiche che caratterizzano la presenza cattolica in Grecia.

Ha fatto notare, però, come molto spesso il desiderio di comunione e di col-

laborazione non manchi, anche, da parte della Chiesa Ortodossa, la quale at-

traverso molti dei suoi rappresentanti mantiene fecondi rapporti di stima e

di amicizia con la comunità cattolica.

291

Il viaggio porterà certamente frutti spirituali nel cuore e nella vita dei sa-

cerdoti che hanno partecipato e, attraverso loro, alle comunità parrocchiali

della diocesi, uniti nella preghiera alla Santissima Trinità affinché, per inter-

cessione della Madre di Dio, conceda il dono dell’unità tra tutti i cristiani del

mondo.

Un ringraziamento al vescovo mons. Vito Angiuli per aver avallato la scel-

ta e, soprattutto, per aver partecipato a questo pellegrinaggio, arricchendo-

lo con le sue preziose e profonde riflessioni.

Un grazie particolare va a s. e. mons. Nicolaos Foscolos, arcivescovo di

Atene, per la sua squisita accoglienza e disponibilità; a don Giorgio Altouvas

e a tutti gli altri sacerdoti della diocesi di Atene.

don Stefano Ancora

don Fabrizio Gallo

AGENDA PASTORALE DEL VESCOVO

295

Oltre alle attività quotidiane di Curia, questi alcuni degli impegni del vescovo

mons. Vito Angiuli durante il primo semestre 2014:

2 gennaio incontro in Seminario con i sacerdoti dell’Opera Madonnina del

Grappa; nel pomeriggio, celebrazione S. Messa e adorazione con le

famiglie nella parrocchia “S. Giovanni C.” di Giuliano

4 gennaio incontro con i familiari del clero nell’oratorio della parrocchia “S.

Carlo B.” di Acquarica del Capo

5 gennaio celebrazione S. Messa con i fanciulli della parrocchia “S. Michele

Arcangelo” di Supersano; visita al presepe vivente di Taurisano e in

serata partecipazione allo spettacolo natalizio nella parrocchia “S.

Nicola” di Salve

7-17 gennaio secondo viaggio in Rwanda – Africa centrale – dove la diocesi sta

collaborando intensamente con l’arcidiocesi di Kigali, anche attra-

verso la presenza di un sacerdote fidei donum

18 gennaio nel pomeriggio, S. Messa nella chiesa del monastero delle Clarisse

Cappuccine di Alessano per l’inizio della Settimana di preghiere per

l’unità dei cristiani

19 gennaio S. Messa con il movimento del Cursillos presso la Casa “Mons. De

Lecce” nella marina di Pescoluse; nel pomeriggio, processione e S.

Messa per la festa patronale di S. Ippazio in Tiggiano

20 gennaio partecipazione alla conferenza ecumenica presso la Scuola di teo-

logia nell’Auditorium Benedetto XVI di Alessano

21 gennaio primi vespri solenni in Cattedrale per la solennità di S. Vincenzo

diacono e martire, patrono della città e della diocesi

22 gennaio solennità di S. Vincenzo diacono e martire: Pontificale in Cattedrale

con tutti i sacerdoti, religiosi, religiose e diaconi della diocesi, e con

la partecipazione dei Sindaci e del Popolo di Dio di tutta la diocesi;

nel pomeriggio, processione con le delegazioni di tutte le Confra-

ternite della diocesi, dei religiosi e religiose e di tutti i gruppi e mo-

vimenti diocesani

23 gennaio processione e S. Messa per la festa patronale di S. Giovanni Elemo-

siniere di Morciano di Leuca

24 gennaio incontro con i sacerdoti giovani in episcopio; in serata, concerto

ecumenico presso il monastero Clarisse Cappuccine di Alessano

296

25 gennaio veglia eucaristica per la chiusura della Settimana di preghiere per

l’unità dei cristiani presso le suore Clarisse Cappuccine di Alessa-

no

26 gennaio S. Messa nella parrocchia “Maria SS. Assunta” di Lucugnano; nel

pomeriggio, partecipazione alla ”Marcia diocesana della Pace” con

l’ACR, a Ugento

27 gennaio processione e S. Messa per la festa patronale di “S. Giovanni Criso-

stomo” di Giuliano

28 gennaio incontro di verifica con la Forania di Leuca nel santuario di S. Maria

di Leuca

29 gennaio incontro di verifica con la Forania di Tricase presso l’oratorio par-

rocchiale di Tiggiano

30 gennaio incontro di verifica con la Forania di Taurisano presso la parrocchia

“Maria Ausiliatrice” di Taurisano

31 gennaio assemblea del clero presso il santuario di S. Maria di Leuca; nel

pomeriggio, incontro diocesano con gli animatori del GREST presso

l’oratorio “S. Giovanni Bosco” di Ugento.

* * *

1 febbraio S. Messa per la “Giornata della Vita Consacrata” nella parrocchia

“SS. Apostoli” di Taurisano

2 febbraio “Giornata per la vita”, in mattinata celebrazione S. Messa nella

parrocchia “Maria Immacolata” di Montesano Salentino e nel po-

meriggio veglia di preghiera e S. Messa nella Basilica di S. Maria di

Leuca

3-5 febbraio partecipazione alla riunione della Conferenza Episcopale Pugliese

a Molfetta

6 febbraio incontro di verifica con la Forania di Ugento presso l’oratorio par-

rocchiale di Acquarica del Capo

8 febbraio partecipazione all’Assemblea elettiva dell’Azione Cattolica Dioce-

sana per il rinnovo delle cariche presso l’oratorio della parrocchia

“S. G. Bosco” di Ugento

9 febbraio celebrazione eucaristica nella cappella del Seminario per i parteci-

panti all’Assemblea dell’Azione Cattolica e, nella stessa mattinata,

S. Messa per i responsabili del Consultorio Familiare Regionale nel-

la chiesa “Sant’Antonio” di Ugento

10 febbraio S. Messa al Centro emodialisi “S. Marcellina” di Leuca Marina

11 febbraio “Giornata Mondiale del Malato”, nel pomeriggio celebrazione S.

297

Messa e somministrazione del sacramento dell’Unzione degli in-

fermi nell’ospedale “card. G. Panico “ di Tricase

12 febbraio lezione al monastero delle Clarisse Cappuccine di Alessano

13-15 febbraio a Roma per partecipare all’incontro del Comitato preparatorio per

il Convegno Ecclesiale di Firenze

16 febbraio conferimento del sacramento della Cresima nella parrocchia “S.

Vincenzo” di Miggiano

19 febbraio incontro sulla lettera enciclica Lumen fidei presso l’oratorio di

Montesano Salentino

20 febbraio visita ai corsisti di “Creazioni Impresa Cooperativa” presso

l’oratorio parrocchiale di S. Dana; in serata preside la riunione con-

giunta dei Consigli Diocesani Presbiterale e Pastorale presso

l’Auditorium “Benedetto XVI” di Alessano

23 febbraio celebrazione eucaristica con gli operatori a livello regionale dei

Consultori familiari di ispirazione cristiana nella Chiesa “S. Antonio”

di Ugento; nel pomeriggio, S. Messa nella chiesa Matrice di Tricase

con le Suore Marcelline per il 90° anniversario del miracolo del Di-

vin Pianto

26 febbraio lezione al Monastero delle Clarisse Cappuccine di Alessano

28 Incontro incontro in Seminario con i sacerdoti giovani.

* * *

1-3 marzo a Sestri Levante per l’“Opera Madonnina del Grappa”

5 marzo S. Messa in Cattedrale con il rito penitenziale dell’imposizioni delle

ceneri per l’inizio della Quaresima

8 marzo S. Messa con il movimento vedovile “Speranza e vita” presso la Ba-

silica di S. Maria di Leuca

9 marzo conferimento del sacramento della Cresima nella parrocchia “S.

Ippazio” di Tiggiano; in serata, a Miggiano per la presentazione del-

lo spettacolo “Uno sguardo d’amore”, con testo inerente la Via

Crucis

10 marzo celebrazione eucaristica nel Santuario di S. Maria di Leuca per il

precetto pasquale delle Forze Armate; in serata, inizio della Setti-

mana Teologica Diocesana presso l’Auditorium “Benedetto XVI” di

Alessano

11-14 marzo svolgimento della Settimana Teologica Diocesana presso l’Audi-

torium “Benedetto XVI” di Alessano

298

14 marzo in mattinata, ritiro del clero presso il Santuario della madonna di

Leuca

16 marzo conferimento del sacramento della Cresima nella parrocchia “S.

Giovanni Elemosiniere” di Morciano di Leuca

17 marzo S. Messa in Cattedrale con il Volontariato Vincenziano della diocesi

18 marzo incontro con i genitori e i padrini dei cresimandi della parrocchia

“Presentazione B. M. Vergine” di Specchia

19 marzo solennità di S. Giuseppe, patrono della Chiesa universale; celebra-

zione eucaristica per la festa di S. Giuseppe nella parrocchia “S.

Andrea Apostolo” di Salignano

21 marzo partecipazione alla riunione della Consulta delle Aggregazioni Lai-

cali nel Seminario diocesano

23 marzo conferimento del sacramento della Cresima nella parrocchia “S.

Cuore di Gesù” di Ugento

25 marzo S. Messa con le Suore Vincenziane e rinnovo dei voti a Ugento

26 marzo in mattinata in assemblea col clero presso il Santuario S. M. di Leu-

ca; in serata, incontro sulla Passione presso il Museo Civico di

Ugento

28 marzo incontro in Episcopio con i sacerdoti giovani; nel pomeriggio, a Bari

per la riunione della Commissione Catechistica regionale

29 marzo meditazione e S. Messa con l’Ordine Equestre del Santo Sepolcro

nella Basilica di Leuca; conferimento del sacramento della Cresima

nella parrocchia “S. Andrea Apostolo” di Presicce; in serata, parte-

cipazione all’incontro del prof. M. Illiceto con gli Insegnati di reli-

gione della diocesi presso Auditorium “Benedetto XVI” di Alessano

30 marzo conferimento del sacramento della Cresima nella parrocchia “S.

Giovanni Bosco” di Ugento; celebrazione eucaristica con gli opera-

tori a livello regionale dei Consultori familiari di ispirazione cristia-

na nella Chiesa “S. Antonio” di Ugento; nel pomeriggio, conferi-

mento del sacramento della Cresima nella parrocchia “S. Antonio

di Padova” di Depressa

31 marzo celebrazione eucaristica per la festa patronale dell’”Annunziata”

di Tuglie.

* * *

1 aprile riunione del Collegio dei Consultori in episcopio

2 aprile incontro sulla Passione presso il Museo Civico di Ugento

3 aprile partecipazione alla riunione della Conferenza Episcopale Pugliese a

299

Molfetta; nel pomeriggio partecipazione al Convegno sul Micro-

credito presso l’Auditorium “Benedetto XVI” Alessano; in serata

partecipazione all’incontro con il Presidente nazionale dell’Azione

Cattolica presso l’oratorio parrocchiale di Montesano Salentino

4 aprile visita al Commissariato della Polizia di Stato di Taurisano; in serata,

partecipazione alla rappresentazione della Passione nella parroc-

chia Cattedrale di Ugento

5 aprile conferimento del sacramento della Cresima nella parrocchia “S.

Andrea Apostolo” di Salignano

6 aprile nella mattinata, conferimento del sacramento della Cresima nella

parrocchia “Presentazione della B. M. Vergine” di Specchia; nel

pomeriggio, conferimento del sacramento della Cresima nella par-

rocchia “Natività” Chiesa Matrice di Tricase

7 aprile visita ai Comandi di Tenenza della Guardia di Finanza e dei Carabi-

nieri di Tricase; nel pomeriggio, S. Messa nella chiesa Matrice di

Tricase, presieduta dal card. Salvatore De Giorgi, nel 90° genetliaco

di mons. Carmelo Cassati, arcivescovo emerito di Trani e originario

di Tricase

8-10 aprile partecipazione al Convegno catechistico diocesano

10 aprile in serata, riunione congiunta dei Consigli Diocesani Presbiterale e

Pastorale presso l’Auditorium “Benedetto XVI” di Alessano

11 aprile presentazione di un testo su Beato Giovanni Paolo II presso il Pa-

lazzo Comunale “Gallone” di Tricase; in serata, concerto-medita-

zione sulla Via Crucis di Metastasio nella parrocchia di Giuliano

13 aprile domenica delle Palme: Benedizione dei rami d’ulivo e delle palme

presso la confraternita dell’Assunta di Ugento; Pontificale in Catte-

drale; in serata, partecipazione al recital sulla Passione nella par-

rocchia “S. Nicola Magno” di Salve

16 aprile mercoledì santo: celebrazione della S. Messa Crismale in Cattedra-

le con tutto il clero della diocesi e con la presenza dei cresimandi

delle diverse parrocchie

17 aprile giovedì santo: recita comunitaria dell’Ufficio delle letture e delle

lodi mattutine in Cattedrale; nel pomeriggio S. Messa in Coena

Domini in Cattedrale; in tarda serata, adorazione presso il reposito-

rio in cattedrale

18 aprile venerdì santo: recita comunitaria dell’Ufficio delle letture e delle

lodi mattutine in Cattedrale; Penitenziale in Cattedrale; nel pome-

riggio azione liturgica In passione Domini in Cattedrale; in serata,

processione penitenziale per le vie di Ugento

300

19 aprile sabato santo: recita comunitaria dell’Ufficio delle letture e delle

lodi mattutine in Cattedrale; ritiro in Episcopio con i seminaristi te-

ologi; visita alla Casa famiglia “S. Francesco” di Gemini e all’Hospice

di Tricase; recita comunitaria di Vespro con le suore Clarisse Cap-

puccine di Alessano; nella notte, solenne Veglia pasquale e S. Mes-

sa In Resurrectione Domini in Cattedrale

20 aprile Pasqua di Resurrezione: solenne Pontificale in Cattedrale

21 aprile S. Messa per la festa della “Madonna della Stella” di Adelfia

22 aprile incontro con i genitori e i padrini dei cresimandi della parrocchia

“S. Michele Arcangelo” di Castrignano del Capo

23 aprile triduo per la festa “Madonna delle Grazie” della parrocchia di Tutino

25 aprile concelebrazione alla solenne S. Messa, presieduta dal card. Angelo

Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, per XXI

anniversario della morte del Servo di Dio don Tonino Bello nella

chiesa Collegiata di Alessano; inaugurazione della Casa della convi-

vialità “Don Tonino Bello” di Alessano

26 aprile conferimento del sacramento della Cresima nella parrocchia “Cri-

sto Re” di Marina di Leuca

27 aprile conferimento del sacramento della Cresima nelle parrocchie “Ma-

ria SS. Immacolata” di Montesano Salentino e “SS. Apostoli Pietro e

Paolo” di Taurisano

28-29 aprile convegno sul tema “Don Tonino Bello cantore di Maria, donna dei

nostri giorni” presso l’Auditorium “Benedetto XVI” di Alessano.

30 aprile conferimento del sacramento della Cresima nella parrocchia “S.

Francesco” di Gemini

* * *

1 maggio conferimento del sacramento della Cresima nelle parrocchie “S.

Antonio di Padova” di Tricase e “Natività della B. V. Maria” di Ruf-

fano

3 maggio incontro nella stazione di Arigliano con “I ragazzi missionari” giunti

in treno da Miggano e da Ugento per la “Fiaccola della Missione”

da portare alla Madonna De finibus terrae di Leuca; conferimento

del sacramento della Cresima nella parrocchia “SS. Salvatore” di

Alessano; nel pomeriggio partecipazione al Convegno diocesano

delle Confraternite presso il salone della parrocchia “S. Antonio di

Padova” di Tricase

4 maggio S. Messa per le Confraternite celebrata nella parrocchia “S. M. del-

301

le Grazie” di Tricase-Tutino; nel pomeriggio, conferimento del sa-

cramento della Cresima nella parrocchia “S. Michele Arcangelo” di

Castrignano del Capo

7 maggio veglia diocesana di preghiera per le vocazioni in Cattedrale

9 maggio ritiro del clero presso il monastero delle Clarisse Cappuccine di A-

lessano

10 maggio S. Messa e processione per la festa patronale di “S. Nicola” di Spec-

chia

11 maggio celebrazione eucaristica per i membri del “ Progetto Nazionale Po-

licoro” nella Basilica di Leuca

14 maggio a Bari per il Convegno nazionale “Sovvenire”

17 maggio convegno diocesano di ministranti presso l’oratorio parrocchiale di

Montesano Salentino; nel pomeriggio, conferimento del sacramen-

to della Cresima nella parrocchia “S. Vincenzo” di Arigliano

18 maggio conferimento del sacramento della Cresima nelle parrocchie “S.

Maria delle Grazie” di Tricase-Tutino e “S. Carlo Borromeo” di

Acquarica del Capo

19-22 maggio partecipazione alla riunione della Conferenza Episcopale Italiana a

Roma

23 maggio incontro con i sacerdoti giovani presso il convento dei Padri Trini-

tari di Gagliano del Capo

24 maggio conferimento del sacramento della Cresima nella parrocchia “S.

Giovanni Crisostomo” di Giuliano

25 maggio conferimento del sacramento della Cresima nelle parrocchie “Ma-

donna dell’Aiuto” di Torre San Giovanni e “SS. Martiri” di Taurisano

26-28 maggio Convegno Pastorale Diocesano presso l’Auditorium “Benedetto

XVI” di Alessano

29 maggio Work in progress, 2° laboratorio attivo per il lavoro, tenuto presso

l’Auditorium “Benedetto XVI” di Alessano

31 maggio a Collevalenza per la beatificazione di Madre Speranza.

* * *

1 giugno conferimento del sacramento della Cresima nelle parrocchie “Ma-

ria SS. Assunta” di Lucugnano e “S. Lorenzo” di Barbarano

2-3 giugno a Sestri Levante per l’“Opera Madonnina del Grappa”

4 giugno S. Messa e Novena allo Spirito Santo nella parrocchia “S. Vincenzo

Martire” di Arigliano

302

5 giugno S. Messa in Seminario vescovile a conclusione dell’anno formativo;

Veglia di Pentecoste in Cattedrale

6 giugno a Turi per la Conferenza Episcopale Pugliese

7 giugno a Molfetta per l’incontro con il Rettore del Seminario Regionale;

nel pomeriggio, conferimento del sacramento della Cresima nella

parrocchia “Maria Ausiliatrice” di Taurisano

8 giugno conferimento del sacramento della Cresima nelle parrocchie “Ma-

ria SS. Assunta” Cattedrale di Ugento e “S. Francesco d’Assisi” di

Ruffano

9 giugno chiusura della Scuola Diocesana di Teologia; in serata, incontro con

i docenti nella parrocchia “Cristo Re” di Leuca Marina

10 giugno concelebrazione per il XXV anniversario di sacerdozio di don Lucio

Ciardo nella chiesa parrocchiale “Cristo Redentore” di Tiggiano

11 giugno S. Messa per il XXV anniversario di professione religiosa della Supe-

riora delle Figlie di S. Maria di Leuca di Miggiano

12 giugno ritiro del clero presso il Santuario di S. Maria di Leuca

13 giugno S. Messa con la Confraternita “S. Antonio di Padova” della Catte-

drale; nel pomeriggio, celebrazione eucaristica per la festa patro-

nale “S. Antonio di Padova” di Ruffano

14 giugno convegno su Via Leucadensis presso il Santuario di S. Maria di Leuca

15 giugno S. Messa con la Confraternita “S. Antonio di Padova” della chiesa

omonima di Ugento

16-20 giugno aggiornamento del clero in Grecia

21 giugno conferimento del sacramento della Cresima nella parrocchia “S.

Michele Arcangelo” di Supersano

22 giugno solennità del Corpus Domini: Pontificale e processione per le via

della città di Ugento

23-26 giugno a Bari per il Convegno dell’Ufficio Catechistico Nazionale

27 giugno solennità del Sacro Cuore di Gesù: giornata mondiale di preghiera

per la santificazione del clero

27-28 giugno a Roma per il Comitato preparatorio del Convegno Ecclesiale Na-

zionale di Firenze 2015

29 giugno conferimento del sacramento della Cresima nella parrocchia “S.

Nicola Magno” di Salve; nel pomeriggio a Tricase Porto per l’inizio

del Seminario estivo.

THEOLOGICA UXENTINA

La collana “Theologica Uxentina” raccoglie le relazioni e i contributi di esperti

nelle diverse discipline teologiche offerti durante la Settimana Teologica, il Conve-

gno Pastorale e altri momenti formativi realizzati nella Diocesi di Ugento-S. Maria di

Leuca. Lo scopo della collana è di consentire a tutti gli operatori pastorali un appro-

fondimento personale e comunitario dei diversi temi teologici e pastorali e di far

conoscere a una cerchia più larga di persone la riflessione portata avanti nella Chie-

sa di Ugento-S. Maria di Leuca.

1. Maurizio Barba (a cura), Educati dalla liturgia, educare alla liturgia. Atti della

XXXVII Settimana Teologica della Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca (27 feb-

braio - 2 marzo 2012) e del Convegno Pastorale (18-20 giugno 2012), Edizioni

VivereIn, Roma-Monopoli 2013, pp. 166.

2. Stefano Ancora (a cura), Il volto educativo e missionario della parrocchia. Atti

della XXXVIII Settimana Teologica (18-22 febbraio 2013) e del XXVII Convegno

Pastorale (17-19 giugno 2013) della Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca, Edizio-

ni VivereIn, Roma-Monopoli 2014, pp. 208.

3. Vito Cassiano, Nel solco del Vaticano II. Settimane teologiche e Convegni pasto-

rali nella Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca, Edizioni VivereIn, Roma-Monopoli

2014, pp. 112.

4. Rocco Maglie, Nello spirito del Vaticano II. L’impegno missionario della Chiesa di

Ugento-S. Maria di Leuca, Edizioni VivereIn, Roma-Monopoli 2015, pp. 326.

5. Salvatore Palese (a cura), Don Tonino Bello, cantore di Maria donna dei nostri

giorni. Convegno di studi (Alessano, 28-29 aprile 2014), Edizioni VivereIn, Roma-

Monopoli 2015, pp. 258.

Fotocomposizione e stampa

EVI s.r.l. Arti Grafiche

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maggio 2015