Berti Enrico - La Prospettiva Metafisica

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    03/05/13 Filosofico.org: La prospettiva metafisica tra analitici ed ermeneutici

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    Filosofico.org

    La prospettiva metafisica tra analitici

    ed ermeneuticidi Enrico Berti

    ristampato in Incontri con la filosofia contemporanea, Editrice PetitePlaisance, Pistoia 2006

    Un'apparente obsolescenza

    Generalmente si crede che la metafisica sia rifiutata dalla filosofia contemporanea, inquanto ritenuta ormai sorpassata, appartenente ad un'altra epoca, insommainvecchiata. Un argomento di questo tipo, di per s stesso, non avrebbe alcun valore,n dal punto di vista della metafisica, ma nemmeno - credo - dal punto di vista diqualsiasi altra filosofia non storicistica. Tuttavia coloro che ritengono la metafisicainvecchiata attribuiscono a questo argomento un grande valore, sia che si tratti distoricisti incalliti, sia che si tratti di altri, perch tutti sono in qualche misura influenzatidalle mode. Perci pu avere qualche interesse vedere se le cose stiano effettivamentecos, cio se veramente la filosofia contemporanea consideri la metafisica del tuttoobsoleta.

    Ci era indubbiamente vero nella prima met di questo secolo e probabilmente lo stato sino alla fine degli anni settanta. Allora la scena filosofica internazionale eradominata da correnti quali il neopositivismo, l'esistenzialismo, il marxismo, varie

    forme di storicismo, tutte dichiaratamente antimetafisiche. Oggi tuttavia lasituazione sembra mutata. Il neopositivismo fallito, quando i suoi sostenitori si sonoresi conto che il principio di verificazione, su cui tale filosofia si reggeva, era essostesso inverificabile, e quindi si autodistruggeva. Al neopositivismo subentrata lafilosofia analitico-linguistica, diventata dominante nell'area culturale anglo-americana etuttora resistente in tale posizione, malgrado la crisi in cui verserebbe secondo alcuni

    transfughi da essa. Il marxismo stato smentito dalla storia, a cui esso stesso affidavail compito di confermare la propria verit, ed oggi tenuto, proprio dai suoi exsostenitori, in una considerazione anche minore di quella che meriterebbe. Insieme colmarxismo sembra essere tramontato anche lo storicismo, di cui in fondo il marxismoera una forma particolare, poich nella cultura cosiddetta post-moderna stataabbandonata l'idea stessa di storia come progresso. L'esistenzialismo confluitonell'altra grande corrente filosofica oggi dominante, specialmente nel continenteeuropeo, cio l'ermeneutica, che giustamente stata chiamata la nuova koin filosoficadel nostro tempo.

    legittimo perci chiederci se anche le due grandi correnti che oggi dominano lascena filosofica mondiale, cio la filosofia analitica e l'ermeneutica, siano cosdichiaratamente anti-metafisiche come lo erano le precedenti. Apparentemente s,perch alcuni filosofi analitici (Quine, Putnam) continuano a considerarsi anti-metafisici

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    e l'intera filosofia analitica, nell'opinione comune, non viene ancora sufficientementedistinta dal neopositivismo. Altrettanto si pu dire dell'ermeneutica, a causa delle sueorigini heideggeriane e del fatto che alcuni tra i suoi pi significativi rappresentanti (peresempio Vattimo) considerano la metafisica irrimediabilmente finita. Tuttavia si tratta, amio giudizio, solo di un'apparenza. Vorrei infatti mostrare, sia pure molto brevemente esommariamente, che l'antimetafisicismo ancora persistente in alcuni filosofi analitici ein alcuni ermeneutici da un lato legato ad un'idea della metafisica che chiamerei

    sovradeterminata, cio pi determinata, pi forte, pi dura di quella oggi professatada molti metafisici, e dall'altro non in alcun modo connesso con le ragioni stesse dellafilosofia analitica o dell'ermeneutica, e perci non nemmeno di fatto professato damolti filosofi analitici o ermeneutici. Indi cercher anche di mostrare, sempre moltosommariamente, che il significato originario della metafisica molto menosovradeterminato di quanto si creda, o di quanto sia divenuto in seguito allesuccessive concrezioni storiche cui la metafisica andata soggetta, e perci possibile professare una forma pi debole di metafisica, molto pi compatibile con lafilosofia contemporanea di quanto lo sia quella tradizionale.

    Parentesi epistemologica

    L'aggettivo debole ha avuto una grande fortuna nel pensiero contemporaneo daquando stato usato per qualificare un modo di pensare, il cosiddetto pensierodebole, che rinuncia a categorie forti, quali vero e falso, valido e invalido, o a valoriforti, quali bene e male, giusto e ingiusto, per accontentarsi di posizioni pi sfumate,meno categoriche. In realt dal punto di vista epistemologico giusto chiamaredebole una teoria che non pretende di determinare in un unico modo ogni

    cosa, ma ammette una pluralit di possibilit . Per esempio l'affermazione che tutti

    i cigni sono bianchi, se pretendesse di essere una teoria scientifica, sarebbe unateoria epistemologicamente forte, la quale ci fornirebbe un'informazione moltoimportante e precisa intorno ai cigni, mentre l'affermazione che alcuni cigni sonobianchi, se pretendesse anch'essa di essere una teoria scientifica, sarebbe una teoriaepistemologicamente debole, che in sostanza non ci direbbe gran che intorno ai cigni enon andrebbe molto al di l di quanto si pu constatare attraverso la sempliceosservazione sensibile.

    Ebbene, sotto gli occhi di tutti il fatto che le teorie pi forti dal punto di vistaepistemologico, cio le pi ricche di informazioni, sono le pi deboli dal punto

    di vista logico, cio dell'argomentazione, perch facilissimo confutarle. Perconfutare, infatti, l'affermazione che tutti i cigni sono bianchi sufficiente trovare unsolo esempio di cigno nero. Invece le teorie pi deboli dal punto di vistaepistemologico, cio le pi povere di informazioni, sono le pi forti dal punto di vistalogico, perch sono molto pi difficili da confutare. Per confutare, infatti, l'affermazioneche alcuni cigni sono bianchi, bisognerebbe riuscire a dimostrare che tutti i casi dicigni bianchi di cui abbiamo esperienza sono in realt delle semplici illusioni ottiche:cosa alquanto difficile.

    Lo stesso vale per le metafisiche: una metafisica forte, quale era ad esempio quelladi Parmenide, secondo cui (semplificando molto) tutte le cose sono immobili, o anchequella di Eraclto, secondo cui (sempre semplificando) tutte le cose sono inmovimento, facilissima da confutare: basta infatti mostrare, nel primo caso, che c'qualcosa di mobile, per esempio la semplice apparenza del movimento, e nel secondo

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    che c' qualcosa di immobile, per esempio l'affermazione stessa che tutto inmovimento. Invece una metafisica debole, quale sarebbe l'affermazione(verosimilmente platonica o aristotelica) che qualcosa si muove e qualcosa immobile, sarebbe molto pi difficile da confutare, e perci dovrebbe essereconsiderata come logicamente molto forte.

    Questa, del resto, la forza delle filosofie oggi dominanti, cio la filosofia analitica el'ermeneutica. Entrambe, infatti, sono teorie epistemologicamente deboli, che nonsi impegnano in affermazioni di carattere totalizzante, cio in quelle che un tempovenivano considerate le ideologie, o le grandi narrazioni, ma si accontentano diproporre pi che altro un metodo, sempre nel senso debole del termine, cio un mododi filosofare, uno stile di pensiero. Perci credo che una metafisica debole, ocomunque non eccessivamente sovradeterminata, sia in realt difficile da rifiutare e siain fondo compatibile con molte correnti filosofiche odierne, specialmente conquelle oggi dominanti. In questo senso l'obsolescenza della metafisica potrebbe esseresolo apparente.

    Metafisica e filosofia analitica

    Una delle conseguenze della fine del neopositivismo e del dogma in esso contenuto,conseguente al principio di verificazione, secondo il quale solo il linguaggio scientifico sensato, stata - sempre nell'ambito della svolta linguistica, da cui in fondo anche ilneopositivismo era nato - l'ammissione che anche altre forme di linguaggio possanoessere dotate di senso e quindi meritino di essere fatte oggetto di analisi da parte dellafilosofia. nata cos la filosofia analitico-linguistica (per tradurre il pi appropriatoaggettivo tedesco sprach-analytisch), che si poi divisa in due correnti: quella basata

    sulla convinzione (risalente a Russell) che il linguaggio ordinario, per esserepienamente dotato di senso, dovesse essere formalizzato, cio tradotto nei simboli enei calcoli della logica-matematica, e quella basata sulla convinzione (risalente aMoore) che ci non fosse necessario, ma si potesse benissimo ritrovare un sensoanche nei linguaggi non formalizzati, o non formalizzabili, come quelli dell'etica,dell'estetica, della stessa metafisica. significativo il fatto che il pi grande filosofoanalitico del secolo, cio Wittgenstein, abbia aderito dapprima, cio nel Tractatuslogico-philosophicus, alla prima corrente, la quale del resto era la pi vicina alneopositivismo (cio al Circolo di Vienna), ed in seguito, cio nelle Ricerchefilosofiche, alla seconda (forse anche per influenza di Moore, che lo chiam adinsegnare a Cambridge negli anni trenta).

    Al primo Wittgenstein si richiama oggi la parte prevalentemente americana dellafilosofia analitica, forse anche per l'influenza esercitata dai neopositivisti emigrati negliStati Uniti durante il nazismo, la quale ha il suo maggiore rappresentante in Quine e, puravendo superato il neopositivismo (di cui lo stesso Quine ha denunciato i dogmi),mantiene un residuo di neopositivismo nel suo fisicalismo, cio nella convinzione chesolo la scienza, ed in particolare la fisica, ci dia autentiche informazioni sulla realt. Alsecondo Wittgenstein si richiama invece la parte pi specificamente inglese dellafilosofia analitica, la quale pi ancora che a Cambridge si sviluppata a Oxford ed hafatto dell'analisi del linguaggio ordinario la sua principale occupazione. Ebbene, come noto a tutti, proprio in quest'ultima corrente della filosofia analitica, che certamente lapi debole dal punto di vista epistemologico, ma per questo anche la pi aperta, lapi simpatica e quindi la pi influente, si completamente riaperto anche lo spazio per

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    la metafisica. Ma ci avvenuto, come vedremo subito, non solo in essa.

    Gi i primi rappresentanti della scuola di Oxford, cio Austin e Ryle, esercitando lapropria analisi linguistica, fra l'altro, anche sulle parole pi interessanti dal punto di vistadella metafisica, quali bene e soprattutto essere, nonch sui diversi significati diquest'ultimo, cio sulle categorie, avevano riaperto il discorso metafisico,riallacciandosi alla sua pi antica formulazione, quella fornita da Platone e

    Aristotele. Essi, infatti, erano anche degli eccellenti grecisti e conoscitori della filosofiaantica, come si addice a degli studiosi formatisi nella grande tradizione classicistica diOxford. Non a caso dall'insegnamento di Austin e di Ryle nata a Oxford quella cheoggi forse la maggiore scuola di intepreti di Aristotele, iniziata da Owen e Ackrill esviluppata sia in Inghilterra che negli Stati Uniti da un gran numero di eccellenti studiosi,alla quale risale la celebre teoria del focal meaning come capace di restituire unaqualche unit alla metafisica, senza rinnegare la fondamentale e irriducibile multivocitdell'essere.

    Ma tale discorso stato ripreso e portato ad esiti metafisici senz'altro importanti da un

    filosofo analitico come Strawson, che nel libro intitolato Individui (del 1959) hasviluppato quella che lui stesso chiama una metafisica descrittiva, paragonabile aquelle di Aristotele e di Kant, cio mirante a descrivere come deve essere fatto ilmondo perch possa fungere da riferimento per il nostro linguaggio e rendere in talmodo possibile quella comunicazione che noi di fatto constatiamo esistere. In base atale metafisica il mondo risulta essere costituito da realt particolari, cio da individui, iquali si dividono in particolari di base, o primari, che sono i corpi materiali e le persone,e in particolari secondari, che sono tutte le altre realt identificabili grazie alla lororelazione con i particolari di base. Ne risulta cos (semplificando molto) una visionequasi aristotelica dell'essere, diviso in sostanze e accidenti, che fungono

    rispettivamente da soggetti e da predicati dei nostri enunciati.

    Contemporaneamente negli Stati Uniti Quine ha posto il problema dell'identit edell'individuazione degli oggetti, condizioni necessarie perch questi possano fungereda riferimenti per il nostro linguaggio (cfr. Parola e oggetto, 1960), e tale problema inalcuni casi stato risolto attraverso forme di vero e proprio essenzialismo, come nelcaso di Kripke, o comunque di esplicito neoaristotelismo, come nel caso di Wiggins.Ci significa che si sono riconosciuti come indispensabili per l'identificazione deglioggetti a cui si riferiscono le nostre parole, concetti come quelli di sostanza, diessenza e di forma. Su quest'ultima posizione si avuta recentemente laconvergenza di un filosofo antimetafisico come Putnam, il quale in Words and Life(1994) ha introdotto un capitolo dal titolo Aristotele dopo Wittgenstein, dove sostieneche il rapporto di intenzionalit tra linguaggio (o pensiero) e oggetti esige il ricorso alconcetto di forma, inteso non in senso logico, come avveniva in Wittgenstein, bens insenso metafisico, come era proprio di Aristotele. Maggiori difficolt alla soluzione diquesto problema sono state incontrate invece da un altro filosofo americano, cioDavidson, il quale, avendo preferito servirsi, per spiegare il mondo, del concetto dievento piuttosto che di quello di sostanza, ha dovuto poi ricorrere a quello dicausalit (efficiente) per spiegare il rapporto fra linguaggio ed oggetti.

    In ogni caso, tra sostanza e forma, evento e causa, l'intera filosofia analitica simuove oggi in un ambito di problemi che i suoi stessi cultori non esitano a

    chiamare metafisici e il termine metafisica non affatto ostracizzato dalladiscussione filosofica, ma anzi sta a indicare, pi che un orientamento filosofico

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    particolare, una disciplina filosofica dotata di piena dignit accanto ad altre quali lalogica, l'etica o l'estetica, come testimonia il recente fiorire di numerose e grosseantologie intitolate Metaphysics (ben tre di queste sono uscite tra il 1998 e il 1999, tutteper i tipi di un'unica casa editrice, cio Blackwell). I problemi che questa disciplina siimpegna a risolvere sono del tipo: che cosa esiste? (what is there?), quali sono iprincipali tipi o generi di oggetti? Quale tipo di esistenza possiedono gli universali? e lepropriet, e i numeri? Come si pu identificare un oggetto? Che cosa assicura il

    perdurare dell'identit di un oggetto in condizioni mutate di spazio e di tempo? Si tratta,come si vede, di problemi che tradizionalmente vengono affrontati nella parte, per cosdire, ontologica della metafisica e che non implicano alcuna visione totalizzante, oalcuna verit assoluta, e quindi costituiscono un tipo di metafisica debole, lametafisica tipica della filosofia analitica.

    Certo, questo tipo di metafisica, se confrontata con quella tradizionale, rivela un limiteben preciso, cio manca quasi completamente della parte che tradizionalmenteveniva chiamata teologica, cio la cosiddetta teologia razionale. Questo nonperch ci siano particolari difficolt a chiedersi quale tipo di esistenza appartenga a

    Dio affinch egli possa fungere da riferimento sensato per il nostro linguaggio, maprobabilmente perch una filosofia che si concepisce essenzialmente come analisilinguistica non si preoccupa di ricercare la cause reali, ed ultime, degli enti, ma solo lecondizioni alle quali essi possano fungere da riferimenti per il nostro linguaggio.Quando, poi, i filosofi di formazione analitica tentano di andare oltre questo limite,ponendosi il problema di una causa ultima, inevitabilmente fanno ricorso alla scienza, inparticolare alla fisica, magari presentando l'esistenza di Dio come l'ipotesi scientificapi semplice e pi probabile per spiegare l'esistenza e la complessit del mondo. questo il caso, ad esempio, di un filosofo come Swinburne, allievo di Austin e lui stessooggi professore a Oxford.

    Metafisica ed ermeneutica

    Non molto diversamente stanno le cose nell'altra grande corrente filosofica che dominail nostro tempo, specialmente in area europea continentale, cio l'ermeneutica. Anchequi l'apparenza decisamente antimetafisica: basti pensare a Heidegger,universalmente considerato il fondatore dell'odierna ermeneutica filosofica(l'ermeneutica della fatticit), il quale ha dichiarato ufficialmente il superamento(Ueberwindung, termine che egli peraltro ha ripreso da Carnap ed ha usato con un

    significato diverso) della metafisica, accusandola di avere frainteso il senso dellaverit , scambiata fin dal tempo di Platone con l'esattezza, e di avere dimenticatol'essere, scambiato fin dal tempo di Aristotele con l'ente. In Heidegger abbiamo uncaso tipico di sovradeterminazione della metafisica. Malgrado, infatti, la suaconoscenza diretta e profonda dei grandi metafisici greci, non c' dubbio cheHeidegger tende ad interpretarli, specialmente Aristotele, alla luce dell'interpretazionescolastica (e kantiana, che la stessa).

    La metafisica, a partire da Aristotele, secondo Heidegger un'onto-teologia,cio una scienza dell'essere che riduce quest'ultimo ad un ente, sia pure l'ente sommo,cio Dio. Ora, questa interpretazione possibile solo se si intende Dio come l'Esseipsum, alla maniera della Scolastica, cosa che ad Aristotele non accade affatto, perchper Aristotele intanto tra l'ente e l'essere non c' altra differenza che quella che passatra il participio e l'infinito di uno stesso verbo, cio tra il soggetto e il predicato di un

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    enunciato, e poi non c' nessuna riduzione dell'essere ad un particolare ente, perchl'essere mantiene, anche dopo essere stato spiegato attraverso molteplici cause, tuttala sua multivocit. Del resto anche dal punto di vista storico stato accertato che laconcezione heideggeriana della metafisica come onto-teologia dipende primadall'influenza del libro di Brentano su Aristotele, che ne d un'interpretazionefondamentalmente scolastica, e poi dall'influenza degli studi di Natorp sempre suAristotele, che ne danno un'interpretazione kantiana (cio basata sulla distinzione tra

    ontologia, o metaphysica generalis, considerata valida, e teologia razionale, ometaphysica specialis, considerata non valida).

    In pratica Heidegger riduce la metafisica, quale si costituita e sviluppata da

    Aristotele in poi, essenzialmente ad una fisica (nel senso moderno, non aristotelico,del termine), cio ad una scienza dell'ente particolare, oggettivabile, rappresentabile,disponibile, utilizzabile. Ma - e questa la cosa pi interessante - Heidegger affermala necessit di superare questa metafisica, di oltrepassarla, magari attraversandola(questo sembra essere il significato di Ueberwindung), insomma di andare oltre, al di ldi essa. Ebbene, se la metafisica di cui Heidegger parla essenzialmente una

    fisica, come credo che sia, allora il superamento, o l'oltrepassamento, di talemetafisica, in realt un oltrepassamento della fisica, cio esattamente ci

    che gli editori di Aristotele intesero dire quando chiamarono la filosofia prima di

    Aristotele meta-fisica, che vuol dire oltre-fisica, scienza che va al di l dellafisica. In questo senso si pu dire che anche Heidegger ammette la metafisica, siapure con un significato completamente diverso da ci che egli intende con questaparola.

    Ma veniamo ad altri esponenti dell'odierna ermeneutica, cio Gadamer, Pareyson,Ricoeur. Per quanto concerne Gadamer, gli ho sentito dire pi volte - e probabilmentel'avr anche scritto - che egli non ha nessun motivo di opporsi ad una metafisicadella finitudine, espressione con la quale evidentemente intende una metafisica chenon pretenda di essere un sapere assoluto, definitivo, oggettivo nel senso in cui lo sonole scienze fisiche, mirante a darci una conoscenza esaustiva dell'intera realt, la qualesarebbe incompatibile con la nostra finitezza. Questo sarebbe infatti un altro esempio disovradeterminazione della metafisica. Ma, una volta ricondotta alla finitudine, cioall'effettiva condizione umana, e liberata da ogni pretesa di assolutezza, di esaustivit edi definitivit, cio una volta indebolita, la metafisica per Gadamer sarebbeinteramente compatibile con l'ermeneutica, anzi probabilmente coinciderebbe con

    quest'ultima. Probabilmente la stessa cosa avrebbe detto Pareyson (come vedremosubito) e direbbe Ricoeur (per il quale la finitudine un tema consueto).

    Prendiamo, tuttavia, il filosofo che pu essere considerato il pi radicalmenteantimetafisico rappresentante dell'ermeneutica, cio Vattimo. Questi ha compiutoun passo oltre Heidegger, da cui dichiara esplicitamente di prendere le mosse,eliminando l'essere e riducendo l'ente, ogni ente, esclusivamente ad evento, nonl'Evento (Ereignis) con la maiuscola, con cui Heidegger identifica l'essere neiBeitraege, ma i molteplici e continui eventi di cui formata la nostra vita e la storia tuttaintera. Naturalmente questo da lui considerato un ulteriore allontanamento dalla

    metafisica, un ulteriore passo verso la secolarizzazione, perch anche per Vattimo lametafisica sovradeterminata, cio una scienza di strutture fisse, oggettive, eterne.Ebbene, proprio Vattimo, nel suo ultimo libro (Credere di credere, 1998), riconosceche l'e-vento, come dice la parola stessa, un venire da altro, cio non da noi

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    stessi, e che perci noi siamo un'iniziativa iniziata da altri (a questo proposito egli cita ilsuo maestro Pareyson). Probabilmente per Vattimo tale riconoscimento ha unsignificato pi religioso che filosofico, cio quella forma di fede che gli consente dicredere di credere. Ma non si pu negare che esso sia, sia pure in nuce, una vera epropria metafisica, cio una metafisica debole, non sovradeterminata, percilogicamente fortissima.

    Una metafisica non sovradeterminata

    La metafisica che, a mio modo di vedere, pu essere accettata anche dalla

    filosofia analitica e dall'ermeneutica, una metafisica molto pi debole e pi poveradi quella tradizionale, specialmente di quella moderna con cui ebbe a che fare Kant, maanche di quella scolastica che ha sempre in mente Heidegger. Essa la pi anticametafisica debole, vale a dire la metafisica di Aristotele, cos come statainterpretata dalla filosofia analitica (Owen) e dalla stessa ermeneutica (Aubenque),naturalmente con alcune correzioni a queste interpretazioni, di cui mi prendo la

    responsabilit. Questa metafisica anzitutto, come diceva Aristotele, la scienzadell'essere in quanto essere, dove per scienza si intende la ricerca delle cause,cio delle spiegazioni, di un dato di esperienza, e per essere in quanto essere (oente in quanto ente, che esattamente lo stesso) si intende qualsiasi ente (cosa,propriet, evento, processo, situazione, sentimento), considerato non in qualche suoaspetto particolare, ma nel semplice fatto di essere, cio nella sua esistenza. Essaperci si distingue dalle altre scienze, o ricerche di cause, perch queste consideranosempre un aspetto particolare dell'ente, cio considerano l'ente dal loro punto di vistaparticolare, che pu essere quello della fisica, o della chimica, o della biologia, o dellapsicologia, ecc. Tale aspetto particolare l'oggetto delle singole scienze, un oggetto

    isolato, astratto, o idealizzato, o costruito mediante un'operazione, come spiega moltobene Agazzi nel suo intervento in questo stesso fascicolo.

    Invece la metafisica, indagando, cio proponendosi di spiegare, l'essere di tutti gli enti,li considera in qualche modo tutti insieme, perci le cause che essa cerca sono inqualche modo, cio come cause dell'essere, cause di tutto, e per questa ragione sonodette cause prime o princpi. Se esse, infatti, devono essere cause di tutto, nonpossono avere a loro volta delle cause, altrimenti non sarebbero pi cause di tutto:questo significa cause prime. Ma cercare le cause di tutto, cio dell'essere in quantoessere, ovvero le cause prime, significa collocarsi dal punto di vista dell'intero, cio

    problematizzare, vale a dire ridurre a problema, l'intera realt che ci datanell'esperienza, ovvero - come diceva il mio maestro Marino Gentile - esercitare undomandare tutto che tutto domandare. Dunque la metafisica essenzialmente unatteggiamento di pura problematicit , che investe l'intera esperienza senzapresupporre nessuna certezza, nessuna soluzione precostituita. In questo senso essacoincide con la stessa criticit, cio con un atteggiamento radicalmente critico, quale siconviene alla filosofia anche dal punto di vista del pensiero moderno.

    In questa concezione della metafisica si recuperano sia la problematica

    ontologica sviluppata oggi dalla filosofia analitica, sia quella sviluppata

    dall'ermeneutica. Come ha mostrato, infatti, G.E.L. Owen, il carattere problematicodell'essere in quanto essere si manifesta anzitutto nella molteplicit dei suoi significati,irriducibili ad un genere unico, e tuttavia bisognosi di una qualche unit, pena la totaleinintelligibilit dell'essere, cio la caduta nell'irrazionalismo. Ebbene, proprio la filosofia

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    analitica, con Austin dapprima e con lo stesso Owen poi, ha trovato nella metafisica diAristotele una prima soluzione, che consente di dare qualche unit ai molti significatidell'essere, cio quella che stata chiamata la teoria del focal meaning, secondo laquale l'ousa, ovvero la sostanza, il significato focale dell'essere, quello in relazione alquale stanno tutti gli altri e che quindi logicamente presupposto da tutti gli altri.Naturalmente per sostanza non si deve intendere un substratum obscurum, comecredeva Locke, ma ogni individuo (Strawson direbbe ogni particolare di base) di cui

    abbiamo esperienza. Sempre la filosofia analitica, con G. Patzig e M. Frede, giunta amostrare, ancora sulla scorta di Aristotele, che l'ousa a sua volta problematica, cioha molteplici significati, il primo dei quali la forma, o essenza, perch questa lacausa dell'essere delle sostanze, cio della loro determinatezza, della loro identit. Sipotrebbe citare, a questo proposito, il celebre esempio della nave di teseo, che rimanela stessa anche quando si cambiano tutti i pezzi materiali di cui fatta. Nella teoriaaristotelica della forma si cos trovata anche la soluzione al problema dell'identit, checonsente l'identificazione e la reidentificazione degli individui, e quindi garantisce unriferimento univoco al linguaggio comunicativo.

    Dal canto suo l'ermeneutica, specialmente con Heidegger, si a sua volta impegnatanella ricerca di un'unit tra i molteplici significati dell'essere, indicandola prima (perinfluenza di Brentano) nella sostanza, poi (per influenza di Husserl) nella verit ed infine,sulla scia dello stesso Aristotele, nell'atto. Sulla dottrina della potenza e dell'atto hainfatti concentrato la sua indagine l'ultimo Heidegger, illustrando prima il significatodinamico della potenza come motilit e poi il primato dell'essere come atto, ciocome attivit, se si vuole come evento (Er-eignis, che in tedesco significa rendersiproprio a qualcuno, cio donarsi). L'interpretazione heideggeriana della metafisica diAristotele stata genialmente ripresa, sia pure con esiti aporetici, soprattutto da P.Aubenque, il quale - grazie alla sua insistenza sulla multivocit, e quindi sulla

    problematicit, dell'essere aristotelico - ha fatto dire a un filosofo post-moderno comeLyotard: le philosophe dont je me sens le plus prs c'est finalement Aristote.

    Sia la filosofia analitica che l'ermeneutica, tuttavia, hanno a mio avviso frainteso

    il senso autentico della metafisica di Aristotele, concependo il principio checonferisce unit all'intero essere rispettivamente come forma separata, avente neiconfronti di tutte le altre forme la stessa priorit di carattere logico che la forma ha neiconfronti della sostanza e la sostanza nei confronti della altre categorie, oppure comeatto di essere, cio come ente la cui essenza lo stesso essere. In entrambi i casi lametafisica di Aristotele stata scambiata con una metafisica di tipo platonizzanteo neoplatonizzante, cio con una metafisica partecipazionistica, gradazionistica,riduzionistica, del tipo ripreso poi nella Scolastica, ma anche nella filosofia moderna. Lasola differenza tra le due interpretazioni, quella analitica e quella ermeneutica, chenella prima tale metafisica stata esplicitamente attribuita ad Aristotele (si vedanosoprattutto gli studi di Patzig e Frede), mentre nella seconda si ritenuto che Aristoteletendesse a tale posizione, realizzata poi dalla Scolastica, senza tuttavia riuscire araggiungerla (si vedano soprattutto gli studi di Aubenque).

    Invece la metafisica, nella sua formulazione di origine aristotelica, concepisce il

    principio primo dell'essere come attivit di pensiero, cio come intelligenza, ospirito, che causa di tutti gli enti non in quanto possieda una priorit logica neiconfronti di essi, cio sia la causa formale di essi, e dunque consenta in qualche mododi dedurli, ma in quanto possiede quella priorit ontologica che propria della causaefficiente, spiegazione del movimento, cio fonte ultima del divenire, e movimento

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    perfetto, cio attivit immobile, in s stessa. In quanto tale, questo principio radicalmente trascendente, cio diverso, totalmente altro, rispetto al mondodell'esperienza, ed tale per cui il mondo dell'esperienza non pu in alcun modo esserededotto da esso; perci il principio non estingue la problematicit, la contingenza, lavariet, l'imprevedibilit, l'eventualit, dell'esperienza stessa (da cui l'apprezzamentodi Lyotard).

    Naturalmente, se vogliamo esprimerci col linguaggio pi tradizionale (che tende aprodurre la sovradeterminazione e quindi a risuscitare tutte le diffidenze e i pregiudiziantimetafisici), dobbiamo dire che questo principio non altri che Dio e il rapporto chedeve instaurarsi tra esso e il mondo dell'esperienza, affinch esso possa renderepienamente ragione di questo e al tempo stesso conservarne intatta la problematicit,non altro che la creazione. Perci legittimo porci anche la domanda tradizionalese l'esistenza di Dio e la creazione siano dimostrabili razionalmente. La rispostadipende da ci che si intende per dimostrare. Se si intende il dedurre proprio delledimostrazioni geometriche, la risposta non pu essere che negativa. Ma se si intendequel dimostrare per via di confutazione che proprio della filosofia (come ha

    riconosciuto anche un filosofo analitico quale Ryle), la necessit di un principiotrascendente dimostrabile nel senso che confutabile ogni sua negazione, vale a direogni forma di assolutizzazione del mondo dell'esperienza. A rigore la stessa richiesta diuna dimostrazione dell'esistenza di Dio la prova della sua trascendenza: se Dio infatti,cio l'assoluto, fosse immanente al mondo dell'esperienza, sarebbe lui stesso oggettodi esperienza e dunque non avrebbe bisogno di essere dimostrato.

    In fondo il problema della metafisica, anzi la metafisica stessa in quantoproblematizzazione totale dell'esperienza, cio una metafisica essenzializzata e nonsovradeterminata, e perci logicamente fortissima, formulabile come la semplice

    domanda se l'esperienza sia essa stessa l'assoluto, cio se basti a se stessa, sesi spieghi interamente da s. Chi, oggi, disposto, sia tra gli analitici che tra gliermeneutici, a sostenere che l'esperienza l'assoluto? Tutti ammettono un livello didiscorso, o di pensiero, ulteriore rispetto a quello empirico, cio il livello concettuale.Ma questo solo il discorso scientifico? Cio: la scienza veramente in grado dirisolvere il problema dell'essere? Non dimentichiamo che il suo punto di vista sempreparziale, astratto, in qualche modo costruito. Chi veramente convinto che la scienzarisolva tutti i problemi? Non certo gli ermeneutici, che ammettono altri discorsi, diversida quello scientifico, e riconoscono la problematicit dell'esistenza umana, ciodell'esperienza (abbiamo visto sopra la posizione di Vattimo).

    Ma nemmeno gli analitici sono convinti che la scienza risolva tutti i problemi, a menoche non siano fisicalisti, o riduzionisti, o scientisti, cio in qualche modo metafisici, manel senso di una cattiva metafisica, professata per lo pi inconsapevolmente eingiustificatamente. Ora, non tutti gli analitici sono riduzionisti, n ci sono ragionicogenti, dal punto di vista della filosofia analitica, perch lo siano. Ci che caratterizza,piuttosto, la filosofia analitica la circoscrizione della sua indagine al linguaggio, equindi una certa limitazione del processo di problematizzazione dell'intera realt. Fino ache, infatti, le condizioni di intelligibilit che si ricercano sono solo relative a linguaggio,si tratter sempre di condizioni logico-linguistiche, cio, in termini aristotelici, di causeformali, e non di cause efficienti. Ma nulla vieta che la filosofia analitica ammetta unlivello di problematizzazione ulteriore, che investe lo stesso essere, cio il riferimentodel linguaggio, e che pertanto fa ricorso a un tipo diverso di condizioni, non solologiche, ma specificamente ontologiche.

  • 7/30/2019 Berti Enrico - La Prospettiva Metafisica

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    03/05/13 Filosofico.org: La prospettiva metafisica tra analitici ed ermeneutici

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    Insomma, dal punto di vista logico, la negazione di una metafisicaepistemologicamente debole, quale il riconoscimento della problematicit, vale adire della contingenza, della precariet, dell'insufficienza del mondo dell'esperienza (odella vita, o della storia), non potrebbe configurarsi se non come una posizioneepistemologicamente molto forte, quale l'affermazione che il mondo dell'esperienza(o della vita, o della storia) l'assoluto, cio espressione di una razionalitpienamente realizzata, di un ordine perfetto, di una struttura del tutto autosufficiente e

    capace di spiegarsi da s (una spiegazione di questo tipo anche il ricorso al caso,perch pu spiegare tutto e il contrario di tutto, ed del tutto incontrollabile). Ma unaposizione di tal genere debolissima dal punto di vista logico, cio facilissimada confutare, perch innumerevoli sono gli esempi di contingenza, di precariet, difinitezza, che si possono addurre a smentita di essa. Per questo credo si possa direche oggi, dopo la crisi dello storicismo e il tramonto delle ideologie in generale, unametafisica essenzializzata e ridotta ad affermazione della problematicit

    dell'esperienza, tutt'altro che superata ed obsoleta, ma anzi sta al centro della

    filosofia contemporanea, sia nella sua componente analitica che in quellaermeneutica.

    Appendice teologica

    Sono convinto che le maggiori difficolt ad accettare la metafisica provengano,oggi, pi che dal versante filosofico, o da quello scientifico, dal versante teologico.Non un caso, infatti, che l'ultima enciclica pontificia, la Fides et ratio - la quale, nonbisogna dimenticarlo, come tutte le encicliche diretta ai vescovi, responsabili anchedell'organizzazione delle scuole cattoliche, ed al massimo ai filosofi credenti, non certoai non credenti, che invece hanno avuto reazioni polemiche come se il papa sirivolgesse a loro - raccomandi essenzialmente di non trascurare la metafisica.Paradossalmente l'intenzione di essa stata colta, meglio che da tanti altricommentatori, dal suo critico pi polemico, almeno in Italia, cio il direttore della rivistaMicro-mega, il quale vi ha scorto essenzialmente il tentativo di contrastare una derivaprotestante interna alla stessa Chiesa cattolica. L'ostilit verso la metafisica diffusa,infatti, ancor pi nella teologia protestante, a causa dell'anti-aristotelismo viscerale diLutero (ma suppongo anche in quella della Chiesa ortodossa). Proprio queste posizionimostrano che il rifiuto della metafisica spesso si accompagna al rifiuto dellastessa filosofia, che a volte significa addirittura rifiuto, o disprezzo, della razionalit.

    Sarebbe perci alquanto strano, ed in effetti accade oggi molto di rado, che la filosofiarifiutasse pregiudizialmente la metafisica, una metafisica - ripeto - nonsovradeterminata, ma consistente essenzialmente in una problematizzazione radicaledel mondo dell'esperienza.

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