Heidegger Introduzione Alla Metafisica

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MARTIN HEIDEGGER

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Presentazione dr'Gzìrmmf' Vettƒmo

-53.

MURSIA

Page 2: Heidegger Introduzione Alla Metafisica

Titolo originale:` Einftibrnng in die Metapnystlè

Traduzione del tedescodi Giuseppe Masi

` 3631/AcPrima edizione in questa collana: 1990

ü Copyright 1966 Max Niemeyer Verlag Tübingenü Copyright 1968 Gruppo Ugo Mursia Editore S.p.A. per le traduzione italiana

Milano - Vie Tadino, 29Proprietà letteraria risenrata - Printed in Italy

' _ ISBN 88-425-0705-9

ånno ' Edizione

979695 94 345_6

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' '-PRESENTAZIONE

L"impresa di tradurre uno scritto beideggeriano è sempre, almenoparzialmente, notata al fallimento. Come il traduttore sia riuscito ania rendere accessibile il difiicilissimo testo, senza appesantire troppola lettura con liintroduzione di neologismi e con lunghe parafrasi,nedra il lettore. Non sempre è stato possibile trovare un termine ita-liano che coprisse l'intera gamma di sfumature della parola tedesca,sfumature fatte ualere con eauililvrio diverso nei vari luoghi: in talcaso, cbe si uerifica per esempio per Fimportantissimo nerbo wesen,si sono usati termini diversi, facendoli seguire in genere dall'indica-zione della parola tedesca tra parentesi. Questiuso di riportare traparentesi il termine tedesco ba dovuto essere adottato spesso, siaper- rilevare la funzione cbiane di certi termini nel testo beidegge-riano (ad esempio Dasein), sia per sottolineare il carattere e allu-sino n o comunque insoddisfacente della traduzione, sia per eviden-ziare che il tono inusitato di certe espressioni è tale gia nel testooriginale.

La diflicoltà di tradurre Heidegger è connessa in modo essen-ziale con il senso del suo pensiero, e in maniera eminente proprioin questa Einführung e nelle opere che la seguirono. In tali scrittisi fa sempre piu' cbiaro cbe lo sforzo filosofico di Heidegger è fon-damentalmente uno sforzo di rompere i limiti del linguaggio che sitroua ad usare. Si ricordi che nel Brief über den Humanismus ( 1946)Heidegger indica come causa della mancata prosecuzione di Sein undZeit (1927) il nenir meno del linguaggio. Questo uenir meno costi-tuisce da allora l'esperienza base e il problema cbiane di tutto il pen-siero beideggeriano. Da un lato - ed è questo che rende cosi dificilecapire e tradurre il suo dettato - esso dinenta sforzo di trouare illinguaggio -e adatto u, adeguato al contenuto di un pensiero che nonsi vuol limitare ad articolare dall'interno le categorie metafisicbecomuni, ma uuol metterle in discussione nella loro stessa radice. In

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PRESENTAZIGNE

secondo luogo, problema del linguaggio significa per Heidegger pro-blema sul linguaggio, cioe sforzo di rendersi conto del nesso cbe legail pensiero (e liessere) al linguaggio stesso. Il venir meno del lin-guaggio in Sein und Zeit, al punto cbe l'opera deve interrompersi erestare incompiuta, non è solo un fatto e tecnico ››: esso richiamapiu' profondamente alla connessione essenziale tra pensiero le lin-guaggio, connessione cbe diventa il tema stesso di tutta la succes-siva riflessione beideggeriana. ' '

È auesto venire in primo piano, nei due sensi indicati, del pro-blema del linguaggio (e si pensi alla vasta popolarità di questotema, sia pure* in prospettive diverse, presso tutta la filosofia delnovecento), a costituire il nocciolo di quella e svolta ›› del pensierolzeideggeriano che rappresenta uno dei piu' appassionanti problemiposti dalla sua filosofia. Di questa svolta, l'opera che qui si presenta,concepita e scritta nel 1935 (si veda l'avvertenza dell"Autore), co-stituisce il primo e per ora l"unico documento di'una certa ampiezzae organicità. È noto, infatti, clve successivamente gli scritti di Hei-degger, se si eccettuano alcuni piu' lunghi studi di carattere storico(Der Satz vom Grund, Die Frage nach dem, Ding, i corsi raccoltinei due volumi del Nietzsche), si riducono tutti a saggi piu' o menobrevi. D'altra parte, gli scritti che si collocano tra Sein und Zeit e iaEinführung (cioe, oltre al libro su Kant: Vom Wlesen des Grund-es,Was ist Metaphysik?, Wom Wesen der Wahrheit), ancbe se pervari aspetti annunciano già lo sviluppo successivo, sono ancora nelloro insieme compresi nell*'orizzonte problematico di Sein und Zeit.

L'l-Èinfiìhrung in die Metaphysik ba quindi una posizione centralee peculiare nello svolgimento del pensiero di Heidegger, posizioneche risulta confermata se si passa dalla collocazione cronologica al-l"esame del contenuto. Gran parte dei temi che costituiscono la suc-cessiva speculazione beideggeriana fino agli anni piti .recenti sonoinfatti chiaramente annunciati ed afirontati nella Einführung, tantoche essa si puo a buon diritto collocare accanto a Sein und Zeit comeseconda opera cbiave per la comprensione delliintero suo pensiero.In Sein und Zeit Heidegger aveva parlato del e compito di una di-struzione della storia dell'ontologia v: proprio questa e distruzione .››

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PRESENTJKZIONE

si attua ani nella forma del risalimento alle origini storicbe (ma nelsenso in cui per Heidegger, proprio anche in auestiopera, Geschichte- storia - si dà solo come Geschick - destino) della metafisica, cioèdelle categorie entro le anali ci si presenta già sempre determinato,in una falsa e ovvietà a, il problema dell*essere Tale problema, chegià Se-in und Zeit indica come il problema della filosofia, si poneautenticamente solo nella misura in cui si opera questo risalimento,solo se si individua, cioe, il carattere storico ed eventuale (ancbese tuttialtro cbe casuale, come si è detto) di queste categorie. Esse,che determinano (be-stimmen, danno il tono a) tutto il nostro at-tuale modo di pensare e di giudicare, sono incarnate nel linguaggiocbe ci troviamo a usare, nel quale siamo gettati. Il linguaggio non èsemplicemente la cristallizzazione e il prodotto della storia del pen-siero, esso è il modo stesso di accadere delle distinzioni e delle scis-sure dell"essere: non c'è un rapporto tra uomo ed essere, tra esseree storia, di cui il linguaggio sia solo indizio o espressione; tale rap-porto si attua, è (west) , solo come linguaggio, come strutturarsi emodificarsi del linguaggio stesso.

» Questo fatto, che sarà esplicitato sempre piu' da Heidegger nelleopere successive, sta alla base delliimportanza che la ricerca sullagrammatica e lietimologia della parola a essere » assume nellarung. Il linguaggio è la sede in cui si attua la determinazione dellanostra storicità da parte delliessere. Cioè: la storia di uniepoca, edella nostra, è determinata dal configurarsi del rapporto uomo-esserecbe le fa da base; tale rapporto si attua, si configura anzitutto nellinguaggio. La riflessione sul linguaggio, la grammatica e lietimolo-gia è una riflessione cbe mette in questione la nostra .itessa esistenzastorica, una riflessione sul nostro destino nel senso piu' pieno dellaparola. - '

_ Alla luce di questa a storicità ›› della riflessione sul linguaggiovanno letti anche i giudizi e di attualità ›› cbe Heidegger pronunciaana e là, ma soprattutto in due punti (Pil 47-49 e 203) nel corsodellfopera. Liaccenno alla situazione politica tedesca di quegli anniha sostanzialmente lo stesso significato del suomettere Russia e Ame-rica sullo stesso piano come società massificate: in entrambi i casi,

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PRESENTJKZIONE

quel che domina e la nozione di una e tecnica planetaria si comeestremo punto di arrivo di quell'oblio dell"essere che secondo lui ca-ratterizza tutta la civiltà occidentale. Tutti questi fenomeni sono daintendersi e valutarsi non tanto come dipendenti dalla cattiva vo-lontà di un individuo o di una classe o di una nazione, quanto piut-tosto come possibilità ed esiti necessariamente connessi con le basimetafisicbe stesse della nostra civiltà. E un'opinione clae si potrà di-scutere; certo non può in alcun caso essere interpretata come unafr apologia » di un regime politico, proprio nella misura in cui quellestesse basi metafisicbe sono messe in questione radicalmente. `

' _ Il carattere e la portata storica di questa, come di tutte le operebetdeggertane, sono piu' vasti e generali. Si è detto del compito diuna distruzione della storia dell*'ontologia di cui aveva parlato Seinund Zeit e che la Einführung imposta radicalmente. Si può dire aragione cbe tutti gli scritti di- Heidegger dopo quest'ultima operasono studi di e storia della ƒilosofia v; cioè sfcrzi per operare il risa-limento alle origini della metafisica. Ciò non va però inteso come setale risalimento fosse diretto semplicemente a liberarci dai e pregiu-dizi n che una certa tradizione ci ha lasciato in eredità e a farci re-cuperare un punto di vista ff obiettivo ›› sull"essere (inteso in talsenso come un darsi spettacolare della verità). Il discorso ontolo-gtco, la vera posizione del problema delliessere non comincia unavolta cbe si sia recuperato questo presunto punto di vista originario;il discorso ontologico è lo stesso risalimento (di qui liinsistere, nienteafiatto retorico, di Heidegger sul domandare, sul Fragen), e ciò per-clsé liessere non è qualcosa clae stia al di là del suo darsi nel lin-guaggio e nella storia, ma è -questo stesso darsi. Lo sforzo ontologicodi Heidegger, lungi dal comportare un abbandono della concreta espe-rienza storica delliuomo, .è invece esclusivamente una lettura radi-cale di questa storicità. L"Eir1führung e le opere successive confer-:nano e approfondiscono cosi il nesso peculiare del problema del-

esscre con il problema dell'esserci (dell*uomo) quale era stato in-'dicato da Sein und Zeit. *

Da ultimo si dovrebbe accennare al .senso che ba in Heideggerla parola e metafisica ». Qualcbe interprete ba giustamente osservato

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PRESENTAZIUNE

- H cbe questiopera, piu' che un'introduzione alla metafisica, è una guidaad attraversarla per andare al di là di essa. Metafisica è infatti perHeidegger il pensiero ontico, quello cbe parla dell'essere scambian-dolo fin da principio con liessente e pensandolo sul modello di que-sto. Se tuttavia si tiene presente quanto si è detto sopra circa ilfatto che l'essere non si dà se non nella sua storia, e quindi nellastoria del linguaggio e, per la nostra epoca, della metafisica, appa-rirà cbiaro cbe non si tratta ne' di un introdursi alla metafisica nelsenso di un prepararsi ad esercitarla; ne' Hdi raggiungere, al di là diessa, un ipotetico punto di vista originario scevro di pregiudizi; madi un penetrare nella metafisica nel senso in cui essa è la storia-destinodell'essere (cfr. il Nietzsche, Pfullingen 1961, vol. II), e quindi an-cbe il nostro destino, che si tratta di assumere consapevolmente nellaforma della Wiederholung. Da questo punto di vista - e tutta lioperadi Heidegger ne è la prova - il pensiero non può essere altro, pernoi, che una meditazione e una ripetizione della storia della ,meta-fisica, intesa come il modo proprio e peculiare in cui l'essere si daalla nostra epoca. _ -

GIANNI Vnrrmo V

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INTRODUZIONE ALLA METAFISICA

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AVVERTENZA

Il presente scritto raccoglie il testo completo del corso svolto, sotto il medesimotitolo, all'Uniuersità di Friburgo, durante 11 semestre estivo del 1935.

Una cosa E la parola detta, altra cosa la parola stampata.Pertanto, onde venire incontro al lettore, sono st_ate accorciare alcune frasi troppo

lunghe, il testo è stato meglio articolato e suddiviso, sono state soppresse alcuneripetizioni, rettificate alcune seiste, chiarite talune itnprecisioni. Ma il contenuto È

i l I .rimasto rmmuta o _ _ _ _Quanto è incluso fra parentesi tonde risulta dall'ulter1ore elaborazione del testo,

mentre fra parentesi quadre sono state comprese alcune osservaztoru aggiunte neglianni successivi. _ _ _ _

Per poi intendere bene 1n che senso e per quale ragione 11 termine e metafisrca aricorra nel titolo di qu_este lezioni, bisognerà che il lettore abbia, dal canto suo,compiuto 11 loro lunerarro. .

CAPITOLO I

LA DOMANDA METAFISICA FONDAMENTALE '

Percbé_ vi è, in generale, l*'essente e non il nulla? Ecco la do-manda. Non si tratta, presumibilmente, di una domanda qualsiasi. Èchiaro che la domanda: -a Perché vi è, in generale, Pessente e non ilnulla? a è la prima di tutte le domande. Non certo la prima perquanto riguarda Pordine temporale. I singoli, e anche i popoli, sipongono una quantità dt domande nel corso del loro sviluppo sto-rico attraverso i tempi; adrontano, esplorano, indagano ogni sortadi cose prima d'imbattersi nella domanda: << Perché vi è, in generale,lessente e non 1.1 nulla? a. Capita a molti di non imbattersi addirit-tura mat tn una s1m1le domandaj né di chiedersene mai il significato:dato che non si tratta dl fermarsi alla pura e semplice enunciazione,sentita o letta, della frase interrogativa, ma di formulare la domanda,di farla sorgere, di porla, di immettersi nella necessità di questodomandare. _ _

Eppure, capita a ciascuno di noi di essere, almeno una volta emagari pm diuna, sfiorato dalla forza nascosta di questa domanda,senza tuttavia ben rendersene conto. In certi momenti di profondadlsperazlone, ad esempio, quando ogni consistenza delle cose sembravenir meno e ogm sigmficato oscurarsi, la domanda risorge. Può darsiche una sola volta essa ci abbia colplto, come il suono cupo di unacampana echeggiante nelliintimo e che vada via via smorendo. Oppurela domanda si presenta in una esplosione giubilante del cuore, allor-ché repentinamente tutte le cose si trasformano e ci attorniano comeper la prima volta, tanto che riuscirebbe piú facile concepire cheesse non siano pluttosto che siano proprio cosí come sono, La do-manda si presenta anche in certi momenti di noia, quando ci sen-tiamo ugualmente distanti dalla disperazione come dalla gioia; ma

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INTRODUZIONE ALLA META FI S ICA

in modo tale che Pincombente normalità di ciò che ò induce a unadesolazione nella quale appare indifferente che ciò che ò sia o nonsia. Allora, in guisa ancor piú pertinente, risuona ancora la domanda:a Perché vi ò, in generale, liessente e non il nulla? a.

Ma sia che la domanda si ponga nel suo vero significato, sia che,senza venir riconosciuta come vera e propria domanda percorsa solo.come un turbine passeggero, il nostro essere; sia che ci scuota pro-fondamente, sia che si lasci da noi *eludere o soffocare sotto un pre-testo qualsiasi, cetto si ò che essa, fra tutte le domande, non ò maiquella che ci si pone temporalmente per prima.

Essa ò tuttavia sempre la prima in un altro senso: per il suorango. Ciò risulta evidente da un triplice punto di vista. La domanda:a Perche' vi è, in generale, liessente e non il nulla? a- reclama ilprimo posto anzitutto perché ò la piú vasta, in secondo luogo perchéè la piú profonda, infine perché ò la piú originaria.

Si tratta della domanda di piú vasta portata. Essa non si fermaad un ente qualsiasi, ma investe tutto l`essente nel suo senso piúlato, né si limita al dato attuale, ma riguarda anche quanto è statoper l'addietro e sarà in futuro. L"estensione di questa domanda nonincontra nessun limite se non in ciò che non ò né sarà in alcun modo,ossia nel nulla. Tutto ciò che non E'-: un nulla ricade sotto questa do-manda, ed infine lo stessonulla: non già perché esso divenga qual-cosa dal momento che ne parliamo, ma perché e è a il nulla. Lanostra domanda ò di cosi vasta portata che non sapremrno oltrepas-sarla. Essa non verte su questo o su quell'ente in particolare, nésull"intera serie degli enti, ma sulliessente in toto, o, come vedremomeglio piú avanti, sull'eSsente nella sua totalità come tale. ..

Per il fatto che questa domanda è la piú vasta, è anche la piúprofonda. e Perché vi ò, in generale, l'essente...? a Chiedere perchéè come chiedere: quale ne è la ragione, il fondamento (Grund)? Daquale fondamento l'essente proviene? Su quale fondamento si basa?A quale fondamento risale? La domanda non concerne questo oquelliaspetto dell"essente, né il suo essere qua o là, né come è fattoo come può risultare modificato o venire utilizzato, e via dicendo.Il domandare mira al fondamento del.l'essente in quanto essente.

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* La uoruauoa Maraetslca 1=oNuaMaN*raLz

Cercare il fondamento 'significa indagare la ragione, investigare. Tuttociò che viene investigato si rapporta al fondamento. Solo che, peril fatto dello stesso domandare, rimane incerto se questo fondamentosia veramente fondante, se realizzi la fondazione, se sia un fonda-mento originario (Ur-grund ); ovvero se questo fondamento rifiutila fondazione, se sia assenza di fondamento (Ab-grund); o se, inline,non sia né una cosa .né l"altra, ma presenti solo uniapparenza, forsenecessaria, di fondazione, costituendo cosí solo un non-fondamento(Un-grund). Comunque sia, la domanda va in cerca di una rispostadecisiva perseguendola in un fondamento che fondi, giustifichi lies-sente come tale in ciò che esso è. Tale domanda sul perché non ri-cerca, per l'essente, cause della stessa natura o poste sul medesimopiano di esso. Essa non si muove su di un piano indifferente o soloin superficie, ma penetra nella zona piú profonda, proprio Eno all'ul-timo, fino al limite: rifuggendo da qualunque superficialitä e appiat-timento tende al profondo, cosicché, oltre che come la piú ampia, sipresenta nel contempo, fra tutte le domande piú profonde, come lapiú profonda. _' :

' Infine, in quanto è la domanda piú ampia e profonda, si pre-senta anche come la piú originaria. Che- cosa si deve intendere conquesto? Se ci si rende conto di tutta Pampiezza di questa domanda,che problematizza Pessente come tale nella sua totalità, apparirà chiaroche essa non concerne in alcun modo questo o quell'ente singolo inparticolare. Ciò che noi intendiamo considerare ò proprio l'essentenella sua totalità, senza alcuna preferenza particolare. Tuttavia c'è unessente che si fa avanti sempre di nuovo con insistenza in questodomandare: q-uello degli uomini stessi che pongono la domanda. Pure,in questa domanda, non deve trattarsi di un qualche ente partico-lare. In ragione della sua portata illimitata tutti gli enti per essa siequivalgono. Un qualunque elefante in una qualsiasi foresta verginedell'India è altrettanto essente che un qualsiasi processo chimico di-combustione sul pianeta Marte, o quel che si voglia.

Se intendiamo dunque perseguire nel suo vero significato e finoin fondo la domanda: a Perché vi è, in generale, l'essente e non ilnulla? ››, bisogna evitare di porre in primo piano un ente partico-

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INTRODUZIONE ÀLLÀ NIETAFISICJK

lare, anche l'uomo. Perché, che cos'è in fondo quest'essente'? Raf-figuriamoci la terra nell"Universo, per entro l'oscura immensità dellospazio. Al suo confronto, essa è come un minusoolo granello di sab-bia fra il quale e il piú prossimo granello della stessa grandezza siestendesse un chilometro e piú di vuoto: sulla superficie di questominuscolo granello di sabbia vive un ammasso caotico, confuso estrisciante, di animali che si pretendono razionali e che hanno perun istante inventato la conoscenza (cfr. Nietzsche, Sulla verità e lamenzogna in .temo exrramorale, 1873, opera postuma). E che cos'èmai Pestensione temporale di una vita umana nel giro di tempo dinnhoni di anni? Appena uno spostamento della lancetta dei secondi,un breve respiro. Non sussiste alcun motivo perché, per entro al-l'essente nella sua totalità, si debba porre in primo piano quell'es-sente chiamato uomo, alla cui specie noi stessi per caso apparteniamo.

D'altra parte, in quanto Pessente nella sua totalità cade a uncerto punto sotto la domanda suddetta, tra lui e il domandare vienea stabilirsi una relazione peculiare, in quanto unica nel suo genere.È infatti attraverso questo domandare che l"essente nella sua totalitàsi presenta per la prima volta e o m e tale, aperto nella dire-zione del proprio possibile fondamento e mantenuto in tale aperturada questo domandare. Il porsi di questa domanda, nei confrontidell"essente come tale nella sua totalità, non costituisoe un fatto qual-siasi, che si verifichi accidentalmente nell"ambito dell'essente, comead esempio il cadere delle gocce di pioggia. La domanda sul per-ché si colloca di fronte all'essente nella sua totalità, e come distac-candosene, anche se mai pienamente. È per questo, appunto, chela domanda assume tutto il suo risalto. Proprio per il fatto che que-sto domandare si pone di fronte all'essente nella sua totalità, senzapotervisi peraltro sottrarre, accade che ciò che viene domandato siripercuota sul domandare stesso. Perché il perché? Su che cosa sifonda la stessa domanda del perché, domanda che si studia di porrel'essente nella sua totalità sul suo proprio fondamento? Forse anchequesto e perché a rappresenta, a sua volta, solo la domanda di unfondamento provvisorio, sicché quel che si cerca è sempre ancora unessente capace di fondare? Forse questa p r i m a domanda, parago-

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LA DDNIANDJE. METAFISICA FUNDAIMENTJKLE t

nata con quella riguardante 1'essere e con le sue varie trasforma-zioni, non è in realtà la prima per dignità e per rango?

Certo, il fatto chela domanda: a Perché vi è, in generale, l'essentee non il nulla? a venga posta o meno, non tocca minimamente Fessentein se stesso. I pianeti non seguono meno, per questo, il loro corso.L'impulso vitale non trascorre meno nelle piante e negli animali. Maquando tale domanda venga efiettivamente posta, ecco che allora, inquesto domandare, se spinto realmente a fondo, si verifica necessa-riamente che cio che viene interrogato e fatto oggetto della domandasi ripercuote sul domandare stesso. Di conseguenza, tale domandarenon costituisce di per sé un fatto qualunque, ma un accadimento pecu-_liare, ciò che noi chiamiamo un e v e n t o (Gescbebnis).

Questa domanda sul perché, come tutte quelle in essa immedia-tamente radicate e nelle quali quest'unica si dispiega, non è paragona-bile a nessun'altra. Essa si protende alla ricerca del proprio stessoperché. La domanda: -a Perché il perché? a può esteriormente appa-rire, di prim'acchito, un'oziosa ripetizione all'infinito della stessa fraseinterrogativa, un almanaccare vuoto e pretenzioso su parole senzacontenuto; Sicuramente l'apparenza è questa. Si tratta ora di vedere sepreferiamo renderci vittime di tale superficiale evidenza a buon mer-cato, e ritenere cosí tutto quanto sistemato, o se non siamo in gradodi cogliere in questo ripercuotersi su se stessa della domanda sul per-ché un evento capace di stimolarci. '

Se non ci si lascia ingannare dall'evidenza superficiale, si vedràche questo interrogare sul perché, in quanto costituisce una domandasull'essente come tale nella sua totalità, è destinato in verità a por-tarci a tutt'altro che a giocare con delle semplici parole, posto chepossediamo tuttavia abbastanza forza di spirito da provocare realmentequesta ripercussione della domanda sul proprio perché, dato che sicu-ramente cio non può verificarsi da sé. Allora troveremo che talepeculiare domanda sul perché si basa su di un salto (Sprrmg) medianteil quale l'uomo abbandona ogni anteriore sicurezza, vera o presunta,nei riguardi del proprio essere (Dasein). Questa domanda si ponesolo nel salto e come salto, o non si pone afiatto. Che cosa s'intendaqui per salto si vedrà piú avanti. Il nostro domandare di per sé non

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INTRGDUZIONE .PLLLA METAFISICñ.

e ancora 11 salto, 1n quanto si trova ancora, senza sapere, di fronteall'essente, per esserlo bisogna che si trasformi. Basti per ora accen-nare che 11 salto, proprio di questo domandare, fa sorgere (er-spring!)a se stesso 1l proprio fondamento, lo realizza nel salto. Un tale saltocapace d1 prodursi come fondamento lo chiamiamo un salto originario(Ur-rpmng: origine) nel vero senso della parola: il far sorgere ase stesso il proprio fondamento (dar Sicb-demGrand-er-springefr) Ilfatto che in ogni autentico domandare la domanda: -rr Perché vi è, in

I' u- I igenerale, lessente e non 11 nulla? ›› faccia sorgere 11 fondamento, po-nendos1 cosí! come salto originario, c'induce a riconoscerla come ladomanda p1u or1g1nar1a. -

In quanto è la piú vasta e la piú profonda, la domanda è anchela piu ortgmarta, e viceversa.i La domanda- rlsulta, in questo triplice senso, la prima per rango1n quell ordlne dell mterrogare mterno all'ambito che essa stessa perprima d1sch1ude, dlmensionandolo, e fonda. La nostra domanda èla dio m a n d a chƒe rappresenta tutte le vere domande, ossia quelleche srpongono da se a se stesse: sia che ci se ne renda conto o meno,ãssa rlsulta necessariamente implicita in ogni altra domanda. Nessun

omandare, neppur quello concernente 11 benché minimo a proble-$a ›› scnírnläfico, può comprendere se stesso se non afferra la domanda

1 tutte e omande, vale a d1re se non se la pone. Occorre che fin dalprimo momento risulti ben chiaro questo: non si può mai stabilireobbiettivamente se uno si pone, se noi stessi poniamo, effettivamentequesta domanda, se si compie cioè il salto o se ci si ferma alla sem-plice formulazione di essa. La domanda, del resto, decade subito dalsuo rango nelliambito di una forma storica di umanità cui rimangaestraneo il domandare come potenza originaria.

Per chi, ad esempio, considera la Bibbia come fonte di rivela-zione e di verità divina, la risposta si trova già pronta ancor primadello stiesso porsi della domanda: e Perché vi È, in generale, l'essentee non 11 nulla? ››. La risposta è la seguente: l'ente, in quanto nonè Dio stesso, è creato da lui. Dio stesso e è ›:› come creatore increato.Chi si mantiene sul terreno di una tal fede può certo, in qualchemodo, seguire il nostro domandare, e anche parteciparvi, ma non

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La nomanna METM.-¬-Islca Fonnrm-IENTALE

può autenticamente interrogare senza cessare di essere un credente,con tutte le conseguenze che tale passo comporta. Si può solo com-portare a come se... ››. D'altronde, la fede che non si espone co-stantemente alla possibilità dell'incredulità non è neppure una fede,ma una comodità e una convenzione stipulata con se medesimo diattenersi in futuro al dogma, come a tma qualunque tradizione. Nonsi tratta, in questo caso, né di un credere né di un interrogare, madi semplice indifferentismo che si può oramai occupare di tutto - tantodel credere come delliinterrogare - magari anche con molto interesse.

Con questo rimando- alla sicurezza della fede considerata comeun modo specifico di essere nella verità, non si vuol certo dire chela citazione delle parole della Bibbia: e A1l'i11izio Dio creò il cieloe la terra ecc. s costituisca una risposta alla nostra domanda. Chequesta frase della Bibbia sia vera o no per la fede, essa non può co-stituire per nulla una risposta alla nostra domanda, non avendo alcunrapporto con questa. E se non ha alcun rapporto con essa è perchénon può averne afiatto. Quanto viene propriamente richiesto nellanostra domanda è, per la fede, una follia.

È in tale follia che consiste la filosofia. Quanto a una -s filosofiacristiana ›› essa non è che una specie di a ferro ligneo ra e un malin-teso. Esiste senza dubbio una elaborazione problematica riflessa del-Pesperienza cristiana del mondo, vale a dire della fede. Ma questaè teologia. Solo epoche che ormai non credono piú alla vera grandezzadel compito della teologia pervengono all'idea rovinosa che la teo-logia abbia a guadagnare con un presunto ringiovanimento ottenutomediante l'aiuto della filosofia, o magari possa venirne rimpiazzata oresa piú appetibile secondo le esigenze dei tempi. Ma per la fedegenuinamente cristiana la filosofia è una follia. Filosofare significachiedere: e Perché vi è, in generale, l'essente e non il nulla? a. Ilporre efiettivamente una simile domanda significa avere Pardire diinterrogare fino In fondo, di esaurire lmesaurrbtle mediante la rivelazione di quanto in essa richiesto. Laddove qualcosa di simile av-viene c'è filosofia.

Il voler parlare piú dettagliatamente della filosofia, a titolo infor-mativo, per sapere che cosa essa sia, costituirebbe urfimpresa infrut-

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INTRGDUZIONE ALLA METBFISICA'

tuosa. Chi voglia impegnarsi nella filosofia deve, beninteso, saperealcune cose. Ma esse possono venir dette in breve.

Ogni interrogare essenziale della filosofia permane necessariamenteinattuale (unzeirgemäss). E questo sia perché la filosofia si spingemolto piú avanti del suo presente attuale, sia perché essa ricongiungeil proprio presente al suo remoto e principiale (anƒänglicb) passato.In ogni caso la filosofia permane un genere di sapere che non solonon si-lascia attualizzare ma, al contrario, sottopone alla propria mi-sura il tempo. _

La filosofia è, per sua stessa essenza, inattuale: essa appartieneinfatti a quel genere di cose il cui destino è di non trovare mai unaimmediata risonanza nel presente, e anche di non doverla mai in-contrare. Allorché qualcosa di simile accade, quando una filosofiadiventa di moda, allora o non si tratta di vera filosofia., oppure essarisulta sviata dal suo senso e indebitamente sfruttata per scopi qual-siasi, a lei estranei, piegata a esigenze del momento. _

Perciò la filosofìa non è nemmeno un sapere tale da potersi ap-`prendere immediatamente, com 'è delle conoscenze tecniche o di me-stiere, né un sapere da potersi immediatamente applicare, comequello economico o quello, in genere, professionale, che, di voltain volta, si può apprezzare in base alla sua utilità. -

Ma ciò che non è utilizzabile può nondimeno, anzi piú di ognialtra cosa, costituire una potenza. Quello che non possiede alcunaimmediata risonanza nella vita di tutti i giorni può stare in intimaconsonanza con l'accadere (Gescbeben) autentico della storia di unpopolo. Può perfino costituirne Pannuncio profetico. Quanto è orainattuale avrà il suo tempo adatto. Questo vale per la filosofia. Per-tanto non si può nemmeno stabilire quale sia, in linea generale, ilcompito vero e proprio della filosofia e quello che ci si deve er con-

I Pseguenza, attendere da essa. Ogni tratto e ogni grado del suo svi-luppo reca in se' la propria norma. La sola cosa che si possa dire èquello che la filosofia non può essere e non può dare.

Si è formulata la domanda: -a Perché vi è, in generale, l'essentee non il nulla? ››. Sifiatta domanda è stata considerata come la prima.

In questo modo non abbiamo però ancora afiatto posto la do-

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LA DDIvIi'iNDi'i. METAFISICA FONDåMENTALE_

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manda. Ci siamo subito lanciati in una discussiqrlie su di È: dotrattava, comunque, di un chiarimento necessario. porre qll _manda non ha infatti nulla di consueto. Dialfffi Pmer 11°” esiste unmodo di avvicinarsi ad essa gradualmente, _d1;üfamiliarizãar:i šonlåìipartendo da ciò che e abituale. Bisogna qum cercare 1 a EUcela in anticipo, di prospettarla. Non ci è d'altronde consentito - per. I ' I I 1 I r'il fatto di prospettarci la domanda, per il fatto di parlarmi dl Sf-'0darci o di difierire il domandare.. ' _ _ _- _

Pertanto limiteremo le osservazioni preliminari alle indicazlonlcontenute in questa lezione.

Ogni forma essenziale dello_ spirito è ambigua. Qå1iflI1I0t_P1uolf=incomparabile con altre, tanto piu da luogo a frainten meri i ni -teplici. - _ _ _

La filosofia rappresenta una delle poche possibilità. ¢ tal°1`a_ 11€'cessità, di cui l'uomo nella sua esistenza storica _dl$P°fi¢›_ ãhålaslåišüveramente autonome e creatrici. I fraintendimenti correntisofia, che d'altronde colpiscono piú o meno alla lontana il loro og-getto sono innumerevoli. Ci limiteremo qui a due Soltflntfl dl €551.

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particolarmente importanti per chiarire la situazione presente e futura della filosofia. _ _ _ -

Uno di questi fraintendimenti consiste ,nel conñepire prfitšeìetroppo grandi circa Pessenza della filosofia; laltro ne o stravo e eil senso del suo operare. ' _ _ _ _

Grosso modo, la filosofia mira ad enucleare 1 fondamenti primied ultimi dell'essente, di modo che l:uomo_ posäfl _¢5Pf¢55a1P'ìfte rl'cavarne una interpretazione e determmare ipfini lriguaiiìdaiìti filesseãeumano stesso. Di qui si genera facilmente lillusione c ie a _'-350 2possa e debba fornire in ogni epoca a ciascun popßlvs S13 Pf-ff Pm'seme mmc per Pavvenire, le basi sulle quali edificare una civiltà.Tali speranze e sifiatte pretese sopravanzano tuttavia 11* reale poteree l'essenza stessa della filosofia. Per lo piú questa pretesa eccessivasi traduce in una svalutazione della filosofia. Si dice, ad esempio:siccome la metafisica non ha contribuito a preparare la rlvvlüzlvflvsè da respingere. Questo discorso si rivela altrettanto intelligente

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INTRODUZIGNE ALLA METAFIS ICA

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quanto quello che pretendesse di scartare un banco da falegnamesolo perché non serve a volare. La filosofia non può mai essere im-m e di a t a m e n t e apportatrice di forze ne' creatrice di forme diazione o di condizioni atte a suscitare una situazione storica, e questogià per il semplice fatto che essa ha immediatamente a` che fare sem-pre con una minoranza. Quale minoranza? Quella di coloro, appunto,che sono in grado di compiere rivolgimenti e trasformazioni creative.Solo mediatamente, e per imprevedibili passaggi, essa si estende finoa degenerare, prima o poi, quando si è ormai da gran tempo dimen-åiìcato quello che era all'origine, nella banalità dell'esistenza quoti-

ana.Per contro, quello che la filosofia nella sua vera essenza può e

deve essere è proprio questo: un “pensiero che schiuda le vie e leprospettive di un sapere capace di fornire a ogni cosa la misura e ilposto che le spetta, in cui e per cui un popolo possa comprendere eattuare il proprio essere nel mondo della storia dello spirito; lo schiu-dersi di quel_sapere che suscita, sovrasta e determina ogni interro-gativo e ogni valutazione. _

Il secondo dei fraintendimenti ricordati rappresenta uno stravol-gimento del compito della filosofia. Se questa non è in grado di for-nire le basi di una civiltà si pensa che sia perlomeno in grado di

' F ' * ' I - - - . .favorirne l- edificazione sia con lordinare, in prospetti o sistemi, latotalità _dell'essente;, fornendo a scopo utilitario un quadro, una spe-cieƒdi mappa del mondo, delle diverse cose e generi di cose possibili,cosi da permettere un orientamento generale e comune; sia con il sol-levare le scienze di una parte del loro lavoro conducendo la riflessionesui loro presupposti, concetti fondamentali e principi. Ci si attende,insomma, dalla filosofia 'che promuova e acceleri l'attività culturalein senso pratico-tecnico contribuendo a renderla piú agevole _

Ma il fatto è che è proprio dell'essenza della filosofia di renderele cose non piú facili, bensi piú dimcili. E questo non a caso: infattiil suo modo di comunicare appare inconcepibile e addirittura pazze-sco per il senso comune. Il compito vero della filosofia consiste inrealtà piuttosto nelfappesantimento (Errcbwemng) dell'esserci sto-rico, e, in ultima analisi, dell'essere stesso. L'appesantimento confe-

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_ LA DOMåND.A METAFISICA. FDNDPLMENTALE

risce alle cose, all'essente, il loro_ peso (d'essere). E questo perché?Perché Fappesantimento costituisce una delle condizioni fondamen-tali, essenziali, per la nascita di tutto ciò che è grande: in primoluogo il destino di un popolo storico e delle sue opere. Destino peròc'è solo là dove un vero sapere sulle cose domina l'esistenza. Le viee le prospettive di un tal sapere sono aperte dalla filosofia.

Gli equivoci da cui non cessa d'essere circondata la filosofia sonoprovocati soprattutto dal comportamento di gente come noi, vale adire dei professori di filosofia. Il loro compito solito, d'a1tronde giu-stificato e altresi utile; è quello di trasmettere una certa conoscenza,conforme alle esigenze di una media cultura, delle filosofie finora esi-stite. Si ricava cosi Fimpressione che proprio questa sia la filosofia,mentre si tratta, nel migliore dei casi, di semplice scienza della fi-losofia. -

Nemmeno, d'altra parte, la menzione e la rettificazione dei pre-detti fraintendimenti può pretendere di metterci di colpo in unchiaro rapporto con la filosofia. Uimportante è di sapersi mantenerein attitudine meditativa e attenta proprio quando i giudizi piú cor-renti e le presunte esperienze ci aggrediscono inopinatamente. Il chesuccede spesso, in maniera quanto mai innocente e quindi ancorpiú pronta e eficace. Si crede, in base alla propria esperienza, diavere facile conferma del fatto che la filosofia << non conclude nulla ››e -a non serve a niente ››. Entrambi questi luoghi comuni, che vannoper la maggiore soprattutto nell'ambito dell'inse"gnamento e dellaricerca scientifica, sono Pespressione di certe constatazioni che hannouna loro- incontestabile esattezza. Chi, per contro, cercasse di dimo-strare che la filosofia, in fin dei conti, << qualcosa conclude a, nonfarebbe che aumentare e rafforzare il fraintendimento imperante,consistente nel preconcetto che la filosofia può essere valutata se-condo i criteri correnti, con i quali si giudica, ad esempio, della fun-zionalità di una bicicletta o dell'eficacia di certi bagni termali.

È quanto mai esatto e perfettamente giusto dire che c la filoso-fia non serve a niente ir. L'errore è soltanto di credere che, con que-sto, ogni giudizio sulla filosofia sia concluso. Resta tuttavia da fareancora una piccola aggiunta, sotto forma di domanda: se cioè, posto

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INTRODUZICINE ALLA METAFISICA _

che n oi non possiamo farcene nulla, non sia piuttosto la filosofiache, in ultima analisi, è in grado di fare qualcosa di n oi , suppo-sto che c'impegnamo in essa. E riteniamo che questo possa bastareper quanto riguarda il chiarimento di ciò che la filosofia non è. _

Abbiamo posto, all`inizio la domanda: -a Perché vi ò, in generale,l'essente e non il nulla? a. Abbiamo detto che porre questa domandaè il filosofare. Se infatti, con uno sguardo penetrato di pensiero, ciapriamo nella direzione di tale domanda, questo significa che, inprimo luogo, rinunciamo a sofiermarci in una qualunque delle so-lite sfere dell'essente. Ci poniamo al di là di ciò che è all'ordinedel giorno. Il nostro interrogare si spinge al di là dell"usuale e diciò che rientra nell"ordine quotidiano. Nietzsche ha detto una volta(VII, 269): -zi Un filosofo ò un uomo che vive, vede, ascolta, sospetta,spera, e costantemente sogna cose straordinarie ii-. _

' Filosofare significa interrogarsi su ciò che è fuori dell'ordinario.Dato tuttavia che, come abbiamo per ora solo accennato, questa do-manda si ripercuote su se stessa, fuori dell'ordinario non è solo ciòsu cui verte la domanda, ma il domandare stesso. Questo significa chetale domandare non è qualcosa a portata di mano, che ci possa capi-tare di incontrare un giorno per caso. Nemmeno è da credere cherientri nel consueto ordine della vita quotidiana, quasi che vi fos-simo indotti da una qualche esigenza o prescrizione. Questo doman-dare non lo si rinviene neppure nell'ambito delle cose urgenti, deibisogni impellenti da soddisfare. È lo stesso domandare che è al difuori dell'ordine. Esso à interamente libero e volontario, pienamenteed espressamente fondato su di una segreta base di libertà, su ciòche abbiamo denominato il salto. Lo stesso Nietzsche soggiunge: e Lafilosofia... è la scelta di vivere fra i ghiacci e le alte cime iv (XV, 2).Filosofare, possiamo ben dirlo ora, è uno stra-ordinario porre do-mande su quello che è fuori-dell'ordinario (ist entrar-ordentlicberFragen nacb den: Atirser-ordentlicben). '

All'epoca del primo e decisivo fiorire della filosofia occidentalepresso i Greci, dal quale ha tratto veramente origine la domanda sul-l'essente come tale nella sua totalità, l'essente era denominato oúatc.Questa espressione chiave che vale a designare, presso i Greci, l'es-

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III

LA DUMANDA METAFISICA FUNDAMENTALE

sente, si usa tradurla con -ti natura ››. Non si fa che utilizzare, in que-sto modo, la traduzione latina e natura :-:› che significa propriamenteti nascere ii- e << nascita ii-. Ma con questa traduzione latina viene giàeliminato l'originario contenuto della parola greca tpiiirtgi l'autenticaforza evocativa filosofica della parola greca risulta distrutta. Ciò valenon soltanto per la traduzione latina di questa parola, ma per ognialtra traduzione latina delle espressioni filosofiche greche. Il fattodi questa traduzione non rappresenta comunque qualcosa di fortuitoo privo di significato, esso costituisce infatti il primo passo del pro-cesso di imprigionamento e di alienazione dell'originaria essenza dellafilosofia greca. La traduzione latina servi di base al Cristianesimo eal Medioevo cristiano. Quest'ultimo si prolunga, a sua volta, nellafilosofia moderna, la quale si muove nel mondo concettuale del Me-dioevo; essa ci fornisce le nozioni e i termini che vengono ancoroggi usati per cercare di rendersi conto del cominciamento della fi-losofia occidentale. Questo cominciamento ò considerato come qual-cosa di ormai superato, che il mondo odierno ha da gran tempo la-sciato alle proprie spalle. -

Per noi si tratta, invece, di saltare tutto questo processo di de-formazione, _di degradazione, per cercare di riconquistare l'indistrut-tibile forza evocativa della lingua e delle parole: in quanto parole elingua non sono come dei cartocci che servano unicamente ad invol-gere cose per il commercio del parlare e dello scrivere. È solo nellaparola e nella lingua che le cose divengono e sono. Con l'uso incon-trollato della lingua, nella vuota chiacchiera o nelle frasi fatte, si vienecosi a perdere Pautentico rapporto con le cose. Ora,'che cosa signi-fica la parola tpiioz-*;?' Essa indica ciò che si schiude da se stesso (comead esempio lo sbocciare di una rosa), l'aprentesi dispiegarsi e in taledispiegamento lientrare nel1'apparire e il rimanere e il mantenersi inesso; 'iti breve: lo schiudentesi-permanente imporsi (dns auƒgebend-aerweilende' Wdten). Stando al dizionario tpúsiv significa crescere,far crescere. Ma che cosa significa crescere? Indica solo Paccresci-mento quantitativo, il divenire sempre piú grande?

La oúetç nel senso dello schiudersi (als Anƒgeben) la si può ri-scontrare dappertutto, per esempio nei fenomeni celesti (il levar del

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iNTnonUzior~iE aLLa I-aETaFisIc;a

sole), ne1l'ondosità marina, nel crescere delle' piante, nelliuscire del-Fanimale e dell`uomo dal grembo materno. Ma la tpúaiç, come schiu-dentesi imporsi non designa semplicemente quei fenomeni che usiamoancor oggi attribuire alla a natura is. Questo schiudersi, questo consi-stere in se di fronte al resto, non può considerarsi un processo comegli altri che noi osserviamo nelliambito delliessente. La qiiiaic ò lostesso essere, in forza del quale soltanto l'essente diventa osserva-bi.le e tale rimane.

I Greci non hanno incominciato con Papprendere dai fenomenidella natura che 'cosa sia la cpúaig, ma viceversa: e in base a una fon-damentale esperienza poetico-pensante dell'essere che ad essi si òrivelato ciò che hanno dovuto chiamare roúaiç. Solo sulla base di taleapertura, essi sono stati in grado di considerare anche la natura nelsenso piú ristretto. La cpúaic cosi intesa designa, in origine, tanto ilcielo che la terra, la pietra come la pianta, sia l'animale che l'uomo,nonché la storia umana quale opera congiunta degli dei e degli uo-mini; inline, e in primo luogo, gli dei stessi, in quanto sottopostianch"essi al destino (Gere/nek). tbúaiç significa lo schiudentesi im-porsi e il perdurare dominato da esso. In questo schiudentesi-perma-nente imporsi si trovano inclusi sia il ti divenire ›› che 1"-ti essere ii,nel senso ristretto della persistenza immobile. tbúaiq à il pro-dursi(das Eni'-sreben), il portarsi fuori della latenza, e il recare ciò cheò latente in posizione (in den Stand brƒngen).

Ma se, come per lo piú accade, s'intende la qoúaiç, non nel sensooriginario .di schiudentesi-permanente imporsi, bensi in quello piútardivo e odierno di natura, e se inoltre si considerano come manife-stazioni fondamentali della natura i movimenti delle cose materiali,degli atomi, degli elettroni, e tutto ciò che la fisica moderna indagasotto l"aspetto di natura, allora la filosofia originaria dei Greci di-venta una filosofia della natura, un modo di rappresentarsi le coseper l'appunto sotto liaspetto di natura materiale. L'inizio della filoso-fia' greca produce allora Pimpressione, del tutto conforme all'ideache il senso comune si fa di un inizio, di quello che ancora qualifi-chiamo, secondo Fespressione latina, come tt primitivo ii. Cosi i Grecifiniscono per diventare una specie un poco migliore di Ottentotti,

LA DOMANDA MIETAFISICA FUNDAMENTALE

e la scienza moderna appare, rispetto ad essi, infinitamente piú avan-zata._ A parte_ tutte le particolari assurdità insite in questo modo diconsiderare linizio della filosofia come alcunché di primitivo, si devedire che questa interpretazione dimentica che qui si tratta della filo-sofia, vale a dire di una delle poche cose grandi di cui l'uomo ò ca-pace. Ora, ogni grande cosa può avere solo un grande inizio. Il suoinizio e sempi-_e_la cosa piu grande. Ciò che ò piccolo possiede sempreun piccolo inizio, la cui dubbia grandezza consiste nel rimpiccioliretutto; ciò che ha un piccolo inizio È la decadenza la quale può anchedivenir grande, nel senso della dismisura del totale annientamento

l'eterno.I Greci chiamavano l'essente come tale nella sua totalità tpúaig

rio__ scoånparisse_dall'espei_ienza,_ dal sapere, e dall'atteggiamento filo-so co ei Greci. Anche in Aristotele si avverte la coscienza del si-gnificato originario della parola, quando parla dei principi dell'es-sente come tale (cfr. Metapb. l" 1, 1003' a 27).

_ Ma questa limitazione dell'espressione cpiiatç nel sense; del ai fi-_s:_c_p__i_>_:___ no__i_¬i ha avu_tc_i_ liiogp nel modo che oggi_c_i rappresei_itiamo._ Noi________________ ]I›_£_?›____n1_a__t'i_i__i:_ a sico o a psichico i››,_lo spirituale, l animato, il vi-

_ -_ questo appartiene per i Greci ancora e sempre allaÉ-:'_f___c_. (åome fencåišieno con_tr_apposto_ si_ presenta invece quello che i

nel senëdaåneingostucrhì: lìçãfizwinf 0 lsmuzlámei vómgl legge, regola,___ _____ ___ __ _. si ratta propriamente della morale, m_a_io c e secondo il costume (dar Sittenbaƒte), basato su un'obbli-

Evzione che proviene dalla libertà e su un compito amdato dalla tradi-Zlüflfi; ò quanto ha che fare con la libera condotta, con il libero com-

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_Ciò c__he ò grande comincia coll"essere grande fin dal principioe si mantiene tale solo per via di un libero ricorso della propria gran-dezza: se è grande e grande anche nella sua fine. Tale ò la filosofiadei Greci: essa termina in grandezza con Aristotele. Solo la comuneopinione e l'uomo medioišre s'immaginano che ciò che à grande siadestinato a durare indefinitamente, ed eguagliano la sua durata al-

??-10___1_ne1då:n__:almente si può, a questo proposito, notare come già nel-_am ito e_ a_filosofia greca si sia ben presto verificata una restri-

zione del significato della parola, senza che tuttavia quello origina-

Page 14: Heidegger Introduzione Alla Metafisica

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INTRQDUZIQNE åLL_q_ METAFISIQA LA DOMANDA METAFISICA FUNDAMENTALE

[Tutto ciò viene qui presentato, di proposito, in modo assaisommario, come si conviene a una introduzione, epperò in maniera in

' 1 1 _ _, If0I_1__d0_i älfllblgua. La parola fpvvßc, in base alla spiegazione data, viene1' ii .a _- esignare_lessere dell essente. Il fatto di porre la domanda itspl.

*PU-'F-H-ic, sull essere dell'essente, fa si che la trattazione sulla a physis ››,la fisica ti nel senso antico, pervenga a disporsi già al di là dei cputrtzå,ossia dell'essente, e tocchi l'essere. La -ci fisica si determina dall'ori-gine Fessenza e la storia della metafisica. Anche nella dottrina del-

I tilessere come acta: para: (T_oinmaso d'Aquino), come concetto asso-uto (Hegel), come eterno ritorno della volontà di potenza sempre

egualš a se stessa (Nietzsche), la metafisica rimane, invariabilmente,una sica. _

_ La domanda circa l'essere come tale ò però di natura e di ori-gine diversa.

* Si può, beninteso, nell'ambito della metafisica, e seguitando apensare alla sua maniera, considerare la domanda sull'essere come taleniente piú che una meccanica ripetizione della domanda sull'essentecome tale. Allora la domanda sull'essere come tale finisce anch'essaper essere soltanto una domanda di carattere trascendentale, benchédi ordine piú elevato. Ma con tale diversa interpretazione della do-manda sull'essere viene sbarrata la via a un suo adeguato sviluppo.

__ Gsuesta diversa_ interpretazione può risultare favorita dal fattoC É ein___ and Zezt_ parla di un -ti orizzonte trascendentale ii-. Il-a _rascen entale a di cui là si p_arla non ò tuttavia quello della co- "'ãcienza _sc_igge__ttiva, ma_ si determina in base alla temporalità estatico-sistenzia e ell esserci. I-l fatto, nondimeno, che la diversa inter-

pretazione della domanda sull 'essere come tale tenda a identificarsicon la domanda sull'essente come tale, si spiega con il fatto che l'ori-gine essenziale della domanda sull'essere come tale, e con ciò la

_ _ _ _ _ _ _ stessa essenza della metafisica, permangono oscure. Questo fa si cheLa domanda che abbiamo qualificato come di primaria impor- 08111 düfflflflde riguardante in qualunque modo l'essere rimanga nel

tanza: -a Perché vi ò, in. generale, l'essente e non il nulla? ii- è per- V330- -tanto la domanda metafisica fondamentale. E la metafisica costituisce, Liv lflfrüduzione alla metafisiea ›› ghe vignfi qui tentata 5; rendetradizionalmente, il centro determinante e il nocciolo di ogni filo- cflntü dfillfl Situazione confusa che çigmggme 11 ..H pmblema d,-__]1=es_süfig Sere ›› (Seinrƒrage). _ *

portamento* e con la formazione storica dell'essere umano, ossia1'-ñìiec, che sotto Pinflusso della morale scadrà poi ad a etico ›› (dasEtbisebe). _

Il significato di qiúaiç si restringe per contrapposizione a ršxvnche, dal suo canto, non designa né l'arte né la tecnica, bensi uns a p e re , una sapiente disposizione a fare liberamente dei piani,a organizzare e a disporre di tali organizzazioni (cfr. il Fedro plato-nico). La -ršxvn è un generare, un edificare, in quanto pro-durre (Her-nor-bringen) sapiente. (Uillustrazione di quanto vi è, essenzialmente,di comune tra qiúaif; e zéxvn esigerebbe una trattazione particolare).Il concetto contrapposto a a fisico ›› è, d'altra parte, lo << storico ››(das Gescbiebtliebe), una sfera dell"essere che tuttavia i Greci com-prendono ugualmente sotto il significato della oüaiç assunta nel sensopiú originario e piú ampio. Tutto ciò non ha comunque da fare mi-nimamente con una interpretazione naturalistica della storia. L'es-sente come tale' nella sua totalità ò qiúeic, cioò ha come essenza carat-teristica lo schiudentesi-permanente imporsi. Qualcosa del generelo si avverte soprattutto nei confronti di quello che, in certo senso,s'impone con maggiore immediatezza e che viene piú tardi a signi-ficare la rpúaig nel senso piú ristretto: -tà: tpúasi. öv-ta, -tà cpuetzå, l"entenaturale. Si può anche partire, allorché si discute della tpúeiç in ge-nerale, vale a dire di quello che ò l'essente come tale, dai qnitrsi öv-ta,ma a patio, fin da principio, di non fermarci a questo o quel regnodella natura: minerale, vegetale, animale, ma di elevarci al _di sopradi -'tilt tpuotitiir., _ _

In greco ti al di là ii, -ti oltre ii, si dice tiettir.. l_.'intei'rogazione filo-sofica sulliessente come tale ò iit¬:i':'t 'tà qiuaizå; essa domanda al dilà dell'essente, ò metafisica. Non è il caso, per ora, di stare a farela storia particolareggiata dell'origine e del significato di questa espres-sione. '

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INTRCIDUZIONE ALLA METAFISICA

Il -a problema dell'essere ›› corrisponde, secondo Pinterpretazionecorrente, al porsi della domanda sulliessente come tale (metafisica).-Il -ci problema dell'essere ›› ha invece il senso, in base a Sein andZeit, di porre la domanda sulliessere come tale. Questo significatodell'espressione è anche quello conforme al suo oggetto e al sensoletterale: infatti il -a problema dell'essere :››, inteso come problemametafisico riguardante Pessente come tale, n o n si pone aflatto te-maticamente la domanda sull'essere. L'essere risulta dimenticato.

Non meno ambiguo, però, delliespressione a problema dell'es-sere i› è parlare delli'-a oblio dell'essere'i› (Seinsvergesienbeit). Si af-ferma a buon diritto che la metafisica si pone pure la domanda sul-liessere dell'essente; in base a ciò dovrebbe risultare _una sciocchezzapalese liattribuire alla metafisica un oblio dell'essere.

Ma se s'intende il problema dell'essere nel senso di problema ri-guardante l'essere come tale, allora, per chiunque si ponga dal no-stro punto di vista, diviene chiaro che l"essere c o m e t ale risultain realtà nascosto alla metafisica, resta obliato, e ciò in maniera cosíradicale che la dimenticanza dell'essere, col cadere essa stessa in oblio,viene a- costituire l`impulso, ignoto ma costante, che sollecita il do-mandare metafisico.

' _ Se ci serviamo, per trattare vagamente del a problema dell'es-sere z, dell'espressione << metafisica ››, allora il titolo di questo corsorisulta- ambiguo. Può infatti sembrare, in un primo momento, che laquestione rimanga nell'ambito dell'essente come tale, mentre - findalla prima proposizione - essa aspira ad uscire da questa sfera perproporre un altro campo problematico alla ricerca. Il titolo del corsoè quindi anche v o lu ta m e n t e ambiguo.

Il problema fondamentale di cui si occupa questo corso è diversodal problema che segna l"indirizzo costante della metafisica. Questocorso si pone, riallacciandosi a Sein and Zeit, la domanda circa laa p e r t u r a (Erreblossenßeit) dell' e s s e r e (cfr. Sein and Zeit,pp. 21 segg. e 37 segg.)_* Apertura vuol significare l'essere aperto di

_________'_';___l;le1la traduzione italiana di P. Chiodi, Milano, 1953, pp. 32 segg. e 4? segg.

LA DOMANDA METAFISICA * FONDAAIENTALE

ciò che _rimane precluso e occulto per via della dimenticanza del-Tessere. Con un tale domandare incomincia a farsi anche un po` diluce snll'e s s e nz a, anch'essa rimasta fin qui nascosta, della me-ta{isica.]

a Introduzione alla metafisica ii- ha quindi il significato di unaintroduzione a porre la domanda fondamentale. Ora, le domande,specie se si tratta di domande fondamentali. non si presentano inmodo cosi semplice come se si trattasse di pietre o d'acqua. Le do-mande non ci sono come ci sono scarpe e vestiti o libri. Le domandes o n o e sono soltanto come vengono realmente proposte. Questaintro-duzione a porre la domanda fondamentale non significa un cam-mino verso qualcosa che è o si trova in qualche posto, ma un intro-durre che ha anzitutto il compito di destare e di creare il domandarestesso. Questo condurre (Fri/vren) ò tin andare avanti domandando,un pre-domandare. È un modo di condursi, una condotta (Fiibrnngìche, per sua natura, non comporta alcuna compagnia. Quando cis'imbatte in qualcosa che fa pompa di sé, per esempio una scuola filo-sofica, vuol dire che il domandare è mal compreso. Scuole siifatte sipossono concepire solo nell'ambito di un lavoro scientifico intesocome mestiere, dove tutto ha il suo posto determinato nell'insieme.Anche questo tipo di lavoro, di cui si è smarrita oggi la capacità,fa_ parte, e necessariamente, della filosofia. Ma anche il miglior me-stiere non può sostituire la forza autentica del vedere, del doman-dare e del dire. - _

ti Perché vi è, in generale, l'essente e non il nulla? ›› Ecco ladomanda. L'enunciazione pura e semplice della proposizione interro-gativa, anche se detta in tono interrogativo, non è ancora un doman-dare. E ce ne accorgiamo da questo: se ripetiamo piú volte di se-guito la frase interrogativa, non è detto con ciò che liatteggiamentointerrogativo acquisti maggiore vitalità; al contrario, Penunciazioneripetuta può comportare un vero e proprio smussarsi del domandare.

_Ma se la proposizione interrogativa non costituisce la domandané il domandare, non può tuttavia neppure essere presa come unaSemplice forma linguistica di comunicazione, nel senso di mero enun-ciato -a circa ›› una domanda. Quando vi dico: ti Perché vi è, in ge-

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INTRODUZIONE ALLA METAFIS ICA

nerale, liessente e non il nulla? z- l"intento del mio domandare e delmio dire non è quello di comunicarvi che si produce in me il pro-cesso del domandare. Certo, la proposizione interrogativa può anchevenire intesa cosi, ma è proprio allora che il domandare sfugge. Nonsi giunge cosi a interrogarsi con gli altri né a interrogare se stessi.Non si desta nulla di simile a uniattitudine e, ancor meno, a un'in-tenzione interrogativa. Questa consiste, in effetti, in un v ole r-sa-pere. -a Volere :-› non significa semplicemente desiderare e aspirare.Chi desidera sapere apparentemente interroga, ma non oltrepassa lasemplice enunciazione della domanda e si ferma proprio là dove hainizio la domanda vera e propria. Interrogare significa voler-sapere.Chi vuole, chi pone tutto il suo essere in un volere, è risoluto.La risoluzione non differisce nulla, non si sottrae, ma agisce istan-taneamente e *di continuo. La ri-soluzione (Eni-rebfosrenbeit) nonè un semplice proporsi (Bere/Jlnir) di agire, ma l'inizio decisivo del-l'agire, precedente e compenetrante ogni agire. Volere è esser riso-luto. [L'essenza del volere ò ricondotta qui alla ri-soluzione. Maliessenza della ri-soluzione sta nell'essere-esposto (Eni-borgenbeƒt)dell'esserci (Dasein) umano per Pilluminazione clell'essere, e nienteaffatto in un accumulare energia in vista dell'agire. Cfr. Sein andZeit § 44 e § 60. Ora, la relazione all'essere ò quella di a lasciarfare ii- (Zasien). Che ogni volere debba fondarsi in un a lasciar fare aè cosache sorprende l'intel1etto. Cfr. la conferenza Snlfessenza dellaverità, 1930.]

Sapere significa poter stare nella verità. La verità ò la manifesta-zione (Ofienbarkeii) dell'essente. Il sapere è quindi poter stare nellamanifestazione dell'essente, sostenerne il peso. Possedete delle sem-plici cognizioni, sia pure largamente estese, non è sapere. Anchequando queste cognizioni, attraverso un certo ordine di studi e de-terminati esami, vengano convogliate verso ciò che è praticamentepiú importante, non costituiscono un sapere. Anche se tali cognizioni,riattagliate ai bisogni piú necessari, si presentano e vicine alla vita :›:›,il possederle non costituisce un sapere. Anche se qualcuno fornitodi tali conoscenze ha potuto servirsene per qualche suo trucco o ma-neggio, di fronte alla realtà autentica - la quale è sempre qualcosa di

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LA DOMANDA METAFISICA FONDAMENTALE

diverso da quello che un borghesuccio qualunque pensa sia vicino allavita e alla realtà - risulterà nondimeno sprovveduto e diverrà neces-sariamente un abborracciatore. Perché? Perché non possiede alcunsapere. Sapere infatti vuol dire: p o t e r a p p r e n d e r e.

Beninteso, il comune buon senso ritiene che chi possiede un sa-pere non abbia piú bisogno d'apprendere, in quanto ha finito d'in:i-parare. Niente affatto: chi sa ò solo colui che comprende di doverSempre di nuovo imparare, colui che, in virtii di questa compren-sione, si ò messo anzitutto in condizione di ' sempre p o t e r a p-p e n e r e . Questo ò ben piú dimcile che_ possedere delle co-gnizioni. _

Il poter-apprendere (Lernenkönnen) presuppone il poter-inter-rogare (Fragenkönnen). L'interrogare ò il voler-sapere di cui si èdetto: la risoluzione di poter stare nella manifestazione delliessente.Vertendo per noi l'interrogare sulla questione capitale, ò chiaro chesia il volere che il sapere si presentano qui nel loro m o d o piúproprio e originario. Tanto meno quindi sarà la pro-posizione interrogativa (Fragesatz), sia pure genuina-mente formulata e ascoltata, con autentica partecipazione problema-tica, a poter rendere in modo esauriente la domanda. La' domanda;che indubbiamente si annuncia nella frase interrogativa, ma in modotuttavia ancor chiuso e involuto, deve venire, in primo luogo, svi-luppata. L'atteggiamento interrogativo deve conseguentemente chia-rirsi, assicurarsi, fortificarsi con l'esercizio.

Il nostro primo compito consiste nello s v ol g e r e la doman-da: a Perché vi è, in generale, l'essente e non il nulla? ››. In qualedirezione? La domanda ò accessibile anzitutto nella frase interro-gativa stessa. Si ha qui una specie di prospettazione d'insieme delladomanda, la cui formulazione deve corrispondentemente essere ampiae sciolta. Esaminiamo da tale punto di vista la nostra proposizione:«_ Perché vi ò, in generale, l'essente e non il nulla? -››. La frase con-tiene un_a cesura: -a Perche vi è, in generale, Pessente? a. La domandaè con ciò realmente posta. La posizione della domanda comporta:_1. Pindicazione esatta di ciò che è sottoposto alla domanda, che èin t e r r o g a to (!:›eƒragt); 2. liindicazione di ciò su cui verte la

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domanda, che è domandato (geƒragt). Quanto a ciò che ò sottopostoalla domanda esso ò indicato in modo inequivocabile: l'essente.Quanto a ciò che ò richiesto nella domanda, al domandato, è il per-ché, vale a dire la ragione (der Grand). Ciò che segue, nella propo-sizione interrogativa, ossia: -a e non il nulla? ii non ò che un'appen-dice, la quale naturalmente consegue in vista di un parlare piú scioltoe a titolo introduttivo; si tratta delliaggiunta di una frase la qualenon dice nulla di piú su ciò che viene sottoposto all'interrogazione(Beƒragte) e su ciò che è domandato (Geƒragte)-, un sempliceornamento. La domanda, senza _l'aggiunta della frase risultante daun parlare piú ricco e meno stringato, è ben piú chiara e precisa:a Perché vi è, in generale, Pessente? ›:›. L'aggiunta: a e non il nulla? tirisulta superflua non solo agli effetti di una formulazione piú serratadella domanda, ma soprattutto perché essa resta, in definitiva, unaespressione che non significa niente. Infatti, che cosa c'è cla chie-dere riguardo al nulla? Il nulla è semplicemente nulla. Il domandarenon ha qui piú nulla da cercare. Con il menzionare il nulla non siprogredisce minimamente nella conoscenza dell'essente.

Chi -parla del nulla non sa assolutamente quello che fa. Chi parladel nulla ne fa con ciò stesso un qualcosa. Cosi parlando, parla con-tro ciò che pensa. Si contraddice da se stesso. Ora, un dire contrad-dittorio contrasta alla regola fondamentale del dire (ìtóvac), cioè allalogica.-Il parlare del nulla è illogico. Chi parla e pensa illogicamenteò un uomo che non sa di scienza. Ora, il fatto che proprio all'internodella filosofia, dove la logica è di casa, si parli del nulla, fa si chetanto piú duramente siincorra nel rimprovero di mancare alla regolafondamentale di ogni pensiero. Questo parlare del nulla si riduce afrasi prive di senso. Chi, inoltre, prende sul serio il nulla si ponecon ciò stesso dalla parte della nullità (Nicbrige). Promuove espres-samenté lo spirito di negazione e si pone al servizio della distru-zione. Parlare del nulla* non ripugna soltanto, completamente, alpensiero, ma significa minare ogni cultura (Kultur) e ogni fede. Ciòche disprezza cosí il pensiero, disconoscendolo nella sua legge fon-damentale, e in pari tempo distrugge la volontà costruttiva e la fede,è puro nichilismo.

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In base a tali considerazioni faremo bene a cancellare dalla no-stra proposizione interrogativa Pespressione superflua: <4 e non ilnulla? ›› e a- limitare la frase alla semplice forma concisa: -a Perchévi ò, in generale, l"essente? z.

A questo non vi sarebbe nulla da obiettare se... se nel formu-lare la nostra domanda, nel porre tale problema, fossimo cosí libericome finora è potuto sembrare. In realtà, in quanto ci poniamo taleproblema siamo collocati in una determinata tradizione. La filosofiasi ò sempre posta, infatti, il problema del fondamento dell'essente.È da tale problema che ha preso il suo avvio e con tale problemafinirà, sempreché sia destinata a una grande fine e non debba termi-nare in un decadimento impotente. Fin da principio, con la do-tnanda filosofica sull'essente va di pai'i passo la domanda sul non-es-sente, sul nulla. E non in maniera estrinseca, come un fenomeno ac-cessorio: al contrario, la domanda sul nulla prende forma a secondadell"ampiezza, della profondità e della originarietà con cui vieneposta la domanda sull'essente, e viceversa. Il modo di porre la do-manda sul nulla può valere come misura e indice del modo di porrela domanda sull'essente.

In considerazione di ciò, ci sembra che la formula interrogativaprospettata all'inizio: a Perché vi è, in generale, l'essente e non ilnulla? ›› esprima in modo molto piú adeguato della formula abbre-viata la domanda sull'essente. Il fatto di introdurre qui il discorsosul nulla non indica mancanza di rigore o ridondanza del dire, nonò nemmeno una nostra invenzionefma ò un modo di attenersi stret-tamente, per quanto riguarda il senso della domanda fondamentale,alla tradizione originaria.

Questo parlare del nulla, tuttavia, ripugna in generale al pen-siero e produce effetti distruttivi. Ma, supposto che le preoccupa-zioni per la retta osservanza delle regole del pensare e Pangoscia difronte al nichilismo si fondino entrambe su di un malinteso, comepotrebbero valere a distoglierci da un discorso sul nulla? Ed ò cosí,in_effetti. Sicuramente, il malinteso che entra qui in gioco non ò perniente fortuito. Esso si fonda su di un'incomprensione, da lungotempo imperante, della domanda sull'essente. Ma questa incompren-

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sione proviene da un oblio dell'essere che ò venuto sem-pre piú irrigidendosi. '

Non è infatti ancora per nulla pacifico che la logica e le sueregoleffondamentali siano in grado di ofirii-ci, in generale, un crite-rio per il problema dell"essente come tale. Potrebbe essere, al con-trario, che tutta la logica da noi conosciuta, e considerata come pio-vuta dal cielo, si - fondi già su una determinata e particolare rispo-s_ta alla domanda sull'essente, tale che ogni pensiero che ubbidiscesolamente alle regole della logica tradizionale si trovi En da prin-cipio nell'impossibilità anche solo di comprendere, in generale, ladomanda circa Pessente, e tanto piú nelfimpossibilità di svilupparlarealmente e di pervenire a una risposta. Non c'è in realtà che unaapparenza di rigore scientifico nell'appellarsi al principio di non con-traddizione e in genere alla logica per provare che ogni pensiero ediscorso sul nulla è contraddittorio e perciò privo di_ senso. a Lalogica ›› è considerata, da questo punto di vista, come un tribunaleeterno, di cui, naturalmente, nessun uomo ragionevole può metterein dubbio la giurisdizione nella sua competenza di prima e ultimaistanza. Chi parla contro la logica è conseguentemente, in modo ta-cito o espresso, sospettato di arbitrio. Si fa valere questo semplicesospetto come una prova e un'obiezione, ritenendosi esonerati da unpiú ampio ed autentico esame della questione.

È purtuttavia certo che non si può parlare né discutere del nullacome se si trattasse di una cosa: della pioggia che scroscia di fuori, diuna montagna o, in genere, di un qualsiasi oggetto. Il nulla permanefondamentalmente inaccessibile a ogni scienza. Chi vuole davveroparlare del nulla deve necessariamente rinunciare all'atteggiatnentoscientifico. Ma ciò costituisce una grossa disgrazia solo fintantochésussiste l'opinione che il pensiero scientifico sia il solo vero e auten-tico pensiero rigoroso e che esso possa e debba venir assunto comecriterio unico anche del pensiero filosofico. È in realtà vero il con-trario. Ogni pensiero scientifico è solo una forma derivata, e conciò stesso irrigidita, del pensiero filosofico. La filosofia non nasce dallascienza né grazie alla scienza. La filosofia non si lascia mai coordi-nare con le scienze. Essa è loro piuttosto sovraordinata, e ciò non

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La noiviaivna METAFISICA FoNDaiviENTaLE

solo da un punto di vista logico o relativamente a un piano sistema-tico delle scienze. La filosofia si trova in tutt'altra zona e in tutt'al-tro grado dell'esistenza spirituale. Solo la poesia appartiene al mede-simo ordine della filosofia e del suo modo di pensare. Ma il poetaree il pensare non sono a loro volta identici. Parlare del nulla seguitaa essere, comunque, per la scienza, un orrore e un'assurdità. Puòfarlo, al contrario, oltre che il filosofo, il poeta: e questo non per viadi un minor rigore che, secondo l'opinione comune, è dato riscon-trare nella poesia, ma perché nella poesia (s'intende solo nella piúautentica e piú grande) sussiste, nei confronti di tutto ciò che ò pu-ramente scientifico, un'essenziale superiorità dello spirito. In virtiidi tale superiorità il poeta parla sempre come se per la prima voltaegli espriniesse e interpellasse l'essente. Nel poetare del poeta comenel pensare del pensatore vengono ad aprirsi cosi grandi spazi cheogni singola cosa: un albero, una montagna, una casa, un grido d'uc-cello, vi perde completamente il proprio carattere insignificante eabituale. _

Il parlare autenticamente del nulla rappresenta sempre qualcosadi insolito. Infatti non si lascia volgarizzare e dilegua infallibilmentesolo che lo si tratti con l"acido a buon mercato di un acume pura-mente logico. Il discorso sul nulla non può nemmeno, di conse-guenza, iniziarsi immediatamente, come per esempio la descrizionedi un quadro. Per ciò _che concerne la possibilità di un tale discorsosul nulla si possono dare soltanto delle indicazioni. Citiamo un passotratto dall'ultima opera del poeta Knut Hamsun, Dopo nn anno eun giorno (trad. ted. 1934,- p. 464). L'opera fa parte del ciclo com-prendente anche Il Vagabondo e Il viaggio di Augusto intorno almondo. Dopo nn anno e an giorno ci rappresenta ultimi anni e lafine di questo Augusto in cui s'incarna Ponnipotenza sradicata del-l'uomo moderno, nella forma di un'esistenza che non può perdereil suo rapporto all'insolito, in quanto rimane, pur nella sua dispe-rata impotenza, autentica e sovrana. Questo Augusto trascorre i suoiultimi anni in solitudine, in alta montagna. Il poeta dice: e Egli staseduto fra le sue orecchie e sente il vero vuoto. Una cosa veramentepazzesca, fantastica. Sul mare (Augusto ha viaggiato sovente sul mare,

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in passato) si muoveva (tuttavia) qualcosa, ciera come_ un brusio lag-giú, qualcosa di udibile, come un coro delle acque. Qui il nulla siincontra col nulla, e non c'ò nulla, nemmeno un pertugio. Non rimaneche scuotere, rassegnati, il capo ii.

La questione del nulla si pone tuttavia, alla fine, in modo tuttoparticolare. Per questo, intendiamo riprendere la nostra interroga-zione e portarla fino in fondo. Intendiamo esaminare se questo: -a enon il nulla? ii- rappresenti solo un modo di dire, privo di signifi-cato, un'aggiunta arbitraria, oppure se già nella formulazione prov-visoria della domanda non rivesta un significato essenziale.

A tale scopo ò meglio, per il momento, attenerci- alla formulazioneabbreviata della domanda, quella che apparentemente è piú sem-plice e si presume piú rigorosa. ti Perché vi ò, in generale, l'essente? ii-Porre cosi la domanda significa partire dall'essente. Questo è. È. dato,ò di fronte a noi, e come tale rintracciabile in qualsiasi momento,indagabile da noi in certi campi. Ora questo essente, che risulta intal maniera dato, viene immediatamente interpellato per sapere qualò il suo fondamento (Grand). Il domandare procede immediatamenteverso un fondamento. Un tal modo di procedere non ò che l'esten-sione di un modo di procedere abituale. Supponiamo, ad esempio,che in un punto della vigna compaia la filossera: qualcosa d'inconte-stabilmente sussistente. Ci si domanda: com'è avvenuto? Dov'è equale ne è il fondamento? Anche l'essente nella sua totalità è qual-cosa di sussistente. Ci si chiede: dov'è e quale ne è il fondamento?Questo tipo di domanda ò quello che risulta dalla formula sempli-ficata: -a Perché l'essente è? ››. Dov'è e in che consiste il suo fon-damento? È sottinteso che si va in cerca di un altro essente di gradopiú elevato. In questo niodo però la domanda non si propone affattonei confronti dell'essente come tale nella sua totalità.

Ma se ci poniamo ora la domanda nella forma dell'interrogativoiniziale: -ct Perché vi è, in generale, Fessente e non il nulla? a, alloral'aggiunta, impedendoci di porre la domanda immediatamente, impe-disce che ci si attenga al puro essente come a un dato indubitahile,impedisce che, cosi facendo, ci si perda fin da principio e semprepiú nella ricerca di un fondamento anch'esso essente. L"essente viene

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LA DOMANDA METAFISICA FONDAMENTALE

invece mantenuto, in guisa interrogativa, nella possibilità del non-essere. Il a perché si acquista allora tutt'altra forza ed emcacia nel-l'ambito dell'interrogazione. Perché l"essente ò sottratto alla possi-bilità del non-essere? Perché non vi ricade senz'altro e continua-mente? L'essente non ò piú ora un semplice sussistente (Vorbandene),esso incomincia a vacillare; e questo a prescindere completamentedal fatto che lo si conosca o meno con piena certezza, che lo si com-prenda o meno in tutta la sua ampiezza. L'essente come tale ormaivacilla in quanto lo poniamo in questione. Uampiezza di questa oscil-lazione arriva fino alla piú estrema e opposta possibilità delliessente,fino al non-essere e al nulla. Allo stesso modo si trasforma ora an-che la ricerca sul << perche ››. Essa non mira semplicemente alla con-quista' di un fondamento esplicativo, a sua volta sussistente, del sus-sistente (Vorbandene); quello di cui ora va in cerca ò un fonda-mento in grado di fondare il dominio dell'essente, come vittoria sulnulla. Il fondamento ò richiesto ora come fondamento della deci-sione a favore dell'essente contro il nulla, e, piú esattamente, comefondamento di quella oscillazione dell'essente la quale, ponendo l"es-sente tra liessere e il non essere, ci regge e ci libera; giacché di quideriva che noi non possiamo appartenere a nessuna cosa, neppurea noi stessi, quantunque l`esserci (Dasein) sia pur a sempre mio :››(je rneines).

_ [Uespressione ti sempre mio ii significa che l'esserci, il Dasein,mi ò addossato (zageworƒen) perché il mio stesso io (rnein Selbit) s-ial'esserci. L'esserci designa dal suo canto la << cura ›› (Sorge) dell'es-sere dell'essente come tale- - non solo dell'essere dell'uomo - estati-camente aperto in essa. Il dire che l'esserci ò a sempre mio ii- non si-gnifica ne che sia *posto cla me, ne' che sussista isolatamente in un iosingolo. L'esserci infatti ò s e s t e s s o per il suo essenziale r a p-p o r t o (Bezng) all'essere - in generale. Tale ò il significato dellafrase piii volte ripetuta in Sein anti Zeit, secondo la quale -a all'es-serci appartiene una comprensione dell'essere ii-.]

Appare cosi già piú chiaro che quell'-a ...'e non il nulla?_ a nonrappresenta un'aggiunta superflua alla domanda vera e propria; alcontrario, questa espressione è parte integrante, essenziale, della pro-

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posizione interrogativa assunta nel suo insieme, la quale esprime,come tale, tutt'altra questione da quella posta dalla domanda: -ti per-ché l'essente ò? a. Con la nostra domanda ci poniamo nell'essent-ei.ri maniera tale che esso perde la sua evidenza banale c o m e e s-s e n t e . In quanto Pessente, posto nella piú ampia e grave preca-rietà dal dilemma: << o l'essente o il nulla ›:›, si mette a vacillare, neconsegue che lo stesso domandare viene a perdere ogni stabilità. Ilnostro stesso essere interrogante rimane in sospeso mantenendosiin certo qual modo da se stesso in questa sospensione.

Pure, attraverso il nostro domandare, l"essente non risulta mu-tato. Esso rimane quello che è e com*è. Il nostro domandare è quindisolamente un processo psicologico che ha luogo in noi, processo ilquale, comunque si possa svolgere, non può aver presa sull'essentestesso. Certo, l'essente rimane tale quale ci si manifesta. Nondimenol'essente non può sbarazzarsi della problematicità (dat Frag-wiirdige)ossia del fatto che esso, cosi com'è, potrebbe anche n o n essere.Questa possibilità non è da noi sperimentata come qualcosa di so-pravveniente nella nostra mente soltanto, ma è lo stesso essente cheattesta questa possibilità manifestandosi in essa come essente. Il no-stro domandare non fa che sbarazzare il terreno acciocché l'essentepossa erompere in tale problematicità. -

Quanto a sapere come avvenga questo domandare, quello che nesappiamo è troppo poco e abbastanza rudimentale. Pari-ebbe, a primavista, che in esso appartenessimo del tutto a noi stessi. È invece pro-prio q u e s t o domandare che ci sospinge come in uno spazioaperto, a patto di -trasformarsi esso stesso (il che in ogni 'domandareautentico avviene), istituendo un nuovo spazio che tutto include eattraversa. _ ~ "`

Ciò che importa è solo di non lasciarsi sedurre da teorie avven-tate e di fare esperienza delle cose com'esse sono, nel mondo che ciè piú vicino. Questo pezzo di gesso è una cosa estesa, relativamentesolida, di forma determinata, d'un grigio tendente al bianco e, inol-tre, una cosa per scrivere. Ora, come a questa cosa appartiene l'es-'sere qui, le appartiene anche la possibilità di non essere qui e di nonessere di tale grandezza. La possibilità di venir usata per scrivere

La norviaivna ranrarisica rorínaivinivratz

sulla lavagna non ò solo un'aggiunta che noi facciamo- alla cosa colnostro pensiero'. La cosa stessa, in quanto ò questo essente, si trovain questa possibilità, altrimenti non sarebbe del gesso per scrivere.Allo stesso modo ogni essente possiede, a proprio modo, un'ana-loga possibilità. Il gesso ha questa possibilità. Esso possiede in sestesso una determinata qualificazione per un determinato uso. Cer-tamente, nell"individuare, nel gesso, questa possibilità, siamo avvezzie portati a dire che una tal cosa non si vede e non si tocca. Ma ò,questo, un pregiudizio. Il dissiparlo compete, anche, allo svilup-parsi della nostra domanda. Per il momento, essa ha però soltantoil compito di svelarci l'essente nella sua oscillazione fra essere e non-essere. In quanto resiste alla possibilità estrema del non essere,l'essente si mantiene nell'essere, senza con ciò aver tuttavia oltre-passata né superata la possibilità del non essere.

Stiamo però parlando avventatamente del non essere e dell'es-sere dell'essente, senza dire in che rapporto essi stiano con l'essentemedesimo. L'essente e il suo essere sono la stessa cosa? In cosaconsiste la loro differenza? Cos'ò,_ per esempio, in questo pezzo digesso Pessente? Già la domanda ò di per sé ambigua, in quanto laparola -a essente ii- può assumere due significati, come, in greco, 'tà òv.L'essente significa anzitutto ci ò c h e (was), nei singoli casi,"òessente: nel caso specifico, questa massa di un grigio tendentebianco, di una forma determinata, leggera, friabile. L'essente signi-fica, in secondo luogo, ciò che, per cosi dire, a fa ›› si che la cosain questione sia un essente anziché non essente; ciò che nell'essente,se è un essente, costituisce il suo essere. In conformità di questadoppia significazione del termine << essente ››, il greco 'tà Eiv 'rivestespesso il secondo significato, indica cioè non l'essente (das Seiende)stesso, ci ò c h e (was) è essente, ma il ti fatto di essere :›› (dasSeiend), l'essentità (iiie Seientlbeit), l'essere-essente (das Seiendsein),l'essere. Per contro, a l'essente ››, nel primo senso, designa le stessecose essenti, prese singolarmente o nel loro insieme, in altri termini:tutto ciò che è in rapporto ad esse e non alla loro essentità (Serend-beit), l'eiI›e'itt. _ '

Il primo significato di -tà ev corrisponde a 'rà lives. (entra), il se-

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condo a -tà slvai. (erre). Quello che, per quanto concerne il pezzodi gesso, sia l'essente liabbiamo descritto. Ci è stato anche relativa-mente facile trovarlo. Possiamo anche scorgere facilmente che la cosain questione può anche non essere e che, in fondo, non vi è al-cuna necessità che questo gesso sia qui, o che sia in generale. Checosa ò allora - a differenza di ciò che può mantenersi nell'essere ticadere nel nulla, a difierenza dell'essente - l'essere? È la medesimacosa che l'essente? Riproponiamo la domanda. In precedenza, delresto, nell'enumerare le caratteristiche del pezzo di gesso', non viabbiamo compreso l'essere, ma abbiamo menzionato solo la sostanzamateriale, il grigio tendente al bianco, la leggerezza, l'esser formatoin un certo modo, la friabilità. Dove dunque è andato a cacciarsi l'es-sere? Qualcosa del genere deve pure appartenere al gesso, in quantoquesto stesso gesso -fa ò ii-. "

L'essente ci viene incontro da ogni parte, ci circonda, ci trascinae ci costringe, c'incanta e ci riempie, ci esalta e ci delude, ma dov"è,in tutto questo, e in che consiste l'essere dell'essente? Si potrebbereplicare che la distinzione fra l"essente e il suo essere, anche se'può rivestire talora una certa importanza terminologica e anche con-cettuale, ò nondimeno una difierenza che si stabilisce solo nel pen-siero, cioò a dire solo rappresentativamente e intenzionalmente, senzache a' questa distinzione debba effettivamente corrispondere, nellies-sente, qualcosa di essente. Del resto anche questa differenza solopensata appare dubbia, in quanto permane oscuro ci ò c h e sidebba pensare sotto il nome di essere. Potrebbe quindi bastare diconoscere l'essente e inipossessarcenc stabilmente. Cercare ulterior-mente di distinguere l'essere equivarrebbe a un sottilizzare inconclu--dente. " -

Ci siamo già soffermati sulla difiusa questione dell'utilità che_ cisi può attendere da una tale distinzione. Per ora, occupiamoci solodel nostro assunto. Ciò che chiediamo è: << Perche' vi è, in gene-rale, l'essente e non il nulla? :››. Sembra, apparentemente, che in que-sta domanda ci si attenga ancora e soltanto all'essente sfuggendo alvuoto arrovellarsi sull'essere. Ma che cosa domandiamo realmente?Perché l'essente come tale sia. Chiediamo la ragione del fatto che

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LA DOMANDA METAFISICA FONDAMENTALE

l'essente È, che ò quella cosa determinata, e perché non ci sia piut-tosto il nulla. La nostra domanda mira, in ultima analisi, all'essere.Ma in che maniera? La domanda che ci poniamo verte sull"esseredell"essente. Noi interroghiamo 1'essente a proposito del suo essere.

E tuttavia, già p ri m a , ne1l'atto delfinterregare medesimeche noi facciamo, la domanda verte già in realtà sull'essere, sul suofondamento; e ciò anche se questa domanda permane implicita e,quanto al sapere se l'essere non sia già di per se stesso fondamento,e fondamento sumciente, irresoluta. Il fatto che noi poniamo que-sta domanda sull'essere come domanda di primo piano può forseaccadere senza che- noi sappiamo qualcosa dell'essere e del suo com-portamento nei confronti della sua difierenza dall'essente_? Comesarebbe mai possibile, non dico trovare, ma anche soltanto cercareil fondamento dell'essere dell'essente senza aver prima sumciente-mente afferrato, compreso, concepito l'essere stesso? Sarebbe un pro-getto altrettanto disperato come voler rintracciare la causa e spie-gare la ragione di un incendio senza ciirarci del suo andamento, delluogo in cui si ò verificato e delle constatazioni necessarie.

Avviene cosí che la domanda: a Perché vi è, in generale, l'es-sente e non il nulla? `›› ci costringe a porre la domanda preliminare(Vor-ƒrage): -ti Cbe cora ne è i:lell*e.trere? ›› (Wie .rtebt es ani dasSein?).

Quanto ci stiamo ora domandando è qualcosa che riusciamo apena a intravedere, che rischia di rimanere per noi un semplice flatnssocie, e che ci espone al pericolo, nell'ulteriore nostro domandare,di cader vittime di un puro feticismo della parola. È tanto piú ne-cessario, per questo, venir subito in chiaro di come per noi si ponga,fin da principio, il problema dell'essere e della nostra compren-sione dell'essere. Importa, prima di tutto, attenersi costantementeall'esperienza del fatto che 1" e s s e r e d e ll ' essente non lo pos-siamo cogliere direttamente, in senso proprio, né presso l'essente,né nell'essente, né da qualsiasi altra parte. _ '

Alcuni esempi aiuteranno. Laggiii, dall'altra parte della strada,si eleva Pedificio dell'istituto tecnico. Si tratta di qualche cosa diessente. Noi possiamo, dalfesterno, esaminare l'edi1icio da ogni parte

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e percorrerlo internamente dalla cantina agli abbaini, notando tuttoquello che troviamo: corridoi, scale, aule con il loro arredamento.Ovunque troviamo dell'essente e anche in un certo determinato or-dine. Ora, dov'è Tessere di questo istituto tecnico? Eppure esso è.L'edificio è. Se c'è qualcosa che appartiene a questo essente È pro-prio il suo essere, e nondimeno questo essere non lo troviamo nel-l'essente. '

L'essere non si riduce nemmeno al fatto che noi osserviamo l'es-sente. L'edificio è là anche se non lo osserviamo. È solo per il fattoche è di già, che lo possiamo trovare. Inoltre, liessere di questo edi-ficio non sembra essere completamente il medesimo per tutti. Pernoi che lo guardiamo o che vi passiamo davanti è altra cosa che pergli scolari che vi siedono dentro: e questo non perché essi lo vedonosoltanto dall'interno, ma perché è propriamente per loro che questoedificio è quello che è e com'È. L'essere di simili edìfici si può, percosí dire, fiutare e spesso, ancora dopo molti anni, se ne conservaPodere nelle narici. Questo odore ci dà liessere di questo essente inmaniera assai piú immediata e veritiera di qualunque visita o de-scrizione: D"altra parte, però, la consistenza dell'edificio non di-pende da questo odore fluttuante per l'aria.

Che cosa ne è delliessere? Lo si può vedere? Vediamo qui unessente: il gesso. Ma scorgiamo anche liessere come vediamo il co-lore, il chiaro e lo scuro? L'essere per caso lfudiamo, lo sentiamo,lo gustiamo, lo tocchiamo? Udiamo la motocicletta, il suo fracassoper la strada. Sentiamo il volo planato dell'urogallo nella hoscaglia.In realtà, quello che noi udiamo È solo il rumore del motore scop-piettante e quello che produce l'urogallo. È oltretutto dificile, e pernoi insolito, descrivere il rumore puro in quanto esso n o n Èquello che comunemente udiamo. Noi udiamo [in rapporto al ru-more puro] sempre qualcosa di piú . << Udiamo ›› l"uccello chevola; quando, a rigore, dovremmo dire: un urogallo non è nulladi udibile, non è una specie di suono che si possa ordinare in una.serie tonale. E cosí dicasi ' per gli altri sensi. Palpiamo del velluto,della seta: li riconosciamo senz'altro come essenti di questo o quel

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LA DOMANDÂ IHIETAFISICA FUNDÀMENTALE

tipo, l'uno diverso dall'altro. Ma dove si trova e in che consisteTessere? -

Guardiamoci ripetutamente attorno, ispezioniamo la cerchia, piúo meno ampia, del nostro vivere quotidiano, di ogni istante, co-sciente o no; cerchia che continuamente sposta 1 propri confim eche può d"un tratto spalancarsi.

Un grosso temporale che sopraggiunga in montagna e è ››, op«pure, il che È lo stesso, a fu ››, accadde nella nottata: in che con-siste il suo essere?

Una lontana catena di montagne sotto un grande cielo... Anchequesto a È n. In che consiste Tessere? Quando e a chi esso si rivela?Al viandante che si gode il paesaggio, o al contadino che in questostesso paesaggio e sulla base di esso accudisce al suo quotidiano la-voro, o al meteorologo che deve compilare un bollettino meteorolo-gico? Chi di loro coglie l'essere? Tutti e-nessuno. Oppure, si trattasolo di determinati aspetti della catena di montagne che i suddettiindividui colgono, di volta in volta, sotto il grande cielo, e nondella catena di montagne com'è in se stessa, di ciò in cui consisteil suo vero essere? Quest'ultimo, chi sarà in grado di afierrarlo?Oppure non È che un controsenso - contro, precisamente, il sensodell'essere - cercare, in genere, d'indagare ciÈ che È in sé, dietroquesti aspetti? L'essere si trova forse in questi aspetti stessi?

Il portale di una chiesa romanica È essente. Come e a chi simanifesta il 'suo iessere? Allo storico dell'arte che lo visita e foto-grafa durante un'escursione, o all'abate che, assieme ai suoi monaci,fa il suo ingresso dal portale nel dí 'di festa, oppure ai fanciulli chegiocano alla sua ombra in un giorno di sole? Che cosa ne è del-l'essere di questo essente?

Anche uno stato è. In che consiste il suo essere? Nel fatto chela polizia arresta un sospetto, oppure nel fatto che alla cancelleriastrepitano tante macchine da scrivere che ricevono quanto dettano isegretari e i consiglieri di stato? Oppure lo stato a È s› nel collo-quio che il capo delle stato intrattiene col ministro degli esteriinglese? Lo stato è. Ma dove si trova Tessere? E, in generale, sitrova in qualche posto? ' _

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INTRonUzIoNE aLLa METAFISICA

Ecco qua un quadro di Van Gogh: nient'altro che un paio digrossi scarponi da contadino. L'immagine non rappresenta propria-mente niente. Eppure vi È qui qualcosa in cui ci vien fatto subito,spontaneamente, di ritrovarci, proprio come se noi stessi in unatarda sera diautunno, quando si consumano gli ultimi fuochi desti-nati ad arrostire le patate sotto le braci, tornassimo a casa stanchicon la zappa sulle spalle. Cosa c'È qui di essente? La tela? Le pen-nellate? Le macchie di colore?

Che cos'È, in tutto quello che abbiamo ora descritto, .l'essere del-l`essente? Il nostro aggirarci per il mondo, il nostro stare al mondocon le nostre stolte pretese e malizie?

_ Tutto ciò che abbiamo nominato è, ma quando si tratta di af-ferrare l'essere È come stringere il vuoto. Liessere di cui ci occu-piamo È pressoché simile al nulla, nondimeno sentiremmo in qual-siasi momento di doverci difendere e protestare contro la pretesadi farci ammettere che l'intero essente non è. _ ,

L'essere permane tuttavia introvabile, quasi come il nulla o, indefinitiva, esattamente allo stesso modo. La parola a essere n fini-sce per diventare cosí nientialtro che una parola vuota. Non designanulla di effettivo, di afierrabile, di reale. Il suo significato È fumo,esalazione irreale. Nietzsche finisce cosi per avere perfettamente ra-gione quando chiama i -:< concetti piú alti s›, come l'essere, a liultimaesalazione di una realtà che si dissolve ›› (Götzendšimmerung, inWerke, VIII, 78),- Chi mai vorrebbe inseguire una tale esalazioneil cui nome non È che la designazione di un grande errore? -ct Inverità, niente ha avuto finora una piú ingenua forza di persuasionedell'errore delliessere. :›› (VIII, 80.)

-ct Essere s-: fumo, dunque, esalazione ed errore? Quanto Nietz-sche dice qui dell'essere non È un'osservazione passeggera buttatalí nell'entusiasrno del lavoro preparatorio della sua opera piú auten-tica, mai compiuta. Corrisponde invece alla sua concezione- fonda-mentale dell'essere fin dagli albori del suo lavoro filosofico. Essaispira e determina dalle radici la sua filosofia. Questa filosofia sidifende ancor oggi assai bene contro le gofie e sciocche sollecita-zioni di una turba di scribi che si fa intorno a lui vieppiú numerosa.

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La nommvns. METAFISICA Foz~maMENTaLE

La sua opera non sembra infatti ancora avere lasciato dietro di séi peggiori fraintendimenti. Nel parlare qui di Nietzsche non inten-diamo aver nulla che fare con tutto ciò, e neppure proporcene unacieca glorificazione. Il nostro compito È, .a questo proposito, benpiú risolutivo e in pari tempo piú modesto. Nel ricollegarci a lui inmodo efiettivo e coerente,_ intendiamo in primo luogo portare a pienosviluppo quanto egli ha operato. L'essere: fumo, esalazione ed errore!Se cosí fosse non resterebbe, come unica conseguenza, che rinun-ciare alla domanda: e Perché vi È, in generale, Pessente come talenella sua totalità, e non il nulla? ››. A che scopo infatti proporcila domanda se quello di cui si tratta È soltanto fumo ed errore?

Nietzsche dice il vero? Oppure È egli stesso solo l'ultima vittimadi un ltmgo errore e di una *lunga dimenticanza, ma altresì, inq u a n t o vittima, la testimonianza non ancora riconosciuta di unanuova esigenza?

È dall'essere stesso che dipende questo fraintendimento, ed Èquesto vuoto persistente imputabile alla parola? Oppure dipende danoi che in tutto questo gran darci da fare per andare a caccia del-l'essente siamo caduti fuori delliessere? O forse non dipende prima-riamente da noi, uomini d'oggi, e neanche dai nostri prossimi e re-moti predecessori, ma da qualcosa che da]l'origine trascorre in tuttaquanta la storia dell"Occidente, da un evento che tutti gli occhi deglistorici non riuscii-ebbero a scorgere e che- purtuttavia avviene oggicome per Paddìetro e avverrà in futuro? E se fosse davvero possi-bile che l'uomo, che i popoli, nei loro piú grandi affari ed imprese,intrattengano una relazione con l'essente, e ciononostante siano ca-duti da gran tempo fuori dell'essere, senza saperlo; e che proprioquesta sia la ragione piú intima e imponente della loro decadenza?(Cfr. Scín and Zeit 5 38). ~

Si tratta di domande che non si pongono qui incidentahnentee neppure per influenzare i sentimenti o la concezione del mondo;sono domande alle quali ci induce quella domanda preliminare chescaturisce necessariamente dalla principale, e che suona: <1 Che cosane È dell'essere? ››. Una domanda assai semplice e anche, certamente,assai inutile; e nondimeno una d o m a n d a , anzi la domanda,

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INTRODUZIONE .ALLA METAFIS ICA

quella che chiede: e L'essere È una semplice parola e il suo sign-ficato evanescente, oppure esso costituisce il destino spirituale del-l"Occidente? n. '

' Questa Europa, in preda a un inguaribile accecamento, sempresul punto di pugnalarsi da se stessa, si trova oggi nella morsa dellaRussia da un lato e dell"America dall'altro. Russia e America rap-presentano entrambe,-da un punto di vista metafisico, la stessa cosa:la medesima desolante frenesia della tecnica scatenata e dell'organiz-zazione senza radici dell'uomo massificato. In un'epoca in cui an-che liultimo angolo del globo terrestre È stato conquistato dalla tec-nica ed È diventato economicamente sfruttabile, in cui qualunqueevento in qualsiasi luogo e momento È divenuto rapidamente acces-sibile, in cui si può << vivere ›:› nel medesimo tempo un attentato inFrancia contro un monarca e un concerto sinfonico a Tokio, in cuiil tempo non È piú che velocità, istantaneità e simultaneità mentreil tempo come storicità autentica (Geschichte) È del tutto scomparsodalla realtà di qualsiasi popolo; in un'epoca in cui un pugile È con-siderato un eroe nazionale, in cui i milioni di uomini delle adunatedi massa costituiscono un trionfo; allora, proprio allora, l'interro-gativo: a che scopo? dove? e poi? continuamente ci si ripresentacome uno spettro, al di sopra di tutta questa stregoneria.

La decadenza spirituale della terra È cosi avanzata che i popolirischiano di perdere Pestrema forza dello spirito, quella che permet-terebbe almeno di scorgere e di valutare come tale questa decadenza(concepita in rapporto al destino dell'-s essere n). Questa sempliceconstatazione noniha nulla che vedere con il pessimismo nei con-fronti della civiltà, come del resto neppure con Pottimismo; poiché'l'abbuiarsi del mondo, la" fuga degli dèi, la distruzione della terra, lariduzione dell'uomo a massa, il sospetto gravido d'odio contro tuttociÈ che È creativo e libero, ha in tutta la terra già raggiunto una taleproporzione che delle categorie cosí puerili come pessimismo e ot-timismo sono divenute ormai da gran tempo risibili.

Siamo presi nella morsa. Il nostro popolo, il popolo tedesco, inquanto collocato nel mezzo, subisce la pressione piú forte della morsa;esso, -che È il popolo piú ricco di vicini e per conseguenza il piú

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LÀ DOMÀNDÀ METÀFISICÀ FUNDÀMENTALE +

esposto, È insieme il popolo metafisico per eccellenza. Da questasua caratteristica, di cui siamo certi, discende d'altronde che questopopolo potrà forgiarsi un destino solo se- sarà prima capace dl pro-vocare in s e s t e s so una risonanza, una possibilità di riso-nanza nei confronti di questa caratteristica, e se saprà comprenderela sua tradizione in maniera creatrice. Tutto ciò implica che questopopolo, in quanto popolo e storico a-, si avventuri ad esporre se stessoe insieme la storia stessa dell'Occidente, colta a partire dal centrodel suo avvenire, nell'origina1-io dominio della potenza dell'essere:E se la grande decisione ooncernente l'Europa non deve verificarslnel senso delliannientamento, potrà solo verificarsi per via delspiegarsi, a partire da questo centro, di nuove forze storiche s p 1-rituali.

, Chiedere: -s Che cosa ne È dell'essere? ››, signìfica nientemenoche attuare la ri- p e t iz io n e (wieder-bolen) del cominciamento(Arzƒang) del nostro esserci storico-spirituale, per trasformarlo mun altro cominciamento. Una tal .cosa È possibile. Questo, oltre tutto,corrisponde alla capacità formatrice e commisuratrice della storia,in quanto- si ricollega all'evento fondamentale. Un cominciamento siripete non con il riportarvisi come ad alcunché di trascorso, di ormatrisaputo e semplicemente da imitare, bensi in modo che il comin-ciamento venga ricominciato in maniera ancor piú o r i g i n a r 1 a ,e con tutto ciò che di sconcertante, di oscuro, di insicuro, un verocominciamento reca con sé. La ripetizione come noi la intendiamoÈ tutt'altro che la prosecuzione migliorata di ciÈ che È già attuatocon i mezzi già esistenti'.

La domand-a: e Che cosa ne È dell'essere? » si trova, come do-manda preliminare, inclusa nella nostra domanda-guida: «s Perchévi È, in generale, l'essente e non il nulla? s›. Se ci si pone alla rieercadi ciò che in tale domanda preliminare viene perseguito, vale a direl'essere, tosto Pespressione di Nietzsche ci appare nella sua pienaverità. Giacche, a ben guardare, cos'È l'essere per noi piú che unsemplice flanvs uocis, un significato vago, indeterminato, inafierrabilecome fumo? Certo Nietzsche intende dare alla sua frase un sensopuramente spregiativo. «s L'essere s› È per lui un"illusione, un in-

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INTRODUZIONE. ALLA. METnFISICA

ganno, che non avrebbe mai dovuto verificarsi. -s L'essere a, qual-cosa di vago, indeterminato, evanescente come fumo? È vero. Nonintendiamo contestare questo fatto; si tratta anzi di chiarirne la na-tura per valutarne tutta la portata.

La zona nella quale, con la nostra domanda, stiamo per adden-trarci, È tma zona in cui È indispensabile rimanere se si vuole rigua-dagnare all'esistenza storica un radicamento. Dobbiamo domandarcise questo fatto - che l'<< essere s› costituisce per noi una parola eva-nescente - È solo una cosa d'oggi o se sussiste da gran tempo, e per-ché. Dobbiamo renderci conto che questo fatto non È cosí semplicecome può sembrare a prima vista. In ultima analisi, non È perché laparola -s essere ›› resta per noi un semplice suono e il suo significatoun che di evanescente, ma È perché siamo caduti fuori dal suo si-gnificato e non iiusciamo a ritrovarne Paccesso, È p e r q u e s t om o t i v o , e non per altro, che la parola a essere ›› non esprimepiú nulla e che quando ci studiamo di afferrarla si dissolve comebrandello di nuvola al sole. Ed È proprio questa la ragione per cuip o n i a m o I a d o m a n d a sull'essere. La poniamo, anche per-ché ci rendiamo conto che a nessun popolo le verità sono cadute ingrembo bell'e fatte. Che poi ancora oggi non si possa o non si vo-glia intendere questa domanda - anche quando È posta in modoa n c o r piú originario - non toglie nulla alla sua necessità.

Si può certo far mostra di grande acume e di una grande supe-riorità riproponendo la nota considerazione che l'-<< essere n È, per l"ap-punto, il concetto piú generale. L'ambito della sua validità si estendea tutto e a ogni cosa in particolare, persino al nulla: il quale, inquanto pensato e in quanto espresso, -<-: È :-› pure anch'esso qualcosa.Al di sopra e al di fuori della sfera di validità di questo concettoche È il piú generale, l'-s essere ››, non esiste a rigore piú nulla dacui esso stesso possa venire . ulteriormente determinato. Bisogna ap-pagarsi di questa suprema generalità. Il concetto dell'essere È qual-cosa di ultimo. Questo corrisponde anche a una legge della logicache dice: piú un concetto È esteso - e quale concetto È piú estesodi quello di -s essere n? - piú il suo contenuto risulta vuoto e in-determinato.

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Lå DOMÀNDÀ METåFISICå FONDÀMENTÀLE

Questi ragionamenti sono senzialtro convincenti, per chiunquepensi normalmente, e noi intendiamo essere tutti uomini normali.Ora si tratta però di chiederci se il fatto di considerare l'essere comeil concetto piú _ generale colga veramente liessere nella sua essenzao non rappresenti, fm dall"inizio, un fraintendimento tale da privaredi ogni esito il domandare. Il problema È proprio se 1'essere possavenire considerato solo come il concetto piú generale e che si pre-senta inevitabilmente in tutti gli altri concetti, oppure se liessere nonsia di un'essenza del tutto diversa e, per conseguenza, sia tutt'altro chel'oggetto di una -s ontologia s›, intesa almeno nel senso tradizionale.

Il termine -tt ontologia s› È stato coniato per la prima volta nelsecolo XVII. Esso sta a indicare il costituirsi della dottrina tradizio-nale dell'ente in forma di disciplina filosofica e come branca specialedel sistema filosofico. Tale dottrina tradizionale consiste nello smem-bramento e nella sistematizzazione, ad opera delle scuole, di ciò cheper Platone e Aristotele, e ancora per Kant, costituiva un problema,per quanto già non piú cosí originario. In tal senso il termine-tt ontologia ›› È assunto ancor oggi. Sotto questa denominazione, ognifilosofia mira a proporre e a presentare una particolare disciplinaall'interno del sistema. Il termine tt ontologia ›› può venireassuntotuttavia anche << nel senso piú ampio ››, -ct senza riferimento a partico-lari indirizzi o tendenze ontologiche '›› (cfr. Seir: amd Zeit, § 3). Intal caso il termine <~: ontologia s- designa lo sforzo di portare l'esserealla parola, in virtú, appunto, della domanda: << Che cosa ne È del-l'essere? » (e non già soltanto delliessente come tale). Siccome peròquesta domanda non ha trovato finora nessuna eco e ancor menouna risposta, ma È stata anzi rifiutata espressamente dai vari circolidell'erudizione- filosofica scolastica che mira a una tt ontologia ›› insenso tradizionale, meglio varrebbe, in futuro, rinunciare afiatto aitermini -s ontologia ›› e tt ontologico si-. Ciò che infatti 'risulta sepa-rato da un abisso -- come si può fin diora chiaramente intuire - neiconfronti dello stesso modo d'impostare la domanda, non deve nep-pure essere chiamato allo stesso modo.

Noi poniamo la domanda: che cosa ne È deli'esse1-e? qual È ilsenso delliessere? - non già per fondare urfontologia di tipo tradi-

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INTiionUzIoNE ALLA METAFISICA

zionale o nelliintento di rilevare criticamente gli errori dei prece-denti tentativi. Si tratta di tutt'altro. Si tratta di ricollocare l"esi-stenza storica dell'uomo, il che È come dire il nostro piú autenticoesserci futuro, con la totalità della storia a noi destinata ( im grmzênder sms bestimmten Cesc/vicbte ) , nella potenza dell'essere da rive-larsi in modo originario: tutto ciò, beninteso, solo nei limiti delpotere concesso alla filosofia.

Dalla fondamentale domanda metafisica: -ti Perché vi È, in gene-rale, l'essente e non il nulla? si abbiamo ricavato la d o m a n d ap r eli m i n a r e: ic Che cosa ne È dell'essere? iv. Il rapporto esi-stente fra le due domande ha tuttavia bisogno di venir chiarito, inquanto È di carattere particolare. Di solito, tma questione preliminare(Vorƒrsige) viene trattata prima e indipendentemente dalla principale( Hsiaptƒrage), anche se in .vista di questa. Ma le questioni filosofichenon vengono, per principio, trattate come se potessero a un certopimto venir messe da parte. Nel caso particolare, la questione preli-minare non si trova in alcun modo fuori della principale, ma si pre-senta nel proporsi della domanda fondamentale, come un focolaioardente, il focolaio di ogni domandare. Ciò significa che, per il pro-porsi iniziale della domanda fondamentale, È prima di tutto neces-sario che, nel proporci la domanda preliminare a suo riguardo, cisituiamo nella posizione fondamentale, decisiva, al fine di acquistarvie di assicurarci Patteggiamento essenziale. È per questo motivo cheabbiamo posto ia domanda sull 'essere in relazione col destino del-l'Europa in cui si decide dello stesso destino della terra, destino dicui, per ciò che concerne l"Europa stessa, la nostra esistenza storicasi rivela come il centro. ~.

La domanda suonava cosí:-s L'essere È una semplice parola, il suo significato È evanescente,

oppure ciò che viene designato con la parola "essere “ cela in sé ildestino spirituale dell'Occidente? ›i›. _

Per molti orecchi la domanda può suonare forzata e eccessiva,in quanto si potrebbe, a rigore, supporre che la discussione circa ilproblema dell'essere non possa avere, in fin dei conti, che un rap-porto quanto mai remoto e indiretto con il problema storico di una

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LA DOMåNDA METi'›.FISICå. FONDAMENTALE

decisione concernente tutta la terra; non _ mai tale, comunque, da fai'sí che la posizione fondamentale e Patteggiamento del nostro doman-dare possano venire direttamente determinati dal destino storicodello spirito della terra; E nondimeno questo rapporto sussiste. Datoche il nostro scopo È quello di dare l'aWi0 21 Pf°P°f31 della domandapreliminare, si tratta ora di mostrare come e fino a che punto questadomanda si muove, immediatamente e fondamentalmente, già diper sé nell'ambito della questione della decisione storica. Per_dimo-strarlo' occorre anzitutto premettere una osservazione essenzialei ¢questo facciamo sotto forma di una afiermazione.

Affermiamo dunque che proporsi della domanda pgeliåninaree, per conseguenza, il proporsi della domanda metafisica on amen-tale, costituisce, da cima a fondo, un domandare di caiãittere stdoirico.Ma allora, la metafisica e, piu generalmente, laifiloso a non ven-tano delle scienze storiche? Ora, la scienza storica mdaga il tempo-rale, la filosofia, per contro, il sovratemporale. La filosofia_ nonstorica se non in quanto, come qualsiasi altra opera dello spirito, siattua nel corso del tempo. In tal senso, il carattere storico che siattribuisce al domandare metafisico non varrebbe a contraåsegnatre I:metafisica, ma esprimerebbe soltanto qualcosa di ovvio. ertan Osuddetta afiermazione oi non Sìßnifif-:H Pf'-1113.-i É 3PPafe fl'-iifídl sufíìrflàmioppure È impossibile, in quanto si risolve nella mesco anza _u¢tipi di scienza profondamente difierenti: filosofia e scienza storica.

A tale riguardo bisogna osservare: -E 1. La metafisica e la filosofia non sono afiatto scienze e non-

possono nemmeno diventarlo per il fatto solo che il loro domandareÈ un domandare storico. - ,

2. La scienza storica, dal suo canto, non serve per nulla a sta-bilire, in quanto scienza, Poriginai-io rapporto alla Stflfifli ma Pfe511P*pone sempre un tale rapporto. La scienza storica può qumdi soltantoo deformare il rapporto alla storia - rapporto che È sempre, di persé, un rapporto storico - fraintendendolo o riducendolo a sempliceconoscenza antiquaria; oppure può, al contrario, fornire a tale' rap-porto, già costituito nei suoi fondamenti, delle prospettive essenziali

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Éper Pesperienza storica, *intesa nel suo carattere di irrecusabile im

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INTRODUZIONE ALLA METåFISICA

pegno. Un rapporto storico del nostro esserci storico alla storia cometale può divenire oggetto e costituire la premessa di un certo tipo diconoscenza, ma non necessariamente. Non tutti i rapporti alla storiapossono, del resto, venire obbiettivati o scientificamente stabiliti:comunque non certo quelli essenziali. La scienza storica non puòm a 1 1 s t i t u 1 r e (stiƒtcri) il rapporto storico alla storia. Essapuò solo rischiarare, in modo sempre nuovo, tale rapporto già costi-tutto e fondarlo conoscitivamente, cosa che rappresenta d'altronde,per l'esistenza (Daiein) storica di un popolo consapevole, una essen-

-|- I l- ilzia e necessita, e non semplicemente qualcosa di << utile i›› o -ti svan-taggioso ia. Dato che solo nella filosofia - a d i f f e r e n z a _ d ao g ni s ci e n z a - si vengono sempre a costituire dei rapportiessenziali all`essente, È per tale motivo che siffatto rapporto allastoria p u ò e d e v e, oggi, essere per noi un rapporto origina-riamente storico.

Per comprendere la nostra afiermazione che il proporsi a meta-fisico ›› della domanda preliminare È radicalmente e totalmente sto-rico, È anzitutto necessario riflettere sul fatto che la storia ( Ge-

'scbic/ars) non significa per noi semplicemente il passato (dasVergsmgeiie ) , poiche' questo È precisamente ciò che non avviene piii.Ma la storia rappresenta ancor meno la mera attualità, la qualen __ . .eppur essa accade ma ti passa ›› semplicemente, ossia sopravvienee trascorre. La storia come accadere ( ali Cesc/nebcn) È un deter-minarsi a partire dal futuro (Zukunƒt) assumendo il passato (dasGewesene), e cosí agendo e patendo attraverso il p r e s e n t e(die Gegeivwart). È questo presente che dilegua nell'accadere

_ Il fatto di proporci la domanda metafisica fondamentale costi-tuisce qualcosa di storico- in quanto, in virtú di ciò, l'accadere del-1,. - - s .. . . .essere umano, nei suoi rapporti essenziali, ossia nei suoi ra orti

PPcon liessente come tale nella sua totalità, risulta aperto su possibi-lità e su futuri imperscrutati, e cosí ricollegato al suo inizio e resopiú acuto e piú grave nel suo presente. In questo domandare ilnostro essere È convocato davanti alla storia, nel senso pieno dellaparola, È chiamato ad essa e a decidersi in essa. E questo non nelsenso marginale della pratica applicazione di una posizione morale

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Lii norviiinna iaarisisicii Fonnaiaziiraze

o di una concezione del mondo, ma in quanto la pqsizlünfi füfidfiimentale e l'attitudine del domandare sono in sé storiche, Stfinfiü esi mantengono nell':iccadere (im Gescbcbcii ) i 51 PTUPOHEUW 3 Par'tire da esso e in vista di esso. _ _ H fm h ma

Resta ancora da chiarire una cosa essenziale, Clüe 0 il C É puquggrn proporsi già di per sé storico, della domanda ãull essere,, ... .. - - ' ' mon ana dellaabbia altresi una certa intima relazione con lad sltoriìndü si Verificaterra. Abbiamo detto che un oscuramento _ e in 'ah che cancer

. ' 1 -sulla terra e intorno ad essa. Gli avvenimenti lesíiiz I dìätmziünenono questo oscuramento sono: la fuga degil elá na vdiflcritä

1 ii I' ,della terra, la massificazione dell uomo, il preva ere e a nie d_ maQuando si parla di oscuramento del mondiä, che cosa iåite: lieti

- * ns -con -ti mondo si? Mondo si deve sempre inten ere in se P_tu ale -L'animale non ha mondo, nemmeno un mondo ainblfifltfi(Umwelt). L'oscuramento del mondo implica un _ d e p o t e nz 1 ii-m e n t o d e l lo s p ì 1° i 10, la 5'-la decümpüsmünei wnsunzlüne'. . - - - ` ill strare uestorimozione, il suo fraintendimento. Vedremo ora di fl tdepotenziamento dello spirito secondo u n a determinata ptospe -. - ' ' t . Come abbiamomia, e qu¢l1a,_prec1samente, del_suo fraintendimen_o _ta dalla Russiadetto, l'Europa si trova presa in una morsa costitíi-iii- G vale a diree dall'America, le quali, da un punto di vista meta_sic_ , iper quanto riguarda il loro carattere mondano e il rispettivo ÈÈP'

1 -I I I- - - - E ro a ris taPam *H0 SP1'~'"°= S1 °“1“'““1g?“°.' La maiiüåe diliiziimspnia ti-siatanto piú fatale e senza rimedio in quanti i_ E50 tßato re Maw inspirito proviene da lei stessa; infatti, age e se srtire läallí; candi-

passawi essü si È definitivamente ven cal?I}É lšlresso noi tedeschizioni: Spirituale della prima meià del se-ci Il emente designaresi È verificato, in quel t¢IIlPUi Ciò Che S1 511° E rev hcome la << dissoluzione dell'idealismo tedesco ››. Formula c e rap-presenta per cosí dire, lo scudo protettivo che cela e ricopre la già, . ." -' dlleforzesiri-iniziata decadenza dello spirito, la disäitegr-iziüflfi ri: concemeniåe ìtuali, la resistenza contro ogni doman ani: üålßlfiídare Ma mn è

. ii* ,fondamenti e contro limpegno di im tae omfi I lì tesa?stato Fidealismo tedesco a cadere in_ rovina, bem! ¢P°Ca _ à'non abbastanza forte per mantenersi all'altezza della 31'an 0511: I

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INTRODUZIONE ALLA METAFISICA .

dell'ampiezza, e dell'autenticità originaria di questo mondo dellospirito, per realizzarlo, in altri termini, veramente; il che significatutt"altro che limitarsi alla semplice applicazione di formule o idee.L'esserci ha preso a scivolare in un mondo privo di quella profon-dità dalla quale Pessenziale sempre viene e ritorna all'uomo e glisi propone spingendolo a una superiorità che gli dà una posizioneda cui agire. Tutto viene cosí ridotto al medesimo livello, su di unostesso piano, simile alla superficie appannata di uno specchio chenon riflette e non rimanda piú alcuna immagine. La dimensione pre-dominante È divenuta quella dell'estensione e del numero. Il saperfare (Können) non designa piú la capacità (Varmögeiv) né la gene-rosità derivanti da esuberanza e da padronanza delle proprie forze,ma solo una certa routine che ognuno può apprendere macchinal-mente con un certo sforzo e non senza dispendio di mezzi. Tuttoquesto si È andato ulteriormente aggravando, sia in America *che inRussia, fino all"illimitato pressappochismo di ciò che risulta sempreuguale e indifferente, al punto che questo puro quantitativo si Ètrasformato in una sorta di qualità. In questi paesi, la mediocrità,Pindiffereritismo, non sono piú qualcosa privo d'importanza o mise-rabilmente vuoto, ma rappresentano il predominio e l'invadenza dicose che attaccando ogni valore, ogni spiritualità capace di misu-rarsi col mondo, la distruggono e la fanno passare per menzogna.Si tratta dell'invadenza di ciò che chiamiamo il demoniaco (nel sensodel malvolere distruggitore). L"incremento di questo demoniaco, chefa tutt'uno col crescente disorientamento e con la crescente insicu-rezza dell'Europa nei suoi confronti e in se stessa, si manifesta inmolti modi. Uno È quello del depotenziamento dello spirito nel sensodi un fraintendimento di esso: si tratta di un avvenimento in mezzoal quale ancor oggi ci troviamo. Presentiamo, in breve, questo frain-tendimento dello spirito sotto quattro aspetti:

1. Una cosa È, a questo proposito, determinante: la trasfor-mazione - per ciò che riguarda la considerazione e la valutazione, insenso teorico e pratico, di date cose, in ordine alle loro possibilimodificazioni o radicali innovazioni - dello spirito (Gcist) ini n t el l i g e n z a (Iiitclligeiiz), intesa come semplice raziocinio

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La norviimna ivizrarisica Foi~in.iiivizNTaLE _

(Vcrständigkcit) . Siifatto raziocinio È solo questione d'ingegno, diesercizio e di divulgazione, e risulta esso stesso sottoposto alla pos-sibilità di organizzazione, il che non È mai dello spirito. Tutta -lamassa dei letterati e degli esteti non È che una conseguenza tardivae un sottoprodotto dello spirito falsato e 'ridotto a intelligenza, Ilfar semplicemente mostra di spirito È aver solo l'apparenza dellospirito e un mascherarne la mancanza. ,_

2. Lo spirito cosí falsato e ridotto a intelligenza scade alruolo di strumento posto al servizio di altro e il cui uso si puòinsegnare e apprendere. Poco importa che questa intelligenza, cosíasservita, sia rivolta alla regolamentazione e al dominio dei mezzimateriali di produzione (come nel marxismo) o in generale allasistematizzazione e alla elaborazione razionale di tutto ciò che È giàdato e posto (come nel positivismo), o si attui nel dirigismo organiz-zativo di un popolo concepito come massa vivente e come razza; inogni caso lo spirito diviene, come intelligenza, l'inane sovrastrutturadi alcunché di diverso che, in quanto vuoto di spirito o del tuttoopposto allo spirito, È considerato come autenticamente reale. Se,come ha fatto il marxismo nella forma piú radicale, s'intende lo spi-rito come intelligenza, in tal caso È perfettamente giusto dire, alloscopo di difendersene, che lo spirito, ovvero Pintelligenza, devesempre venir collocato, nell'ordine delle forze agenti dell'essereumano, dopo la prestanza e la salute fisica e il carattere. Ma quest'or-dine non risulta piú valido appena l'essenza dello spirito È colta nellasua vera realtà. Infatti, ogni autentica forza e bellezza del corpo,come ogni sicurezza e arditezza della spada, al pari di ogni autenticacapacità e ingegnosità intellettiva, si radicano nello spirito, e ogniloro incremento o diminuzione trovano giustificazione solo nella po-tenza o nell'impotenza dello spirito. È lui che fa da guida e checomanda, È lui il primo e l'ultimo, e non solamente un terzo indi-spensabile. .

3. Non appena subentra questo fraintendimento strumentaledello spirito, le potenze dell"accadere spirituale, poesia e arti, crea-zione di stati e religione, entrano nell'ambito di una possibile cura(Pflcge) e pianificazione c o s c i e n t e. Esse vengono contempo-

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INTRODUZIONE .FLLLR METAFIS ICÀ

raneamente suddivise in diversi campi. Il mondo dello spirito diventacultura, nella creazione e nel mantenimento della quale il singoloindividuo cerca' di trovare personale realizzazione. Questi diversicampi divengono il terreno di una libera attività che assume comecriteri solo quei significati che È ancora in grado di capire. Questicriteri di una validità misurata in vista della realizzazione o dell'im-piego sono detti -ti valori si. I valori di cult¬ura, nell'ambito di unaciviltà, si garantiscono un significato solo in quanto si limitano allapropria convalidazione: si hanno cosí la poesia per la poesia, l'arteper l'arte, la scienza per la scienza. _

Quanto alla scienza, la quale interessa in particolare noi nel-l'ambito dell'Università, la sua situazione, rimasta negli ultimi decennipraticamente immutata malgrado qualche recente tentativo di risana-mento, si lascia facilmente individuare. Il fatto che oggi due con-cezioni apparentemente diverse della scienza sembrino combattersi -quella, cioÈ, della scienza come sapere professionale di caratteretecnico-pratico, e quella della scienza come valore culturale in sé -non toglie che entrambe procedano sulla medesimavia di decadenza dovuta al fraintendimento e depotenziamento dellospirito. La differenza fra loro consiste soltanto in ciò, che mentrela concezione tecnico-pratica della scienza, come scienza specializzata,può ancora attualmente rivendicare la prerogaciva di una aperta echiara coerenza con se stessa, viceversa, la concezione reazionaria,riapparente ancor oggi, della scienza come valore di cultura mira adoccultare liimpotenza dello spirito con una incosciente menzogna.La confusione derivante dalla decadenza dello spirito può arrivareal punto che la stessa interpretazione tecnico-pratica della scienzarivendichi il significato della scienza come valore di cultura, sicchéentrambe le concezioni si alleano coincidendo sull'assenza di spiritoche le caratterizza. Anche a voler designare il concatenamento orga-nizzato di discipline specializzate a fini dottrinali o di ricerca, colnome di Università, tutto ciò non rappresenta che un nome, né sitratta comunque della potenza originaria unificante e ordinativa dellospirito. Vale ancor oggi, per l'Università tedesca, quanto dicevo nellamia prolusione qui nel 1929: << I campi della scienza sono molto

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Là DOMRNDA METRFISICA FONDAMENTRLE

distanti fra loro, i modi di trattare i rispettivi oggetti divergonoprofondamente. Una tale quantità cosí disparata di discipline si man-tiene insieme, ancor oggi, solo grazie alla organizzazione -tecnica delleUniversità e delle Facoltà e conserva ancora un certo significato solograzie agli scopi pratici della specializzazione. Per contro, il radica-mento delle scienze nel` loro fondamento essenziale È già letteramorta ii- (Was ist Mctap}JysiiÈ.?, 1929, p. 8). In tutti i settori lascienza non È oggi che una questione tecnico-pratica di acquisizionee trasmissione di conoscenze. In quanto scienza, essa non È in alcunmodo in grado di produrre un risveglio dello spirito. Infatti ha essastessa bisogno di un tale risveglio. '

4. Liultimo dei fraintendimenti dello spirito proviene dallefalsificazioni sopra indicate che ci presentano lo spirito come intel-ligenza, questa come strumento per raggiungere uno scopo e quest'ul-timo, a sua volta, unitamente a tutto ciò che permette di produrre,come l'ambito della cultura. Lo spirito come intelligenza al serviziodi uno scopo e lo spirito come cultura finiscono per diventare deglielementi da parata dei quali si rien conto, accanto a molti altri, esi-bendoli in pubblico a dimostrazione del fatto che n o n s'intenderipudiare la cultura e non si desidera la barbarie. Il comunismo russo,dopo un atteggiamento iniziale puramente negativo, È ben prestopassato a una simile tattica propagandistica.

Di contro a questo travisamento molteplice dello spirito (e rifa-cendomi agli assunti del mio discorso di rettorato in cui tutto ciòsi trova condensato con la concisione richiesta per Poccasione) cer-cheremo di determinare brevemente la natura dello spirito nel modoseguente: a Lo spirito non È vuoto acume ne' irresponsabile spirito-sità, esso non consiste nel compiere delle interminabili analisi intel-lettuali, ancor meno È la ragione universale; lo spirito È invece larisolutiva' -apertura (Em'scbZossenbeii.' ) , originariamente disposta ecosciente, all'essenza dell'essere si (Rektoratsrcde, p. 13). Lo spiritoÈ la pienezza del potere dato alle potenze dell'essente come tale nellasua totalità (His Ermãcbtigurig dcr Mäcbtc des Sciendcn als .tolcbenim Ganzeii ) . Dove regna lo spirito liessente come tale diviene sempree in ogni caso piú essente. Ed È per questo che Pinterrogarsi sul-

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'INTRODUZIONE ALLA METAFISICA

liessente come tale nella sua totalità, il proporre la domanda sul-l'essere, costituiscono una delle condizioni fondamentali, essenziali

l”esserci storico, per arrestare il pericolo di un oscuramento del mondo

fisica sull"essere costituisca in se qualcosa di integralmente storico*e come, per conseguenza, il fatto di chiederci se l'essere per noi ri-manga soltanto qualcosa di evanescente o non giunga a costituirepiuttosto il destino dell'Occidente, sia tutt'altro che una esagerazioneo un semplice modo di dire. -

Se tuttavia la nostra domanda sull'essere riveste questo essen-ziale carattere di decisione, occorre prima di tutto considerare conla massima serietà che cos'È che conferisce alla domanda la sua im-pellente necessità, connessa al fatto che l'essere costituisce effettiva-mente per_noi poco piú che una parola e il suo significato un'ombraevanescente, Questo fatto non È d'altronde solo qualcosa d'altro, diestraneo, davanti al quale ci troviamo e che ci È dato unicamenteaccertare nella sua esistenza, come qualcosa di accidentale. Esso Èinvece la situazione stessa in cui ci troviamo. È uno stato della nostraesistenza, ma non certo nel senso di una proprietà accettabile psico-logicamente. Per ti stato s› intendiamo qui designare Pintera nostracostituzione, il modo in cui noi stessi siamo costituiti in rapportoall'essere. Non si tratta qui di psicologia, ma della nostra storia con-'siderata da un punto di vista essenziale. Quando diciamo che il con-'siderare l'essere come una šemplice parola o un'ombra È per noi unti fatto ia, Ciò È da intendersi in via del tutto provvisoria. Ci limitiamocon ciò solo ad affermare e a constatare qualcosa che non È ancorafipensato fino in fondo, per- cui noi non abbiamo ancora alcun luogo,ianche se esso appare come qualcosa che capita a noi, a queste persone'determinate, e -ci in si noi, come suol dirsi. F _ '

Il fatto particolare che l'essere non risulti per noi nulla piú che`una parola vuota e 'un'ombra evanescente si potrebbe far rientrare;

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per un risveglio dello spirito, per il porsi di un mondo originario del-I

e per una assunzione della missione storica del nostro popolo consi-derato come centro dell'Occide_nte. Possiamo mostrare qui solo agrandi linee come e fino a che punto il proporsi della domanda meta-=

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Lae-noivianna Mzriinisica i=oNniuviENTaLz

nellialtro, piú generale, che molte parole, e proprio quelle ecsenziali,si trovano nella stessa condizione, dato che il linguaggio risulta ingenere sfruttato, logorato dall'uso. Il linguaggio È diventato 'un mezzod'intesa indispensabile, ma privo di guida, e quindi utilizzabile a caso,indifferente come un mezzo pubblico di trasporto, come un tranvaiin cui chiunque può salire o scenderne. Chiunque infatti, nel linguag-gio, può dire o scrivere quello che vuole, liberamente, e soprattuttos e n z a' p e r i c o l o. Ciò È indubitabile. Ne consegue che soltantopochi si trovano in grado di valutare, in tutta la sua portata, questofalso rapporto, questo non-rapporto, dell'esistenza di oggi al lin-guaggio. H

Sennonché, la vuotezza della parola a essere si, la completa scom-parsa della sua forza significante, non costituiscono sempliqemence unparticolare caso della generale usura della lingua; in realtà e la distru-zione del nostro rapporto all'essere come tale la vera ragione delnostro falso rapporto complessivo con il linguaggio.

Le iniziative per la purezza della lingua e per la sua difesa controle crescenti deformazioni meritano certo considerazione. Ma attra-verso tali iniziative risulta solo, alla-fine, ancor piú chiaramente pro-vato che, per ciò che concerne il linguaggio, non si sa piú di che cosasi tratti. Il destino del linguaggio, infatti, si fonda su di un semprerinnovato r a p p oi r to di un determinato popolo all'e s s e r e;ed È questo il motivo per cui la domanda sull'e s s e r e risulta pernoi intrecciata, nel modo piú intimo, con la questione del linguaggio.Il fatto che, mentre ci accingiamo ad enucleare in tutta la sua portatail fatto già considerato del dileguarsi dell'essere, ci vediamo indottia iniziare con delle riflessioni sul linguaggio, rappresenta ben piú cheun caso fortuito. .

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CAPITOLO II

SULLA GRAMMATICA E SULUETIMOLOGIA__ DELLA PAROLA ti ESSERE ››

Dato che la parola -s essere ii È per noi ormai nient'altro che unaparola vuota e un significato evanescente, tentiamo una buona volta,almeno, di afferrare questo superstite residuo della nostra relazioneall'essete. Cominciamo col domandarci: ~

1. In linea generale, che tipo di parola È, da un punto di vistamorfologico, questa parola ti essere ii?

2. Che cosa ci dicono le nostre conoscenze linguistiche circail significato originario di questa parola?

Per esprimerci in maniera piú erudita, la nostra ricerca verte:1. sulla grammatica; 2. sull'etimologia della parola -ti essere ii.

Per quanto riguarda la grammatica, essa non si occupa solo, inprimo luogo, dell'aspetto letterale, ortografico e fonetico delle pa-role. Essa considera gli elementi formali, morfologici, come indica-tivi di certe direzioni e di certe differenze di direzione del significatopossibile delle parole, eppertanto in grado di prefigurare la_loro pos-sibile inserzione in una frase o in piú ampie strutture discorsive. Leparole: egli va, noi andavamo, essi sono andati, va', andando, andare...costituiscono altrettante modificazioni della stessa parola secondoparticolari indirizzi significativi. Lo vediamo dalle designazioni grani-maticali: indicativo presente, imperfetto, passato prossimo, impera-tivo, participio, infinito. Ma non si tratta ormai piú, da un pezzo,che di mezzi tecnici sulla base delle cui indicazioni la lingua vienemeccanicamente sezionata e fissata nelle sue regole. In ogni caso incui amori un rapporto originario con la lingua È dato avvertire quantovi sia di morto in queste forme grammaticali intese come puri mec-canisrni. La lingua, e le relative considerazioni su di essa, si sono

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INTRODUZIONE ALI.-A. MÉTAFISICA -

impigliate in queste forme rigide come in una ferrea rete. Già nell'in-segnamento quanto mai arido e tedioso della scuola questi concettiformali e queste classificazioni della grammatica ci appaiono comedegli schemi vuoti che nessuno comprende e che risultano, di per sé,del tutto incomprensibili.

Sarebbe certo assai meglio che, al loro posto, gli alunni dellescuole apprendessero dai loro maestri qualcosa della preistoria o dellastoria tedesca. D'altronde, se non si riesce a instaurare nella scuola,a partire dall'intimo e dal profondo, il mondo dello spirito; se, inaltri termini, non si riesce a suscitare nella scuola un'atmosfera spiri-tuale, anziché scientifica, tutto ricade subito nel solito squallore. Èper questo che s"impone, anzitutto, un'autentica rivoluzione del nostrorapporto con la lingua. Occorre però, a tale scopo, rivoluzionare lostesso corpo insegnante: il che implica, in primo luogo, una trasfor-mazione dell'Università, la quale dovrebbe farsi anzitutto edotta delproprio compito anziché pavoneggiarsi in futili quisquilie. Non cisfiora' infatti neppure la mente il sospetto che tutte quelle nozioniche noi tutti possediamo da gran tempo ad abandaivtiam potrebberobenissimo essere diverse; che le forme grammaticali che compartonoe regolano la lingua non lo fanno in modo assoluto, da sempre, inquanto sono piuttosto frutto di una interpretazione particolare dellalingua latina e greca. Senza contare che anche questo proviene dalfatto che. la stessa lingua È qualcosa di essente e, come ogni altroessente, può essere resa accessibile e venir determinata in un certomodo. Evidentemente, il modo con cui un'impresa del genere puòessere validamente condotta a termine dipende dalla fondamentaleconcezione delliessere che vi presiede.

La determinazione dell 'essenza del linguaggio e il nostro .stessomodo di interrogarci su di essa si confermano, nei singoli casi, allaconcezione dell'essÈnza dell 'essente e dell'essere che ha finito per im-porsi. Ma liessenza e liessere parlano nella lingua. Indicare questaconnessione 'È presentemente necessario in quanto È della parola<< essere »› che ci occupiamo. Anche se si fa uso, com'È indispensabileall'inizio, della grammatica tradizionale e dei relativi paradigmi ondecaratterizzare in senso grammaticale, appunto, questa parola, ciò deve,

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saiuviiviarica en z'riivioLoGni ni a essere »

nel caso specifico, accadere con la riserva che tali forme grammati-cali risultano, allo scopo che ci proponiamo, insufficienti. È quanto,nel corso della nostra trattazione, avremo modo di dimostrare aproposito di una forma grammaticale essenziale. __

Non tarderemo a persuaderci ampiamente che non si tratta qui,malgrado ogni apparenza, di emendare semplicemente la gramma-tica, quanto, essenzialmente, di chiarire l'essenza stessa dell"essere,per quanto riguarda la sua essenziale implicazione con la natura dellinguaggio. Ciò si dovrà tenere, in seguito, ben presente allo scopodi non fraintendere queste considerazioni linguistiche e grammati-cali, quasi si trattasse di un gioco futile e inopportuno. Poniarnodunque il problema: 1. *della grammatica; 2. dell"etimologia dellaparola a essere ›i›. _ ` *

1. La grammatica della parola a essere ››.

Che cos'È dunque la parola << essere n per ciò che attiene alla suamorfologia? Si dice a l'essere s› come si può dire: il camminare, ilcadere, il sognare, ecc. Queste forme linguistiche si comportano allastessa stregua che: il pane, Pabitazione, l'erba, la cosa. Si nota peròsubito, a proposito delle prime, una differenza costituita dal fattoche esse possono venir ricondotte facilmente alle espressioni tempo-rali (verbi) corrispondenti: camminare, cadere..., mentre le secondenon sembrano permetterlo. Vi È bensí, per ci l'abitazione si (dasHans), la forma corrispondente: a abitare iv (das Hansen): -ci egliabita nella foresta si-. Ma il rapporto fra a il camminare a (dai Geben),a il cammino ›i› (der Gang), e a camminare ›› (geberi) È, per quantoriguarda il significato grammaticale, diverso da quello intercorrentefra a liabitazione ia (das Haas) e a l'abitare a (das Hansen). Cisono, d'altra parte, delle parole la cui formazione corrisponde esat-tamente a quella delle suddette (a il camminare ia, a il volare ››) eche tuttavia appartengono allo stesso tipo di parole e hanno lo stessosignificato che a il pane a, a Pabitazione si (das- Haas ); per esem-pio: a L'ambasciatore offri un desinare (ein Essen) si. Qui non si

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INTRODUZIONE ALLA METAFI S ICA

nota piú, afiatto, Pappartenenza a un verbo. Di questo si È fatto unsostantivo, un nome, e precisamente per via di una forma determi-nata del verbo (dell'espressione temporale) che latinamente si chiamamodus iiifiaitiiias.

Lo stesso genere di rapporti si riscontra anche a proposito dellanostra espressione: << liessere za. Questo sostantivo rimanda all'in.fi-nito a essere ››, il quale appartiene alla medesima categoria di: tu sei,egli È, noi eravamo, voi siete stati. Come sostantivo -ti l'essere si de-riva dal verbo. Per questo si dice che la parola a l'essere ii È un-:i sostantivo verbale ii». Con questa forma grammaticale si può con-siderare esaurito quanto c'È da dire, sul piano linguistico, della parola<4 essere ››. Quelle di cui ci stiamo dettagliatamente occupando sonoanzi cose risapute e ovvie. Ma, a voler essere piú esatti e prudenti,si deve dire che sono distinzioni linguistico-grammaticali di uso cor-rente; perché non sono affatto completamente ti ovvie ii. Occorredunque esaminare le forme grammaticali in questione (verbo, sostan-tivo, sostantivazione del verbo, infinito, participio).

Come si scorge chiaramente, per coniare la forma a l'essere i› Èoccorsa la forma preliminare, decisiva, dell"infinito a essere si. E que-sta forma del verbo che si trasforma in quella di un sostantivo. Verbo,infinito, sostantivo, sono dunque le tre forme grammaticali in basealle quali si determina il carattere della nostra parola: a l'essere ››.Si tratterebbe quindi d'intendere, anzitutto, queste forme gramma-ticali nel loro significato. Delle tre forme citate, il verbo e il sostan-tivo sono fra le prime conosciute dagli inizi della grammatica occi-dentale e sono ancor oggi considerate come forme basilari delleparole e della lingua in genere. Pertanto, il fatto di chiederci qualesia l'essenza del sostantivo e del verbo ci permette di introdutcinel vivo della questione concernente liessenza del linguaggio. Il pro-blema, infatti, di sapere se la forma originaria della parola sia costi-tuita dal nome (sostantivo) o dal verbo fa tutt'uno coni il problemadi sapere quale sia, in generale, il carattere originario del dire e delparlare. Tale questione include in sé, in pari tempo, quella dell'ori-gine del linguaggio. Ma a questa non possiamo ancora accedere im-mediatamente. Occorre pertanto servirci di un espediente. Ci limite-

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GRAMMATICA ED ETIMOLOGIA DI it( ESSERE lo

remo dapprima a quella forma granunaticale che costituisce il pas-saggio alla formazione del sostantivo verbale, vale la dire liinfinito(andare, venire, cadere, cantare, sperare, -essere, ecc... ).

Che cosa significa c infinito a? Questa denominazione È l'abbre-viazione della forma piú completa: modus iiifiiiitivtis, il modo del-l'illimitato, dell'indeterminato: indeterminatezza che riguarda il modoin cui, in generale, un verbo esercita la sua funzione significativaorientandola in questa o quella direzione. ' -

Questa denominazione latina (modus infinitiaus) È, come tuttele altre, frutto del lavoro dei grammatici greci. C'imbattiamo, anchequi, nuovamente, nel processo di traduzione menzionato a propositodella spiegazione della parola qiüeiç. Non faremo qui la storia detta-gliata dell 'origine della _grammatica presso i Greci, della sua recezioneda parte dei Romani, della sua trasmissione al Medioevo, lino aitempi moderni. Conosciamo molti particolari di questo processo.Quello che invece non esiste ancora È una reale comprensione diquesta storia cosí fondamentale per il costituirsi e il determinarsidello spirito occidentale in tutti i suoi aspetti. Manca tuttora unaproblematica adeguata per questa riflessione che a un certo 'puntonon può piú essere rimandata, anche se tutto ciò può sembrare cosídistante dagli interessi attuali.

Il fatto che la formazione della grammatica occidentale risulti dauna riflessione greca sulla lingua g r e c a determina tutto il signi-ficato di questo processo. Questa lingua È infatti (considerata dalpunto di vista delle possibilità del pensare), accanto alla tedesca, lapiú potente e insieme la piú spirituale.

C'è anzitutto da osservare che la distinzione determinante delleforme fondamentali delle parole (nome e verbo), nella forma grecadi äveua. e ôñpa, viene elaborata e fondata per la prima volta inconnessione intima e immediata con la concezione e Pinterpretazionedell'essere divenute poi, conseguentemente, decisive per tutto l'Oc-cidente. L'intìma connessione dei due fatti risulta per noi accessibilenella sua interezza e nella perspicua chiarezza della sua formulazione,nel Sofista di Platone. I termini Evviva e šrñiiiit sono certo conosciutiprima di Platone; ma sono ancora, come anche in Platone, concepiti

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INTRODUZIONE ALLA METAFISICA eiisiuivurrica En nrtiviozocui nt a essere ii»

. . . . . . . . ,, . . "' ' ' - ll.C01-ne ten-nlnl Vahdl er 11 hn 3 H ah à' ov dl É COIIIÈ ITPOUUTIPIELLVDU XPOVOV (D3 ffitefpffffltfflfifi, CC. 2 4,.p guggio ne asua tot t etiam cala semplice denominazione, in contrapposizione alla persona o allacosa denominata, e designa insieme l'enunciarsi di una parola, il cheviene reso, piú tardi, con òfiiie. 'Pñim designa d'altro canto, la cosadetta (Spmcb), il dire (Sageiili Ö1'l¬¦f.oii È il iparlatore, l'oratore, ilquale, d'altra parte, non usa solo a verbi iv ma altresi òvóitarst, nelsenso ristretto del sostantivo.

Il fatto che in origine i due termini coprano lo stesso ambito Èimportante per quanto intendiamo dimostrare piú avanti, e cioÈ cheil problema, tanto dibattuto in linguistica, se il nome o il verbo costi-tuisca la forma originaria della parola, non È un vero problema.Questo pseudo-problema È sorto, per la prima volta, nell'a.mbito dellagrammatica già formata, e non da una considerazione circa l'essenzadella lingua stessa, prima che la grammatica la spezzettasse.

Le due voci: ëvaiia. e Mina che designano priinitivamente, en-trambe, qualsiasi parlare, restringono in seguito il loro significato adenotare le due principali classi di parole. Platone, nel suddetto dia-logo (261 e segg.), dà, per la prima volta, una spiegazione e unagiustificazione di sifiatta distinzione. Egli parte, a questo proposito,da una generale caratterizzazione del ruolo della parola. "Ovaiitt, insenso ampio, È Siikmua ef] ipiavi'-'| tttpl. -rhv eüaittv, ossia; manifgsta..zione, per la via del farsi percepibile sonoro, concernente l'esser¬edell'essente e nel suo orizzonte. ( Ofifenbaraag in Bezug and imUmfzreis des Seiias des Seiendeii aiiƒ dem Wege der Verlaatbarung ) .

Nell'oi-izzonte dell'essente si possono distinguere npãypa enpãštç. Quello designa le cose con cui si ha che fare, *di cui nei varicasi si tratta.. Questo indica l"agire e il fare in senso ampio, compren-dente altresí la trainare. Le parole hanno im doppio genere (Si-c-rbv-råveç) . Esse sono Sifiltuua npåvuataç (Eventi ) , manifestazione dellecose, e åfikmue itpãšemc (ëfiue), manifestazione di un fare. Laddovesi produce un nìté-ma, una auunìtazfi (ima reciproca implicazione)si verifica il Mya; Èàåxiazóç 'ts ittiil. itpütoç, il dire piú breve e, inpari tempo, il primo ( e autentico) dire. Tuttavia solo Aristotele cidà una piú chiara interpretazione metafisica del Mya; come propo-sizione predicativa. Egli distingue övoiw. come o"r1iJ.i.r.v'ttitòv åvsu itpóveu

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Questa concezione dell'essenza del Miro; È divenuta esemplare enormativa per quanto riguarda il successivo costituirsi della logicae della grammatica. Anche se quest'ultima È decaduta ben presto alivello scolastico, il suo oggetto ha saputo perlomeno rnanteneirccostantemente un significato determinante. I .crattati dei grammaticigreci e latini servirono per piú di un millennio, in Occidente, comclibri di scuola. E, come si sa, quei tempi furono tutt'altro che tempideboli e insignificanti.

Parliamo ora della forma verbale che È detta, dai latini, infinitiaas.Già Pespressione negativa: a modo in - finito del verbo ii (modusTiri - finitiaas verbi) rimanda a un modo finito il quale rappresentauna specie di limitazione e di determinazione del significato verbale.Ora, qual È il corrispondente modello greco di questa distinzione?Quello che i grammatici romani designano con la debole espressionedi modus, presso i Greci si dice E-fzìttaiç, inclinazione verso un lato.Questa parola ha lo stesso andamento significativo di un'altra espres-sione grammaticale greca: it-rtIia'iç, quella da noi conosciuta nella tra-duzione latina: casas, il caso nel senso di modificazione del nome.Sennonché, primitivamente, ntüiaic designa ogni specie di modifica-zione della forma fondamentale (flessione, declinazione) , non soloper i sostantivi, ma anche per i verbi. Solamente dopo che la distin-zione di queste forme È stata piú chiaramente elaborata, anche le lororispettive modificazioni sono state indicate con termini specifici. Lamodificazione del nome si chiama it-:üaiä ffiflffif l i q'-161-la del VfifbüEvzìtiatç (declinatio ) . -

Ora, come mai, nello studio della lingua e delle sue modifica-zioni, sono proprio questi due termini: 'it-:i'£i=Ti-~'; e §'i'1'i'-il-I-ff!-›=I› il 1”-'SSEICimpiegati? Evidentemente la lingua viene anchiessa considerata comequalcosa che È: come un e s s e n t e fra altri. Per questo qccorreche, nella concezione e nella determinazione della lingua, vengamesso particolarmente in risalto il modo in cui i Greci concepivano,in genere, l'essente nel suo essere. Solo su questa base_ ci si potràrendere conto di quelle denominazioni che, come ti modo a e << caso ››,sono divenute ormai logore e per noi prive di significato.

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irtraonuzionz ALLA ivizriirisica `

Se dunque insistiamo, in queste lezioni, nel voler ritornare allaconcezione dell'essere dei Greci, si È che, quantunque del tutto im-miserita e disconosciuta come tale, essa È ancor 'oggi quella chetuttavia predomina in Occidente; e questo non solo per quantoriguarda le dottrine filosofiche, ma anche nelliuso piú comune.Quello che ci preme È dunque di individuare la concezione ,grecadell'essere nelle sue fondamentali linee caratteristiche originarie, ser-vendoci delle stesse considerazioni dei Greci sulla lingua.

E una via, questa, che scegliamo intenzionalmente. Essa deve,sulla base di esempi grammaticali, mostrarci come e perché l'espe-rienza, la concezione e Pinterpretazione del linguaggio, divenute nor-mative per l'Occidente, siano la risultante di una concezione del tuttoparticolare dell'essere.

Le parole ntüaiç ed ë†z}~.i.a|.r;, significano: cadere, oscillare, incli-narsi. C'È qui l'idea di una de-viazione dallo star-eretto e diritto.Ma questo, lo star-li eretto in se stesso, il venire in posizione (zumStand kommen) e il rimanere in posizione (im Stand iileiben), iGreci lo intendono come essere. Ciò che in tal guisa viene in posi-zione diventa in sé s t a b ile (snindig), si pone con ciò, da sestesso, liberamente, nella necessità del suo limite: itåpac. Quest'ul-timo non È qualcosa che provenga alliessente dal di fuori. Ancormeno esso rappresenta una mancanza, una privazione. L"arrestarsi,il trattenersi in base al proprio limite (der non der Granze bei' sicfibändigende Hair), il possedersi nel mantenersi stabile (das Sieb-Haben, worin das Stiindige sich biiit), È questo l'essere dell'essente,e ciò che costituisce primariamente l'essente come tale nella diffe-renza dal non-essente. Venite in posizione significa, conseguente-mente, darsi un limite, delimitarsi. Perciò un carattere fondamentaledell'essente È costituito da ciò che viene chiamato in greco: 'tà -téltegche non significa né il fine né lo scopo, ma il termine (Ende). -ci Ter-mine ›› non va qui inteso affatto in senso negativo, come se si trat-

"' itasse di qualcosa che non va piu avanti, che fallisce, che finisce.ai Termine ›› significa il terminare, la terminazione (Endnng), nelsenso del compimento (Voliendnng). Il limitee il termine sono ciòper cui liessente incomincia ad essere. Da questo punto di vista È da

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Gaaivii~›.iaTica En E:TiivioLooia ni -s. Essisiiz :››

,, . 1 -› ir " I .intendersi la denominazione piu alta che Aristotele usa per lessere.l'šv-tsìtšyçsur; il mantenersi (conservarsi)-nella-terminazione (limite).Liuso che la filosofia posteriore, e anche la biologia, hanno fatto(cfr. Leibniz) del termine ti entelechia ›› denota tutto il distacco daiGreci. Ciò che si pone nel suo limite, compiendolo, e cosí costi-tuendggiì ha fgrma; iioptpfi. La IOITIIH, COSI Cümiè COIICCPIIIEI Clfli GIECI,

È, essenzialmente, uno schiudersi che si dispone nel 'limite (anf-gebendes Sicb- in- dic- Granze- ber-siellen).

Sennonché, ciò che si mantiene. che consiste in se stesso (dasIn-.sich-da-Ste/Jende) diviene, dal punto di vista dell'osservatore, ciòche si pro-pone (znm Siri;-dar -Sz'elienden), che si offre mostrandosinella sua apparenza. L'apparire (das Ansseben) di una cosa vienedetto dai Greci tiöec, o iöéa.. In slöaç, risalta in primo luogo ciò chcintendiamo anche quando diciamo: la cosa ha un certo aspetto, silascia vedere, consta istebt). La cosa a consiste ›› (sirzt). Essa riposanell'apparire, che È come dire nel sorgere della sua essenza. Tutte ledeterminazioni dell'essere finora enumerate traggono tuttavia il lorofondamento e risultano insieme collegate da ciò in cui i Greci espe-rimentano inequivocabilmente il senso dell'essere, e che essi chia-mano oüoitt o, in senso piú pieno, napauaia. La solita povertà di pen-siero traduce la parola con -ti sostanza ›› e ne falsa con ciò completa-mente il significato. Noi abbiamo, per iwlíwufl' '~'-11. la Pm'-"-'la tfideåcficorrispondente An-iaesen. Si usa designare cosí una proprietà fon-diaria di tipo rurale, in se conchiusa. Ancora al tempo di Aristoteleeüelct È usata in questo senso e, insieme, nel senso del termine filo-sofico fondamentale. Una cosa si presenta (west-an) ; essa permanein se stessa e cosi si pro-pone (dar-.tteZlt), essa È. a Essere ii signi-fica, in fondo, per i Greci: presenza (Anwesenbeit). -

Nondimeno, la filosofia greca non È risalita piú oltre verso ilfondamento dell'essere, cioÈ verso quello che esso nasconde. Essa siÈ fermata alla prima fase dell"esser-presente (Anwesend) e ha cer-cato di considerarlo secondo le su accennare determinazioni.

Quanto abbiamo detto ci permette di comprendere meglio, perciò che riguarda l'illustrazione del termine a metafisica ii, liinterpre-tazione greca dell'essere da noi menzionata fin clall'inizio: l'appren-

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INTRODUZIONE ALLIL IUIETAFISICJL

sione cioè dell'essere come fpúatç. Bisogna, dicemmo, mettere com-pletamente da parte ogni altro concetto di «s natura a: qiúrric designal'erigersi nell'atto di schiudersi, il dìspiegarsi permanendo in sé (dasaizƒgabaride Sicb -auƒricbteiz, das ir: sich aarieailende Sicbentƒalten ) .In questo imporsi (Walter: ) , riposo e movimento sono ritenuti einsieme manifestati ad opera di uifunitä originaria. Questo imporsicostituisce la presenza predominante (überwältigeade Art-wesen) eancora non padroneggiata dal pensiero, in cui l'esser-presente (dasAnweserz al e) sussiste (west) come essente. Ma questo imporsifuoriesce dalla latenza - il che è come dire, per usare Pespressionegreca, che l'å).-fiñstat (la non-latenza) accade (gascbiebt) - solo allor-ché l'imporsi si conquista da sé come mondo (Walt). Solo medianteil mondo liessente diviene essente. _

Eraclito dice (Fr. 53 ): 'itóltauoc nåv-mv uåv 11:tz¬:1'1p åa'-ri., nåvrtnvBè ßatotìtsùç, stati. 'roùç uèv åsoüç ëßstšs 'roùç Bè åviìptíiitouç, zoüç |.|.Èvöoúlouç šrrolnas voùç 3|-E šlsuäšpouç,

L'esplicarsi per via di contrasto (Auseirrariderretzung) costituisceper ogni cosa (per ogni cosa presente) il principio generatore (ciòche produce lo schiudersi) ma (altresí) la predominante custodia.Esso infatti fa apparire gli uni come dei, gli altri come uomini, faessere gli uni schiavi, gli altri liberi.

Cio che viene qui denominato nólzuaç è un conflitto che emergeprima di ogni cosa divina e umana. Non si tratta di una guerra ditipo umano. La lotta, cosí com'è concepita da Eraclito, è quella cheanzitutto fa si che l'ente (das Wesenda) si ponga come distinto nelcontrasto, e che acquisti la sua posizione, la sua condizione, il suorango. Nell'attuarsi di tale separazione si verificano delle crepe, dellescissure, dei distacchi e delle connessioni. È nell'esplicarsi vicende-vole del contrasto che si produce il mondo. (L'esplicarsi per via dicontrasto non sconnette né sopprime l'unità; -al contrario, la forma:È raccoglimento [lui-yoç]. I`Ió}tsp.a<:, e }tó_-for; sono la stessa cosa.)

La lotta qui considerata è un conflitto originario in quanto anzi-tutto origina i combattenti come tali; essa non costituisce un sem-plice attacco a qualcosa di già sussistente. La lotta è ciò che delineaed enuclea inizialmente l'inaudito, quello che non è stato fino allora

~ 72

GRAMMATICA ED ETIMOLGGIA DI ai ESSERE le

né detto né pensato. Questa lotta viene sostenuta, in seguito, da_chicrea: da poeti, pensatori, uomini di Stato. Essi gettano innanzi alpreponderante imporsi la massa compatta dell'opera e in essa ban-discono il mondo cosi dischiuso. È solo con queste opere che l'im-porsi, la rpúatg, viene in posizione (kommt... zum Stand) nelliesser-presente. Soltanto allora l'essente diventa, in quanto tale, essente.Questo divenir-mondo costituisce la storia propriamente detta. Lalotta come tale non fa solo sorgere l'essente, ma lo custodisce, essasola, nella sua stabilità. Quando cessa la lotta l'essente non scom-pare, ma il mondo si sottrae. L'essente non è piú sostenuto (vale adire garantito come tale). Non è piú, allora, che un dato, un risul-tato. La cosa compiuta non È: piú quella che è collocata entro deilimiti (situata, cioè, nella sua forma), ma non è nient'a1tro che il pro-dotto finito che, in quanto tale, è a disposizione di chiunque: il merosussistente, in cui nessun mondo piú si mondeggia, il disponibile dicui l'uomo si fa despota ed arbitro. L'essente diventa oggetto, siadi considerazione teorica (come aspetto, immagine), sia del fare,come prodotto, oggetto di calcolo. Ciò che originariamente mondeg-gia la cpúatç, diventa allora un dominio a sé, in contrapposizionealliarte e a tutto cio che si puo fabbricare e organizzare. L'originarioerigersi, in atto di schiudersi (das arsprfinglicb auƒgebende Sicbaarƒ-ricbterr) delle potenze dell'imporsi (der Gewalter: des Waltenden),il tpatúvzcrñatt inteso come apparire, nel senso piú elevato dell"epifaniadi un mondo, diventa allora visibilità palese di cose sussistenti. Lavisione intuitiva, originaria, che seppe intravedere, per la prima volta,in ciò che emergeva, l'abbozzo, il progetto, e cosí, individuandolo,produsse l'opera, diventa ora semplice considerare, semplice riguar-dare e rimirare. Il vedere rappresenta ora soltanto qualcosa di ottico(a l'occhio del mondo s di Schopenhauer, il puro conoscere... ).

Resta pur sempre l'essente. La sua ambiguità risulta piú che maiconclamata e diffusa, ma l'essere si è ritratto da lui. L'essente si

i mantiene nell'apparenza della sua stabilità solo in quanto è fattooggetto di mutevole e incessante industriosità.

-I

Allorché i creatori si sono allontanati dal popolo e vengono ap-

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Page 37: Heidegger Introduzione Alla Metafisica

_ INTRGDUZIONE ALLA METåFISICA.-r".-I

pena tollerati come delle semplici curiosità, degli ornamenti, comeeg origin estranei alla vita, quando il coriflitto autentico si arresta

e si trasferisce in pure polemiche, in intrighi e macchinazioni umanenell"ambito del sussistente, è segno che la decadenza è già iiicomin-ciata. Anche quando un'epoca, infatti, si adopera ancora solo r man-PCtenere il livello raggiunto e la dignità dell'essere proprio, il suo livellogià cala. Tale livello può mantenersi solo a patto di venire continua-mente oltrepassato in maniera creativa.

Per i Greci ti essere a significa s t a bili tà (Ständigkeít), ecio in duplice senso:

1. Lo stare in sé nel senso del prodursi, del pro-cedere (Erit-sreben): qiúetç.

i 2. Lo stare iii sé come tale, come qualcosa di << stabile ii, cherimane, di permanente (Verweilen): aüeñtr. -

Non-essere, per conseguenza, significa liuscire da tale stabilitàprocedura da se stessa: åšñezueàet. e Esisteiizas- ed e esistere ii-significano quindi, per i Greci, precisamente: non-essere L"insipienzae la faciloneria con cui ci si serve delle parole << esistenza si ed -a esi-stere s› per_ indicare l'essere testimoniano, una volta di piú, quanto

I -I Ici si sia a ontanati da esso e da una significazione ben altrimenti, inorigine, efficace e precisa.h Hräietç, E†it1.i.a'i.ç indicano il cadere, il declinare, ossia nient'altro _

c e l'uscire dalla stabilità della posizione e per conse enza il d l'. , gu , eci-iåare da essa. Vien fatto di chiederci come mai proprio queste dueenominaziotii sono invalse nello studio della lingua Il senso delle

Pflf01€ TFTUJUT-G - 5"rz7Lto't.ç, presuppone la rappresentazione di qualcosache si mantiene diritto. Come dicemmo, i Greci concepiscono anchela lingua come qualcosa diessente, alla stregua, cioè, della loru con-c:Izione dell'essere. Essente è ciò che è stabile e che si presenta comet e, l'apparente (das Erscbeinende) Quest'ultimo si man'f t- i es a pre-valentem t ll ' ' ' ' 'en e a a vista. I Greci considerano la lingua, in senso abbastanza lato, otticamente, cioè a partire dallo scritto. È qui che laIãarolqfiåetta si stabilizza _(koi'i:'mt... zum Ste/seri). Dire che la lingua

, sig ca che essa sussiste (ste/it) nell immagine scritta della a-. . _ Prola, nei segni della scrittura, nelle lettere: †aá.p.p.a-re.. È per questo

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GRAMMATICA ED ETIMULOGIA DI` -ti ESSERE ››

che la grammatica rappresenta la lingua in quanto veramente essente;mentre invece attraverso il flusso delle parole la lingua si perde nel-Finconsistente. Cosi, dunque, fino alla nostra epoca, la teoria dellalingua è stata interpretata grammaticalmente. Cionondimeno i Greciriconoscevano anche il carattere orale della lingua, la cptuvfi. Essi fon-darono la retorica e la poetica. (Tutto ci-ii non comportava, peraltro,di per sé, una determinazione adeguata dell'essenza della lingua.)

La considerazione determinante - della lingua rimane comunquequella grammaticale. Ora, fra le diverse parole e rispettive forme,essa ne incontra di quelle che costituiscono delle deviazioni, dellemodificazioni rispetto alle forme fondamentali. La fondamentale con-dizione del nome (sostantivo) è il nominativo singolare, ad esem-pio; 6 zúzìtoç, il cerchio. La condizione fondamentale 'del verbo è laprima persona singolare del presente indicativo, ad esempio: XÉTW,io dico. L"infinito è, per contro, un modo particolare del verbo(modus verbi), una Eyzàteic. Di che genere? Si tratta di determi-narlo. Lo si vedrà meglio con un esempio. Una forma del verbosuddetto, kšyw, è }«.éE,au.v¬:o: e essi (le persone di cui si parla) po-trebbero essere nominati, designati is - ad esempio, come traditori.Questa modificazione consiste, piú precisamente, nel fatto che .essafa apparire unialtra persona (la terza), un altro numero (il pluraleanziché il singolare), un'altra forma (passiva invece che attiva), unaltro tempo (aoristo in luogo del presente), un altro modo in sensostretto (non l'indicativo bensí il condizionale). Cio che nella parola).éEau.v-re viene nominato noniè preso come realmente sussistente,ma presentato come essente solo in modo possibile. ' '

Tutto questo la foi-ma flessa della parola lo mette in evidenza,permettendo, in pari tempo, di comprenderlo immediatamente. Porrealcunché in evidenza, farlo risultare, lasciarlo scorgere insieme a sé,è questo appunto il potere dell'ë1'it}.iu'Lç in cui la parola, già eretta,piega da un lato, s'inclina. Da cio l'espressione: ETEN-fl'LG 'flifl-PE!-If:pat-rtzóc. La parola napzucpnivm che la contraddistingue è opportuna-mente usata, se si tiene presente la concezione del fondamentale rap-porto all"essente come a qualcosa di stabile propria dei Greci.

L'espressione si trova, ad esempio, in Platone (Times 50 e ) , in

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-I-'

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"Ii

INTRODUZIONE ÀLLA METAFISICÀ

un importante contesto che tratta dell'essenza del divenire, di ciòche diviene. Divenire significa: venire all'essere. 'Platone distinguetre cose: 1. 'tò Twvótizvov, il divcniente; 2. 'rà šv tit †£†vs¬:o'.i., ciòin c ui esso diviene, il medium nel quale un divcniente si formae dal quale, una volta divenuto, vien fuori: 3. 'rà öñi-:v åcpauetoúusvov,ciò dal quale il divcniente trae il criterio della propria adeguazione,al quale si commisura, giacché ogni divcniente, quando diviene qual-cosa, assume previamente come modello cio che è destinato a divenire.

Per chiarire il significato di itrrpsutpaivui consideriamo il secondodei termini- suddetti. Ciò in cui qualcosa diviene è quello che noichiamiamo -it spazio s-. I Greci non hanno alcuna parola per e spa-zio ia. Né si tratta di un caso. Essi, infatti, non esperiscono cio cheoccupa spazio in base all'estensione (extemio), ma in base al luogo(rónoc) inteso come itihptt, che non significa né luogo né spazio, macio che risulta occupato da quello che vi si trova. Il luogo appartienealla cosa stessa. Le diverse cose hanno ciascuna il proprio luogo.Il divcniente è posto in questo spazio locale e ne è tratto. Ma affinchéquesto sia possibile, occorre che-lo -tt spazio :› risulti spoglio di ogniaspetto e che possa d'altra parte riceverli tutti. Se dovesse essereinfatti simile a uno qualunque degli aspetti che sono destinati a inse-rirvisi, assumendo allora delle forme in parte contrastanti, in partedi essenza del tutto diversa dalla propria, farebbe si che si produ-cesse una cattiva realizzazione del modello, in quanto si proporrebbeinsieme anche nel proprio aspetto. äiiopqiov üv åitsivt-iv åitaetiivrüv Låtüv Estate; 1.i.š}.}«.oi. Eåxsuåul rtoiisv. öuotov Trip Ev züiv šitstutúvztuv-rtvl. 'rà 'rfig åvtzvrútze; rå 'rs vñe; itupåauv &1.).'r|c; tpússwç 61:6-r 'Elöetösxóusvov zctziiiç fiv tlttpottotoì Thu uüzoü nupsutpuìvov ätlatv. Ciò incui le cose che divengono risultano poste- non deve effettivamentepresentare un proprio aspetto e una propria' apparenza. (Il riferi-mento al passo del Timeo intende chiarire non soltanto la connes-sione del natpsuqiaìvev e dell'öv, del con-apparire e dell'essere comestabilità, ma indicare anche, nel contempo, come a cominciare dallafilosofia platonica, in base cioè all'interpretazione dell'essere comeñöéa., si prepari la trasformazione dell'essenza, appena intravista, delluogo [-tórtag] e della ytuüpu, nello e spazio s definito attraverso

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GRJLMMFLTICA ED ETIMULOGIJK DI <4; ESSERE iv

l`estensione. Xtiipa: non potrebbe forse voler significare cio che sisepara da ogni cosa particolare, cio che si sottrae, cio che ammette,. - i '. to P Tor-precisamente, in tal modo, qualcos altro e_ *fi E11 fa F05 il ) bniamo alla suddetta forma lÉ`šfIW1fl- E553 üfffei 3 cluantc' sem mi› - - - ' ' ' ' ' chiamauna itatittltta di intenti significativi. È per questo che siiã-fzìttetç napsutpartzóç, una deviazione che è in grado di fare appa-. ` ' fondamen-rire con sé persona, numero, tempo, genere e modo. lCiò` _ uamütalmente avviene per via che la pflfßlfli H1 qufimü '13 ¢› É 11`1_<-1 1fa apparire (önìtaüv). Se accanto alla forma }tšE,rr.i.v¬:a ponianåo laforma ltšvstv, ossia l`infinito, ci troviamo di frontel a un aåtra r:;:nazione, Eyzltetç, dalla quale tuttavia n o n risu tano n pe _né numero né modo. In questo caso, l'iå'T*W-0'!-G G Il 511% ffi1"fiPP31'1:e. - - es odeterminante del significato denotano una mancanza. per qllmotivo che si dà ad essa il nome di l§T1¢7~1›Ul-G å-fifl«PEL1fPfl-¬¦W5€- A- - - ' ' ' azionequesta espressione negativa corrisponde in latíiìno 'la denominriducedi modus irifinirivus. Il senso della forma in nitivå non si fürmeai suddetti aspetti, come persona, numero---_ “É É 3 csi" C3? Essen;La traduzione latina di å-rtapfiilfpff-'mfiifi CU_f1 111: mio mfmlìsottolineata. Il significato greco, originario, riferentesi a aspettü 6all'apparire di ciò che si mantiene in se o s inclina, fè scopipäièsñì;Determinante rimane solo la pura rappresentflzlüflfi Orma 6limitazione.

Ora, a dire il vero, proprio in greco linfinito esiste oltre cheI-,E113 fm-ma passiva e' media anche in quella del presente, del per-fetto e del futuro, dimodoché liinfinito rivela perlomeno il' generee il tempo Cio ha condotto a una quantità di controversie circa

1|* 1' I ' I I I hi 'linfinito, che qui omettiamo. Solo un punto merita di essere c ia_ I-it0_ La fm-ma d¢1l'infiniro ìtéyatv, dire, può essere_šritlelsa cosí_da

. ,. 3.non far pensare piu al genere e al tempo, ma solo a ci c e genericmente il verbo esprime e fa apparire. Da questo punto di vista, ladesignazione primitiva greca rende particolarmeíite bene lo stato de dì

ti I ' I I

cose. Secondo il senso 'filfill ¢SPl'¢SS10}`1¢ 13-t_1fifi_ Ulfifildtü E lffi “P0 tparola che distacca cio che in essa viene significato a og_n1 rflppülf 0significativo determinato. Il significato viene tratto fuori lfisfffitffllda ogni particolare rapporto. In base a questa astrazione, Pmfinito

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ii~i'IjRoDUzIoNE ALLA METAFISICA

ci di soltanto quello che viene rappresentato in modo generale nellaparo a. È per questo che nella grammatica odierna si dice: liinfinitoe il ti concetto verbale astratto ::›. Esso si limita a cogliere e ad espri-mere astrattamente e in generale ciò che viene significato dal verboEsso designa soltanto questa idea generale. Nella nostra lingua l'in-finito e la forma che dà nome al verbo. Nella forma verbale e nelsignificato che liinfinito esprime vi è una mancanza, un difetto. Liin-finitp n o n fa p i ti apparire ciò che il verbo in altro modo rendemanifesto.____ __L'Ènfinito rappresenta altresi, nell'ordine di apparizione nel tempo

e e o;*me__ linguistiche, un_ risultato tardivo, anzi il piú tardivo.QUESUD _0_ S_1 scorge a propos_ito dell'infinito della parola greca la cuiproblematicità ha dato occasione al nostro esame., -r Essere is si dicalff ãffifiü Efvzt. Si sa che una lingua evoluta si e sviluppata da un diredialettale radicato originariamente nella terra e nella storia Cosi lalingua di Omero è _una mescolanza di diversi dialetti. Questi con-šer_vano___la_ fo_rma primitiva della lingua. È nella formazione dell'in-

n_i__to_c e_i dialetti greci si discostano maggiormente l'uno dall'altro,plnce ta g ot_tologia_ ha fatto proprio della diversificazione dell'infinitome ~=`I_I_I1 1____&S__$e___g_ni_Ii principale ti per la suddivisione e per il raggruppa-

n o ei ia etti si (cfr. Wackernagel, Vorlesungeri über Syntax, I,257 segg.).__ dEssere_fisi dic; in atti_co _sIvr.:.t, in arcadico ñvtzt., in lesbico ëuusvtit,__1'_:_____ üflììü IJ-2% ãseìte s__i dice in _latino esse, _in osco ezatm, in umbm______mr__1_'_:›'. išntrarn e e lingpe latina e greca i a modi finiti ›› risulta-

gi ssati e costituivano un patrimonio comune, mentre laëT*fi7\-I-°'l›-'-I åfifl-1PElJ-¢Pfi¢TU'-'-Ö; serbava ancora la sua particolarità dialettaleed era ancora soggetta ad" oscillazioni. Consideriamo questo fattoE:_i'i__:e qn segno chš 1 infiåiito ha, __nell'insieme della lingua, un signifi-

p eminente. esta a stabilire se la sopra accennata resistenzae durata delle forme infinitive si fondi sul fatto che l'infìnito rappre

I:auåšfirma verbale astratta e tarda, oppure sul fam, ,31-,E esso_____e______0 È dpale peåmarie sšibile a__l di sotto di ogni _da¢linazi0n¢ delf . ___ _ tron __e giusti cato lavvertimento a guardarsi da questaOrma VEI' 3 C Clell lnfiintü, in quäntü prüprlü essa, dal punti; di vigtg

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eaaiviiaarica su zriiviotosta ni -a ns ssaa s

- -- ' si nificazione delgrammaticale, e quella che comunica meno della g

verba' i 'd l arola << essere :››È un fatto pero che, a voler consi erare __ anella forma in cui siamo soliti parlarne, non labbiamo ancora per

.. 1 ii I I I- - - - _ es ressione ènulla chiarita pienamente. Noi diciamo. a lessere ›› L pdata dal premettere liarticolo e dal trasformare la foi'1T1=.1__ _fl›S'fi1'í-ma. ir ' "'-dell'infinito in un sostantivo: *rà Elvfls. L t=\1'I1C_:1l0 Fi 111 gšílgilrãiicaìg

. il ' ' Cpronome dimostrativo. Esso significa che ciò Â: e v_ieneL denümina_ _, . - ir ' ___ a --

sussiste, per cosi dire, di per Sv. 6 In tal mo o :ct e si fu _zione indicativa e mostrante ha sempre, nellla l_1ng\:1___==`l› fllìüstå'-“ä_°_;e- - : iu -preminente. Il dire semplicemente a essere sf ascia _g1fl P ammaticale

. - - * 1'terminato 'cio che si vuol dire. Con_la tras ormazione _ _dell"infinito nel sostantivo verbale, il vuoto in esso gia sussisten e. - - ' ' ssere si vienerisulta, per cosí dire, ulteriormente consolidato. << e _inteso a stregua di oggetto consistente. a: Essere ››, come sostantivo,. - - r ' ' ure. Cosisottintende che ciò che viene cosi chiamato -ti sia :› esso__p _ ___ti l'essere si diventa esso stesso qualcosa che -s è :si bfifiche 513 C lamche soltanto l'essente è, e non anche, a sua volta, l'essere. Suppo-

*nendo che l'essere fosse esso stesso qualcosa di essente nell'ambitoll t dovremmo pure poterlo trovare, tanto piu che il fatto

de ,Essen ci ' h do non co liamodi essere essente ci si presenta nell essente anc e quan Ein particolare le sue caratteristiche._ _ _ ___ ___

Comiè dunque possibile meravigliarsi ancor;-i del fattq cs: _______ii*_.í'›___-__' lti una parola tanto vuota quando già a orme S CSsere risu _ .

rola tende allo svuotamento e a un apparente Cüflfiülldfimfimfl dipa _ _ _ .1 e l'essere ›› ci serve di avvertimento.questo vuoto? Questa paro a, i _

~Non ci dobbiamo lasciare attrarre dalla forma verbale sostantivata,' ' ' hiudere nell'astra-h è la iú vuota Non ci dobbiamo nemmeno rincc e -zione dell'infinito << essere ›› Volendo pervenire alliessere, partendo. - - ii' ' I iù)iuttosto all io sono, tu sei, egli (E552, ¢1dalla lin a atteniamoci p _gu ' - ' Ma cono ecc io ero noi eravamo, essi sono stati, ecc.èi mi Siam 1' "' ' .._ i ' `fi I rtico

to la comprensione di cio che lessere signi ca ne caso pa _ques I - - - * ' on risulta iú chiara Alare e di ciò in cui la sua essenza consiste n Pcontrario! Facciamone la prova. _ _- i . iascuno puòNoi diciamo- e io sono s. L essere cosí designato c

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INTRODUZIONE ALLA METAFIS ICA.

riferirlo solo a séš il mio essere. Dove si trova e in che consiste? Inapparenza, è quello di cui dovremmo piú facilmente venire in chiaro,dato che a' nessun altro essente siamo piú vicini che a quello che noistessi siamo. Nessun altro essente lo siamo noi stessi. Ogni altroessente à pur sempre e di già anche quando noi stessi non siamo.Apparentemente, sembra che a nessun altro essente possiamo esserecosi vicini come a quello che noi stessi siamo. Anzi, non possiamonemmeno propriamente dire di essere e vicini is all'essente che noistessi siamo, dato che lo siamo noi stessi. Eppure, s'ìmpone qui unaconsiderazione: ciascuno è il piú lontano da se stesso, altrettantolontano quanto l'io dal tu nell'espressione ti tu sei is.

_Ma quello che oggi conta è il noi. Oggi è il a tempo del noi isanziché delliio. Noi siamo. Che essere è quello indicato nell'espres-sione? Diciamo anche: le finestre sono, le pietre sono. Noi siamo.Forse inerisce a questa enunciazione la constatazione della presenzadi una pluralità di io? E che pensare dell'<< io ero ›› e del e noi era-vamo s›, dell'essere al passato? È trascorso via da noi? O nois i a m o precisamente quello che eravamo? E non diventiamo pre-cisamente quello che si a m o?

La considerazione delle forme d e t e r m i n a t e verbali diti essere si ci consente tutt'altro che di venire in chiaro dell'essere.Ci pone anzi di fronte a una nuova diflicoltà. Paragoniamo l'infinitotedesco .tagen (dire) e la forma icb saga (io dico) con l'infinito sein(essere) e la forma icb bin (io sono). << Essere za (sein) e ti sono si(icb bin) ci si rivelano, in tedesco, come parole di radice difierente.Quanto alle forme del passato: war (ero) e geweren (stato) diffe-riscono a loro volta da entrambe. Ci troviamo cosí davanti al pro- " "blema delle diflerenti radici della parola e essere i›.

2. Uetimologia delia parola e essere ii.I.

'I'li

Cerchiamo di ricordare in primo luogo, brevemente, quanto lalinguistica c'insegna a proposito delle radici che ricorrono nella coniu-gazione del verbo -ti essere a. Le attuali cognizioni in proposito sono

oaaaiitiarica an zriiviotoeia ni << zsszas ››

tutt'altro che definitive: e ciò non tanto per il fatto che possane- - - ' e che uellosopravvenire nuovi dati, quanto perche è da attender _ __q

che finora si conosce venga riesaminato secondo nuove visuali e unmodo piú genuino d'impostare i problemi. Tutte le varie coniuga-zioni del verbo -ti essere ii- risultano da tre diverse radici.

Le prime due sono indogermaniche e compaiono anche flellßparole greche e latine col significato di << essere s›. _ _

1 La piú antica e genuina è e es si-, in sanscrito -tt asus is, a- - - -s - -' * *' * ' e ri osa:vita, il vivente, cio che in se e di per se sussiste, si muove __ p

Pautosussistente (das Eigenrtändige). A cio si riferiscono.. 111 San'scrito le formazioni verbali esmi. f-*fi f-Wi flímf- Vi ¢0f1'ì5P°nd°“°=I s

in greco, ein( ed slvtti., in latino e.mm_' ed esse. Vi appaÉ':f__e__1:__1å_*~š1_EH;íJanche, in latino: saint, e, in tedesco: sind (SUHÉ) ff -fi” _ ' 'È da notare che in tutte le lingue indogermaniche la è :›› (f'5'5¬-'I-`“'›est...) sussiste fin dall'inizio. '

2 L'altra radice indogermanica suona bbti, bben. Ad essa siriattacca il greco vúwt Sfhiüdfifäìi imP0f5i-__Pf¢d°mi“a'_¬::ii V:ll_:F____;___"posizione e perrnanervi di per se. Questo _b n e_ sta__to nei _ _secondo la concezione comune e superficiale di ¢'U°"-Q 6 dl <l1'UEW›come natura e come -a crescere ii. In base alla interpretazione piu.. . - - ìlecre-originaria, che ci proviene dagli inizi della filosofia grecfl, __sc-ere is (wacbscn) si rivela come uno schiudersi lflfifåfbfflli 1quale a sua volta rimane determinato dall'esser-presente (Anivesenl1 I 1

- - ' ' ' ' la radicee dall'apparire (Erscbeznen). Oggi si preferisce ricondurre ___ _(pu, 3 q,m._ ,_-pajega-ö|1t_ La tpúirtc, sarebbe, di conseguenza, ciò c e vienealla luce schiudendosi, e tpústv varrebbe come rilucere, mostrarsi, *fi

- ' ' " . rachfor-per conseguenza, apparire (cfr. -ti Zeitschrift fur vergl Spschung is, vol. 59).

Anche il perfetto latino fui, faro; il tedesco bit! lS0l'10)› 5551 (Sei) .-wir birn, ibr bist (noi siamo, voi siete: forme scomparseb dal ã_flV :E:colo) usufruiscono della medesima radice: ___L imperativo rs (__ isfinWeib: sii la mia donna) si è mantenuto piu a lungo accanto a e ormeancora persistenti bin e bist. i

3 La terza radice: wes (sanscrito: aasarni, germanico: weiflfi l 1' ~ ' ti ii _ - ' E Erisiedere, ristare, trattenersi, compare solo nella comugazien

so ' 31

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tivraoouzioria .stia it-izrasisica

verb_o germanico sein; a aes si ricollegano Fastin, Fá.a'-ru, vasta,iiestrbnlntn. Da cui si formano, in tedesco: gewesen (stato): e poi:was, war (era), er west (è, nel senso di ti esiste ii), wesen (essere).Il participio wesenal si mantiene anche in an-werend (presente,astante) e in ab-wesend (as-sente). Il sostantivo Wesen originaria-mente non significa l'essenza (Was-sein), la qnidditas, ma il durarecome presente, la pre-senza (An-weren) e l'as-senza (Ab-wesen).?LIfiI”1t_o_al -sent del latino pra_e-.reni e ab-reni _è andato perduto. Laormu a. Di: con-sentes, non significa forse: gli dei compresenti?

Da_queste tre radici desumiamo le tre significazioni chiaramenteìleterminate fin dall'origine di: vivere, schiudersi, _permt_inere. Laing_ui_stica le con_stata. Essa constata altresi che questi significati pri-

mitivi sono oggi scomparsi, mentre quello che persiste è solo ilsignificato -ci astratto ii di tt essere ››. Ma a questo punto ci si pre-senta una domanda :decisiva: come si accordano e in che cosa con-ìíefßfiflfl lv tre radici citate? Cosa è che regge _e dirige il dire del-

essere? su _che si foncla il nostro dire dell'e s s e r e secondo levarie fle'-ssioni della lingua? Questo dire e la comprensione dell'es-:_c___i_p___:t;:io ici no_ la stessa cosa? Come_è presente (west), nel dire

_ _ _re, a differenza fra lessere e lessente? Per quanto preziosesi rivelino le constatazioni suddette della linguistica, non ce ne pos-siamo appagare. È infatti solo dopo queste constatazioni che occorredar principio al d o m a n d a r e.

C'à una serie di domande che ci dobbiamo porre: '1. Quale tipo di tt astrazione ii era in gioco nella formazione

della parola -ci essere ››?2. Si può, d'altra parte, parlare qui veramente di astrazione?3. Qual è, in definitiva, il significato astratto che è rimasto?

___________S_ 4á_vì'::'e1_l____Pfücesso che q_ui ci _si rivela _- ossia che significati,_ _ perienze, si sviluppino in unità cosí da dar luogo

a un sistema di flessioni di u n determinato verbo (e non di unoqualsiasi) - può questo processo spiegarsi semplicemente col direche qualcuno di questi significati si è perduto strada facendo? Dauna sparizione pura e semplice non puo risultare nulla, nulla perlo-

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GRAMMATICA ED ETIMOLOGIA DI si ESSERE ni __

meno che possa conciliare e fondere in un solo significato quantorisultava originariamente difierente.

5. Qual è il significato fondamentale predominante che puèaver presieduto alla fusione verificatasi? _

' 6. Qual è Pintenzione significativa che si è mantenuta attra-verso ogni possibile obliterazione causata da questa mescolanza?

7. Non deve proprio liintima storia di questa parola ti essere isvenir sottratta alla solita equiparazione con l"origine etimologica dialtre parole purchessia, dato che i suoi stessi significati basilari (vi-vere, schiudersi, permanere) denotano, e con cio stesso rivelano,tutt'a1tro che delle semplici particolarità nel campo del dicibile?

8. Il senso dell'essere che, stando alle interpretazioni pura-mente logiche e grammaticali, ci si presenta come -rt astratto :› e comequalcosa, per conseguenza, di puramente derivato, puo essere inse stesso pieno e originario?

9. E tutto questo si può mettere in luce in base all'essenzadella lingua colta originariamente?

Nella fondamentale domanda metafisica che ci proponiamo: << Per-ché vi è, in generale, l'essente e non il nulla? ›› già si fa strada ladomanda preliminare: che cosa ne à dell'essere?

Che cosa intendiamo con le parole «ct essere :i-, -a l'essere is? Ten-tare di rispondere significa trovarci subito in imbarazzo. È un volercogliere Pinaflerrabile. Con tutto ciò, noi siamo continuamente at-tratti dall'essente, inseriti in esso, portati a considerare noi stessi comedegli -s essenti ››. -

a Liessere si-, per ora, non è per noi che un semplice vocabolo, untermine frusto. Se non altro, bisogna che cerchiamo almeno d'impa-dronirci di questiultimo resto rimasto in nostro possesso. Chiediamopertanto: che ne è della p a r ola essere?

A questa domanda abbiamo già risposto per due vie che ci hannocondotto alla grammatica e all'etimologia della parola. Riassumiamoil risultato di questa duplice. spiegazione della parola -tt essere is.

1. La considerazione grammaticale della forma della parolaci ha fatto conoscere che all'infinito i modi determinati del si nificatoE

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INTRODUZIONE ALLA METAFISICÀ.'I'

,pi -iidel verbo non risultano piu apprezzabili; sono stati obhterati. Quantoalla sostantivazione, essa non fa, in ultima analisi, che rafforzare eobbiettivare questa obliterazione. La parola diventa un nome chedesigna qualcosa di indeterminato. 1 '

2. La considerazione etimologica del significato della parolaci ha mostrato che quello che noi oggi, e da\ gran tempo, designamocon la parola e essere ii non è, quanto al significato, che una fusione,allo stesso livello, di tre diversi significati basilari, nessuno dei qualiperaltro rientra piú, in modo proprio e distinto, nel significato delnome. Questa fusione e quella obliterazione si implicano a vicenda.In questo duplice processo troviamo pertanto una sufficiente giusti-ficazione del fatto da cui siamo partiti, e cioè che la parola -s essere siè una parola vuota, dal significato evanescente.

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caPt'roi.o iii

LA DOMANDA SULUESSENZA DELUESSERE-1

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Abbiamo trattato della parola e essere a per penetrare il ffiflüin questione e collocarlo cosí al posto che gli spetta. N_on inten-diamo pero assumere questo fatto cosí alla cieca, come se si trattassedel fatto che ci sono dei cani e dei gatti. Vogliamo pervenire a unapresa di posizione nei conftonti di questo fatto come tale. E __lo vo-gliamo, anche a costo che questa -s volontà s possa farci apparire deifissati o degli sprovveduti, estranei alle cose di questo müfldfli ¢3Pfl¢fdi prendere per reale cio che è inattuale e irreale, rimanendo attaccatiall'analisi di semplici vocaboli. Noi intendiamo venire in chiaro diquesto fatto. Frutto della ricerca fin qui condotta è la constatazioneche la lingua procede, nel corso della sua evoluzione, alla formazionedi -a infiniti s, come ad esempio tt essere su 8 Clic CSSH con il_tempo_hafatto sí che il significato di questa parola divenisse logoro e impreciso.Ormai la cosa sta in questo modo. Anziché venire in chiaro del fattoin questione, non abbiamo fatto che constatare un altro episodiodella storia della lingua, che si aggiunge o consegue al Pfiffifidente:

Se ora, di fronte a questi fatti attinenti la storia della lingua, cirifacciamo da capo e ci chiediamo perché essi sono come sono, laspiegazione che possiamo addurre rischia di non risultare per questopiú chiara, ma semmai ancora piú oscura. Il fatto che, per quantoriguarda la parola a essere ia, la situazione sia _quella che è, non fache irrigidirsi nel suo irrefutabile carattere di fatto. _ È da tempo,tuttavia, che si è giunti a questo punto. A questo si connette _delresto il normale modo di procedere della filosofia, allorché_ diphiarain partenza che la parola ai essere a è quella ch__e presenta il signifipatopiú vuoto e in pari tempo il piú comprensivo._ Quello che vienepensato con questa parola, il concetto, è dunque il concetto generico

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INTRODUZIONE ALLA META FI SICA.

piú elevato, il genna. Inverità, possiamo anche riferirci all'ens ingenere di cui parla liantica ontologia, ma oltre a cio non vi è certa-mente piú nulla da cercare. Voler legare il problema decisivo dellametafisica a questa vuota parola: e essere is, significa voler tutto con-fondere. Non resta, a questo punto, che una possibilità: riconoscerecome dato di fatto acquisito la vuotezza della parola e lasciar perdere...Il che sembra ora di poter fare con animo piú tranquillo, avendochiarito storicamente il fatto merce la storia stessa della lingua.

Abbandoniamo dunque il vuoto schema di questa parola: ai es-sere si Ma per andar dove? La risposta non è dificile. È il casosemmai di meravigliarci di esserci potuti intrattenere cosí a lungo edettagliatamente sulla parola -ci essere ii. Abbandoniamo dunque que-sta vuota e generica parola: ti essere :››, e rivolgiamoci piuttosto aivari ambiti specifici dell'essente. Abbiamo, per questo scopo, unaquantità di cose che si pongono senzialtro a nostra disposizione.Tutte cose immediatamente disponibili, tutto il materiale che ma-neggiamo ogni momento: utensili, mezzi di locomozione, ecc. Se poiquesto particolare tipo di ente ci sembra troppo comune, non abba-stanza raflinato o idoneo a suscitare le emozioni della a metafisica ››,possiamo rivolgerci alla natura circostante: campagna, mare, monti,fiumi, boschi..., o a quello che vi s'incontra in particolare: alberi,uccelli, insetti, erbe, pietre... Se andiamo in cerca di un ente piúpossente, ecco, a noi vicina, la terra. ti Essente is, al pari della piúvicina catena di montagne dietro la cui cima sorge, è la luna: unpianeta. E anche la folla è essente, la calca umana, in una via animata.Siamo essenti noi stessi. Essenti sono i Giapponesi. Essenti le fughedi Bach. Essente la cattedrale di Strasburgo. Sono essenti gli inni diHölderlin. Essenti i delinquenti. Essenti i pazzi di un manicomio.

Essenti sempre, ovunque, a volontà. Certamente. Solo, dondetraiamo noi la consapevolezza che tutto cio che presentiamo ed elen-chiamo con _tanta sicurezza sia veramente un e s s e n t e? Pare unadomanda assurda, dato che noi possiamo, in ogni caso, senza alcunapossibilità di dubbio (almeno per una persona normale), constatareche un certo essente è. Sicuro. [Non è nemmeno necessario, perquesto, usare le parole ai essente a e -s l'essente ir, estranee al lin-

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La noiuauna sutifisssanza nai.L'Esszaz

guaggio comune.] Ne' ora pensiamo a dubitare che tutti questi enti,in generale, non' siano, basando il nostro dubbio sulla pretesa con-statazione scientifica che noi non sperimenteremmo, che le nostresensazioni, né usciremmo dal nostro corpo cui tutto quello cheabbiamo testë nominato rimarrebbe legato. È infatti da dire anzituttoche simili considerazioni, capaci di darsi, con tanta facilità e a buonmercato, un'aria eminentemente critica e superiore, sono affatto desti-tuite di spirito critico. '

In realtà l'essente noi lo la s cia m o essere cosi come nellaI I , .t 1 1 1 r

vita di tutti i giorni, o nelle ore e nei momenti decisivi, ci sollecitae ci assale, ci solleva e ci opprime. Lasciamo ogni essente e s s e r ecosí com'è. Ma è proprio quando ci abbandoniamo cosi, spontanea-mente e senza alcuna complicazione, al corso della nostra esistenza(Da-sein) storica, quando lasciamo che Pessente sia, di volta in volta,quello che è, che ci troviamo, nonostante tutto, nella necessità di sa-pere già che cosa significa e è ›› ed -s essere s.

E come stabilire, d'altra parte, che in un certo tempo, in un certoluogo, un supposto essente non è, se non siamo già in grado_ didistinguere con chiarezza fra essere e non essere? E come compierequesta decisiva distinzione, se non sappiamo, in modo altffittflfltüdecisivo e determinato, che cosa significhino l'essere e il non essereche vengono qui appunto distinti? Come puo, nel caso_ specifico e ingenerale, un essente essere per noi un essente, se prima non .com-prendiamo che cosa significhino -ti essere ›› e _a non essere ia? _

Ora, noi c'imbattiam_o sempre in qualche essente. Distinguiamoil suo essere cosí o in altro modo, giudichiamo dell'essere e del nonessere. Veniamo cosí, senza incertezze, a sapere che cosa significhiai essere »›. Sostenere, a questo punto, che questa parola è vuota eindeterminata sarebbe pertanto un parlare superficiale ed erroneo.

Veniamo cosí a trovarci, in base a tali considerazioni, in una situa-zione altamente contraddittoria. Abbiamo constatato, all'inizio_, chela parola ti essere ›:› non ci dice nulla di determinato. Né ci siamo,dopotutto, ingarinati: infatti abbiamo trovato, e ci consta tuttiìira,che -s essere ›› ha un significato evanescente, impreciso. D'altronde le

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INTRODUZIONE ALLA METAFI S ICA

considerazioni fin qui fatte ci dànno la convinzione di distinguerebene e con sicurezza l'essere dal non essere. '

Per raccapezzarci bisogna fare attenzione a quanto segue. Si puocerto dubitare che in un luogo o in un tempo qualsiasi un singoloente sia oppure no. Ci si puo ingannare, ad esempio, sul fatto chequella finestra, che pure è un ente, sia chiusa o n o n lo s ia.Eppure, anche perché semplicemente una cosa di tal genere possavenir posta in dubbio, occorre che sia presente una precisa distin-zione fra essere e non essere. Quello di cui, in questo caso, nondubitiamo affatto, e che l'essere sia diverso dal non essere.

Per quanto la parola -a essere is risulti indeterminata nel suosignificato, nondimeno la comprendiamo in modo determinato. a Es-sere » si rivela cosi come qualcosa di pienamente indeterminato alta-mente determinato. Secondo la logica comune vi E qui una contrad-dizione evidente. Ma cio che si contraddice non può essere. Nonesiste un circolo quadrato. E tuttavia questa contraddizione - l'es-sere completamente indeterminato e tuttavia determinato -› esiste.Se non vogliamo ingannarci, se, in mezzo ai molti affari e impegni'della giornata, ci concediamo un attimo di riflessione a questoriguardo, ci capita di sorprenderci nel bel mezzo di questa contrad-dizione. Questa nostra situazione è reale come nessun'altra: certopiii reale che cani e gatti, automobili e giornali.

Il fatto che liessere sia per noi una parola vuota assume improv-visamente tutt'altro aspetto. Diventiamo finalmente diflidenti neiconfronti del presunto vuoto della parola. Riflettendo piú attenta-mente su questa parola risulta alla fine questo: malgrado ogni obli-terazione, mescolanza, genericità del suo significato, noi pensiamoin essa qualcosa di determinato." Questo qualcosa di determinato ècosí determinato e unico nel suo genere che occorre fare la seguenteaggiunta: quell'essere che tocca a qualsiasi ente e che si sperde cosíin cio che vi è di piú comune, è, per eccellenza, quanto vi è di piúunico.

Qualunque altra cosa, comunque possa essere, anche se unica,puo venire ulteriormente paragonata ad altro. Con questa possibilitàdi comparazione aumenta la sua determinabilità. Ed è in virtú di

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La ooiaanoa sUi.L'zssai~:za nzLL'zssziiz

questa determinabilità che essa si trova in una condizione, sotto moltiaspetti, di indeterminatezza. L'essere, per contro, non puo essereparagonato con nessun'altra cosa. Solo il nulla è per lui l'altro. E quinon c'è nulla da paragonare. Se l'essere rappresenta, cosi, quanto viè di piú unico nel suo genere e di piú determinato, allora anche laparola a essere a non puo rimanere vuota. E, in verità, essa non àmai vuota. Ce ne convinceremo facilmente con un paragone. Quandonoi percepiamo la parola ti essere ii, udendola come forma sonora ovedendola scritta, essa ci appare tosto come qualcosa di affatto diversoda un seguito di suoni e di lettere, come ad esempio << abracadabra is.Anche questo è un seguito di suoni, ma noi, in questo caso, diciamoimmediatamente che è privo di senso, anche se può averne comeformula magica. Per contro, -ti essere za non è in tal modo privo disenso. Cosí a essere ››, visto scritto, è tutt'altro da a kzomil ra. Talecombinazione scritta è anch'essa un seguito di lettere, ma tale chenon fa pensare a milla. Non esistono parole vuote: ci sono bensiparole usate, che mantengono ancora pero un certo contenuto. Ilnome e essere a mantiene ancora la sua forza di appellazione. Pro-porsi di abbandonare 1"-a essere is, come parola vuota di senso, perrivolgersi all'essente in particolare, è cosa non solo avventata maoltretutto eminentemente incerta. Riflettiamo su tutto questo ser-vendoci, ancora una volta, di un esempio, il quale d'altronde, comeogni esempio addotto nella nostra questione, non può chiarire la fat-tispecie in tutta la sua portata, e deve per conseguenza essere circon-dato di riserve.

In luogo del concetto generale di a essere ›› prendiamo, ad esem-pio, la rappresentazione generale di a albero :›. Per esprimere e .pre-cisare che cosa sia Pessenza dell'albero occorre staccarci dalla rap-presentazione generale e rivolgerci a particolari specie di alberi e asingoli esemplari di questa specie. È un procedimento questo cosídi per sé ovvio che quasi esitiamo a sofiermarci su di esso in det-taglio. La cosa tuttavia non è c o sí semplice. Come possiamo, ingenere, trovare questo particolare di cui tanto si parla, alberi singolicome ta 1 i, in qu an to alberi; come possiamo, in linea di mas-sima, anche solo c e r c a r e qualcosa del genere, come un albero,

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INTRUDUZIUNE *LL* METAFISICA La nowiivua suLi.'zsszi~:za oEi.i.'zsszaz

se non abbiamo già da prima la chiara rappreseniazione di quelloche sia un albero in generale? Se questa rappresentazione generaledi albero fosse davvero cosí indeterminata e confusa, cosicché essanon potesse darci alcuna sicura indicazione nel nostro cercare e ti¬o-vare, potrebbe accadere che invece di questi noi prendessimo comecasi particolari, determinati, come esempi d'alberi, delle automobilio dei conigli. Per quanto possa essere esatto che noi, per determi-nare piú da vicino i molteplici aspetti dell'essenza e albero ii, dob-biamo passare attraverso il particolare, permane tuttavia almenoaltrettanto esatto che Pelucidazione di questa multiformità e dell`es-senza si attua e progredisce solo in quanto ci rappresentiamo e cono-sciamo in modo piú originario l"essenza generale e albero s›,, vale adire l'essenza -ci pianta ii, che è come dire l'essenza a vitale a eti vita is. Per quanto possiamo considerare migliaia e migliaia dialberi, se il sapere via via dispiegantesi di cio che costituisce l'alberocome tale non ci illumina dapprima e non si definisce visibilmentea partire da sé e dal proprio fondamento essenziale, una simile im-presa rimarrebbe del tutto vana: noi vediamo semplicemente deglialberi, non. lialbero. .

Per quanto riguarda il significato generale di -ci essere a, si po»-trebbe tuttavia a buon diritto replicare che, dato che esso è il piúgenerale, la rappresentazione che lo concerne non può risalire aqualcosa di piú alto. Nel caso del concetto piú elevato e piú generaleil rinvio a cio che si trova a sotto ia di lui non costituirebbe soltantouna valida raccomandazione, ma anche l'unica via per trionfare delvuoto. .

Per quanto rilevante questa considerazione possa apparire, essatuttavia non è vera, per due motivi almeno: '

l. Ci si può chiedere, in primo luogo, se la generalità del-l'essere sia quella stessa del genere (genus). Già Aristotele intuíquesto problema. Resta quindi problematico se un singolo ente possa,in linea generale, servire come esempio per l'essere come questaquercia, per a l'albero in generale a. È dubbio che i modi del-l'essere (essere come natura, essere come storia) costituiscano altret-tante a specie a del genere << essere a.

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2. La parola ai essere ›› è bensi un vocabolo di carattere gene-rale e, in apparenza, una parola come le altre. Ma questa apparenzaè fallace. Questo nome, e cio che è da esso indicato, è unico nel suogenere. È per questo che ogni tentativo di illustrarlo per via diesempi è in fondo assurdo; e cio proprio in considerazione del fattoche ogni esempio prova sempre, nella fattispecie, non qualcosa dipiú, ma qualcosa di meno. Se, piú sopra, è stata richiamata liatten-zione sulla necessità di sapere già in precedenza che cosa significasi albero a, per poter ricercare e trovare quello che costituisce laparticolarità delle varie specie di alberi e degli alberi singoli, cio valein modo ancor piú decisivo per l'es'sere. La necessità di comprenderegià in anticipo la parola a essere ›› è la piú alta e ineguagliabile. Ed èper questo che dalla a generalità ia dell'<< essere ›› in rapporto a ogniente non consegue che dobbiamo al piú presto distogliercene perrivolgerci al particolare. Risulta piuttosto il contrario, ossia che dob-biamo attenerci ad esso ed erigere in sapere la particolarità unica nelsuo genere di questo nome e di ciò che esso designa. '

Di contro al fatto che la parola a essere ›› rimane per noi, quantoal senso, uniombra vaga, sta il fatto che noi, d'altra parte, compren-diamo l'essere e lo distinguiamo con sicurezza dal non essere. Questofatto non si aggiunge semplicemente al primo, ma forma con essoun"unità. Questa unità ha intanto perso per noi del tutto il semplicecarattere di fatto. Non si tratta di qualcosa che sia possibile rinve-nire fra la moltitudine_ delle altre cose sussistenti come qualcosa, asua volta, di sussistente. Ci corre anzi il sospetto che in quello cheabbiamo finora preso' come un fatto si verifichi qualcosa. E che questoavvenga in un modo che oltrepassa il normale andamento delle cose.

Prima tuttavia di sforzarci di cogliere, nella sua verità, ciò chesi verifica nel fatto suddetto, facciamo un ultimo tentativo di assu-merlo come qualcosa di noto, come una cosa qualsiasi. Poiiiamo chequesto fatto non sussista. Supponiamo che questo significato indeter-minato dell'essere non si dia, e che non comprendiamo nemmeno ciòche vuol dire. Che cosa ci sarebbe allora? Solo una parola di menonella nostra lingua? No. Non ci sarebbe allora ingenerale alcun linguaggio. Non succederebbe piú,

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INTRODUZIONE .ÀLLA METÀFI S ICA

affatto, che, nelle parole, l'essente si schiudesse c o m e t ale,che potesse essere evocato e discusso. Poiché dire l'essente cometale, significa " comprendere anzitutto l'essen__te come essente, vale adire il suo essere. Supposto che noi non comprendiatno per nullal'essere, supposto che la parola <1: essere s non avesse nemmeno quelsignificato evanescente, ebbene, in tal caso non ci sarebbe piú, asso-lutamente, alcuna parola. Noi stessi non potremmo essere in alcunmodo dei d ic e n t i. Non potremmo in alcun modo essere quelloche siamo. Poiché essere uomo significa essere uno capace di dire(ein Sagender). L'uomo è uno che dice di sí o di no solo perché è,nel fondo della sua essenza, un dicente, è il dicente. Questo costi-tuisce la sua distinzione e, in pari tempo, la sua miseria. Essa lodistingue dalla pietra, dalla pianta, dallianimale, ma altresí dagli dèi.Anche se avessimo mille occhi, mille orecchie, mille mani, molti altrisensi ed organi, qualora la nostra essenza non risiedesse nella potenzadel linguaggio, tutto liessente rimarrebbe chiuso per noi.: l'essenteche noi siamo non meno di quello diverso da noi.

Volendo pertanto gettare uno sguardo retrospettivo su quanto.è stato fin qui detto, le cose ci si presentano nel modo seguente. Conlo stabilire, in primo luogo, come dato di fatto, questa cosa (per orapriva di nome), che l'essere non è per noi che una parola vuota, disignificato evanescente, abbiamo abbassato l'essere e lo abbiamo,conseguentemente, declassato dal suo vero rango. Per contro, il fattoche noi comprendiamo l'essere, anche se in un modo indeterminato,ha per il nostro esserci il piú alto valore, in quanto vi si manifestauna forza nella quale si fonda tutta la possibilità essenziale del nostroesserci. Non si tratta di un fatto qualunque, ma di qualcosa che peril suo peso esige la piú alta valutazione, a patto che il nostro esserci,che E sempre qualcosa di storico, non rimanga per noi qualcosa diindifierente. D'altronde, anche perché il nostro esserci possa rima-nere per noi un"entità indifferente, occorre comprendere Tessere.Senza questa comprensione non saremmo neanche in grado di diredi no al nostro esserci.

Solo con Papprezzare nel suo giusto valore la preminenza da ac-cordarsi alla comprensione deIl'essere in generale, possiamo mante-

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La nomanna sULL'EssENza r:›zLr.'essaaz

nere a quest'ultimo il suo rango. In che modo poi si possa valutarequesto rango, conservargli il suo pregio, è cosa che non' dipende dalnostro arbitrio. . *

Proprio perché la comprensione delliessere dapprima e per lo -piú va smarrita in una significazione imprecisa, pur rimanendo d'al-tronde oerta e determinata in questo sapere; proprio perché, di con-seguenza, la comprensione dell'essere, malgrado tutto il suo valore,risulta oscura, confusa, coperta, nascosta; proprio per questo essadeve venire chiarita, districata, sottratta al suo nascondirnento. Ciòpuò avvenire solo a patto di interrogarci su questa comprensione cheassumemmo già come semplice fatto, a patto di porla in discussione.

L'interrogare è la sola maniera legittima e appropriata di pren-dere in considerazione ciò che dalla sua posizione suprema mantieneil nostro essere nella sua potenza. Questa nostra comprensione del-l'essere, e ancor piú l'essere stesso, è il problema che piú di tuttimerita d'essere discusso. Il nostro interrogare risulta tanto piú auten-tico quanto piú ci atteniamo con aderenza e costanza a ciò che piúmerita di essere investigato, e precisamente al fatto che l'essere è ciòche per noi risulta compreso, in rnodo completamente indeterminatoe tuttavia eminentemente determinato. *

Noi comprendiamo la parola a essere a, e, per conseguenza, tuttele sue modificazioni, per quanto possa sembrare che questa compren-sione resti indeterminata. Ciò che noi comprendiamo e che in generesi s c h 1 u d e in qualche modo al nostro comprendere, diciamoche ha un senso. L'essere ha dunque, nella misura in cui viene com-preso, un senso. Sentire e concepire l'essere come la cosa piú degnad'essere investigata, discussa, ricercarlo autenticamente, non signi-fica altro che questo: interrogarci sul senso dell'essere.

In Seírr and Zeit, per la prima volta nella storia della filosofia,il problema relativo al senso delliessere viene posto e svolto proprioc o m e p r o b le rn a. Viene qui anche diffusamente detto e spie-gato che cosa s'intenda per e senso s- (e cioè Papertura dell'essere,e non solo delliessente come tale; cfr. Sein amd Zeit, §§ 32, 44, 67).

f Perché dunque quello che abbiamo testé menzionato non pos-siamo piú definirlo un fatto? Perché questa definizione era fm da

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. INTRUDUZIGNE M-Lå METÂFISICPI _ La norvtanna sULL'nssar~tza nELL'EssEsE

principio erronea? Gli è che il comprendere l'essere non è qualcosache inerisca accidentalmente al nostro esserci, come avere le orecchiefatte in un certo modo. Qualunque altra conformazione potrebbecostituire ugualmente un organo uditivo. Il comprendere l'essere noncostituisce invece, per noi, solo qualcosa di reale, ma altresi di neces-sario. Senza una tale apertura dell'essere non potremmo in nessunmodo essere -a gli uomini :››. Che noi ci siamo non è certo assoluta-mente necessario. È perfettamente possibile che l'uomo non siaaffatto. Ci fu pure un tempo in cui l'uomo non esisteva. Eppure, arigor di termini, non possiamo dire che ci fu un tempo in cui l'uomonon e r a. In ogni t e rn p o l'uomo era, è, e sarà, perché il temposi temporalizza solo in quanto l"uomo è. Non ciè stato alcun tempoin cui l'uomo non fosse: non perché l"uomo sia dall'eternità e pertutta l'eternità, ma perché il tempo non è l'eternità e si temporalizzain una temporalità solo come esserci storico-umano. Quando tuttavial'uomo si trova nell'esistenza, vi è una condizione necessaria del suopoter esserci, ed è che comprenda l'essere. In quanto ciò è neces-sario liuomo è anche storicamente reale. Ed è questo il motivo percui comprendiamo l'essere, e non semplicemente, come potrebbe aprima vista sembrare, come una parola dal significato evanescente.Che anzi questa nostra maniera determinata di comprendere unsignificato indeterminato si lascia delimitare in guisa univoca, e nongià a posteriori, ma come una determinazione che ci domina fin daprincipio, inconsapevolmente. Per dimostrarlo, partiamo nuovamentedalla parola << essere ››. Si deve tuttavia, a tale proposito, rammen-tare che, in conformità della domanda-guida metafisica iniziale, noici serviamo della parola in accezione cosí larga che essa trova il suolimite solo nel nulla. Tutto cio che non è senz'altro nulla è, e per-fino il nulla -a appartiene'››, secondo noi, all'a essere a.

Le considerazioni precedenti ci hanno fatto compiere un passodecisivo. In un corso universitario tutto dipende da simili passi. Ledomande occasionali che mi sono state rivolte a proposito del corsodimostrano, una volta di piú, che di solito s'intende tutto alla rove-scia fermandosi ai dettagli. È vero che anche nei corsi scientifici sipretende la coerenza. Per le scienze questa coerenza si determina

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tuttavia immediatamente a partire dall`oggetto che per esse è sempre,in certo modo, dato. Per quanto riguarda la filosofia, al contrario,non solo Toggetto non è dato in partenza, ma in genere essa non haoggetto di sorta. La filosofia costituisce un evento (Gescbebnir) chel'essere (nell`apettura che gli appartiene) deve sempre di nuovo rea-lizzare. La verità filosofica si schiude soltanto in un avvenire(Gercbe/vera) siffatto. Cio che risulta in tal caso decisivo è pertantoquesta ri-effettuazione e co-effettuazione di ogni singolo passo perentro a questo avvenire.

Ma qual È il passo che abbiamo fatto? Quale passo ci tocca dirifare sempre da capo?

- Abbiamo notato anzitutto il seguente fatto: la parola -fa essere aha un significato evanescente, è quasi una parola vuota. L`esame piúravvicinato di questo fatto ci ha mostrato che Pevanescenza di signi-ficato della parola trova la sua spiegazione: 1. nelliobliterazione pro-pria dell'infinito; 2. nella mescolanza, nella quale tutti e tre i signifi-cati radicali originari sono giunti a confondersi. '

Il fatto illustrato lo abbiamo considerato come il punto di par-tenza inconcusso di qualsiasi discussione tradizionale della metafisicaa riguardo delli'-a essere n. Essa usa partire dall'e s s e n t e perandare verso di lui. N o n va dall'e s s e r e a cio che si deveproblematizzare nella s u a apertura. Siccome il significato e ilconcetto di essere posseggono il piú alto grado di generalità, lametafisica, in quanto tt fisica ››, non può risalire piú in alto, versouna determinazione piú precisa. Non le resta cosí- che una via:discendere dal generale al particolare. Cosi anche il vuoto del con-cetto di essere risulta riempito, dall'essente. Ma il proposito: << La-sciamo l'essere e rivolgiamoci all'essente particolare » finisce permostrarci che la metafisica si prende gioco di sé senza saperlo.

Difatti, liessente particolare, cosí spesso invocato, puo solo aprir-cisi in q u a n to t a l e se noi comprendiamo già in precedenzal'essere nella s u a essenza.

Questa essenza si è già illuminata. Ma essa rimane ancora nonproblematizzata..

Ricordiamoci ora della domanda che ponemmo alliinizio: lia es-

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nvraonuzionn aLLa tvtnrartslca

sere a è solo una parola vuota? Oppure liessere e il porsi della do-manda sulliessere costituiscono il destino della storia spirituale del-l'Occidente?

L'essere non è che l'ultima traccia di una realtà che dilegua enei cui confronti il solo atteggiamento da prendere è ormai di lasciarladileguare del tutto nell'indifferenza? Oppure l'essere è la cosa piúdegna di discussione? - _

Con il porci in tal modo la domanda noi compiamo il passo decl-sivo che da un fatto indifferente e dalla pretesa vacuità di significatodella parola << essere a ci conduce alliawenimento piú degno dtessere discusso, ossia al fatto che liessere si schiude necessariamentenel nostro comprendere. :

Il semplice fatto, apparentemente incontrovertibile, ciecamenteinvocato dalla metafisica, risulta scosso.

Abbiamo fin qui cercato, per quanto riguarda il problema del-l'essere, di cogliere la parola nella sua forma e nel suo significato.Quello dell'essere è tuttavia un problema che, come si è visto, nonriguarda la grammatica e l'etimologia. Se nondimeno ci rifacciamoora nuovamente alla parola, si è che, nel caso specifico, come delresto in generale, la lingua viene considerata in una sua particolareaccezione.

Comunemente, la parola, la lingua, sono considerate come unaconseguente e concomitante espressione del vissuto. Poiché in questovissuto risultano vissuti cose e avvenimenti, la lingua è, mediata-mente, l'espressione e altresí, in certo modo, la riproduzione del-l'essente vissuto. La parola -a orologio s- consente, ad esempio, difare la triplice ben nota distinzione: 1. riguardo alla forma, udibilee visibile, della parola; 2. riguardo al significato di ciò che può gene-ralmente venir cosí rappresentato; 3. riguardo alla cosa - un oro-logio, questo particolare orologio - che viene cosí designata. In basea questa distinzione (1) è un segno per (2), e (2) Ufliìfldìflflziflflfiper (3 ). Anche a proposito della parola essere possiamo presumi-bilmente distinguere: la forma della parola, il suo significato, la cosastessa. È però facile notare quanto segue: finché ci si attiene alla

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"-.-

La nomarma sULL'EssENza nELL'EssEzE

forma della parola e al suo significato non si è ancora giunti, riguardoal problema dell'essere, alla cosa stessa. Se con una semplice illu-strazione della parola e del suo significato ritenessimo di essere giàpervenuti a cogliere la cosa e l'essenza della cosa, commetteremmoun manifesto errore. Un errore imperdonabile: sarebbe infatti comese, volendo stabilire e indagare il comportamento dei movimenti del-l'etere, della materia, o i processi atomici, ci preoccupassirno di for-nire spiegazioni grammaticali circa le parole c atomo a ed a etere a,anziché intraprendere le necessarie esperienze di fisica.

Sia dunque che la parola << essere s- presenti un significato inde-terminato o determinato, oppure, come si è visto, li presenti contem-poraneamente entrambi, si tratta, oltrepassando il mero significato,di giungere alla cosa stessa. Ma è l"a essere a un qualcosa, come nelcaso di orologi, case, o di un altro ente qualsiasi? È una questionenella quale ci siamo imbattuti piú volte e circa la quale abbiamo asuficienza concluso che l'essere non è per nulla tm essente e nep-pure un costitutivo, essente, dell'essente. L'essere dell'edificio che sitrova laggiti non è anch'esso qualcosa, e dello stessog e n e r e del tetto o della cantina. Non vi è dunque alcuna cosache corrisponda alla parola e al significato di a essere s›.

Non dobbiamo però concluderne che l'essere consiste solo nellaparola e nel suo significato. In realtà, il significato della parola noncostituisce, in quanto significato, l'essenza dell'essere. Sarebbe comedire che l'essere dell'essente, ad esempio l'edificio da noi conside-rato, consiste nel significato verbale. Ritenere cio sarebbe visibil-mente scorretto. Piuttosto, noi intendiamo, mediante la parola a es-sere a e attraverso il suo significato, l'essere stesso; solo che essonon è per niente una cosa, intendendo per cosa un essente qualsiasi.

Ne consegue che, in ultima analisi, nella parola essere, conside-rata nelle sue modificazioni e in tutta la sua estensione linguistica,parola e significato risultano connessi in maniera piú originaria a ciòche essi designano, ma anche il contrario. L"essere stesso è legatoalla parola in un senso del tutto diverso, e piú essenziale, di qua-lunque altro ente. _

La parola aesseres- si rapporta, in tutte le

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INTRODUZIUNE ALLA. METAFISICA '

sue modificazioni, all'essere che viene detto:in modo essenzialmente diverso da come tutt:gli altri verbi e sostantivi si rapportano al-l'essente che in essi è detto. _

Ne viene, di rimando, che le spiegazioni fornite circa il terminea essere ›› sono di tutt'altra portata delle varie considerazioni chepossibile fare sull'uso delle parole e della lingua nei confrontt dtqualsiasi altra cosa. Anche se, per cio che concerne la parola a es-sere a, sussiste una peculiare connessione originaria tra la parola, tlsignificato, e l'essere stesso, mentre la cosa, per cosí dire, manca:non dobbiamo ritenere per questo che Fessenza dell'essere stesso stlasci ricavare dalla semplice caratterizzazione del significato dellaparola. '

Dopo questo excursus sul fatto particolarissimo che il problemadell'essere resta intimamente legato alla discussione circa la parola,riprendiamo la via della nostra indagine. Si tratta di far vedere comee fino a qual punto la nostra comprensione dell'essere risulti specifi-camente determinata e come riceva il proprio orientamento dall'es-sere. Accingendoci ora a dire l'essere, poiché inoltre questo è ciòche in certo modo sempre ed essenzialmente non possiamo non fare,cerchiamo di rivolgere la nostra attenzione al1'essere stesso che, intal dire, è detto. Sceglieremo un dire semplice e corrente, quasidimesso, in cui l'essere si trova espresso in forma cosí consueta cheappena ce ne accorgiamo.

' Noi diciamo: -tt Dio è ››. a La terra è. a a La conferenza è (te-nuta) nell"aula. a << Quest'uomo è della Svevia. a e La coppa è d'ar-gento. ›› a Il contadino è __nei campi. ›› -a Il libro è mio. a -s È unuomo morto. s- a Rosso è (significa) babordo. ›› a In Russia c'ècarestia. ›› a Il nemico è in ritirata. s- -a La filossera è nei vigneti. ››e Il cane è in giardino. ›› tt Su tutte le cime è pace (Rab). a

In ognuno di questi casi liessere è inteso diversamente. Pos-siamo convincercene facilmente soprattutto se assumiamo liespres-sione a è ›› nel suo reale impiego, secondo è pronunciata cioè, ognivolta, in relazione a una ìdeterminata situazione, per un certo intento,o in base a una particolare disposizione d'animo, e non come appare

La norvtanna sULL"EssENza nELL"EssEaE

in semplici frasi o frusti esempi grammaticali.-«Dio ea; ovvero: esiste, è realmente presente.

e La terra è ›:›; ovvero: ne facciamo esperienza e la consideriamocome qualcosa di stabilmente sussistente. «La con-ferenza ë nelliaula ››; ovvero: h a lu o g o. << Quest'uomo è dellaSvevia za; ovvero: è o figin a r_i o d i... a La coppa è d'ar-gento a; ovvero: è fa t t a d i... _a Il contadino è nei campi a;ovvero: si è recato sui campi, si trattiene colà.a Il libro è mio a; ovvero: mi appartiene. «È un uomo.morto a; ovvero: vo t a t o alla mo r t e. az Rosso è babor-do a; ovvero: s t a p e r... a Il cane E in giardino ››; ovvero: siaggira colà. «Su tutte le cime è pace ››; ovvero: ? ?? Inquesto verso -a è :›› significa forse: si trova, sussiste, ha luogo, ristà?Nulla di tutto questo. Eppure si tratta "pur sempre dello stessosemplice a è :››. a Su tutte le cime r e g n a la p a c e ››, come regnala calma in un'aula scolastica? Neppure! O, forse: << Su tutte le cimela pace si effonde, domina, sovrasta a? È già meglio. Ma anchequesta circonlocuzione non coglie nel segno.

e Uber aller: Gipƒeln / ist Rab ››; 1'-tt è za (ist)' non si lascia inalcun modo parafrasare, eppure non è altro che quell'-a è ›› espressoin quei pochi versi che Goethe scrisse a matita sullo stipite di unafinestra di una piccola capanna sul Kickelhahn vicino a Ilmenau(cfr. lettera a Zelter del 4 settembre 1831). È strano che nel ten-tarne la parafrasi ci smarriamo, esitiamo, fino ad abbandonarla defi-nitivamente del tutto, non perché il verso sia troppo diflicile o com-plicato da intendere, ma perché, al contrario, è formulato in modotanto semplice, in un modo ancor piú semplice e irrepetibile di quantonon risulti formulato ogni altro -ct è a- che inavvertitamente si mescoli,di solito, al nostro dire e discorrere quotidiano.

Qualunque possa essere liinterpretazione risultante dai singoliesempi addotti circa il modo di dire « è ››, una cosa risulta chiara:nell*-a è ›› l'essere ci si schiude in molteplici guise. L'asserzione, aprima vista cosí ovvia, che liessere sia una parola vuota, ci si riveladi nuovo e ancor piú efficacemente come falsa. --

Ma -- si potrebbe tuttavia replicare - se l'essere_ viene inteso

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INTRGDUZIONE ALLA METAFISICA .

veramente in guisa molteplice, la ragione di cio non risiede affattonello stesso e è a, ma dipende unicamente dalla varia portata deglienunciati i quali riguardano ognuno, quanto a contenuto, enti di-versi: Dio, la terra, la coppa, il contadino, il libro, la carestia, lapace sulle cime. È solo perché l'-a è a rimane in se stesso indetermi-nato e vuoto, quanto al suo significato, che puo prestarsi a un usocosí svariato e riempirsi e determinarsi a secondo ogni caso a-. Lavarietà dei significati specifici proposti prova, per conseguenza, ilcontrario di cio che doveva dimostrarsi. Essa denota solo, nella ma-niera piú chiara, che l'essere deviessere indeterminato per esseredeterminabile.

Che cosa si puo_ replicare? Entriamo qui nell'ambito di una que-stione decisiva: l'-a è :a perviene a una tale molteplicità di significatiin ragione del contenuto via via trasmessogli dalle singole frasi o,per meglio dire, dalle singole sfere alle quali esse si riferiscono, op-pure l'-:-: è ››, cioè a dire l'-a essere st, cela in se stesso quella molte-plicità di significati, il cui plesso rende possibile che noi ci facciamoaccessibile l"essente nella sua varietà, c o rn e è di volta in volta?Basti per i ora aver posto il problema. Non siamo ancora abbastanzaattrezzati per svolgerlo in modo piú ampio. Quello che non si puònegare e che unicamente ci preme, in primo luogo, di segnalare, èquanto segue: 1'-s è a manifesta nel dire una grande varietà di signi-ficati. Noi diciamo ogni volta a à ›› in uno di questi significati pursenza pervenire, né prima né dopo, a una determinata interpreta-zione dell'-a è ››, e certo senza riflettere sull'essere. Il fatto è che1'-a è s-, inteso ora in un modo ora in un altro, s"impone a noi senz"al-tro, di per sé, nel dire. --Tuttavia, la molteplicità dei suoi significatinon ha nulla di arbitrario. E ora ce ne convinceremo.

Elenchiamo i vari significati illustrati dalle singole parafrasi.L'-a essere ›› espresso nell'-a è ›› significa: a realmente presente s›, a sta-bilmente sussistente s-, a aver luogo », a essere originario di a, a esserfatto di a, a trattenersi a, a appartenere ››, << essere votato a a, a stareper ››, a trovarsi ››, a regnare a, << essere in procinto di a, -a soprav-venire a. Resta difiicile, e forse impossibile, in quanto intrinsecamentecontraddittorio, ricavare di qui un significato comune corrispondente

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La noatanna sULL'assENza nzLL'assEaE

a un concetto generico sotto il quale i suddetti modi dell'-a e ›› potreb-bero lasciarsi sussumere come delle specie. E nondimeno v'è unacerta linea unitaria che li percorre tutti. Essa orienta la comprensionedell'essere verso un determinato orizzonte dal quale trae il suo signi-ficato. La determinazione del senso delI'essere si circoscrive nelliam-bito della presenza (Gegenwäriigkeit) e della presenzialità (Anweserabrit), della consistenza (Besteben) e della sussistenza (Bentand),della permanenza (Auƒentbalt) e dell'avvenire (Vor-kommea).

Tutto questo ci riconduce a ciò in cui ci eravamo imbattuti nelnostro primo tentativo di caratterizzare l'esperienza e l'interpreta-zione greca dell'essere. Se facciamo attenzione alliinterpretazione cor-rente dell'infinito, ci accorgiamo che la parola -a essere s- desume ilsuo senso dal carattere unitario e determinato dell'orizzonte che pre-siede alla sua' comprensione. Per dirla in breve: noi comprendiamoil sostantivo verbale a essere s› a partire dalliinfinito, il quale, dal suocanto, mantiene il riferimento all'-a è aa e alla sua accennata molte-plicità. La forma verbale specifica e determinata -a è ››, la t e r z apersona singolare dell'indicativo presente,ha qui la preminenza. L*-«essere a noi non lo comprendiamo in rife-rimento al -a tu sei a, al a voi siete ››, all'-a io sono ››, o all'-a essisarebbero a... che pure costituiscono tutti, e allo stesso titolo del-lia è a, altrettante coniugazioni del verbo a essere ››. a Essere ›› èper noi l'infinito di a è ››. Siamo quindi involontariamente portati,quasi non vi fosse altra possibilità, a interpretare l'inf-inito a essere s-a partire dall'-a è a.

L'-a essere a assume pertanto quel significato, già indicato, chericorda il modo di intendere l'essenza dell'essere da parte dei Greci,una determinatezza che non giunge a noi per caso, ma che dominada lungo tempo la nostra esistenza storica. Di colpo, la nostra ricercasul modo di determinarsi della parola a essere ›› assume esplicita-mente' il suo vero senso di riflessione sull'origine della nostras t o ria la t e n t e. La domanda: che cosa ne è delliessere? devemantenersi nella storia dell'essere per potere a sua volta esplicare emantenere la sua specifica portata storica. A questo proposito, noici atterremo ancora una volta al dire dell'essere.

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LA LIMITAZIONE DELUESSERE

_ Allo stesso modo che con l'<< è ›› ci troviamo di fronte a unmodo quanto mai usuale di dire l'essere, cosi nel far uso del nomea essere a c'imbattiamo in certi determinati modi di dire, ormaicristallizzatisi in formule: essere e divenire, essere e apparenza, esseree pensare, essere e dover-essere.:

Dicendo a essere a una sorta di costrizione ci spinge a soggiun-gere: essere e... L'-a e a non vuol semplicemente dire che noi aggiun-giamo, attaochiamo all'essere qualcos'altro a titolo accessorio; se inpiú diciamo qualcosa è perché l'essere se ne distingua: essere en o n... Nel medesimo tempo avvertiamo tuttavia in queste formulequalcosa di pertinente in certo modo all"essere,_ proprio in quantoda lui differente, perlomeno come suo a altro a-.

Quanto alla nostra discussione, essa non si è fin qui limitata arischiarare, esclusivamente, il proprio campo. La domanda stessa,quella fondamentale della meta-fisica, che ci limitammo a conside-rare, all'inizio, come proveniente e propostaci da non si sa dove, cisi è via via rivelata, a vista d"occhio, nella sua piena dignità di pro-blema. Sempre piú, "ora, essa ci si scopre quale latente fondamentodella nostra esistenza storica. E tale altresi, e ancor piú, rimanequando, paghi di noi stessi e di tutt'altro occupati, seguitiamo adaggirarci su tale profondità come su di un abisso che appena s'in-travvede.

Cercheremo ora di distinguere liessere da ciò che à altro da lui.Senza dubbio troveremo che Fessere, al contrario di quanto ne pen-sano i piú, è per noi tutt'aItro che una parola vuota. Esso ci appa-rirà, anzi, determinato in tanti modi da farci trovare in seria dificoltàper salvaguardare, quanto è necessario, sifiatta determinatezza. Ma

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INTttonUzIoNE ALLA METAFISICA

c'è di piú. Una tale esperienza dovrà essere condotta ed esplicarsi inuna fondamentale esperienza della nostra esistenza storica a' venire.Onde potere fin dalliinizio efiettuare in modo opportuno le nostredistinzioni fisseremo i punti chiave seguenti.

1. Liessere è delimitato per rapporto ad altro, e da questasua delimitazione consegue di già una determinatezza.

2. La delimitazione ha luogo da quattro punti di vista reci-procamente connessi. Il grado di determinazione dell'essere deve,per conseguenza, o accrescersi per via di queste diramazioni, oppurediminuire.

3. Queste distinzioni non sono per nulla fortuite. Ciò cheviene mantenuto, per via di esse, in istato di separazione, tendeoriginariamente a raccogliersi in unità. Le scissioni possiedono per-tanto una loro propria necessità.

* . 4. Le opposizioni - con la loro iniziale apparenza di for-mule - non sono dunque sorte occasionalmente né hanno fatto illoro ingresso nella lingua come dei semplici modi di dire. Esse sisono viceversa formate in stretto rapporto con l'impronta assuntadalliessere stesso, la cui rivelazione è stata decisiva nel determinarela storia dell'Occidente. Esse hanno avuto inizio con Finizio dellastessa indagine filosofica.

5. Tali distinzioni hanno mantenuto la loro prerogativa nonsolamente alliinterno della filosofia occidentale, ma compenetranoogni sapere, ogni fare, ogni dire, anche se non vengono espresse cometali o nei termini suddetti.' 6. L'ordine in cui le suddette espressioni sono state da noi

elencate è già indicativo dell'ordine secondo cui risultano essenzial-mente connesse e del processo storico che le ha coniate.

Le prime due distinzioni nominate (essere e divenire, essere eapparenza) risultano formate già all'inizio della filosofia greca. Es-sendo le piú antiche sono anche le piú comuni. -

La terza distinzione (essere e pensare), la cui formazione è nonmeno antica di quella delle prime due, viene sviluppata in mododeterminante già nella filosofia di Platone e di Aristotele, ma ricevela sua forma decisiva solo all"inizio dell'età moderna. Essa contri-

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La Lrtvttraztoua nr-:LL'Es ssaa

buisce anzi, in maniera essenziale, a determinare questo inizio. Essarisulta inoltre, quanto alla sua storia, la piú complicata, e quanto' alsuo intento, la piú problematica. (E per questo resta per noi la piúdegna di discussione.)

La quarta distinzione (essere e dover-essere), prefigurata soloalla lontana dalla caratterizzazione dell'i':$v come åvailóv dei Greci,appartiene interamente allietà moderna. Essa, per di piú, vale a deter-minare una delle posizioni dominanti dello spirito moderno nei con-fronti dell"essente in generale, soprattutto a partire dalla fine delsecolo XVIII. "

7. Un proporsi originario del problema dell'essere, reso edottodel compito di esplicazione della verità dell'essenza dell'essere, devesaper rimettersi alla decisione delle potenze latenti in queste distin-zioni, e ricondurle alla verità loro propria. `

Tutte queste osservazioni preliminari devono essere tenute co-stantemente presenti nel corso delle riflessioni che seguiranno.

1. Essere e divenire.

Questa distinzione e contrapposizione sta al principio delliinda-gine sull'essere. Ancora oggi essa costituisce la piú comune delimita-zione dell'essere mediante qualcosa d'-altro, in quanto risalta imme-diatamente da una rappresentazione dell'essere cristallizzatasi in evi-denza banale. Cio che diviene non è ancora. Ciò che è non abbisognapiú di divenire. Cio che a è s, l'essente, ha lasciato ogni diveniredietro di sé, se pur mai è divenuto o ha potuto divenire. Ciò cheautenticamente -a è a- resiste altresi a ogni impulso del divenire.

In una .visione grandiosa, degna dell'assunto, Parmenide, vissutotra il VI e il V secolo, ha messo in luce, in forma di pensiero poe-tico, l"essere dell'essente in contrapposizione al divenire. Il suo << poe-ma didascalico a ci è pervenuto sotto forma di frammenti, del restoampi ed essenziali. Basti qui* citarne solo pochi versi (Framm.VIII, 1-6): _

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INTRODUZIONE ALLA META FI SICA

ttóvoç, 5'ë-tt püiiac, 65::-i.'o / }.si.1tt-vrttt. tin; Eottv' -tatútnt B"š1ti.a"ñp.o.'r'Etza't / ttaitittit pdl', the åyšvntav šòv ztzi åvtiiltåpóv åortv,Earn. *yàp oüitaneitåg 'ta :tal åtpsušç 1"|5' åvåiteovov, oüöš nov' fivat5ö'§a'¬:att, šnsl. vüv Eevtv òneü nãv / Ev, ouvsjtšc” /

Resta ormai solo il discorso della via I(sulla quale si rivela) liessere com'è; su questa (via) ci sono molte. cose che stanno ad indicarlo;come l'essere senza nascere né perirese ne sta tuttiintero, solo, e del -pari .

.› . |_ Isenza timore, in se, senz essere stato portato a compimento;

esso non fu in passato e nemmeno in futuro sarà, 'poiché come presente esso è tutto in una volta, unico unificante unitoda sé, in sé raccoglicndosi (capace di tenere insieme colmo di

presenzialità ) .

Queste poche parole si ergono con la maestosità delle statuegreche arcaiche. Quanto ancora possediamo del poema didascalicodi Parmenide potrebbe capire in un esiguo quaderno, il che potrebbeben valere a confutare la presunta necessità delliesistenza di interebiblioteche di letteratura filosofica. Chi sappia riconoscere la portatadi un tale dire pensante dovrebbe, oggi come oggi, climettere ognivelleità di scrivere libri.

Quel che vien detto a partire dall'essere sono dei cn'1p.ar.-ttt; nongià dei contrassegni dell'essere né dei predicati, ma quanto, nelriguardare verso l'essere, ce lo mostra in se stesso a partire da sé.Per poter avere una tale visione dell'essere occorre infatti rimuovereda lui ogni nascere, ogni perire, ecc.: prescinderne ( fort-sebea) nelsenso, attivo, di allontanarli con lo sguardo, eliminarli. Cio checon át- e auöé vien tenuto lontano non è della misura dell'cssere, lasua misura è tutt'altra.I

'- 1Possiamo da tutto cio inferire che lessere si mostra, a questodire, come la solidità propria dello -a stabile ›:› in sé raccolto, immuneda turbamento e da cangiamento. Ancor oggi, quando si espongonole origini della filosofia occidentale, si usa contrapporre a questa dot-

.106

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La Lnvnraztonz nn1..L'nssEaE

trina di Parmenide quella di Eraclito. Da lui proverrebbe la frasefrequentemente citata: :rtåv-tar. gti, tutto scorre. Per conseguenza nonv'è alcun essere. Tutto a è a- divenire. -

Se ci si accontenta dell 'esibizione di tali proposizioni: da una-parte l`essere, dallialtra il divenire, gli è che si mira a far risaltare,fin dall'inizio della filosofia, quello che si ritiene si verifichi durantetutto il corso della sua storia: e cioè che là dove un filosofo dice A,l'altro dice B, e viceversa. Se invece si assicura che nella storia dellafilosofia, in fondo, tutti i pensatori dicono la medesima cosa, questaappare, per il senso comune, una ben strana pretesa. A che allorala multiforme e complicata storia della filosofia occidentale, se tuttidicono la medesima cosa? Basta, in tal caso, u n a s ol a filosofia.Tutto risulta sempre già detto. Eppure, questa e medesima cosa »possiede in realtà come sua interna verità liinesauribile ricchezza diessere ogni giorno come al suo primo giorno.

Eraclito, al quale si usa attribuire, in grossolana opposizione aParmenide, la dottrina del divenire, dice in verità la stessa cosa dilui. Non sarebbe altrimenti, se dicesse cose diverse, uno dei piúgrandi fra i grandi pensatori greci. Soltanto che non si deve inter-pretare la sua dottrina del divenire con le idee di un dartvinianodel XIX secolo. Beninteso, l'-a opposizione a di essere e divenirenon si è mai piú presentata in maniera cosí esclusiva come nel diredi Parmenide. In questa grande epoca, il dire dell'essere dell'essenteha in sé medesimo l'esser1za (nascosta) dell'essere di cui parla. È insifiatta necessità di carattere storico che risiede il segreto della gran-dezza. Per ragioni che appariranno piú chiare in seguito, ci limitiamoper ora, nell'esporre questa prima antitesi, a essere e divenire ››, aqueste indicazioni.

2. Essere e apparenza.

Questa distinzione è altrettanto antica quanto la prima cla noimenzionata. Il carattere ugualmente originario delle due suddivisioni(essere e divenire, essere e apparenza) denota l'esistenza di un piú

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INTRODUZIONE ALLA METAFIS ICA

profondo rapporto che permane ancor oggi celato. La seconda distin-zione citata non ha infatti potuto ancora essere di nuovo svolta nelsuo autentico contenuto. Per far ciò è necessario concepirla in modooriginario, ossia secondo la concezione greca. Ma questo non è facileper noi, esposti come siamo ai moderni fraintendimenti della gnoseo-logia; per noi che usiamo volgerci alla semplicità dell'essenziale condiñcoltà e, in genere, come ad alcunché di vacuo.

A prima vista la distinzione appare chiara. Essere e apparenzasignificano: il reale in contrapposizione all'irreale,', l'autentico in con-trapposizione all'inautentico. È insita in pari tempo in questa distin-zione una valutazione per cui l'essere riceve la preferenza. Allo stessomodo che noi diciamo: la meraviglia e il meraviglioso, cosí usiamodire: liapparenza (der Scbein) e Fapparente (dar Scbeiriàere). Spesso,si riporta la distinzione di essere e apparenza a quella prima citata:di essere e divenire. L'apparente è ciò che emerge talvolta e che, inmaniera altrettanto fuggitiva e precaria, di bel nuovo scompare, incontrapposizione all 'essere concepito come lo stabile. .

La distinzione di essere e apparenza ci è abituale: è come unadelle tante monete logorate dall"'uso che ci passiamo di mano in mano,senza farci caso, nella banale vita di tutti i giorni. Nel migliore dei-casi, ci serviamo di questa distinzione come di un avvertimentomorale e come di una regola di vita che ci insegna ad evitare l"ap-parenza .per attenerci all 'esserci << piuttosto essere che apparire iv.

Nondimeno, malgrado questa distinzione appaia del tutto ovviae usuale, non si comprende in che misura l'essere e l"apparenza ori-ginariamente si distinguano. Il fatto che ciò accada è indice di unacerta reciproca appartenenza. In che può essa consistere? Si trattain primo luogo di concepire l'unità recondita di essere e apparenza.Se ormai non la si comprende piú, è perché siamo caduti fuori delcampo in cui questa distinzione iniziale è storicamente maturata,mentre ora ci contentiamo di trasmetterla come qualcosa che è statauna volta posta in circolazione non si sa dove e non si sa quando.

Per cogliere questa distinzione bisogna rifarsi anche qui all'ori-gine.

Tenendoci comunque a debita distanza da soluzioni avventate o

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troppo precipitose, ci è possibile rinvenire nella nostra stessa linguauna traccia che ci avvii a comprendere questa distinäolne. 1Dicidanñ0

fl , 1 1 in Il "

Scbem e distinguiamo il Sonnemcbein (lo splendere e so e) a apioggia. Il sole splende (rcbeint). In forma narrativa: e lâ lcameiäera debolmente illuminata dalla luce (Scbem) di una cari e a ii.dialetto alemanno conosce la parola Scbeinboíz llffåfiü lllmlflfläflfifitfilcioè un legno che fa luce nell`oscurità. Noi conosciamo, dalle rap-presentazioni dei santi, liaureola (Heiligenrcheinl, liflflfillü _1`fl8EƒÉm¢intorno al capo. Sappiamo pero anche di falsi devoti (Scbembeilige)che hanno l`aspetto di santi ma non lo sono' affatto. 'Irogliamå deicombattimenti simulati (Scbemgeƒecbt), ossia tenzoni c. ed annol'illusione di un combattimento. Il sole nel mostrarsi (mnem .riescbeinr) appare (rcbemr sich) come se si miiovesse intorno a a teriig.Che la luna, nel mostrarsi, misuri due piedi di diametro è cosa â e, _ . .appare soltanto, è soltanto un apparenza. Ci imbattiamo in uespecie di apparenza, di apparire. Ma esse non sono semp icementegiustapposte, l"una è derivazione dell'altra. Il sole, ad esempio, puòavere Papparenza di muoversi intorno alla terra solo perché appare(rcbeiat), si mostra, ovvero riluce e, nel rilucere, appare (erscbemt),viene all'apparenza. È evidente che nell'apparirei del 501€, Hei Sìfflfiüdi rilucere, raggiare, sperimentiamo altresi lirradiazione come fâ orgiIl sole splende (schemi), vale a dire: esso si mostra e risca a.-rilucere dell'aureola rende manifesta col proprio splendore la santitàdi chi la porta. _ _ _

Osservando piú attentamente troviamo tre specie di apparenza.1. liapparenza come splendore (Glanz) e come rilucere (L€H¢`51-`€fil;2. l'apparenza e il parere (dar Scbeiireii) come apparire (Erscbemen),il venire all'apparizione (Vor-scbeiri) di qualche CUSH; 3--1:al3°'Pfi1`¢_fiZacome pura apparenza, il sembrare (Arircbem, come aver laria di...)che produce l'illusione di qualche cosa. Risulta tqttavial insieme evi-dente che il a parere ii citato al secondo posto, lapparire nel sensodi mostrarsi (Sicbzergen) si confà tanto all apparenza intesa comesplendore quanto all'apparenza intesa come sembrare, e non. comeun carattere qualsiasi, ma come fondamento della loro possibilita.L'essenza de1l'apparenza (Scbeia) risiede nelliapparire (Erscbemeri).

-Ill'

109 l

Page 55: Heidegger Introduzione Alla Metafisica

INTRODUZIONE ALLA. METAFIS ICA

Essa equivale al mostrarsi, al presentarsi, all'essere astante (Aa-rííbea), allo star davanti (Vor-liegeri). Il libro da lungo tempoa eso a are ' -__ pp ora, cioe sta davanti, è presente (ist iiorbaaden) e lo51 Può- Per COHSEEUÈHZH, Ufleflere- Ma quando si dice: la luna splende(der Monti rcbezrit), cio non sta a significare soltanto che essa diff d ' - - _011 e 1.1113 ltlte, 1111 Certü _Cl'iIaI'01'E, ma Che Sta In Cieli), È presente

(we-ff HH). Le stelle risplendono (rcbeineri): significa che essesono presenti con il loro brillare. A p p a r e n z a (Sc/sein) signifiçaqui esattamente lo stesso che e s s e re (i versi di S ff - &______ à L ____}_ a o. ir-tspsçLJ- tiqi it tiv asitávvstv... e la poesia di Matthias Claudius EinWiegealied bei Moivdrcbein zii singer: offrono un punto di partenza

radici ev- e IPE- designano la stessa cosa. tliúsiv 1

P1`€2I0S0 per meditare sull'essere e sull'apparenza). -, Tenendü Pffififlflte quanto è stato detto possiamo cogliere l'in-tima c ' 'onnessione di essere e apparenza. Ma per comprenderla intera-mente biso ' ' ' - - - .gna intendere lessere in maniera ugualmente originariavale a dire coml " ' * H- - I___ ___ _ e lintendevano i Greci. Gia sappiamo che l'essere sisc i ' ' - - . .U 3 al Gfecl 'ël'-131€ fPUfl'l-<;. Lo schiudentesi permanente imporsi(Das auƒgebeird-iierweileiide Walteu) è nel medesimo tempo in

. _ JSe 593550, liflpparire che si mostra (dar .tcbeiriemie Erscbeirren). Le

o schiudersi cheI

“P053 11'! Sfl 512550. È <PfllíVEfl'5i'I-I-' il risplendere il mostrarsi l'a a-rire... Tutti ue li a ' d I ' * ' I I ppt;]_ g spetti eterminati dell essere che nel corso dellanostra esposizione (e in cons d 1eguenza e nostro riferimento a Par-menicle) siamo andati via via citando l' ' d_ _ , imitan oci piú che altro aenumerarli, ci offrono già, nel loro insieme di che formare-i una ,_-;,_=_›1-H1

Iidea della parola che i G ' f d_ reci on amentalmente usano per indirm-elessere.

Sareb " ' - - .__________ ____ be _nel cofitenšpo istruttivo illustrare l'efHcacia denomina-ques_a paro a ri acendoci alla grande poesia dei Greci. Basti

- . .. . _ _ _ _ iicome esempio, riferirci a Pindaro, per il quale il cpuå cnsmmscg ladeterminazione fondamentale dell`esistenza* -tò Sè euri itpå-i,-|.a›1.W

natv. _ ìr:iò_ file È Pfiffiffi dal ~'~'P'Uå e per via di esso, è in tutto e_ pertutto _piu_ potente (O1. DF, 100); '~'PUå designa quello che uno ègia originariamente e autenticamente: ciò che è in quanto già stato(das .tcboii Ge-Wereivde), a differenza dalle opere e dalle azioni che

110

La Limitazione nEi.L'Es ssaa

si producono in seguito con sforzo deliberato. L'essere è la deter-minazione fondamentale di cio che è nobile e della nobiltà (05513 dlciò che ha, per sua essenza, un'alta origine e riposa__it1 eäfifil- È ¢'¬'3__'*Hriferimento a ciò che Pindaro conia la massima: "rÉ”i'°l- Dfflš Èfififl UGÖW”(Pit. II, 27 ): -a possa tu, apprendendo, riuscire quello che sei ig. Offliquesto stare in se' non significa altro, per i Greci, che star-c_i (_Da'-steben), stare nella luce (Iin-Licbt-Ste/nen). -a Essere i› siåmfifa-a apparire ii-. Quest'ultimo non à qualcosa di accidentale,__ qualeoäflche abbia che fare qualche volta con l'essere. L"essere e (H-4'?-filc o m e apparire.

Cade cosi, come inconsistente costruzione, quella rappresenta-zione universalmente diffusa della filosofia greca, secondo cui essa.a differenza del soggettivismo moderno, avrebbe -ci realisticamente ii-insegnato la nozione di un essere in sé obbiettivo. Quest_a rappresen-tazione corrente si basa su di una concezione superficiale. Espres-sioni come -a soggettivo ii e ai oggefllvü *ti ti fefillsllcü ii' E ff idefll'stico ia- debbono essere lasciate da parte. _

Il passo decisivo che si tratta ora però di compiere, sulla basedi una concezione piú adeguata dell'essere inteso alla maniera delGreci, deve valere a schiuderci la comprensione _dell'intima _t_:onnes:sione esistente fra essere e apparenza. Si tratta di fermarci _l idea diuna connessione che, per quanto propriamente greca in origine, haavuto notevoli influssi sullo spirito occidentale. L'ess-ere. È (Ii-'~'f'-W lcame tpúaic. lo schiudentesi imporsi è apparire. L'apparire__ conduceall'evidenza (Vorscbein). Questo già implica che -l'eSS¢I'È› lfiPPaf1fe›conduca fuori del nascondimento. Per il fatto che l'essente come taleè. esso si colloca e permane nella n o n - l a te n_z a: åà-1°|fiE'-H-.Tradurre questa parola con ai verità ii- significa in pari tempo, :icon-sideratamente, fraintenderla. E vero che ora si comincia, un po allavolta, a tradurre la parola greca alla lettera. Ma cio serve a ben pocose si ricomincia, subito dopo, a intendere ti verità s› in un senso deltutto diverso, spacciandolo per quello del vocabolo greco. I Greciconcepiscono infatti l'essenza della verità unicamente in accordo conquella che è, per essi, liessenza dell'essere, la <iI'Ö°`1-¢;. Solo basandosisulla peculiare connessione essenziale di *PW*-G e ålfiåflfi 1 Gfefl

iii '

Page 56: Heidegger Introduzione Alla Metafisica

INTRODUZIONE ALLA METAF13]C_g_

possono dire: l'essente à in_ quanto essente ' 'I I vero E d_________S_ _ - _ i ssente. Cio significa che uell h

fa 1mP0f1@f1d0$1 (das waftead I; q O C e si' Zei eade) 1a. Il non latente, come tale viene in ' '

nel mostrarsi. La ' “ i püsmüne (mm SfebefilVfflffi.-. come non-latenza non " 1aggiunga ___________li_____________ ___ . e qua cosa che sinte a essere.

La verità appartiene- alla-___ss_____za ___sere. L'es _ . _ esere essente comporta 1 se e ti ll'es-all'evidei1za (zum V ' gu H significati: pervenireorrcbeiir èommen) md ' 1.tcbeiueird-aufretefil ' ' E ' l P msi nel apparire (er-, proporsi (srcb bin stelleri) dlffwflì DEI'-Iffuffl) Nüfl flssgrie ' - I Prü un-E qualcüsa. . ' ' Slgfl ca er contr - ' 'parmon E . 1- P o. ritrarsi dall 'I

È ( rscbemung) dalla rese i . . ap*Iiza. L asenza ____________ _______ __ i _ P_ __ pparizione, nella sua es..- P a entrare e luscire lin e 'l f. 1 nor' .autenticamente mostrati I -I da' 7' nel sensa___ _ VO, Hlâfllffiâfâtlvü. Licssergersl nella Inültepllcltà de____ Viene Cüfií E dlspel'.

deu _. _ _ Ésseme- Quest'ultimo è ciò ch 'e in ra 'a sua P1'0$SIII¬-lita e continua acc 'b'l' gmneessi iità s'im *~pertutto. In - pone qua e la daP-quanto apparente si dà a v d . - . _

considerazione l ' ' - - E ere* Bom" 'MEG Slgmfica. a considerazione di cui uno dcünsiderazione ___ ________ _ _ 30 e. Nel caso che tale, azione a ciò che si mostra ` ' ' ']___________ 5óE____ ac_______$____ __ __ ______ in essa, si riveli eccel

_ _ _ _ _ g i cato di lustro (Clear) e I 'eo ogia ellenistica e nel Nuovo Test g (ma_ Nella

la [nagnificenza glorificareandlínftü Ofiflüp glflfifl Dfll, O. ' I att ' ' ' -______z________ ___ ___a____f_____ _ _ _ i _ o di attribuire conside-

_ af ai per i Greci li I 1 ' - -procacciare con ciò la stabilità ( Sränafigiëeiia) Uliieilerlzüríe mi him* diè per Greci qualcüsa sem i . 3 g Oria HOT]

_ . p emente a ' ' -müdahtà deui__s________ Piú _____________s___ P______ ___ geìqessåifio. tqa cgstituisce la' ir . ' e Q I i ""

pm mmm' da gran femP0i che la celebrità gg a g Gna non E. - una :dubb,a_ u__,_i_________í_________ _ , Cosa come tale assaione profusa e diffusa ua e I* dradio _ quasi liinverso dcu_ q _a al giüfnall, dallaI .ñ esseffi- Quanto a Pindarog ori care costituisce liessenza dell ' I se per Im il. 3 OESI3 ' 'zlalmente ___ _. _ P E POEIEIE Slgfllfita €55 .porre in luce ››, cio non è d En. _ a attribuirsi al f t '

lui la faPPffiSÈHI&Zione della luce abbia u "' a tú che In. . n im 'ma unicamente al fatto che e li portanza particolare'. 8 Pensa e o era oeticamG1.em__ au.________________ ___i____è ______fl____sse__z _ P P ente come un

a dell essere assegnatagli.

1 12*'-¬.

--.

La Limitazione nzLL'EssEiiB

Ci siamo proposti di far vedere come, per i Greci, all'essere com-peta l'apparire, o piú esattamente, come l"essenza dell'essere stiaanche nell'apparire e in che modo. Lo si è visto a proposito d_ellagloria e del glorificare, ossia della piú alta possibilità riservata all uo-mo, cosí come lo concepiscono i Greci. Gloria si dice Sàfifl- åfflåù-Ésignifica: mi mostro, appaio, vengo in luce. La considerazione di_ cuiuno gode, resa qui in base soprattutto al vedere e all'aspetto, vienedesunta piuttosto dall'udire e dal chiamare in un'altra parola grecausata sempre per gloria: zléec. In base a questa parola, gloria risultala rinomanza di cui uno gode. Dice Eraclito (fr. 29): titiPE¬3'*JTfl-\- TånEv tiv-rl. å1tr:'tv-tt-iv al. bipur-cei. zitéeç åéviitov üvn-rtiiv, al. Sè naitìtel.iisiiópiqv-tcti özmanap ietfivta.. -a Una cosa soprattutto scelgono i piúnobili; la gloria che permane stabile, di contro a ciò che muore; lamassa è invece sazia come le bestie. ›› _'

Quanto sopra dev'essere comunque accompagnato da una riservache in pari tempo denota l'essenza intima della cosa. Aóše è la con-siderazione di cui uno gode e, in senso piú largo, quello di conside-revole che ogni essente cela e svela nel suo aspetto, nel suo mo-strarsi (slöae, iöåa). Una città presenta un aspetto (Airfilick), unavista grandiosa. L'aspetto (Antichi) , che un essente racchiude dentrodi sé e che può quindi presentare solo di propria iniziativa, si lasciapoi sempre cogliere da questo o da quel punto di vista. A secondadella diversità dei vari punti di vista l'aspetto offerto diventa unaltro. Ne viene che quell"aspetto è sempre, nel contempo, quello chen oi cogliamo e ci formiamo. In base alla nostra esperienza e alnostro commercio con l'essente vien fatto sempre di formarci dellevedute particolari del suo aspetto, del suo modo di prospettarsi. Ciòaccade sovente senza che ce ne rendiamo conto. Si arriva cosí, peruna qualunque _via e in base a motivi purchessia, a una certa prospet-tiva sulla cosa. Ci formiamo una opinione su di essa. Cosí puo acca-dere che il punto di vista che noi difendiamo non abbia nella cosaalcun fondamento. Si tratta allora di una semplice prospettiva, diuna semplice supposizione. Supponiamo che una cosa sia cosí o cosí.Opiniarno semplicemente. Supporre si dice, in greco, Båxsaìiai. (Ilsupporre, come assunzione, è sempre collegato all'oEerta dell'appa-

i""I-.

113

Page 57: Heidegger Introduzione Alla Metafisica

'I

iivraonuziona ai.i.-ti ivinrartsica 1-ll LIMITHIUNE DELL ESSERE

1`11'e-l LH 5f5'ši-I. In quanto cosa ammessa in un müdü D ngllialttot è ' costituiti altrimenti. Questa apparenza è storica, è storia essa stessa,l'ePlflleflf-'- ' è manifestata e fondata nella poesia e nel dire, ed è cosí un aspetto

Siamo giunti al punto che volevamo. L'essere, la tpúaig, P1-gpl-10 essenziale del nostro mondo.Per ll fflflìü Cha Cünsiste nelliapparira g n¢1]'.;;,ff1-ire degli aspetti e -Solo lo spirito saccente di tutte le generazioni cpigoniche e infiac-delle Pfespfitfívv. può in base alla tua stessa essgnmt et pet mtttt._ chite, crede di potersi sbarazzare della potenza storica del1'apparenzagueflzflt In modo necessario e permanente, rendere possibile un"evi- ee-"fl ll Pfeelelllefle e Segšeillve *ii eenle Se lleeeeme Stessa di quffstaeleflefi (AH-Y-'~`€bcH) che in realtà occulta e -¢¢_=_-la quella cl-te è la verità -ii soggettività a- non fosse qualcosa di estremamente problematico.delliessente, ossia quello che liessente è nella Sua 1-,ün-l,-,tema Tale I Greci fecero di cio ben altra esperienza. Essi dovettero sempremodo di prospettarsi dell'essente è l'a p p a r e n z a (Scbeiii) nel strappare l'essere all"apparenza e proteggerlo contro di essa. (L'es-senso del sembrare (Anscbein). Laddove sussiste la non-latenza del- Sere èi lnfattit come "°n'laie"za'll'essente c'è anche la possibilità dell'apparenza, e viceversa; laddü-,-e Solamente nel perdurare della lotta tra essere e apparenza essi

i - _ _' ' ' ' ' ' l' ~ ll' t e a condurre l'essenteless-ente si trova nell apparenza e vi si mantiene a lungo e sicura- Selle 81111111 e eeneiulelefe essere e eeeen e1 1 il 1 1 ii- il- 1- 1mente, liapparenza può sempre infrangersi e cada-ra, alla stabilità e alla non latenza. gli dèi e la città, 1 templi e a tra-

. 1 1 1 1 1 Il Hi. d 1-Con la parola åóša vengono designate molte cose: 1. la conside- gedia, gli agoni ginnici e_ la filosofia, ma tutto cio nel bel mezzo erazione in quanto gloria; 2. il semplice aspetto offerto da una cosa; lapparenza ovunque in agguato, assumendola seriamente, coscienti

' ' ' ' I fi ' Platone che l'appa-3. lesser-considerato nel senso di: aver soltanto l'aria di... ossia delle elle Peleflee- È Sele een 3 ee ellee e eenI I 1- -IPapparenza come -ti semplice apparenza ii- (als blaster AriscI:aiii)- renza viene intesa come mera apparenza e cosí declassata. Contem-

I i 1 I- I

4. il punto cli vista che uno si forma al riguardo: l'opinione. Questa Per-'imeemenle leeeefe Viene- eeffle leeee- lflflelze-le In l'-lege U lfeeell'1 -I 1- 1- 1 tir -1 1| t

Pl'-Welllå -eli Slgflifififlfi nnn discende da una impgffaziüne della lingua sibile. Viene a delinearsi cosi la separazione, xi-ipi.trp.óç, tra essen e' - " l' r ale situato in qualchema e un gioco profondamente radicato nella maturata saggezza di meramente ePPfi1`eflle- elllflggllli- ¢ eSSe1'e e -

una grande lingua nella cui parola si custodiscono tratti essenziali lueße- leeeú- In lele lfellllfe 51 eleblllfà ln Segl-lllü le deli'-'lnll Clelffl'dell'essere. Qui, per potere avere, fin da principio, una giusta visi-_-ma stianesimo la quale reinterpreterà nel contempo il termine in erioredelle cose bisogna guardarsi dall'assumere sbri ativamcnte l'a a- eeme efeele e ll el-1Pel'le1`e eeffle efeelefeì een le quell efml- eeel. E PPrenza come qualcosa di puramente -it immaginato a-, di -tt soggettiva tt rifuse, si rivolterà contro l'antichità (intesa come paganesimo) fino

' "" I'. 1 1 1 1 1- 1 1| 1falsandola. Bisogna invece tenere soprattutto presente che, come l'ap- e snelufefle- Nlelzeelle he dunque feålefle dl dlfei ll eflelleneelme èparire, anche liapparenza appartiene all'essente stesso. UI1 Plfif0I1l$T1'10 Per il P0P0l0-

' ' ' ll ' à. t rfautoafier-Pensiamo al sole. Esso sorge c tramonta ogni giorno. Solo una - Di contro, la grande epoca de a grecit rappresen a u1 1 1 1| 1 Ilminima quantità di astronomi, fisici, filosofi - e anche questi sala- in mazione creatrice unica nella confusione dell antagonismo tra le due

base a un particolare punto di vista, che e per loro piú o meno fami- forze dell'essere e dell'apparenza_. (Per quanto riguarda l'originaria1 1 -ti 1 I. 1- lliare - sperimentano immediatamente questo stato di msg in ma_ connessione essenziale fra lesserci dell uomo, lessere come ta e, e

l 1-ié l -verità nel sensoniera diversa, ossia come unmovimento della terra intorno al sole. le Vefllä nel Sense delle nen' fileflefii- Ilefle e flefid l ' to cfr Seirr :md Zeit §§ 44 e 68.)Tuttavia, l'apparenza che assumono il sole e la terra, per esempio la - e eepflffiefl - - -

campagna all'alba, il mare alla sera, la notte, è pur sempre un appa- Nella concezione dei primi pensatori greci Puriità e l'antagonisino, , . . . Mme- Queste HPPHTEHZH nün È nulla. E non è nemmgm mm -t,-em Non dell essere e dell apparenza possedevano una potenza originaria. a

è t t resentato nellaÈ neanche una semplice apparizione di rapporti di natura in realtà è nella Peeele tfeßlee Efeee ehe tulle queste 5 e U P

114 ' 115

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_ 1i~iTito1:.iUzIoi-iE ALLA ivii-rranisica

forma piú alta e piú pura. Pensiamo all'Edipo re di Sofocle. Edipo,che all'inizio è il salvatore e il capo dello Stato, nel pieno splendoredella sua gloria e della benevolenza accordatagli dagli dèi, viene inseguito discacciato da questa apparenza - la quale non è una sem-plice veduta soggettiva che Edipo ha di se stesso, ma ciò in cui siverifica l'apparire del suo esserci - fino a che si verifica la non-latenzadel suo essere come uccisore del padre e profanatore della madre.La via intercorrente da quell'inizio glorioso a questa fine orribile è

K -I-tutta una lotta fra l'apparenza (latenza e contraffazione) e la non-latenza (l'essere). La latenza dell"uccisore dell'eit re Laio si accampa,per cosí dire, tutt'intorno alla città. Con la passione di chi si trovanel pieno splendore della sua gloria, con la passione di un greco,Edipo s'inoltra verso la rivelazione di questo segreto. Egli deve cosí,passo passo, porsi da se medesimo nella non-lateriza che non riesce,alla fine, piú a sopportare che a patto di cavarsi gli occhi da se stesso,sottraendosi cosí a ogni luce e lasciando ricadere intorno a sé latenebra che tutto nasconde, e come uomo abbacinato gridando dispalancare tutte le porte per rivelarsi al popolo per quello che è.

Non dobbiamo tuttavia scorgere in Edipo soltanto la caduta diun uomo, ma riconoscere in lui quel tipo di uomo greco in cui quellache e la sua passione fondamentale, la passione per la rivelazionedell'essere, ossia la passione della lotta per l'essere stesso, risultaspinta al massimo e nel modo piú selvaggio. Hölderlin, nella poesiaIrt Zieblicber Bltiue [:›liIi}iet..., ha questa espressione profetica: -:< Il reEdipo ha forse un occhio di troppo... a. Quest'occhio di troppo costi-iuisce la condizione fondamentale di ogni grande domandare e diogni grande sapere, ed è altresi il loro unico fondamento metafisico.Il sapere e la scienza dei- Greci sono questa passione.

Il fatto che oggi si raccomandi alla scienza di essere al serviziodel popolo corrisponde certo a una esigenza necessaria e apprezza-bile, ma è troppo poco e non persegue liessenziale. La volontà nascostadi trasformare l'essente nell'apertura dell'esserci esige di piú. Alloscopo di attuare una trasformazione della scienza - e cioè a dire,aimitutto, del sapere originario - il nostro esserci abbisogna di tutt"al-tro pescaggio inetafisico. Ha bisogno, anzitutto, di rinvenire un rap-

` i iis ` *

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La Liii-tir-izioiin nisLL*zssEiiz

porto fondamentale, veramente costituito e fondato, all'essere del-Pessente nella sua totalità. _ _

Il rapporto che noi uomini d'oggi intratteniamo con cio che sichiama essere, verità, apparenza, è da tanto tempo cosí confufifliprivo di base e di passione, che nel cercare di interptetare e di farenostra la poesia greca possiamo intendere. solo una etigua parte 'dellapmanza di questo dire poetico della grecità. Se la piu recente intor-pretazione di Sofocle (1933), dovuta a Karl Reinhardt, giunge sen:sibilmente piú vicino all"esserci e all'essere greco di tutti i tentativicompiuti finora, cio è dovuto al fatto che Reinhardt considera e indagal'evento tragico in base ai fondamentali rapporti esistentitfra essere,non-latenza e apparenza. Anche se ancora vl hanno parte il modernosoggettivismo e psicolog`ismo, Finterpretazione dell Edipo fa qufilo-ii tragedia dell'apparenza s› costituisce una grandiosa impresa.

Voglio chiudere questo accenno alla elaborazione' poetica fattadai Greci della lotta fra essere e apparenza con la citazione di unpasso dell'E-dipo re di Sofocle, passo che ci consente di metterla inrelazione, senza forzature, con la nostra provvisoria caratterizzazionedelllessere greco come stabilità e con quella teste raggiunta doll €55*-'1'ecome apparenza. _

I pochi versi, tratti dall'ultimo coro della tragedia (vv. 1189segg. ) , suonano:

1L; 'yåp *ttiç åfi-I'l'|p-11¦Ã.Éo'd¬:t'i.ç süöattliovlizç tpépsi.--il 'taa'oi'i-rav ötrav 'tioitsivitizl. Sóšetvt' ånaitltivai

Chi, quale uomo maggiormente adducedell'esserci legato e ben commessodi quel tanto che sta nelliapparenza,per poi -- quale apparente -- declinare? . -

(intendi: dallo star-diritto-in-se-stesso ) .ii

I

Nell'illustrare la natura dell'infin1to era stata fatta menzione di

117 -

Page 59: Heidegger Introduzione Alla Metafisica

INTRODUZIONE AL Lñ META FI S ICA

certe parole che presentavano una E-fi-t)ti.o'u; una d¢-¢1jne_-,iene unafle I I ' ' I ' I-I$e1eH_e fflflffifl- Oi'_a qui vediamo che il parere (Scbeirien), lappa-renza, ln quanto costituisce una variazione dell'essere, s"idem;ifi¢a mnla flcesione. Si tratta di una variazione dell'essere concepito come lostar li diritto ed eretto in se stesso. Entrambe queste deviazioni delåâeìerã in determinano a partire dall'essere concepito come la sta-ii - 1- - -É e _t__r_i_-__antenerei nella luce, ossia dell apparire (Eric/Jeineri).

U ' ' iilre e ora risultare maggiormente chiaro che lapparenza com-pete all essere inteso come apparire. L'essere come apparenza non èmeno ' - -n____1_ potente dell estere come non-latenza. L"apparenza si verifica

esse - . *______ __m__a1¬:of:_tesÉo__e s_i__ produce assteme ad esso. Ma l_apparenza non_ S C e essente appaia quello che propriamente non è,

essa non si contenta di dissimulare l'essente di cui è apparenza, maülímlfe- eeme tale- S_e stessa, in quanto si mostra come essere. Datoc e apparenza dissimula cosi, essenzialmente, se stessa occultandoe travisand d' ' ' ` '1' 1_ _ fl- iciamo giustamente che lapparenza inganna. Questoinganno risiede nell apparenza stessa. È solo per il fatto che l"appa-reriea stessa_ inganna, che essa puo ingannare liuomo, collnçandüleeee! H1 una illusione. Ma liilludersi non è che uno dei modi fra glialtri ' ' ' i - - '___ - Per C111 ll-lon'1o si mtiove nel triplice mondo ove s'intersecano

essere, la non-latenza e lapparenza.Le SPHID, per cosí dire, che si schiude nell'interse-carsi dell'es-

ãere, della iåon-latenza e dell'appa_renza, lo intendo come lo s via-f_______e___l1_ lle ( If r:i:')i__-Apparenza, inganno, illusione, sviamento, sono

oro '* - -__ ____ - Fffirhci c e concerne la loro essenza e il loro accadere, ino_ I rapporti c e sono stati per lungo tempo fraintesi ad opera della

Psleeleglfl C della gnoseologia, cosicché non siamo piú in grado dicoglierli e ravvisarli chiaramente, nell'esserci quotidiano, come dellepotenze. _ __ il nostro compito era, in primo luogo, di fai- veda-e ,_-;1-,let-ementein-_ c e maniera, sulla base t_:_lell'interpretazione greca dell'essere comeeueiei ¢ Solo a partire da ciò, tanto la verità nelI

::;_l_:1*;_*n¢3lellil_›__ Tef1'leleI12fi_- ellllnfl-M0 lis p p a r e n z a, come modo de-a o ' - - - .e mostrarsi se udentesi ( auƒgeberzde Siebzeigim ) ,_ ap.

partengano necessariamente all'e s s e r e.

118

La Lin.-iiraziona nEi.i.'zssniin

Siccome essere e apparenza si implicano vicendevolmente, e inquesto implicarsi vioendevole insieme' si accompagnano, e in taleaccompagnarsi altresi e di continuo si possono scambiare l'uno nel-l'altro - donde una costante confusione e la possibilità di smarri-mento e di equivoco che essi comportano - cosí, all'inizio della filo-sofia - che e come dire dalla prima manifestazione dell'essere del-l'essente -- lo sforzo principale del pensiero è stato quello di cercaredi dominare il rischio (Nor) del.l'essere insito nell'apparenza e dicercare di distinguere l'essere dall'apparenza. Cio ha richiesto, dalsuo canto, di far prevalere la verità come non-latenza sulla latenza elo svelare sul velate, inteso come un coprire e un dissimulare preesi-stento." Siccome, peraltro, ciò che si richiede è di separare l'esseredall'altro da sé e consolidarlo come eúatc, avviene che con la sepa-razione di essere e non essere si compia anche quella del non esseree dell'apparenza.' Tuttavia le due distinzioni non si corrispondonoesattamente.

Stando cosí le cose quanto alliessere, alla non-latenza, a1l'appa-renza e al non essere, per l'uonio che si trova in mezzo all'essere chegli si schiude e che, sempre da tale posizione, è in grado di rappor-tarsi in questo o in quel modo all'essente, tre vie si dimostrano neces-sarie. Bisogna che l'uomo, se vuole assumere il suo esserci nella chia-rità dell'essere, collochi quest'ultimo al suo posto (zum Stand), losostenga nell'apparenza e contro l'apparenza, sottraendo in pari tempol'essere e l'apparenza all'abisso del non essere.

Occorre che l'uomo distingua queste tre vie e si decida, confor-memente, in pro o contro di esse. All'inizio della filosofia il pensieronon consiste che nel.l"apertura e nel percorrimento di queste tre vie.Tale distinguere colloca Puomo, quale essere consapevole, all'incro-cio di queste tre vie, ponendolo cosí nella costante de-cisione. È conquesta che ha inizio, precisamente, la storia. È in essa e soltanto inessa che si decide altresi riguardo agli dèi. (Se ne desume chequi de-cisione non significa giudizio né scelta de1l'uomo, ma indicauna divisione in quel complesso costituito dall'essere, dalla non-latenza, dalla apparenza e dal non essere.)

Il piú vetusto percorrimento di queste tre vie che ci sia stato

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Page 60: Heidegger Introduzione Alla Metafisica

' La prima: com'è questo (cio h 1

tramandato è costituito dalla fil H dioso 'Ue ___t.d I 1-I i Parmenide contenuta nelP mfl 1 asca ico già ricord 'ato Poiché non è ' 'possibile cl' - ' arn 'una mterpretamme cümplelfii cercheremo di caratterizzare ìiešiuetre vie citando alcuni frammenti del poema q

Il frammento 4 suona, tradotto:

a Dirò allora cosí: i-andi i ' _P n tua custodia la parola che odi (suQ 1' * - . . _ __ _ ellleelì'-1_3' ergomento).

P ese in considerazione perun domandare,

C E E5501 lessere, È) e come altresi' (è)

mi “ei le Unlehe- ineritino di essere

Della fondata fiducia S_________ è lIT1l70SSll'.)llE 11011-€'SS€1`€

em 'ilueefei oSSo segue infatti la nt;-nJ " latenzaL'altra in - 'i -. vece. come cio non sia e el

Questo d'altronde ' ' . essere-, lo dico chiaro, è un sentiero per niente consi-

' liabile,Per Vla che né potresti far ge conoscenza col non essere '- - , giacché nonné con ar _ _ _ può essere mostratoP ole potresti neppure indicarlo s-_ '

Si notano ' ' “ -_ qui anzitutto due_ ___ L _ vie nettamente separate e opposte;a via che conduce verso l essere che è in ari t 1via che porta nella non-late - ' . P emP0 EMa. Questa via è imprescindibile.

2 La via che co *- nduce verso _ i -ng ò _ il 11°" essere- via che in realtàll P'-1 essere percorsa ni. 1 3 Pfüpflü PCI' quggtü ' - .-enire elevata a ' - -p_________ del fa_____ _________ C____________________ __ l sapere, in considerazione ap-

ff nün'e55el`e~ Questo frammento ci'e fe- nello stesso tem ' ' -po la iu -filü fi d U _ i P _ antica attestazione da parte delleso a e a necessitå che la Vla del nulla veri 3sigme 3 delli . E P É 11 S 3 I E 35.essere, cosicché volgere le spalle al nulla assicu-rando che il nulla man'f . .bl . I estamenlfe nen ei- Significa sconoscere il pm.ema dell . Il f - .non to lie. essere ( *me ehe Il nulla non sia alcunché di essenteg affatto che appartenga, a suo modo all-__sse____)

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tresí come necessario sia il non-

La Liiviirzizioitn nisLL'nssziiz

Solo in base alla meditazione su queste due vie si possono farei conti con una terza, la quale si contrappone alla prima in una suamaniera caratteristica. Questa terza via ha il medesimo aspetto dellaprima, ma non conduce all'essere. Perciò dà Pimpressione di nonessere anclfessa che una via verso il non essere nel senso del nulla.

Il frammento 6 comincia 'col contrapporre rigidamente le due vieindicate nel frammento 4: quella dell'essere e quella del non-essere.Ma in pari tempo, in oontrapposizione alla seconda via, quella versoil nulla, che è impercorribile e perciò senza speranza, ne viene indi-Cata una ÈEFZHI

-ti È necessario il porre raccogliente, cosí come l"apprendere: l'essentenel suo essere.

L'essente infatti possiede l'essere; il non-essere non possiede alcun"'è"; questo dunque ti ordino di tener ben presente.

Innanzitutto, infatti, tienti lontano da questa via del domandare.Ma altresi allora da quello che gli uomini, quelli che non sanno,si preparano, gli ambocefali, giacché il non saper raccapezzarsiè per essi la regola del loro apprendere errante; dacché son essi di

qua e di là gettatistupidi e insieme ciechi, inebetiti; la schiatta di coloro che non

distinguono,cui norma è che il presente e il non-presente siano lo stesso _e anche non lo stesso, quelli per cui in tutto volge il sentiero all'in-

contrario ›i›.I-

La via or ora designata è quella della öólåtr nel senso dell apparenza. Su questa via l'essente appare ora in un modo, ora in un altro.Non regnano qui altro che opinioni. Gli uomini trascorrono da uniopi-nione all"altra, alternativamente. Mischiano cosí l'essere e Pappareiiza.

Questa via è costantemente seguita dagli uomini, fino a perdervisidel tutto.

È dunque tanto piú necessario conoscere questa via c o m et ale, añnché - per entro Papparenza e contro l'apparenza - siriveli Tessere.

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INTRODUZIONE ALLA. METJKFISICA

Troviamo infatti liindicazione di questa terza via e della suacoordinazione alla prima nel frammento 1, vv. 28-32:

-:t Ora è altresi necessario (per te che t'incammini sulla via del-- l'essere) apprendere il tutto:

tanto il cuore saldo della non-latenza bellamente conchiusaquanto le vedute degli uomini in cui non risiede aflìdamento veruno

per il non-latente.Ma in tutto ciò tu devi ugualmente imparare a conoscere come l'ap-

parente sia a questo tenuto:a pervadere tutto come apparema (alla sua maniera), contribuendo

cosí a compiere il tutto .a-.

La terza via è quella delliapparenza, ed è tale che su di essa l'ap-parenza viene sperimentata c o m e appartenente all'essere. Per iGreci, le parole riportate possedevano una origina_ria energia. Esseree verità traggono la loro essenza dalla oúatç. Il mostrarsi di Cio Choappare appartiene immediatamente all'essere, ma anche (in fondo,in definitiva) non gli appartiene. Per questo l'apparire (Scbeirieri)deve sempre di bel nuovo essere messo in luce contemporaneamenteanche come semplice apparenza.

La triplice via fornisce questa direttiva, in se unitaria:' La via dell'essere e indispensabile.

La via del nulla è impercorribile. -La via dell'apparenza e sempre accessibile e seguita, ma elu-

dibile.Per questo, un uomo che veramente sa non è quello che persegue

ciecamente una verità, ma è semplicemente uno che si rende costan-temente conto di tutte e tre le vie: quella dell'essere, quella del non-essere e quella dell'apparenza: Il sapere superiore - e ogni saperecomporta una superiorità - viene concesso solo a colui che ha speri-mentato, sulla via dell'essere, la tempesta capace di trascinarlo via,a colui cui lo spavento della seconda via, quella che conduce all'abissodel nulla, non è rimasto estraneo, e che pure ha saputo accettare ilrischio sempre incombente della terza via, quella dell'apparenza.

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La Liiviirazioue nELL'EssEaE

A un tale sapere appartiene quello che i Greci della grande epocadenominavano rókua, ossia il misurarsi insieme con liessere, con ilnon-essere e con Papparenza: il che corrisponde ad asstunere su di sél'esserci portandolo alla decisione fra essere, non-essere e apparenza.Muovendo da una tale posizione fondamentale nei confronti dell'es-sere, uno dei loro piú grandi poeti, Pindaro (Nemea, III, 70) dice:šv Se irsipe -rélteg ötaqiatvsrat: è nella prova rischiata framezzo all'es-sente che si reca all'evidenza il compimento, la delimitazione di ciòche e stato recato ed è pervenuto alla stabilità (Stand), vale a direl'essere. _ -

È qui espressa la medesima fondamentale posizione che risaltanel già citato detto di Eraclito sul itóìtrueç. Il vicendevole contrap-porsi (Ar-rs-eiriarider-setzrmg) -- non la semplice disputa o la con-tesa, ma la lotta dei valorosi - è ciò che colloca l'essenzia1e e l'ines-senziale, il superiore e l'inferiore, nei rispettivi limiti, e li conducealla manifestazione ( Vorscbein ) .

Quello che non ci si stanca di ammirare non è soltanto la maturasicurezza di questo rapporto fondamentale all'csscre, ma la ricchezza,insieme, del suo modo di configurarsi nella parola e nel marmo.

Finiamo d'illustrare l'opposizione - che significa in pari tempounità - dell'essere e dell'apparenza, con una espressione di Eraclito(fr. 123): tpúotg itpún-reiirilat tptìtei: l'essere (l'apparire schiudentesi)inclìna di per sé alfautonascondimento. È per via che l`essere rivesteil significato di -a apparire schiudentesi i››, di e sortire dal nascondi-mento s-, che a lui competono essenzialmente la latenza e la prove-nienza da quella. Questa provenienza costituisce l'essenza dell'essere,dell'apparente come tale. L'essere permane incline a ritornarvi, sianel grande occultamento e silenzio, sia nella piú superficiale finzionee dissimulazione. La stretta contiguità di -:pù-iriç e di itpúrrvsofrtti èinsieme manifestazione dell'intimità di essere e apparenza e del loroconflitto.

Se intendiamo la formula astratta e essere e apparenza a- secondotutta la forza della distinzione originariamente conquistata dai Greci,ci possiamo rendere conto non solo della difierenziazione e delimita-zione dell 'essere di contro alliepparenza, ma anche, in pari tempo,

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-I

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_ ii~i'i'itonUzIoNE .s.LLa ii.-iETaFis1ca

della loro intrinseca appartenenza alla distinzione di ti essere e dive-nire ». Cio che nel divenire si mantiene non è piú, da un lato, ilnulla, né, ancora, ciò che e destinato ad essere. In ragione di questoti non piifi e non ancora ii- il divenire permane oommisto di non-essere. Non è tuttavia un puro nulla, ma non piú questo e non ancoraquello, e, come tale, costantemente un altro. Per questo si mostraora in un modo ora in un altro. Il divenire presenta un aspetto fon-damentalmente instabile. Esso è, da questo punto di vista, un'appa-renza dell"essere.

Bisogna dunque che, nella iniziale apertura dell'essere dell'es-sente, il divenire risulti, alla stessa stregua dell'apparenza, contrap-posto all'essere. D'altra parte, il divenire in quanto -a dischiudi-mento is (Auƒge/zen) appartiene tuttavia alla tpiicriç. Se intendiamo,alla maniera dei Greci, il divenire come un venire e un andar viadalla presenza, l'essere come una presenza-apparentenello-schiudersi(als ai-rƒge/Jend-errcbeiaendes-Anweseii), e il non-essere come as-senza, ne viene che Palternanza di schiudersi e di svanire è l'appa-rire (Erscbeinen), l'essere stesso. Allo stesso modo che il divenireè liapparenza dell'essere, cosí l'apparenza intesa come apparire(Errcbeiaen) è un divenire dell'essere. -

Possiamo già dedurre da cio come non sia privo d"importanza ilricondurre la distinzione di essere e apparenza a quella di essere edivenire, o viceversa. Di conseguenza il li-'oblema del rapporto frale due distinzioni deve per ora rimanere aperto. La risposta a talequesito dipende . dall'autenticità, dall'ampiezza e dalla solidità delfondamento in base al quale l'essere dell'essente si essenzializza( west). Cosi la filosofia, all'origine, non si è limitata a enunciaresingoli principi, per quanto le successive presentazioni della sua storiapossano suscitare questa impressione. Si tratta, in verità, di presen-tazioni dossografiche, consistenti cioè nella descrizione di opinioni edi singole vedute di grandi pensatori. Ma chi si limiti all'esame ealla considerazione di queste, nel modo in cui sono presentate, puòesser certo di incorrere in errore e di sbagliare strada prima ancoradi pervenire a una conclusione, prima di assicurarsi cioè la formulao l"insegna di una certa filosofia. Il p e n s ie ro e l'essere greco

1241.

I

La Limitazione nnLL"EssEitn

lottano per la decisione fra le grandi potenze dell'essere e del dive-nire, dell'essere e dell'apparenza. L'esplicarsi di siffatte contrapposi-zioni doveva sviluppare il rapporto di essere e pensiero fino a confe-rirgli una forma determinata. Ne consegue che presso i Greci siprepara altresi Pelaborazione della terza distinzione. -

3. Essere e pensare'.

Piú volte è stato da noi segnalato il decisivo predominio delladistinzione di «s essere e pensare ii- nell'esserci dell'uomo occidentale.La ragione di questo dominio deve trovarsi nella stessa essenza .diquesta scissione, in cio per cui essa si distacca dalle due prime ealtresi dalla quarta. Per questo vorremmo richiamare, fin da prin-cipio, l'attenzione su quanto ha in sé di particolare. Confrontiamoanzitutto questa distinzione con le altre due di cui si è testé parlato.In queste, ciò che viene distinto dall'essere per essergli contrappostoproviene dall'essente medesimo, lo si ritrova nella sua stessa sfera.Non solo il divenire, ma anche l'apparenza, ci si presentano nell'es-sente come tale (cfr. il sole che sorge e che cala; il caso, soventecitato, del bastone che immerso nel1'acqua appare spezzato, e cosívia). Divenire e apparenza si trovano, per cosí dire, sullo stessopiano dell'essere dell'essente. _

_Per contro, nella distinzione di e s s e r e e p e n s a r e, cioche viene contrapposto all 'essere, il pensiero, non è soltanto qual-cosa di essenzialmente diverso dal divenire e dall'apparenza, maanche la direzione dell'opposizione è essenzialmente diversa. Il pen-siero si colloca in guisa tale di fronte all'essere, che questo gli risultapro-posto (nor-gestellt) e pertanto gli si oppone come un oggetto(Gegea-staiid_). Non è questo il caso delle precedenti distinzioni.Risulta dunque chiaro il motivo per cui questa distinzione è in gradodi assumere una posizione preponderante. Essa gode di una superio-rità in quanto non si pone fra le altre tre distinzioni e alla pari conesse, ma tutte se le rappresenta, e cosí pro-ponendosele per cosí direle _ abbraccia. Accade cosí che il pensiero non è solo il termine anti-

H 125

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INTRUDUZIDNE ALLA METJÃFIS IC-Ft

tetico di una distinzione in certo qual modo diversa dalle altre, madiventa la base e il punto di riferimento che decide su cio che gli stadi fronte, al punto che Tessere stesso riceve il suo significato dalpensiero.

È su questa linea che va apprezzata l'importanza che proprioquesta distinzione riveste nell'insieme della nostra ricerca. In quantocio che in fondo noi domandiamo e che cosa ne è dell'essere, in chemodo e in base a che cosa possa nella _sua essenza venir portato aconsistere ed essere inteso, compreso e posto come norma decisiva.

Nella distinzione, apparentemente indifferente, di e s s e r e ep e n s a r e è da riconoscersi quella fondamentale posizione dellospirito dell'Occidente che costituisce il nostro specifico punto dipartenza. Essa non si lascia superare che o r i g i n a r i a m e n t e,ossia in modo che la sua verità primitiva venga restituita nei suoipropri limiti e con cio nuovamente fondata.

Al punto attuale della nostra ricerca siamo in grado di renderciconto anche di un altro aspetto. Si È chiarito precedentemente chela parola e essere i:-, contrariamente all'opinione dei piú, ha un signi-ficato_ nettamente circoscritto. Questo implica che l'essere stessoviene inteso in un modo determinato. In quanto è cosí compreso,esso è a noi aperto. Ora, ogni comprensione, in quanto costituisceun modo fondamentale di apertura, si muove necessariamente in undeterminato campo di osservazione. Questa cosa, ad esempio, l'oro-logio, ci rimane preclusa in cio che essa è qualora non si sappia pre-viamente che cosa siano il tempo, il tener conto del tempo, la misuradel tempo. Il campo di osservazione di ciò che osserviamo deve risul-tare già in precedenza aperto. Noi lo designamo come campo preli-minare di osservazione (Vor-blicfebabn), come -si prospettiva ii-. Sichiarisce cosi che non solo l'essere non è compreso in un modo inde-terminato, ma altresi che la comprensione determinata delliessere simuove già essa stessa in un campo di osservazione previamentedeterminato.

I movimenti entro questo campo, i tentennamenti, gli slittamenti,le deviazioni, hanno finito _pcr entrarci nella carne e nel sangue, tantoche noi non riconosciamo piú il campo stesso né ci vien nemmeno

126 ''li

"li-

La Lirviir.-azione nELL't-:s senz

fatto di notare o di comprendere il p r o bl e m a che lo concerne.In questa prospettiva già istituita e dominante, che regge e guidaogni nostra comprensione dell'essere, noi siamo immersi (per nondire perduti) tanto piú profondamente e in modo tanto piú nascosto,in quanto anche,i Greci non pervennero piú a mettere in luce questaprospettiva come tale, e non poterono farlo per delle ragioni essen-ziali (non per manchevolezza). E tuttavia Pesplicazione della distin-zione di essere e pensare fa già essenzialmente parte dell'opera dicostruzione e consolidamento di questo preliminare campo di osser-vazione nel quale la comprensione greca già si muove.

Abbiamo tuttavia collocato questa distinzione, anziché al primo,al terzo posto. Vediamo dunque di chiarirne il contenuto cosí comeabbiamo fatto per le precedenti.

Incominciamo ancora con una caratterizzazione generale di cioche viene ora a contrapporsi all'essere.

Che cosa significa -ci pensare ii? Si dice: -tt L'uomo propone(den-let) e Dio dispone ››. Proporre (deiiken) comporta: ideare que-sta o quella cosa, progettare; proporsi questo o quello vuol dire:mirare ad esso. -a Pensar male ii- significa: pre-meditare qualcosa delgenere; -ii pensare a qualcosa (aii...deiiken) ›:› vale: non obliare. Quipensare va inteso nel senso di: ricordare, rammentare ( ge-den-een).Noi usiamo l'espressione: si'c}J...deii.leeii nel senso di -a immaginarsi a-soltanto qualcosa, figurarsela. Taluno dice: ti penso che l'affare riu-scirà s›,,ossia: mi sembra cosí, sono di quest'avviso, nutro questa opi-nione. Pensare, in senso forte, significa: riflettere su... (nach-deaken),meditare su qualcosa, una situazione, un piano, un avvenimento. Iltermine e pensiero a serve anche per indicare il lavoro, l'opera dicolui che chiamiamo un -a pensatore a-. Certamente, tutti gli uomini,a difierenza degli animali, pensano, ma non tutti sono dei pensatori.

Che cosa deduciamo da tali usi linguistici? Il pensiero si riferiscetanto al futuro quanto al passato, quanto, altresi, al presente. Il pen-siero reca qualcosa davanti a noi, ce lo r a p - p r e s e n t a. Questorap-presentare (vor-stellen) deriva pur sempre da noi, è un liberodisporre, ma non arbitrariamente, bensi in certo modo obbligato,inquantoché noi, rappresentando, pensiamo il rappresentato, lo pon-

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INTRODUZIONE ALLA METAFISICJI

deriamo, smembrandolo, scomponendolo e ricomponendolo. Inoltre,pensando, non ci limitiamo semplicemente a rappresentarci, ossia aporci davanti da noi stessi qualcosa, a smembrarlo perché resti smem-brato; ma, riflettendoci sopra, noi seguiamo il rappresentato. Nonlo accettiamo semplicemente come ci capita, ma ci volgiamo a sco-prire, per cosi dire, quello che clè dietro. Là giunti ci rendiamo contodella cosa. Ce ne facciamo un concetto. Cerchiamo il generale.

Fra i caratteri indicati di ciò che si suole chiamare -a pensare a-ne rileveremo anzitutto tre:

1. La rappresentazione che -e proviene da noi ii-, consideratacome un comportamento dotato di libertà propria. :

2. La rappresentazione concepita come ricongiungimento chesi opera attraverso uno smembramento.

3. Il cogliere rappresentativamente il generale.A seconda della cerchia in cui si svolge questo rappresentare, a

seconda del grado di libertà, a seconda della perspicacia e sicurezzadell'analisi, a seconda della portata del cogliere, il pensiero puo risul-tare superficiale oppure profondo, vuoto o pieno di contenuto, inob-bligante oppure costringente, giocoso o serio. *

Da tutto cio non possiamo peraltro ancora senz'altro inferire perquale ragione proprio il pensiero debba pervenire a quella accennataposizione fondamentale nei confronti dell'essere. Il pensiero è unadelle nostre facoltà, accanto al desiderare, al volere, al sentire. Noisiamo in rapporto con l"essente per mezzo di tutte le nostre facoltàe modi di comportamento, e non solo per via del pensiero. Certa-mente. Ma la distinzione di a essere e pensare ii- designa qualcosa dipiú essenziale del semplice rapporto all'essente. Questa distinzionesi origina da una primitiva intrinseca appartenenza all'essere stessodi ciò che viene distinto e separato. La formula e essere e pensare adesigna una distinzione che è, per cosi dire, richiesta dall'essere stesso.

Una siffatta intrinseca appartenenza del pensiero all'essere nonsi desume certamente dalle caratteristiche del pensiero fin qui pro-dotte. E questo perché? Perche' noi non ci siamo ancora fatta unasufficiente idea del pensiero. Ma da dove possiamo ricavarla?

Chiederci questo e fare come se non esistesse da secoli una e lo-

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La Liiviiriiziorin nELi.'EssEiin

gica ii-. Essa è la scienza del pensare, la dottrina delle regole del pen-sare e delle forme del pensato.

Essa è inoltre, nelliambito della filosofia, la scienza e la disci-plina in cui punti di vista o indirizzi che esprimono una concezionedel mondo (Weltaascbanung) hanno poco o nessun peso.. Inoltrela logica è considerata una scienza sicura e degna d'ogni fiducia. Dasempre essa insegna la stessa cosa. A dire il vero, c`è chi rovescial'ordine e la struttura di certe sue parti tradizionali; qualcun altrone esclude questo o quello; altri reca delle aggiunte desunte dallagnoscologia; altri sottomette tutto alla psicologia. Ma, nel complesso,regna una confortante unanimità. La logica ci libera da ogni preoccu-pazione di indagini complicate sull'essenza del pensare.

Vorremmo nondimeno avanzare ancora una domanda. Che signi-fica e logica a? Il termine è un'abbreviazione per šiti,-ir-t1'|p.11 ?Lo†i.in'1,scienza del Mvoç. E Mya; designa qui la proposizione (Ar-usage).La logica dovrebbe tuttavia essere la dottrina del pensare. Perchémai allora essa à scienza della proposizione? '

Perché il pensare risulta determinato a partire dalla proposizione?È cosa che non si comprende afiatto da se stessa. Abbiamo primaspiegato il e pensare ii- senza rifarci alla proposizione e al discorso.La riflessione sull'essenza del pensare è, per conseguenza, qualcosadel tutto particolare, se essa si compie come riflessione sul 'Kovac efinisce per diventare una logica. e La logica ›› e e il logico ›› nonpossono afiatto essere considerati, cosi come sono e assolutamente,come se fossero senz'altro i modi di una determinazione del pensare.Del resto, non è un caso che la dottrina del pensare sia divenutati logica a. -

Comunque sia, il richiamo alla logica, allo scopo di circoscriverel'essenza del pensiero, è già un 'impresa discutibile perché la logicacome tale rimane qualcosa di problematico, e non soltanto per quantoconcerne alcune parti della sua dottrina o per alcune teorie soltanto.Eppero -ti la logica ii- deve essere posta fra virgolette. E questo, nonperché si voglia rinnegare il -<< logico ›:› (nel senso del correttamentepensato); al contrario, è proprio per servire il pensiero che cerchiamodi raggiungere cio da cui si determina l'essenza del pensare, ossia

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INTROIJUZIUNE ALLA METÀFISICA

l'iii}¢i']i?sir:t e la tpúatc, llessere come non-latenza: quello che proprioattraverso la logica è andato perduto.

Da quando dunque esiste la logica, che ancor oggi governa ilnostro pensiero e il nostro dire, e che dall'origine interviene essen-zialmente a determinare la concezione grammaticale della lingua, eper conseguenza la posizione fondamentale dell'Occidente riguardoal linguaggio? Quando è che ha inizio la formazione della logica? Dalmomento in cui la filosofia greca perviene alla sua fine e si trasformain un affare di scuola, di organizzazione, di tecnica. Questo incominciaquando Pšóv, l"essere dell'essente, appare come löšiz e, come_ tale,diventa -a oggetto ›› dell*å-inter-t1'1p.i1. La logica è sorta nell'ambito delcurriculum scolastico delle scuole platonica e aristotelica. La logicaè un'invenzìonc dei maestri di scuola, non dei filosofi. E quando ifilosofi se ne sono impadroniti, cio è sempre avvenuto per un impulsopiú originario, e non nell'interesse della logica. E non è un caso chei grandi, decisivi sforzi di oltrepassare la logica tradizionale sianostati compiuti da tre pensatori tedeschi, i piú grandi: Leibniz, Kante Hegel.

- La logica, come enucleazione delle leggi del pensare e come isti-tuzione delle sue regole, non ha potuto nascere se non dopo che laseparazione fra essere e pensare si era già compiuta, e invero in unmodo determinato e secondo un particolare punto di vista. Ed è perquesto che la stessa logica e la sua storia non possono in alcun modofornire un chiarimento suflìciente circa la natura e l'origine di questaseparazione dell'essere e del pensare. La logica ha bisogno essa stessache si spieghi la sua origine e si giustifichi la legittimità della suapretesa a costituire l'interpretazione determinante del pensiero. I..'ori-gine storica della logica quale disciplina scolastica e il suo particola-reggiato sviluppo qui non c'interessano. È invece necessario conside-rare i seguenti quesiti: -

1. Perché poteva e doveva sorgere nell'ambito della scuolaplatonica una cosa come la logica?

2. Perché 'siffatta teoria del pensiero si è presentata comedottrina del ltóyoç, nel senso della proposizione? i

3. Su che cosa si fonda, dopo d'allora, la potenza ognora

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La Liiviirszionz nELL*nssni-iz

crescente del logico, potenza che trova la sua espressione conclusivanella seguente frase di Hegel: a Il logico (è) la forma assoluta dellaverità, anzi di piú, è la pura verità stessa ii- (Encicl. § 19; in Werke.VI, 29). È in forza di questa preminenza del a logico a- che Hegelchiama, a ragion veduta, e logica ii- quella disciplina altrimenti deno-minata comunemente -ii metafisica ›i›. La sua Scienza della logica nonha niente che fare con un trattato di logica del tipo consueto.

Pensare si dice ln latino intelligere, ed è affare dell'i`m'ellectur.Se è nostra intenzione di combattere Pintellettualismo occorre, percombatterlo veramente, che impariamo a conoscere Pavversario; oc-corre cioè considerare che Pintellettualismo non è se non un prose-guimento, un prolungamento attuale, alquanto scadente, di quel pri-mato del pensiero che è stato già da gran tempo preparato e perfe-zionato con i mezzi della metafisica occidentale. È certo importantetagliare alla radice le proliferazioni dell'intellettualismo odierno; _m__acon ciò la posizione del1'intellettualismo come tale non risulta mini-mamente scossa, anzi neppure toccata. Il pericolo di una ricadutanell'intellettualismo sussiste proprio per quelli che intendono com-batterlo. Una lotta ingaggiata solo sul piano dell'oggi contro le formeodierne dell'intellettualismo fa sembrare che abbiano ragione i difen-sori di un uso corretto dell'intelletto inteso alla maniera tradizionale.Essi non sono certo intellettualisti, ma appartengono alla medesimaorigine. Ora, questa reazione dello spirito in favore della tradizione,sia essa dovuta a naturale pigrizia, sia coscientemente attuata, diventaun terreno propizio per la reazione politica. Il fraintendimento delpensiero e il cattivo uso del pensiero cosí frainteso possono esserevinti soltanto mediante un pensare originario e autentico e n u ll l a l-t ro. La nuova fondazione di un tale pensiero impone anzitutto diritornare al problema concernente il rapporto fondamentale del pen-siero all'essere, cioè, quindi, di sviluppare il problema dell'esserecome tale. Superamento della logica tradizionale non significa aboli-zione del pensare e predominio dei meri sentimenti, ma significa unpensare piú originario, piú rigoroso, nella sua appartenenza all'essere.

131

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|¬ I

v iriraonuzioue .sita ivinrarisica

Dopo aver cosí caratterizzato la distinzione di essere e pensare cichiediamo ora, piú determinatamente:

1. Come si presenta ( west) la originaria unità di essere epensare, come unità stessa di tpúaiç e Myac?

2. Come si produce la originaria contrapposizione di 'Myaçe qiuotç?

3. Come si giunge all'emergere e al presentarsi del Myaç?4- COITIE il 7*-ÖTUQ (il -a logico ia) diventa l'essenza del pen-

sare?_ 5. 'Come giunge' questo Myaç, quale ragione e intelletto, a

esercitare il suo predominio sull 'essere fin dai primordi della filosofiagreca? " '

In conformità alle sei direttive indicate' piú sopra (cfr. p. 73)perseguiremo, anche in questo caso, la distinzione nella sua origineåtorica, cioè, nello stesso tempo, essenziale. Cominciamo con Passo-

are che se vero cl-ie la contrapposizione di essere e pensare è unacontrapppsiizione intrinseca e necessaria, essa deve risultare fondatain un originario appartenersi di ciò che risulta in seguito diviso Lanostra domanda sulliorigine di questa divisione verte quindi in pari

Il - ' 1tempo, e prima di tutto, sull appartenenza essenziale del pensieroall essere.

Storicamente il problema si presenta cosí: che ne è di questaappartenenza nel momento decisivo in cui ha inizio la filosofia occi-

hi ., 1 s 1 1 ...dentale? Com e inteso, alliinizio di essa, il pensare?-Il fatto che ladottrina greca del pensare finisca per diventare una dottrina del7*ÖT°=š. 111121 ti logica a, può fornirci un'indicazione. Di fatto, c"imbat-tiamo in uiforiginaria appartenenza di essere, qiúau; e Mya; Omm-resolo liberarci dall'idea che Mya; e Mytiv significhino in origine epropriamente qualcosa come pensiero, intelletto, ragione. Fin cheresteilemo di questa opinione, e ci serviremo, inoltre, come criterioper linterpretazione del Myaç, della concezione che ha di esso lalogica successiva, non faremo, nel nostro tentativo di riaccedere all'ini-zio della filosofìa greca, che incorrere in assurdità. Inoltre, con questaconcezione, non potremo mai intendere: 1. per qual motivo il Mya;ha potuto, in linea generale, venir separato dall 'essere dell'essente;

132

Lila LIMITA.ZIüNE DELL ESSERE

2 perché il Mya; cosí inteso ha dovuto determinare in seguito lessenza del pensare e portarla a contrapporsi all essere

Veniamo subito all argomento decisivo e domandiamoci che cosasignificano Mya; e Mysiv, se non sigmficano pensare? AÖTHQ dflälgflfila parola, il discorso, e Mysiv il parlare. Il dia logo è il discorso chesi scambia, e il mono logo è il discorso di uno solo Ma li-ÖTUQ 111origine non significa discorso, dire Quanto al suo significato, lparola non ha alcun immediato rapporto col hnguaggio ÀÉTWMyeiv, in latmo legare, corrisponde, come parola, al nostro e cogliere a (leseri), cogliere delle spighe della legna, dell uva, o anchea scernere a (auslese) la lettura di un libro è solo un caso partico-lare del e cogliere a nel senso proprio Questa parola significa porreuna cosa vicino all altra, metterle insieme, in breve a raccogliere a(sammela ), con cio le cose vengono contemporaneamente distinteluna dall altra È questo luso che i matematici greci fanno dellaparola Una raccolta, una collezione di monete, non costituisce unsemplice ammasso di pezzi alla rinfusa Nell espressione e analogia a(corrispondenza) troviamo addirittura entrambi i significati giustapposti' quello originario di ai rapporto ››, a relazione a, e quello di-e lingua ia, ai discorso ia Ma come nel termine «it corrispondenza a noinon pensiamo ormai piu al « rispondere a, cosi, inversamente, i Greci,dal canto loro, nel pronunciare la parola Mya; non pensavano ancora,o almeno non necessariamente, al e discorso ›› e al ai dire ››

Quale esempio della significazione originaria di Myaiv, nel sensodi e raccogliere ia, ecco un passo di Omero (Odissea, XXIV 106) Sitratta dell incontro, negl Inferi, di Agamennone con i Proci uccisiCostui li riconosce e cosí li apostrofa

<< Anfimedonte, per quale distretta siete stati quaggiu nel buiodella terra sprofondati, tutti voi eccellentissimi e coetanei, talchében diücilmente, altrimenti, chi li ricercasse per tutta una città nepotrebbe di cosí nobili raccogliere (l~ÉEflß'f°) >>

Aristotele (Fisica, I 252 a 13) dice 'råšl-<=; 5È 'M'-~=Tflf« 7~'5Tflš. << 03111ordine ha il carattere del raccogliere ia

Non andremo per ora in cerca di come la nostra parola, dal suosignificato originario - che non ha niente a che fare, inizialmente,

Page 67: Heidegger Introduzione Alla Metafisica

INTRODUZIONE i'iLLA METAFISICA

con ti lingua ia, -a parola ››, -a discorso ia - perven a a si 'fig gni carea dire ia e -a discorso ››. Ci contentereino qui soltanto di ricordarehc e il termine Mya;, anche quando da lungo tempo già significava

discorso o proposizione, ha mantenuto il suo significato originario,inteso a d ' ' 'esignare -a il rapporto di una cosa con l'altra ia.

Riflettendo sul significato fondamentale del Mya; come raocoltaIraccogliere, non si è fatta ancora molta strada nel chiarire fino a che

punto per i Greci essere e logos siano la.stessa cosa, originariamenteuniti, tanto da potere e dovere necessariamente per determinateragioni dividersi.

Il riferirsi al significato fondamentale di Mya; non puo dare una_ di _ _. .n cazione che a patto d intendere previamente cio che significhiliessere per i Greci: la qݟtri;. Da parte nostra non soltanto ci '_ .siamosforzati di intendere in generale l'essere secondo la concezione greca

Ima ponendo poco sopra in risalto l'essere di contro al divenire ell'a apparenza, abbiamo fatto in modo che il significato dell'essere

risultasse circoscritto con sempre maggiore chiarezza._ A patto di tenere costantemente presente il già detto, possiamo

dire: l'essere, in quanto ipúaiç, è lo schiudentesi imporsi (dar aaƒ-gebende Walferi). In contrapposizione al divenire esso si mostracome costanza, come costante presenza (rtändige Aaweseribeit).Questa si manifesta - in contrapposizione alla mera apparenza -come apparire, come la presenza manifesta (ofieiibare Anweierrbeit).

-Che h 'cosa a che fare il logos (raccolta) con l'essere cosí inteso?Prima di rispondere a questa domanda occorre tuttavia chiedere:alliinizio della filosofia greca un tale rapporto fra l'essere e il logos sitrova comunque attestato? Senza dubbio. Rimanianio ancora ai duepensatori h h ' ' 'c e ne anno determinato le basi Parmenide ed E li, rac ito,e cerchiamo, ancora una volta, di trovare accesso a quel mondo recoI I i- I- E ia cui fisionomia fondamentale, per quanto deformata e sconvolta

I'per quanto alterata e oscurata, determina ancora la nostra. Bisognaancor sem re i ' * l ' ' ' 'p nsisteie su fatto che proprio perché ci accin iam l

E 0 3 _lungo e gravoso com ito d' 'p i riportare alla luce un mondo nel frat-tempo invecchiato, onde veramente, vale a dire storicamente, rinno-varlo ' ' ' ' ', ci necessita di conoscere la tradizione. Dobbiamo cercare di'

134

L

La i.1rviiTiizioi~tr-1 nai.L'Essi-:aa

. . - --i ' ' tiva: piú di ql-lamü' " e in maniera piu rigoroäfl 6 IITIPÈEM _ _ _Sipere dl piär qualsiasi altra E-'Poca o Precedente rivoluzione dl åífn'S1 *Pesa* - ttei-ci "in-. - i -' ' te storico uo perme . _siero. Solo il sapere_ piu_ radåcalmeåri cümpitiì garantirci contro iltfifldefe 11 Cafamfre msühw ehnü ura e semplice e di una sterilenuovo avvento di una restaurazione pimitazione. . - M d' ,ja-L;

- " * ssione di TG4. ¢ 1 “PPer fm-mr: la Pmva dcn'u-mml cqnneminceremo con una inter-agli albori della filosofia occidenta e, IIICU

' di Erac ito.Dei pensatori grqci giu antichi I%r:å_1__________ _*_`:la____e____ ___' S______s___ ________

lla storia occidenta e stato mfigålü _ _ _ . «-da 11 d'altra paiite nei tempi recenti e recentissiml, ha füfflliügreco. e c ei _ I _ t di Ciò che è propriamente greco.i piú vigorosi impi_ulsi alla risco1_:::'__äe___n ___ ________________ __________________i_ E l_________Tanto Hegel _clie il suo aëiiico d influsso di Eraclito, ma con questamoda, sotto il patente e eå-afl_ _Èi____m ___ cünd___de_ mentre Hüldeflindifferenza: che Idegel gliar 3 ii _______ è dialtm Parte_ il fappm-in diguarda in avanti e aP1_e. iv_-_eà N_____›_z___________ ___ ___a____ _____a ______i___a delNietzsche ad Eraclito. n veri 1 _a___________ ______ Pa________i______ ed E__a_contrasto comunemente,_ e a _torto, S z_____ _____ ______ la _______ ________fi____caclito. È questo u__i'__o dei _É::_i_v_i_ šìììliema cljecisivo, benché Nietzschenon è pervenuta a atto a . . _ . ._ . d

- . - recita in un nio Gabbia*d'altra parte in__test:_ il inizio della Ei a o er in. _ _

che åün e slillieiralütc :limento di Eraclito esso è dipeso dal cristia-uanto rain en › _ I ._ . . . . - - ' i della Chiesa. Hege si trovanesimo _e ha inizi? già _c0:__ P_l“1i'ii_ä__I:da__t_:}r__________ ___ ________________ è __________a _________eancora in questa linea. a U ITI .I rülü Gpr annuncio del logos di cui tratta, nel Nuovo Testamento' I P lgii - ' h E ac ito- - - tn. Siccome HDC E 1'dell"Evangelo di Giovanni. Il logos è Cris _ _ _ __ ____ ha

1 ià del logos i Greci sarebbero giunti addirittura a a gPara 3 ' -- - dal ' ' esimo. . ' rivelata cristian -della verita assoluta, ossia della verita _ _ __ _ ___ ___ ge _______________È cosí che in uno scritto pfifvfinumml in questi 31° n g . .segue- << Con l'apparizione effettiva della verità sotto forma divino-

' ' ' ri reci circa la supremß-213umana, la wnüscerlza filosüficaèdel pensatfaernšata Tale convalidazionedel logos su ogni a tro essente stata con -e conferma fonda la classicità della filosofia grefitl It-

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Page 68: Heidegger Introduzione Alla Metafisica

INTRODUZIDNE i'LLLå METAFI S ICÀ

In base a tale concezione della filosofia, comunemente diflusasotto diverse forme, i Greci sarebbero i classici della filosofia rPeessere stati dei teologi cristiani in embrione. Per quanto riguardaEraclito, considerato un precursore dell'evangelista Giovanni, ve-dremo che cosa risulterà dopo aver sentito Eraclito stesso

Cominciamo con due frammenti in cui Eraclito tratta espressa-mente del Myac. Nella nostra versione lasceremo espressamente nontradotta la parola decisiva Myaç., proprio per ricavarne il significatodal contesto.

Frammento 1: -it Ora, mentre il Mya; permane costantementetale, gli uomini si comportano come degli insipienti (åšúvstat), cosíprima di avere inteso come dopo di aver udito. Tutto infatti di-viene essente ita:-tà -rav Myav -róvös, a misura e secondo questoMyaq; nondimeno essi (gli uomini) assomigliano a quelli che, prividiaudacia, non hanno mai fatto esperienza di nulla, benché si afian-nino tanto in parole ed opere, come quelle che io compio allorchéanalizzo ogni cosa :ttt-rà tpúatv, secondo l'essere, e spiego come essasi comporti. Ma agli altri uomini (alla generalità: al. npllial) rimanenascosto cio che essi propriamente fanno quando sono svegli, come

lque lo che han fatto nel sonno ridiviene in seguito per essi nascosto a.Frammento 2: -a Per' questo è necessario seguire questo ossia

I'attenersi a cio che costituisce nell"essente l'insieme; ma mentre ilk in .óya; è presente come questo insieme nell'essente, la massa vivecome se ognuno avesse Pintendimento (il senso) suo ro rio ››P P -Che cosa possiamo desumere da questi due frammenti?

Del logos viene detto: 1. che esso ha come propria prerogativa1 il I' 1, Ia stabilita, la permanenza; 2. che esso si presenta nell'essente comeliinsie 1" ' ' ' 'me, insieme dell essente, il raccogliente (das .S`ammelmile)-

I'3. che tutto ciò che avviene, ossia sopravviene nell'essere, sussistein conformità di questo stabile insieme; questo è cio che si impone(das Walreade).

Quanto viene detto qui del Mya; corrisponde perfettamente alvero significato della parola tedesca Sammluiig, la quale designa:1. latto del raccogliere (das Samarelri); 2. l'insieme raccolto, il rac-

l alco to ( ie Gesammeltbeit). Cosí qui Mya; significa: l'insieme rac-

; iis '

La Liivimiziona nr-;Lt.'EssEiiis ~

colto raccogliente, il raccoglien_te originario. AÉTUG _f¬101_1____Va1¢ nésignificato, ne' parola, né dottrina (ancor rn_eno_<< signi cato _ unadottrina ii-) ma come l'insieme raccolto originari_amente_ raccoglienåeche costantemente in sé si impone (_die stäadig in .tfr-`lJ wflllffi 6miprünglicb .tammelride Gesammeltbeit).

Certamente, nel frammento 1 il contesto sembra propender_e veräfluna interpretazione del I-5°i'°¢.`› flffl $fI'1_$Q della Pfiifüla E del dlfcorìfi'e persino reclaniarla come la sola possibile; in_fatti si tratta dell ai 11_1-re ›› degli uomini. Esiste un frammento in_cui questa connesìiånfi fâlogos e ti udire a è espressa in maniera immediata: ti Poiq avetríudito non me, ma il) Myac, è saggio dire conformemente: lUno è 1tutto ia (Framm. 50 . _ _

Il Mya; è qui inteso proprio come un ti udibile_ »._ Che cos'altropuò allora significare questo termine se non: enunciazione, discorso,parola; tanto piú che, al tempo di Eraclito, }-É'*rEl›'*-' è Blà Cümuni-:memeusato nel senso di dire e parlare? _ _

Lo stesso Eraclito cosí dice (Framm. 73): tt non bisogna agiree parlare come in sonno af. _ _

Qui }tåys:.v_ in opposizione a itatsiìv, n_on può: ostensibilmentesignificare altro che parlare, discorrere. Nondimeno, e altrettanto verüche Mya;,i nei passi decisivi dei framment_i 1 e 12, non significa nédiscorso né parola. Il frammento 50,_che piú pfirtlflülflfffifime Sembradepen-e a favore del kórflc come discorso. ¢1 jrlà. SB fiflfiffifffimfiflfeinterpretato, una indicazione che ci serve per intendere il MTG; 111tutt'altro senso. _ _ .

Onde poter discernere e intendere con chiarezza che cosa sigm-fichi Mya; nel senso di ti raccciglimento costante ›i (stamlige Samia:lang) bisogna afferrare con maggiore esattezza il collegamento fra 1due frammenti sopra citati. _

Gli uomini stanno di fronte al logos come coloro che il logos noncomprendono (åšúvsrat ) . Eraclito usa spesso questa parola (_Cf1'-soprattutto il fr. 34). Essa è la negazione f'U¬-il-'fil-1-I› Cl'l¢_ Slåm-fica__ pm-ta,-si pun lialu-Q ss; åšúvsirai. sono gli uomini che non si portanoliun l'altro... che cosa? il logos, cio c h e è c o s t a n t e m e n t ein s i e m e, l'insieme raccolto. Gli uomini rimangono coloro che

137

-In

Page 69: Heidegger Introduzione Alla Metafisica

INTRUDUZIONE ALLA METåFIS ICÀ

non lo mettono insieme, non lo com-prendono, non lo compongonoin unità, abbiano o non abbiano essi di già udito. La frase seguentespiega quello che con cio si deve intendere. Gli uomini non perven-gono al logos nemmeno se lo tentano con le parole: E-nsat. Si fa quiindubbiamente menzione di parola e discorso, ma proprio in quantodifierenti dal Myaç, e addirittura a lui opposti. Eraclito vuol dire:gli uomini indubbiamente odono, e odono delle parole, ma in questoudire essi non sanno -a ascoltare a, ossia seguire cio che non è udibilecome parola, ciò che non costituisce un p a r t i c o l a r e, ma ilMvaç. Correttamente interpretato il frammento 50 prova cosí pro-prio il contrario di quello che comunemente se ne ricava. Esso dice:voi non dovete rimanere attaccati alle parole, ma apprendere il logos.È proprio perché Mya; e Mysiv già significano discorso e dire, enondimeno tutto ciò non costituisce l'essenza del Myac, che Mya;viene qui contrapposto a Eitsai., al discorso. Corrispondentemente, alsemplice udire e orecchiare si contrappone l'autentico essere-ascol-tante (Hörig-sein). Il semplice udire si disperde e si dissipa in cioche comunemente si opína e si dice, nel sentito-dire, nella öòšti., nel-l"apparenza. L'autentico ascoltare non ha invece nulla che fare conl'orecchio e con la bocca, ma vuol dire: prestare obbedienza a cioche il logos è: l'insieme raccolto dello stesso es-s e n t e. Noi non possiamo udire (bären) autenticamente se nonsiamo già disposti all'ubbidienza (Hörige). Ora, l'ubbidienza non hanulla a che fare con i padiglioni auricolari. Chi n o n è dispostoall'ubbidíenza è destinato fin dall'inizio a rimanere lungi dal Mya;,escluso da lui, sia che egli abbia precedentemente udito con le orec-chie o meno. Coloro che -ti odono s› soltanto, orecchiando dappertuttoe riportando in giro quanto hanno sentito, sono e rimangono degliåšúvetai, degli in-comprensivi. Di che razza essi siano, ce lo dice ilframmento 34:

ai Coloro che non raccolgono il costante insieme sono degliaudienti che assomigliano ai sordi ia.

Essi sentono certo parole e discorsi, ma sono chiusi a quello chedovrebbero udire. La massima li definisce per quello che sono: deipresenti-assenti. Essi sono là e sono purtuttavia distanti. Dove stanno

iis 3

La i.iia-iirazione nisLL'assaiiE

er 10 piú gli uomini'' e da che cosa restano tuttavia distanti? Il fram-P .mento 72 ci dà la risposta: .

..H Pgiçhé 3 cio con cui essi sono piú assiduamente in contatto,- - - i' ' ' mente11 }.6ya;_ volgono le spalle, e cio in cui s imbattono quotidiana

appare loro estraneo ››-. - - - - ' tattoIl Mya; è ciò con cui gli uomini sono continuamente a cone da cui rimangono purtuttavia distanti, presenti-aSS'-“-'mir É Cüsiåšúvs-rai., incomprensivi.

- ' e l'inca acitàIn che cosa consiste dunque la non compr¢nS10fl¢___ Pa comprendere degli uomini, dato che essi odono bensi le parole, manon afferrano il Mya;? Con che cosa sono a contatto_e da che C063-i trovano distanti? Gli uomini hanno che fare continuamente cons _ -. anno che fare inlessere, ma esso resta loro estraneo. Con lessere h ___ _ ______

quanto si rapportano costantemente all essente, ma E350 'iåro esneo in quanto si distolgono da lui, perché non lo comprefl 0110 Per

- ' e nulla iú. Essinulla, e ritengono che l'essente sia solamente__essente _ __ _ __:______ ________I. I -I u Il

sono certamente svegli (IH CIÖ Cile cünceme essente H ___ ______ísere rimane loro nascosto. Essi dormonüi _€ fiflC_l1¢ qUÉ__*?a_'_7___:__:i______fanno, lo riperdono immediatamente. Si aggiranñ inhmfiš ___ __________ _____

. ' U.e ritengono sempre che sia da comprendere que o c E Fš____ _______ __ __afferrare, cosí ognuno ha il suo piccolo commercio con c __ _8piú facile avvicinare. Uno si attiene a questo, un altro a que 0, Pãf

- ' ' ' he corris on eognuno ha senso (Siria) solo cio che lo_riguat'i2l¦-1, _ _________f; __ __al suo capriccio, alla sua ostinatezza (EtgeH-$IHa_l- él Imi: ________É__e_ _ _ . 1 ii. ü O

uomini una retta precomprensione di ciò che e in s racc iloro la possibilità di essere ubbidienti (Hörige ZH St'-if!) ei di Cüflse'guenza, di poter udire (lJärenl-

Aóya; è il 1-accoglimento (Sanrmlrmg) stabile, l'insieme raccolto__ ,_ | a 1' I ]_ a

(Gesammeltbeit), e. che si mantiene in se stessoi dell €55-íåtfi “É e_dire l'essere. Per questo, nel frammento 1. °“1"'-"if T5” 7°” 3 il

Mya; caratterizza l'essere da un punto di vista nuovo eppure antico:

' 139 I

stesso significato di zar-tàr. tpüaiv. ¢Iúa'i.; e Mya; sono la stessa cosa.

. - - ' è in séciò che è essente, ciò che sta in sé ben eretto e carattermãffiìli __e da sé raccolto e si mantiene in tale raccoghmento. _v. __<:__:_fi':sente ››, è nella sua propria essenza Eviiòvi Pffiseflza mccü mi

Page 70: Heidegger Introduzione Alla Metafisica

cio che concerne Tessere. '

- INTRODUZIGNE ALLFL METAFISICA

non significa il ti generale ia, rna cio che raccoglie in sé tutte le cosemantenendole insieme. Nel frammento 114, ad esempio, un tale Euvóvè, per la itó}ti.;, il vóuac. la costituzione (costituire è un porre-insieme),I i-a struttura interna della itólttç; non qualcosa di generale che si libra___ .u tutto e non tocca nessuno, ma piuttosto l'unità originariamenteunificante di cio che diverge. La pervicacia ( Eigesisinir), löltt tpp6v'r;a'i.;_alla quale il Mya; rimane precluso, si appiglia sempre soltanto all'uno

Ilo a 'altro partito, e ritiene di possedere in questo la verità. Il fram-mento 103 dice: -ti Sulla circonferenza il principio e la fine sonoinsieme raccolti, sono lo stesso ia. Sarebbe assurdo voler intenderequi Euvóv come il ai generale ia.

Per i pervicaci la vita è soltanto vita. La morte è soltanto morteI'e null'aitro. Ma l'essere della vita è in pari tempo morte. Tutto ciò

che entra in vita incomincia con ciò di già anche a morire, ad avviarsill 'a a propria morte, e la morte è, in pari tempo, vita. Eraclito dice

I fne rammento 8: e I contrari trascorrono l'uno nell'alti¬o si raccol-Ilgono a partire da se stessi ia. Il contrasto è l'insieme raccolto che

raccoglie, il logos. L"essere di ogni essente è ciò che vi è di piú appa-riscente, ossia di piú bello, di piú stabile in se'. I Greci intendonoer b ll lp ti e ezza ia i domare (Bäirdigung) Il confluire insieme dei iii. . p

cospicui sforzi antagonistici è 1tó)tsp.a;_ lotta nel senso della contrap-posizione (Aus-einonder-serzaiig) di cui si e parlato. Per noi, gentedl. 1 1 i|_ a 1 1. .-oggi, il bello e invece ciò che rilassa, che riposa e risulta er uest. _ p q ofatto per il godimento. È l'arte dei confetiieri. Che il godimento este-tico serva al soddisfacimento del gusto raffinato degli intenditori edegli esteti, oppure all'elevazione morale dello spirito, non fa per noi

` lsostanzia mente nessuna differenza. Per i Greci av e itaiMv esprime-vano la stessa cosa (l'esser-presente e puro apparire). L'estetica in-tende tuito cio in modo diverso; essa è coeva della logica. Llarte èper essa rappresentazione del bello nel senso di cio che iace d 1

P 1 egradevole. Invece l'arte e il manifestarsi dell'essere dell'essente. Bi-sogna dare alla parola ti arte a e a ciò che essa vuole significare un

Inuovo contenuto, rigiiaclagnando una posizione originaria di base per

Finiamo di caratterizzare l'essenza del logos cosí com'è concepita

La Limitazione oai.i.`ESSERE

' ' te l'attenzione. - - una volta esplicitamen _da Eraclito col_richiai_i_iar_e anCC:_1:______ E che mn è stata messa finora in- ' ' 1' a consu di una dup icita c e

evidenza1. Il dire e l'udire sono veri solo in quanto siano gi: c_li Pit. _ . ' logos. o tan o. - - verso l'essere Il

se stessi P1'eliminari¬_i__en_g_e iprie_ntati_ ____________a ____________=;___ _______________ S___1__________0. . . rm _dove questo si disc iu e H 9 . - go il semplice

' dendosi viene appre . _d__________ liesäfiffi deì_1'eS$CI1_t¢i _'-_ì(_I_l':_lUMa _____eí__ che __________ afiermnü 1] Ãdyog,

orecchiare si tras orma in L1 _ - _ . rado di udire. ' v: ti non sono 111 E _å.zaiia'tr.i auit šntattltpsvat auå elitei. __________s______z_____

' F arnm 19). Essi non Püssünü Pmtare a C -né di parlare_›› ( 1' ' ___ H. Ssente 5910 coloro che ne sono capaci,il low esserci neu cagare E É i dominano la parola. Gli altri non

' 'I il Il -_| "' 'vat a sia 1 poet- = 1 Pt" . ' ' «iaia im ma-h oscillare nel cerchio della lorü PÉTVICÉCI? E . ,.fanno c e . d a 1-amar; solo ciò in cui s imbattono

pienza. Essi sono portati___a___ __:P________ _________________________ S___________ come i cam;Per Via* che h lusmga E -r & 'lì Ttviiiaiiaiat: -ti Perché anche i C1-1111xùogg yàp itttl. ßafišauatv rav *J IJ- (Fr 97) SGI-lo degli asini: Övou;

. ' ' cupano continuamen _all oro ia (Fr. 9). Essi si oc _ ______ ___ uè aflepl'essente Ma l'essere rimane loro nascostq. L eS$f:.e n é percpepitü CU,-1

ò essere udito con e orecc ie Ilrare né toccare, 11011 Pu ' ' ne o fumo: sil"odorato L'essere è tutt'altro che semfšllce eia1azlüAmhe Se tum,' -' ai vatsv: <<1tt*i.v-tti. "tà ävtttt iti:t1wÖã T'5"-'°W9= òtvfig al L T- - lierlo a- ' discernerlo e a coß -l'essente andasse in fufflüs äafebberü I msi a

(Fr. “-2 È hé Pessere in quanto logos, è raccüålimenw ofigi'_ PEIC ir' i tutto ha il- so una mescolanza in cu _ _

mflüi 9 11°" un ammissül cünfuhei li competono rangü e sovranità-medesimo valore o disva ore, C 3. . ' ten a il suoSe Passare deve manifestarsi bmlfna cllštiiäiiiiz Éonnizndi šani e dirangü. Eraclito, quando p_ar_la de a mo i ________ __SS_____z___________________ ______aäiflis dfifinlfice questa P0512mn-6 i :ge apiäiiia üggi riferirsi, con unospirito greco. Dato che non di ra o SL. nerebbe mn dimenticarezelo Pfirfino eccessivo, alla Polis Bfecfli 15_9_ã __ ha _______n__ __________ rischiaquesto aSP¢t'1°, Sfifm di che Il cantato C '. "' ò che. . ' . Ciò che ha un rango ia C1di diventare banale e sentimflntfllfi

141

Page 71: Heidegger Introduzione Alla Metafisica

INTRODUZIGNE ALLÀ METAFISICJH -

è piú forte. È per questo che l'essere, il logos, in quanto accordoraccogliente (als der gesammelte Einklang) , non risulta facilmenteaccessibile a chiunque e a vìl prezzo, mentre si occulta di fronteall'accordo che non è se non compromesso, eliminazione di ogni ten-sione, livellamento: åppovln åqinvñ; qiatvsp-E1; zpsùrrtav: -ti l'accordo,l'armonia che non si mostra (immediatamente e senz'altro) è piúpotente di quella (tuttavia) notoria ia (Fr. 54).

Proprio perché l'essere è Mya;, åauavlat, ålvfiäsia., q:›úa'i.;, ipaivsa-äai., non si mostra a discrezione. Il vero non è per tutti ma solo peri forti. Questa intrinseca superiorità e celatezza dell'essere vieneespressa da quella singolare massima cl-ie, proprio perché cosí pocogreca in apparenza, esprime l'essenza dell"esperienza greca dell'esseredell"essente: å)\.}.' risa'-nsp aåpuat slicñ itsyçuušvtav 6 itt'|.}.).ta'-ta; itóaiiaç:e come spazzatura alla rinfusa ammucchiata il mondo piú bello si(Fr. 124). `

Zåputt è il concetto opposto a logos, ciò che è soltanto sparso incontrapposizione a cio che si mantiene in se stesso, la mescolanzacaotica in contrapposizione all'insieme raccolto, il non-essere (Uri-seirt) di contro all'essere.

Si è soliti comunemente compendiare la filosofia di Eraclito neldetto: itåvra asi, -it tutto scorre ia. Questa espressione, q u a l o r aprovenga veramente da Eraclito, non significa: tutto è cangiamentopuro e semplice, che si disperde e scorre senza posa, pura instabilità;ma vuol dire: la totalità dell'essente viene, nel suo essere, continua-mente rigeitata da un contrario all'altro, l'essere è l'insieme raccoltodi questa instabilità antagonistica.

Una volta afiei-rata la concezione fondamentale del Mya; comeraccoglimento e come insieme raccolto,- occorre considerare e tenereper fermo quanto segue.

Il raccoglimento non è un semplice mettere insieme, un ammuc-chiare. Esso mantiene in una coappartenenza reciproca ciò che tende-rebbe a separarsi e a contrapporsi. Non lo lascia mai cadere nellamera dispersione e dissipazione. In quanto ritenzione, il Mya; ha ilcarattere dell'imporsi predominante (Dttrcbiaalters ) , della tpiiaiç. Ilraccoglimento non dissolve ciò che è sottoposto al suo dominio in

C' 142

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La Liiviiraziorm oELL'i=.-zssaaa

una vuota assenza di contrarietà, ma lo mantiene, mercé l'umonedegli antagonìsmi, nella massima acutezza della sua tensione. __ _

È il momento, questo, di ritornare brevemente_ sul tema di cioche rappresenti il concetto cristiano del logos, prmcipalrnente nelNuovo Testamento. Per avere un'idea piú precisa dovremmo quidistinguere ancora tra i Sinottici e l'Evangelo di Giovanni. Ivla, fon-damentalmente, si puo dire questo: nel Nuovo Testamento, logosnon significa afiatto, come in Eraclito, Tessere dell"essent_e, 1'_insiemeraccolto degli antagonismi, ma un essente particolare:_ il Figlio diDio. E questi nella sua funzione di mediatore fra Dio e luomo.Questa rappresentazione neotestamentaria del logos non è_altro chequella della filosofia giudaica elaborata da Filone nella cui dottrinadella creazione al logos è attribuito il carattere di IJ-Efl'fiT'flf;, dl media-tore. In che senso è egli 71-ÖTUG? Giacché MTOG È, flfilla tffiduzlüfiegreca dell'Antico Testamento (dei settanta), il nome dato all_a parola,e e parola a è presa qui nel significato ben determinato ordine,comandamento; al Etica Myai. 'sono i dieci comandamenti di Dio (ilDecalogo). Cosi Mya; significa: 11'fiPUE› &TTEl\-°€¦ liflffildüs il ffifissfiå:gero che trasmette i comandamenti, gli ordini; li-ÖTUQ 'F05 °"'°'-\fP°Uè la parola che proviene dalla Croce. Il messaggio della Croce è Cristostesso: egli è il logos della Redenzione, della vita eterna: I-Ö'Y°G šlflflã-Un abisso separa tutto cio da Eraclito.

Si è cercato di far risultare la essenziale appartenenza del 7*-Ö'i'°<;alla ipúaiç, con Fespresso scopo di poter comprendere la _necessitàintrinseca ed intrinseca possibilità, a partire da questa unità, dellaseparazione. ' _ _

A questa maniera di caratterizzare il logos di Eraclito si potrebbetuttavia opporre che essendo Pappartenenza essenziale del logos all'es-sere stesso qui cosí intima, cio che, per contro, resta del tutto pro-blematico è come da questa unità e medesimezza della tpüat; e delMya; debba scaturire Popposizione del logos come pensiero _all'es-sere. È questa, senza dubbio, una difficoltà; dificoltà che non i_nten-diamo trattare alla leggera, anche se la tentazione ci sfiora d_a vicino:Per ora possiamo dire soltanto questo: se questa unità di QJUW-3 G dlMya; è cosí originaria, anche la separazione deve esserlo altrettanto.

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INTRODUZIUNE ALLA METAFISICA

Se inoltre questa separazione di essere e pensare E di diverso tipo ealtrimenti orientata che le precedenti, allora anche il contrapporsideve presentare qui un altro carattere. Pertanto, allo stesso modoche ci siamo sforzati di tener lontana l'interpretazione del logos datutte le falsificazioni posteriori e di fondarla a partire dalla tpúai.;,dobbiamo cercare altresi dicomprendere questo avvenimento del con-trapporsi della ipúot; e del Mya; in maniera schiettamente greca,vale a dire a partire sempre dalla oúat; e dal Mya-;. Per quantoriguarda infatti il problema della separazione e contrapposizione ditpúai; e di Mya;, di essere e pensare, ci troviamo esposti, in manieraancor piú immediata e insistente che non a proposito dell'interpreta-zione dell'unità di tpúai; e di Mya;, al pericolo del moderno frain-tendimento. In che modo?

Nel definire liopposizione di essere e pensare noi ci muoviamonell'ambito di uno schema corrente. L'essere è l'oggettivo, l'oggetto.Il pensare le il soggettivo, il soggetto. Il rapporto del pensare all'es-sere è quello di soggetto ad oggetto. Si ritiene che i Greci, non es-sendo ancora abbastanza edotti di gnoseologia, concepiscano, all'ini-zio della filosofia, questo rapporto in modo ancora assai primitivo.Non si trova dunque nulla, in merito all'opposizione di essere e pen-sare, che valga la pena di essere preso in considerazione. Noi dob-biamo tuttavia porre la domanda.

Come avviene di norma, essenzialmente, il processo di contrap-posizione della oúot; e del Mya;? Perché questo processo risulti evi-dente bisogna cercar di comprendere l'unità e la coappartenenza diMya; e di tpúai; ancor piú nettamente di prima. Tentiamolo ora colrifarci a Parmenide. E questo di proposito, in quanto l'opinione cor-rente è propensa a considerare la dottrina del logos, qualunque possaesserne Pinterpretazione, una particolarità esclusiva della filosofia diEraclito. .

Parmenide condivide con Eraclito la medesima collocazione. Inquale altra sfera se non in quella dell'essere dell'essente potrebbero,questi due pensatori greci che sono i fondatori di ogni pensiero,altrimenti collocarsi? Anche per Parmenide l'essere è lo Ev, Euvs);_š;_ciò che si mantiene raccolto in se stesso; uaüvav, unito unificante;

La Liiviirazioiva nELL'EssEaE

aiiìtav, il compiuto, l'imporsi che costantemente si mostra, e attra-verso il quale, altrettanto costantemente, l'apparenza dell'unità edella molteplicità trasparisce. È per questo che la via necessaria versoI'essere passa attraverso la non-latenza pur restando sempre, comun-que, una triplice via.

Ma dov'è che il Mya; viene menzionato da Parmenide? E, soprat-tutto, dov'è che si parla dell'oggetto della nostra attuale ricerca, delcontrapporsi di essere e logos? Se in Parmenide si trova qualcosa aquesto proposito, sembra essere proprio il contrario di una contrap-posizione. Il frammento 5 ci trasmette una frase di cui esistono, inParmenide, due versioni. Esso cosí si esprime: to yàp stato vasívta'-tiv -ts itail. slvait.. Grosso modo, e secondo la maniera da grantempo invalsa di tradurre, ciò vorrebbe significare: e Ora il pensaree l'essere sono la stessa cosa ia. Il fraintendimento in senso nongreco di questa celebre frase non è inferiore alla falsificazione subitadalla dottrina del logos di Eraclito. H

Si intende vasiv come pensare e il pensare come attività del sog-getto. Il pensiero del soggetto determina ciò che l'essere è. L'esserenon è altro se non cio che è pensato dal pensiero. Ora, siccome ilpensare rimane un'attività soggettiva, e pensare ed essere devono,secondo Parmenide, risultare la medesima cosa, tutto diventa sogget-tivo. Non vi è un essente in sé. Ora, stando a quanto si insegna, unatale dottrina si trova in Kant e nell'idealismo tedesco. Parmenide,in fondo, non avrebbe fatto che anticipare tale dottrina. Pertantoegli viene lodato per questa impresa progressista, soprattutto nei con-fronti di Aristotele, che pure è un pensatore greco piú tardo. Aristo-tele avrebbe, in contrapposizione all`idealismo di Platone, difeso unaspecie di realismo, ond`è considerato un anticipatore del-Medioevo.

Bisognava fare qui espressa menzione di tale concezione, comune-mente ammessa, non solo per l`assurdità che essa diffonde in ogniesposizione della storia della filosofia greca; non soltanto perché lastessa filosofia moderna ha interpretato in tal senso la propria prei-storia; ma soprattutto perche', a causa del prevalere delle opinionicitate, ci è diventato di fatto difficile intendere la specifica verità diquesta frase, cosí primordialmente greca, di Parmenide. Ora, solo

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_ INTRCIDUZIONE ALLA METAFISICA

pervenendo a ciò, risulta possibile misurare la portata della trasfor-mazione avvenuta, non solo nellietà moderna, ma già a partire dal-l'ultimo periodo delliantichitã e dagli inizi del cristianesimo, nellastoria spirituale, cioè nella storia autentica, del1'Occidente.

-tò 'yåp ctü-tò vosiv åtrtfiv 'te Jtctl. slvttl.. Per intendere questa fraseoccorre sapere tre cose:

1. Che significano -tb etúrò e -ts... stai?2. Che significa vesiiv?3. Che significa silver?

Per ciò che concerne la terza domanda, parrebbe già di saperneabbastanza in base a quanto è stato detto precedentemente a propo-sito della cpúutç. Il verìv nominato al secondo posto resta tuttaviaoscuro, perlomeno qualora non si voglia tradurre senz'altro il verbocon e pensare ››, nel senso della logica, come attività analizzante del-Fenunciazione. Nasìv significa apprendere (uernebmen), veüc, appren-sione (Vemebmung), e ciò in due sensi, strettamente connessi. Ap-prendere vuol dire anzitutto, ac-cogliere (bin-nebmen), lasciar per-venire a sé ciò che, per cosí dire, si mostra, ciò che appare. Appren-dere (vernebmen) significa inoltre: sentire, esaminare un teste, assu-mere una testimonianza, accertare cosí un fatto, stabilire di che sitratta e in che consiste. L'apprensione in questo duplice senso espri-me un lasciar pervenire a sé consistente non in una semplice accetta-zionema in una presa di posizione nei confronti di ciò che si mostra.Quando delle truppe prendono una posizione, ciò significa che esseintendono accogliere il nemico che viene loro incontro in modo dafermarlo su una posizione. Nel verìv viene espresso questo ricevereciò che appare portandolo a fissarsi in posizione. Dell'apprendere, lafrase di Parmenide ci dice che è la stessa cosa dell'essere. Siamo giunticosí al chiarimento di ciò che ci eravamo in primo luogo domandati:a Che significa -rò aürú, lo stesso? ››.

Quando una cosa è eguale a un'altra noi la consideriamo comecostituente un'unità, come una sola e medesima cosa con l'a1tra.Come concepire l'unità quando si tratta dell "unità dello stesso? Nonpossiamo stabilirlo a nostro piacere. Almeno in questo caso, in cuiè discorso dell'« essere a, dobbiamo cercare di comprendere l'unità

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La Lmnraztons r›ELL'EssERE

nel senso che Parmenide intende con la parola "Ev. Sappiamo chel"unità non è mai qui vuota uniformità, identità come pura indiffe-renza. L'unità è costituita dalla coappartenenza reciproca di antago-nisti. È Foriginariamente uno. .

Perché Parmenide dice -ts zrzl? Perché essere e pensare sono,nel loro contrapporsi, uniti, ossia sono la stessa cosa in q u a n t ocoappartenentisi. Come dobbiamo intendere questo? Partiamo dal-l'essere cosí come, da piú punti di vista, ci si è chiarito: quale oúatç.Essere significa: mantenersi in luce (im Licbt steben), apparire, ve-nire nella non-latenza. Laddove qualcosa di simile si verifica, ossialaddove l'essere si impone (walter) ivi si impone e si produce inpari tempo, come a lui inerente, liapprensione, l'arrestare accoglientedello stabile in sé che si mostra (auƒnebmendes Zum-.rtebcn-bringmder sid: zeigenden in rich Stäadigen).

Parmenide espone lo stesso principio, in modo ancor piú eflicace,nel frammento 3, v. 34: taüròv ö"še'¬:i. vosiv rs sai. eüvezsv Es'-rr.vónutt. L'apprensione e ciò per cui l"apprensione si produce sono lastessa cosa. L'apprensione si produce in vista dell'essere. Questo èpresente (west) solo come apparire, come venire nella non-latenza,solo in quanto si produce la non-latenza, in quanto si verifica unaprirsi. La frase di Parmenide ci dà, nelle due versioni, una visioneancor piú originaria dell'essenza della oúcrtç. L'apprensione le a p-p a r t ie n e: il suo imporsi è un imporsi assieme all"apprensione.

Anzitutto, la frase non dice nulla delliuomo, e, a maggior ragione,niente dell'uomo come soggetto. Nulla dice, in particolare, di un sog-getto che risolva tutto ciò che è oggetto in qualcosa di puramentesoggettivo. La frase dice tutto il-contrario di questo: l'essere si im-pone, ma poiché esso si impone e in quanto si impone e appare, siproduce necessariamente c o n questa apparizione a n c h e l'ap-prensione. Ora, afinché l'uomo risulti interessato al prodursi di que-sta apparizione e di questa apprensione, occorre che Puomo stessoeffettivamente sia, che appartenga all'essere. L 'e s s e n z a e lamodalità dell'esser-uomo possono dunque de-terminarsi solo in base-fall'essenza dell'es-sere

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INTaoDUzIoNE ALLA 1vtETaFIsIca

Se tuttavia all'essere come qnúetc; compete l'apparire, bisogna chel'uomo, come essente, appartenga a questo apparire. D'altra parte,siccome l'esser-uomo costituisce manifestamente tm essere partico-lare, .rai generir, per entro l'essente nella sua totalità, il carattereproprio delliesser-uomo risulta dalla singolarità del suo appartenereall'essere inteso come apparire imponentesi (walteades Erscbeinen).Ora, però, per il fatto che a un tale apparire compete Papprensione,l'apprendere recettivo di ciò che si mostra, è da ritenere che proprioin base a questo si determini l'essenza delliesser-uomo. Nell'intet-pretare la frase di Parmenide non bisogna dunque includervi o inse-rirvi una certa rappresentazione dell'uomo piú tardiva o addiritturaodierna. È, al contrario, la frase stessa che ci deve in primo luogoistruire sul come, secondo e s s a, vale a dire secondo l'essenza del-l"essere, si determini anche l'essenza dell'uomo.

Chi -sia l'uomo, stando a quanto ce ne dice Eraclito, risulta(ëöstšs, si mostra) soltanto' nel nókeunç, nel separarsi degli dèi edegli uomini, nel prodursi della rottura dell'essere stesso. Chi sial'uomo non è, per la filosofia, cosa scritta in cielo. Bisogna invecetener conto di quanto segue.

1. La determinazione dell'essenza dell'uomo non costituiscem ai una risposta, bensi, essenzialmente, una domanda.

_ 2. La proposizione di questa domanda e la sua risoluzionesono storiche, non in modo generico, ma in guisa tale da costituirel'essenza stessa della storia. '

3. La domanda sull"uomo deve sempre venir posta in un rap-porto essenziale con la domanda sull'essere. La domanda concernentel'uomo non costituisce mai una domanda di carattere antropologico,ma storico e metafisico: [La domanda non può essere soddisfacente-mente proposta nell'ambito della metafisica tradizionale, la qualepermane essenzialmente una e fisica ac]

Non dobbiamo dunque fraintendere quello che significano, nellafrase di Parmenide, vaüç e vm-iv, sulla base di un concetto dell'uomointrodotto da noi. Bisogna invece che impariamo a renderci contoche l'essere dell'uomo si determina unicamente in base al verificarsidella connessione essenziale delliessere e dell'apprendere.

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La Limitazione nELL'Es sana

Che cosa rappresenta l'uomo in questo imporsi dell'essere e del-liapprendere? L'inizio del frammento 6, che abbiamo già imparato aconoscere, ci fornisce la risposta: )(p'h 'tò lšystv "ts vesiiv ¬:'šòv ëupavat:ti È necessario tanto il ìtå-ystv quanto Papprendere, cioè Papprenderel'essente nel suo essere s›. '

Non possiamo ancora in alcun modo intendere questo vesív ingenerale come pensare. Non basta nemmeno considerarlo come ap-prensione, almeno fintantoché consideriamo questa, senza riflettere enel modo consueto, come una facoltà, un modo di comportarsi del-l'uomo: di un uomo quale ce lo raffiguriamo sulla base di una bio-logia, di una psicologia e di una gnoseologia vuote e piatte. Il chepuò del resto succedere anche a prescindere da rappresentazioni delgenere. -

L'apprensione, e quanto di essa è detto nella frase di Parmenide,non costituisce una facoltà di un uomo già altrimenti determinato,l'apprensione è un accadere (Gercbebert) nel quale soltanto, acca-dendo, l'uomo entra, come essente, nella storia (Geschichte), ap-pare, ossia (letteralrnente) perviene lui stesso all'essere.

L'apprensione non è un modo di comportamento che liuomo pos-segga come una proprietà, ma, al contrario, Papprensione è lievento(Gescbebnir) che possiede l'uomo. È per questo che si parla sempresemplicemente di vosìv e di apprensione. Ciò che in quella espressionesi attua è nientemeno che il consapevole manifestarsi dell'uomo inquanto storico (custode dell'essere). Cosi questa sentenza, come con-tiene una caratterizzazione essenziale dell'essere, costituisce decisa-mente anche la determinazione dell'essere dell'uomo che serve dibase per l'Occidente. È nel mutuo appartenersi di essere e di essenzaumana che la separazione di entrambi viene alla luce. Quanto alladistinzione di a essere e pensare si essa è diventata da gran tempocosí scialba, vuota e priva di fondamento che, a meno di rifarci dalprincipio, non siamo piú in grado di ravvisarne l'origine.

Se il genere e Porientamento dell'opposizione di essere e pen-sare sono cosí unici, si è perché liuomo viene qui nel cospetto del-l'essere. Tale evento è il consapevole apparire delliuomo in quantostorico. È solo dopo essere stato riconosciuto come un essente di tal

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INTRoDUzIoNE ALLA Mararisica

genere che liuomo E stato anche e definito ii in base a un concetto,ossia come Ãqäov ìtóvov ëxov, animal ratioiiale, essere vivente ragione-vole. In questa definizione dell'uomo il X6-ye; compare, ma in unaforma del tutto irriconoscibile e in un contesto curioso.

La suddetta definizione dell 'uomo è, in fondo, di carattere zoolo-gico. Lo Zãgev di questa zoologia permane per piú riguardi discutibile.È solo nel quadro di questa definizione che si è costruita la conce-zione occidentale dell'uomo, con tutta la psicologia, l'etica, la gnoseo-logia e Iiantropologia connesse. E noi da gran tempo ci dibattiamoin un caos di rappresentazioni e di concetti improntati a questediscipline.

Ora, siccome - per tacere del tutto delle sue posteriori interpre-tazioni - questa definizione capitale dell'uomo costituisce già di persé un fatto di decadenza, finché penseremo e discuteremo sulla basedella prospettiva che essa ci offre, non si potrà scorgere nulla diciò che nella frase di Parmenide è detto.

La rappresentazione comunemente ammessa dell'uomo costituisced'altronde, in tutte le sue versioni, solo una delle barriere che ciescludono dalla sfera in cui 1':-ipparizione dell'essenza dell'uomo ori-ginariamente si produce e perviene a costituirsi. L'altra barriera con-siste nel fatto che anche la suddetta d o m a n d a sull'uomo cirimane estranea.

Certo, vi sono oggi dei libri che hanno per titolo -it Che cos'èl'uomo? ››. Ma tale domanda è solo stampata sulla copertina. Non cisi sogna nemmeno di porsi la domanda; non tanto perché a furia discriver libri ci si sia dimenticati di interrogare, quanto per il fattoche si possiede già una risposta alla domanda, una risposta che pre-clude contemporaneamente ogni adito al domandare. Che si credaalle proposizioni dogmaticl-ie della Chiesa cattolica è cosa che riguardail singolo e non entra qui in discussione. Ma che sulla copertina dellibro venga posta la domanda « Che cos'è Puomo? ››, quando poin o n se ne discute perché n o n si vuole, n o n si può discu-terne, è un modo di fare che esclude a priori da ogni diritto a esserepreso sul serio. Che poi la e Frankfurter Zeitung ››, ad esempio, simetta a far l'elogio di un simile libro - in cui la domanda non appare

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La Limitazione nELL'issszaa

che sulla copertina - come di un e gran libro, coraggioso e fuori del-Fordinario is è cosa che fa vedere anche ai ciechi fino a che punto sisia arrivati. ___

Ma perché intrattenetsi su cose che non hanno a_lciina attinenzacon l'interpretazione della frase di Parmenide? Un simile genere _diletteratura è già di per se stesso, in realtà, privo di peso e di si_gnifi-cato. Ciò che invece non è senza significato è lo stato in cui ci tro-viamo già da tempo, uno stato di paralisi di ogni passione del _doman-dare. Tale stato di cose porta con sé il sovvertirnento di ogni normae di ogni comportamento, dimodoché la maggior parte della gent_enon sa piú come e su che cosa verrano le decisioni piu importanti,mentre invece alla grandezza della volontà storica è necessarioche si uniscano la perspicacia e l'autenticità del s a p e r e _storico.Acceiini come quelli precedenti possono d'altronde solo farci vederecome il domandare, considerato quale evento fondamentale dellies-sere storico, si sia da noi allontanato. Il fatto è che noi abbiamo per-duto perfino la capacità di capire la domanda. Vediamo_ora, pertanto,di fissare i punti essenziali di riferimento allo scopo di approfoflflllfflquanto segue. _ _

1. La determinazione dell'essen_za dell'uomo non è mai rispo-sta, ma essenzialmente domanda. - _ _ _

2. Il proporre questa domanda è storico nel senso originario,ossia nel senso che è questo domandare che produce in primis lastoria.

3. È cosí perché la domanda su ciò che l'uomo è non puòporsi che interrogando l'essere. _

4. Soltanto dove lfessere si schiude nel domandare si pro-duce la storia e con essa›quell'essere delliu o m o_ in forza del qualeegli osa misurarsi con l'essente come tale. _ _

5. Solo questa *contrapposizione interrogante riconduce luo-mo a quell'essente che egli stesso è e ha da essere. _

6. Solo in quanto storico-interrogante 1'uomo perviene a sestesso, ad essere un' Io. L'ipseità dell"'uomo significa questoi 1'_essereche a lui si apre egli lo deve trasformare in storicità e costituirsi inessa. L'ipseità non significa che egli sia in primo luogo un e io ai Un

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INTRODUZIUNE AL LA METAFISICA

singolo. Egli lo- à altrettanto poco che un e noi ii- o una comunità.7. Poiché l'uomo in quanto storico è un io, la domanda sul

suo proprio essere deve passare dalla forma e che cos'è l'uomo? iialla forma a c hi E l'uomo? ››.

Ciò che la frase di Parmenide esprime nonà altro che una determinazione dell"essenzadell'uomo in base all'essenza delliessereS II E S S O. -

Non sappiamo peraltro ancora come l'essenza dell'uomo risultiqui determinata. Alliinizio si trattava soltanto di determinare la por-tata del ' detto di Parmenide, ossia lo spazio che esso contribuisceinizialmente a schiudere col suo dire. Ma sifiatte indicazioni di carat-tere generale non sono ancora suflicienti per liberarci dalle correntirappresentazioni dell'uomo e dal modo concettuale di raffigurarlo.Per potere intendere il detto di Parmenide, per coglierne la verità,bisogna che sospettiamo almeno qualcosa di positivo su ciò che sianol'esserci e l'essere per i Greci. *

Dalla piú volte citata espressione di Eraclito, sappiamo soltantoche nel iizòlttieç, nella contrapposizione (Aar-einander-Setzimg)(dell'essere), si verifica il contrapporsi degli dèi e degli uomini. Solouna tal lotta ëåriše, mostra. Essa fa emergere dài e uomini nel loroessere. Chi sia l'uomo non possiamo venire a saperlo da una defini-zione erudita, ma solo in quanto liuomo viene, nella contrapposizioneall'essente, tentando di recarlo al suo essere; in quanto cioè gli con-ferisce limite e forma, ossia in quanto progetta del nuovo (non an-cora presente), cioè poeta originariamente, poeticamente fonda.

Il modo di pensare di Parmenide e di Eraclito è ancora poetico,ossia, per noi, filosoficoe non scientifico. Ma il pensare concernenteliessere dell'uomo assume una sua particolare direzione e misura pro-prio perché in questo pensare poetante è il pensiero ad avere la pre-minenza. Allo scopo di chiarire quanto basta questo a pensare poe-tico ››, a partire dal suo lato complementare e opposto, e prepararecosí la sua comprensione, indagheremo ora quel e poetare pensoso iidei Greci in cui sia l'essere che il corrispondente esserci dei Greci sisono propriamente foggiati: vale a dire la tragedia.

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La Limitazione nr-:LL'Essiaiia

Nostro scopo è di cercar di comprendere la separazione di e es-sere e pensare ›› nella sua origine. Questa formula designa la fonda-mentale attitudine dello spirito occidentale. In base ad essa l'esseresi determina nella prospettiva del pensare e della ragione. E ciòanche quando lo spirito occidentale cerca di sottrarsi al dominiodella ragione col volere 1'-it irrazionale ii, cercando l'e alogico is.

Perseguendo liorigine della distinzione di e s s e r e e p e n-s a r e c'imbattiamo nell'espressione di Parmenide: 'tà 'yàp ati:-tàveeiv šariv -re itai. river. Stando alla traduzione e alla concezione ordi-narie ciò vorrebbe dire: pensare ed essere sono la stessa cosa.

Possiamo chiamare questa espressione il principio-guida della filo-sofia occidentale, a patto soltanto di aggiungere la seguente consi-derazione.

Se l'espressione di Parmenide è diventata' il principio direttivodella filosofia occidentale ciò è stato solo in quanto essa non è statapiú compresa, non avendo piú potuto la sua originaria verità essereritenuta. La perdita della verità di questa proposizione si verificò,subito dopo Parmenide, presso i Greci stessi. Verità originarie ditale portata non possono essere mantenute che a patto di venirecostantemente sviluppate in un modo ancor piú originario, giammaicon la loro semplice applicazione o con l'appellarsi semplicementead esse. Lioriginario rimane tale solo se ha la costante possibilità diessere ciò che è: vale a dire << origine ››, nel senso di uno scaturire(fuori della latenza dell'essere). Noi tentiamo ora di riconquistarela verità originaria del detto di Parmenide. Un primo accenno alladiversità dell'interpretazione l'abbiamo fornito con la nostra tradu-zione. Liespressione non dice: e pensare ed essere sono la stessacosa ii, bensí: -ti apprensione ed essere stanno in un rapporto di coap-partenenza reciproca ››.

Ma che cosa significa ciò?La frase viene a parlare, in certo senso, dell'uomo. Ed è pertanto

pressoché inevitabile che s"incominci con l'introdurvi la rappresen-tazione abituale dell'uomo.-

Soltanto che, in tal modo, si giunge a fraintendere quella che,secondo l'esperienza greca, è l'essenza dell'uomo: sia che questo

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INTRUDUZIGNE ALLA METAFIS ICA

fraintendimento avvenga nel senso del concetto cristiano, sia di quellomedemo dell'uomo, o nel senso di una scialba e vuota mescolanzadei due.

Ma questo fraintendimento, nel senso di una rappresentazionen o n greca dell'uomo, è ancora il minor male.

Ciò che risulta veramente fatale è il fatto che si smarrisce assolu-tamente e di prim'acchito la verità della proposizione.

Poiché è senz'altro in essa che si compie la decisiva determina-zione dell'esser-uomo. Noi dobbiamo dunque, nell'interpretarla, scar-tare non solo questa o quella rappresentazione inadeguata dell'uomo,ma addirittura qualunque rappresentazione. Dobbiamo cercare d'in-tendere solo ciò che in essa viene detto. i

Siccome, d'altra parte, noi siamo in questo non solamente prividi esperienza, ma abbiamo per di piú le orecchie costantemente ricolmedi cose che ciimpediscono d"intendere rettamente, si è dovuto desi-gnare in forma di elenco le condizioni che devono presiedere a unacorretta indagine su quello che l'uomo è.

Poiché, dialtronde, la determinazione dell'uomo sul piano delp_ens_iero,_ cosí com"è compiuta da Parmenide, risulta, a prima vista,di dificile accesso e inusitata, cercheremo di ricavare un primo aiutoe un primo ammaestramento ascoltando, sul piano della poesia, checosa per i Greci significhi l'esser-uomo.

Leggiamo il primo coro dell'/liitigoae di Sofocle (vv. 332-375)studiandoci in primis di ascoltare la parola greca in modo da trarnequalche risonanza.

-in Di molte specie è l'inquietante, nulla tuttaviadi piú inquietante dell'uomo s'aderge.Questi balza sul flutto schiumaiitepel vento del sud invernalee incrocia sulle crestedelle onde furiosamente spalancantisi.Anche la piú sublime delle divinità, la terra, 'Pindistruttibile infaticabile, egli l'estenua,rivoltandola di armo in anno,

LA LIMITAZIONE DELLiESSERE

passandovi e ripassandovi con i cavalligli aratri.

Anche il leggero volitante stormo d"uccelliegli irretisoe e caccia,e la fretta degli animali di località selvaggee ciò che si muove e risiede nel mare,l'uomo sagace.Con astuzie soprafià l'animaleche sui monti pernotta ed erra,e al cavallo dalla ruvida criiiierae all'indomito toro 'circondando il collo col legnoimpone il giogo.

Anche nel risuonar della parola

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- ale nel tutto comprendere leggero come il ventosi ritrova, ed altresi nell'animo _ _di dominar città. - . .E anche come sfuggire, ha pensato,Pesposizione ai dardidelliintemperie e degli spiacevoli geli.

Dappertutto aggirandosi, tutto esperendo per via,senza scampo, inesperto

perviene al nulla. 'Dall"incombere, solo, della mortecon nessuna fuga può giammai difendersi,pur se ad un male tenace sia riuscitoabilmente di sfuggire.

Ottimainente esperto, il saper-farepossedendo al di là della speranza,

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del tutto, altra ad eccelsa riesce.

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INTRODUZIUNE ALLA METAFISICA

Tra lo statuto fisso della terra -' e il diritto giurato dagli dèi prosegue la sua via.

Dall'alto il luogo dominarido, dal luogo escluso,tale egli è, a cui sempre è essente il non-essente,per amore del rischio.

Non divenga egli intimo del mio focolare,né delle sue illusioni il mio sapere partecipe sia,colui da parte del quale si compiono cose sifiatte. ››

L'interpretazione del coro che ci accingiamo a dare è necessaria-mente insuficiente, inquantoché non può essere ricostruita in baseall"intera tragedia e ancor meno in base all"intera opera del poeta.Non è nemmeno il caso di riferire sulla scelta delle varie lezioni esulle modificazioni apportate al testo. Eflettueremo Finterpretazionelungo tr e v i e, nelle quali ripercorreremo ogni volta, da un di-verso punto di vista, liinsieme del canto.

Nella p ri m a via cercheremo soprattutto di porre in risaltoquanto costituisce l'intima sostanza della composizione e che, anchestilisticamente, regge e pervade, corrispondentemente, l'insieme.

Nella s e c o n d a via seguiremo l'ordine delle strofe e delleantistrofe e percorreremo i confini dell'oi-izzonte dischiusoci dallapoesia.

Nella t e r z a via ci stiidieremo di trovare nell'insieme unpunto fermo che ci consenta di valutare che cosiè l'uomo secondoquesto modo poetico di esprimersi.

P ri m a via. Incominciamo col cercare di individuare l'ele-mento che domina e pervade l'insieme. Non abbiamo bisogno, inrealtà, di cercarlo. È infatti un triplice attacco a fondo quello che civien mosso, un attacco che rompe, fin dall'inizio, con tutte le con-suete norme del ricercare e del definire. '

La prima cosa è l'inizio: nella -tà. öttvà...

a Di molte specie è Pinquietante, nulla tuttaviadi piú inquietante dell_'uomo s'aderge. ii

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La Limitazione oi=.LL'assisiiE

In questi due primi versi si anticipa quanto tutto il resto del corocerca, nel suo particolare dettato, di perseguire, e quanto gli occorre,nel suo particolare contesto verbale, di stabilire. L'uomo è, in unaparola, -tb Bttvó-:iii-rev: ciò che vi è di piú inquietante (dar Unbeim-licbrte). Un modo siffatto di parlare dell'uomo lo coglie nei suoiestremi limiti e nelle scoscese profondità del suo essere. Questoaspetto scosceso ed estremo non è mai visibile agli occhi di chi siappaga della semplice descrizione e della mera constatazione dei fatti,fossero pure migliaia d'occhi a voler scrutare condizioni e stati d'a-nimo nell'uomo. Un tale essere può rivelarsi solo a una prospettivapoetica-pensante. Qui non troviamo nulla che si possa paragonare auna descrizione di esemplari dati di uomini, e neppure, però, unaesaltazione cieca e sciocca dell'essenza dell'uomo, che parta dal basso,da una tetraggine scontenta intesa ad accaparrarsi uniimportanza chele sfugge; niente di simile all'esaltazione di una determinata perso-nalità. Presso i Greci non esistevano ancora personalità (e, per con-seguenza, nulla di super-personale). L'uomo è 'tà Seivóratov, ciò chevi è di piú inquietante fra tutto l'inquietante. La parola greca Sstvóve la traduzione che ne abbiamo data esigono, prima di segiiitare, unaspiegazione. Questa può essere data solo in base a una visione pre-liminare, cui non siamo ancora espressamente pervenuti, dell'insiemedel coro, il quale è il solo in grado di fornirci un'interpretazione ade-guata dei primi due versi. La parola örtvóv è ambigua, di quella in-quietante ambiguità del dire dei Greci che pervade le contrastanticontrapposizioni dell'essere.

Da un lato il Sstvóv designa il terribile, lo spaventoso, ma ciò cheappare tale non nei confronti di una meschina pusillaniiriità e ancormeno in quel senso frivolo e vuoto in cui si usa da noi oggi la parolaquando si dice a terribilmente gentile ia. Il Beivóv è il terribile nelsenso dell'imporsi predominante (ülierwältigeades Walteiv) che pro-voca ugualmente il timor panico, la vera angoscia, cosí come iltimore discreto, meditato, raccolto. La violenza, la prepotenza, rap-presentano il carattere costitutivo, essenziale delliimporsi (Walteir)stesso. Nel suo irrompere questo p u ò ritenere in sé la sua forza

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INTRODUZIGNE ALLA METAFI SICA

prepotente. Con ciò esso non diventa inofiensivo, tutt'altro, maa n c o r piú terribile e remoto.

Ma, per altro verso, Bstvóv significa il violento nel senso di coluiche esercita la violenza, che non solo ne dispone, ma che è violento( gewalt-tätig), inquantoché l'uso della violenza è il carattere fonda-mentale non solo del suo agire, ma del suo stesso essere. Noi confe-riamo qui alla parola violenza (Gewalt-tatigkeit) un significato es-senziale che oltrepassa, in linea di principio, il significato usuale dellaparola per cui essa significa per lo piú brutalità e arbitrio. La vio-lenza è in tal caso assunta in un ambito in cui il criterio dell'esistereè determinato dalla convenzione delliaccomodamento e della mutuaassistenza, onde ogni violenza è necessariamente considerata soltantocome perrurbamento e violazione._ L'essente nella sua totalità, in quanto si impone (als Walteii), èil predominante (das Uberwältigeade) nel primo senso. Ora, l'uomoè in un primo senso Bsivóv in quanto, appartenendo per essenza all'es-sere, risulta esposto a questo predominante. Ma l'uomo è in paritempo Ssivóv perché è colui che esercita la violenza, il violento nelsenso suddetto. (Egli raccoglie liimporsi e lo reca in una apertura).L'_uomo è colui che esercita la violenza non in sovrappiii o in conco-mitanza con altro, ma unicamente nel senso che a ragione del suoagire violento (Geivalt-ttitig/eeit) e in quanto situato in esso usa laviolenza nei confronti del predominante. Infatti egli è Brivóv nelduplice senso, originariamente unico, di questa parola; egli è -tbSswórarev, il piú violento, in quanto esercita la violenza in senoal predominante.

Ma perché traduciamo ãrtvóv con e inquietante ii-P Non è percoprire e ancor meno per indebolire il senso del violento, concepitocome il predominante e come il violentante; al contrario. E proprioper via che il Seivóv risulta riferito, nella sua massima intensità eambivalenza, all'essere de1l'uomo, che Pessenza di tale essere deveesser _considerata senz'altro nel suo aspetto decisivo. Ma la caratte-rizzazione del violento come Pinquietante non è per caso una deter-minazione derivata, dato che prende in considerazione il modo comeil violento agisce su di noi, mentre si tratterebbe, precisamente,

La Limitazione nr-:LL'Essaiii=-1

di intendere il Betvóv com'è in se stesso? Ma noi non consideriamol'inquietante nel senso di ciò che impressione la nostra sensibilità.

Noi concepiamo l'in-quietante ( das Ua-beimlicbe) come quelloche estromette dalla -ii tranquillità ia, ovverosia dal nostro elemento,dall"abituale, dal familiare, dalla sicurezza inconcussa. Ciò che è inso-lito, non familiare (das Uabeimiscbe), non ci permette di rimanerenel nostro elemento. Ed è in ciò che consiste il pre-dominante. Mal'uomo è quanto vi è di piú inquietante non soltanto perché svolgela sua essenza in mezzo all'in-quietante cosí inteso, ma lo è perchéfuoriesce, sfugge da quei limiti che gli sono anzitutto e per lo piúfamiliari, in quanto, come colui che esercita la violenza, trasgrediscei limiti del familiare, e ciò proprio in direzione dell'inquietante intesocome il predominante.

Ma per poter misurare in tutta la sua portata questa parola pro-nunciata dal coro a proposito dell'uomo, dobbiamo considerare in-sieme quanto segue: questa espressione, che l'uomo è -tà öeivórarov,ciò che vi è di piú inquietante, non mira ad attribuirgli una qualitàspecifica, come se l'uomo fosse anche qualcosa d'altro; il terminepiuttosto significa questo: essere ciò che vi è di piú inquietante costi-tuisce il carattere fondamentale dell'essenza umana, cui in ogni casogli altri caratteri debbono essere riportati. L'espressione: l'uomo èciò che vi è di piú inquietante, costituisce la definizione propriamenteg r e c a dell'uomo. Noi non possiamo arrivare a comprendere l'e-vento dell'in-quietudine che dopo aver in pari tempo compreso lapotenza dell'apparenza e la lotta contro di essa, in quanto tale lottacompete essenzialmente all'esserci.

Dopo questi primi versi, e con riferimento ad essi, viene pronun-ciata, al verso 360, la s e c o n d a saliente significativa parola. Ilverso si trova a metà della seconda strofa: 1ta.v-teirópeg åitepeçiiit' eúöšv Epxsraii -a Dappertutto aggirandosi, tutto esperendo per via,senza scampo, inesperto perviene al nulla a. Le parole essenziali sonoitaviroitópoc; åitepec. La parola itópec, significa: passaggio attraverso...,strada per..., via. L'uomo si apre in ogni direzione la via, si arrischiaper tutte le sfere dell'essente, del dominio del predominante, e pro-prio allora vien gettato fuori da ogni strada. Solo cosi si schiude tutta

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"-.

INTRGDUZIONE ALLA METAFISICA

l'in-quietudine di colui che è il piú inquietante; non solo per il fattoche egli sperimenta la totalità dell'essente nella s-ua in-quietudine,non solo per il fatto che qui, proprio in q u a n t o violenta, eglisi pone da sé stesso fuori dalla quiete del consueto; con tutto questoegli non diventa alla line il piú inquietante se non perché, andandocosí per via senza uscita, viene estromesso da ogni rapporto con laquiete del consueto, e l'ii'r'r|, la rovina, la sciagura, incombono su di lui.

È facile intuire fino a che punto questo itav-teitópeç tiitapoç con-tenga una interpretazione del 8si.vó-tai-rev.

L'interpretazione risulta completata con la terza saliente paroladfil WTSU 3701 \5'~l-'í1=fl7*~I-fâ åfivl*-I-Q. Troviamo questa espressione co-struita nel medesimo modo e posta`nell"identica maniera nel mezzodell'antistrofe come il rtttvtontipoç iiiitopoc, precedente, Sgltamg cl-lgessa parla verso un'altra direzione dell'essente. Non si parla qui diTIÖPUQ, ma di nóltç; non si parla delle diverse strade che si dirigononelle varie zone dell'essente, ma del fondamento e del luogo dell'es-serci dell'uoino stesso, del crocevia di tutte queste strade, la nóltc.Hola; viene tradotta con stato e città: ma ciò non rende pienamenteil Scriâü. HÖÃLQ Significa pil.1l£IüSlIü lllügü, ei ci ii- (Da) in cui Qper cui liesser-ci (Da-sein) storicamente sussiste. La itóltç è il luogodella storia (Gercbicbtstiitte), il a ci a, n el quale, d al quale, ep e r il quale la storia accade. A siffatto luogo della storia apparten-gono gli dèi, i templi, i preti, le feste, i giochi, i poeti, i pensatori,il re, il consiglio degli anziani, l'assemblea popolare, l'esercito e lenavi. Tutto questo appartiene alla nókic, è politico, non perché abbiache fare con un qualche uomo di stato, con un qualche stratega,o con gli affari di stato_. Al contrario, tutto ciò è politico, vale a diresituato nella storia, in quanto per esempio i poeti sono s olo, marealmente dei poeti, i pensatori s o I o, ma realmente dei pensatori,i preti s olo, ma realmente dei preti, i re s olo, ma realmentedei re. Ora, s o n o significa che usano la violenza in quanto attiva-mente situati nella violenza (als Gewalt-tiitige) e divengono emi-nenti nell"essere storico come creatori, come uomini d'azione. Emi-nenti in sede storica, divengono in pari tempo tiireìuç, senza cittàné sito, solitari, inquietanti, senza scampo frammezzo all'essente nella

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La Liiviiraziona 1:-iiLL'Es ssaa

sua totalità, e medesimamente senza istituzioni né frontiere, senzacasa e senza leggi, per il fatto che in q u a n to creatori debbonosempre di nuovo fondare tutto ciò. -

La prima tappa ci ha mostrato l'intima struttura della natura delpiú inquietante, la portata e l'estensione del suo dominio e del suodestino. Rifacciamoci ora all'inizio e abbordiamo la seconda via inter-pretativa.

S eco n d a v i a. Alla luce di quanto è stato detto vediamoora di seguire il resto delle strofe e di sentire come l'essere del-l'uomo, consistente nell'essere ciò che vi è di piú inquietante, sidispiega. Cercheremo di rilevare se e come il Bsivóv venga intesonel primo senso; se e come il Setvóv nel secondo senso si presentiassociato ad esso; se e come, nella scambievole relazione di questidue sensi, l'essere del piú inquietante si costituisca davanti a noinella sua forma essenziale.

La prima strofe nomina il mare e la terra, ognuno come predo-minante (örivóv) a sua guisa. Il fatto di nominare il mare e la terranon implica naturalmente che essi siano assunti nel senso semplice-mente geografico e geologico secondo cui si presentano a noi mo-derni come fenomeni naturali, salvo essere in seguito riverniciati conun piccolo e fuggevole tocco di sentimentalità. -a Mare ›› è detto quicome per la prima volta e nominato assieme ai fiutti invernali neiquali costantemente spalanca, precipitandovisi, il proprio abisso. Su-bito dopo il tema principale e ricorrente dell'inizio, il canto proseguesenza transizione con; -toü-to nei itoìzeii. Esso canta liirruzione pro-rompente sulliabisso ondoso e senza fondo, liabbandono della terraferma. La partenza non avviene in una calma serenità di acqua scin-tillante, ma nel bel mezzo di una tempesta invernale. La menzionedi questa partenza è disposta secondo la legge ritmica della connes-sione delle parole e dei versi, allo stesso modo del xeipei del verso336, collocato nel luogo dove il metro cambia: itmpsi, ossia, egliabbandona il suo luogo, si dis-loca e si espone alla forza soverchiante,senza dimora, del flutto marino. La parola xeipei si erge, nella strut-turazione del verso, come una colonna.

Ma, intrinsecamente comiessa a questa partenza violenta contro

` risi

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INTRODUZIONE ALLA METAFISICA

la predominanza del mare, si trova l"irruzione incessante nell'indi-struttibile dominio della terra. Facciamo bene attenzione: la terrarappresenta qui la suprema divinità. Col far-violeriza l'uomo disturbala calma della crescita, il nutricare, il generare di questa irifaticabile.Nel caso della terra, il predominante non è colui che domina con laferocia autodistruttiva, ma colei che senza pena né fatica porta a ma-turazione ed elargisce con la tranquilla superiorità di una grandericchezza, liinesauribile librantesi al di sopra di ogni sforzo. In taledominio irrompe colui che violenta: anno per anno la dirompe conl'aratro, e coinvolge Pinfaticabile nell'agitazione del proprio sforzo.Il mare e la terra, liirruzione violenta e il dirompimento sono colle-gati dal stai. del verso 334, al quale corrisponde il -ts del verso 338.

Sentiamo ora l'antistrofe corrispondente. Essa nomina il volodegli uccelli nell'aria, la moltitudine degli animali che si trova nel-l'acqua, il toro e il cavallo nelle montagne. Il vivente, che come insogno se ne va di qua e di là vagando nella propria cerchia, checostantemente oltrepassandosi in sempre nuove forme si rinnova putsempre rimanendo su quell"u nic a via che gli è propria, e nonconosce che il luogo ove pernotta ed erra. In quanto vivente egli èinserito nel predominio del mare e della terra. In questa vita che sirivolge in se stessa, non familiare nella propria sfera, nella propriastruttura, nel proprio fondamento, l'uomo getta i suoi lacci e le suereti; .egli la strappa al suo ordine e la rinchiude nei suoi steccati enei suoi stabbi, imponendo ad essa i suoi gioghi. Prima si trattavadi un uscir fuori e di un dissodare, ora di cattura e di soggiogamento.

A questo punto, prima di passare alla seconda strofe e alla suaantistrofe, è necessario introdurre una o s s e r v a zio n e, perevitare di fraintendere il senso di tutto il poema: fraintendimentoassai facile da parte dell'uomo moderno, e del resto consueto. Ab-biamo già rilevato che non si tratta di una descrizione o definizionedella sfera d'azione o del modo di trovarsi dell'ucmo, il quale appareanche come un essente fra gli altri, ma di un progetto poetico delsuo essere a partire dalle sue possibilità e dai suoi limiti estremi. Ciòbasta a scartare anche un'altra opinione secondo cui il canto tratte-rebbe del_l'evoluzione dell'uomo da cacciatore selvaggio e costruttore

"'I|

La Lii-.irrazione iieLL'esseite

di piroghe a costruttore di città e uomo civilizzato. Sono, queste,categorie dell'etnologia e della psicologia dei primitivi. Esse risultanodall'applicazione illegittima all'essere delliuomo di una concezionescientifica della natura già di per sé inadeguata. L'errore fondamen-tale che sta alla base di un simile modo di pensare consiste nel rite-_nere che il principio della storia sia costituito da qualcosa di primi-tivo e di arretrato, impacciato e debole. In realtà è il contrario. Ilprincipio è ciò che vi è di piú inquietante e di piú violento. Ciò cheviene in seguito non rappresenta già uno sviluppo ma un trivializ-zarsi conseguente all'allargarsi, un non potersi mantenere in se stessodel principio, un immiserimento e insieme una esagerazione del prin-cipio nella deformazione della grandezza concepita come grandezzaed estensione puramente numerica e quantitativa. Il piú inquietanteè ciò che è in q u a n t o esso cela in sé un tale principio per cuitutte le cose, per via di un eccesso di potenza, fanno simultaneamenteirruzione sul predominante, per sottometterlo.

L'inesplicabilità di questo principio non ridonda affatto in unainsufficienza o impotenza della nostra comprensione della storia. Anzi,è nell'intendere questo carattere misterioso del principio che risie-dono l'autenticità e la grandezza della conoscenza storica. La cono-scenza della storia alle sue origini non consiste nello scovare il primi-tivo o nel raccogliere delle ossa. Essa non è, né in tutto né in parte,ima scienza naturale, ma se qualcosa è, è mitologia. -

La prima strofe e antistrofe menzionano il mare, la terra, l"ani-male, in quanto costituiscono il predominante che colui che violentafa venire a manifestazione in tutta la sua prepotenza.

La seconda strofe, esteriormente considerata, passa da una descri-zione del mare, della terra, degli animali, a una caratterizzazione del-l'uomo. Ma nella seconda strofe non si parla unicamente dell'uomopiú di quanto nella prima strofe e relativa antistrofe non si parliesclusivamente della natura in senso stretto. .

Anzi, quanto si sta ora per nominare - la parola, l'intelletto, ilsentimento, la passione, l'attività costruttiva - non appartengonomeno alla potenza del predominante che il mare, la terra, I'animale.Unica difierenza, è che questo domina tutt'intorno (umwaíter)

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INTRODUZIONE ALLA METAFISICA

l'uomo, lo trascina, l'opprìme, lo stimola, mentre quello domina perentro a lui (alare/Jwalrer), in quanto si tratta di ciò che egli, daquell'essente che è, deve assumere in proprio.

Quello che domina attraverso di lui (dar Darcbwalrenale) nonperde nulla del suo predominio per il fatto che l'uomo lo assumadirettamente in suo potere ed eserciti con questo la violenza. Ciòserve solo a celare il carattere inquietante del linguaggio, delle pas-sioni, in cui l'uomo si trova storicamente disposto mentre ritiene diessere lui a disporne. L"inquietante di queste potenze sta proprionella loro apparente familiarità e usualità. Esse si concedono diretta-mente all'uomo solo nella loro inessenzialità, e cosí lo spingono elo mantengono fuori della sua essenza. In tal modo, ciò che in fondoè ancor piú distante e predominante del mare e della terra gli apparefalsamente quanto mai vicino.

Fino a che punto l'uomo risulti estraneo alla sua essenza lo tra-disce l'opinione che egli nutre di se stesso: di essere colui che hainventato, che ha potuto inventare il linguaggio e l'intendere, l'artedi costruire e la poesia. '

Come potrebbe mai l'uomo inventare ciò che domina per entroa lui e sul fondamento del quale soltanto può egli stesso e s s e r ecome uomo? Se credessimo che il poeta faccia qui l'uomo inventoredi qualcosa come dell'arte di costruire o del linguaggio, dimentiche-remmo del tutto che in questo canto si parla del violento (öetvóv),dell'inquietante. La parola åötåáša-to non significa: l'uomo ha tro-vato, ma: si è ritrovato nel predominante, e solo in lui ha trovatose stesso: come potenza di .un agire siffatto. In base a quanto è statodetto, a se stesso ii- significa in pari tempo: colui che prorompe edirompe, cattura e doma. ' '

Questo prorompere, dirompere, catturare, domare, non è che ilrivelarsi dell"essente c o m e mare, c o m e terra, c o m e animale.Prorompimento e dirompimento si producono solo allorché nel far-violenza, la potenza stessa della parola, dell'intelletto, del sentimentoe del costruire risulta dominata. Il far-violenza del dire poetico,del progetto del pensiero, del formare costruente, dell'azione crea-trice di stati, non è l'esercitarsi di poteri che l'uomo possiede in

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La Liivirrazione neLL'esseius -

proprio, ma un dominare e accordare le potenze grazie alle qualil'essente si schiude, come tale, per via dell'uomo che e_ntra in____lui.Questo aprirsi dell'essente rappresenta la vi_olenza c_he luomo auevepadroneggiare onde essere, in questo far-violenza in r_nezztè____ 1:-sente, se stesso, vale a dire se stesso come essere sto_rico. c enella seconda strofe viene espresso come Bstvóv non dev essere inteso,erroneamente, come un'invenzione, né alla semplice stregua di unafacoltà o di una dote posseduta dall uomo. _

Solo se ci renderemo conto che l'uso della violenza nella parola,nel comprendere, nel formare, nell'edificare, entra_ a costitëire (valea dire, come sempre: a pro-durre) il fatto della violenza _c e a___pre _e_vie dell'essente dominante attorno, solo allora potr_emo inten ere _icarattere inquietante di chiunque faccia violenza. Giacché l uomo, intal guisa precedente in tutte le direzioni, non diventa un essere senzascampo nel senso esteriore che s'imbatta in difficoltà esterne e nonpossa perciò andare oltre. Anche in tal caso egli può sempre, inrealtà, anche frammezzo a queste diflicoltà, tirare_ avanti. La mancanzadi scampo consiste piuttosto nel fatto che egli_ è sempre ributta_tosulle strade che egli stesso ha aperte, in quanto si arena sulle sue vie,s'impiglia in ciò che ha dischiuso, traccia in tale viluppo la Cflrflhifidel proprio mondo, si irretisce nell'ap_parenza e cosí si preclude all es-sere. In tal modo si aggira da tutti i lati nella propria cerchia. Eglisa stornare quanto è avverso a questa cerchia, sa_applicare og_ni talentoal posto giusto. Il far-violenza che crea dapprincipio le vie, generain sé il disordine proprio della versatilità, in se stessa cosi priva diesito da precludersi da se stessa la via alla riflessione sull apparenzanella quale tuttavia si aggira. _ _

Solo u n a cosa pone immediatamente in iscacco ogni far-violenza.La morte. Essa segna la fine che trascende ogni coi_npimentåi_ e illimite che trascende ogni limite. Qui non c è piu irruzione né_ irom-pimento, cattura o assoggettamento. Ma questo fatto in-quietante,che espelle cioè definitivamente, d'un tratto, l'uomo da ogni quietoconsueta, non è un avvenimento che si debba menzionare fra altri,

- rper il fatto che alla fine anch'esso sopi-aggiunge. L _uomo è senzascampo di fronte alla morte non soltanto quando viene a morire,

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..iI"'

INTRODUZIONE ALLA METAFIS ICA .

ma costantemente ed essenzialmente. In quanto l'uomo è, egli stanel senza scampo della morte. Cosí l'esser-ci ( Da-sein) è la stessain-quietudine accadente. (Uinquietudine accadente deve essere pernoi primordialmente fondata come esser-ci.)

Con la menzione di q u e s t o particolare tipo di violento e diinquietante il progetto poetico dell'essere e dell'esser-uomo s'imponeil proprio limite.

In efietti, la seconda antistrofe non nomina altre potenze inaggiunta, ma riassume nella sua unità intrinseca quanto prima è statodetto. La strofe finale ripropone il tutto nel suo tratto fondamentale.Ora, come abbiamo sottolineato a proposito della prima via, il trattofondamentale di ciò che si tratta in particolare di dire (del ãstvó-ra-rev)consiste proprio nella relazione scambievole dei due sensi del ösivóv.In conseguenza, la strofe finale nomina congiuntamente tre cose.

1. La violenza, il violento, nel quale si muove l'agire delviolentante, costituisce l'intero campo della macchinazione (-tà paga-vósv) aüdatagli. Non intendiamo assumere la parola -it macchina-zione s in senso peggiorativo. Intendiamo invece con ciò riferirci aqualcosa di essenziale che ci si palesa nella parola greca -régvn. Tšxvnnon significa né arte, né mestiere, per non parlare poi della tecnicanel senso moderno. Traduciamo -ršxvn con e sapere is; il che abbi-sogna peraltro di spiegazione. Il sapere non è qui inteso come ilrisultato di semplici constatazioni a riguardo di un sussistente primasconosciuto. Tali conoscenze costituiscono sempre dei meri accessori,anche se indispensabili per il sapere. Questo, nel senso autenticodella -réxvn, è l'originai-ia e costante prospettiva (Hiriaarseben) ri-volta al di là del sussistente. Questo -a essere al di là za (Hiaaivrreia)pone preliminarmente in opera in diverse guise, per svariate vie ein campi differenti, ciò che per l'appunto conferisce al sussistente ilsuo diritto relativo, la sua possibile determinazione e, per conse-guenza, il suo limite. Sapere è poter mettere in opera (Ias-Weresetzea-können) l'essere come questo o quell 'essente. I Greci chia-mano l'arte propriamente detta e l'opera d'arte -råxvn, in senso forte,perché l'ai-te è ciò che porta piú direttamente in posizione (ramSieben), in un essente (in un'opera), l'essere, ossia l'apparire in sé

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La Liiviirazione i:ieLL'esseae

consistente. L'opera dell'arte non è ia primis uifopera in quaptooperata, fatta, ma in quanto realizza (er-wirkt), in im essente, les-sere. Realimare significa in questo caso porre in_ opera; nella qualeopera, considerata come ciò che appare, viene all apparenza lo SC111'-1"defsi imponentesi (das iaaltende Aaƒgebea): la ovfls- È S010 fltf1'_fi'verso I'opera d'arte, considerata come l'essere essente, che tutto ciòche appare altrimenti, o si trova presente accidentalmente, risultaconfermato e reso accessibile, significante e intelligibile, come e s-s e n t e oppure come non-essente.. _ _* _ _

Siccome l'arte nelliopera porta sen_sü Pecuhafe in Pfismüne(zum Stand) e all'evidenza (Vorscbem) lessere come essente, eììapuò venir considerata come il poter-porre-in-opera senz altro, v ca dire come -téxvn. Il porre-in-opera è aprente realizzarsi lvfiflfiffin e ll ' essente. Questo superiore ed efficace aprire e maiitener apertocostituisce il sapere (Wi'ssea)- LH Pflsfiìflfie dfil SfiPe1'¢ è 11 d°ma"dafe'L'arte è sapere e. Per conseguenza, 'rÉ)t*~›"I1. L'arte non è '¬¦ÉX.'~'_'fì Pervia che la sua realizzazione comporta un'abilità e tecnica ii, degli stru-menti e dei materiali.

È cosí la 'ršxvn che caratterizza il östvúv, il violentante nel suofondamentale e decisivo carattere; giacché il far-violeiiza è un usareviolenza contro il pre-dominante: è acquisire all"apparenza, col sa-piente combattere, l'essere dianzi precluso, qua_le essente. ___

2. Come il östvóv, inteso quale fare-violenza, si compen 2essenzialmente nel termine greco 1'É)t¬~*1'l› Cüsí il 5E"`”"'5"' °°nSidefat°I _ , .

come il predominante è reso dal termine greco_ öizn. Noi trad_uciamoquesto termine con Fug, diritto, ragione, autorità, intendendo _-ti anzi-tutto nel senso di connessione e ordinamento (F-148€ “M G*-'f"3f li iipoi come disposizione (Fägangl,_¢Pfl1¢ fiffifidaiü lweíffiiäå mnfe'rito dal predominante al suo doitiuiio; e, 1nfi1'1¢. Wine ___°f afnemüche dispone ( dar ƒägeade Geƒ-vgfl l i che f°1`2a ad 9* figuflm 3 5sottomettersi. ~

Se si traduce Stan con a giustizia s, intendendola in senso _gìu-ridico-morale, la parola perde il suo contenuto metafisico essenziale.L0 stessa vale per Pinterpretazione di Slim quale « norma za. I_l pre-dominante rappresenta, per quanto attiene la sua potenza e i vari

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INTRODUZIONE ALLA METAFISICA

campi in cui la esercita, liordine, il diritto (Pag). L'essere, la tpúaig,in quanto imporsi (Waitec) è raccolta originaria, Mya;, è l'ordineche dispone: 8-Lzn.

Cosí il ösivóv considerato come il predominante (Bien) e ilSttvóv considerato come il violentante (rtšxvn) si fronteggiano, peral-tro non come due cose sussistenti. Questo e essere a fronte ii- con-siste piuttosto in ciò, che la -tiixvn si erge contro la Elan, la qualedal suo canto come ordine (Pag) dispone di ogni -téyrvn. È questoreciproco esser di fronte che è. Esso è solamente in quanto ciò chevi è di piú inquietante, l'esser-uomo, accade ( gerchieht), in quantol'uomo è presente come storia (als Geschichte west).

3. La caratteristica fondameintale del Servo-ttrrrcv consiste nelrapporto reciproco dei due sensi del Setvóv. Colui che sa si spingenel bel mezzo dell'ordine (Frag) e trae (nel a tratto s, Risi) l'esserenell'essente, ma non può mai soggiogare il predominante. Per questoegli viene gettato qua e là, fra l'ordine e il disordine (Un-ƒag), frail volgare e il nobile. Ogni dominazione violenta del violento è vit-toria o disfatta. Entrambe respingono, in modo diverso, fuori delfamiliare, -e rendono esplicito, ognuna in diverso modo, il pericoloche l'essere rappresenta: sia che venga conquistato o perduto. En-trambe sono, in diverso modo,- minacciare di rovina. Il viole n-ta n t e (der Gewalt-tiiirige), il creatore, il quale avanza nell'ine-spresso e irrompe nel non-pensato, e che a forza ottiene il non-accaduto e fa apparire il non-veduto, questo violentante sta costante-mente nel rischio (tòlua, v. 371). Nell'arrischiarsi a dominare l'es-sere, deve altresi abbandonarsi al flusso del non-essente, un zaàóv,alla distruzione, all'instabilità, all'indocilità, al disordine. Piú elevatoè il vertice 'raggiunto dall'esserci storico, piú profondamente spalan-cato è liabisso aperto alla sua repentina caduta nel non-storico cheva sempre piú alla deriva in una confusione senza sosta e senza uscita.

Pervenuti cosí al termine della seconda via vediamo che cosa puòsignificare la terza.

T e r z a v i a. Nella prima via è stata analizzata la verità deci-siva del coro. La seconda ci ha portato nelle varie sfere essenzialidel violento e del violentante. La strofe finale riporta il tutto alla

La Liniirazione neLL'esseite

natura del piú inquietante. Sono rimasti tuttavia da esaminare e daspiegare piú da vicino alcuni dettagli. Ciò potrebbe costituire un'ap-pendice a quanto è stato detto, senza peraltro che si richieda unnuovo procedimento interpretativo. A volerci limitare a quanto òdetto direttamente nella poesia Finterpretazione può considerarsiterminata. Eppure essa è soltanto alliinizio. L'interpretazione auten-tica deve farci vedere quello che non è nelle parole e che 'nondimenoè detto. A questo scopo è necessario che liinterpretazione faccia vio-lenza. L'interpretazione scientifica stigmatizza come non scientificociò che oltrepassa i suoi limiti, ma è proprio là dove Pinterpretazionescientifica non trova piú nulla che l'essenziale deve essere ricercato.

Dovendo limitarci al coro che abbiamo analizzato, possiamo quìnondimeno tentare questa terza via, soltanto per ciò che riguarda ilcompito prefissoci, e anche se in modo assai sommario. Ricordandoquanto è stato detto nella prima via, ci ricolleghiamo a quanto ci èstato offerto nella spiegazione della strofe finale dalla seconda.

Il Estvóra-rev del öeivóv, il piú inquietante dell'inquietante, stanella contrapposizione di öiitn e di ršyçvn. Il piú inquietante non costi-tuisce il punto piú alto dell'inquietante stesso, in senso graduale. Maà, per sua natura, ciò che vi è di unico nel suo genere nelliinquietante.Nella contrapposizione fra essente predominante nella sua totalitàed esserci violentante delliuomo, si realizza la possibilità della cadutain ciò che è senza uscita e senza luogo, nella rovina; Ora, questa, ela possibilità di pervenirvi, non si presentano solo alla fine, per ilfatto che il violentante, in un atto singolo di violenza, fallisce e nonperviene allo scopo; ma questa rovina regna r :l è fin dall"inizio inagguato all'interno della stessa opposizione di predominante e atti-vità violenta (Gewalr-tarigheir). La violenza esercitata contro la stra-potema (Uhergeraalt) dell'essere d e v e necessariamente infrangersisu di questa, se l'essere domina per quello_ che è (west), comeoúatc, come schiudentesi imporsi. .

Ma questa necessità, questa fatalità dell'infi-angersi non può sus-sistere che in quanto ciò che è destinato ad infrangersi si trova co-stretto in una tale situazione (Da-scia ) . Ora, è proprio l'uomo atrovarsi costretto in una tale situazione, gettato nella necessità di

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INTRODUZIONE ALLA METAFI SICA

un tale essere, perché il predominante come tale, per apparire nellasua predominanza, h a bi s o g n o di un luogo per_ la sua apertura.L"essenza dell'essere-uomo ci si schiude solo se è intesa a partite daquesta necessità necessitata dell'essere stesso. Esistenza (Da-sein)dell'uomo storico significa esser posto come il varco in cui la stra-potenza dell'essere apparendo irrompe, aãnché questo medesimovarco siinfranga alla fine sull'essere.

Il piú inquietante (l'uomo) è quello che è perché, fondamental-mente, egli non si cura di ciò che è familiare e non lo custodisce cheper eromperne fuori e permettere l'irruzione del predominante. Èl'essere stesso che getta l'uomo sulla via di un tale trasporto che,costringendolo ad andare oltre se stesso, lo lega alliessere onde porloin opera, e con ciò mantenere aperto l'essente nella sua totalità. Per-tanto, colui che fa violenza non conosce la bontà e la pacificazione(nel senso solito), e neppure Pappagamento e la tranquillità del suc-cesso o del prestigio e del riconoscimento di tale prestigio. In tuttoquesto, il violentante, in quanto creatore, vede solo un'appareriza dicompimento che egli disprezza. Nella sua volontà d'inaudito rigettaogni aiuto, La rovina rappresenta per lui il piú profondo e ampioconsenso accordato al predominante. Nella distruzione dell'opera com-piuta, in quel rendersi conto che essa è un caos, che è quel capua(mucchio di spazzatura) detto sopra, reintegra il predominante nelsuo ordine. Ma tutto ciò, non sotto forma di semplici -a stati d'ani-mo ii, da cui l'anima del creatore possa lasciarsi trasportare, né sottol'aspetto di piccoli sentimenti d'inferiorità, bensi solo nella stessamaniera del porre in opera. E c o m e s to ria che il predomi-nante, liessere, trova operativamente la sua conferma.

Quale varco per cui l'essere, messo in opera, si apre nell"essente,liesserci dell'uomo storico è un in - c id e n t e (Zaiischer:-fall ), èl'incidente in cui, d'un tratto, le forze della strapotenza scatenatadell'essere si liberano ponendosi in opera come storia. Di questaistantaneità e unicità dell'esserci i_Greci avevano un'intuizione pro-fonda essendovi indotti dall'essete stesso che si apriva ad essi cometpiiatç, come Mya;, come öúim. È impensabile che i Greci si propo-nessero esplicitamente di costituire la cultura dell'Occidente nei pros-

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La Limitazione neLL'esseae

simi millenni. Ma poiché nella particolare necessità del loro esserci(Daseiir) usarono particolarmente della violenza, e cosí anziché elu-dere la necessità non fecero che accrescerla, essi finirono per procac-ciare forzatamente a se stessi la condizione fondamentale di una veragrandezza storica.

L'essenza dell'uomo cosí sperimentata e riaddotta poeticamenteal suo fondamento resta preclusa alla comprensione nel suo segretocarattere, se si cerca frettolosamente di intenderla in base a valuta-zioni.

Cosf il fatto di' caratterizzare l'uomo in base all'orgoglio e allatemerarietà, in senso dispregiativo, assume l'uomo al di fuori dellasua essenza, che è quella di essere l'in-cidente. Una valutazione sif-fatta dell'uomo lo pone come qualcosa di puramente sussistente, lotrasporta in uno spazio vuoto, valutandolo sulla base di una scala divalori estrinsecamente costituita. A un tal genere di fraintendimentoappartiene l'opinione - che potrebbe ritenersi autorizzata dalla chiusadel coro - secondo cui il dire del poeta rappresenterebbe in realtàun rifiuto implicito di questo modo di essere dell'uomo e nasconde-rebbe un invito a una fiacca moderazione intesa ad assicurare unacomodità iridisturbata.-

Un essente siflatto (nel senso del piú inquietante) deve venirbandito dal focolare e dal consiglio della città. La chiusa del coro noncontraddice, nonostante ciò, a quanto il coro stesso ha detto prima aproposito dell"uomo. Volgendosi c o n t r o il piú inquietante ilcoro dice che un tal modo di essere n o n è quello di tutti i giorni.Un tale modo di essere non si lascia cogliere nel normale corso dellavita e in una condizione ordinaria. Questa chiusa è tanto poco stranache ci dovremmo meravigliare piuttosto della sua assenza. Essa costi-tuisce, col suo atteggiamento protettivo, liiinmediata e piena con-ferma del carattere inquietante dell'essenza umana. Con questa chiusail canto si ricollega, nel suo dire, all'inizio.

Ma tutto ciò che cosa ha da fare con la frase _Parmenide? Innessun luogo egli parla del1'inquietud.ine. In termini _anche tropposobri egli parla semplicemente della coappartenenza reciproca dell'ap-

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INTRODUZIONE ALLA METAFISICA

prendere e dell'essere. Nel chiederci che cosa questa reciproca coap-partenenza significa abbiamo fatto una digressione -nell'interpreta-zione di Sofocle. In che modo può servirci di aiuto? Una cosa ècerta: che non ci è possibile inserirla senz'altro nell'interpretazionedi Parmenide. Dobbiamo tuttavia ricordarci di quella connessioneoriginaria, essenziale, che esiste fra il dire poetico e quello filosofico,soprattutto in quanto si tratta, in questo caso, della fondazione ori-ginaria e dell'originario costituirsi, ad opera del pensare poetico, dellarealtà storica di un popolo. Comunque, anche a prescindere da questorapporto di carattere generale, essenziale, noi subito c'imbattiamoin un particolare aspetto del rapporto fra poetare e pensare, che sirivela loro comune quanto a contenuto.

Dì proposito, nel cercar di caratterizzare in modo riassuntivo lastrofe finale, abbiamo rilevato, nella seconda via, il rapporto reci-proco fra Shin e téxvn. Ali-in è l'ordine predominante (aler-i1iher-raiilrigeade Pag). Téxvn è l"attività violenta (Geraalt-tiitigkeit) delsapere. Il reciproco rapporto fra le due costituisce l'evento dell'in-quietante. _ ..

Quello che ora intendiamo sostenere è che la coappartenenza divosiv (apprensione) e di rival. (essere) cnunciata dalla frase di Par-menide non è altro se non questo scambievole rapporto. Una voltache si sia giunti a stabilirlo, risulterà in pari tempo dimostrata laprecedente alfermazione, vale a dire che la frase intende in primoluogo delimitare l'essenza propria dell'uomo e non viene a parlarneincidentalmente e come per caso.

Onde provare la nostra afiermazione, vediamo anzitutto di faredue considerazioni di carattere piú generale. Tenteremo iti seguitoPinterpretazione particolareggiata del frammento.

Nel rapporto' reciproco poeticamente espresso di öfzn e di tåxvn,öfzn sta per l'essere dell'essente nella sua totalità. Già prima diSofocle c'imbattiamo, nel pensiero greco, nell'uso di questa parola.La piú antica massima che possediamo, quella di Anassiinandro,parla dell 'essere in essenziale connessione con la Slim.

Anche Eraclito nomina la Slim quando si tratta, da parte sua, diconferire una determinazione essenziale all'essete. Il frammento 80

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La Limitazione neLL'esseiie

incomincia cosí: eiòåvat öà gpl] -ròv 'itóluiuov šóvttz Euvòv stai. Sl.:-tnvEptv..., e ora bisogna considerare che la contrapposizione sussistecome raccoglimento, e l'ordine come contrapposizione reciproca ››...In quanto connessione disponente (ƒügeiide Geƒagcl la 551*" HPPHT*tiene a quella contrapposizione contrastante fgfåffiwfflfiiåf'-*` Affi'aim-mder-retzen) secondo cui la tpiiatç, schiudendosi, lascia apparire(esser presente) l'apparente, ed è presente cosí come essere (cfr.imma. 23 = 23). _ _ __ ___

Venendo a Parmenide, egli resta, anche per qu_anto rig_uar a Im-piego fatto dai pensatori del termine òlìffl pvt' Clflålgfläffi l¢S5:_1`_Ei "-lfìfltestimonianza decisiva. Man è_ per lui la dea. Essa cusåo_ iscc Echiavi che di volta in volta chiudono e aprono le pprte e giori_i_oe della notte, ossia le vie dell'essere (Che Wfflfili flfill HPPQW-'112-3 lc Edissimula) e del nulla (che risulta precluso). Quest_o si_gnifica__<_._:hel'essente si apre solo se venga salvato e preservato lordine de es-sere. L'essere è, come Slim, la chiave dell`esse_nte concepito_nelordinamento. Questo significato della Shin si lascia inequivoca i-mente ricavare dai trenta possenti versi introduttivi del -s poemadidascalico ›› di Parmenide, versi che ci sono stati__coåi_servati perintero. Appare cosí .chiaramente che t a n t o _ i ire_ p_oet1Coq u a n t o quello pensante designano l'essere, ossia lo costituisconoe lo delimitano, valendosi della medesima parola: Birm-

L"alti¬o punto che, in linea generale, rimane da addurre a dimo-strazione del nostro assunto, è il seguente. Già precedentementš èstato ricordato che nell'apprensione (Vemehmimg), in quanto a er-rare recettivo, l'essente viene aperto come tale e si pro_-duce cosínella non-latenza. L'impeto della ¬¦É)C,¬-'11 Contro lfl 5Ui'f`l CUSIIU-11$"3¢ Peril poeta l'avvenimento per cui l'uomo diventa un essere spaesato(imheimirch). E solo in siffatta condizione di spaesamento,_ di estra-niamento, che il familiare si schiude come tale. Ma con ciò stesso,e solo cosí, anche l'inusitato, il predominante, ci si schiude a suavolta come tale. Nell'evento dell'ii'iquietante si apre cosi lessentenella sua totalità. Questa apertura è l'accadere della non-latenza.Questa non è altro se non l'evento dell'inquietante.

Certo, tutto ciò vale -- si può obbiettare - per quanto dice il

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INTRODUZIONE ALLA METAFIS ICA La Limitazione ii-eLL'essER_EIl 'I I*- ' ' di violenza ine-_ _ _ _ _ imnaccia esercitare violenza. L attopoeta, ma quello che nella sobria frase di Parmemde non si riesce a costantemente *

trovare è appunto Pinquietante cosí caratterimatoOccorre perciò che la sobrietà di un pensare siflatto venga mo-

strata nella sua vera luce: il che si può fare esaminando la frase indettaglio. Frattanto, e fin da questo momento, possiamo afiermarequanto segue: se risulterà che l'apprensione, nella sua coappartenenzaall'essere (öfzn), è qualcosa che usa violenza e che, quale far-violenza(Gewalrtiitigheit) è una necessità (Not), e come tale subita solonella distretta (Noiwendigilteit) di un conflitto (nel senso del1161-suv; e dell'ëpiç); se inoltre, nel corso di questa dimostrazioneapparirà che Papprensione si mantiene in espressa connessione collogos, e che questo logos si manifesta come il fondamento dell'es-senza umana, allora quanto afiermammo circa la profonda afhnitàesistente fra il dire dei pensatori e quello dei poeti, avrà trovato lasua giustificazione. `

Intendiamo mostrare queste tre cose:1. L'apprensione non è un semplice processo, ma una de-

cisione.2. L'apprensione si mantiene in intima connessione essen-

ziale con il logos. Quest'ultimo costituisce una necessità.3. Il logos fonda l'essenza del linguaggio. Esso è, in quanto

tale, un conflitto e il fondamento fondante dell'esserci storico del-l'uomo in- mezzo all'essente nella sua totalità.

Primo punto. Evitare semplicemente di confondere il vssiv, l'ap-prensione, con l'attività pensante e col giudizio, non significa ancoracoglìerla sufficientemente nella sua essenza. L'apprensione, consi-stente, com'è già stato mostrato, in una -s presa di posizione ii- acco-gliente (Auƒaahme-stellaag) nei confronti dell'apparire dell'essente,non rappresenta che un appropriato esordio di una via importanteda seguire. Bisogna qui notare questo: l'apprensione costituisce unpassaggio attraverso il punto diintersezione delle tre vie. Come talenon può avvenire che ponendosi come d e - c i s i o n e radicalep e r liessere, c o n t r o il nulla, in contrapposizione c o n l'ap-parenza_ Un tale decidere essenziale deve tuttavia, per compiersi emantenersi contro l'irretimento nel quotidiano e nell'abituale che

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rente alla sortita cosí de-cisa sulla via dell'essere dell'essente com-porta la fuoruscita dell'uomo dalla familiarità di ciò che gli ò piuprossimo e abituale. _ di al E

Solo concependo l'apprensione come una sortita _ 11 Hellerpossiamo evitare Paberrazione di confondere lapprensione con unqualsiasi comP°1'tamento dell'u0I110› CUD P1150 OWIU Clfillfi 5'-le 9311;*_ _ _ - - * ' ion -cità spirituali, o magari con un processo che si verifica occ:s__ ___ amente. Al contrario, lapprensione è un essere s t r a pa? La suafo r z a alla normale atuvità__, e in contrasto coåi quäsa ;é_ a&______coappartenenza all'essere dell essente non _si _pro ;1_C¢ ___£________› ____ ______matla non significa stabilire un fatto, ma riåiviaiåe co __________à ____________si è parlato. La sobrietà della_frase parmem eä una so ________ c_______tata, per la quale la rigorosità del comt£_i_en ere apprenstuisce la foi-ma propria. fondamentale. flfi ¢SS=1'¢ HPPIÈSU- ______________

Secondo punto. Si è prima citato il frammento ___E_E1' Ivanevidente la differenziazione delle t_r_p vie. Di_Pf°PUål° É mmc' UIÉrimandato una interpretazione piu dettagliata d p;1I1___1<__L_› £*:1':_:_- ___possibile ora leggerlo intendendolo diversamente. 1_tP 'i'vssiv -t'åòv !|.ip.eva_i.__ Allora traducemmo: è necessario esporre, aven-

. iamodolo raccolto, quanto apprendere, ch:__ l;r_':__ssente _ _( ël '~'-15f"~l'-l_1`li______V:__:_l______________- - ' ' -fztv, apprens oqui che voeiv è menzionato assieme __ _ _

al Mitac. Inoltre, :pn è collocato bruscamente all inizio del verso.e L'apprensione e il logos costituiscono una necessità. ii- Il ll-štßw

- - t ' ' I SEOè nominato assieme all apprensione come un avvenimento dello s e ___game. ii ti-rav è, per di piú. nominata Per Prlmß- Lflaflf 11011 PHqui ora significare Pinsienie raccolto (die Geraarmeitheii' ) , come con-nessione delliessere, ma, in quanto tutt'ui_'io con läpt_irenÈ_onÉ_,_.__i:'_:indicare quell'atto di violenza (umano) i_n forza e qu o _viene raccolto nel suo insieme. Il raccoglimento (Sammlaag) costi-tuisce una necessità iriscindìbile dall"apprensione_ Tutte e due _qu_estecose devono prodursi e in vista dell'essere ii-_ Raccoghmento significaqui: cogliersi per entro la dispersione dell'instabile, riprendersi alc___d____i

I ' 7fuori della confusione dell apparenza. Me quest? facfiüßllmfifl 0, __è ancora un allontanamento, può attuarsi solo in forza del raccog -

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Â

INTRODUZIONE .ALLÀ IVIETÉLFIS ICÀ

mento che, in quanto rivolgersi a..., compie la scomponente ricom-posizione (Zusammemiss) dell'essente nell'insieme raccolto del suoessere. Cosi qui il logos, nel senso di raccoglimento, spinge nellanecessità e si distingue dal logos come insieme raccolto dell'essere(oúotç). Il logos come raccoglimento, come raccogliersi dell'uomonell'ordine, colloca anzitutto l'uomo nella sua essenza, ponendolo cosínell'inquietante, posto che il familiare è dominato dall'apparenza del-l'abituale, dell"usuale, dell'insignificante.

Resta a chiedersi perché mai il Ú-fstv venga menzionato primadel vatìv. La risposta è questa: solo a partire dal ìtšvstv il vetììv per-viene alla sua essenza come apprendere raccogliente.

La definizione dell'essenza dell'uomo che si compie qui al prin-cipio della filosofia occidentale, non viene realizzata coll'acquisire ta-lune proprietà dell'essere vivente e uomo a per le quali egli si dif-ferenzierebbe dagli altri viventi. L'essere dell'uomo si determina perla sua relazione all'essente come tale nella sua totalità. L' e s s e n z adell'uomo si rivela qui come quella relazione (Bezng) che in primoluogo schiude l'essere all`uomo. L'essere dell'uomo, in quanto neces-sità dell'apprensione e del raccoglimento, è essere necessitato(Nt`;itr`gung)` alla libera assunzione della réxvn, ossia alla messa inopera dell'essere per via del sapere. È cosí che c'è storia.

Dall'essenza del Mya; come raccoglimento procede una conse-guenza essenziale per quanto riguarda il carattere del lšvew. Datoche il }.å-ystv, quale raccogliere cosí determinato, ha riferimento all'in-sieme originariamente raccolto dell'essere, e che essere significa venirenella non latenza, questo raccogliere finisce per avere il caratterefondamentale dell'aprire, del render manifesto. Il låvstv entra cosíin aperta e netta opposizione con il coprire e col nascondere.

Ciò risulta subito e inequivocabilmente attestato da una frasedi Eraclito. Il frammento 93 dice infatti: e Il sovrano la cui divi-nazione ha luogo a Delfi eiits M-fat oii-rs zpúttrtt, né raccoglie nécela, dr.}.}.åt onuañvst, ma indica a. Raccogliere è qui posto in con-trasto con celare. Raccogliere significa qui svelare, rendere manifesto.

Si può a questo punto avanzare la semplice domanda: come puòla parola lévstv, raccogliere, aver assunto il significato di -s render

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La Ltsttrsztonz 1:›sL1.'EssEaE

manifesto a (svelare), in opposizione a celare, se non in base allasua relazione essenziale con il MTUG nel senso di 'W'-'-'-"'~<š? Liimpül-'Sischiudentesi che si mostra è la non-latenza. In base a questo rapportolšvttv significa: pro-durre il non-latente come tale, pro-durre l'es-sente nella sua non-latenza. Cosi, non solo in Eraclito, ma anche inPlatone, il X670; ha il carattere del Bnlaüv, del render-manifesto.Aristotele caratterizza il lšvttv del ìtó-fac, come ånflvflfvfififfflßt POI'-tare a mostrarsi (cfr. Saiu and Zeit. §§ 7 e 44). Questa caratte-rizzazione del lšvstv del ìtó-fac, come svelare e manifestare attestatanto piú fortemente il carattere originario di siffatta determina-zione, in quanto precisamente già con Platone e Aristotele ha inizioquello scadimento della determinazione del }~ö°1'vf; che rende possi-bile la logica. Da allora, e cioè da due millenni, i rapporti fra ltóveç,åìtfiñttn, oúotç, vesìv e löéa permangono inintelligibili, obliterati,occulti.

Dapprincipio succede però che il ìtóveç come raccoglimento cherende manifesto, in rapporto a cui l'essere è l'ordine (Fug) nel sensodella oúatç, viene a costituire la necessità dell'essenza stessa dell'uomostorico. Di qui non c'è che un passo a comprendere come il Rôvflc,cosí inteso, determini l'essenza del linguaggio, e come }~t5¬rfl¢; di*-'eflgfiil nome con cui si designa il discorso. L'esser-uomo è, nella sua essen-za storica, aprente la storia, logos, raccoglimento e apprensione del-l`essere dell'essente; esso costituisce l'accadere di quel -tt piú inquie-tante a in cui, tramite la violenza, il predominante viene all'apparenzaed è portato in posizione (zum Stand ). Dal coro dell'Arm'gone diSofocle apprendemmo, d'altra parte, che insieme all'incamminarsiverso l'essere accade, in pari tempo, il ritrovarsi nella parola, illinguaggio. _

Trattando dell'essenza del linguaggio, sempre si riafiaccìa il pro-blema dell`origine del linguaggio. Si cerca una risposta nelle piústrane direzioni. E tuttavia, anche in questo caso, la prima decisivarisposta alla domanda concernente l'origine del linguaggio è che taleorigine permane un mistero. E non già perché gli uomini non sianostati finora abbastanza acuti, ma perché questa scaltrezza e tuttaquesta sagacitä hanno fallito prima ancora di potersi dispiegare. Il

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INTRODUZIGNE ALLA. METAFISICA

carattere misterioso fa parte dell'essenza dell"origine della lingua.Ma ciò implica che il linguaggio non può avere avuto inizio che dalpredominante e dall'inquietante, nel mettersi in cammino dell'uomoverso l'essere. In questo mettersi in cammino, il linguaggio, inquanto farsi parola dell'essere, fu essenzialmente poesia (Dicbttmg).La lingua è la poesia originaria nella quale un popolo compone(dícbtet) l'essere. Per converso, la grande poesia per cui un popoloentra nella storia è quella che dà inizio alla formazione della sualingua. I Greci hanno creato e sperimentato questa poesia in Omero.La lingua era aperta al loro esserci come mettersi in cammino nel-l'essere, come disvelante configurazione dell'essente.

Che il linguaggio sia logos, raccoglimento, non è affatto cosa inse stessa ovvia. Ma questa interpretazione del linguaggio come logosnoi la intendiamo in base al principio dell'essere storico dei Greci,in base alla direzione fondamentale secondo cui Tessere stesso sidischiuse a loro e per cui essi lo portarono in posizione nell'essente.

La parola, il nominare, riporta l'essente che si schiude dal suopremere immediato e prepotente nel suo essere, e lo mantiene inquesta apertura, delimitazione e stabilità (St.-iindigkeit). Il nominarenon viene in un secondo tempo a fornire di una indicazione e di uncontrassegno che si chiama parola, un essente già altrimenti mani-festo; ma, al contrario, la parola decade dall'altezza della sua violenzaoriginaria, per la quale è apertura dell'essere, fino a semplice segno,a tal punto che questo finisce per ritrarsi davanti all'essente. Neldire originario, l'essere dell'essente si rivela nella connessione delsuo insieme raccolto (im Geƒtiige seiner Gesammeltbeit). Questa rive-lazione viene raccolta nel secondo senso, per cui la parola custodisceciò che è originariamente* raccolto, governando cosí il predominante,la taúatç. L'uon'1o, come colui che sta ed opera nel logos, nel raccogli-mento, è il raccogliente che assume e porta a compimento la gestionedel dominio del predominante. _

Ora, noi sappiamo già che questo far-violenza è ciò che vi è dipiú inquietante. Per via della rólua, dell'osare, è necessario chel'uomo pervenga a cio che è deteriore cosí come a ciò che è valido enobile. Ovunque il linguaggio parla come raccoglimento violentante,

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La Lmtrszrouz nELL'1-:sszaz

come assoggettamento del predominante e come preservazione, là, esoltanto là, si trova necessariamente anche la sregolatezza e la rovina.Per questo, il linguaggio come accadere è insieme, sempre, anchechiacchiera; anziché rivelazione dell'essere, coprimento, anziché rac-coglimento nella connessione e nell'ordine, dispersione e disordine.Il logos, come linguaggio, non si fa da se stesso. Il Léystv è `n e-c e s s it à: xpù 'rà kåvstv, necessario è l'apprendere raccogliente del-l"essere dell'essente. (Ma in base a che cosa necessita la necessità?)

Terzo punto. Siccome liessenza del linguaggio consiste nel racco-glimento dell'insieme raccolto dell'essere, il linguaggio, inteso comeparlare quotidiano, non perviene alla propria verità che quando ildire e l'intendere si riferiscono al logos come insieme raccolto, nelsenso dell'essere. Nell'essere, infatti, e nella sua connessione, l'es-sente è - originariamente e in modo determinante, ossia in certo qualmodo già previamente - un ktvóusvav, qualcosa di raccolto, di detto,proferito ed evocato dalla parola. Ora soltanto siamo in grado dicomprendere pienamente il contesto in cui si situa il detto di Par-menide, secondo cui l'apprensione avviene per l'essere.

Il passo suona (VIII, 34-36):- a Uapprensione e ciò per cui Papprensìone si verifica, si appar-

tengono reciprocamente. Non senza l'essente, infatti, nel quale esso(l'essere) risulta già proferito, perverrai a trovare (a raggiungere)llapprensione s. Il rapporto al logos, inteso come oútng, fa del àåvttvun raccoglimento apprendente e dell'apprensione qualcosa di racco-gliente. Perciò il kåvstv, onde poter rimanere esso stesso raccolto,deve poter sottrarsi a ogni mera declamazione, al discorso vano, allavolubilità, È cosí che troviamo in Parmenide l'opposizione piú recisatra Mya; e Tìtüooa (Fr. VII, vv. 3 segg.). Il passo corrispondeall'in.izio del frammento 6 dove, con riferimento al1'ingresso nellaprima via, inevitabile, dell'essere, si dice che è necessario raccogliersinell'essere dell'essente. Ora si tratta invece di istruzioni riguardantiil percorso della terza via, quella delfapparenza. Questo percorsopassa attraverso Papparenza ingannevole in cui l'essente anche sem-pre risiede. È questa la strada abituale. Pertanto l'uomo che sa deve

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INTRODUZICINE ALLÂ METÀFISICIL

sempre saper ritrarsi da questa via per rivolgersi al àévstv e al vasìvdell'essere dell'essente: '

tt E affatto non deve l'abitudine assai cattivante costringerti in questadirezione,

sicché tu ti perda in un guardare a bocca aperta, senza vedere, e inun ascoltare frastornante,

in un parlare facondo; ma tu risolviti distinguendo, raccogliendoinsieme, e prospettandoti la rappresentazione del molteplice conflittoda me offerta ›:›.

Qui Mya; si trova nella connessione piú stretta con xplvstv, ildistinguere inteso come de-cidere nel compiere il raccoglimento nel-l"insieme raccolto dell'essere. Il -a raccogliere a s c e glie n t e (dasa ti .t l e s e rr ci e e Laser: a) fonda e promuove il perseguimento del-l'essere e la difesa contro l"apparenza. Nel significato di :tplvstv siesprimono contemporaneamente: lo scegliere, il distinguere e il porreuna norma che costituisce una gerarchia.

Con questa triplice distinzione Finterpretazione del frammentorisulta spinta cosí avanti da rendere evidente che anche Parmenidetratta effettivamente, da un punto di vista essenziale, del logos. Illogos costituisce una necessità e abbisogna in sé di violenza ondepreservarsi dal facile eloquio e dalla dispersione. Il logos si ponecome ìtåvstv di contro alla tpúatç. In tale contrapposizione il logos,inteso come l'evento del raccoglimento, diventa il fondamento fon-dante dell'esser-uomo. Per questo abbiamo potuto dire che in questodetto si compie la prima decisiva determinazione dell'essenza del-l'uomo. Esser-uomo significa a s s u m e r e il raccoglimento, l'ap-prensione raccogliente dell'essere dell'essente, la messa in opera del-Papparire per via del sapere, e cosí r e g g e r e la non-latenza,p r e s e r v a r la dalla latenza e dal coprimento.

Risulta in tal modo evidente, fin dai primordi della filosofia occi-dentale, come il problema dell'essere includa necessariamente la fon-dazione dell'esserci.

Questa connessione di essere ed esserci (e il problema relativo)

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Ls Lrrvttraztonz nzLL'1:-zsszttz

non si puo raggiungere se si parte da un'irnpostazione della questionein termini di gnoseologia, e ancor meno in base alla constatazioneestrinseca che ogni concezione dell'essere dipende da una concezionedell'esserci. (Quando la messa in problema dell'essere non ricercasemplicemente l'essere dell'essente ma l'essere stesso nella s u aessenza, allora occorre assolutamente ed espressamente una fonda-zione dell'esserci guidata da questa domanda; che è poi il s olomotivo per cui questa fondazione ha assunto il nome di -a ontologiaf o n d a m e n t a l e a: cfr. Saiu and Zeit, Introduzione.)

Questa apertura (Eröfirrung) iniziale dell'essenza dell'esser-uomo,la qualifichiamo come d e c i s i v a. Solo che essa non fu conservatae mantenuta nella grandezza del suo principio. Ne segui qualcosadi completamente diverso: quella definizione dell'uomo come esserevivente ragionevole che, in seguito, divenne, per l'Occidente, con-sueta, e che ancor oggi, nell'opinione e ne|l'atteggiamento predomi-nanti, non risulta scalzata. Per rendere evidente la distanza che corretra questa definizione e l'apertura iniziale dell'essenza dell'esser-uomo, contrapponiamo, servendoci di formule, il principio e la line.La fine si ha nella formula: liviìptortoç = fititov kóvov Egov: l'uomo,l`essere vivente che possiede come sua dote la ragione. Il principiolo possiamo cogliere in una formula composta liberamente e che inpari tempo riassume la nostra precedente interpretazione: tpútrtç, =M-faq livüpt-.mev Hxuv: l'essere, l'apparire predominante, necessita, ilraccoglimento il quale possiede l'esser-uomo e lo fonda.

Nella p ri m a formula, quella finale, permane bensi ancora unatraccia della connessione esistente fra il logos e l'esser-uomo; senon-ché il logos risulta da gran tempo esteriorizzato in una facoltà del-l"intelletto e della ragione. La facoltà È fondata a sua volta sull'esi-stenza di un essere vivente di una determinata specie: lo Ctitavßš}vr|.tr¬:ov, l'animale meglio riuscito (Senofonte).

Nella s e c o n d a, corrispondente al pensiero degli inizi, è alcontrario l'esser-uomo che risulta fondato nell'apertura dell'esseredell'essente.

Stando alla prospettiva delle vigenti e imperanti definizioni - aquella della metafisica, della gnoseologia, dell'anttopologia, dell'etica,

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INTRODUZIQNE ALLA METAFISICA

improntato alla concezione cristiana dei tempi moderni e contempo-ranei - il nostro modo di interpretare il frammento non potrà nonapparire una interpretazione arbitraria, un'introduzione di qualcosache una -it interpretazione esatta z- non potrà mai accertare. Giusta

'I' 1 1 1- .,. Iosservazione. Secondo lopinione oggi corrente, quanto abbiamo dettonon sarebbe effettivamente che il prodotto della violenza e unilatera-lità, ormai proverbiali, del metodo esegetico heideggeriano. Ma c'èuna domanda che qui possiamo e dobbiamo porci: quale interpreta-zione è la vera? Quella che non fa che desumere la sua prospettivada cio che è risaputo, ovvio, abituale, o- quella che mette radicalmentein discussione la prospettiva abituale, in quanto potrebb'essere, e difatto è cosí, che tale prospettiva non conduca affatto verso q u e l loche si tratta di scorgere?

- Indubbiamente, rinunciare a ciò che è abituale per ritornare versouna interpretazione problematizzante, costituisce un salto. Per sal-tare occorre prendere il giusto slancio. È questo slancio che decidedi tutto, in quanto significa che noi stessi rip ro po n i a m orealmente le domande, e solo in esse ci costruiamo delle prospettive.

I' . iiQuesto, d altra parte, non può succedere con un procedere arbitrarioe ancor meno attenendosi a un sistema assunto a norma, ma soltantoper entro e in base alla necessità storica, alla necessità dell'essercistorico.

-'\ÉTEl›'v e '-*ati-'v, raccoglimento e apprensione, costituiscono unanecessità e un far-violenza c o n t r o il predominante, ma in paritempo anche, sempre, a s u o fa v o r e. Cosi quanti esercitanoviolenza dovranno provare pur sempre un moto di spavento, difronte a questo uso della violenza, non potendo tuttavia indietreg-giare. In questo moto di `spavento, pur nella volontà di dominare,deve per un attimo brillare la possibilità che il dominio sul predomi-nante si conquisti nel modo piú sicuro e piú pieno quando si con-servi semplicemente alI'essere, ossia allo schiudentesi imporsi che sifa presente (west) in sé come 16-faq, come insieme raccolto dei con-trari, la sua latenza, inibendogli cosí, in certo modo, ogni possibilità

" " I "' " 1 ,ir li ii-di apparire. All azione violenta del piu inquietante compete questaaudacia (che costituisce in verità un supremo riconoscimento): quella

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La Liivnrszioua nEi..L'zssaitz

di rifiutare a1l'apparire del predominante ogni apertura, per giungerecosí a padroneggiatlo, innalzandosi fino ad esso per il fatto di pre-cludere alla sua onnipotenza il luogo dell'apparire.

Sennonché, rifiutare una tale apertura all'essere non significa perl'esserci che questo: rinunciare alla propria essenza. Questo richiededi uscire dall'essere oppure di non entrare mai nell'esserci. È quantotroviamo, ancora una volta, espresso in un coro dell'Ei:lipo a Colono(vv. 1224 segg.) da Sofocle: un rpüvett. -rav åitav-rat. vi. / itfi lóvev:ti non essere mai entrati neIl'esserci significa trionfare sull'insierneraccolto dell'essente nella sua totalità ii.

Non aver mai assunto l'esserci, un tpüvau., vien detto dell uomocome di colui che per sua essenza è assimilato alla oúatc, come rac-coglitore di q u e s t a. Qui qiúatç, qiüvoi., sono usati per significarel'essere dell'uomo, mentre 1.6-rec; è impiegato nel senso di Eraclito,come l'ordine predominante dell'essente nella sua totalità. Questaparola del poeta esprime l'intimo rapporto dell'esserci all'essei-e ealla sua apertura, menzionando quello che rappresenta la maggioredistanza dall'essere: il non-esserci. Qui si mostra la piú inquietantepossibilità dell`esserci: quella di infrangere il predominio dell'essereesercitando la suprema violenza contro se stesso. Questa possibilitànon costituisce per l'esserci una vuota scappatoia, egli stesso è questapossibilità per il fatto stesso di essere; giacché, in quanto esserci, ènecessario che in ogni far-violenza egli s'infranga sull'essere.

Tutto ciò puo sembrare pessimismo. Ma sarebbe assurdo volercaratterizzare l'esserci dei Greci con questo termine. Non perché iGreci fossero in fondo, malgrado rutto, degli ottimisti, ma perchéapprezzamenti di questo genere non sono adeguati all'esserci greco.I Greci erano certamente piú pessimisti di qualsiasi pessimista. Maerano anche piú ottimisti di qualsiasi ottimista. Il fatto è che il loroesserci storico si trova al di qua sia del pessimismo che dell'ottimismo.

Entrambe queste valutazioni collimano nel considerare in anticipol'esistenza come un cattivo oppure come un buon afiare. Questaveduta del mondo è espressa nel ben noto passo schopenhaueriano:-a La vita è un affare che non copre le proprie spese a. La frase èfalsa non già perché ti la vita a copra in firi dei conti le spese, ma

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INTRODUZIONE ALLA METAFI SICA

perché la vita (oome esserci) non è per nulla un aflare. Senza dub-bio lo è diventata da secoli, ed è per questo che l'_esserci greco cirimane cosi estraneo.

La piú alta vittoria sull`essere è rappresentata dal non-esserci.L"esserci è la necessità costante della disfatta e della sempre nuovainsorgenza dell'atto di violenza contro l"essere, e ciò in modo chePonnipotenza dell'essere costringe (letteralmente) l'esserci ad essereil luogo del suo apparire, e come tale lo domina circondandolo epervadendolo e lo mantiene nel1'essere.

Awiene una separazione di 16-yet; e qiúaiç. Ma non si trattaancora di una secessione del logos. Questo significa che il logos nonsi pone ancora di fronte alllessere dell'essente e non appare ancorati di fronte a a lui in m o d o d a attribuirsi (in quanto ragione)una giurisdizione sull'essere e da assumere su di sé e regolare ladeterminazione dell'essere dell'essente.

A cio il logos arriva solo allorché rinuncia alla sua originariaessenza, in quanto l'essere come oúatç viene coperto e travisato. Neconsegue un mutamento dell`esserci dell'uomo. La lenta conclusionedi questa storia, in cui da lungo tempo viviamo, è costituita dal pre-dominio del pensiero concepito come ratio (sia nel senso di intel-letto che di ragione) sull' e s s e r e delliessente. È a questo puntoche incomincia l'alternativa fra a razionalismo si e e irrazionalismo a,alternativa che si presenta ancora oggi sotto tutti i travestimenti pos-sibili e sotto le piú contrastanti denominazioni. Uirrazionalismo èsolo la debolezza divenuta palese e il fallimento finale del raziona-lismo, e perciò è esso stesso una forma di razionalismo. L'irraziona-lismo rappresenta una scappatoia dal razionalismo, ma tale da noncondurci in territorio libero, bensi da irretirci a n c o r piú nelrazionalismo col prospettarsi dell'idea che questo possa venir supe-rato per via di semplice negazione, mentre, cosí dissimulato, essorisulta maggiormente pericoloso, potendo cosí seguitare il suo giocoindisturbato.

Non è compito di questa trattazione rifare l'intima storia del pro-cesso che conduce al pieno sviluppo del predominio del pensiero(come ratio logica) sull'essere dell'essente. Una simile esposizione,

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La Liivtirazioms. nE.LL'issst-:RE

anche a prescindere dalle sue intrinseche diflicoltà, sarebbe comunquedestinata a rimanere storicamente priva di qualsiasi eñcacia; almenofinché noi stessi non saremo giunti a suscitare dalla e per la nostrastoria, nel suo momento attuale, le energie di un autentico* domandare.

Ciò che invece occorre ancora mostrare è il modo in_cui, sullabase della originaria contrapposizione di Mrs; 6 Q'-*úfil-G. si P_¢1"'f'1¢n¢a quella secessione del logos che segna l"inizio del costituirsi delpredominio della ragione. _ _ _

Questa secessione del ìtòvaç e la pre-disposizione di questo Hesercitare la giurisdizione sull'essere, hanno luogo ancora all'inte}'nodella filosofia greca, e ne determinano altresi la fine. Per poter rico-noscere davvero la filosofia greca come il cominciamento. della filo-sofia occidentale, bisogna cogliere insieme questo incominciamentonella sua fine principiale (anƒäaglicbes Ende); giacché questa e sol-tanto questa è diventata in seguito, per l*epoca successiva, Il fi C_U'minciamento ii, e in modo da occultare, in pari tempo, il comrncia-mento principiale (aaƒänglícber Aaƒaiig). Ma questa fine principialedel grande cominciamento, rappresentata dalla filosofia di Platone' eda quella di Aristotele, resta pur sempre grande, anche a prpscin-dere interamente dall'imponenza dell influsso esercitato sull Occi-dente.

Chiediamo ora: come si giunge a questa secessione e a questaI _..priorità del logos nei confronti dell essere? Come avviene la deter

minazione decisiva della separazione di essere e pensare? Si_ grattaanche qui di una storia che possiamo disegnare solo a grandi inee.Incominciando dalla fine, chiediamo:

1. Come si presenta il rapporto tra oütrtç e }~<5'1:°š al Ififmifledella filosofia greca, in Platone e Aristotele? Come viene intesa laqiúaic? Qual è la forma e il ruolo che il }~åT°G ha assunto? _-f _

2. Come si è giunti a questa fine? In che consiste il motivovero e proprio della trasformazione avvenuta?

_ Primo punto. All'essere (tpúate) finisce da ultimo per imporsila denominazione predominante e basilare di löéttt Elsfišs idea- Daallora fino a oggi Pinterpretazione dell'essere come 'idea domina lin-tero corso del pensiero occidentale attraverso tutti i suoi sviluppi.

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INTRODUZIONE ALLA META FIS ICA

Questa origine spiega anche il fatto che in quello che costituisce lagrande e definitiva conclusione della prima fase del pensiero occiden-tale, il sistema di Hegel, la realtà del reale, l'essere in senso assoluto,è concepito come -a idea is e viene cosí espressamente designato. Macosa significa che in Platone la tpúoic, viene interpretata come iöåai?

Già nella prima introduttiva delineazione dell'esperienza grecadell'essere abbiamo citato accanto ad altri i termini lôåa, tijöeç.Quando ci accostiamo direttamente alla filosofia di Hegel o a quelladi qualsiasi altro pensatore moderno, o anche alla scolastica me-dioevale, e troviamo dappertutto impiegato il termine a idea is perdesignare 1' e s s e r e, dobbiamo ammettere, se vogliamo essereonesti, che tutto ciò in base alle concezioni c o r r e n ti ci risultai n c o m p r e n s i b i 1 e. Per contro, comprendiamo bene questofatto se ci rifacciamo alle origini della filosofia greca. Allora possiamoanche misurare subito la distanza che intercorre fra Pinterpretazionedell'essere come oúoic, e quella dell'essere come lãåat. _

La parola löéa significa ciò che ci si prospetta visibilmente, lavisione (Aalvlick) offerta da qualcosa. Ciò che ci si ofire è l'e-videnza(das Aasseben), l'sI8o=;,, di quello che ci viene incontro. L'e-videnzadi una cosa è ciò in cui essa, come diciamo, si presenta ( praeseariert)a noi, si pro-pone, e come tale sta davanti a noi, ciò in cui e a titolodi cui (als was) essa è presente (an-west), ossia è nel senso greco.Questo stare è la stabilità di ciò che da se' stesso si è dischiuso:della tpúotç. Ma questo star-lí dello stabile costituisce in pari tempo,dal punto di vista dell'uomo, l'aspetto immediato di ciò che d as e s t e s s o è presente, l'apprendibile (das Vemebmbare). Nel-l'e-videnza, cio che si presenta (das Aaweseaale), l'essente, è astante(an-stebr) nel suo ti che it e nel suo -ti come ii. Esso risulta appresoe acquisito, diventa oggetto di una presa di possesso recettiva, necostituisce la proprietà; è l'esser-presente disponibile di ciò che sipresenta (aerƒügbares Ariwesea non Aawesenalem): l'eüt:rla. Cosíl'eùala può significare due cose: l'esser-presente di cio che si pre-senta, e quest'ultimo considerato nel a che » della sua e-videnza.

È qui che si nasconde l'origine della posteriore distinzione diexisteirtia ed esseritia. (Se invece si accetta quasi ciecamente dalla tra-

ise A ti

La Liiviiriiziotiz nELL'assEitE

dizione la distinzione ormai divenuta corrente di existeatia ed esseatia,risulta afiatto impossibile scorgere come proprio l'existeni`i'a e l'es-serttia, assieme alla loro differenza, abbiano assunto tanto risaltonell' e s s e r e dell'essente da contraddistinguerlo. Intendendo in-vece l't`.8éri. [l'e-videnza] come e s s e r - p r e s e n t e [Aiiroeseii],questo, come stabilità, ci si presenta in un duplice senso. C"ë anzi-tutto, nell"e-videnza, il significato dello star-fuori-della-latenza, ossiail semplice lio'-tiv; d'altra parte, si mostra in essa l"e-vidente [dasAussebende], ossia ciò c h e è a-stante [aiistelJt], il 'rl šo'-crv.)

L'l.8ét:i costituisce cosí l'essere dell'essente. I termini låéti. e slöeçsono qui usati in senso lato, per designare cioè non soltanto quelloche risulta visibile agli occhi del corpo, ima tutto ciò che può venireappreso. C i ò c h e (Was) di volta in volta un essente è, sta nellasua e-videnza, ma questa a sua volta presenta (f a e s s e r - p r e-sen te) il che cosa (das Was).

Ma, avremmo di già dovuto chiederci, questa interpretazione del-1'essere come löéa non è dunque genuinamente greca? Eppure essarisulta ineluttabilmente da una esperienza dell'essere come tpúotq,come schiudentesi imporsi, come apparire, come stare in luce. Macosa ci mostra d`altro l'apparente, nel suo apparire, oltre che la suae-videnza, l'£5éo.? In che senso l'interpretazione dell'essere comelöåo. deve allontanarsi dalla oúotç? Forse non è giusto che la filosofiagreca ci venga tradizionalmente, da secoli, mostrata alla luce dellafilosofia platonica? L'interpretazione dell'essere come ñöéo. da partedi Platone rappresenta tanto poco una deviazione, e ancor meno unadefezione dal principio, che anzi intende tale principio in manieraancor piú esplicita e acuta dei predecessori e lo fonda mediante lae dottrina delle idee ››. Platone rappresenta il compimento delprincipio.

È, di fatto, innegabile che Pinterpretazione dell'essere come Löšarisulta dal.l'esperienza fondamentale dell'essere come oúotç. Essa è,per cosí dire, una conseguenza necessaria della concezione dell'essen-za dell'essere come a p p a r i r e s c h i u d e n te si (aaƒgebendasScbeiriers ). Non vi è qui nulla che rappresenti un allontanamentooppure una defezione dal principio. Certamente no.

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inraonuzioim ALLA Marsrisica I-A UMITÂZIUNE DELL ESSERE'H-.

Ma se cio che à una conseguenza essenziale viene elevato al rangostesso dell'essenza, collocandosi al suo posto, che cosa succede? Èallora il declino, e questo produce necessariamente, a sua volta, spe-cifiche conseguenze. Cosi è avvenuto. Il fatto decisivo rimane nongià che la tpúotç sia stata caratterizzata come_löši:i., ma che l'i'.öått siponga come interpretazione unica e determinante dell'essere.

Possiamo facilmente apprezzare la distanza che intercorre fra ledue interpretazioni valutando la diversa prospettiva in cui si muo-vono queste due determinazioni essenziali dell'essere: la qiúett; eliäöšri.. sheet; è lo schiudentesi imporsi, lo star-li-in-sé (Iii-sicb-dasieben), è stabilità (Stäardigkeit). 'löštt è l'e-videnza concepitacome darsi alla vista, è una determinazione dello stabile in quanto,e soltanto in quanto, sta di fronte a un vedere. Ma la rpúau; comeschiudentesi imporsi è già anche, indubbiamente, un apparire. Soloche l'apparire è ambiguo. Apparire vuol dire anzitutto: il raccoglien-tesi portarsi in posizione_dell'insieme raccolto e cosí stare. Ma appa-rire significa allora anche: nello stare-già, presentare una faccia, unasuperficie, una e-videnza che si offre alla vista.

Considerata dal punto di vista dello spazio la diversità fra i duesignificati dell'apparire è la seguente: l"apparire, nel primo e propriosenso del raccolto portarsi in posizione, occupa lo spazio, lo con-quista, e in quanto cosí stante si crea uno spazio, realizza tutto quantogli compete senza modellarsi su altro. L'apparire nel secondo sensosi staglia unicamente in uno spazio già preparato ed è scorto da unriguardare che si attua nelle dimensioni già solidamente costituite diquesto spazio. Quello che ora diventa decisivo è l'aspetto (Gesicbt)che una cosa presenta, non piú la cosa stessa. L'apparire nel primosenso spalanca (reissi'... auf) primieramente lo spazio. L'apparire nelsecondo senso porta solo a un determinato disegno (Aaƒriss) e a unamisurazione dello spazio cosí aperto.

Ma il frammento di Parmenide non dice forse già che l'esseree l'apprensione sono reciprocamente connessi, e quindi anche l"aspettoveduto e il vedere? E certo che al vedere compete un veduto, ma daciò non consegue che liesser-visto come tale debba e possa determi-nare da solo la presenza del veduto. Il frammento di Parmenide non

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dice afiatto che l'essere debba venir inteso solo in base all'appren-sione, ossia come qualcosa di semplicemente appreso, ma invece chel'apprensione esiste per l`essere. L'apprensione deve aprire l'essentein modo da riportarlo al suo essere, assumendolo nel che (dass)e nel clic cosa (was) del suo presentarsi. D"altra parte, l'interpreta-zione dell'essere come iöša fa sí che non soltanto una conseguenzaessenziale risulti falsata in quanto presa per Fessenza stessa, ma checio che risulta in tal modo falsificato venga a sua volta frainteso. Etutto cio si verifica pur sempre già nel corso dell"esperienza e dellaconcezione greca dell'essere.

L'idea in quanto e-videnza viene a costituire il che cosa dell'es-sente, la quiddità (das Wasseia). In base a questo significato l'es-senza, ossia il suo concetto, risulta del pari ambiguo. Infatti:

a) Un essente sussiste (west), si impone, chiama e compiequanto gli compete; compreso, precisamente, il conflitto.

b) Un essente sussiste come questo e quello, ossia risultadeterminato come un quid.

Come risulta, nel passaggio dalla oúotg all`l.5ša, il 'rl åaztv (ilche cosa), e come l'8-ti i-Ea'-tiv (il che) se ne distingue contrapponen-doglisi? Non è qui il caso di approfondire l`accenno.. che già è statofatto, all'origine essenziale della distinzione di essentia ed existeizria.(Ciò ha costituito oggetto di un corso inedito del semestre estivo1927.)

Dal momento, comunque, che l'essenza dell'essere è posta nellaquiddità (l'idea), quest'ultima, in quanto costituisce l'essere vero eproprio dell'essente, diventa anche quanto vi è di piú essente nel-l'essente. Essa è cosí, a sua volta, l'essente per eccellenza: lšv-rea; öv.L'essere come 1151-Eat è ora promosso al rango di essente per eccellenza,e l'essente stesso, che era dianzi il predominante, decade al livello dicio che Platone chiama p.-h öv: ciò che propriamente non dovrebbeessere e, di fatto, anche propriamente non è, in quanto deformasempre l'idea, la pura e-videnza, -col realizzarla, con 1'incarnarla nellamateria. Dal suo canto l'idea diventa itapåöawiia, modello. L'ideadiventa contemporaneamente e necessariamente ideale. La copia *pro-priamente non e è ia, ma solo partecipa dell'essere: liéäsštç. Il

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INTRGDUZIUNE ALLA METAFISICA

ygiupiouúç, l'abisso fra l"idea intesa come il vero essente, il prototipo,l'originale, e il non-essente vero e proprio, l'imitazione, la copia, ècosí scavato.

L'apparire riceve ora, in base all'idea, im altro senso ancora. Ciòche appare, -l'apparenza, non è piii la qiúotç, lo schiudentesi imporsi,e neppure il mostrarsi dell'evidenza; Papparenza è invece l'emergeredella copia. Siccome questa non raggiunge mai l'originale, l'apparenteè m e r a apparenza, ossia propriamente un sembrare, una difetti-vità, una mancanza. A questo punto l'öv e il tpntvópzvev si separano.Ne discende un'altra essenziale conseguenza. Siccome l'essere vero eproprio è l'l8åa, e questa è il modello, bisogna che ogni manifesta-zione dell'essente tenda ad eguagliare l'originale, ad adeguarsi almodello, a regolarsi sulllidea. La verità della qiúotç, l'åà.-ñfitta, con-cepita come la non-latenza che si realizza nello schiudentesi imporsi,diventa l'òueliaa'i.f:,, la ulurieiç, l'adeguazione, il regolarsi su..., l'esat-tezza del vedere, dell'apprendere concepito come un rappresentare.

Intendendo bene tutto ciò, non è piú possibile negare che conFinterpretazione dell'essere come löéa si attua un distacco nei con-fronti del principio originario. D'altra parte, se si parla qui di -a ca-duta ii- si deve tenere presente che non si tratta di una caduta a unlivello troppo basso, ma che rimane, malgrado tutto, a considerevolealtezza. Questa altezza possiamo valutarla nel modo seguente. Lagrande epoca della grecità è talmente grande, costituendo essa l'unicaclassicità, da creare le condizioni metafisiche della possibilità di ogniclassicismo. Platone non è un classicista, in quanto non puo esserloancora, ma è il classico del classicismo. Il passaggio dell'essere dallatpúat; all'l8étt realizza esso stesso una delle direttive essenziali secondocui si attua la storia dell'Occidente, e non solo la storia dellasua arte. ~

Si tratta ora di vedere che cosa succede del logos in corrispon-denza al cambiamento d'interpretazione della tpüotç. La rivelazionedell'essente si produce nel logos- inteso come raccoglimento. Quest'ul-timo si compie originariamente nel linguaggio. È per questo che illogos diventa la basilare determinazione essenziale del discorso. Illinguaggio, concepito come ciò che è enunciato e detto e ancora

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La Liivitritzioiva nzLi.'assziia

dicibile, custodisce di volta in volta l'essente cosí rivelato. Cio cheè stato detto può essere ripetuto e proseguito in un altro dire. Laverità che esso custodisce si diffonde, ma in modo tale che l'essente,reso originariamente manifesto nel raccoglimento, non risulta, ognivolta, sperimentato veramente in se stesso. In ciò che vien ripetutola verità si distacca, per cosí dire, dall'essente. E questo fino al puntoche il ridetto diventa qualcosa di semplicemente re-citato: 'y}~tTiire'at.Ogni enunciazione è costantemente esposta a questo pericolo (cfr.Seíri and Zeit, 5 44 b).

Ne consegue che la decisione circa il vero si esplica ora nel con-trasto fra il dire vero e il puro re-citare. Il logos, nel senso del diree dell'enunciare, diventa ora l"orizzonte e la sede in cui si decidedella verità, vale a dire - in senso originario - della non-latenza, econ cio dell'essere dell'essente. Inizialmente, il logos, in quanto rac-coglimento, è Paccadere della non-latenza, fondato in essa e al suoservizio. Ora, per contro, il logos diventa, quale enunciazione (Ans-sage) la sede della verità intesa come giustezza (Riebtigkeít). Sigiunge cosí all'affermazione di Aristotele per cui il logos, come enun-ciazione, è ciò che puo essere vero o falso. La verità che originaria-mente, in quanto non-latenza, costituisce un evento dello stesso es-sente predominante, ed è gestita dal raccoglimento, diventa ora unaproprietà del logos. La verità diventando una proprietà dell'enuncia-zione, non solo cambia sede, ma trasforma la sua essenza. Dal puntodi vista dell'enunciazione il vero si consegue allorché il dire si attienea ciò che enuncia, quando l'enunciazione si regola sull'essente. Laverità diventa giustezza del logos. In questo modo il logos esce dallaritenzione originaria per entrare nell'accadere della non-latenza, .cosíche ora è in base a lui e con riferimento a lui che si decide dellaverità, e con ciò del1'essente; però non solo dell'essente, ma anche,in primo luogo, dell'essere. Il logos è ora: ìtšveiv 'rl zrinzá. rtveç, direalcunché di qualcosa. Cio di cui qualcosa è detto è ciò che sta allabase e davanti all' e nu n c i a z i o ti e, l'ü1watlut-vflv (sabƒectum).Dal punto di vista del logos divenuto indipendente come enuncia-zione, l'essere si presenta allora come questo star-davanti. (Questadeterminazione dell 'essere è, al pari dell'l5ša., prefigurata, quanto

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1-

:INTRUDUZIONE ALLA METAFISICA

alla sua possibilità, nella tpúoiç. Solo lo schiudentesi imporsi può, inquanto esser-presente, determinarsi come e-videnza e come star-davanti.)

Nell'enunciazione, cio che le sta alla base (das Zngrnndelie- lgende) puo presentarsi in diversi modi: come avente tale o talaltra lqualità, tale o talaltra quantita, o comportante tale o talaltra rela-zione. Qualità, quantità, relazione, sono determinazioni dell'essere.Siccome, quali modalità dell'esser detto, esse sono tratte dal logos -ed « enuncia-e ›› si dice in greca xarnrvaßìv - le detcrminflzìflfli dd-l'essere dell'essente si dicono itiz-cri-yepiat., categorie. Pertanto, la dot-trina dell'essere e delle determinazioni dell'essente come tale diventadottrina-delle categorie e del loro ordine. Ogni ontologia ha perscopo una dottrina delle categorie. Che i caratteri essenziali dell'es-sere siano categorie è cosa che oggi, e da gran tempo, appare ovvia.Ma si tratta, in fondo, di una cosa ben strana. La si puo concepiresolo se si capisce che (e in che modo) il àúveç come enunciazionesta con la oúaiç in un rapporto non di semplice distinzione ma divera e propria c o n t r a p p o s i z io n e, presentandosi in paritempo come l'orizzonte normativo che diventa luogo d'origine delledeterminazioni dell'essere.

Ora, il logos, oriaic, il ai detto ii- nel senso della enunciazione,decide dell'essere dell'essente in modo cosí originario che ogniqual-volta un -.detto si erge c o n t r o un altro, ossia v'è contraddizione,åvrloaaic, ciò che contraddice non può e s s e r e. Per contro, ciòche non si contraddice costituisce perlomeno un poter-essere. Lavecchia discussione se il principio di non-contraddizione rivesta, inAristotele, un significato a ontologico si oppure a logico ia è malposta, in quanto per Aristotele non c'è né a ontologia ia né a logica ii.Tanto l'una che l'altra sorgono solo sul terreno delfaristotelismo. Ilprincipio di non-contraddizione riveste piuttosto un significato a on-tologico ia in quanto esso costituisce una legge fondamentale del logos,è un principio a logico is. Ed è per questo che la soppressione delprincipio di non-contraddizione nella dialettica hegeliana non rap-presenta, in fondo, una vittoria sulla sovranità del logos, quanto ilraggiungimento del suo v e r tic e piú alt o. (Il fatto che Hegel

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La Limitazione nEi.L'Es szitz

designi col nome di -a Logica is quella che È propriamente la meta-fisica, ossia la a Fisica ir, richiama sia il logos nel senso di luogo dellecategorie, quanto il logos nel senso della tpúeig principiale.)

Sotto forma di enunciazione il logos stesso è diventato qualcosadi concretamente dato. Questo sussistente è quindi qualcosa di ma-neggiabile, che viene adoperato per conseguire la verità come giu-stezza e assicurarsela. Di qui non c'è che un passo a considerare questomezzo di acquisto della verità come uno strumento, öpvavev, e a cer-care di rendere questo strumento maneggiabile nel miglior modo.Questo è tanto piú necessario in quanto l' o r i g i n a r i a aperturadell'essere dell'essente è andata sempre piú irrimediabilmente per-duta con il passaggio dalla tpüotc, all'sl3ac. c dal àóvoc alla zarnvepla,e in quanto la verità, intesa come giustezza, si diffonde ormai soloattraverso discussioni, teorie, prescrizioni, divenendo cosí sempre piúdiluita e piatta. Per tutto cio il logos deve venir apprestato comeuno strumento. È l'ora in cui nasce la logica.

Non a torto, dunque, la filosofia delle antiche scuole ha raccoltosotto il nome di Organon i trattati di Aristotele che hanno riferi-mento al logos. Con cio, la logica risulta anche già definita nei suoicaratteri fondamentali. Ed è cosí che Kant, duemila anni piú tardi,ha potuto dire, nella prefazione alla seconda edizione della Criticadella ragion para, che la logica -it dopo Aristotele, non ha potuto piúarretrate di un passo ii-, e che a non ha fino ad oggi potuto fareneanche un passo avanti, sicché, secondo ogni apparenza, sembraessere cosa definita e compiuta ia. Ma non lo sembra soltanto: lo è.La logica, infatti, 'malgrado Kant e Hegel, non ha piú compiuto, percio che vi è in essa di essenziale e di originario, alcun passo. Llunicoancora possibile è quello di scardinarla (in quanto prospettiva nor-mativa dell'interpretazione dell'essere) dal suo fondamento.

Riassumiamo ora quanto è stato detto sulla rpúotç e sul Lóvec:la oúaic diventa löéai (naptitösi-vue), la verità diventa giustezza. Illogos diventa enunciazione, la sede della verità concepita come giu-stezza, l'origine delle categorie, il principio che decide delle possibi-lità dell'essere. a Idea ii- e a categoria si costituiscono ormai i due con-cetti sotto cui ricadono il pensare, liagire, il valutare dell'Occidente,

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iirraonuziosts atta ivizrarisica

liesserci tutto. La trasformazione della tpüotç e del MTUS, flüflfillë iatrasformazione del loro reciproco rapporto, rappresentano una cadutadal principio originario. La filosofia dei Greci perviene a dominarel*Occidente non in virtú del suo originario principio, ma della suafine principiale che raggiunge, in maniera grandiosa e definitiva, lasua compiuta formulazione in Hegel. La storia, quando è autentica,non perviene alla sua fine cessando e finendo, com'è degli animali;la storia non giunge alla sua fine che in gu i s a s t o ri c a.

Ma che cosa è accaduto, che cosa dovette di necessità accadereperché si giungesse, nella filosofia greca, a questa fine principiale ea questa trasformazione della ipúeiç e del 1.670€? Siflmü C05i giuntial secondo quesito.

Secondo punto. Per cio che concerne la indicata trasformazionesi devono fare due osservazioni.

a) Essa si opera all'interno dell'essenza della ovaie e delM5-fac, o meglio, per entro una loro essenziale conseguenza, in talmodo che l'apparente presenta (nel suo apparire) una e-videnza,mentre il a detto si finisce per scadere nella sfera della s diceria ia.La trasformazione non avviene dunque dall'esterno ma dall'-ti in-terno ii-. Ma che significa qui -ti interno `s›?- Ciò che è in questionenon sono né la tpúatç né il X6-fat; presi separatamente. In Parmenidevediamo che essi sono essenzialmente connessi. Il fondamento cheregge e governa la loro essenza e che costituisce il loro a interno aè lo stesso loro rapporto, e ciò anche se il fondamento del rapportostesso si celi primariamente e propriamente nell'essenza della tpüvl-<;.Ma di che tipo è questo rapporto? Per chiarire bene ciò che è quidomandato occorre rilevare, a proposito della trasformazione indi-cata, un secondo punto.

b) In ogni caso la trasformazione fa sí che, sia dal punto divista dell'idea, sia da quello dell'enunciazione, l'essenza originariadella verità, liàìvhüstu (non-latenza) si trasformi in giustezza. Lanon-latenza costituisce infatti quello che abbiamo chiamato -ti inter-no ii, ossia il rapporto imponentesi tra ovaie e leve; nel senso ori-ginario. Liimporsi si verifica come un venir fuori nella non-latenza.Ora, Papprensione e il raccoglimento costituiscono l'economia del

La Liiviirazionz nzLi.'zssEitz

rivelarsi della non-latenza nell'essente. Il trasformarsi della ovaie edel lóveç in idea e in enunciazione trova il suo intrinseco fondamentoin un passaggio dall'essenza della verità come non-latenza alla veritàcome giustezza.

Tale essenza della verità non ha potuto fissarsi ed essere mante-nuta nella sua iniziale originarietà. La non-latenza, vale a dire lospazio istituito per liapparire dell'essente, è crollato. Si sono salvate,come macerie del crollo, ai idea ii ed ai enunciazione is, eüañrt enei-rq¬|'eplti..` Dopo che né Iiessente né il raccoglimento avevano potutoessere salvaguardati né compresi in base alla non-latenza, non rimaseche una possibilità: le cose cosí frantumatesi e prospettantisi comedei sussistenti non potevano intrattenere fra loro che un rapportoavente anch'esso il carattere di sussistente. Occorre un logos comecosa sussistente che si conformi a un altro sussistente, l'essente con-siderato come suo oggetto, e che si regoli su di esso. Permane bensiun'ultima apparenza e un ultimo barlume dell'essenza originaria del-liåàfiüstu. (Il sussistente perviene alla non-latenza con la stessa ne-cessità con cui procede nella stessa non-latenza lienunciazione che lorappresenta). Ma questa apparenza residua dell'ò.à-hì`›sio. non ha piúsuüciente forza e ampiezza da essere il fondamento determinantedell'essenza della verità. Tanto e vero che ciò non si è mai piú veri-ficato. Al contrario. Dacché l'idea e la categoria hanno preso a re-gnare, la filosofia invano si arrabatta per spiegare, in tutti i modipossibili e impossibili, il rapporto fra lienunciazione (il pensare) el'essere: invano, in quanto la domanda sull'essere non viene ricon-dotta al fondamento e al terreno in cui si trova radicata, onde tro-vare, su questa base, la sua spiegazione.

Il crollo della non-latenza - per cosí esprimere succintamentequesto fatto - non è d'altronde conseguenza di una semplice man-chevolezza, delliincapacità di reggere ancora quanto, con questa es-senza, è stato confidato alla custodia dell'uomo storico. La primaragione del crollo risiede nella grandezza e nelliessenza del comin-ciamento stesso. (Solo per una visione superficiale -a declino a eti crollo ti continuano a rivestire Papparenza del negativo.) Il comin-ciamento, come cominciamento cominciante, deve in certo qual modo

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INTRUDUZIONE ALLA METAFISICA

lasciare indietro se stesso. (Cosí si occulta necessariamente da sestesso, ma tale occultarsi non è un nulla.) Il cominciamento non puomai custodire, nell'immediatezza con cui comincia, il suo cominciarenell'unico modo in cui puo essere custodito, cioè ripetendolo inmodo piú originario nella sua originarietà. Non si puo pertantotrattare adeguatamente del cominciamento e del crollo della veritàche per via di una ripetizione operata ool pensiero (in einer denkendenWietier-bolnng). La necessità dell'essere e la grandezza del suo co-minciamento non possono formare oggetto di un puro e sempliceaccertamento storiografico. Il che non esclude, ma al contrario esige,che questo avvenimento del crollo venga appalesato, fin dove è pos-sibile, nel suo decorso storico. Per ciò che concerne tuttavia questelezioni dovremo limitarci a una sola osservazione decisiva.

Sappiamo da Eraclito e da Parmenide che la non-latenza del-l'essente non costituisce semplicemente qualcosa di sussistente. Lanon-latenza accade solo in quanto è realizzata con l'opera: l'operadella parola che è la poesia, l"opeta della pietra nel tempio e nellastatua, l'opera della parola costituente il pensiero, l'opera della iróìttc,come luogo della storia che fonda e custodisce tutto ciò. (it Opera iadeve essere qui sempre intesa, in base a quanto è stato detto, nelsenso g r e c o di Epvev, ossia come liesser-presente pro-dotto nellanon-latenza). La conquista della non-latenza dell'essente, e con ciodell'essere stesso, nelliopera, questa conquista che già di per sé nonsi produce che sotto forma di un costante antagonismo, è sempre, inpari tempo, lotta contro il nascondimento, il coprimento, controliapparenza. - *

L'apparenza, Eóša, noti è qualcosa che si ponga accanto all'esseree alla non-latenza, ma appartiene a questa. La öòštt, tuttavia, è a suavolta ambigua. Essa designa l'aspetto con cui qualcosa si presenta, e,in pari tempo, la visione che gli uomini ne hanno. L'esserci si fissain tali punti di vista i quali vengono espressi e ripetuti. Per tal modola 86€-st. è una forma del logos. I punti di vista predominanti impedi-scono ora la vista delliessente. Questi è privato della possibilità diapparire da se stesso rivolgendosi alliapprensione. L'e-videnza che

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abitualmente ci si mostra è un'e-videnza degenerata in punto di vista.Cosi il dominio dei punti di vista perverte e distorce l'essente.

Distorcere qualcosa è quanto i Greci denominano mlisúãsa-fiat. Lalotta p e r la non-latenza dell'essente, l'åà.'ñüriu,_ diventa cosí unalotta c o n t ro lo rlisüåeç, la distorsione e il pervertimento. Ma èproprio della natura della lotta che colui che combatte, sia che essorisulti vittorioso o perdente, venga a dipendere dal suo avversario.Siccome la lotta contro la non-verità è una lotta contro lo ilzsüåag,inversamente, in relazione allo ilisüöeç combattuto, la lotta per laverità diventa lotta per l'à-ilisuöšç, per il non-pervertito, per il non-distorto.

Con ciò l'esperienza originaria della verità come non-latenza,viene messa in pericolo. Infatti, per poter raggiungere il non-perver-tito, bisogna che liapprensione e la comprensione si rivolgano, senzadistorsioni, direttamente all'essente, ossia si regolino in base ad esso.La strada alla verità come giustezza è aperta.

Il verificarsi del passaggio dalla non-latenza, attraverso la per-versione, al non-pervertito, e di qui alla giustezza, va vista in unionecol passaggio dalla tpiiazç all"l.8éiz, e dal lava; come raccoglimento alàófoç come enunciazione. In base a tutto questo si elabora e si af-ferma ora, per l'essere stesso, quella definitiva interpretazione chesi cristallizza nel termine aüala. Questo designa l'essere come pre-senza costante, costante sussistenza. Ciò che propriamente è, è, con-seguentemente, l"ognora-essente, liåsl 8v. Costantemente presente èciò a cui dobbiamo rifarci fin da principio in qualunque apprendi-mento, in qualunque produrre: il modello, lilôšar.. Costantemente pre-sente è ciò a cui dobbiamo far ricorso, come a ciò che ci sta giàsempre davanti (das ininrer schon Vor-liegenale), in ogni la-fac, inqualunque' enunciazione: liúnezslnsvev, il snbƒectnm. Quello che cista già sempre davanti costituisce, dal punto di vista della qiúeig,dello schiudersi, il -iipó-rrpav, Fantecedente, lia priori. i

Questa determinazione dell'essere delliessente contraddistingue ilmodo in cui l'essente sta di fronte a ogni apprendimento, a ognienunciazione. Liùiteiisliievav preannuncia la successiva interpretazionedell'essente come oggetto. L'apprensione, il vesiv, viene assorbita

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INTRDDUZIUNE ALLA METAFISICA

dal lava; nel senso di enunciazione. Esso diventa cosí quell'appren-dere che, nel definirsi di qualcosa in quanto qualcosa, penetra e attra-versa con l'apprendere, öiavasioilai., ciò che si dà. Questo penetrareenunciante, öititvettz, forma la caratteristica essenziale dell'intellettoconcepito come un rappresentare giudicante. Cosi l'apprensione di-viene intelletto, ragione.

Il cristianesimo trasforma Pinterpretazione dell'essere dell'essenteconsiderandolo un essere-creato. Il pensare e il sapere vengono adistinguersi dalla fede (fides). In questo modo, l'ascesa del raziona-lismo e dell'irrazionalismo non viene ostacolata, ma, al contrario,preparata e rafiorzata.

Siccome l'essente è una creazione di Dio, ossia qualcosa di pre-meditato razionalmente, ne viene di necessità che, quando la rela-zione della creatura al creatore si interrompe e, in pari tempo, laragione umana assume la prevalenza, ponendosi addirittura comeassoluto, l'essere dell'essente diviene pensabile nel puro pensiero ma-tematico. L'essere cosí calcolabile e posto nel calcolo fa delliessentequalcosa di cui si può disporre nell'ambito di una moderna tecnicamatematicamente strutturata, tecnica la quale è qualcosa di e s s e n-zi a l m e n t e diverso da ogni uso di strumenti finora conosciuto.

Essente è solo ciò che è pensato esattamente ed è in grado ditener testa a un pensiero esatto.

Il termine chiave, che cioè serve di base per l'interpretazionedelliessere dell'essente, è eüaia. Come nozione filosofica la paroladesigna la costanza della presenza. Anche nell'epoca in cui questaparola è divenuta già il concetto dominante della filosofia, essa con-tinua a mantenere insiemeil suo significato primitivo: 'li üfifltglvüfifl-eùalu (Isocrate) à la proprietà sussistente. Ma neanche questo signi-ficato fondamentale dell'eüa'l.ai, né la strada da esso segnata per liin-terpretazione dell'essere, hanno potuto mantenersi. Tosto è soprav-venuta la trasformazione dell'interpretazione dell'aiIie£ai in snbstanfia.In questo senso essa perdura, come nozione corrente, nel Medio Evoe nei tempi moderni fino ai nostri giorni. La filosofia greca vieneallora interpretata retrospettivamente - e totalmente falsata - sulla

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La Liaiiriiziona nELi.'EssEiiE

base di questo concetto predominante di sostanza, di cui quello difunzione non è che la forma matematizzata.

Resta ancora da vedere come, a partire dall'ei'ie'lo. assunta comedenominazione oggi decisiva per l'essere, risulti ora possibile conce-pire- le distinzioni precedentemente esposte di e s s e r e e div e-ni r e, e s s e r e e a p p a r e n z a. Conviene ricordare subito loschema delle distinzioni in questione:

divenire 4- essere -› apparenza

pensare

Quello che si contrappone al divenire è la permanenza costante.Quello che si contrappone all'apparenza, intesa come mera appa-renza, è ciò che è visto autenticamente, lilßéri.. Essa è, d'altra parte,quale ävriaf; liv, il permanente costante opposto alla cangiante appa-renza. Divenire e apparenza non risultano tuttavia determinati uni-camente in base all'-mala, in quanto l'e-Iielti ha, dal suo canto, rice-vuto la propria determinazione decisiva in base al suo rapporto col).ó-fac, col giudizio enunciante, con la Giavera. Pertanto il diveniree l'apparenza si determinano anche in base alla prospettiva delpensiero.

Dal punto di vista del pensare giudicante, il quale si ricollegasempre a un qualcosa di permanente, il divenire appare come unnon-permanere. Il non-permanere si qualifica dapprima, per entro alsussistente, come un non-rimanere nello stesso luogo. Il divenireappare come un cambiamento di luogo, oepå, trasporto. Il cambia-mento di luogo diventa la manifestazione basilare del movimentonella cui luce deve esser visto ogni divenire. Con il costituirsi delpredominio del pensiero concepito nel senso del razionalismo mate-matico moderno, non si riconosce piú alcunialtra forma di divenirese non quella del movimento -inteso come cambiamento di luogo.Ove si presentino altre forme di movimento si cerca d'intenderle alla

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INTRODUZIGNE ALLA METAFISICA

stregua del cambiamento di luogo. Dal suo canto, il cambiamento diluogo stesso, il movimento, viene concepito unicamente in base alla

. , s . . .velocita: c = Descartes, il fondatore, in campo filosofico, di que-

sta maniera di pensare, ridicolizza, nella sua XII regala, ogni altroconcetto di movimento. '

Come il divenire, anche l'apparenza - lialtro termine contrap-posto all`essere - corrispondentemente alliaüoln risulta determinatain base al pensiero (inteso come calcolare). Essa è il non-cor-retto. Il fondamento delliapparenza ò il pervertimento del pensiero.Liapparenza diventa cosi semplice non-correttezza logica, falsità.Possiamo in base a ciò valutare chiaramente che cosa significhi lacontrapposizione del pensiero all'essere: il pensiero estende il suodominio (rispetto alla determinazione essenziale di base) sull'esseree, in pari tempo, su ciò che è opposto alliessere. Questo predominiova an co r a piú in là. Infatti, nel momento in cui il logos, nelsenso dell'enunciazione, assume il dominio sull`essere, e l'essere ri-sulta appreso e concepito come aüalat, come sussistenza, si preparaanche la separazione fra essere e dovere. Lo schema delle delimita-zioni dell'essere si presenta allora nel modo seguente:

dovere

divenire +- essere -› apparenza

pensare

4. Essere e dovere.

Risulta dunque dal nostro schema che la distinzione si attuaanche in un'altra direzione. Esso presenta la distinzione di e s s e r e

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La Lizairazionz uEi.L'Essaais

e p e n s a r e come diretta verso il basso. Questo denota che ilpensiero diventa il fondamento portante e determinante dell'essere.La distinzione di essere e dovere va invece verso l'alto. Sivuole con ciò indicare che come l'essere risulta fondato nel pen-sare, cosí esso ha sopra di sé il dovere. Ciò significa che non è piúl'essere a fornire la misura. _Ma l"essere non è forse idea, modello?Certo, soltanto che le idee, proprio per il loro carattere di modelli,non sono piú esse a fornire la misura. Infatti l'idea, come ciò chefornisce l'e-videnza ed è cosí essa stessa in certo qual modo essente(öv ) , esige a sua volta, in quanto è questo determinato essente, unadeterminazione del pr o p r ì o essere, ossia di bel nuovo unas ti a e-videnza. L'idea di tutte le idee, l'idea piú alta, è per Platonelilöått :reü åynüeü, l'idea del bene.

Il ii bene » non designa in questo caso ciò che è moralmenteordinato, ma ciò che è valente, ciò che realima ed è in grado direalimare quanto gli compete. L'å†aà6v è il normativo come tale,ciò che conferisce all'essere la potenza di essere (wesen) come idea,come modello. Ciò che è in grado di conferire un tale potere (Ver-rnägen) è il potente primo (das er-ste Verrnägende ). Ora, in quantole idee costituiscono l'essere, l'aüa'la., lilöéri. -reü åyrtüaü, l'idea piúalta, si trova iiitšitstvai :rñç eüalaç, al di là dell'essere. Cosi l'esserestesso, non in generale, ma in q u a n t o id e a, viene a collo-carsi di fronte a un -ti altro ii, a qualcosa cui esso stesso, liessere,rimane rimandato. Liidea piú alta è il prototipo dei modelli.

Non è ora il caso di entrare in maggiori dettagli allo scopo dichiarire come, anche a proposito di questa distinzione, ciò che risultadistinto dall'essere, il dovere, non sia qualcosa che provenga alI'es-sere da non si sa dove per essergli in seguito riferito. È Pesserestesso che, proprio per via della sua specifica interpretazione comeidea implica il riferimento a qualcosa di esemplare, di dovuto. Ed èin proporzione alliirrigidirsì dello stesso essere nel suo carattere diidea, che esso si sforza di compensare la degradazione che glienerisulta. Ma questo non può piú ormai ottenersi che con il situate 'aldi s o p r a dell'essere qualcosa che l'essere non è ancora, mache d e v e ognora essere. '

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Irtraonuzloisa ALLA iviisraeisica

Non si trattava, qui, che di porre in luce l'origine essenzialedella separazione di essere e dovere, o, il che in fondo è lo stesso,l'oi-igine storica di questa separazione. Non è pertanto necessariofare qui la storia dello sviluppo e delle modificazioni di questa sepa-razione. Ci lirniteremo a un solo punto essenziale. Ciò una cosa chedev'essere tenuta presente in relazione a tutte le determinazionidell'essere e alle distinzioni da noi richiamate: è per via che l'essereè, inizialmente, qiúeiq, schiudentesi disvelante imporsi, che esso sipropone come slöaç, lôéa. Il prospettarsi dell'essere non dipendemai, esclusivamente, dall'interpretazione filosofica che se ne dà.

Si è visto come il dovere subentri quale opposto dell'essere .coldeterminarsi di quest'ultimo come idea. Con questa determinazione,il pensiero come logos cnunciante (ötttìtãvraütti) viene ad assumereun ruolo decisivo. Allorché nell'epoca moderna questo pensiero, comeragione autonoma, conseguirà la supremazia, la divisione fra esseree dovere sarà pronta ad assumere realmente forma. È un processoche si compie con Kant. Per Kant l'essente è la natura, ossia ciò cheè determinabile e determinato dal pensiero fisico-matematico. Difronte alla natura si pone, determinato ugualmente dalla ragione ecome ragione, liimperativo categorico. Kant lo chiama piú volte, edespressamente, il Sollen (dovere) e ciò in quanto come imperativoesso si rapporta alliessente considerato come natura appetitiva. Fichteha poi fatto esplicitamente dell'opposizione di essere e dovere l'os-satura vera e propria del suo sistema. Nel corso del secolo XIXl'essente inteso come l'intende Kant, ossia come oggetto sperimen-tabile per le scienze, comprese quelle storiche ed economiche, acqui-sta una preminenza decisiva. Questa premirienza dell'essente minac-cia il dovere nel suo ruolo- di criterio base. Il dovere deve sostenerela sua pretesa. Deve tentare di fondarsi in se stesso. Ciò che pretendedi valere in sé come imperativo deve essere in se stesso legittimatoa ciò. Qualcosa come un dovere non può emanare che da ciò che inse stesso è in grado di avanzare una tale pretesa, da ciò che ha in séun v a I o r e, che è esso stesso un v a l o r e. I valori in sé diven-gono ora il fondamento del dovere. Ma siccome i valori si oppon-gono all "essere dell'essente inteso come fatto, non possono essi stessi,

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La Limitazione nzLL'isssziia

dal loro canto, e s s e r e. Perciò si dice che << valgono ii. Per ognisfera dell'essente, ossia del sussistente, i valori costituiscono ciò chefornisce la misura. La storia non è null'altro che realizzazione divalori. i

Platone ha concepito l'essere come idea. L'idea è modello, _ e,come tale, ciò che fornisce altresi la misura. Che cosa impedisce allorad'intendere le idee di Platone come dei valori e interpretare l"esseredell'essente in base a ciò che vale?

I valori valgono. Ma la validità richiama ancor troppo da vicinoil valere per un soggetto. Per sostenere ancor di piú il dovere esal-tato sotto fomia di valore, si attribuisce ai valori stessi un essere.Qui essere non vuol significare altro, in fo n d o, che la presenzadi un sussistente. Solamente che questo non sussiste in modo cosígrossolano e usuale come dei tavoli o delle sedie. Quando si arrivaa parlare di un essere dei valori si perviene al colmo della confusionee dell'inconsistenza. Siccome però l'espressione valore finisce, pocoper volta, col logorarsi, benché seguiti a svolgere un ruolo in econo-mia, i valori vengono ora designati come a totalità ›i›. Ma si trattasolo d'un mutamento di termini. Risulta, in fondo, ancora piú chiaroche cosa siano, in ultiiria analisi, queste totalità: delle mezze misure.Senonché le mezze misure risultano sempre, nell'ambito dell 'essen-ziale, ancor piú perniciose del nulla tanto paventato. Nel 1928 èapparsa la prima parte di una bibliografia generale sul concetto divalore. Vi sono citati' 661 scritti sul concetto di valore. Nel frat-tempo il numero E probabilmente salito a un migliaio. E tutto questosi chiama filosofia. Ciò che oggi qua e là si gabella come filosofia delnazionalsocialismo - e che non ha minimamente che fare con l'in-tima verità e la grandezza di questo movimento (cioè con l'incontrotra la tecnica planetaria e l'uomo moderno) - non fa che pescareneltorbido di questi -it valori a e di queste ti totalità is.

Quanto tuttavia risulti, nel XIX secolo, tenacemente radicatal'idea di valore, lo possiamo scorgere dal fatto che lo stesso Nietzschepensa efiettivamente, ed interamente, secondo la prospettiva del con-cetto di valore. Il sottotitolo dell'opera principale da lui progettata,La volontà di potenza, suona: -a Saggio di iui rovesciamento di tutti

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INTRUDUZIONE ALLA METAFIS ICA

i valori it. Il terzo libro è intitolato: e Saggio di una nuova scala divalori a›. Il fatto di essersi irretito nella confusione del concetto divalore, e di non averne compresa l'origine problematica, è il motivoper cui Nietzsche non è pervenuto al cuore autentico della filosofia.Ma anche se in futuro qualcuno dovesse pervenirvi - noi, uominid'oggi, non possiamo che preparare il terreno - non potrà fare ameno di irretirsi in una confusione: solo, essa sarà un'altra. Nessunopuò saltare oltre la propria ombra.

' - iii

Abbiamo perseguito la nostra ricerm attraverso quattro distin-zioni: essere e divenire, essere e apparenza,essere e pensare, essere e dovere. La discussioneè stata introdotta con Findicazione di sette punti di riferimento.Sembrava, al principio, trattarsi di un semplice esercizio di pensiero,di una distinzione da operare tra un insieme di nozioni arbitraria-mente scelte.

Riprendiamo ora, nello stesso ordine, questi sette punti e ve-diamo fmo a che punto si è proceduto nella direzione da essi segnatae fino a che punto quello che si trattava di vedere è stato conseguito.

1. Nelle distinzioni citate l'essere risulta delimitato in con-trapposizione ad ai altro ia, e ha quindi già, in questa delimitazionerestrittiva, una determinatezza.

2. La delimitazione avviene in base a quattro punti di vistafra di loro reciprocamente connessi. Perciò la determinazione dell'es-sere deve ulteriormente specificarsi ed accrescersi di conseguenza.

3. Queste distinzioni non sono per nulla casuali. Quanto, at-traverso di esse, viene mantenuto in uno stato di separazione, hauna tendenza originaria a raccogliersi in unità. Queste distinzionihanno dunque una loro necessità.

4. Le opposizioni, che a prima vista fanno l'eEetto di for-mule, non hanno un'origine comunque fortuita, né sono penetrarenella lingua quasi come dei semplici modi di dire. Esse si sono for-mate in stretta connessione con il modo decisivo di configurarsi del-

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La Limitazione rieLL'esseae _

l'essere per l'Occidente. Sono cominciate insieme allo stesso doman-dare della filosofia. _ _ _

5. Queste distinzioni, tuttavia, non seguitano a esercitare illoro dominio solo all'interno della filosofia occidentale; esse compe-netrano ogni sapere, ogni fare, ogni dire, anche là dove non vengonopresentate come tali né in questi termini. _ _ _

6. L'ordine in cui questi termini sono stati elencati dà giàun'idea dell'oi-dine che presiede alla loro connessione essenziale edella successione storica in cui sono stati coniati.

7. Un p r o p o r s i originario della domanda sull'essere,che si sia reso conto del compito di un dispiegamento della veritàdell'essenza dell' e s s e r e, deve sottoporsi alla decisione delle po-tenze latenti in queste distinzioni, e ricondurle alla verità loro propria.

Le affermazioni contenute nei predetti punti sono state a suffi-cienza chiarite, t r a n n e per quanto riguarda liultimo punto:Questo non contiene d"altronde piú che una semplice esigenza. _Sitratta, in conclusione, di mostrare fino a che punto essa sia giustifi-cata e come necessiti di essere soddisfatta. *

E una prova che non può essere addotta senza gettare di belnuovo utio sguardo d'insìeme su questa «ii introduzione alla _ meta-fisica i›.

Tutto sta nella domanda fondamentale posta all'inizio:__ a Perchévi ò, in generale, l"essente e non il nulla? i›. Il primo svolgimento diquesto fondamentale quesito ci ha indotti a porre la domanda: ti Checosa ne è, in generale, dell'essere? is.

La parola it essere ia ci è dapprima apparsa come una parola vuotadal significato evanescente. Questo pareva essere un fatto constata-bile come altri. Ma, alla fine, ciò che in apparenza sembrava_ nonporre particolari problemi né richiedere di venire ulteriormente inda-gato, ci è apparso come la cosa pin' degna diindagine (das Frag-iaiirdigste). L'essere e la comprensione dell'essere non sono un merofatto. L'essere costituisce l'evento fondamentale sulla cui base sol-tanto l'esserci storico viene mantenuto in seno all'apertura dell'es-sente nella sua totalità.

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INTRGDUZIGNE ALLA METAFISICA

Ma questo fondamento dell "esserci storico, cosí eminentementedešiiii di ìissefe iiifiiiåiiifls HOR 10 si può cogliere in tutta la sua di-

' àBilli ¢ 11€ Suo rango che col porlo in questione. E per questo che èsmi' Posta la dflmfliicia Pffiilmimrc: ai Che cosa ne è dell'essere? ii.

Le indicazioni che sono state date sull'uso corrente e purtuttavial d 'o tremo o variato -a è ia ci hanno convinto di questa; è del mm,

erroneo parlare di indeterminatezza e di vacuità dell'essere. E l'a è ische determina il significato e il contenuto dell'infinito -it essere si, enon vicev . ' ' .ersa Possiamo ora capire anche p e rc h é la msg su. anecessariamente cosí. ' -L si È si vale come copula, come -it piccolo ter.mine di l ' ' - -ie aziüflfi fa (Kant) In seno alla proposizione. Questa mn.__i_:f1¢ __tfl_ SÉ___l ai è ia. Ma siccotne_ _la proposizione, il layer; coma

'HIT P ti-. 3 ESS-Llnto la giurisdizione sull essere è lei che in_ i ii

base ai 5 ii 0 Pfvprio a è ia, determina l'essere.Lies ' -__ $_¢1'¢_t dal quale abbiamo preso le mosse considerandolo come

n termine vpoto, deve perciò, contrariamente a questa apparenza,avere un sigmficato determinato.

Il car ti ' . .__ a ere determinato dell'essere è stato posto in geidgnza mnesame delle quattro distinzioni:

L'essere, in contrapposizione al divenire, è la permanenzaI' I , _L essere, in pontrapposizione all'apparenza, è il modello per-

manente, il sempre identico.Lie - . . _ _

_ ssere' in c°mi3PP°3iZ10fl¢ al pensare, è il substrato, ilsussistente.

Liggserc, in conti'-apposizione al dovere, è ciò che si pi-opçmg(das Vorliegenale) di volta in volta come il a dovuto ii non an

. . coro già realizzato. - aPerma ' ' ' - - ._ nenza, identità, sussistenza, proporsi, espi-imam in fondo

a stessa cosa: la costante presenzialità (sttindige A. , __ _ n-wesenbert): löv in quanti; awiguesto t ' = -Q1-I cara tere determinato dell essere non è accidentale Esso

risult ' - - . . . . . ' .a dalla disposizione stessa in cui si trova il nostro essin ____ì________ del _ ___ ___ _ _ erci storicou gran e cominciamento presso la grecità. Il carattere

determinato delliess - - -ere non ha che fare con la semplice limitazione

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"iii

La Liiviitaztone neLL'esseite

del significato di una parola. Esso costituisce la sola potenza cheancor oggi regge, governa, tutti i nostri rapporti conliessente nella sua totalità, col divenire, con l'apparenza, col pensaree col dovere. '

Il problema di che cosa ne sia dell'essere coincide con quello diche cosa ne sia del nostro esserci nella storia; se noi nella storiaconsistiarno o se semplicemente vacilliamo. Dal punto diivista meta-fisico v a c i l l i a m o. Ci troviamo sempre per via in mezzo al-l'essente, e non sappiamo piú che rie sia dell'essere. Soprattutto, nonsappiamo neppure che non lo sappiamo piú. Vacilliamo anchequando ci rassicurianio a vicenda di non vacillare, anche quandoqualcuno si sforza persino, come di recente, di mostrare che questointerrogarci sull'essere non porta che confusione, esercita una forzadistruttrice, è nichilismo. [Questo modo di fraintendere la domandasul1'essere che ha fatto la sua riapparizione dopo l'avvento delliesi-stenzialismo, costituisce una novità solo per gl'ingenui.]

Ma doviè all`opera il vero nichilismo? Là dove si rimane attac-cati all'essente consueto, dove si pensa che sia sufficiente assumerel'essente, com'è stato fatto fino ad oggi, come essente puro e sem-plice e basta. Ciò significa respingere la domanda sulliessere e trat-tare liessere come un nulla (nihil): il che anche in certo senso essoti è ia, in quanto non sussiste come un essente, ma si essenzia (west).Il nichilismo è questo occuparsi soltanto dell'essente dimenticandol'essere. E il nichilismo cosí inteso, ie soltanto questo, il fo n d a-m e n t o di quel nichilismo che Nietzsche ha messo in evidenzanel primo libro della Volontà di potenza.

Al c o n t r a r i o, il sapere espressamente spingersi, nel porrela d o m a n d a sull'essere, fino ai limiti del nulla, includendolo intale domanda, costituisce il primo passo, il solo fecondo, per unreale superamento del nichilismo.

Che tuttavia, nella domanda sull'essere considerato come ciò cheè piú degno di essere indagato, ci si debba spingere t a n t o oltrenel domandare, è quanto ci mostra l'analisi delle quattro distinzioni.Ciò in c o n t r a p p o s i zio n e a cui l'essere risulta delimitato

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intiionuzione aLLa metaeisica

-_il divenire, l'apparenza, il pensare, il dovere - non è un qualcosadi puramente immaginato. Regnano qui delle potenze che dominanoe comandano l'essente tanto nel suo aprirsi e nel suo configurarsiquanto nel suo precludersi e nel suo deformarsi. Forse che il divenireè _milla? Liapparenza è nulla? Il pensare è nulla? Il dovere è nulla?Niente affatto.

Ma se quanto nelle distinzioni suddette si contrappone all'esserenon è un nulla, ciò significa che è esso stesso essentee, in ultima analisi, ancor piú essente di ciò che, in base alla determi-nazione delimitata dell'essere, viene considerato essente. Secondoquale senso dell'essere, allora, ciò che diviene, ciò che appare, ilpensare, il dovere, sono degli essenti? Non certo secondo quel sensodell'essere al quale si contrappongono e che peraltro è quello cor-rente iin dalfaniichità.

Il concetto tradizionale di essere non ba-sta quindi a designare tutto ciò che aes.

Onde poter mettere in opera il nostro esserci storico in quantotale, è dunque necessaria una nuova radicale esperienza dell'esserein tu_tta liampiezza della sua possibile essenza. Giacché le potenzeche si contrappongono alliessere, e le stesse distinzioni determinano,dominano e pervadono già da gran tempo, col loro vario intrecciarsi,il nostro_ esserci storico mantenendolo nella confusione dell'-ii es-sere_s›. Pertanto, una originaria ed esauriente aiialisì delle quattrodistinzioni porta a concludere quanto segue: che l'essere che essecircoscrivono deve esso stesso venir trasformato in un cerchio circo-scrivente e fondante tutto liessente. La distinzione originaria, quellache nella sua intrinseca connessione e nel suo originario contrastoregge la storia, 'è la distinzione di essere ed essente.

Ma come deve essa avvenire? A che cosa si può appigliare lafilosofia per giungere a pensarla? Non si tratta qui di discutere suquesta impresa, ma di accettarla e compierla, in quanto il suo com-pimento ri s ul t a dalla necessità del principio sotto il quale citroviamo. __Non per nulla, nel corso dell'esame delle quattro distin-zioni, abbiamo indugiato in misura sproporzionata su quella di essere

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La Limitazione i:ieLL'esseae

e pensare. Essa costituisce ancor oggi il reggente fondamento delladeterminazione dell'essere. E il pensare, guidato dal 16-fac, nel sensodella proposizione, a fornire e a mantenere la prospettiva secondocui l'essere viene considerato.

Afinché dunque liessere stesso sia aperto e fondato nella s u aoriginaria distinzione dall 'essente, bisogna che si dischiuda una pro-spettiva origìnaria. L'origine della distinzione di e essere e pensare is,la contrapposizione di apprensione ed essere, ci mostra non trattarsiqui di un nonnulla ma dell'appalesarsi di una determinazione del-l'esser-uomo scaturente dall'essenza dell'essere (ovaie) in quantoquesta vuol esser dischiusa.

Alla domanda concernente l'essenza dell'essere si trova intima-mente connessa la domanda su chi sia l'uomo. La determinazionedell 'essenza dell'uomo che qui si richiede non è quella, comunque,propria di una antropologia priva di base la quale, in fondo, ci rap-presenta l'uomo nello stesso modo con cui _la zoologia rappresentagli animali. La domanda sull'essere dell'uomo risulta ora determi-nata u n c a m e n t e, nella sua direzione e nella sua portata, inbase alla domanda sull' e s s e r e. L'essenza dell'uomo richiede divenir compresa e fondata all'interno della problematica dell'essere,in conformità dell'indicazione latente del cominciamento, come illu o g o che l'essere reclama per la propria apertura. L'uomo èil ai ci s› in sé aperto. E in questo e ci ii- che liessente si mantienee viene in opera. Per questo diciamo che l'essere dell'uomo è, nelsignificato ristretto della parola, l'e e s s e r - ci ii- (Da-sein). È nel-Pessenza dell'esser-ci (Da-sein) considerato come luogo dell'aperturadell'essere ( Seinseräfinnng) che deve originariamente risultare fon-data la prospettiva per la manifestazione dell'essere (Eröfinnng desSeins ).

L'intera concezione dell'essere propria della tradizione occiden-tale e, per conseguenza, il fondamentale modo di rapportarsi all'es-sere ancor oggi predominante, si possono riassumere nella formula«it essere e pensare ii. -

Ma Essere e tempo (Sein and Zeit) è un titolo che non si può

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._ intiioouzione aLLa 'metarisica

in alcun modo collegare alle predette distinzioni. Esso porta intuttialtro orizzonte problematico.

Non si tratta, in questo caso, di sostituire semplicemente la pa-rola s tempo is alla parola ti pensare ii; il fatto è che l'essenza deltempo risulta determinata fondamentalmente - e solo nell'orizzontedel problema dell'essere - da punti di vista del tutto diversi.

Ma perché proprio il tempo? Perché, all'inizio della filosofiaoccidentale, la p r o s p e t t i v a che g u i d a la mànifestazionedell'essere è il tempo, ma in m o d o che questa prospettivac o m e t al e rimaneva ancora occulta, né poteva non rimanerlo.Allorché finalmente l'eüofa - intendendo con ciò la presenza-costante(stiintlige Anteesenbeit) - diventa concetto fondamentale per desi-gnare l'essere, che cosa rimane nascostamente, in fondo all'essenzadella costanza e della presenza, se non il tempo? Ma q u e s t oa tempo is non è ancora, nella sua essenza, manifesto, né d'altraparte (sul terreno, nell'ambito della fisica) è manifestabile. Cosiquando succede che, alla fin e della filosofia greca, con Aristotele,la meditazione si fissa sull'essenza del tempo, il tempo medesimodeve necessariamente venir considerato come un sussistente:. aùola-ri.-:;. Ciò si esprime nel fatto che il tempo è qui concepito a partiredall'a ora iv- (jetzt), dal particolare e unico presente. Il passato èun a non piú presente ia, il futuro, un ai non a n co r a pre-sente ia. L'essere, nel senso della sussistenza (presenzialità) divienela prospettiva per la determinazione del tempo. Ma cosí il temponon risulta autenticamente assunto come prospettiva per liinterpre-tazione dell'essere. -

Essere e tempo non rappresenta, in un tale ordine di idee, unlibro, ma un compito. Compito autentico è quello che noi non sap-piamo e che, nella misura in cui lo sappiamo autenticamente, cioècome compito, sappiamo sempre solo in guisa in t e r r o g a t iv a.

Saper interrogare significa saper attendere, anche tutta una vita.Un'epoca tuttavia per la quale non è reale se non ciò che va infretta e si lascia concretamente afierrare considera l'interrogare-a estraneo alla realtà si-, qualcosa per cui a non torna conto ii. Ma

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La Limitazione r:›eLL'esseae

non è il conto l'essenziale, l"essenziale è il tempo opportuno, ossiail momento giusto e la debita perseveranza:

-s Demi es bassetDer sinnentle GottUnzeitiges Wacbstam ii-.*

HÖLDEELIN, Dal ciclo dei -ii Titifli. ii- (IV, 213)

* ti Giacché e detestata I dal Dio previdente I una intempestiva creseenza ii-'I'

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211I

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INDICE

Ppgjfflƒgziflflf . . .. . .. . . . . . .

en. 1 - gÈ____t›oManDa Merarisica Fonnanen-

¢n=-. n - SULLA Gitiuviiviatica E sULL*etiMoLoGiaDELLA PAROLA -ii ESSERE ir ._ . .. . .1. La grammatica della parola ai essere ii- . .2. L'etimologia della parola -a essere i› . . .

Cav. iii - LA DOMANDA SULUESSENZA DELUESSERE

car. iv - LA LIMITAZIONE DELL'ESSERE . . .1. Essere e divenire . . .. -2. Essere e apparenza . . - -3. Essere e pensare.. .4. Essere e dovere .

pag 5

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DA et L.V.G. siazzate (vaaese)

Page 108: Heidegger Introduzione Alla Metafisica

Nuova serie n. 184 ' mi

Martin HeideggerIntroduzione alla metafisicapresentazione di Gianni Vattimo

L'Introdiizione alla metafisica, nata come corso universitario nel 1935,ha una posizione centrale nello svolgimento del pensiero di Heidegger,giacché è il primo documento ampio e organico della asvoltaa seguitaa Essere e tenipo. L'Introdazione alla metafisica riprende e sviluppa quelcompito di una adistriizione della storia delliontologiaii di cui Essere etempo aveva parlato. E proprio nello sforzo di recuperare i termini ori-ginari del problema dell'essere di là dal suo presentarsi in formule cri-stallizzaie, solo apparentemente aovviea, Heidegger incontra in tutta lasua portata liimporianza del linguaggio, che costituisce il tema essenzia-le delle sue opere più recenti. Lilntrodiiziorie alla metafisica ha dunquellintento di rimettere in questione le categorie base che da secoli costitui-scono lo sfondo comune della filosofia occidentale partendo dalla stessagrammatica ed etimologia della parola aesserea. La storia di questa pa-rola, lungi dall'essere solo un campo di indagini specialistiche senza ef-fettivi riflessi pratici, coincide per Heidegger con il destino stesso del nostromondo, quello della acivilià occidentalea allargatasi ormai a coprire liin-tero pianeta. Nell"acuta consapevolezza della portata autenticamente sto-rica del problema dell'essere, oltre che nella suggestione delle molte pagineinterpretative di testi filosofici e poetici della classicità, risiede liestreniointeresse di quest'opera, decisiva per la comprensione del significato delpensiero heìdeggeriano e, in generale, degli sviluppi ontologici dell"esi-stenzialismo.

MARTIN HEIDEGGER (1889-1976) fu alunno di H. Rickert e poi assistentedi Edmund Husserl, al quale succedette a Friburgo nel 1928. Dall'inscgna-mento fenomenologico di Husserl prende le mosse la prima grande opera diHeidegger, Essere e tempo, del 1927, che segna l'atto di nascita della filosofiadell'esistenza. Liinteresse dominante di Heidegger neIl'ultima fase della suariflessione è il linguaggio, inteso come la sede in cui si determinano le dimen-sioni costituiive di ogni epoca storica. Di questa fase del pensiero heidegge-riano il documento principale è In cainniino verso il Lirigaaggi'o, ripropostoin questa collana insieme a Doinaride fontiaiiientali della filosofia.