LA VIA METAFISICA - MATGIOI

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Matgioi, Occhio del Sole, è il nome iniziatico di Albert de Pouvourville, un francese che nei primi del novecento ricevette nel Tonchino l'iniziazione taoista. Opera principale del Matgioi, è appunto un'introduzione alla metafisica estremo-orientale. Edizione 1983.Taoismo. Tradizioni orientali.

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NOTA ESPLICATIVA

GraficaTraduzioneIn copertina

Riccardo BernardiniElisabetta BonfantiTarocco The Hierophantdi Alesteir Crowley

Questa non è una prefazione, nella quale, pronto allalogomachia, io presenti la Tradizione orientale alla criticaoccidentale, perché, per quel che concerne le cose dellospirito, sarebbe più corretto, logico e normale presentarel'Occidente all'Oriente, nel caso in cui quest'ultimo viconsentisse.

Né ho voluto contrapporre due dottrine, o, per megliodire, due insegnamenti umani attinenti a una dottrina. loho semplicemente pensato che, in un'epoca in cui ci sisforza di risalire alle fonti del sapere umano per trovarvilà verità più o meno immacolata, era opportuno rappre-sentare la fonte primordiale e tradizionale di ogni cono-scenza, l'onda iniziale di cui tutta l'umanità è tributaria;l'ho fatta sgorgare da regioni che essa difficilmente ab-bandona: in primo luogo perché l'obbligatorio soggiornoin Estremo Oriente viene effettuato, ancor oggi, più pertagliar teste che per decifrare e comprendere testi; poiperché l'ideografia in cui la Tradizione si racchiude è astru-sa, o quasi, alla razza bianca; infine perché, se sono ca-pace di contare, vi sono non più di cinque Europei (unodei quali è morto da pochissimo) i quali abbiano rice-vuto, insieme con lo strumento materiale per leggere, lostrumento intellettuale per comprendere la sostanza dellaloro lettura.

Ho diviso questo lavoro in tre parti: una - che orapresento - riferisce, sotto il titolo di Voie métaphysique,i princìpi della Tradizione nonché il suo movimento filo-sofico e cosmogonico; la seconda, sotto il titolo di Voierationelle, tratterrà della sistematizzazione della Tradizionecon il Taoismo, o « Via e virtù della Ragione », di Laotze;la terza, sotto il titolo di Voie sociale, tratterà dell'adatta-mento della Tradizione con la filosofia politica e comuni-stica di Kong-tze (chiamato Confucio dai missionari cri-stiani).

TUTTI I DIRITTISONO RISERVATI

© 1983 by MANILO BASAIA EDITORECaso Posto 6097 - 00195 Roma

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Questo delicatissimo compito, che posso dire di avereassolto, se non felicemente, almeno scrupolosamente, nonrecherà indubbiamento alcun frutto gradevole al palatoeuropeo. Tuttavia devo confessare che, nell'intento più pra-tico che lodevole di fare immediatamente comprendere itesti sacri dell'antichità gialla, ho spesso impiegato la fra-seologia occidentale e ho usato, più che il modo di pro-cedere adatto a tali testi, il ragionamento adeguato alcervello dei lettori, ogni qualvolta ambedue conducevanoa un'identica conclusione.

Mi sono riconosciuto il diritto di agire in tal modo,perché gli insegnamenti della «Via metafisica» sarebberostati incomprensibili senza commenti; ho dunque adattatoalla mentalità occidentale, e in maniera immediata i mieicommenti, anziché sottoporre a una traduzione in' linguaoccidentale, sempre faticosa, delle teorie in lingua «gial-la », che mi sarebbe stato personalmente più facile esporre.

Non agirò così nella « Via razionale» e nemmeno nella«Via sociale »; non vi sono infatti ragionamenti da ag-giungere agli insegnamenti di Lao-tze e di Kong-tze, masolo delucidazioni da dare, qua e là. Oltre al mio gusto na-turale, io sono portato a questa rigidità di trasposizione,vedendo il risultato del tutto comico ottenuto da alcunirecenti pseudo-traduttori che hanno creduto di poter ab-bellire e perfezionare il Libro della Via e che, Per far ciò,non avevano nemmeno la scusante di essere membri del-l'Istituto.

E se, dopo la lettura ardua o il puro e semplice rigettodi queste difficili ma meravigliose dottrine, mi si negheràil merito di essere elegante, interessante e gradevole, senon altro mi si dovrà riconoscere che non ho cessato diessere un interprete rispettoso della Tradizione, un figliorigoroso e pio dei maestri che me l'hanno insegnata.

Questo atto di testimonianza libera la mia coscienza.E' solo di questo che mi preoccupo e mi sOllo sempre .

preoccupato, Il successo di quella trascurabile contingen-za che è l'esposizione locale di una dottrina n()n ha im-portanza per un verbo che sa di essere eterno.

CAPITOLO PRIMO

LA TRADIZIONE PRIMORDIALE

Matgioi

Le religioni attuali dei popoli gialli si compongono diuna serie di elementi diversi. In esse bisogna vedere unamalgama popolare originato da tre elementi generatori:la religione primitiva, il taoismo, il confucianesimo. Questetre influenze, che si sono intrecciate più o meno felice-mente nel corso dei secoli, costituiscono la religione tra-dizionale dell'impero: a queste tre influenze corrispondonotre liturgie, che formano l'insieme delle cerimonie uffi-ciali e popolari.

I viaggiatori, i missionari, tutti coloro che per le razzegialle sono stranieri e hanno giudicato lo statuto tradi-zionale cinese sulla base di questa apparenza esteriore,hanno scambiato l'apparenza con la realtà; se d'altrondeavessero cercato di penetrare oltre, cosa per la quale nonavevano né il tempo né la voglia, sarebbero stati fermatidai detentori della Tradizione Primordiale, che fra ilpopolo cinese non è volgarizzata e viene, a fortiori, tenutanascosta ai lontani barbari.

E' facile misconoscere coloro che vogliono restare sco-nosciuti. E' quello che hanno fatto gli studiosi occiden-tali bianchi riguardo ai sapienti orientali gialli, e tanto piùimpunemente quanto non vi era chi replicasse loro; ere-pendo di paterne fare a meno, li si ignorò: e fu c?sì .che lamolto venerabile Tradizione occidentale, per risalire al-l'inizio dei tempi, si arrampicò sulla Scala di Giacobbe e,in mancanza di meglio, si attaccò a quel giudaismo chenon è se non una sanguinosa parodia degli antichi cultiindù, nonché a quel mosaismo che è solo un adattamentoegizio purificato nel Mar Rosso. . .. .. .

Noi sappiamo oggi di avere delle origim mìgliorì epiù nobili; e, quand'anche le conquiste coloniali dell'Eu-ropa avessero avuto questo unico risultato, non sarebberotuttavia indegne della gratitudine dello spirito umano, al

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u l e hanno svelato, beninteso incosapevolmente, le.radìzìonì nascoste con cura dietro le Grandi Muraglie,pr t tte dalle civiltà più chiuse e più antitetiche alla no-tra mentalità.

Devo qui provarmi a dischiudere al ventesimo secolooccidentale un tesoro nascosto da cinquemila anni e igno-rato perfino da alcuni dei suoi custodi. Ma voglio innan-zitutto fissare le principali caratteristiche di questa tra-dizione, grazie alle quali essa ci appare come TradizionePrimordiale, e poi soprattutto determinare, mediante laprova umana e tangibile lasciataci dai loro autori, comei monumenti di tale tradizione risalgano a un'epoca incui, nelle foreste che ricoprivano l'Europa e lo stessooccidente dell'Asia, gli orsi e i lupi non si distinguevanodagli uomini, i quali erano come loro coperti di peli emangiavano carne cruda.

Allorché tremilasettecento anni prima di Gesù Cristo,vale a dire duemilatrecento anni prima di Mosè, l'enigma-tico imperatore Fo-hi scrisse quegli arcani metafisici e co-smogonici che servirono da trama al Yi-kìng, egli affermòdi trarre rispettosamente la propria dottrina dal passato,dichiarando lo molto saggio, molto prudente e molto diffi-cile da determinare.

La sua stessa epoca, egli dice, sarà per le razze futureun passato egualmente astruso e difficile da precisare.

Egli colloca dunque la sua opera non in un'epoca con-venzionale o contrassegnata dal nome di un sovrano dicui il tempo cancellerà la fama e la memoria stessa, main uno stato solare e stellare, che viene da lui descrittoin ogni particolare; uno stato al quale, senza possibilità dirrore, gli astronomi dell'avvenire potranno assegnare

una cronologia. Così, mentre i patriarchi ebraici danno,fra i libri più voluminosi e i lavori più aspri, una penalà che inutile per i benedettini, per conoscere la data-

zl n esatta di Fo-hi e del suo Yi-king è sufficiente porge-un paio d'occhiali a uno degli innumerevoli discepoli

li amille Flammarion. Senza dubbio Fo-hi non temevail controllo né la smentita dei posteri. E noi insistiamol qu ta precauzione meravigliosa, non solo per mostrare

u le grado di perfezione fosse giunta, a quei tempi, la

scienza dell'Astronomia, ma per far comprendere, nellostesso tempo, lo spirito pratico, ingegnoso, logico e serenoche contraddistingueva i maghi cinesi di cinquemila annifa, spirito che li distingue da tutti gli altri riformatori dipopoli che, giunti sulla terra più tardi, vissero tuttavia solodi leggende e scrissero unicamente delle parabole.

Per il mezzo miliardo di individui che popolano l'Estre-mo Oriente, qualunque sia la forma esterna delle loro con-vinzioni, non vi sono stati, in ciò che concerne l'originedelle cose, l'essenza divina e i rapporti del cielo con laterra e con gli uomini; non vi sono stati, in nessuna epoca,storica o leggendaria (e la storia cinese è autentica dacinquemila anni a questa parte), né rivelazione divina néintervento dall'alto. Nei libri, nelle glosse, nelle tradizioni,non vi è nulla di « soprannaturale »: questa idea non com-pare nemmeno e la parola non è neppur pronunciata. Nes-sun patriarca ha visto il Signore, come Mosè; nessun uo-mo ha avuto conversazioni con gli angeli, come Muham-mad; nessun santo ha conseguito da vivo la perfezioneeterna, come il Buddha; nessun Dio è sceso sulla terra,come il Messia.

Per afferrare la logica severa della tradizione cinese,per comprenderne !'innegabile chiarezza, bisogna precisa-re, attribuendo le un particolare rilievo, questa distinzioneoriginaria: essa si dice umana e richiede soltanto unaluce umana, fuori da ogni mistero divino e anche da ognipostulato metafisico.

Nonostante un errore linguistico assai diffuso, una ri-velazione è proprio il contrario di un'illuminazione: rivela-re è l'opposto di svelare, così come ricoprire è l'oppostodi scoprire; l'Da rivelazione è una nube collocata sullaverità, una nube le cui forme convengono all'estetica mo-rale del momento; è, per parlare in termini bruti, unamenzogna adeguata ai sentimenti e ai bisogni del momen-to in cui viene formulata; una menzogna destinata ad es-sere, in avvenire, contestata, negata e sostituita, a mano amano che si trasformano i sentimenti che l'hanno fattanascere.

E' questo un bisogno di Dio? O non occorre invecenotare che l'ipotesi di « rivelazioni» fatte da un dio che

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parla o cammina o vive costituisce l'effetto di antropo-morfismo inconscio, quello stesso che è stato e rimane an-cora signore sovrano delle concezioni teogoniche di granparte del genere umano?

Ma i maestri del pensiero estremo-orientale non ebberobisogno del concorso del cielo per dissipare degli errorio per creare dei simboli. _

I loro popoli, soddisfatti di quella verità che non ave-vano mai perduta, non avevano bisogno di orpelli per co-prirla; non richiedevano la manifestazione di Dio, perchéerano troppo vicini a Lui per averLo dimenticato o addi-rittura ignorarLo. Nella Tradizione intatta e nella paroladi coloro che la trasmettevano, essi vedevano chiaramenteil cielo stesso e la sua opera: soddisfatti di poter com-prendere il Padre dal quale discendevano, non provavanola necessità urgente che una divinità apparisse ai loro oc-chi, sotto una forma più o meno tangibile, per imporreloro una dottrina fatta dagli uomini e tuttavia infarcitadi misteri contrari al buon senso umano e incompatibilicon la logica umana.

È proprio perché la Tradizione Primordia:le si è potutaperpetuare fra i Gialli (ai quali dobbiamo i primi mo-numenti della scrittura e del sapere), senza aver avutobisogno della violenza di un dio o di un intervento celesteper trionfare, è proprio per questo che dobbiamo rico-noscerla come adeguata di per se stessa al genere umanoe quindi intatta e veridica.

Questa tradizione, che non è né svelata né rivelata daun dio, che non è rivestita né di dogmi né di decreti daparte dei rappresentanti ufficiali o ufficiosi di una divini-tà, non presenta nessuna delle caratteristiche proprie allecose che sono «a priori », al di sopra della natura umanae quindi fuori dalla discussione degli uomini.

Fissiamo subito le conseguenze pratiche, nella vita quo-tidiana dei Gialli, di questa origine indiscussa della Tradi-zione Primordiale; e riconosciamo che, anche al di fuoridella logica soddisfatta e dello studio razionale- reso pos-sibile: i Cinesi godettero di una felicità inusitata, dovutaalla modestia dei loro primi sapienti, i quali furono pure iloro primi, imperatori e non ritennero urgente, per essere

illustri e obbediti, fare' uscire i loro decreti dall'antro diuna sibilla o farIi cadere da una montagna coperta di nu-bi. Popoli felici davvero quelli che non furono costretti auna lotta perpetua fra la ragione e il cuore, che ebberosempre alla loro portata l'aiuto e la voce del Cielo, chetrovarono nella loro tradizione sacra il mezzo della loroprosperità immediata e della loro felicità futura, che nonsi videro inculcare da alcuna potenza misteriosa il terroredi un sovrano celeste temibile e vendicativo, che non eb-bero la vita terrena avvelenata e terrorizzata dal pensierodella morte, naturale e inevitabile.

Infatti questa Tradizione, alla quale ogni Giallo, anchesenza ben comprenderla o approfondirIa, si sente attac-cato come alla sua famiglia, alla sua terra e al suo stessosangue, perché essa costituisce in fin dei conti tutto ilretaggio intelletuale e morale degli Antichi, questa Tradi-zione non si richiama a una fonte divina che sia specificadella razza; essa ignora I'imposizione teocratica della dot-trina; non -consiste di dogmi religiosi. Corollario imme-diato: tutte le religioni, tutte le liturgie che fioriscono inEstremo Oriente non hanno un'origine tradizionale; nonpartecipano del carattere assoluto e intoccabile di un'ere-dità trasmessa; sono solo delle «facoltà »; non possonopretendere né l'obbedienza dovuta alle cose trasmesse co-me certe, né il rispetto dovuto alle cose trasmesse comeantiche. La Tradizione vera e propria non si impone senon in virtù della sua chiarezza e l'onnipotente valore delsuo passato. Come potrebbero le religioni, adattamenti piùo meno genuini di questa Tradizione, determinati dall'in-tento di essere accessibili alla moltitudine, osare di assu-mere quel carattere di certezza obbligatoria che non vieneimposto dalla Tradizione stessa?

«Amate la Religione: diffidate delle religioni », Questamassima, scolpita sul frontone dei templi e nello spiritodegli uomini, è il solo consiglio dato alla razza gialla; equesto consiglio non è un ordine. Ma esso definisce, conuna concisione che è eguagliata solo dalla sua chiarezza,come la Religione sia per l'appunto la Tradizione Primor-diale, esclusivamente umana, e come le Religioni, origina-te da interventi celesti, siano dei mezzi più facili, ma meno

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esatti, per elevarsi alla Religione. E si vede immediata-mente quali siano, in questo sistema così logico, così sem-plice, così naturale o, per meglio dire, così anti-sopranna-turale, le conseguenze profonde che pervadono tutta lavita intellettuale, morale e anche materiale di quei popoliche sono abbastanza saggi per aderirvi.

La Religione non comporta costrizione; dal momentoche, applicata alla conoscenza dell'Essenza e della Via ditutti gli esseri, la ragione puramente umana dei primiSapienti ne ha dedotto i simboli e i riti, è impossibilecostringere gli uomini a credere in essi e a praticarli: dòche è uscito da un cervello umano non è a priori obbliga-torio per altri cervelli umani. I maestri più venerati hannocercato di illuminare i dogmi tradizionali con la luce piùvivida e definitiva; chi però non comprende non è tenutoa nulla. E, al pari dei letterati più sapienti e più studiosi,anche quest'ultimo è trascinato nell'evoluzione generale,alla quale non può fortunatamente sfuggire, dal momentoche esiste.

La Religione non comporta sanzioni; è solo nel nomedi un Dio, più o meno logicamente invocato, che gli uomi-ni possono minacciare ai loro simili il castigo o la rappre-saglia, qualora non vengano creduti in tutto ciò che af-fermano, per quanto poco comprensibili possano essere;e perché tali minacce abbiano un effetto reale, bisognache questi uomini si dichiarino e siano ritenuti gli echid'un Dio assente e rigoroso. Qui invece nessuno è tenuto:soltanto, ognuno si impegna a illuminarsi a seconda dellesue attitudini e dei suoi mezzi; quale che sia il risultatodell'opera intellettuale così intrapresa, nessun castigo, nénella vita terrena né nelle altre, minaccia coloro che nonseguiranno nel loro cuore gl'insegnamenti tradizionali.

La Religione non comporta esclusivismi. E' perfetta-mente lecito, purché non vengano infrante le leggi, pratica-re apertamente il taoismo, il buddhismo, il confucianesimoo un altro culto esterno; è permesso di cambiare; è per-rn,esso di non appartenere ad alcun culto: non vi sonoanatemi contro nessuno.

Poiché il Cielo costituisce, al termine dell'evoluzione,l'universalità degli esseri, significa ritardare questa evolu-

zione (ammettendo la cosa come possibile) riprovare ocondannare una particella necessaria di questa universa-lità.

Non vi è dunque religione di Stato né culto di Stato,né vi sono preti funzionari: lo Stato non protegge e nonprescrive alcun culto; il proselitismo non esiste. Lo studiodelle Religioni viene impartito gratuitamente da maestriai quali si rivolgono uditori volontari; tutti i culti stannol'uno accanto all'altro, sotto l'occhio indifferente delloStato, all'unica condizione che tutti quanti rimangano en-tra il dominio delle coscienze, che non si disputino reci-procamente i seguaci e che non intervenga l'ambizione ola turbolenza dei loro esponenti a fomentare disordini nel-l'Impera o ribellioni contro la legge. Non esistono persecu-zioni: le misure che nel corso della storia sono state presecontro questo o quel nuovo culto, sono state delle rispo-ste, non degli attacchi spontanei l.

Non esiste culto stipendiato: ogni branca tradizionalemantiene i suoi templi e i suoi sacerdoti, a seconda delnumero e della generosità dei seguaci: nessuno si preoc-cupa di quanto avviene all'interno di questi edifici - neiquali, in genere, non avviene assolutamente nulla -, lereligioni essendo soprattutto metafisiche e le liturgie nonappartenendo in maniera specifica ad alcuna di loro. Sepoi lo Stato decreta il luogo e il periodo degli onori con-fuciani nelle pagode commemorative, è perché le cerimo-nie istituite in onore di Confucio non sono mai state, innessun modo, una religione, bensì un Rito civile.

La Religione, quanto meno per ciò che concerne quegliadattamenti che chiamiamo le religioni e soprattutto perciò che concerne il culto esterno, non è un affare di fa-miglia; la nascita, il matrimonio, la morte non sono even-ti religiosi, per il semplice fatto che si tratta di eventinaturali: ed è il capofamiglia che in tali eventi svolge lafunzione di sacerdote. Tra la pagoda del bonzo e il foco-

l Invitiamo il lettore a confrontare questa situazione di armoniacon l'azione corrosiva della superstitio galilea nei confronti dellaCivitas Romana e l'oppressione svolta dall'oscurantismo cattolico, unavolta giunto al potere, verso ogni via sacrale (N.d.E.).

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gama abbia formato una religione, nel senso che l'Occi-dente dà a questa parola? Non è possibile; niente sarebbepiù radicalmente contrario alla realtà delle cose. E tutta-via non vi è nient'altro, nelle razze gialle, che possa ricol-legare l'uomo a Dio; e non c'è paese al mondo in cui lacertezza dell'Essere Supremo sia più generale e appaiapiù ragionevole, fuori dai paesi della razza gialla. Doveha origine questa apparente contraddizione? Ha originenell'essenza stessa della Tradizione. Non c'è bisogno direligione per collegare l'uomo al Cielo 3: basta la Tradi-zione, che è il cordone metafisico mediante il quale l'Uma-nità si tiene sempre in contatto con l'Essenza; niente hareciso questo cordone; e così sarà finché durerà il tempo.L'Umanità non avrà mai finito di nascere: se cesserà dinascere, sarà diventata, proprio in quel punto, Colui chela ha generata. Ecco la pietra angolare della Tradizione.Protette dalle leggi migliori e dalla storia più tranquilla,le razze gialle non hanno mai perduto di vista questa pie-tra angolare; un intervento celeste non insegnerebbe loronulla di più: ed è per questo che un tale intervento nonha avuto luogo, né alcun saggio o imperatore hanno mairitenuto utile simularlo. E' per questo che la fede nel Cie-lo è universale, naturale e logica. Per un Cinese, crederein Dio significa credere in se stesso. In tali condizioni, diatei non ne esistono affatto.

Nella pratica quotidiana, ne consegue che, se l'EssereSupremo è interessato alle evoluzioni della creazione, edell'Umanità in particolare, è però indifferente al fattoche l'Umanità si occupi di lui. Quindi, nessun sacrificio,nessun timore: il Signore del Cielo corona questa creazio-ne uscita da lui aspettando che essa si perfezioni al puntodi poter rientrare in Lui. Questi, che è la sorgente da cuinasce il fiume e il mare in cui il fiume sbocca e si perde,non può essere il nemico dei flutti che lo compongono, innessun momento del suo fluire. E così, senza negare quelle

lare domestico si levano, -èon tutto il suo valore legale,l'autorità sovrana del padre e, con la sua antica potenza,il culto familiare degli Antenati, immagine, presso ognistirpe, della Tradizione primordiale e universale dell'Uma-nità. La Religione è dunque affare di coscienza personalee di libertà individuale; i princìpi della metafisica e dellafilosofia tradizionali vengono trasmessi, nelle famiglie, dailetterati che ne fanno parte. Nulla traspira al di fuori delmuro che cinge il dominio paterno; e nessuno avrebbel'ardire, d'altronde inutile, di oltrepassare la barrieramorale che in tal modo protegge l'indipendenza e la digni-tà dei cittadini.

Le liturgie non esigono alcun contrassegno esteriore.I Riti, determinati da serie di leggi e di regole, fanno par-te dei princìpi politici dell'Impero: essendo così ridotta anulla la pratica religiosa, le teorie sono soltanto oggetto,fra i seguaci dei diversi culti, di discussioni cortesi e se-rene, dove non risplende la collera di nessuno sguardoné il fuoco di alcun rogo.

Quanto alla guida morale dei popoli, che sembra es-sere l'obiettivo terreno e immediato delle religioni, è ilfilosofo naturista Confucio a farsene carico, al di fuoridi ogni intervento divino; e si sa in quale maniera magi-strale questo dolce letterato abbia educato i suoi discepo-li e come abbia conquistato l'anima della propria razza:meglio di come abbiano fatto i profeti della Giudea, ve-nuti fra stragi e maledizioni.

Così il primo degli uomini, Fo-hi, cristallizzò la Tradi-zione Primordiale 2, Lao-tse ne trasse un corpo dottrina-rio, Confucio ne trasse un sistema morale. È possibiledire che una di queste eredità intellettuali o il loro amal-

2 Occorre dire fin d'ora che Fo-hi non è né un uomo né un mito,ma la designazione di un aggregato intellettuale, come lo fu d'altron-de Ermete.

3 La parola « Cielo» è la traduzione del carattere metafisico Tien,col quale la scrittura ideografica rappresenta quell'idea totale chel'Occidente chiama « Dìo ».

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imperfezioni che sono l'inevitabile conseguenza della divi-sibilità, il Giallo ha di se stesso, del suo spirito e dellesue concezioni un'idea di dignità che gli vale la sua conti-nuità celeste e che non ha nulla a che fare con l'umilia-zione in cui le religioni rivelate precipitano la creaturaumana.

L'assenza di ideale religioso nelle azioni delle razzegialle è forse il motivo della stagnazione secolare in cuisi è intorpidita la loro civiltà? Nessuno potrebbe dirlo.Ma questa assenza di religiosità, sopprimendo un potentefermento di discordia, ha risparmiato molte scosse allaloro storia. E questa mancanza di sentimentalismo, to-gliendo loro praticamente la curiosità dell'aldilà e ricon-ducendo i loro sguardi e i loro desideri verso la terra deipadri, la terra nutrice, li ha resi più facilmente e imme-diatamente felici.

In ogni caso, bisogna sempre aver presenti allo spi-rito, allorché si studia e si penetra la Tradizione Primor-diale, queste due formule, che sono la base di tutta la sa-pienza estremo-orientale: l'umiliazione dell'uomo non è unelemento necessario alla grandezza del Cielo, la sofferenzadell'uomo non è un elemento necessario alla sua evolu-zione.

CAPITOLO SECONDO

IL PRIMO MONUMENTO DELLA CONOSCENZA

Non è solo da un ragionamento cronologico che noisiamo indotti a cercare presso la razza gialla il più anticomonumento della conoscenza; è soprattutto un ragiona-mento psicologico e logico che ci induce a constatare comeil più preciso monumento di questa conoscenza si trovipresso di loro.

Essendo i Gialli essenzialmente tradizionali, l'essenzadella loro filosofia doveva risiedere nei libri più remoti:scritti in epoche lontane in cui i bisogni dell'uomo eranominimi e in cui l'ardore dei suoi desideri non lo portavaa oscurare, consapevolmente o inconsapevolmente, la ve-rità, tali libri dovevano essere la fonte di tutti gl'insegna-menti successivi. La pietà filiale dei Cinesi consideravadunque che tutto quanto potesse interessare l'uomo eravirtualmente contenuto nei primi libri, e che tutte le ri-sposte a tutti i problemi vi erano potenzialmente compre-se: le soluzioni e le spiegazioni, necessarie alle nuove scien-ze, dovevano trovarsi nelle leggi antiche, in germe, e do-vevano essere sviluppate in senso analogico alle soluzioniche essi davano alle scienze delle epoche in cui erano sta-ti composti. La convinzione di questa sintesi, così forteda comprendere in embrione tutti gli sforzi concepibilidello spirito umano, costituisce il fondamento e la cer-tezza di tutta la filosofia asiatica e ha sviluppato lo spi-rito analogico e deduttivo della Razza Gialla.

Questo atteggiamento spirituale, che venera le istitu-zioni e le dottrine del passato, fino a subordinarvi gliatti del presente e le speculazioni dell'avvenire, è ancheuna maniera per onorare, fin nella sua particella primor-diale, l'Antenato comune dal quale è uscita la razza. Essodoveva avere un duplice esito: in primo luogo, conservareattraverso le vicende delle età i libri della più remotaantichità, in tutta la loro integrità e con una fedeltà per-

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fetta; in secondo luogo, impedire la divisione degli spiriti,gli antagonismi dei sistemi, e creare in una sola correntedottrinale una scuola unica, che si rifacesse a un soloautore e indirizzasse con gli stessi mezzi, verso il mede-simo obiettivo, tutta quanta !'ingegnosa tenacia della raz-za. Questo duplice risultato venne conseguito; si vedràquali conseguenze doveva avere per la vita intellettuale,politica e storica della razza.

Il primo libro della Cina - che è anche, e senza dubbio,il primo libro del mondo - risale all'imperatore Fo-hi, ilprimo dei sovrani del ciclo storico dei Gialli. La sua esi-_stenza non è né contestata né contestabile, anche se èimmersa nelle leggende originate dalla venerazione inge-nua e popolare. Egli regnò su quella che era allora chia-mata la Cina a cominciare dall'anno 3468 avanti l'eracristiana. Questa cronologia si fonda, lo abbiamo detto,non su calcoli moderni più o meno fantasiosi, ma sulla de-scrizione precisa dello stato del cielo nell'epoca in cui re-gnò Fo-hi 1.

Diciamo subito che non bisogna attribuire a Fo-hi per-sonalmente le dottrine passate alla posterità sotto il suonome. Fo-hi, come tutti i sovrani di queste epoche remote,fu un sapiente, un mago, un caposcuola; proprio per que-sto venne scelto come sovrano dalla sua razza (la Cina hainfatti dinastie ereditarie solo a partire dall'anno 2199 a.C.).Fo-hi ebbe degli amici, dei discepoli, dei ministri. Tutticostoro fecero, delle dottrine di Fo-hi, glosse e interpre-tazioni, di cui gli esagrammi imperiali avevano d'altrondebisogno; tutto questo bagaglio, amalgamato e confuso, di-ventò la « dottrina di Fo-hi »: «Fo-hi » è la ragione socialed'una scuola metafisica e di qualche secolo di pensieroumano.

L'opera di Fo-hi consta di tre trattati, due dei qualisono andati perduti; gli scritti contemporanei non ne men-zionano che i titoli; essi sono: il Lienshan (catene di mon-

ti), vale a dire il Libro dei Princìpi Inalterabili, contro iquali nulla può prevalere, e il Kueitzang (ritorno), vale adire il Libro al quale tutte le questioni debbono esserericondotte, per trovarne la soluzione.

Il terzo trattato, che è il «primo monumento della co-noscenza umana », reca il titolo di Yi-king (Mutamenti nel-la rivoluzione circolare). Questo titolo ricorda che tutte lemodalità apparenti del creatore nella creazione sono stu-diate in sessantaquattro simboli (gli esagrammi) formantiun cerchio, l'ultimo dei quali è connesso intimamente alprimo (è questa la prima occasione per far notare comeil Giallo usi spesso il disegno anziché la parola, per la-sciare a un'idea determinata tutta la sua sintetica am-piezza).

Non vi è dubbio, precisiamolo subito, che ci siano statimonumenti scritti anteriori ai trattati, dei quali lo Yi-kingè il terzo. Questi monumenti sono stati scritti, disegnati oscolpiti sul «Tetto del Mondo », culla unica dell'umanità,mediante segni che l'umanità comprendeva, prima di divi-dersi a causa delle varie migrazioni e prima di perderecosì la coscienza della propria totalità. Che cosa sia que-sta scrittura unica, non lo sapremo indubbiamente mai, senon approssimativamente; un paleografo non potrà in-fatti ricostruire una scrittura sulla base di una lineetta odi un puntino, come Cuvier ricostruÌ un mammut sullabase di una zampa. Ma è da questa scrittura unica chederivano, in epoche concordanti e attraverso procedimen-ti paralleli di deformazione, gli ierogrammi cinesi e i gero-glifici caldei (o sumero-accadici). E' tuttavia possibile de-terminare le influenze, tutte quante fisiche, che presiedet-tero a tali deformazioni.

Su quel Pamir che fu la nostra culla comune, regna-vano una sola lingua e una sola grafia, perdute entrambe.Un giorno, o perché un cataclisma portò su quelle altitu-dini il freddo che vi regna attualmente, o perché, a forzadi sporgersi sul bordo rugoso degli altipiani, la razza uma-na venne còlta dalla vertigine delle pianure sconosciute,un giorno gli uomini discesero ai piani inferiori attraversoi fiumi che nascevano negli altipiani originari. Gli uominidel Sud, i futuri Rossi, scesero per lo Zang-bo e il Sindh;

1 I Cinesi hanno questo in comune con gl'Indù, gli Egizi e tuttii popoli che, essendo detentori di una Tradizione, vogliono conservarneuna seria cronologia.

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quelli dell'Ovest, i futuri Bianchi, attraverso il Syr e .l'Amu:quelli dell'Est, i futuri Gialli, per lo Hoang-ho e lo Yang-tze; tutti, senza guardare indietro, abbandonarono la mon-tagna ancestrale, che era l'ombelico del mondo. Fra loro,i vecchi e i sapienti portarono con sé la Sapienza e la Tra-dizione.

Ora, sulle rive fertili dei fiumi, sotto il sole caldo ebenevolo dell'Estremo Oriente, i popoli dell'Est, a poco apoco inciviliti, trovarono il bac-shi (cay-jo, faong-moc), fi-bre da cui ottenevano una carta sottile, morbida, e dei pen-nelli più dolci della seta, meravigliosi strumenti fra leloro agili dita di artisti. Grazie a questi sottili strumentidi trasmissione, le linee primitive presero forma di dise-gni abbelliti con tratti spessi e fini, sotto la leggerezzadel pennello e l'abilità della mano.

Ora, negli spazi tortuosi che si estendono a ovest diThian-shan, sotto il sole divorante delle Mesopotamie, ipopoli trovarono sulla superficie della terra i graniti, ledioriti, i marmi, le pietre brillanti e dure, che, accumulatea formare dei bastioni, fondarono su basi quasi indistrut-tibili i monumenti della potenza e della scienza caldee. Al-lora, impugnando il martello, i popoli di questo Orienteintagliarono, mediante punte d'acciaio, quei caratteri pri-mordiali che, lasciati dallo scalpello sulla superficie dei.marmi, avevano la forma di triangoli acuti e si allunga-vano in linee rigide.

Ben presto queste differenze, che all'inizio' erano dovutesolo alle difficoltà grafiche incontrate nella natura, entra-rono nell'essenza stessa dei geroglifici e costituirono, acausa delle deformazioni successive dei caratteri e nellamisura in cui le civiltà divergevano, delle scritture dissi-mili. Malgrado tutto, però, il carattere essenziale delle rap-presentazioni rimane il medesimo; lo spirito sintetico ri-costituisce il tipo primitivo e scopre, sotto il velo dellepiù diverse apparenze, il medesimo segno geroglifico, lu-minoso e trionfante.

Ora, è proprio perché Fo-hi sapeva che i ierogrammidel 35° secolo avanti Cristo erano solo deformazioni dellascrittura primordiale ed erano quindi rappresentazioni ina-deguate ad esprimere pensieri astratti e generali, che im-

piegò, per fissare la Tradizione nel solo modo convenien-te, vale a dire in modo sintetico e universale, i simboli li-neari dei Trigrammi.

La scrittura dello Yi-king è infatti di due tipi: il tri-gramma per il testo stesso di Fo-hi, lo ierogramma (carat-tere primitivo del Ko-teu) per le glosse e le parafrasi dellaScuola di Fo-hi.

La trama dello Yi-king consiste dunque in sessantaquat-tro esagrammi, o trigrammi doppi; questi sessantaquattrotipi provengono, attraverso una rivoluzione in senso inver-so di due cerchi concentrici, dagli otto trigrammi; questitrigrammi provengono dai quattro digrammi; e questi di-grammi dalle diverse posizioni della linea continua --e della linea spezzata - - .

Questi due tratti sono le figure simboliche rappresen-tative più semplici che siano mai esistite. Dove prese, l'im-peratore Fo-hi, un simbolismo così ingenuo? In questa co-me in altre cose, per la scrittura traduttrice del pensierocome per il pensiero stesso, Fo-hi non si rivolse né agliinterventi celesti né alle potenze invisibili, bensì alla na-tura che circondava e incantava la sua razza. Fu ad al-tezza d'uomo che, nella sua logica indiscutibile, egli trovòquell'interprete della Tradizione che doveva illuminare eguidare l'umanità. Infatti il libro storico dei «Riti diTsheu » dice: «Prima di tracciare i trigrammi, Fo-hi guar-dò il cielo, poi abbassò gli occhi verso la terra, ne osservòle particolarità, considerò le caratteristiche del corpo uma-no e di tutte le cose esterne ». Vale a dire che i due trattiindicano uno stato duplice, o meglio, l'eguaglianza di duestati, comuni a tutta la creazione. E' opportuno accostarea questo simbolo in linea retta lo stesso simbolo in lineacurva, quello che tutta l'antichità orientale conosce e chei Taoisti hanno ravvivato: lo Yin-Yang, rappresentazionedel principio duplice, attivo-passivo, maschile-femminile, lu-minoso-oscuro, positivo-negativo ecc.; quest'ultimo, allorchéviene diviso in due parti dagli osservatori analitici, pro-duce il fatale errore del Bene e del Male; ma, indissolu-bilmente uno nella sua essenza (malgrado l'aspetto che larappresentazione materiale è costretta ad attribuirgli), co-stituisce il Tai-ki o Grande-Estremo, simbolo energico e as-

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soluto, scolpito sul frontone di tutti i templi e messo daLao-tze a principio di tutte le dottrine asiatiche.

Il tratto senza soluzione di continuità rappresenta l'at-tivo, il tratto con soluzione di continuità rappresenta ilpassivo; ai tratti come ai princìpi, Fo-hi riconosce l'essenzae l'unità della perfezione, della quale essi sono soltantodegli aspetti. Guardiamoci bene, qui più ancora che in al-tri punti del mondo, dal confondere la cosa con la formadeteriorata sotto cui possiamo solo raffigurarla e forseanche comprenderla: i peggiori errori metafìsicì, i peggioricataclismi morali sono usciti dall'insufficiente compren-sione e dalla cattiva interpretazione dei simboli. Ricordia-moci sempre del dio Giano, che è rappresentato con duefacce e ne ha tuttavia una sola, che non è né l'una né l'al-tra di quelle che possiamo toccare o vedere.

Tale è l'interpretazione del simbolismo dei tratti negliesagrammi di Fo-hi; essa mostra come lo Yi-king sia unlibro universale e non un trattato di astronomia, comehanno preteso i Giapponesi e alcuni Latini nipponizzanti 2.

Gli ierogrammi che costituiscono le glosse e le para-frasi della Scuola di Fo-hi (le più importanti fra le qualisono le «formule» di Wen-wang) sono scritti in caratteriprimordiali chiamati Ko-teu; questi caratteri sono l'originedelle «chiavi» che esistono ancora, al momento attuale,nella scrittura ideografica dei Gialli. Noi non abbiamo più,sulle carte dell'Estremo Oriente, la scrittura della Scuoladi Fo-hi; e si potrebbe dubitare del suo valore e delle sueforme se questa scrittura, oltre a essere stata pennellatasui manoscritti, non fosse stata scolpita sulla roccia, doveha resistito al tempo e alle rivoluzioni. Gli ierogrammi inquestione si ritrovano nella celebre iscrizione di Yu, sullamontagna di Heng-Chan, che è conservata a Singan-fu,prima capitale della Cina storica, città che non solo ri-

mane il pru epico ricordo dell'antichità cinese, ma che èancora, al momento presente, il rifugio sacro in cui stannoarroccati vittoriosamente i sovrani della Cina moderna con-tro i tentativi militari dell'Europa coalizzata.

A parte il suo valore scultoreo, questa iscrizione (:troppo interessante perché non la menzioniamo testual-mente, almeno in parte. Essa è infatti contemporanea aldiluvio di cui parlano gli ebrei, e di tale diluvio fa men-zione. Risale esattamente al 2276 a.C., vale a dire è piùantica di cinque secoli dei più antichi geroglifici egizi.

« Confortatemi, miei consiglieri, nel governo delle cose.A occidente e al di là dei monti, le grandi e le piccoleisole, gli altipiani abitati, le dimore degli uccelli e dei qua-drupedi sono invase dall'inondazione. Provvedete a ciò, fa-te scorrere le acque ed elevate delle dighe, per impedireun nuovo straripamento».

E più oltre: «Da molto tempo ho dimenticato del tut-to i miei, al fine di porre riparo ai danni dell'inondazio-ne; ma adesso io posso riposare: la confusione della na-tura è scomparsa: le grandi correnti che venivano dalMezzogiorno sono fluite nel mare».

Da diverso tempo si sapeva che il diluvio biblico erastato solo un'inondazione parziale e un cataclisma di di-mensioni piuttosto ridotte; ma, siccome ciascuno giudicale cose a seconda del bene o del male che esse gli procu-rano, l'imperatore Yu vedeva solo uno straripamento pro-vinciale là dove lo storico ebreo vedeva la distruzione del-la natura e di conseguenza il dito del suo Jehovah; qualchediga avrebbe prevenuto un'inondazione analoga, sicché quiè il ministro dei lavori pubblici a sostituire la colombadell'arca. Una volta di più, l'iscrizione di Yu ci invita anon prendere alla lettera le affermazioni magniloquentidelle piccole nazioni e a ricordarci, ad esempio, che nelXXII sec. a.C. non c'era bisogno di molta acqua per an-negare la razza dei giudei e la loro potenza 3.

2 Benché questa opimone sia un po' quella di Philastre, cogliamol'occasione per raccomandare la sua traduzione del Yi-king, che è unica,a motivo della conoscenza che tale autore aveva dei caratteri cinesi edel carattere dei Cinesi. La causa profonda che diede a Philastreun'immensa erudizione è la stessa che spezzò la sua carriera diplo-matica (Annales du musée Guimet, tomi VIII e XXIII). Vedere ilcap. IX.

3 L'iscrizione di Yu contiene ben altro: se la si sa leggere. comeè necessario, nei suoi tre livelli successivi. Vi torneremo sopra in se-guito, in un articolo specifico nel quale analizzeremo, al di fuori diquesta osservazione circa il diluvio biblico, le istruzioni dell'imperatoreYu ai suoi consiglieri e ai suoi discepoli, nei tre mondi.

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Le glosse che accompagnano gli esagrammi di Fo-hi -e che oggi sono tutte trascritte nella scrittura ideograficamoderna - comprendono: le formule del principe Wen-wang, fondatore della dinastia degli Tsheu (1154 a.C.), leformule di Tsheu-kong (1122 a.C.), i «Dieci colpi d'ala»di Kong-tseu (Confucio: circa 500 a.C}, il « commento tra-dizionale» di Ceng-tse (circa 1150 a.C.) e il « senso primi-tivo» del celebre Tsu-hi (1182 d.C.). Ciascuno di questicommentatori spiegò il testo di Fo-hi e di Wenwang in ba-se agli orientamenti del proprio spirito. E siccome questotesto è sintetico e universale, noi ci vedremo sfilare davantii suoi molteplici significati: metafisico, politico, magico,morale, sociale o divinatorio, a seconda della particolareinclinazione dell'esegeta.

La loro tranquilla audacia eguaglia la semplicità dei lo-ro ragionamenti. Ricordiamo che Fo-hi e Wenwang - so-prattutto Fo-hi - si consideravano strumenti del VerboEterno, senza provare il bisogno di immaginare un tra-mite divino fra tale Verbo e loro stessi.

E' per questo che lo Yi-king, del quale stiamo per co-minciare l'analisi diretta, si apre con lo studio concretodell'Unità e della Perfezione, vale a dire con lo studio uma-. no del cielo. E noi non ubbidiamo all'amore del parados-so, ma a quello della verità, allorché poniamo all'inizio diquesto studio i «Grafici di Dio »,

Che il senso della formula sia avvolto nelle tenebre èfuori dubbio: queste tenebre sono dovute, in gran parte,all'abitudine sintetica del ragionamento cinese eal carat-tere ideogrammatico della scrittura. Cito qui il Philastre:~< Il carattere cinese non ha mai un significato assoluta-n:e.nte definito e delimitato; il senso risulta dalla sua -po-SIZIOnenella frase e anche dal suo uso in questo o in quellibro, e quindi dall'interpretazione ammessa in tal caso.La parola non ha valore se non nelle sue accezioni tradi-zionali ». Qui l'oscurità del testo e dei commenti si pre-senta, per di più, come una volontà di conferire allostesso insieme di caratteri, vari significati paralleli ~ tuttiquanti egualmente possibili, i quali possono essere letti ecompresi in altrettante maniere quanti sono i gradi del-l'intelletto, le scienze dell'umanità, i mondi dell'universo

intellettuale. Da tali caratteri specifici, noi riconosciamoche lo Yi-king è Il Libro, senza epiteti; che è contempora-neamente sintetico e astratto, logico e divinatorio, politicoe metafisico, onta logico e morale; che le scuole cinesi nonhanno torto a consultarlo e a citarlo sotto tanti diversirapporti.

Il criterio per studiare le filosofie cinesi non è sche-matico come quello delle filosofie occidentali; né è possi-bile liberare il pensiero cinese da una certa ambiguità; lenostre intelligenze potrebbero scorgere in esso, più cheun'ambiguità volontaria, un certo disordine, indizio di im-potenza razionale. Nulla sarebbe più falso di un punto divista di questo genere. Il sapere orientale differisce dalnostro non solo a causa della razza e del paese, ma anchea causa dell'epoca. Non bisogna aspettarsi di ritrovare,presso i discendenti di Fo-hi e nei contemporanei di Lao-tse, quelle affermazioni nette e recise che sono per noi mo-tivo di una straordinaria vanità, affermazioni indubbia-mente esatte, ma che, proprio perché sono strette e ri-strette, racchiudono solo una minima parte della verità;tutte queste porzioni infinitesimali, affermate le une ac-canto alle altre e le une indipendentemente dalle altre dainostri spiriti analitici, nascondono la verità intera ai no-stri occhi delicati e miopi. E' così che un volto si riflette,con le peggiori deformazioni, in uno specchio avente millesfaccettature giustapposte secondo piani diversi. Le discus-sioni microscopiche ci hanno resi inadatti a gustare e adafferrare le grandi sintesi. Paragonerò volentieri il senti-mento dell'occidentale trasferito in Cina e quello di uncontadino delle pianure che è salito tutt'a un tratto sullavetta del Monte Bianco; i suoi sensi, non abituati alle pro-fondità e agli orizzonti lontani, nonché il brivido scono-sciuto della vertigine, gli impedirebbero di gustare lo splen-dore del paesaggio. E' un senso di inquietudine analogoquello che ci coglie davanti ai sistemi e alle modalità delragionamento cinese, mal preparati come siamo, per di-fetto di consuetudine, a cogliere, nell'ordine inalterabileche regge l'universo, qualcosa che non sia una teoria com-plicata, negli spazi e nelle profondità della quale i nostri

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spiriti poco perspicacìsi spazientiscono, si scoraggiano e sismarriscono prima di averla compresa.

Chi voglia accostarsi alla Tradizione Primordiale, pre-sentataci dal primo monumento della conoscenza, deve es-sere prevenuto; si sentirà pervaso da un turbamento vagoe singolare, non solo a causa dell'universalità della sintesi,ma anche a causa della generalità dei termini usati, del-l'improprietà forzata delle interpretazioni e dalla mancanzatotale di preparazione, tipica degli Occidentali, a leggeree scrivere una lingua analitica, cosa che soltanto negliideogrammi ha un senso perfetto e un valore completo.Per chiunque voglia penetrare a fondo il nocciolo di que-

I... sta scienza e di questo pensiero, l'aiuto e la chiarezza ne-cessari dovranno esser cercati nei libri originari, non inun sunto scolastico e meno ancora in un adattamentostraniero. Qui sta il grande difetto delle opere dei sinologipiù eminenti, come Stanislas Julien e tanti altri, ai qualiun lungo soggiorno in terra cinese, in mezzo ai letteraticinesi, avrebbe indubbiamente e incontestabilmente fornitoquelle soluzioni che essi cercavano invano, fra ingrate fa-tiche, alla Sorbona o al Collegio di Francia; è stato unlunghissimo soggiorno che ha permesso a Philastre dicompiere i suoi lavori sullo Yi-king: e la permanenza inEstremo Oriente che avrebbe consentito ai missionari, frai quali i padri Huc e Prémare, di procedere a fondo nellacomprensione degli arcani più oscuri, se l'idea religiosa ro-mana, in vista della quale essi esclusivamente lavoravano,non avesse portato il loro spirito su una sola strada e nonli avesse costretti a trarre dalle loro fatiche delle conclu-sioni bizzarre, conclusioni che non avrebbero ritenute pos-sibili se la loro condizione non le avesse rese ineluttabil-mente necessarie.

Per queste ragioni e in queste condizioni, è impossibilespiegare lo Yi-king se non ricorrendo alla filosofia dei Gial-li e ai loro procedimenti intellettuali. E occorre poi sta-bilire in qual modo si debba cercare e applicare questo ge-nere di aiuti. Non bisogna farIo nel modo in cui, ad esem-pio, i commentatori occidentali, mediante formule angu-ste e deduzioni imperturbabili, hanno messo in luce tuttii begli aspetti del genio greco, per esempio, proprio perché

il genio greco, dal quale trae origine il genio delle razzelatine, si adatta molto mene ai nostri strumenti di argo-mentazione e di dissezione mentale. Ma, per la stessa ra-gione che ci fa a prima vista apparire vago ed astruso ilgenio cinese, la vasta sintesi cinese si verrebbe a trovare,qualora si impiegassero i mezzi suddetti, non illuminataed esplicata, ma sbriciolata e distrutta, e non lascerebbedavanti a noi altro che un corpo ammaccato e contuso.L'applicazione di un libro alla spiegazione di un altro nonpotrebbe dunque essere intesa in maniera assoluta, né per

. le idee né per la terminologia. Spiegare un testo sulla ba-se di un contesto sarebbe qui il colmo dell'ingenuità, e an-che dell'errore. Ma, dopo aver toccato il fondo di una dot-trina sapienziale - quella di Lao-tse, per esempio -, pe-netrare il valore che egli dà ai termini dello Studio Anticoe, poi, davanti al testo confuso, passibile di interpretazio-ni molteplici, di uno dei King primitivi, realizzare il mo-do in cui Lao-tse lo avrebbe compreso: questo è il soloprocedimento valido per spiegare i testi orientali gli unicon gli altri e di far sì che essi restituiscano il loro pen-siero, così riccamente simbolico. Essi sembrano divergere;in realtà, sono solo differenti. Convergono tutti verso laverità unica, così come le onde del mare, che sembranodissimili l'una dall'altra per altezza, colore e direzione, sidirigono in realtà tutte quante verso un solo traguardo,sotto gl'influssi costanti dei venti e delle maree.

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CAPITOLO TERZO

I GRAFICI DI DIO

Come un bambino, il quale impara meglio a nuotarequando lo gettano bruscamente in acqua che non quandorimane a galla grazie al salvagente o all'aiuto di qualcuno,così sarà meglio che anche noi ci gettiamo a capofitto nel-la metafisica sacra dei Gialli, anche a rischio di sentireimancar la terra sotto i piedi, talvolta. Dopo qualche stu-pore e dopo molta attenzione, ogni spirito ponderato esensato ritroverà la propria via.

La differenza tra la concezione occidentale e quellaorientale di Dio e dell'origine degli dèi, e dell'idea di Dio,è primordiale e assoluta. In Occidente, le nostre lingue al-fabetiche danno al nostro argomento di studio un nomedi poche lettere, «Dio -: un nome che è di un concreti-smo meraviglioso e così preciso, che talvolta ne vediamoi limiti; insoddisfatti anche di tale designazione, gli Occi-dentali lo raffigurano come un vecchio barbuto che tienefra le mani un mazzo di fulmini oppure come un trian-golo che ha nel suo centro un occhio. Qui, invece, quelloche noi chiamiamo Dio non ha nome; viene rappresenta-to da un carattere chiamato Tien (che in lingua manda-rina parlata si traduce con «cielo »); tale carattere sup-pone e comprende una quantità di proprietà specifichenon del cielo ma di ciò che è nel cielo o dietro il cielo.Così il Dio dei Gialli, nel suo appellativo, non è un nomeparticolare: è un'idea generale. Tuttavia Fo-hi, il primo ma-go storico della Cina, giudicò che questa «idea generale»fosse del tutto insufficiente, ingiusta e generatrice di er-rore; rimpiazzò dunque il carattere con un disegno geo-metrico, non specificato, il più possibile generalizzato, lacui forma doveva essere rappresentativa dei ragionamen-.ti che si possono fare per accostarsi a un'idea che non èpossibile concepire; e così questo disegno geometrico as-sume il valore di un arcano metafisica.

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i iiiii -.III~ ----

L'ambizione dell'Occidentale è di essere compreso: l'am-bizione dell'Orientale è di essere vero; in teogonia comein metafisica e come in ogni scienza trascendentale questedue ambizioni si escludono a vicenda. Noi possiamo co-gliere il vero soltanto se è circondato e avviluppato neglierrori. Il nostro dovere è di distinguere sempre questoerrore, incosciente e necessario, dalla verità che esso rico-pre; occorre diminuirne lo spessore e la quantità affinchéla verità alla fine risplenda attraverso questo inviluppoa mano a mano assottigliato.

E' in questo stato di spirito che i maghi dei Gialli han-no costruito i grafici di Dio. Questi grafici portano il de-terminativo generico di « Perfezione ». Si contano due per-fezioni (e quindi due grafici di Dio): la perfezione attivae la perfezione passiva l. Vi è però, in realtà, una perfe-zione unica; e assolviamo subito la metafisica cinese dalrimprovero di dualismo che le fanno, a questo proposito,alcuni spiriti insufficientemente documentati.

C'è un'unica perfezione, un'unica idea di Dio, un'unica«causa iniziale di tutte le cose », Questa perfezione, cheè detta «attiva », è generatrice e riserva potenziale diogni attività; essa però non agisce affatto. E' e permanein sé, senza manifestazione possibile; è dunque inintelligi-bile all'uomo, allo stato presente del composto umano.

Quando questa perfezione si è manifestata, essa. hasubìto, senza cessare di essere se stessa, la modificazioneche la rende intelligibile allo spirito umano; poco impor-ta che questa manifestazione sia un semplice atto di vo-lontà o un'azione vera; per il fatto stesso che la perfe-zione ha agito, essa è tale che può entrare nella concet-tualità; si chiama allora la perfezione passiva (Khuèn). LaPerfezione è una e inintelligibile all'uomo: perché se ne

l Khièn e Khuèn. Questi due termini generalizzatori sono usatiper designare l'idea di Dio; noi continuiamo a renderla con « Perfe-zione", termine inferiore. Siamo infatti contrari ad imporre alla me-tafisica trascendentale una nuova terminologia, perché tutte le termi-nologie sono soggette a discussioni, errori e discredito; coloro che lecreano, per i bisogni apparenti delle loro dimostrazioni, ne farcisconoincomprensibilmente i loro testi e si affezionano ad esse con tantapassione, che spesso tali terminologie, aride e inutili, finiscono percostituire l'unica novità del sistema proposto.

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possa parlare, bisogna che essa divenga intelligibile, o al-meno che si supponga che essa possa diventarlo. E cosìla si rappresenta mediante due grafici differenti. Tuttaviac'è una sola e unica perfezione, una sola causa iniziale.

Teniamo bene presente che il nostro spirito afferrasoltanto il numero; esso non è atto a cogliere l'Unità e me-no ancora lo zero, che è l'unità prima ancora di ogni ma-nifestazione. Teniamo pure presente che non si può direche vi sia dualismo, se non laddove vi sono due princìpicontrari e differenti; e che due o cento aspetti di un unicoprincipio non potrebbero dar luogo né a dualismo né amolteplicità. Qui, come dappertutto, il Grande Principioè uno, ed è per situare la sua unità non manifestata aldi sopra di tutti i tentativi possibili dell'intelligenza uma-na che il saggio propone, alla nostra contemplazione e alnostro studio, non il principio in sé - che non potrebbeneppure essere nominato senza essere sfigurato -, mal'aspetto del Grande Principio, manifestato e riflesso nellacoscienza umana.

Sono costretto a insistere su questo punto in manieraquasi eccessiva e ricomincerò a farlo per lo Yin-Yang, osimbolo del Grande Estremo. E' infatti stupefacente e qua-si ridicolo vedere degli spiriti eccellenti che a un sistemadi metafisica o a una tradizione esoterica rimproveranoun dualismo che in realtà vi è stato introdotto solo acausa dell'attuale imperfezione della mentalità umana eper consentire a tale mentalità di accostarsi al suddettosistema. Vi è in effetti un rimprovero da fare: ma è neiloro stessi confronti che questi spiriti eccellenti lo debbo-no muovere, rimproverando si di essere rimasti ancora uo-mini. Bisogna rassegnarsi: in quanto uomini, noi non co-nosceremo mai la verità, e quella che riteniamo essere laverità non la è affatto, proprio perché comprendiamo chela è o la può essere 2. E' dunque con una precauzione in-

2 Infatti, se la verità è perfetta e noi possediamo la verità, alloranoi partecipiamo della perfezione e siamo quindi degli dèi: supposi-zione, questa, che appare ridicola; oppure, se siamo imperfetti e posse-diamo la verità, è allora la verità a non essere perfetta: e stavoltala supposizione è veramente ridicola.

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finita che la Tradizione comporta un aspetto della verità- o di Dio - suscettibile infine d'essere afferrato dallanostra intelligenza. E perché' questo aspetto non sia pro-nunciato (e non dia quindi luogo a una frase falsa o ainterpretazioni menzognere), non deve essere un carattere,e neppure un'idea: è un disegno. Tale è l'arcano, linearee metafisico, della Perfezione Passiva (Khuèn).

Per penetrare a fondo tale questione e non ritornarcipiù, diciamo che questo aspetto non è un riflesso. La per-fezione passiva non è un riflesso della perfezione attiva,come sarebbe, nell'acqua, il riflesso di un astro, vale adire la metà di una finzione. La Perfezione passiva è as-solutamente un'entità, un'entità identica, o meglio, che de-ve essere identica all'entità della Perfezione attiva, eccettoche per una circostanza: che possiamo avvicinarci ad es-sa. In altri termini, la Perfezione passiva non è altro chela Perfezione attiva in quanto colta dal nostro intellettoimperfetto; essa rimane tuttavia la Perfezione ed è in ciòche si manifesta la sua misteriosa realtà astratta.

Se trasponiamo la verità numerale sul piano divino (ometafisico trascendentale), possiamo dire che la Perfezio-ne passiva sta alla Perfezione attiva come l'uno sta allozero: queste, pur essendo cifre differenti, non sono che unsolo numero, il primo di tutti i numeri e il solo numero.

Non si combatterà mai eccessivamente quell'errore istin-tivo e formidabile dello spirito umano che assegna allaVerità la molteplicità, senza la quale esso non comprendenulla; errore che lo spirito umano è l'unico a commetterenella generalità degli spiriti, sicché, per un orgoglio in-cosciente, proietta la sua imperfezione mentale sul voltostesso della divinità. Questo dualismo è alla base di tuttigli errori metafisici. Lo spirito umano dimentica di ragio-nare sulla necessaria giustapposizione dei due princìpi as-solutamente identici (giustapposizione necessaria, affinché,attraverso la comprensione dell'esistenza del secondo, lospirito umano possa ammettere, senza comprenderla, 1'esi-stenza del primo); incline alla divisione e alla differen-ziazione, lo spirito umano attribuisce a questi princìpicontrapposti delle proprietà diverse, delle apparenze dis-simili e quindi dei sensi contrari e delle conseguenze in-

conciliabili. E così il male è fatto, ed è irreparabile: essofa marcire alle radici le scienze e le religioni. C'è di peg-gio: l'uomo, che non può restare costantemente un metafi-sico, un logico e 'un intellettuale, diventa rapidamente un.sentìmentale, un sensitivo, un sensuale. E reca con sé,nel nuovo dominio, l'errore che egli ha creato sul pianomentale, errore di cui è l'unico responsabile. Su questopiano inferiore egli crea, a mostruosa immagine del suodualismo metafisico, le relatività del Bene e del Male; fasorgere così delle leggi; instaura delle convenzioni e simartirizza da solo coi suoi pregiudizi, consolidando la suaopera detestabile con le lacrime e il sangue che in tal mo-.do egli fa scorrere; pone questo dualismo morale sotto la,protezione del dualismo metafisico inventato dalla suaignoranza e dal suo orgoglio; e così, guardiano della suastessa prigione, costruisce con le sue mani illogiche quellageenna incomprensibile, stupida e menzognera, che è l'ag-gregato sociale contemporaneo., La rappresentazione grafica della Perfezione è concepitasulla base del simbolismo più semplice. Il disegno dell'ideainfinita essendo I'indefinito, non vi è niente di meglio senon un elemento senza inizio e senza fine; tale elemento èla linea retta, infinitamente prolungabile da una parte edall'altra: nel grafico essa ha ovviamente un termine, datii limiti della necessità materiale, ma non ha termini nelpensiero, né nella supposizione. E' sotto questo aspettoche, malgrado le apparenze, il simbolismo della linea rettaè superiore a quello della linea curva chiusa o della circon-ferenza: questa figura, simile al serpente che si morde la.coda, immagine popolare e falsa dell'Eternità, sembra nonavere affatto un termine, ma correre indefinitamente incircolo sopra se stessa; in realtà, per essere precisi, essaracchiude uno spazio e determina una superficie, che è ilcerchio: il cerchio ha una sua misura ed è dunque finito.

,E nulla può impedire questa determinazione, vale a dire,questa inferiorità e questa insufficienza palese del sim-bolo.

Al contrario, la linea retta, a mano a mano che vieneprolungata mediante una supposizione continua, si sper-

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sonalizza e diventa I'immagine stessa dell'indefinito, perchénon determina, non racchiude, non definisce nulla. Meglioancora: se suppongo un piano qualunque generato da que-sta retta, ho l'indefinito dello spazio; e se suppongo si-multanei tutti i piani generati da questa retta indefinita,ho il «volume universale », ossia il simbolo dell'infinito.E' per questo che si vede la superiorità, quasi sempre mi-sconosciuta, della linea retta sulla circonferenza, in quan-to rappresentazioni simboliche.

Se adesso pensiamo la Perfezione, cioè se il nostro pen-siero fa della Perfezione attiva la Perfezione passiva, rico-'nosciamo I'identità assoluta di queste identità quanto alfondo, se non quanto alla forma; e, per il solo fatto chepensiamo, annettiamo alla perfezione passiva l'idea dellanostra niolteplicità e della nostra divisibilità (caratterespecifico della modificazione umana e del pensiero, spe-cifico dello stato umano).

Così il simbolo della perfezione passiva deve essere inogni punto quello dell'attiva e deve inoltre generare l'ideadella molteplicità (il «più» determinativo è un «meno»metafisico). E' per questo che il simbolo della Perfezionepassiva sarà la linea retta indefinita, con una serie inde-finita di soluzioni di continuità. Tale è il significato deltratto spezzato dal punto di vista della divisibilità del-l'Essere, cioè dal punto di vista della molteplicità delleazioni e delle forme. E così abbiamo due simbolismi giu-sti, potenti e semplici: è sulla loro base che sono costruitii trigrammi di Fo-hi, gli esagrammi del Yi-king e i sessan~taquattro arcani dell'Evoluzione.

Come abbiamo già detto, la Perfezione attiva non agi-sce, ma è « gravida» di ogni azione, e, dal punto di vistaumano, il principio azione è la prova della sua perfezione,nonché I'inizio della possibilità di una sua intellezione. E'per questo che, rivolgendosi ad esseri umani e desiderandofar loro comprendere la più alta portata umana della Me-tafisica, il mago cinese pone in prima linea l'attività 3: e la

caratteristica suprema dell'attività, per la perfezione, è lafacoltà di generare perfettamente, vale a dire di riprodursida .sola senza bisogno di aiuto. Questa idea, naturalissima,(possiamo chiamarla l'idea-madre, senza il minimo giocodi parole) si traduce nel simbolismo grafico raddoppian-do il segno della perfezione (attiva o passiva, tratto con-tinuo o tratto spezzato) mediante un tratto analogo. E' co-sì formato il digramma. Questo digramma è appunto larappresentazione simbolica del Padre e della Madre, valea dire dei mezzi della concezione; così i due tratti conce-piscono il terzo; il Padre e la Madre generano il figlio;nel simbolismo, il trigramma esce immediatamente daldigramma, che non è uno stato permanente, ma un pas-saggio dall'Unità alla Triade. Tale è la genesi dei trigram-mi di Fo-hi.

Appoggiandoci su questo fatto, di una profonda conse-quenzialità metafisica e morale, affermiamo che lo statodìgrammatico esiste solo come un momento. Nella formi-dabile opera dello Yi-king e di tutti i suoi commenti, l'esi-stenza del digramma è menzionata una volta, per il suovalore tipografico di una riga a stampa occidentale. Vienecosì precisato, con un volontario silenzio, che questo nonè uno stato logico, ma solo un momento necessario fral'Unità e la Trinità. Solo il Padre esiste, e l'androgino eter-no non si separa che per autofecondarsi. E il momentoè matematico; il padre e la madre esistono solo per crea-re: al momento della creazione, essi sono uniti e forma-no una sola realtà; nel momento in cui si separano,il germe esiste e sono già tre 4. Si può applicare questoprincipio in tutti i mondi: così non c'è né bene né malefuori dalla relatività umana; così non c'è unione di animae di corpo fuori dallo spirito; così, per parlare il linguag-gio del cattolicesimo e della Cabala, non c'è né Padre néFiglio senza Spirito Santo: il mistero cristiano della Tri-nità diventa un assioma; e le società e le religioni chetrascurano il Verbo di San Giovanni e il Paracleto sono

3 Il carattere khièn, che rappresenta la Perfezione nell'Ideogrammatì-ca, si traduce, nella lingua, con l'espressione « l'Attività del Cielo »,

4 Nella pratica, il Giallo calcola la propria età in maniera tale checonta dieci mesi al giorno della nascita.

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solo illogici e mo~truosi agglomerati. Lasciamo ai nostrilettori che sono evidentemente informati su tutti questiargom~nti, il piacere contemporaneamente delicato e facil~di trarre da questo teorema metafisico tutte le deduzioniche esso comporta. .

Naturalmente i trigrammi composti coi medesimi trattisono quelli della Perfezione. Combinando insieme, in tuttele posizioni possibili, il tratto continuo e il tratto spezzato,si ottengono otto trigrammi, che sono i «Trigrammi diFo-hi » e la base di ogni simbolismo metafisico dei Gialli.

Da questi trigrammi escono gli esagrammi che costi-tuiscono la trama del Yi-king. Praticamente, meccanicamen-te per così dire, essi «evolvono» gli uni dagli altri. Rad-doppiano i trigrammi iniziali, vale a dire scrivendoli duevolte l'uno sull'altro e iscrivendo li come si inscrive unottagono in un cerchio, si ottiene il quadro magico che ilpopolo chiama Hado. Se intorno all'unico centro si fa ruo-tare da sinistra a destra il cerchio dei trigrammi esterni esimultaneamente, da destra a sinistra, il cerchio dei tri-grammi interno, si ottengono sessantaquattro situazioni disei tratti, differenti le une dalle altre, che costituiscono isessantaquattro arcani dell'Evoluzione, la sessantacinque-sima situazione essendo esattamente la prima e riprodu-cendo i due esagrammi della Perfezione. La spiegazione, leformule e i commenti di queste serie formano per l'ap-punto lo Yi-king, del quale appare così giustificato il ~i-tolo «Mutamenti nella rivoluzione circolare », mentre VIe-ne simboleggiato, in tutte le sue modificazioni e nella suatrasformazione finale, il dogma fondamentale della Tradi-zione estremo-orientale. Svilupperemo d'altronde a suo tem-po questo simbolismo così semplice e così perfetto.

Vi è una ragione profonda nel raddoppiamento deitrigrammi e nella loro conversione in esagrammi; tale ra-gione, contemporaneamente umana e metafisica, è fa~ilia-re a ciascuno. Il trigramma - o, per generalizzare, l'ideaternaria che esso rappresenta - è l'immagine di un'entitàmetafisica reale, ma infinitamente lontana dall'umanità eal di sopra del suo orizzonte intellettuale. Tale entità siriflette nel nostro intelletto come un oggetto si riflettenell'acqua che lo bagna alla base o come, in alto mare, la

luna si riflette nell'oceano in cui sta per sommergersi. Co-sì il trigramma celeste e il suo riflesso nella nostra ragio-ne producono l'esagramma. E qui esplode ancora il prin-cipio ternario; perché il cielo non si riflette sulla terra senon attraverso il cuore dell'uomo; perché il monumentonon si riflette nell'acqua se non grazie alla luce del gior-no; perché l'anima non influisce sul corpo se non peril tramite dello spirito; perché il Figlio non comunica lagrazia del Padre e il Padre non diffonde i meriti del Fi-glio se non mediante la virtù dello Spirito Santo; tre pro-duce uno, per effetto di un due fuggitivo e latente. E l'esa-gramma è un enneagramma, dove il trigramma celeste èreale, il trigramma umano è un riflesso e il trigrammaspirituale si inscrive in spazi così tenui e fluidi che nonrimangono tracce né testimonianze, mentre la logica solaindica la necessità della sua esistenza.

Possiamo notare fin d'ora e lo noteremo ancor meglioin seguito che la tradizione estremo-orientale, per quantosia lontana e remota, ha dato nascita a una molteplicitàdi sistemi di pensiero. A ogni istante, nel corso di questistudi che appaiono più arcigni di quanto non siano in.realtà, l'applicazione dell'antico principio si presenterà,chiara e indubitabile, ai nostri metodi e alle nostre con-suetudini occidentali, che secoli di civiltà bianca hanno tra-sformati credendo di perfezionarli o di espurgarli. Saràuna grande facilità per la comprensione della dottrina eanche un potente conforto per le intelligenze sintetiche,alle quali noi ci vogliamo rivolgere, vedere che non è re-scisso e non potrà mai esserlo quel vincolo che ci ricol-lega alla comune origine, quella da cui tutti proveniamoe da cui proveniva lo stesso Fo-hi; quella a cui faremoritorno al pari dei rispettosi seguaci di Fo-hi. Noi non ab-biamo nulla da creare, nulla da inventare, nulla da spie-gare con nuovi mezzi; noi dobbiamo soltanto evitare diperdere quello che ci rimane e ritrovare quello che abbia-mo smarrito. E ci si consenta di dire esplicitamente quelloche pensano e sanno tutti i metafisici e gli esoteristi diogni paese. Nell'oscuramento e nell'oblio delle scienze sa-cre c'è una questione di razza e di latitudine. I sapienti

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della Cina e dell'India non hanno dimenticato nulla, manoi siamo stati separati da loro dall'azione dei barbari.Solo i Niniviti, distruttori delle scienze vediche, e i Se-miti, copisti insufficienti e crudeli delle scienze egizie,hanno creato uno iato fra l'antichità e l'epoca contempo-ranea, fra la scienza orientale e la ricerca occidentale. Pas-sando accanto, attraverso o al di sopra di queste razzemediocri noi ritroveremo la nostra via, sicché l'umanitàmoderna potrà degnamente ricollegarsi ai suoi antenati delciclo di Ram. Se la continuazione di questi studi giungeràa dimostrare queste proposizioni alla cerchia più vasta dipersone, avremo cominciato la nostra opera nel modo mi-gliore. .

Ma fin d'ora, dopo questa semplice determinazione dei«grafici di Dio », dichiariamo il carattere mirabile dellascienza di cui siamo seguaci e la semplicità del metododa noi adoperato. Noi abbiamo dichiarato l'Essere-Dio,o la Perfezione, inintelligibile all'uomo. E in effetti lo è.Abbiamo constatato come i sistemi religiosi in vigore pres-so la maggior parte dell'umanità abbiano cercato di sfi-gurare Dio, di avvicinarlo a noi, al fine di renderlo pene-trabile al nostro intelletto. Questi sistemi distruggono vo-lontariamente I'idea metafisica e ci offrono dunque sol-tanto l'errore; oppure, istituendo l'antropomorfismo, cipresentano una tesi grossolana quanto il fetieismo dellerazze incolte. Tuttavia, malgrado tali deformazioni, nonriescono affatto a soddisfarei.

Parlando della Tradizione Primordiale, noi non abbia-mo voluto e non avremmo d'altronde potuto imitare que-ste trasformazioni avvilenti. Dio - la Perfezione - ci re-sta e ei resterà inintelligibile finché resteremo uomini. Maquesta perfezione che non abbiamo potuta comprendere,che non abbiamo potuta discutere, esaminare razionalmen-te, nominare, la abbiamo però disegnata; e disegnandolanon. le abbiamo assegnato dei contorni; non l'abbiamo(de)finita; tuttavia la conosciamo coi nostri occhi. Con unaserie di passaggi logici e metafisici, senza avere fissatauna sola proposizione a priori, senza richiedere l'accetta-zione di un solo postulato, senza imporre la fede nel benchéminimo mistero, abbiamo perfettamente simboleggiato,

con sei linee, senza distruggerla e senza avvilirla, quellanozione di Dio che nessuno, eccetto Dio stesso, potrebbenominare e comprendere. Questo tracciato semplice, questaastrazione lineare, questo arcano metafisico, noi sentiamoprofondamente che non potrebbe essere presentato in ma-niera diversa dalla nostra. Abbiamo in mano questo stru-mento meraviglioso, grazie al quale possiamo effettuarecon sicurezza la rappresentazione ideale, integrale e assio-matica dell'inintelligibile. Non lo comprendiamo, non lonominiamo, non lo scriviamo; lo vediamo.

E sarà questo simbolo, più meraviglioso delle piùmagnifiche idee concepibili dal cervello umano, a costitui-re la base e il punto di partenza di tutte le nostre propo-sizioni, così come è ciò che esso rappresenta a costituirel'obiettivo irrinunciabile della nostra esistenza e dei no-stri sforzi.

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CAPITOLO QUARTO

I SIMBOLI DEL VERBO

Come abbiamo già detto, lo spirito di generalizzazione,che fu lo spirito filosofico dell'umanità prima dell'inven-zione delle analisi e dei metodi di dissezione basati sullospirito scientifico applicato e meccanico dei moderni, lospirito di generalizzazione è rimasto intatto fra le razzeorientali; ed è il metodo sintetico, matematico e logico acostituire il fondo dei libri tradizionali 'più antichi, che ilrispetto dei popoli depositari ha trasmessi incorrotti eintegri fino alle nostre epoche, estremamente civilizzatee individualiste.

Questo spirito generalizzato fa sì che vi sia una mol-teplicità indefinita di applicazioni di un medesimo assiomao di un medesimo principio a tutte le scienze, a tutti glistati sociali, a tutti i mondi intellettuali, a tutto ciò chepuò essere fatto, detto o pensato in tutti i luoghi e intutte le epoche della stasi umana e universale.

E più un assioma appare fondamentale, più un prin-cipio appare eterno nel suo concetto e giusto nella suatraduzione grafica, più le applicazioni sono ricercate conardore e determinate con precisione.

E' così che i «Grafici di Dio » stabiliti con preoccu-pazione di sintetismo universale nel pensiero e con un ri-gore matematico nell'esecuzione, sono considerati, dai com-mentatori dei Libri Tradizionali, come la chiave di tutte leIdee e di tutte le situazioni umane, come I'inizio e la finedi tutte le scienze e come l'arcano in cui bisogna cercarecontemporaneamente la spiegazione di tutti gli enigmi, lasoluzione generale di tutti i problemi, le norme di ognipolitica, le prescrizioni per ogni economia sociale e perogni etica individuale.

I « Grafici di Dio » non sono più dunque, nell'uso, soloil « Disegno » perfetto d'un'idea generale astratta e di unaentità inconcepibile per l'uomo attuale. Essi costituiscono,

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con le loro sei linee indefinite, come la portata metafisicaentro la quale si iscrive l'armonia eterna, ed entro cui siposano, per avere il loro significato adeguato nel concer-to dell'universo, gli accordi particolari di ogni conoscenzadello spirito umano. Per adoperare un paragone più ac-cessibile e grossolano, ma altrettanto esatto dal punto divista grafico, ogni conoscenza dello spirito umano è similea una di quelle corrispondenze diplomatiche in cui..si tro-vano, in mezzo a una confusione di elementi superflui de-stinati a sviare e ad annoiare gli estranei e gl'indiscreti,le soluzioni dei problemi da cui dipendono la vita e lagloria dei popoli. Se cadono fra le mani di gente ignoran-te, queste lettere rimangono incomprensibili: esse hannoun senso e un valore soltanto per i loro autori e per i lorodestinatari. Allo stesso modo, le conoscenze umane. sonoastruse anche per coloro che le hanno studiate profonda-mente, se costoro hanno compiuto uno studio individualee. se hanno spezzettato i loro sforzi.

E i « Grafici di Dio» sono la « griglia» che, posata sultesto informe, ne sublima le parti utili, ne distrugge leparti inerti e, nei suoi intervalli sempre disposti nellostesso modo per tutti i testi, fa risplendere, davanti agliocchi di coloro che sanno, le verità necessarie, gli arcaniispiratori di ogni scienza e di ogni azione umana.

Entriamo dunque a pié pari nel simbolismo dei Gialli.I Grafici di Dio ci aiuteranno efficacemente, se saremoin grado di riportare tutto a questo principio e se ci ri-corderemo che tutte le interpretazioni, tutte le immagini,tutte le determinazioni esatte sono i ricami sovrapposti aquesta trama eterna, a questo canovaccio metafisico, sen-za cui nessuna stoffa potrebbe essere tessuta, senza cuinessun sistema potrebbe reggersi.

Componendo le une con le altre le «situazioni» dei«Grafici di Dio» e studiando, prima in maniera isolatae poi in parallelo, i tratti che li compongono, si ottengonotutte le idee del cervello e tutte le luci della coscienza.Nelle applicazioni che se ne fanno, queste situazioni si mo-dificano, questi tratti cambiano identità ed oggetto; inloro e fra loro si manifesta il movimento perpetuo, che èil risultato dell'attività primordiale e la conseguenza del-

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l'attività potenziale della Perfezione. Così questo movi-mento continuo rappresenta perfettamente la serie dellemodalità trasformatrici che costituiscono, le une dopo lealtre, l'esistenza dell'universo tangibile e perfettibile, mo-dalità di cui la formula tetragrammatica (che studieremonel prossimo capitolo) fornisce la causa profonda e la spie-gazione formale. Così ciascuno degli ideogrammi e ciascu-no dei tratti degl'ìdeogrammì, partecipando del Principiodi Attività, possiede un'attività propria, grazie alla qualesi muove liberamente, in conformità con la via libera-mente consentita di cui esso è una delle espressioni(e la sola espressione immediata, nel momento in cuise ne parla).

Ne consegue che ciascuno dei tratti, fin dove lo si con-sidera e mentre lo si considera, acquisisce una personalitàche è dovuta alla manifestazione della sua attività parti-colare. Sembra dunque logico e sensato che. il simboli-smo intellettuale e fonetico (vedremo più avanti il per-ché della giustapposizione di tali aggettivi) abbia datoloro la figura dell'Onnipotenza e dell'Attività Totale, valea dire la figura del DRAGO, «signore onnisciente dellevie di destra e di sinistra» (Fan-Khoatu, I).

La Leggenda del Drago. «I draghi e i pesci hanno lastessa origine; ma quanto è diverso il destino degli unida quello degli altri! Il pesce non può vivere fuori dalproprio elemento; il drago, purché una nuvola leggera siabbassi verso la terra, lo si vede prendere lo slancio nel-l'aria », Così canta l'undicesima strofa della ballata Lavita gioiosa, al risonar della quale, in tutto l'EstremoOriente, i vecchi letterati sorridono e i bambini s'addor-mentano.

Questa ballata allude alla leggenda del Drago, che noicitiamo perché in essa si ritroverà l'origine della genesimosaica, la finzione sinaitica della legge, e forse anchedel simbolo della sintesi alchemica.

L'acqua che scorre sopra la terra, dicono i vecchi nar-ratori, è simile alla nube che vola nel cielo: la loro na-tura è simile, solo la loro apparenza è diversa. Ed è lacosa importante, perché l'umidità feconda l'universo, cosìcome la via del cielo feconda il pensiero degli uomini.

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Niente è meglio dell'acqua; niente è più fugace, più attivo,più universale: ma se le loro azioni non sono congiunte,l'acqua del cielo non può nulla sulla terra, l'acqua dellaterra non può nulla sulla nube del cielo. Così il pesce nel-l'acqua della terra e l'uccello Hàc nell'acqua del cielovivono separati e sono imperfetti. Ma se la pioggia provocal'innalzamento delle acque o il calore del giorno le fa eva-porare e se una nebbia leggera si abbassa sopra la terrao se un forte vento fa precipitare le nubi verso la terra,allora si ha l'unione delle acque terrestri e celesti: l'uccellòHàc scende verso la terra come le nubi, il pesce si alzaverso i cieli come l'acqua del fiume; quando si incontrano,l'uccello Hàc dà le sue ali al pesce, mentre il pesce dàall'uccello il suo corpo e le sue squame; fra le esplosionidel tuono e le acque mugghianti compare il Grande Pesce,sulla schiena del quale sono scritti i precetti segreti dellaLegge. E non appena il suo dorso tocca le nubi che sisono abbassate, esso diventa il Drago Lungo e scomparenell'aria con le nubi che lo avvolgono e lo portano via.

Mi infastidirebbe molto il dover dare una spiegazionea questa leggenda popolare, che è più chiara di tutte leparabole mosaiche e della leggenda giudaico-cristiana dellamela. Gli scolari più piccoli, nelle scuole estremo-orienta-li, la commentano e la spogliano dell'elemento fiabescocon la massima facilità. Immagino che ciò non sarà nullapiù di un gioco anche per i ricercatori occidentali più at-tenti, i quali mi saranno assai più grati per averli iniziatia un piccolo lavoro personale di appropriazione analogicache non per aver sembrato dubitare ingiuriosamente della'loro perspicacia fornendo loro delucidazioni inutili.

Nondimeno sottolineerò certi punti meritevoli di medi-tazione; il cielo e la terra, in verità, fanno tutt'uno. Ai no-stri occhi, essi sono uniti da un veicolo universale; e ilSerpente cinese ha assunto, come simbolo di tale veicolo,quella che può sembrare la materia più sottile, cioè l'ac-qua evaporata. Infinitamente sottile, ma sempre materia-le: tale è la caratteristica del veicolo universale; e il Sa-piente cinese si incontra qui con l'asserto teosofico (ilche non ha nulla di sorprendente, ché le dottrine sonostrettamente sorelle) e anche con la dottrina platonica,

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nonché con le affermazioni della scuola gnostica e di SanClemente d'Alessandria circa la materialità dell'animaumana.

Precisiamo inoltre che la « Perfezione» esiste solo invirtù dell'unione del Cielo e della Terra ed è unicamen-te in tale unione che il Drago si manifesta, per scompari-re nell'aria non appena si è manifestato. Questo simbolova inteso in due modi: il primo è che l'universo si trovasempre in un'attività estrema; l'altro è che la Perfezionenon è visibile agli occhi umani né è intelligibile allo spi-rito umano; essa scompare se è vista o compresa da noi,non è più la Perfezione. Così il Drago è un simbolo chel'uomo raffigura per sé, ma che non esiste per lui. Esisteperò realmente nell'unione totale realizzata grazie al vei-colo universale.

Prendiamo dunque questo simbolo del Drago, anche seeventualmente lo troviamo infantile come definizione; con-serviamo lo tuttavia come un'immagine eccellente e comeun'abbreviazione comoda nelle proposizioni metafisiche.

Ho detto poc'anzi che il Drago era un perfetto simbolointellettuale e fonetico. La spiegazione della leggenda siapplica alla sfera intellettuale: quella fonetica è ancorpiù curiosa, e generalizza e rischiara tutti i dati preceden-ti. Che cos'è dunque, alla fin dei conti, questo Drago sim-bolico nella metafisica dei Gialli? Che cos'è questo veicolouniversale, che è come l'Aura del simbolo? E' il Verbo,né più né meno: non solo nello spirito dei sapienti e degliesegeti, ma nella stessa dimostrazione filologica.

Sappiamo infatti che cosa sia il LOGOS platonico ealessandrino. Il radicale LOG si pronuncia con gran forza,e con la sillaba lunga. E' esattamente il nome dell'ideo-gramma del Drago. Tale nome è LONG 1, con la O lunga e

1 Rimando i curiosi di filologia al testo stesso del Yi-king, che sitrova nella traduzione Philastre (Annali del Musée Guìmet), nonchéai grafici e alle grammatiche del Padre S. Couvreur, S.J., missionariodel Ceu-Ii, stampati a Ho-kien-fu nel 1884 e ancora abbastanza reperi-bili a Parigi.

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la N breve e sorda,' e viene pronunciato LOG nelle regionidella Cina centrale. In tal modo la filologia apporta la suasbalorditiva testimonianza alla metafisica. C'è sempre statauna sola verità; i simboli di questa verità sono diversi,ma la pronuncia del suo nome è identica dappertutto. Eil Logos platonico e il Verbo dell'apostolo Giovanni (chei cristiani esaltano al termine dei loro sacrifici senza ap-profondirlo) non hanno rappresentazione più immediatané simbolismo più esatta, sulla faccia della terra, di que-sto Drago universale e invisibile che dall'alto del Cieloproietta la sua ombra misteriosa su tutte le filosofieorientali.

Khien: l'azione del cielo, l'attività. L'uomo dotato laimita sforzandosi senza posa. (Yi-kìng: commento tradi-zionale di Ceng-tze e di Confucio sul primo esagramma).

L'uomo dotato, del quale è fatta menzione in tuttolo Yi-king e per il quale sono- stati formulati i precettidello Yi-king, è un'espressione specifica delle razze gialle.Sarebbe facile - e altri lo hanno fatto - accatastare vo-lumi di commenti su questa espressione, per determinareil valore esatto. Parimenti in altre lingue si parla di Ini-ziati, di Magi, di Gran Sacerdoti, di Giudici, di Santi, diBeati, di Mahatmas e così via. Teniamoci, per quantoconcerne 1'«uomo dotato», alla definizione semplice esaggia della Tradizione Cinese. L'uomo dotato, essa dice,è un termine della scolastica che corrisponde a uno statodi perfezione inferiore alla perfezione e superiore allasapienza. Accontentiamoci, almeno dal punto di vista del-l'espressione, di questa definizione elastica; formiamoci ilconcetto secondo cui vi sono differenti stati nello statodell'uomo dotato; e chiediamo solo alle circostanze di dir-ci, per ogni caso particolare, a quale tappa intellettualee psichica l'uomo dotato sia giunto sulla strada della per-fezione.

La ragion d'essere, dice Ceng-tze, non ha forma visi-bile; per chiarirne il senso, si usa un'immagine. E' così che,come dice la leggenda, attraverso il veicolo universale

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il Drago sale per i sei tratti del Khien, dove occupa seiposizioni diverse e dà, al suo passaggio, un senso a ciascu-no dei tratti, esattamente come una serie acustica, nelmomento in cui la si inscrive su un rigo musicale, dàun accordo armonico di cui essa è, in quanto espressione,la sola proprietaria, mentre le linee del rigo sono i tra-miti e i veicoli.

I righi umani sono dunque tanti quanti gli esagrammi,vale a dire sessantaquattro. Esaminiamo in modo parti-colare il « passaggio del Drago» attraverso Khien, esagram-ma della perfezione in sé. Non solo darà un esempio ana-logico buono da seguire per la spiegazione metafisica de-gli altri esagrammi; ma, soprattutto, è dal primo esagram-ma che i magi e i filosofi cinesi hanno, in tutti i settoridella sapienza umana, tratto i loro principali e miglioriinsegnamenti 2.

Il Drago, «intelligenza le cui modificazioni sono illi-mitate, simbolo delle trasformazioni della via razionale(tao) dell'attività espressa da Khien» (Yi-king, cap. I, para-grafo 8, commento di Ceng-tze), si posa sul primo tratto(tratto inferiore e positivo, poiché esso è, come tutti quellidell'arcano, senza soluzione di continuità); e questo rap-presenta «il punto di partenza dell'inizio degli esseri».E' il «Drago nascosto »,

L'estrema attività della Perfezione non si produce, nonsi rivela ancora mediante alcun atto della volontà, me-diante alcun pensiero; essa è dunque nascosta, vale a di-re inintelligibile per l'uomo. E' il periodo del non agire. Eper «periodo» bisogna intendere l'idea dello stato meta-fisico, così, come per «situazione» bisogna intendere il«luogo geometrico», tutte le concezioni dovendo esserequi indipendenti dalle relatività del tempo e dello spazio.

2 A ogni situazione del Drago, si rammenti il viaggio della leggenda.

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Posato sul secondo tratto, il Drago emerge: l'attivitàcomincia a farsi sentire sulla superficie della terra: è il« Drago nella risaia». L'estrema attività nel cielo non simanifesta ancora, ma l'uomo ne coglie l'esistenza, cosìcome un essere in una risaia è nascosto dalle piante diriso e non lo si vede, ma si sa che c'è perché la super-ficie ondeggia al suo passaggio. Si noti qui che il secondotratto è il tratto mediano del trigramma inferiore ed èdunque, per così dire, il sunto della sua espressione ge-nerale: si noti pure che c'è un senso da estrarre dal con-fronto di esso col tratto mediano del trigramma supe-riore, che è il suo simpatico (sistema delle corrisponden-ze). Questo senso dà la tendenza generale dell'esagramma.I due tratti corrispondenti essendo qui ambedue positivi,ne risulta che il senso di Khien è rafforzato, vale a direche l'attività del cielo è estrema, continua, eterna, e che ilCielo non è concepibile al di fuori dell'idea della sua at-tività. E' quanto avevamo già rilevato in un precedentecapitolo; qui come altrove, i significati del rigo simbolicocostituito da sei tratti confermano i princìpi, già noti,della metafisica e dell'esperienza.

Questa seconda situazione si riassume perfettamentein questa analogia di Shi-seng: « L'etere positivo cominciaa generare così come la luce del sole comincia a illumi-nare ogni cosa prima che esso appaia all'orizzonte l>.

Posato sul terzo tratto, il Drago si manifesta; esso sitrova sulla situazione superiore del primo trigramma: è ilmomento della leggenda in cui, salendo in cima alle ac-que mugghianti, è sul punto di lanciarsi e di apparirequello che è in realtà. Se le squame del Drago esconodalle acque, allora l'uomo conosce la scienza e la legge.E' il « Drago visibile ». L'attività incessante, giunta al som-mo di un trigramma, risale l'abisso che la separa dal se-condo trigramma. E' opportuna una grande prudenza. Enoi applicheremo immediatamente questo consiglio cosìcome esso vien dato. E' pericoloso « vedere il dorso delDrago >l, ossia conoscere la Scienza e la Legge, quando nonsi sia abbastanza preparati dagli stati anteriori. (Cfr. lostato edenico e la leggenda del frutto proibito). E' questala volontà di espansione di tutti gli esseri, volontà più che

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perfetta, poiché costituisce il coronamento dell'attività: ~aassai pericolosa, perché può sfociare nella rnoltepl.icità,cioè nelle forme e nella disunione.

Posato sul quarto tratto, il Drago tende ad abbando?a-re il mondo, ossia a scomparire, poiché, essendo manife-stato se vi rimanesse diventerebbe intelligibile all'uomo enon sarebbe più la Perfezione in sé; ma non spicca an-cora il volo: «è come il pesce che balza fuor dell'acqua,con la volontà, ma senza i mezzi per scomparire:, è ilDrago che balza, ugualmente pronto a sparire nell eter~degli spazi celesti e nelle profondità degli abissi, dove SI

trova il luogo del suo riposo » (Yi-king, cap. I, paragr. 14,commento di Tzu-hi).

L'attività incessante, all'estremità del balzo, può pren-dere le ali del Drago e scomparire in alto, oppure con-servare le pinne del pesce e scomparire in basso: c'èdunque libertà di avanzare o di indietreggiare. E' qui ilsimbolo della libertà e dell'ìndipendens:a con cui l'univer-so si muove ed entra nella sua via (Tao). La situazione èindeterminata; ma quale ne sia la soluzione, si vede cheil vero e proprio obiettivo del movimento dell'attività ,è ~lriposo assoluto, che è al di là delle forze umane. (E IlNirvana, intelligibile, ma inaccessibile all'essere umanoche noi conosciamo).

Posato sul quinto tratto, il Drago, interamente mani-festato, agisce nella sua pienezza e regge il mondo. H~abbandonato la terra per scomparire, ma, sul punto digiungere ai limiti, non è ancora scompars?, .e la sua in-fluenza benefica si espande dappertutto; e Il Drago vo-lante che in questo momento procura all'umanità, colsuo semplice mostrarsi, l'età dell'oro. Sta qui l'espansionefelice dell'Universo nella Totalità, che non cessa ~ftattodi essere l'Unità. L'attività estrema fa questa totahta: la.presenza del Drago fa questa unità; p~r parlare ~n linguag-gio meno metafisico, la creazione esiste tutta mtera, manon ha affatto forme.

Ricordiamo qui che il quinto tratto è il tratto medianodel trigramma superiore e che è il corrispondente simpa-tico del secondo tratto; e notiamo che il secondo tratto

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è una volontà d'azione non formulata, mentre il quintotratto è questa azione non formale.

Posato sul sesto tratto, il Drago scompare; «l'altezzaconveniente - dice Tzu-hi - è superata, l'estrema unitàè raggiunta, c'è eccesso di elevazione ». Beninteso, questocommento deve essere considerato solo in rapporto al-l'universo visibile. E' qui il «Drago planante» che comin-cia a sparire; e con esso comincia a sparire anche quellastasi di perfezione assoluta che recava con sé il rimpiantoper I'impossibilità della propria conservazione (a causa,contemporaneamente, della perfezione relativa e dell'estre-ma attività del cielo). «Ciò che è definitivamente com-piuto - dice Confucio - non può durare a lungo », Ecosì l'uomo è talmente imperfetto che l'idea stessa dellaperfezione porta con sé il timore di perderla. E' qui lacreazione tangibile, o meglio la divisibilità dell'unità me-diante la moltiplicazione delle forme, nonché l'instaurazio-ne della relativa dualità della perfezione passiva, intelli-gibile all'uomo, in seguito alla scomparsa di quel Dragoche simboleggiava l'Unità attraverso il veicolo universale.E' la stasi attuale che noi attraversiamo, nel ciclo al qualeappartiene la nostra umanità. E il rimpianto di questa uma-nità ingenera il suo unico desiderio, che gli psicologi pos-sono chiamare bisogno d'idealismo e che è in fin dei contiil desiderio di rientrare nello stato di unità, di sostituirela perfezione passiva con quella attiva, che noi non com-prendiamo, ma di cui conosciamo la necessaria esistenza;il desiderio, insomma, di rivedere il Drago 3.

Tale è l'armonia metafisica inscritta nella parte for-mata dal primo esagramma del Yi-king. Sarebbe necessa-rio un volume per dedurne, su questo stesso piano, tuttii dati delle scienze consequenziali, Genesi, Creazione, Co-smogonia, Teogonia, Teologia, Ontologia, Sintesi universa-le, origine delle leggi umane ecc. Non ci preoccupiamo di

3 Resta inteso che il simbolismo del Drago, quale esso viene quispiegato, è al di fuori del tempo e dello spazio, al di sopra degli in-dividui, ed è applìcabile solo alle sintesi. Il prossimo capitolo tratteràdel simbolismo del loro movimento in rapporto a ciò che in Occidenteè chiamato la creazione dell'Universo visibile.

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entrare in queste lungaggini e in questi commenti. Untale lavoro, che, una volta data la base della conoscenza,è relativamente facile, deve essere lasciato, come un eser-cizio interessante e anche come una ginnastica meritoria,all'ìntellettualità dei ricercatori, la cui mentalità, graziealla ricerca, diventerà più adeguata alla mentalità che èrichiesta per la comprensione di tutto l'argomento e piùatta a seguire, nel loro metodo sintetico, gli sviluppi suc-cessivi.

Ma, come abbiamo detto all'inizio, non c'è solo l'ac-cordo metafisico che si inscrive sul rigo dell'esagrammadella perfezione. Al di fuori della metafisica e delle suesorelle minori, vi sono tutte le scie~e: c'è la politica,l'economia sociale, la morale, la divinazione; e ogni scien-za, grazie a un lavoro analogico, trova su questo rigo eseguendo la «marcia dei sei Draghi» le soluzioni capacidi soddisfare tutti i bisogni intellettuali della nostra uma-nità.

Vediamo in poche righe, ad esempio, come l'iniziatotrovi qui delle regole per la sua condotta di mago, perla sua ascesi specifica.

Drago nascosto. L'uomo dotato deve regolare la pro-pria condotta secondo l'attività del cielo; l'uomo dotatonon essendo ancora istruito, la volontà del cielo è nasco-sta al suo occhio insufficiente: egli rimane dunque avvol-to nella sua ganga di mortale imperfetto. L'uomo dotatodeve dunque meditare, tacere e proporsi di svilupparsinello studio e nella contemplazione. Se egli agisse mentreil Drago è nascosto, non darebbe la propria misura e ca-drebbe in un errore che pregiudicherebbe il suo avvenire.

Drago nella risaia. L'uomo dotato è consapevole dellapropria virtù, ma non può ancora lasciare la terra 4. Eglimigliora a poco a poco gli esseri col proprio insegnamen-to, ma non gli è ancora possibile né di comandare né dimanifestarsi. Deve soltanto applicarsi a seguire la fortunae 1'esempio dei Magi che lo hanno preceduto.

4 Si è liberi di dare a questa proposizione tutto il valore psichicoche si vuole.

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Drago visibile. L'uomo dotato, posto in una situazioneinferiore ai suoi meriti, corre un pericolo; deve agire concircospezione, poiché con la propria virtù egli attira su disé la simpatia dell'universo e, con questa simpatia, anchel'odio dei suoi superiori. Ma, che si ritiri o rimanga, eglideve preoccuparsi di seguire la via normale (tao),

Drago che balza. Quando l'uomo dotato agisce, non èmai senza rapporto col momento in cui agisce. Ha dunqueaccresciuto i propri meriti e la propria virtù per distin-guersi in un momento preciso e determinato; è libero diavanzare o di indietreggiare; ha conservato tutta la sualibertà; può costruire sulle basi di una virtù magnifica,come può ridiscendere in un'umiltà meritoria; in questasituazione, deve ispirarsi alle circostanze.

Drago volante. L'uomo dotato occupa la posizione su-periore che a lui s'addice; giunto ai sommi gradi dell'in-telligenza, gli è dolce guardare, sotto di sé, l'uomo ugual-mente dotato di virtù, per aiutarlo col suo esempio e perassociarlo alla sua potenza. Quando si è nella pienezza deipropri mezzi, allora bisogna agire.

Drago planante. La bellezza infinita è difficile da con-servare. Quindi l'uomo dotato deve saper avanzare e in-dietreggiare in tempo per non rischiare mai di perderla.Non deve mai commettere eccessi nelle sue azioni, neanchein quelle buone.

Parimenti, in politica sono determinate dal movimentodei Draghi la via del Principe e la via del suddito. Ci ri-serviamo di spiegare ciò nel corso di ulteriori considera-zioni. E, per terminare una dissertazione che potrebe pro-lungarsi indefinitamente, diamo qui di seguito, senza com-mento, i sei brevi apoftegmi, semplici e nutriti, coi qualiConfucio, usando la sua solita precisione e concisione,determina sul movimento dei Draghi la condotta normaledel semplice cittadino. Questa citazione darà un'idea per-fetta del modo in cui i sapienti cinesi intendono la leggemorale.

1. Non cambiare a seconda del secolo; non aggrapparsialla reputazione; fuggire il mondo; non dolersi per il fattoche non si è apprezzati o conosciuti dagli uomini.

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2. Buona fede nelle frasi di minore rilievo; circospe-zione negli atti; stare in guardia contro la menzogna; mi-gliorare il secolo mediante la propria virtù trasformatrice,e senza vantarsene.

3. Occupare una posizione elevata senza inorgoglirsi;occupare una posizione umile senza lamentarsi.

4. Perfezionare le proprie attitudini; approfittare delmomento opportuno.

5. Agire e, con la propria azione, salvare l'universo.

6. Guardarsi dall'esser troppo nobile per avere un'oc-cupazione e dall'esser troppo in alto per avere degli amici.

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CAPITOLO QUINTO

LE FORME DELL'UNIVERSO

Non ignoro che, nella loro estrema generalizzazione, i« Simboli del Verbo» siano potuti sembrare più vaghiancora che astratti. Ma, oltre al fatto che il loro splen-dore si manifesta soltanto quando lo si provoca consul-tando il testo generale, in vista di un adattamento parti-colare e preciso l, noi possiamo illuminare immediatamen-te il Khien e il simbolo del movimento dei Draghi me-diante lo studio della formula tetragrammatica che il prin-cipe Wen-wang, genero di Fo-hi, pose in cima allo Yi-king,sotto l'ideogramma stesso del Khien.

Il tetragramma di Wen-wang fornisce, con una grandeconcisione, la chiave del fenomenismo universale, che si èconvenuto di chiamare creazione del mondo. Questa espres-sione, che enuncia un fatto (la creazione, cioè, in parolepovere, l'uscita dal nulla), prepara, per le razze che lautilizzano, un'inconsapevole petizione di principio e un'in-finita quantità di difficoltà metafisiche e logiche. Avereinventato questa parola, prima di aver dimostrato cheessa corrisponde a una concezione intellettuale o a unevento materiale, è un sintomo estremamente caratteristi-co dello stato in cui si trova il cervello ariano, deformatodall'intervento semitico. (E solo Jehovah sa quale fu ilvigore di tale intervento!).

Prepariamoci innanzi tutto a non sacrificare la nostralogica a questo apriorismo inudito e discutibilissimo. Il te-tragramma di Wen-wang, nel quale solo la genericità non

l Si faccia attenzione a questa frase, formulata qui a bella posta.Essa costituisce infatti il punto di partenza di tutta la scienza di-vinatoria dello Yi-king, intesa naturalmente sotto il profilo magico,e non certo sotto quel profilo « oroscopico » che serve ai praticonidell'Estremo Oriente, così come ai loro colleghi occidentali, per mettereinsieme delle rendite economiche.

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cede all'astraziòne, non nega il fatto in sé (e d'altrondenemmeno la afferma); sembra che la realizzazione o lanon-realizzazione materiale dell'idea importi eccessivamen-te poco alla tradizione; ma il tetragramma colloca l'eventoal di fuori del tempo e dello spazio; in altri termini, to-glie ad esso ogni materialità e lo mantiene entro queldominio da cui noi occidentali non avevamo affatto ildiritto di farlo uscire: il dominio dell'idea pura e dellalogica metafisica.

Forse tutte le cosmogonie, e anche quella sinaitica, po-trebbero venire riassunte in una sola dottrina, qualora ciproponessimo di non trascinare sul piano della creazioneuniversale quell'antropomorfismo col quale abbiamo insoz-zato il piano divino e se, col pretesto di rendere omaggioa un creatore da noi trasformato in un uomo, non instau-rassimo il materialismo più rozzo in seno alle nostre mo-derne e bizzarre religioni.

Dobbiamo dunque prefiggerei di dimenticare quellamediocrità convenzionale in cui si cullò l'infanzia dellenazioni occidentali. E se seguiamo fin d'ora tale propo-sito, sembra certo che trarremo il vantaggio più grandedalla salita dei Draghi attraverso i Grafici di Dio.

Ma soprattutto si sarà preparati a cogliere, in tutta lasua astratta metafisica, il tetragramma di Wen-wang, lacausa iniziale, la modificazione e la trasformazione finaledell'Universo.

Il tetragramma, arcano dell'Universo, ha ancora un'al-tra importanza. E questa non è forse meno rilevante, dalpunto di vista dell'unificazione dei sistemi filosofici dei-l'Oriente. E' infatti dal tetragramma di Wen-wang, ossiadal midollo stesso dello Yi-king, che è uscito tutto quantoil taoismo. Allorché studieremo questo meraviglioso siste-ma di logica e di morale pura, torneremo su tale filia-zione. Oggi ci basterà affermare e di precisare che, for-mulando questi tetragrammi, Wen-wang fu il precursoredi Lao-tze. Tutta quanta la cosmogonia taoista vi è con-tenuta e tutto ciò che segue è puro taoismo.

Abbiamo già visto tre volte questo misterioso ierogram-ma del Tao, che è rimasto incomprensibile per tanto tem-po. Diciamo subito, senza entrare in considerazioni che

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avranno il loro posto in un'altra parte di questo lavoro,che bisogna intendere per Tao (che si traduce comune-mente e abbastanza esattamente con la Via) la serie, lasomma e il risultato di tutte le modificazioni dell'Universo,o, se si preferisce, i diversi stati del Khien manifestato,indipendentemente da tutte le relazioni obiettive.

UYAN, HENG, LI, CENG: Causa iniziale, libertà, bene,perfezione. Questo è il tetragramma ideo grammatico diWen-wang. E lo Yi-king aggiunge queste semplici parole,che sono il {(commento tradizionale» della formula: «Co-me è grande la causa iniziale dell'attività! tutte le cosedebbono ad essa I'inizio del loro etere costitutivo; essa ètutto il cielo. Le nubi camminano: la pioggia estende ilsuo effetto; i germi degli esseri si perpetuano nella forma.La vita universale agisce in un movimento senza fine. Lafine e I'ìnizio sono illuminati da una grande luce. La viaè modificazione e trasformazione: ogni cosa si conformaesattamente alla propria natura e al proprio destino emantiene, accordando se stessa, l'estrema armonia; eccoil bene e la perfezione».

La tradizione esplicativa di questi arcani, che siamoin procinto di esporre, è l'opera di Ceu-kong, figlio diWen-wang; essa è stata raccolta, codificata per così dire,da Ceng-tze e da Tzu-hi. Già lo abbiamo detto: la qualitàobiettivamente predominante di Khien è l'attività; e l'at-tività irradia l'energia e la volontà grazie a cui l'Esserecomincia a mostrare che cosa esso sia. E' qui tutto l'Uni-verso visibile attualmente nel nostro circolo evolutivo enella stasi umana chiamata creazione.

La formula determinativa così precisata da Wen-wangnei suoi quattro ideogrammi manifesta e {(accompagna»l'Universo, dal germe-volontà che ne ha prodotto la ge-nesi fino al suo completo sbocciare.

A. La causa volontaria (inizio) di tutti gli esseri.B. La possibilità di creazione (crescita) di tutti gli

esseri.C. La facoltà di soddisfazione (azione) delle condizioni

di tutti gli esseri.D. Lo sviluppo normale e perfetto (evoluzione) di tutti

gli esseri.

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Questi quattro ideogrammi, che dischiudono e richiu-dono su di sé i cicli dell'Universo, sono popolari quantola mezzaluna presso i Turchi o la croce presso i cristiani.Rispetto agli altri simboli dell'umanità, hanno il van-taggio di contenere, in modo esplicito, il sunto di tuttala dottrina applicabile all'umanità attuale.

Essi hanno il loro suggello grafico nel simbolo delloYin-yang (Tai-ki o Grande Estremo), del quale forniremola spiegazione nel capitolo relativo alla condizione umana.

I quattro stati segnalati dalla formula del tetragram-ma di Wen-wang sono chiamati qualità della sostanza(Khien), ma qualità completamente inerenti all'entità del-la sostanza (è in questo, per l'appunto, che esse differi-scono dalla qualità intesa nel senso occidentale del termi-ne, termine che non possiamo tuttavia rimpiazzare conalcun altro). Non ne ricaveremo però nessun inconvenien-te, poiché, secondo l'eccellente metodo cinese, questa qua-lità integrante è presa come la sostanza stessa e vi siidentifica, almeno momentaneamente, per la facilità dellacomprensione: questa identificazione è d'altronde di unacorrettezza assoluta.

Non adotteremo una nuova terminologia per il sistema .cosmogonico che studiamo in questa sede.

E' inutile cercare di render familiari al lettore leenunci azioni degli ideogrammi; per quanto esse siano im-precise, noi ci atterremo alla loro traduzione nel linguag-gio ordinario: causa iniziale, libertà, bene, perfezione.",

La Causa iniziale della Perfezione (khien-uyan) è, diceTzu-hi, il Grande Principio da cui discende la virtù del'cielo; è soprattutto l'onnipotenza di questo principio chesi considera; in essa sono potenzialmente incluse la Volon-tà e la Forza. Il principio essendo attivo, la possibilitàdella nascita di tutti gli esseri ne costituisce la potenza ela grandezza; ed è questa grandezza a costituire l'inizio.L'inizio dell'Essere è il punto di partenza del suo oggetto,ossia il principio di causalità, prima manifestazione della

2 Ogni qualvolta queste espressioni indicheranno una delle partidel tetragramma, saranno stampate in carattere corsivo.

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Perfezione, genesi del tutto e specialmente dei tre terminiseguenti del tetragramma. Inoltre, è il principio di causa-lità considerato nella sua grandezza efficiente, ossia laCausa Universale. Quindi la Libertà non è altro che lalibera espansione: il Bene e la Perfezione non sono se nonla' giusta conseguenza. E' contemporaneamente la purezzadella sostanza, l'universalità della causa e l'infinità del-l'effetto. Tale è la dottrina metafisica. Dal punto di vistacosmogonico, è la posizione (constatazione) della possibi-lità dell'Universo.

Vi sarebbero qui - e qui come altrove ci si renderàconto ben presto di quanto diciamo - volumi di dedu-zioni e di considerazioni da riempire. Noi non ne abbiamoné l'agio né l'opportunità: più che altro, non abbiamoaffatto il gusto di tali cose. E' nello spirito del lettore, ri-petiamolo una volta di più, che queste deduzioni e questeriflessioni devono avvenire. Noi qui lo costringiamo a nonessere un lettore ordinario, ma a essere un attento studio-so. Bisogna, come dice la tradizione, che egli sia, per lasua personale educazione, il suo proprio maestro e il col-laboratore delle sue' guide. Il lavoro che noi, volontaria-mente, gli lasciamo da compiere, è una sicura garanzia diquesta collaborazione indispensabile e della fruttuosa ec-cellenza delle sue disposizioni.

Così la causa iniziale è il primo attributo della Perfe-zione (Khien) e c'è identità fra la Perfezione e la causainiziale. Dalla causa iniziale escono potenzialmente tuttigli universi, che vi sono contenuti in germe. Si faccianoaderire per bene fra loro questi due princìpi: se ne dedur-rà l'impossibilità metafisica dell'esistenza del male di persé. Vedremo delle moltiplicazioni, delle divisibilità, delledivisioni; quindi, delle insufficienze, degli oscuramenti og-gettivi, delle assenze relative. Ma in nessun modo vedremoil male come principio. Dappertutto, come prova del no-stro dato metafisico, riconosceremo che esso non esiste.E così, insieme con questo vergognoso dualismo, conquesto errore funesto, con questo malinteso iniziale, scom-paiono tutti i sistemi inventati per abolirlo e tutte le re-pressioni celesti immaginate per castigarlo.

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In ciò non""vi è paradosso. Noi crediamo di vedere ilmale nelle cose di cui soffriamo: è una prova del nostroegoismo; è anche un indizio della nostra insufficienza. Ilmale non esiste se non nell'idea che noi ce ne facciamo,nella fede che ad esso prestiamo: esso non esiste che innoi. E vediamo il male relativo laddove siamo incapaci divedere un anello della catena del Bene universale. Ognierrore proviene dunque dalla nostra insufficienza e dallanostra incapacità. Questa insufficienza è dunque dovutaalla nostra relatività, ossia dalla nostra forma, ossia dallanostra divisione analitica, ossia dalla molteplicità degliesseri. Vedremo che questa molteplicità scorre continua-mente, che è nel tempo, che è oggettiva. Tutte le concezio-ni che nascono nell'ambito di essa e sul suo piano nonsono quindi Idee pure, né aspetti della Verità.

Sono fugaci, instabili, erronee. Fra esse, la concezionedel male è la tipica concezione dell'insufficiente stato dicoscienza in cui ci troviamo. E per precisare metafisica-mente uno stato mentale che è pericoloso solo perché ègeneralmente diffuso, bisogna dire che la nostra concezio-ne dell'esistenza del male è creata unicamente da questonon-senso intellettuale e da questo errore fondamentale checonsiste nell'attribuire inconsapevolmente a ciò che è og-gettivo e relativo il carattere e le funzioni di ciò che èsoggettivo e assoluto 3.

Applicata all'umanità esistente, la causa iniziale, qualene abbiamo sviluppata l'espressione metafisica, non è al-tro se non l'Idea di Vita, principio in virtù del quale .gliesseri sono generati. « L'idea di vita - dice Tzu-hi -è appunto l'umanità (Jen) nel senso di Solidarietà dellaspecie », Questa parola Ien, che al pari della perpetuità im-

3 Parleremo più diffusamente di tale argomento nello studio sulconfucianesimo. Ma ripresentiamo qui un paragone grossolano, medio-cre e tuttavia bene azzeccato. La luce esiste; la vediamo; le tenebrenon esistono. C'è più o meno luce. Non c'è l'oscurità. Nelle notti piùprofonde c'è un termine di paragone con le notti meno profonde. Que-sto termine di paragone è appunto la luce che sussiste, diffusa, anchenella maggiore opacità. Ma le tenebre assolute non esistono; anzi,esse sono inconcepibili, poiché potrebbero esistere solo se non fosserovisibili vale a dire se sfuggissero all'unico senso che è in grado diconoscerle; e questo è un non-senso nel dominio oggettivo.

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plica la comunità dell'esistenza degli esseri, è la parolapiù ripetuta, anche nella conversazione ordinaria.

Tutti coloro i quali hanno percorso la Cina notano constupore come questa nozione impersonale, sottile e con-traria all'individualismo, sia presente nell'anima di ogniCinese 4. Non bisogna tuttavia credere che si tratti di unfatto legato semplicemente alla consuetudine, senza con-sacrazione effettiva.

Data la sua abitudine alle applicazioni reali, il Gialloha dedotto da questa nozione la più alta conseguenza im-mediata, quella della solidarietà umana, di cui Jen è diven-tato l'espressione diretta e a cui si riconnettono quotidia-namente e dappertutto i precetti della fratellanza, come ilprimo e il più naturale dei doveri.

E' così che da un dogma metafisico, disceso sul pianopsicologico e messo in pratica sul piano sociale - in unmodo così continuo che tale pratica è divenuta un'abitu-dine e una necessità -, derivano la relativa prosperitàe la feconda stabilità del popolo e delle istituzioni. Sareb-be interessante provare la constatazione di questa veritàapplicata fino a questi ultimi corollari e mostrare in essauna soluzione originale, ma il più possibile semplice eperfetta, dei problemi sociali che sconvolgono così sconsi-deratamente l'Occidente contemporaneo.. Ecco con;e parla la Tradizione a tale proposito 5: « Se,

riguardo alI Idea della vita, ci vengono presentati i malialtrui, la pietà si fa subito strada; se si tratta della re-pulsione ispirata dal vizio, il dovere si eleva; se si trattadella modestia, emergono la correttezza e l'osservanza deiRiti; se si tratta del pro e del contro, si fa strada laragione »,

Queste alternanze, così presentate, forniscono la spie-gazione delle conseguenze logiche e meravigliose che se nededucono in maniera ovvia. Le studieremo nel momentoin cui ci accosteremo alla filosofia confuciana; ma chiaria-

4 Se ne possono rintracciare degli esempi considerevoli nella CitéChinoise di M_ G.-E. Simon, console di Francia in Cina [« NouvelleRevue », 1885).

5 Tzu-hi, Argomenti di dissertazione.

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mo subito che la guida del popolo e dei cittadini vienededotta nella maniera seguente: essendo riconosciute lenecessità dell'esistenza e della coabitazione degli esseri,nonché le necessità della connessione degli interessi, vieneapplicato il medesimo principio, che si trasmuta, secondole singole particolarità, in qualità specifiche, le quali hannotutte per base essenziale la virtù del tetragramma. Così ilsapiente determina la propria azione apprezzando le og-gettività materiali e sociali attraverso il soggettivo scien-tifico e metafisico. E' dunque dal Jen (o Khien uyan so-ciale) situato dinanzi agli stati della vita umana, che di-pendono la nascita e l'esercizio delle qualità che rendonol'uomo buono, ossia felice.

Mentre il primo termine del tetragramma indica « l'Ori-gine o dono dell'essere», il secondo termine (heng) espri-me la «Libertà dell'azione del cielo». Gli esseri, dice ilgrande commento, cominciano a entrare nella correntedella forma. Non c'è distinzione fra loro, ma essi colgonoprima l'esistenza uniforme, poi le forme esterne che lidistingueranno ai nostri occhi. Vi è dunque un'esistenzauniforme, poi delle esistenze multiformi; quanto all'esi-stenza informe, essa non viene qui menzionata, poiché essasta appunto nella perfezione. E può essere menzionata sol-tanto nella perfezione. E' l'Eternità. L'esistenza in sé nonfa parte, e non può logicamente far parte di nessuna spe-cie di creazione; non si può supporre, senza cader nel-l'assurdo, una «generazione spontanea » sul piano meta-fisico e forse anche su un qualunque altro piano .. La« radice» dell'Universo è eterna e quindi ineluttabile; tuttociò che esiste, esiste al di fuori delle forme. Qui ri-splende come un assioma questa verità così spesso ottene-brata e misconosciuta: tutto ciò che è immortale èeterno.

Se non significasse usare un termine improprio peresprimere l'immagine falsa d'un'idea giusta, si potrebbedire che questa «Libertà» rappresenta l'istante della vo-lontà creatrice che precede immediatamente l'istante dellacreazione effettiva; fra il primo e il terzo termine del te-tragramma, il secondo è umanamente impalpabile, ma ne-cessario alla logica dei concetti.

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"T -

Un paragone un po' rozzo farà meglio risaltare il valoredel simbolo: l'acqua d'un canale, trattenuta da tre latida pareti di pietra e dal quarto lato dalle porte d'unachiusa, è stabile e immobile. La chiusa improvvisamentesi apre, l'acqua cambia d'equilibrio e cade improvvisa-mente nel canale inferiore. Ora, si può supporre che laparete della chiusa venga tolta in un istante matematico;questo istante non è quello in cui l'acqua comincerà al'correre, ma lo precederà, anche se di pochissimo: l'acquainfatti cade solo perché l'ostacolo è scomparso e l'effettonon può mai coincidere esattamente con la causa che loproduce. Vi è dunque un momento impercettibile e fuga-ce in cui l'acqua non è più in equilibrio, ma nemmenocade: essa sta per cadere, nient'altro. E' il momento che,nel tetragramma della Formazione dell'Universo, costitui-sce la Libertà (heng) fra la potenzialità della volontà crea-. trice e l'apparizione delle forme.

Ma sul piano geometrico questo momento, che è con-temporaneamente un luogo geometrico e uno «stato dicoscienza universale ", è illimitato. Se esso ci appare bre-ve e impossibile a essere colto, è solo perché la forzache lo riempie ci è inintelligibile e i nostri sensi impo-tenti confondono, a questa altezza, le nozioni dell'esseree del tempo, liberate dalle. imperfezioni dell'~zione.

Il terzo termine (li) e il quarto termine (ceng) del tetra-gramma - bene, perfezione - appaiono immediatamenteconnessi. Il terzo termine esprime la modificazione chela forma apporta agli esseri; il quarto termine esprimeil vantaggio che deve risultare da questa modificazione, secoloro che la hanno ricevuta si conformano ciascuno allapropria via: «La via dell'autorità - dice Tzu-hi - è lamodificazione e la trasformazione progressiva; la trasfor-mazione è il compimento perfetto (o la fine) della mo-dificazione ».

Prima del terzo termine, la creazione, allo stato voli-tivo, era identificata con l'Essere (volontà creatrice, Per-fezione attiva, Khien) e non era uscita da lui; dopo ilterzo termine, essa è sempre l'Essere (Khien), ma passatonella corrente delle forme e quindi nei differenti esserieh noi conosciamo. Il vantaggio che deriva dall'apparizio-

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ne delle forme;' secondo la volontà del cielo: ecco ilquarto termine.

«L'opera della creazione - dice Tzu-hi - è la ragiond'essere della vita », Difatti la vita non è un corollarioinevitabile, ma solo una variante, un accidente della crea-zione 6. L'atto creativo non comporta affatto, quanto menoessenzialmente, il dare la vita, poiché a causa della Perfezio-ne attiva (Essere in sé) non c'è spazio per un'esistenzaanaloga e parallela; dare la vita è una grossolana tradu-zione di creare la forma. Una delle forme in cui l'Esseree gli esseri trascorrono può essere la vita, così come laintendiamo noi terrestri. Ma questa non è che una soladelle innumerevoli forme della creazione (modificazioni).Dunque la creazione non comprende soltanto tutti gli es-seri viventi: essa comprende anche tutti i non-viventi, va-le a dire tutte le forme. Notiamo dunque, di passaggio,che la coscienza non è affatto inerente alla vita.

La forma è il mezzo diretto della modificazione; latrasformazione è lo scopo definitivo, ossia la reintegrazio-ne fuori dalle forme (unità). E' seguendo questa via eraggiungendo il suo coronamento, che la volontà del cielosi compie e il quarto termine del tetragramma si rea-lizza.

Il sapiente Shi-ping-weng ha espresso in maniera pre-cisa, assai rara in Estremo Oriente, tutta l'opera compre-sa nel tetragramma. «La modificazione - egli dice -è il meccanismo che produce tutti gli esseri; la trasforma-zione è il meccanismo in cui tutti gli esseri vengono as-sorbiti ». Qui c'è tutta la genesi orientale. Non c'è crea-zione (nel senso meccanico e materiale che ordinariamentesi collega a tale espressione); c'è invece produzione degliesseri mediante modificazione dell'Essere, nient'altro; unamodificazione costituisce il momento presente, del qualenoi vediamo una particella infinitesimale nella vita terre-na; la trasformazione indica il ritorno degli esseri in modi-ficazione nell'Essere immodificato, ed è essa il meccani-smo che presiede a tale riassorbimento. La via del cielo

6 Si vedano gli intuitivi occidentali: E il male chiamato vivere èfinalmento vinto (E. Poe).

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comprende dunque, contemporaneamente, l'emissione nel-le forme e il ritorno fuori dalle forme.

Dal punto di vista umano, la morte è dunque uno deimomenti della creazione, senza che si possa affermare seessa sia l'anticamera della trasformazione o solo unamodificazione che, nella continuità normale dell'attività, se-gue immediatamente la modificazione della vita.

Dal punto di vista del « movimento» secondo la volontàdel cielo, il testo di Shi-ping-weng stabilisce il principiodell'involuzione e dell'evoluzione, non forse nel senso didiscesa e risalita, né esplicitamente nel senso di disinte-grazione e di reintegrazione, ma nel senso di «viaggio aldi fuori e ritorno all'interno» attraverso la corrente delleforme, la cui sorgente e la cui foce si confondono Ce ciònon ha affatto, per immagine matematica, una circonfe-renza).

Ora, modificazione e trasformazione comportano, findall'emissione della volontà del cielo (causa iniziale), tuttii fenomeni, materiali o imrnateriali, della creazione: laprima modificazione è l'inizio dei fenomeni, mentre ilcompimento della trasformazione, mediante il compiersidell'ultima modificazione, è l'obiettivo, il fine della crea-zione. Tutto ciò è compreso nel terzo termine del tetra-gramma; e la successione normale, conforme alla causainiziale e alla Libertà, delle modificazioni e trasformazio-ni (3° termine) produce la perfezione W termine), previstanell'opera del cielo.

Il 4° termine è dunque l'emanazione immediata, e comeimminente, del 3° termine non impedito; vale a dire che,sul piano umano, l'uomo non ha che da svilupparsi se-guendo la propria via, perché sopraggiunga la felicità.E' per questo che si dice che i due ultimi termini dellaformula sono intimamente legati l'uno all'altro e devonoessere studiati insieme.

La conseguenza delle parole di Shi-ping-weng è eviden-te e voluta; essa è d'altronde esplicita nei testi degli altricommentatori; dopo il compimento perfetto della trasfor-mazione, avvenuto l'assorbimento delle modificazioni, viè ritorno all'inizio della formula, cioè prima della causainiziale. Ora, siccome tutti gli esseri tornano alla Perfe-

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zione attiva (khien) e questa è essenzialmente l'Attivitàdel cielo, la Via che ha fatto attraversare i termini dellaformula esiste sempre ed esisterà eternamente. Abbiamodunque I'inizio di un nuovo ciclo, che si modifica e sitrasforma come abbiamo visto nel caso di un qualsiasiciclo; ma non è detto in nessun luogo che gli stessiesseri debbono scorrere nella stessa parte della correntedelle forme. Trasportata sul piano umano, questa veritàafferma che le forme sussistono, modificate e trasforma-te dal medesimo meccanismo, ma gli esseri formali nonpossono avvalersi delle loro forme passate o presenti perpresagire le loro forme future; ovvero, la creazione nonmuta, ma le parti formali che ce la rivelano sono oggettodi cambiamenti o, se si preferisce, di progressioni; l'es-senza permane una sola, sotto apparenze diverse, nell'eter-na successione dei cicli, così come era una prima che lacausa iniziale dischiudesse alle forme dell'Universo leporte della Via.

Consideriamo la formula con rigore matematico e di-ciamo che la trasformazione viene concepita come unultimo ciclo, che i quattro termini del tetragramma ol-trepassano senza assolutamente uscire dal seno della Per-fezione. Giungiamo così alla verità totale circa i destiniultimi dell'Universo e dell'Umanità, suprema e trionfanteapplicazione della Tradizione Primordiale.

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CAPITOLO SESTO

LE LEGGI DELL'EVOLUZIONE

Alcune considerazioni svolte nelle pagine precedentihanno già potuto far prevedere in quale senso dovevarisolversi questo problema dei destini dell'Universo e, al-l'interno di essi, il destino della nostra umanità presente(destino totale di ciò che, nella modificazione attuale, portail nome di umanità), problema che non è fra i più con-siderevoli, ma che, dal nostro personale punto di vista, èil più interessante.

L'attività metafisica della Perfezione (khien) si estendea tutto; i nostri destini ne derivano come una direttaconseguenza. Rigorosamente come le forme dell'Universo oaltri concetti o entità, la nostra sorte è regolamentata dal-la Via universale e dalla simbolica salita dei Draghi, allacui applicazione nulla sfugge.

Ma consideriamo subito in quale maniera generale dob-biamo intendere i destini dell'Universo, e come la preoccu-pazione della nostra esistenza terrena, di ciò che la pre-cede e di ciò che immediatamente la segue, non sia senon una preoccupazione particolare: una specificazionedella questione tale che né l'idea né il termine stesso diquesta esistenza meritano di figurare nell'esposizione ge-nerale, e in effetti non vi figureranno.

Vi è in ciò un'applicazione particolare che studiere-mo a parte, poiché noi dipendiamo oggi dalla stasi uma-na; ma si tratta solo di un aspetto minore del problema,un aspetto che non merita sviluppi speciali e che qui lideve solamente alla soddisfazione che ci crediamo tenutia dare alla naturale curiosità dell'essere umano circa lafine immediata della sua modificazione attuale e circa ilsuo passaggio alla modificazione successiva, al di fuorie al di sopra di questo stato umano.

Ripetiamo dunque adesso con maggior vigore ciò cheè stato rapidamente abbozzato in precedenza: l'atto crea-

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tivo non comporta espressamente e ineluttabilmente l'attodel dare la vita (terrena, o analoga alla vita che noi ve-diamo su questa terra). Dare la vita è una delle traduzionidi «scorrere nella corrente delle forme»: una delle for-me nelle quali gli esseri trascorrono può benissimo esserela vita quale noi esseri terreni la intendiamo, ma essaè solo uno degli innumetevoli aspetti delle nostre modìfi-cazioni; la vita non è dunque un corollario indispensa-bile, ma solo un accidente della creazione.

Bisogna dunque fare attenzione, in rapporto a ciòche segue, a trascurare le impressioni e i sentimenti de-rivanti dal nostro attuale stato di coscienza e a riferirei ragionamenti alla successione delle forme nell'esistenzagenerale, anziché all'esistenza particolare sotto una solaforma. Solo così si potrà perfettamente comprendere ilvalore del sistema dei Magi cinesi e si coglierà la loro so-luzione in tutta la sua sintetica ampiezza.

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Lo abbiamo visto: la Perfezione è attiva; la sua attivitàè senza fine, libera (cioè consequenziale al suo principiodi causalità) e buona (cioè regolare e armonica). Così tuttii destini (passati, presenti, futuri, beninteso, poiché quila parola «destino» non implica la nozione di avvenire),tutti i destini dell'Universo si compongono dell'attività,della perpetuità, della causa e dell'armonia.

L'Umanità è una delle forme della corrente lungo laquale gli esseri trascorrono (attività) differenziandosi dal-·l'Essere, formalmente e non essenzialmente. Essa è dun-que uno degli aspetti della Perfezione passiva e una dellemodificazioni attraverso cui l'Universo tende alla tra-sformazione, ossia al meccanismo della reintegrazione. Co-sì la Perfezione è la generatrice dell'Umanità (causalità),come la materia una - e di conseguenza eterna e senzaforma - è la generatrice della materia divisibile, diversae temporanea. Sono, queste, modalità oggettive della sog-gettività .. L'umanità.. considerata ancor prima della sua origine

e anche dopo la sua morte terrena, è, con grande pre-

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cisione metafisica, una delle Forme dell'Universo (e l'uma-nità terrena è una delle modificazioni di questa forma).Allo stesso titolo e né più né meno di tutte le altre, senzala possibilità del minimo trattamento speciale, questaforma esce dalla Perfezione grazie al Principio della cau-salità efficiente, attraversa tutte le modificazioni e giun-ge alla trasformazione con cui reintegra la Perfezione.Nessuna forma sfugge a questa legge generale, ecco l'Armo-nia; è l'armonia della Via, del Tao, di cui troviamo qui laprima e perfetta definizione, che studieremo a fondo nelsistema filosofico di Lao-tze 1.

Precisiamo, in parole povere, questo dato ineluttabile:l'Umanità viene dall'Infinito; l'Umanità rientra nell'Infini-to. Dovremmo anzi dire che non lo abbandona mai, e chetutte le modificazioni si producono lungo l'Infinito: nonè solo la legge del'Armonia a volerIo, ma il semplice buonsenso. Infatti, se una particella dell'Umanità non seguissele altre particelle di questa forma in tutte le loro modi-ficazioni e nella trasformazione finale e comune di tuttol'Universo, questa particella uscirebbe dall'Infinito, esi~sterebbe al di fuori dell'Infinito, si situerebbe accanto al-l'Infinito. Ora, se è talvolta possibile uscire numericamen-te dall'Infinito matematico, non si può uscire, essenzial-mente, dall'Infinito metafisico, perché verrebbe annullatala nozione e l'idea stessa di tale infinito. Questa dimostra-zione per assurdo potrà non soddisfare interamente la per-spicacia; essa rimane tuttavia incontestabile.

Noi siamo tutti quanti come i punti della superficiedi un cilindro, che possono in apparenza appartenere auna retta o a un piano tangenti a tale superficie, ma chetuttavia fanno parte integrante non solo della superficie,ma del volume del cilindro, in quanto funzioni di questovolume.

Noi tutti, forme visibili e invisibili dell'Universo, ema-niamo dall'Infinito: non possiamo uscirne e siamo ad esso

1 Sarà bene far notare fin d'ora che la dottrina di Lao-tze è diret-tamente uscita dal Yi-king e dalla Tradizione Primordiale.

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sempre legati' dall'essenza; dopo le forme, resteremo inquesto Infinito, del quale non cessiamo mai di essere mole-cole inafferrabili, infinitesimali, ma imperativamente ne-cessarie.

Questa dottrina è stringente come un assioma e nessu-na rivelazione potrà mai pretendere di imporre uria cre-denza contraria; nessuna arguzia, tratta dal valore delleconseguenze, può prevalere contro questa verità, così lam-pante che la sua dimostrazione stessa è per così dire im-palpabile.

** *

lo non voglio qui fare discussioni; tuttavia c'è un pun-to che bisogna chiarire, non tanto per compiere l'inutilesforzo di convincere degli avversari risoluti a esseretali per sempre, quanto per determinare l'esitazione dicerte coscienze. La dottrina che abbiamo esposta non èuna dottrina panteista. E' questa l'obiezione che la scien-za, la coscienza e le religioni occidentali fanno, con facile-facondia, a proposito delle tradizioni sacre dell'India; i se-guaci di questa tradizione non hanno indubbiamente al-cuna difficoltà a difendersi. da un attacco del genere,passionale e privo di ragione. Ma, per quanto ci concer-ne, non ci lasceremo arrestare per un solo istante daquesta accusa grossolana e vogliamo prevenirla e confon-derla immediatamente.

Noi non siamo panteisti, non abbiamo il diritto di di-chiarare che siamo Dei, così come il braccio disperso dellaVenere di Milo non ha il diritto di dichiarare di essere laVenere di Milo. L'Universo non ha che la propria Essen-za; la materia non ha che il proprio sostrato; vi sono purela natura e la qualità; e col sostrato, ecco gli aspetti dellatriade metafisica, vera quanto le esistenze della Trinitàterrestre o le ipostasi della Trinità celeste. Torneremo suquesto punto quando dovremo trattare della psicologia. Cibasti sapere, per ora, che la triade metafisica non è affat-to la Trinità celeste, ancor meno l'Unità Divina, e che nonequivale al dire di esser Dia il dire che si rientrerà nel se-no di Dio, altrimenti tutti i cristiani sarebbero i panteisti

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più rozzi. Nella triade metafisica, solo l'Essenza si avvaledella Perfezione; ma la natura e la qualità dipendono dallacorrente delle modificazioni; come queste ultime, esse sonotemporanee e proteiche e non possono dunque per nullaappartenere all'Infinito; gli esseri di cui esse sono con-dizioni e funzioni contingenti, ma obiettivamente indispen-sabili, non potrebbero confondersi con l'Infinito.

Così parliamo per un momento il linguaggio occiden-tale; ché qui esso si addice perfettamente al dogma orien-tale e diviene, per così dire, linguaggio universale. Quelloche ci distingue da Dio non è l'essenza, poiché noi siamod'essenza divina (e il cristianesimo stesso ammette e pre-dica questa derivazione); sono invece la natura e la qua-lità, rispettivamente secondo e terzo termine della triademetafisica. Questa natura e questa qualità sono appuntoappannaggio degli esseri trascorsi nella corrente delleforme; sono questi termini che, nella successione delle mo-dificazioni, precisano la forma. Si può dire che ai nostriocchi sono essi stessi la forma. Ma che cos'è dunque laforma? La forma, geometricamente (e filosoficamente) par-lando, è il contorno: è l'apparenza del Limite.

Limite e forma: ecco che cos'è che ci determina, cispecifica, ci divide. Questa divisibilità all'Infinito che è iltrascorrere nelle forme, ecco che cosa ci separa da Dio.Fra Dio e noi c'è il Limite, ossia ciò che specificamentedetermina ogni creazione. E fra Dio e noi non c'è altroche il Limite, poiché, se quest'ultimo venisse soppresso,ogni creazione scomparirebbe e non resterebbe se nonl'Unità Universale.

Consideriamo profondamente questo teorema; esso con-tiene tutta quanta la spiegazione dell'Universo, se voglia-mo ricordare che il Limite o le Forme, o la Corrente delleForme (tutti parliamo qui lo stesso linguaggio) non com-porta soltanto, come pensano i bambini, i lineamenti oi contorni, ma anche le funzioni di peso, di volume, didensità e tutte le nozioni e percezioni che costituiscono ledifferenzi azioni superficiali e apparenti delle molecoledella Materia.

Abbiamo qui volontariamente usato una terminologiadavvero inferiore; ma lo abbiamo fatto per rendere più

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incisiva quella che è la più essenziale fra le verità intelli-gibili all'uomo.

Questa dimostrazione ci determinerà immediatamentenello spirito di coloro che vogliono dappertutto delle clas-sificazioni, dei generi e delle specie e pensano che gliuomini di scienza debbano venire incasellati nei capitolie nelle formule. Noi non siamo affatto dei panteisti; an-cor meno siamo dei « naturisti ». Ma, a eguale distanza -dai mistici puri, i quali riconoscono unicamente il mi-stero, e dai materialisti, i quali ammettono unicamentel'esperienza dei cinque sensi umani, noi siamo degli idea-listi positivi.

Noi sappiamo che la nostra ragione e il nostro intel-letto si riconoscono imperfetti; malgrado ciò, nel control-io che essi esercitano sulle percezioni e le sensazioni con-nesse alla nostra forma umana, noi riconosciamo di nondover accettare, come fanno invece i materialisti, quelleche l'esame dei nostri sensi dichiara essere verità o prove;anzi, siamo costretti a dichiarare che queste verità equeste prove contingenti non potrebbero essere delle realiverità e prove, per la precisa ragione che esse appaionotali a strumenti limitati e a registratori insufficienti.

Ma, non più che alle esperienze dei nostri sensi, noinon potremmo affidarci a priori e interamente alle affer-mazioni della nostra ragione. Infatti il primo effetto delnostro ragionamento è di dimostrarci la limitatezza e l'in-completa dilatazione della nostra ragione. Quest'ultima èlimitata proprio per il fatto che si trova ad agire su diun essere che è in modificazione, nella corrente delleforme, vale a dire nel limite. Noi non dobbiamo insor-gere contro ciò che i materialisti chiamano !'intelligibile erespingono come tale. Non vi sono cose inintelligibili: visono solo cose attualmente incomprensibili. E, dal mo-mento che sappiamo di non essere perfetti, di trovarci adun grado indeterminato ma non superiore dell'evoluzione,sappiamo di non poter essere universalmente comprensivi.Il nostro intelletto è al livello ciclico delle altre parti delcomposto umano; di conseguenza, lungi dal respingere l'in-comprensibile, dobbiamo dichiarare che, nella condizionepresente della nostra stasi, un incomprensibile apparente

è filosoficamente necessario e che la presenza di questoincomprensibile relativo è un criterio - il migliore - perriconoscere che stiamo camminando verso la verità. Eccoperché non siamo affatto materialisti e come, invece, sia-mo essenzialmente idealisti.

Non nutriamo però, nei confronti di queste nozioniastruse, una fede da carbonari. E su queste astrazioni,misteriose al momento presente, ci rifiutiamo di costruirequalunque sistema psicologico, qualunque regola morale,qualunque religione sentimentale. L'ignoto non ci riempiedi speranza o di scoramento, ma solo di curiosità e diardore. Sentiamo, anzi, sappiamo che non c'è nulla di te-mibile nell'ignoto, perché il suo mistero non sta in esso,ma unicamente nella nostra contingenza, sicché si trattadi un mistero relativo, destinato a essere penetrato da noiil giorno" in cui l'organo (che è oggi il nostro occhio fi-sico) sarà sublimato fino a raggiungere l'altezza della pro-pria visione. Tutto quanto il nostro spirito deve tendere a«diminuire le distanze », ossia a veder scomparire il li-mite. Noi non pieghiamo le ginocchia davanti al mistero;noi eleviamo fino ad esso il nostro intelletto. Un giornosaremo trasmutati nel mistero stesso; fin da oggi, possia-mo soltanto ridere dei terrori e delle minacce che ven-gono diffusi in nome suo. Malgrado tutto, pretendiamoche questa audacia sia il modo migliore per arrivare allaconoscenza e che, anche nella dottrina cristiana (che cisi vuole spacciare per la dottrina dell'inginocchiamento),il cielo appartiene ai violenti. Tentare di penetrare il mi-stero è il solo modo di cui le nostre intelligenze dispon-gano per onorarIo. Non onora il padre colui che gli volgeil dorso nel timore del suo viso e del suo sguardo. Nonedificare alcunché sul mistero, ma stringerIo per compren-derIo, nella consapevolezza che i nostri sforzi, incapaci disuccesso nel nostro stato attuale, ci sono valutati attraversole nostre modificazioni successive per la trasformazione fi-nale: questa è la nostra regola.

Ecco in che cosa non siamo affatto mistici, ma risolu-tamente positivi. E questo metodo non ha nulla di oppo-sto alla nostra dottrina idealista. Anzi, la installa meglionel nostro spirito. E pensiamo che, siccome ciò si produce

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l*rtutti i giorni neiprogressi indefiniti della scienza (dalla ra-na di Volta fino alle onde elettriche solari), i progressiindefiniti dell'Umanità, che cambierà di nome, di natura edi qualità e conserverà solo la propria Essenza, attraversotutte le modificazioni cui essa tende, la metteranno al li-vello di tutte le incognite, la cui modificazione finale è didiventare degli assiomi.

Così l'Universo passa, fino alla trasformazione definiti-va, per tutte le modificazioni che la corrente delle formeattraversa. Determiniamo le leggi di questa corrente. Essesono conformi ai princìpi di attività, di armonia e di benenei quali si manifesta la Perfezione, nella formula tetra-grammatica di Wen-wang. E noi dobbiamo applicare que-sti princìpi alle leggi della corrente delle forme per preci-sarne i dati e gli elementi, con un'esattezza improntata piùallo spìrito :matematico che a quello filosofico.

Gli esseri si muovono, evolvono; questo è il corollariodel principio iniziale, la causalità, che è la manifestazioneunica della Perfezione, vale a dire la volontà del cielo.E' possibile concepire un loro arrestarsi? No, perché perprovocare un tale arresto bisognerebbe supporre una vo-lontà del cielo contraria a quella che li tiene in movimen-to ed è anormalmente impossibile che il cielo manifestidue princìpi contrari l'uno all'altro. Ed è così che, siccomeil movimento esiste (ed è una cosa che non si può obiet-tivamente negare), il movimento esisterà sempre e puòessere così definito: Manifestazione Eterna della Perfezio-ne. In tal modo il principio di causalità è soddisfatto. Ma,affinché negli spiriti non sussista, nemmeno per un atti-mo, il minimo errore, diciamo che non bisogna confonderel'Eterno Movimento con una ({creazione eterna» o con un«eterno passaggio entro la corrente delle forme », De-termineremo altrove che cos'è l'Eterno Movimento e l'Eter-no Agire, ma sarebbe veramente puerile pretendere di dareuna direzione alla Totalità del movimento, o un moventealla Totalità delle azioni. E così è già possibile compren-dere, ancor prima della definizione, il fine ultimo cuiporta il principio di causalità.

Com'è che la legge dell'attività fa evolvere gli esseri?La continuità dell'evoluzione soddisfa soltanto la causa-

lità; l'attività vuole un'azione; un'azione, qualunque essasia, soddisfa l'attività; ma la ripetizione d'un'azione, qualeche sia, costituisce davvero un'azione? Noi siamo costrettia rispondere di no, perché, dal punto di vista dell'azionestessa, la sua ripetizione costituisce la monotonia; e dalpunto di vista dei motori dell'azione, vediamo che unastessa azione è generata dai medesimi motori, che agi-scono per un medesimo impulso e con la medesima for-za; la continuità d'un'azione non è dunque attività: al con-trario, essa è, dopo la messa in moto, l'immobilità delprincipio motore. Di conseguenza, il principio di attivitàè soddisfatto non da una sola azione, non dalla medesimaazione due volte o indefinitamente ripetuta, bensì da unaserie indefinita di azioni che sono dovute a motori diffe-renti e che quindi non possono essere assolutamente iden-tiche. Dunque, in nome del principio d'attività non si pas-sa due volte attraverso la stessa corrente delle forme. Eci è del tutto impossibile credere alla metempsicosi, quantomeno a quella metempsicosi brutale e grossolana che vie-ne ricavata con grande fatica dalle dottrine buddhiste epitagoriche, nelle quali essa non si trova affatto 2.

Al contrario, dopo avere esaurita una forma e tutte lecircostanze di una modificazione, noi passiamo ineluttabil-mente a un'altra modificazione, con la certezza logica chenon torneremo mai più a quella che abbiamo lasciata.

Come può il movimento continuo e vario accordarsicon la legge d'armonia, che è il terzo termine della for-mula tetragrammatica di Wen-wang? Notiamo fra paren-tesi che la legge d'armonia può essere soddisfatta solo daazioni varie, poiché non esiste armonia nella ripetizione:i rapporti armonici possono instaurarsi, al pari di quellialgebrici o quelli geometrici, solo fra quantità differenti.L'armonia viene soddisfatta dalle proporzioni (nel sensomatematico) delle variazioni; vale a dire, una forma qua-lunque è invariabilmente distante da quella che la precede

:I La legge delle rinascite è tutt'altra cosa. Ma noi vogliamo find'ora affermare che essa è reale e logica, con tutte le felici conse-guenze che l'umanità si attende da essa, tanto dal punto di vistadella sua fine che da quello della sua personalità.

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e da quella che la segue e tutte le modificazioni sonoinvariabilmente distanti le une dalle altre. Così, la seriedelle modificazioni può essere matematicamente tradottada una progressione (aritmetica o geometrica), progressio-ne che tende verso un «luogo metafisico » che non puòessere obiettivamente pensato raggiunto. In tal modo lalegge d'armonia si rende evidente. .

Quest'ultima ha un'altra conseguenza, che riguarda im-mediatamente gli esseri in modificazione. Si tratta dell'in-variabilità del senso e della successione delle modifi-cazioni attraverso cui passano tutti gli esseri. Infatti, comel'attività impedisce che si passi due volte attraverso lamedesima forma, così l'armonia impedisce che vi sianodiverse correnti di forme. In questa necessità logica noiesseri umani troviamo fin d'ora un pegno della fratellan-za dei nostri spiriti e del parallelismo dei nostri sfor-zi 3. L'unione è per ciò stesso indefettibile, ne conservinoo ne perdano il ricordo, fra coloro che nel corso di unamodificazione hanno unito le loro tendenze; questi esserisi troveranno analogicamente fianco a fianco nelle modi-ficazioni che sopravverranno.

Infine, la quarta legge vuole che il movimento conti-nuo, vario ed armonico sia benefico e conduca l'Universoalla Perfezione. La logica inflessibile dei magi cinesi ciporta qui alla più lucida visione dei nostri destini. Volutadalla Perfezione, determinata dalle conseguenze precise diquesta volontà, l'Evoluzione non può che essere buona enon può che produrre un risultato eccellente per gli esseriche sono sua materia. Non c'è, ricordiamolo, alcuna rein-tegrazione al di fuori della Perfezione. Fuori della Perfezio-ne non c'è né luogo né fisica né geometria né metafisica.Non vi è dunque altro che la felice reintegrazione finale.Tale è la necessità della quarta legge. Ma, se coniughiamoi suoi effetti con gli effetti della terza legge, noi conce-piamo immediatamente che non c'è differenza essenzialenella sorte degli esseri in modificazione, che non c'è spa-

zio per le cadute, quali che possano essere, perché essecontravverrebbero alla legge del bene, se fossero generali, econtravverrebbero alla legge dell'armonia, se fossero par-ziali e temporanee. Il passaggio degli esseri attraverso lemodificazioni dell'Universo è dunque un'ascesa regolare,continua, armonica e benefica; la Perfezione, di cui noisiamo particelle infinitesimali ed emanazioni continue, nonpotrebbe far sì che noi non partecipassimo a tale ascesa.

Ecco, esposte in maniera estremamente sintetica (chéi Cinesi hanno messo insieme dei volumi interi su taleargomento, e i filosofi dell'Occidente non mancherebberodi fare altrettanto), le generatrici dell'Evoluzione Univer-sale. Esse sono così caratteristiche, così ineluttabili, cosìprecise, che da una parte è impossibile a un intellettoumano leale sottrarvisi, mentre dall'altra, secondo il miglio-re dei metodi, ci sarà facile ridurre i Destini dell'Univer-so in un disegno geometrico: ci è stato facile ridurrein sei linee, senza sminuirlo, quello che l'Occidente chia-ma « l'incomunicabile Eterno» 4.

Il principio di causalità si manifesta attraverso il mo-vimento; ogni movimento, in meccanica, si traduce essen-zialmente. in una linea; essendo il principio d'attività ma-nifestato da una diversità indefinita, questa linea non puòessere una circonferenza né una linea spezzata: può esseresoltanto una linea dagli elementi iperbolici o parabolici,come quelle che le comete sembrano descrivere nello spa-zio, con le estremità che si allontanano all'infinito; questaipotesi presuppone, beninteso, che noi consideriamo unsolo piano dello spazio: ma il principio di armonia (chesoddisfa qui l'idea ciclica e simboleggia in tutti i puntil'idea del ritorno e il principio di reintegrazione), il prin-cipio di armonia vuole che le modificazioni si succedanoa intervalli uguali e siano ugualmente distanti le une dallealtre: così, ogni possibilità di una linea piana deve essereeliminata,· poiché vi sono, fra le sue diverse parti, deirapporti di distanza: la linea del movimento universale si

4 Ci sarà facile, più avanti, mostrare come il libero arbitrio dellaspecie umana si accompagni assai bene alle leggi generali fissatepiù sopra.

3 Torneremo su questo argomento, per trattarlo diffusamente, nelcapitolo sulle « condizioni dell'individuo ».

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inscrive dunque su una superficie tale che i rapportidi distanza fra i suoi elementi sono in progressione arit-metica, perché la legge di armonia sia soddisfatta. Infine,poiché la legge del bene esige che le modificazioni proceda-no in un'ascensione continua, gli elementi della figura sisovrappongono inevitabilmente e invariabilmente l'uno al-l'altro.

Le necessità della raffigurazione si riassumono dunquecosì: una linea (principio di causalità) indefinita, che nonpassa mai due volte per un medesimo punto (principiodi attività), determina delle curve e delle intersezioni disuperficie avvolgentisi le une al di sopra delle altre (prin-cipio del bene); una linea in cui tutti i punti di un ele-mento sono ugualmente distànti dai punti corrispondentidell'elemento superiore e dell'elemento inferiore (principiod'armonia).

Non c'è nessuna superficie che soddisfi a questi datiall'infuori dell'elicoide cilindrica; vale a dire, la linea delmovimento universale sarà appunto l'intersezione dell'elica(superficie) con la superficie laterale del cilindro rappre-sentante l'Evoluzione ciclica, lungo la quale si muovonotutti gli esseri. Beninteso, il cilindro dell'Evoluzione è rap-presentativo solo sotto il profilo dell'obbligo, che esso ha,nella nostra prospettiva, di intersecare la superficie inde-finita per ottenere l'elica: ma la superficie lungo cui siavvolge l'elica non ha luogo fisico né geometrico: essa puòa volontà essere trasportata all'infinito o essere suppostacome ridotta alla sola altezza del cilindro, di modo cheil raggio di base del cilindro è indifferente ed è, in realtà,uguale allo zero della metafisica dei numeri.

Il solo elemento dell'elica che rimane da determinare èdunque il passo, ossia la distanza che intercorre, lungol'altezza del cilindro, fra due punti corrispondenti dellasua curva (la curva compresa fra questi due punti costi-tuisce una delle rivoluzioni dell'elica, e tutte le rivoluzio-ni sono uguali fra loro); questo passo dell'elica è costante(principio di armonia) ed è il solo dato che non possia-mo determinare matematicamente, perché ci troviamo nelcorso di una rivoluzione e abbiamo perduto il ricordodel passaggio attraverso le rivoluzioni precedenti.

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Costruiamo questa seniplicissima raffigurazione: essadovrà soddisfarei integralmente. Attraverso un punto qua-lunque dell'elica tiriamo, sulla superficie laterale del ci-lindro, una parallela all'altezza del cilindro stesso. Noi de-terminiamo un momento dell'Evoluzione e una intera mo-dificazione.

L'Universo (tutti gli esseri), in virtù del principio dicausalità, è messo in movimento e lanciato lungo l'elicainscritta all'interno del cilindro (cilindro che, ripetiamolo,è ipotetico e rappresenta la manifestazione della volontàdel cielo, qualora la si supponga ferma per un istante,la quale volontà include tutti i movimenti usciti da essa).Consideriamo lo nel punto dato e supponiamo che questopunto sia l'inizio di una modificazione. Nel momento incui l'Universo entra in questa modificazione, se fosse ab-bandonato a se stesso seguirebbe una traiettoria rappre-sentata appunto dalla tangente all'elica nel punto dato.Ma esso è aspirato dalla volontà del cielo (principio di at-tività) e costretto verso il cielo (principio del bene): de-scrive dunque l'elica indicata, e il passo dell'elica è ap-punto la misura matematica della ({forza attrattiva dellaDivinità». Non c'è un modo diretto per apprezzare questamisura; la si potrebbe conoscere solo per analogia (prin-cipio di armonia), qualora l'Universo, nella sua modifica-zione presente, si ricordasse della sua modificazione pas-sata e potesse in tal maniera giudicare della quantità me-tafisica acquisita e quindi misurare la forza ascensionale.Non è detto che la cosa sia impossibile, dato che è facil-mente comprensibile; non si trova però tra le facoltà del-la presente umanità 5.

In tutto il percorso dell'Universo lungo la rivoluzio-ne dell'elica che raffigura la sua modificazione presente,gli elementi che lo reggono sono analoghi (armonia) enon-identici (attività) a quelli che lo hanno retto nellemodificazioni ulteriori. Lo studio della presente modifi-cazione dell'Universo può dunque, se ben intrapreso, pro-

~ Si vede in tal modo che quanti scambiano il cerchio per il sìm-bolo dell'Evoluzione si dimenticano, semplicemente, della causa prima.

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curare per analogia dati preziosi circa i destini (passati efuturi) di tutti gli esseri. E' questo un lavoro utile percoloro che saranno in grado di dedicarsi ad esso.

Giunto al termine della rivoluzione considerata nell'elica,l'Universo tende al termine della sua modificazione e pas-sa nella modificazione successiva, che è superiore, se-condo quanto esige il principio del bene. Ma l'elica è,dappertutto e in tutti i suoi punti, regolare; tra la fine diuna modificazione e l'inizio di quella che segue non vi èdunque né scossa né brusco cambiamento: il passaggio dauna modificazione all'altra avviene in maniera logica esemplice quanto il passaggio da una situazione a un'altraall'interno di una medesima modificazione: l'universo simuove sempre normalmente e con un movimento uguale(legge d'armonia). Il passaggio è insensibile; non vi è nulladi sorprendente né di doloroso.

L'Universo, dunque, passa nella modificazione seguen-te, dove occupa successivamente posizioni analoghe (armo-nia) su una superficie superiore (bene) dell'elica. Questomovimento dura così per tutto il corso dell'Evoluzione;sarà eterno? In altre parole, le modificazicni si succe-deranno sempre le une alle altre? e l'elica descriverà senzafermarsi mai le sue rivoluzioni nel cilindro senza basi?Anche questo è stato detto, e tale affermazione è statafondata sul principio secondo cui la volontà del cielo,avendo manifestato il movimento, non sarebbe in gradodi arrestarlo. Ma è completamente fuor di luogo conce-pire il movimento della volontà celeste come inerente alpassaggio da un luogo a un altro, ossia come uno sposta-mento, quale che sia il mondo in cui tale spostamentovenga considerato. Vedremo nel Libro di Lao-tze, esplica-tivo del Yi-king, che il «movimento celeste » si avvicinamoltissimo, sul piano metafisico, a ciò che sul piano delle-modificazioni chiamiamo riposo. Questa non è dunque unaobiezione seria.

Quand'è che si esaurirà la serie delle modificazioni?L'Universo che le percorre lo saprà quando saprà nonsolo la misura del passo dell'elica, cioè della forza attrat-tiva della Divinità, ma quando saprà la distanza che, sul-l'altezza del cilindro ideale, lo separa dalla Perfezione.

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Ma che importa se noi non possiamo attualmente sta-bilire questa determinazione, se sappiamo come la stabi-liremo più tardi, mediante l'apprezzamento di tali elementie l'acquisizione delle facoltà mancanti alla stasi umana?

Ancora una volta, la logica della matematica ci consoladella nostra insufficiente intelligenza.

Il ~ilindro simbolico intorno al quale si avvolge l'elicaevolutiva secondo il principio di attività sale all'infinito.Ora, le parallele si incontrano all'infinito, sicché la super-ficie laterale e l'altezza del cilindro si incontrano anch'esseall'infinito in un solo punto: il limite del cilindro è dunqueun cono. E' questa la figura che la matematica ci pre-senta quando consideriamo la fine delle modificazioni os-sia il momento della Trasformazione, vale a dire l'Idea dellaReintegrazione. E la matematica è qui assoluta di unaprecisione stupefacente. E' esattamente verso un l~ogo del-l'altezza del. cilindro (divenuto il vertice del cono), chec.o~vergono In un solo punto tutti gli elementi della super-fICIe laterale del volume e quindi l'elica che ivi si sviluppa:l'estremità ipotetica dell'altezza del cilindro è lo si èvisto, il centro d'attrazione della volontà del cielo; è dun-que esatto dire che, all'infinito, l'Universo evoluto si con-fonde. con la Perfezione. L'Universo non può, neanche ma-tematicamenm, passare altrove, né sfuggire alla Perfezioneattraverso un'altra corrente di forme. La reintegrazione inseno alla Perfezione è la sorte totale e inevitabile di tuttigli esseri.

Se spingia~o ancora di più il simbolo analogico pre-sentato dalla figura geometrica, si può presumere che do-po essersi confuso con la Perfezione, l'Universo se ne di-stingue di nuovo. Infatti un cono, anche se generato dalcilindro supposto all'infinito, comporta un'altra termina-zione conica, contrapposta alla prima rispetto al vertice· ecosì l'Universo si muoverebbe lungo una nuova elica coni-ca. Nulla si oppone a questa verità matematica. Essa perònon può essere trasportata simbolicamente in metafisica.Infatti l'infinito matematico presuppone i numeri transfi-niti; più semplicemente ancora, a ogni istante delle discus-sioni algebriche si è portati a concepire una nozione aldi là dell'infinito. E' questa la miglior dimostrazione del

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fatto che l'infinito matematico non è l'infinito, ma è l'in-definito metafisico: la Perfezione celeste non risiede nel-l'indefìnìto, ma nell'Infinito: e se noi possiamo assumerel'indefinito come immagine dell'infinito, non possiamo ap-plicare all'infinito i ragionamenti dell'indefinito. Il sim-bolismo discende, ma non risale.

Salutiamo dunque con fiducia i disegni, ancora scono-sciuti, ma logici e intelligibili, della volontà del cielo; e nonnutriamo nessun timore circa il processo e la fine, inevi-tabilmente felici, dei Destini dell'Universo.

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CAPITOLO SETTIMO

I DESTINI DELL'UMANITA'

Se ci riportiamo al cilindro e all'elica emblematicidei destini dell'Universo, retti dalle leggi dell'Evoluzione,notiamo che i destini particolari dell'Umanità sono gover-nati dalle medesime leggi, in maniera ugualmente esatta eimprescrittibile, e che bisogna soltanto fare, nella stasiumana, un'applicazione logica e adeguata di questi leggi,per avere la soluzione dei problemi che inquietano più omeno la nostra specie.

Il ciclo umano è uno degli elementi dell'elica; è verosi-milmente una delle sue spire; e la vita può essere deter-minata come avente inizio e fine con la spira considerata,vale a dire come delimitata alle proprie estremità dalledue intersezioni della spira con la parallela all'altezza delcilindro, condotta attraverso un punto qualunque della suasuperficie laterale.

Questo corollario delle nostre proposizioni precedentimostra subito che il ciclo umano è un ciclo perfettamen-te normale, che la modificazione umana non ha fra lealtre modificazioni alcunché di sorprendente o di mera-viglioso e che non vi sono dunque soluzioni o trasformazio-ni particolari da applicare ad essa.

Infatti, bisogna notarlo con vigore, non c'è nulla distraordinario nell'umanità, così come nella sorte che laattende; la sola cosa straordinaria, è che essa non èsempre stata così com'è. Essa fa parte, nel suo luogonaturale, delle modificazioni dell'Universo; essa è uno deglielementi normali dell'Evoluzione. Nulla è stato ({creato »'

per l'uomo; nulla attende l'uomo in particolare; egli è ve-nuto donde tutto esce; va dove tutto ritorna; la stasi incui egli si trova non ha maggior importanza delle altre.

Noi gliene diamo una più grande, perché è in essa checi troviamo mentre parliamo; e questa è una cosa assaicomprensibile, se solo la consideriamo con una maggiore

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curiosità. Ma la nostra è solo vanità ingenua, se questacuriosità ci porta a reclamare per l'uomo un trattamentospeciale; bisogna che ci convinciamo - e ciò è difficile siaper il nostro orgoglio sia per coloro che cercano di ricavareda esso dei vantaggi - che l'uomo non si trova in unasituazione inferiore, che non si trova in una situazione pri-vilegiata, che è semplicemente così come deve essere; chenon è un essere particolarmente felice e non è un essereparticolarmente infelice, che non merita né le interiezionilaudative né le esecrazioni pietose, quelle con cui i testireligiosi lo hanno volta a volta annebbiato o sbalordito.

L'uomo è il solo ad avere un'anima, scrivono certi adu-latori, i quali cercano, al pari di tutti i loro simili, di trarreprofitto dalla loro piaggeria. Questa affermazione è pale-semente falsa, quanto quella che volesse attribuire il corposoltanto all'Uomo. E in realtà questa affermazione èfalsa, tanto nel suo significato generale quanto nella suapretesa. L'uomo ha certamente qualcosa che gli è pro-prio, come preciseremo più avanti: è la caratteristica stes-sa della stasi umana. Ma gli esseri modificati che ci se-guono e ci precedono posseggono al medesimo titolo le ca-ratteristiche post-umane e pre-umane e non hanno il di-ritto di inorgoglirsi, poiché è la legge di attività che hafornito loro tali caratteristiche, caratteristiche che essinon potrebbero acquisire successivamente.

Ma la caratteristica umana, non più di qualunque altra,non comprende nessun elemento presente esclusivamentenell'uomo. Si tratta di un composto le cui quantità si tro-vano nell'uomo in certi coefficienti, ma gli elementi conse-cutivi di esso si ritrovano in una o più stasi adiacenti; talielementi non sono dell'uomo; solo la loro associazione fal'essere umano.

Il disegno matematico ci mostra d'altronde un'elicaperfettamente regolare e coordinata; nessun punto è eccen-trico; tutti quanti sono regolari e consequenziali degli ele-menti generatori della figura; l'umanità è su uno di questipunti o, meglio, su una delle spire costituite da questi pun-ti. Essa è dunque interamente normale; essa non gode dellepreferenze della Divinità e noi dobbiamo relegare nell'ar-senale stantio dei nostri orgogli e dei nostri terrori gli

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elogi e le minacce che ci furono solennemente impartiti innome di questa situazione privilegiata: concezione folle ecompletamente contraria al principio dell'Evoluzione e allaPerfezione stessa.

Portiamoci sull'elica dell'Evoluzione a un punto dell'in-tersezione fornita dalla parallela all'altezza del cilindrosulla sua superficie laterale; questa parallela taglia tuttele rivoluzioni dell'elica; tra due punti di intersezione con-secutivi è figurata la spira dell'Umanità: il punto d'inter-sezione inferiore è quello dell'inizio della spira, nonchédella nostra osservazione attuale. E' il momento in cuil'Umanità nasce l.

Nasce, vale a dire proviene dalla modificazione prece-dente senza traumi né scosse, salendo dolcemente per lacurva, con un moto circolare continuo, dovuto alla forzaattrattiva della Perfezione. La legge di causalità è l'ori-gine di questa nascita e della perpetuità di questa nascita,almeno finché vi sarà una corrente di Forme: infatti laforma umana può confondersi nell'Universale:· e vi siconfonderà certamente; essa non può tuttavia perire nelsenso negativo che le nostre obiettività danno a questotermine grammaticale, vale a dire finirà dolcemente conl'espirazione della propria forma e con la sua sostituzio-ne da parte di un'altra, ma comunque non terminerà af-fatto, in pieno movimento, a causa di un brutale catacli-sma che venga a infrangere il corso uniforme del suo de-stino. Lasciamo dunque, e senza un più lungo sviluppo,che sarebbe davvero ozioso, la fine del mondo al buon reRoberto e 'la congelazione del nostro globo a Camille Flam-marion: queste ipotesi sono gratuite e, nel caso in cui lesi considerino come materialmente e fisiologicamente rea-lizzabili, esse non influirebbero per nulla sulla Formaumana né sui Destini dell'Umanità. Il globo terrestre, inquanto veicolo, potrebbe perire solo quando fosse dive-nuto inutile. In altri termini, l'umanità non perirà col pia-

1 Diciamo l'Umanità e non l'uomo in particolare. Qui studiamo l'uo-mo collettivo. E' il libero arbitrio della specie quello che dall'uomocollettivo trae gli individui.

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neta, bensì sarà il pianeta a perire quando esso non ser-visse più di teatro all'Uumanità. E tutte queste non sonoaltro che contingenze superflue e ridondanti.

La legge dell'attività spinge l'Umanità, fin dalla suanascita, lungo la spirale della sua evoluzione particolare;l'Umanità non resta mai immobile su un punto di questaspirale e non passa mai due volte per il medesimo punto.Significa, questo, che il ciclo umano si compone soltantodella vita terrestre e che dopo la morte non dovremo piùtornare sul pianeta? Sarebbe un presuntuoso chi volessedare una risposta definitiva, quale che fosse, a tale inter-rogativo. Certamente noi non passeremo mai più per lastasi umana quale la attraversiamo oggi, poiché la leggedi attività, la legge d'armonia e la legge del bene sareb-bero in tal modo violate tutte quante insieme. Ma vi sonoforse sulla terra unicamente dei «composti umani»? Edè solo sulla terra che potrebbero modificarsi i «compostiumani »? Cerchiamo di rispondere per analogia a domandecosì impegnative.

Nei tre regni che noi conosciamo sul nostro globo, ilregno animale vede e sente il regno vegetale e il regnominerale; il regno vegetale percepisce ma non vede; il re-gno minerale non percepisce e non vede 2. Ecco I'insiemedi ciò che cade sotto i nostri sensi. Ma noi avvertiamol'esistenza, senza vederla, di un'altra realtà, oltre a quellecatalogate nei tre regni di cui sopra. Tutto ciò che èelettricità, psichismo, forze erranti, è realtà che non cadeaffatto sotto il controllo dei nostri sensi, realtà davantialla quale l'Umanità si trova nel medesimo rapporto in cuista la pianta davanti all'Umanità. E' possibile spingere piùlontano l'analogia. Il minerale non sente che noi lo spo-stiamo e ci serviamo di esso: noi potremmo benissimo es-sere gli strumenti inconsci di esseri terrestri privi di tuttii nostri cinque sensi, esseri che noi ignoriamo e che usanodel nostro spirito senza che il nostro spirito lo sappia,

2 Tale è quanto meno la situazione della scienza sperimentale odierna.

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esattamente come la nostra volontà si serve del minerale 3.

Noi governiamo gli animali, le piante e i metalli; perché,se non per effetto dell'orgoglio più ridicolo, dovremmorifiutare di essere governati a nostra volta da qualcunaltro e dovremmo respingere l'ipotesi che fra Dio e noivi sia una qualche altra forma dell'Universo? Ciò è deltutto illogico e comincia anche a essere contrario alle re-centi scoperte delle scienze mentali e psichiche. Questi es-seri superiori, queste entità indiscutibili, benché scono-sciute, queste forme assolutamente normali dell'Universo,sono o non sono Umanità sublimate? Chi dunque oseràdire una parola sicura? Ma chi oserà dire che è una cosaimpossibile?

D'altronde, il ciclo umano è inevitabilmente limitato al-la funzione che lo vediamo svolgere su questa terra? E'indispensabile, perché un uomo resti nell'umanità, chetocchi il suolo coi piedi, che raccolga il frumento con lemani, che divori la carne coi denti? Nessuno pretenderàdi affermare che l'essenza dell'Umanità è nella forma,ossia, per usare un linguaggio più fisico, nel possesso enell'uso dei cinque sensi e nell'habitat del nostro attualepianeta. L'Umanità può svilupparsi fuori dal pianeta, conun'apparenza e dei mezzi appropriati alle condizioni for-mali d'esistenza che le saranno riservate altrove. Ecco checosa è ancora perfettamente analogico e plausibile.

Così, per l'Umanità, essere su questa terra con altrielementi organici, con un'altra Vita, oppure passare a unaaltra modificazione con organi analoghi ma perfezionati:ecco due variazioni, egualmente accettabili, della legge del-le Rinascite. Tale è la metampsicosi buddhista e pitagoricache tutta l'antichità ammette che noi ammettiamo con es-sa, come un corollario, perfettamente logico e dimostrato,delle Leggi dell'Evoluzione. Questa legge delle Rinascite

S La suggestione conferisce ad alcuni esseri umani il potere sualtri esseri umani, i quali perdono la propria volontà a vantaggiodi quella dei loro momentanei padroni; sarebbe dunque sciocco pre-tendere che la nostra ipotesi non riposi su di un dato sperimentale,oltre che sull'analogia.

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riguarda I'Umanità in tutto il ciclo umano; essa ha unadelle sue applicazioni nella specie umana terrestre; ed èper questo che poc'anzi distinguevamo fra l'Uomo collet-tivo e l'uomo individuale.

L'Umanità è una spira dell'elica; la specie umana at-tuale è uno dei punti della spira 4. Facciamo sempre atten-zione a non confonderei, a non prendere la parte per iltutto e a non cadere di conseguenza nelle fantasticheriepiù nebulose o nel trasformismo più grossolano. La vitaumana terrestre è uno dei punti del ciclo umano; è unadelle forme dell'Umanità; e l'Umanità, per effetto dellalegge delle Rina~cite, attraversa la stasi umana presente,senza permanervi e senza ritornarvi. Ma se la specie uma-na è perduta per l'uomo dopo la morte individuale, l'Uma-nità rimane nell'Uomo collettivo. E vedremo più avanticome si comporta l'aggregato umano in queste differentisituazioni. Vedremo anche che, anteriormente e ulterior-mente al ciclo umano, sussiste, di ciò che fa la caratte-ristica dell'Umanità, un elemento costitutivo immanenteed eterno.

La Legge d'armonia spinge l'Umanità lungo il suo ci-clo in un movimento generale e uniforme. Il movimentoè generale, in quanto nessuna delle particelle costituentil'Umanità potrebbe sfuggirvi casualmente o sottrarvisivolontariamente: è uniforme, in quanto la causa iniziale(il movimento dovuto alla manifestazione della volontàdel cielo) si esercita su tutta l'Umanità in un modo sem-pre uguale a se stesso, mentre essa si muove lungo la suaspira senza scosse e senza soste. Questa legge di armoniaha una triplice conseguenza; nella sorte dell'Umanità nonc'è nulla di casuale; non vi è differenziazione essenziale;non vi sono sorprese né eccezioni.

Non c'è casualità: il caso è infatti prodotto dall'accor-do dell'incoscienza dell'elemento con l'assenza del suo mo-

4 E' quindi essa che può avere, come simbolo il circolo della vita,caratterizzato dallo Yin-Yang, che studieremo più avanti.

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tore iniziale. Ammettiamo volentieri I'incoscienza dell'ele-mento, in quanto impotenza nel corso di una modifica-zione e inintellezione impotente, se consideriamo la seriedelle modificazioni. Ma come potremo ammettere l'assenzadel motore, ovvero l'oblio in cui la Volontà del cielo la-scerebbe la più piccola delle particelle lanciate dal prin-cipio di causalità nel movimento, ossia nell'esistenza obiet-tiva? Ciò è assolutamente impossibile; infatti, se l'ele-mento particolare considerato fosse lasciato al caso fuoridall'Universo manifestato, bisognerebbe negare l'infinitodella Volontà del cielo; e se l'elemento fosse lasciato alcaso entro l'Universo manifestato, bisognerebbe negarela Perfezione onnisciente di questa Volontà. Vale a dire chequesta Volontà del cielo non esisterebbe affatto. Il casoe il cielo si contraddicono e si escludono a vicenda. E poi-ché l'Universo è il cielo manifestato, noi dobbiamo negaresia il caso sia l'Universo, fino alla più concreta testimo-nianza dei nostri sensi. Giungiamo dunque a questa con-clusione: il Caso non esiste. E siamo lieti di constatareche questa conclusione è da gran tempo iscritta sulla so-glia dell'alta scienza puramente occidentale e traspare dalleopere dei maestri che di essa si occupano. Nel cristiane-simo e in tutti i sistemi religiosi e filosofici che da essoprovengono o dai quali esso proviene, questa parte effi-ciente del principio d'armonia porta il nome di Provviden-za, parola il cui significato radicale costituisce la negazio-ne stessa del caso.

Non c'è differenziazione, nell'Umanità, fra i destinidei diversi elementi che la compongono. Gli elementi che,in un dato punto, entrano simultaneamente - armonica-mente - in una modificazione, escono insieme da que-sta modificazione ed entrano insieme in un'altra. Inoltre,tutti gli elementi percorrono tutte le modificazioni nelmedesimo ordine. Infine, il loro termine è il medesimoper tutti, come la loro origine.

Ecco che cosa vuole esattamente la legge dell'Armo-nia; è impossibile che questa legge sia violata in qual-cuno dei suoi punti. Vedremo, nel prosieguo di questistudi, quando prenderemo i testi del Kang-Ying, o delleSanzioni, come il dogma grossolano delle Ricompense e

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delle Pene si <trasformi allorché coloro che lo insegna-no non debbono trarre, dal terrore che esso ispira aicredenti, denaro o potere. Dobbiamo affermare fin d'orache il Principio, ugualmente inalterabile, della Giustizia,ottiene sempre e dappertutto una completa soddisfazio-ne. Ma la caratteristica degli attributi del cielo è che siconformano gli uni agli altri e non subiscono nessunimpaccio, fin nelle estreme conseguenze; il principio dellaGiustizia si adegua molto bene alla legge dell'Armonia,di cui esso è una manifestazione metafisica; e l'Armonia,come il suo corollario, la Giustizia, vuole che la sortefinale dell'Umanità e dell'Universo sia una sorte comunee unica.

Notiamo di sfuggita che, in virtù dell'applicazione del-l'Armonia, così come in virtù dell'applicazione dell'Attività,non è lecito ammettere la brutale metempsicosi sostenu-ta dai mediocri successori di Pitagora. Alcuni elementi nonpotrebbero rimanere in una modificazione ~ conservan-do o mutando le loro forme - mentre altri elementi,entrati insieme con loro in questa modificazione, la at-traversano o la abbandonano; gli uni non potrebberoavanzare, mentre gli altri retrocedono, sotto il pretesto del-le sanzioni; infatti, diciamolo una volta per tutte, lesanzioni riferite agli atti temporanei sono necessaria-mente oggettive e non possono applicarsi alle leggi conse-quenziali della soggettività. Tutti gli esseri seguono, nellacorrente delle forme, un movimento armonico e regolare;ed è la legge del bene quella che, sola, determina la di-rezione di questo movimento. '

Non vi sono infine, in questo movimento, né urti, néscosse, né imprevisti; vale a dire che il movimento è me-todico. L'Armonia riguarda tutti gli esseri nella loro pas-sività e regolarizza la loro emissione nelle forme. Non viè dunque creazione imprevista; non c'è generazione spon-tanea; gli esseri sono esistiti tutti quanti nello stesso tem-po e il primo giorno in cui noi constatiamo la loro esi-stenza non è il giorno della loro nascita; una siffatta pre-tesa nasce dall' orgoglio di cervelli umani serviti da un'intel-ligenza imperfetta e da organi sensoriali in realtà assaimediocri; non è più sostenibile di quanto lo sia l'opi-

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nione d'un astronomo (credo, per l'onore dell'astronomia,che un tale astronomo non esista e non esisterà mai) ilquale dichiarasse che una stella è stata creata nel giornoin cui egli l'ha scorta per la prima volta col suo telesco-pio, mentre, in realtà, quell'astro era così lontano dalnostro globo che la luce da esso emessa è soltanto arrivataa noi. Sarebbe ridicolo rifiutare ai princìpi della metafi-sica e alle manifestazioni del soggettivo ciò che viene ac-cordato alle leggi di una scienza contingente. Non esistedunque generazione spontanea. Ma la regolarità dell'emis-sione delle forme vuole di più; essa esige la trasmissioneregolare della forma, e la esige nei particolari più minuti.Così la forma umana sarà sempre la forma umana; e aun uomo non è possibile generare un bue più .di quantoa un bue sia possibile generare un uomo o a una piantagenerare un pezzo di metallo. Questo enunciato appare ri-dicolo; lo sembrerà molto meno quando si comprenderàcome da esso discenda l'impossibilità che, attraverso tuttii perfezionamenti o i gradi che si vuole, una scimmia ge-neri un uomo e si comprenderà quindi come si trovi irri-mediabilmente condannata quella bizzarra teoria littreianache è stata maldestramente decorata col termine «dar-winismo », Gli ultimi assertori di questa tesi impossibile adimostrarsi, fisicamente o metafisicamente, non ammette-rebbero mai come possibile che una coppia di negriprocrei un bianco, ma trovano plausibile che una coppiadi oranghi, nel fitto delle foreste e in un mistero impe-netrabile, abbia un giorno procreato un essere umano.

Beninteso, noi ammettiamo che, come non vi è, per cosìdire, limite apprezzabile fra i più animali dei vegetali ei più vegetali degli animali, vi siano pure, fra la formaumana e le altre forme animali più vicine ad essa, tuttele forme che si vuole, e che esse siano, un grado dopol'altro e in una successione di ordini, le più somigliantipossibili a quelle loro vicine. Fra la scimmia più umana el'uomo più scimmiesco noi ammettiamo, volendo, milleforme di antropoidi (per quanto non siano mai statetrovate, né in geologia né in zoologia, tracce assolutamen-te convincenti); e così, per la soddisfazione di certiscienziati, molto orgogliosi riguardo a loro stessi ma estre-

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mamente umili per quanto attiene ai loro antenati, la di-stanza fra l'uomo e la scimmia sembrerà colmata. Ciò èvero, quanto alla somiglianza delle apparenze; ma la dif-ferenziazione fra i singoli gradi, indefinita e infinitesimale,sussiste col medesimo rigore; gli antropoidi faranno degliantropoidi; le scimmie, delle scimmie; gli uomini, degliuomini; e sarà sempre così, finché nell'Universo fluiràla corrente delle forme.

Infine, a questa Umanità che noi ora sappiamo attiva,mobile e, dopo i suoi movimenti, destinata a una sortegenerale e comune, la legge del bene assegna questa sorte,precisando contemporaneamente la direzione e la meta del-la sua attività. Questa meta è eccellente, perché il disegnosupremo e unico della volontà del cielo è essenzialmente einvincibilmente buono. Non esistono terrori e sofferenzeeterni; dimostriamolo, nel linguaggio più sintetico e piùinfantile.

Se esistesse eternamente una sofferenza al di fuoridi Dio, Dio non conterebbe tutto; non sarebbe infinito;non sarebbe Dio. Se esistesse eternamente una sofferenzaall'interno di Dio, Dio non sarebbe infinitamente buono;non sarebbe Dio. La sofferenza eterna non esiste dunquené in Dio né al di fuori di Dio. Vale a dire che non esisteaffatto e non può esistere. Le minacce più eloquenti, levituperazioni più interessate, non usciranno da questosemplice dilemma, entro il quale si trova rinchiusa tuttala ragione.

D'altronde, è manifestamente la volontà del cielo. aemettere gli esseri nella corrente delle forme; senza que-sta volontà Eterna, non potrebbe esistere né il movimen-to né la Forma né la minima parte della « creazione -: co-me supporre che questa volontà, la quale si esercita nellanascita e in tutte le modificazioni degli esseri, non sieserciti più al momento della trasformazione finale? comesupporre che la lasci andare in rovina? come supporreche questa volontà, la quale si esercita eternamente, con-duca gli esseri usciti da essa, e da sola, a una meta disofferenza e di sventura? Come supporre che non li gui-di? Come supporre che li guidi altrove e non a se stessa,ossia a una meta identica al principio? Sono pretese illo-

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giche, senza giustizia, senza bontà, completamente rivol-tanti, le quali risentono appunto della loro origine umana,ossia di un' origine mediocre e particolaristica. Solo unessere limitato può concepire una soluzione contraria albene, cioè negativa. E per il fatto che una soluzione ènegativa e limitata, essa non può uscire dalla contingenzanella quale è stata generata, ed è inapplicabile alle questio-ni attinenti al soggettivo.

Ecco dunque che i destini dell'Umanità sono perfetta-mente diretti dalle quattro leggi ineluttabili che hannopresieduto alla nascita dell'Universo e presiedono al suomovimento. Ma che ne è, con questa ineluttabilità, dellalibertà delle cose? Lo spiegheremo quando affronteremole condizioni dell'individuo. La libertà umana esiste: edesiste nelle condizioni che soddisfano la giustizia sogget-tiva e impegnano a sufficienza, dal punto di vista dellasensazione che deve essere preveduta, le nostre responsa-bilità personali.

Ma ciò essendo affermato e dovendo essere sviluppatoaltrove, la libertà degli esseri non esiste, in quanto tratta-si di particelle lanciate nella corrente dalla Volontà delcielo e destinate a essere raccolte da questa stessa vo-lontà. Non dìmentichìamc a qual mondo appartiene la se-rie di cui parliamo e che è sul piano metafisico - vale adire sul piano divino - che verte Il nostro ragionamen-to. Noi siamo qui di fronte alla Volontà Divina. Nessunavolontà esiste se non emana da questa volontà; dunquenessuna volontà può eguagliarla: ché, se una volontà egua-gliasse quella divina, sarebbe essa stessa divina, e non unasua emanazione.

Ogni volontà che eguagli quella divina è identica adessa; dunque nessuna volontà può, su piede di parità,ergersi contro la volontà divina. Non vi è dunque vo-lontà che trionfi di quella divina; non c'è dunque libertàcontro l'Attività del cielo. I disegni del cielo non possonoessere ribaltati né ostacolati né ritardati: nulla può pre-valere su di loro; e tutte le dottrine religiose - perfino ladottrina di Roma, espressa nel peggior latino che esista(et portae inferi non praevalebunt ecc.) - si trovano quid'accordo con la metafisica e la logica naturale. La Libertà

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Totale non esiste che nell'Infinito e non agisce che me-diante l'Infinito, nella volontà dell'Infinito. Un esserefluito nella corrente delle forme non può essere dotatodella libertà totale, altrimenti sarebbe immancabilmenteDio. L'Universo è invincibilmente governato: esso si muoveinvincibilmente verso i suoi destini. Come l'uomo non na-sce quando vuole e non è lui a scegliere il momentodella sua morte, così l'Umanità nasce in una modificazio-ne e la abbandona, nelle condizioni previste dalla volontàdel cielo. Ed essa arriva là dove la volontà del cielo l'haindirizzata da tutta l'eternità.

La Libertà Totale è, ad un tempo, il più pericolosoe il più ridicolo dono che si sia voluto fare all'Umanità:pericoloso, perché poteva così opporsi a destini felici;ridicolo, perché coloro che hanno preteso di farle taledono non si sono resi conto che, permettendo all'Uma-nitaà di tener testa a Dio, facevano dell'Umanità un Dio.Ma questa invenzione dell' orgoglio e della cupidigia umanasi curava ben poco di un tale controsenso congiunto auna tale empietà. La Libertà Totale, che la specie umanaaccettava per orgoglio, portava alla responsabilità totale,alla Colpa Totale, alla Pena Eterna, sola riparazione possi-bile di questa colpa totale. E gl'inventori del teorema e del-le sue conseguenze avevano inventato, contemporanea-mente, di potere, in quanto ministri di Dio sulla terra,per mezzo di preghiere, denaro, vantaggi d'ogni sorta,preservare dalla Pena Eterna, rimettere la Colpa Totale,dirigere la responsabilità totale, e si facevano così pagar:e,con un ingegnoso trauma di ritorno, quella libertà totaledi cui avevano fatto il dono gratuito all'Umanità bene-vola. .

Noi siamo ben consapevoli di distruggere qui il più vivopregiudizio della specie, in quanto gli togliamo, con un ri-schio che essa a mal a pena crede immaginario, i protet-tori nati contro questo rischio e anche perché, se venissi-mo compresi, toglieremmo a questi protettori i mezzi delloro facile sostentamento e il facile potere grazie al qualeregnano da secoli. Noi sappiamo che stiamo attaccandouna convinzione profondamente radicata nella coscienza deinostri padri, dei nostri educatori: ci rendiamo conto della

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difficoltà di questo compito in quanto in noi stessi, dopoche abbiamo irrevocabilmente stabilito la nostra certezza,talvolta fermenta ancora il lievito degli antichi terrori einsorge la paura ereditaria che assediava la nostra in-fanzia.

Difficilmente si riesce a liberare l'anima e la ragionedalle pastoie più inaccettabili, quando queste sono seco-lari e recano l'impronta dell'autorità di coloro che sonostati nostri maestri e che noi abbiamo amati. Ma in tuttaverità ci è impossibile ammettere, anche una sola volta,la vittoria del sentimento irrazionale sulla logica e di cre-dere che Dio abbia consentito a uguagliarsi all'uomo, ap-punto per la sventura di quest'ultimo, e che il « creatore»si sia compiaciuto di dichiararsi impotente a rendere ine-vitabilmente felice la sua « creatura », in questa « eternità»che Egli le ha data e che ella non gli aveva richiesta 5.

Certo, non manchiamo di convenirne: sul piano rela-tivo e nel mondo delle contingenze rimangono abbastan-za libertà per accarezzare l'orgoglio, abbastanza sanzioniper. accontentare la giustizia, abbastanza «penitenze» persoddisfare gli amanti delle peggiori emozioni (lo vedremopiù avanti). Ma che la volontà del cielo abbia da sempregovernato e preparato le modificazioni e la trasforma-zione dell'Universo, che tutti gli esseri a noi noti, dallamolecola più materiale fino agli astri che girano nelpiù profondo dei cieli, obbediscano alle Leggi di questaVolontà Preveggente e che solo l'Umanità sia capace direagire, di distruggere l'armonia del piano universale, dicontravvenire alla volontà del cielo, e ciò nel solo obiet-tivo di sfuggire al bene generale e di essere, in tuttol'Universo, sola ed eternamente infelice - ecco quelloche né la logica né la metafisica né la concezione idealeche noi abbiamo di Dio ci permettono di ammettere enemmeno di discutere per un solo istante.

D'altronde, quando finalmente studieremo le condizio-ni della specie umana, avremo di questo una prova ancorpiù decisiva. Ma riteniamo anche, come dimostrazione di

5 Noi usiamo qui volontariamente il linguaggio più concreto, alloscopo di far risaltare agli occhi di tutti ciò che vogliamo dire.

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~---------------------------------------------------------.------,~-~ ....~--pura morale è' altrettanto convincente, che non esiste unsolo sistema teocratico o religioso il quale abbia accoltoquesta pretesa tremenda nei suoi dogmi primordiali. Brah-manismo, Buddhismo, Cristianesimo, furono tutti quantiregimi d'amore e d'armonia, usciti dalla bocca di apo-stoli illuminati e benefici: solo le applicazioni puramen-te umane, politiche o sociali ne fecero altrettanti stru-menti di terrore e di dominio. Appropriate all'ambizionedegli individui, queste addizioni sono caratteristiche dellatracotante cooperazione terrestre all'opera divina; agli oc-chi del sapiente, esse non hanno più valore intrinsecodi coloro i quali le crearono per dei vantaggi particolariCreate da uomini, esse non hanno alcuna conseguenzadi là dall'Umanità.

Non insistiamo oltre, davanti a prove così evidenti,poiché la logica deve corroborare le nostre più alte spe-ranze e mostrare che non siamo accecati dalla passione.Tuttavia riteniamo che, in nome della Volontà del Cie-lo, nulla di quanto è contenuto nell'Universo ha il poteredi mutare alcunché nell'universale.

Quando l'Umanità è giunta, lungo la curva sulla qualeha avuto luogo la sua salita, all'estremità della spira checostituisce la sua modificazione nell'Universo, essa si tra-sforma (cioè scompare, ovvero, in termini grossolani,muore). Ma considerando la curva dell'Universo nelle suerivoluzioni successive, noi ci rendiamo subito conto chenon può esservi né scomparsa, nemmeno momentanea, néfenomeno negativo del tipo che chiamiamo morte; c'è unpassaggio perfettamente normale da una stasi a un'altra:questo passaggio, nelle operazioni dell'Universo, non com-porta più scosse e imprevisti di quanto non ne comportiil passaggio fra due momenti consecutivi degli esseri nelciclo umano. Non c'è dunque nessuna irregolarità, di nes-sun genere, nel movimento, così come nell'Armonia: e ilp-assaggio da una spira a un'altra, o il passaggio dell'Uma-nità alla modificazione seguente, non è contrassegnato senon da un mutamento nella natura della costituzione rela-tiva degli esseri in modificazione. Lo vedremo in manierapiù precisa, più umana, che ci concerne più da vicino,nelle Condizioni dell'Individuo. Bisogna però sapere fin

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d'ora che il fenomeno di transmodificazione risiede essen-zialmente ed esclusivamente in questo solo mutamento, ilquale è necessariamente un miglioramento e un accresci-mento, non una diminuzione, ed è dunque più una nascitache una morte. In realtà non è né l'una né l'altra; ed èsciocco volervi vedere una fine, così come sarebbe scioccochiamare arresto improvviso o addirittura deragliamentoil passaggio di un rapido davanti a una stazione nel mo-mento in cui l'orario gli vieta di fermarsi. Questi cambia-menti di modificazione avvengono dunque sempre in ma-niera normale, tranquilla, vantaggiosa; e devono, per ef-fetto di questa assoluta certezza, perdere ciò che possonoavere di temporaneamente doloroso per I'indìviduo. Lacollettività degli esseri passa da un'esistenza all'altra at-traverso modalità diverse e meccanismi sempre simili ase stessi, senza che vi sia un solo istante di morte discomparsa o anche solo di eclissi. '

L'essenza divina che permea le particelle dell'Universo,l'attrazione divina che regge i loro movimenti: ecco i ga-ranti della loro perpetuità. E l'Umanità partecipa, cometutto l'Universo, a questa perpetuità, al suo rango di mo-dificazione e in ciò che questa modificazione comportadi Eterno.

L'Umanità, che è uno dei cicli dell'Universo, non ne ènecessariamente l'ultimo; ci appare molto elevato per ilfatto che noi ci troviamo proprio in esso e perché com-prendiamo meglio i cicli inferiori che non i cicli superio-ri; ma ci rendiamo perfettamente conto, e ne abbiamola convinzione, che non siamo gli esseri la cui perfezionerelativa precede immediatamente la Perfezione Totale. An-che nell'antica mitologia, vi sono i giganti, i semidei e

'una folla di esseri intermedi fra l'Olimpo e noi; nellastessa agiografia cristiana, vi sono i Santi, gli Angeli e inove cori celesti, fra Dio e le Sue creature. Le apparenzedell'universalità delle opinioni si accordano con le pre-scrizioni del sentimento e le deduzioni della logica perfarei comprendere che noi componiamo una modificazio-ne qualunque nella corrente delle forme e che evolviamolungo una spira qualunque dell'elica cilindrica indefinita.

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'I ~_~, 4-.,-JI

Ma se l'Umanità non costituisce l'ultima spira, se nonaltro l'esistenza di quest'ultima spira è concepibile, ancheattualmente. La volontà del Cielo che ha emesso gli esserinella corrente delle forme è la stessa che attrae' tutti gliesseri verso di sé, per cui tutto deve confondersi in essa.E' così che, considerato all'infinito - l'infinito è appuntoil luogo metafisico della Perfezione -, il cilindro dellacreazione diventa un cono e la spira che evolveva sullasua superficie laterale si confonde immancabilmente, sullasommità del cono, con l'altezza del volume, questa altezzaessendo appunto, come si è visto altrove, il luogo geo-metrico dell'attrazione della volontà del cielo, poi, allasua sommità, il luogo metafisico della volontà stessa delCielo.

Possiamo dunque considerare, come un caso specialee supremo, la fine dell'ultima spira, vale a dire il suo in-contro con l'altezza del cilindro, ossia il termine dell'ul-tima modificazione, che i Sapienti Cinesi chiamano il« meccanismo ultimo della trasformazione» e che è, comela logica, la metafisica e la matematica precisano concor-demente, il rientro dell'Universo nella Volontà che gliha dato il movimento, il ritorno di tutti gli esseri nellaPerfezione che li emette. Questo ritorno non è una «vit-toria sugli elementi contrari » e non è nemmeno unatrasformazione straordinaria; è, come tutti gli altri pas-saggi che lo hanno preceduto, un passaggio insensibile edel tutto normale. Ci si rapporti al capitolo delle Leggidell'Evoluzione e si vedrà che il «meccanismo trasforma-tore» non muta nulla nell'essenza degli esseri che com-pongono l'Universo; comporta semplicemente l'ablazionedelle Forme, ossia il Fine del Limite; ed è quanto il testotradizionale precisa allorché dice che la «corrente delleforme» è terminata.

In quest'ultimo ciclo, abbiamo la conoscenza perfettadi tutti i cicli precedenti? Abbiamo la prescienza lumi-nosa della trasformazione finale? Oppure, in altri termi-ni, gli esseri dell'ultimo ciclo considereranno come unbeneficio l'essere privati delle loro forme? O vedranno inciò una morte, così come noi crediamo di vedere unamorte nella fine dell'individualità umana? Non è qui pos-

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sibile formulare un'opinione; ma l'analogia esige che lafine dell'ultima modificazione provochi per gli esseri lamedesima impressione che è stata prodotta da tutte lemodificazioni precedenti. Abbiamo voluto porre qui unatale questione solo per stabilire una volta di più comesia falso chiamare morte il passagggio in questione e co-me sia irragionevole temerlo.

Questo ritorno alla Perfezione Totale, che è determi-nato dalla Fine del Limite, moralmente e fisicamente, os-sia dalla fine della corrente delle forme e dalla fine del-!'individualità delle particelle, possiamo intuire che cosasia grazie a questa determinazione stessa: è il «ritornonel seno di Dio », la «Perdita nel Gran Tutto », il «Cie-lo », il «Paradiso », E', per dirla con una parola cheriassume tutto il pensiero umano sull'argomento, il Nir-vana, che le razze gialle chiamano Nibban (si tratta dellostesso vocabolo).

Il più grande dei mistici cinesi, che fu forse il primofilosofo del mondo, Lao-tze, dice perfettamente che cosasia il Nirvana, luogo metafisico della Perfezione Attiva,o della Volontà del Cielo non manifestata. (E, in effetti,essa cessa di essere manifestata quando la corrente delleforme si inaridisce). Vedremo,· nelle opere profonde diLao-tze, come si debba intendere il Nirvana, ossia comelo intendono gli antichi testi dell'India, che sono poi i no-stri e quelli di tutta l'umanità pensante. La polemica e lacritica occidentale hanno buon gioco a sfigurarli e a vo-lerne fare una negatività; la comprensione e gli attacchimoderni si adattavano meglio. Ma questi sapienti incom-pleti non si rendevano conto che, così facendo, equipara-vano al Nulla l'attività totale; e così commisero, in me-tafisica, lo stesso grossolano errore che potrebbe commet-tere, in matematica, l'alunno ignorante o incosciente chescambiasse, volontariamente o no, lo zero per una «man-canza» di numero, o per un numero, e dimenticasse checos'è un numero.

Si può concepire che gli esseri, una volta confusi nelNirvana, possano uscirne di nuovo per rientrare in un'altracorrente di forme e per eternizzare così il loro movimentoparticolare? Abbiamo visto che la matematica rispondeva

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con l'affermaziòne necessaria; infatti, assumendo la no-stra rappresentazione grafica, il cilindro ciclico rimanecilindro, l'elica del destino si avvolge eternamente intornoalla sua superficie laterale; o il cilindro, considerato al-l'infinìto matematico, diventa cono, e ogni cono presup-pone un'altra punta conica opposta al vertice, che si al-lontana indefinitamente nello spazio transfinito. Così l'eli-ca è senza fine da una parte e dall'altra. Ma questa ne-cessità non esiste in metafisica, innanzi tutto perché l'in-finito metafisico non ammette, come I'infinito matemati-co, un qualunque aldilà, né nello spazio, né nel volume,né nel pensiero; poi perché l'eternità dell'azione (voluta dal-la manifestazione della Perfezione) non esige necessaria-mente una corrente di forme; il movimento collettivo èun movimento tanto quanto la somma indefinita dei mo-vimenti individuali: la forma non è necessaria al movi-mento. Infine, il movimento potenziale, non manifestato, èanch'esso un movimento. Non c'è bisogno di spostarsi permuoversi, così come non c'è bisogno di agire per voleree per pensare.

Non vi è dunque affatto necessità. Ma, allo stato pre-sente della nostra ragione, dobbiamo dichiarare che lapossibilità sussiste. Infatti, ciò che è oggi possibile, èpossibile in maniera indefinita. Solamente, si concepisce amalapena che l'attrazione della volontà del cielo, dopoaver tutto reintegrato, disintegri tutto di nuovo. E, lo ri-petiamo, non è indispensabile accettare questa conce-zione come se fosse utile all'Attività Eterna; il movimentonon è essenziale all'attività più di quanto la forma non siaessenziale all'essere. Ed è qui il solo punto in cui la Tradi-zione primordiale rimane muta, come se fosse inutile allaspecie umana l'avere un'opinione su questo argomento.E' per questo che esistono due opinioni, entrambe accetta-bili: la prima, che l'essere reintegrato nell'Unità vi perman-ga eternamente; l'altra, che l'emissione nella corrente delleforme sia eterna, ma che, le particelle individuali essendoinfinitamente numerose, la stessa particella non entri duevolte nella corrente delle forme (e ciò indica perfetta-rnente come sia indifferente per la specie umana la sceltafra un'opinione e un'altra).

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Si può dunque, in tutta libertà, apprezzare, secondo lapropria sentimentalità, la «Trasformazione », o il mecca-nismo finale dell'Universo. Infatti tutti i sentieri portanoall'unica meta. E questa meta, la Reintegrazione felicee totale, è contemporaneamente sostenuta dalla Tradizio-ne scritta, dalla ragione metafisica, dalla ragione matema-tica e dal soddisfacimento dei tre attributi che tutte lereligioni accordano essenzialmente ai loro Dei: Bontà, Giu-stizia, Gloria.

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CAPITOLO OTTAVO

LE CONDIZIONI DELL'INDIVIDUO

Abbiamo visto ciò che sono, e ciò che promettono iDestini dell'Umanità considerati come una spira del ci-lindro evolutivo, come un ciclo nella modificazione del-l'Universo. Ma noi sappiamo, di conseguenza, che questociclo umano comprende tutta l'umanità, vale a dire tuttala specie umana che noi conosciamo e tutte le varietà pos-sibili, anteriori o posteriori alla specie. E noi abbiamo de-terminato le leggi che reggono, invariabilmente ed ineso-rabilmente, il ciclo umano, che è un ciclo del tutto nor-male e che non ha niente di speciale - se non almenoper noi - dato che ci troviamo in esso nel momento pre-sente.

Questo interesse che noi nutriamo per il ciclo nel qua-le ci evolviamo, che noi conosciamo un po' meglio deglialtri e che desideriamo conoscere profondamente, ci porta

'a studiare il movimento della specie umana nel ciclo e lecondizioni dell'individuo nella specie.

Questi due studi sono perfettamente analogici, e com-prendono dei fenomeni, tutti contingenti, della stessa na-tura. Precisiamo subito che, abbandonando qui il domi-nio della metafisica pura, saremo tuttavia costretti dallalogica e dal semplice buonsenso a non adottare, per ilfenomenismo oggettivo, che soluzioni le quali siano inconcordanza con le soluzioni dimostrate dei problemi me-tafisici. E' così che noi entriamo, muniti d'una guidasicura e perfetta, nelle questioni che sembrano più palpi-tanti e più oscure all'essere umano. E non dobbiamo inalcun momento lasciarci distrarre dal cammino che cimostra questa guida mentale, tramite la sensibilità per-sonale, pronta ad impaurirsi delle soluzioni logiche che

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sembrano ferirla, o persino a non tenere in conto suffi-cientemente l'egoismo innato ed inconscio dell'individuo.

Dicendo che la specie è per il ciclo ciò che l'individuo èper la specie, noi mostriamo con questo rapporto aritme-tico che possiamo accontentarci di studiare le condizionidell'individuo, studio ben più facile, poiché è il nostrostudio personale; basterà generalizzarlo analogicamente perfare l'applicazione alla specie. Ed è un lavoro abbastanzasemplice, ragion per cui lo lasciamo ai nostri lettori. D'al-tronde, I'inìzìo e la fine degli individui, sui quali noi sia-mo, almeno fisicamente, informati, ci danno degli eccel-lenti chiarimenti sull'inizio e la fine della specie. Lo stu-dio di quest'ultima, compreso nello studio sperimentaledegli individui che la compongono, e lo studio metafisicodel ciclo di modificazione al quale essa appartiene, nonpuò più avere, per la nostra logica, niente di oscuro o dirischioso.

La specie umana è un momento del ciclo; !'individuo èun momento della specie. Ma uno qualunque, dal puntodi vista dello studio da fare, può essere preso comeunità-tipo.

Questa unità-tipo obbedisce, sul suo piano, alle quattroleggi fondamentali del tetragramma, ed essa occupa il po-sto del suo momento nel cilindro evolutivo. Conviene si-tuarla immediatamente sull'elica e sulla sua spira, in mo-do tale che il disegno, seguendo l'usanza, ci fornirà peranalogia i dati dell'esame.

L'individuo che noi consideriamo, fa parte della specieed è necessario alla costituzione della specie; i suoi attri-buti relativi e le sue qualità essenziali formano le carat-teristiche della specie: una sola cosa non importa affatto:è il numero degli individui; si può concepire una specierappresentata da un solo individuo, ed una specie rappre-sentata da innumerevoli individui: così non si conta af-fatto il numero degli individui; e, quale che sia il loronumero, maggiore o minore, non modificherebbe per nullala specie. E' ciò che si chiama innumerabilità matemati-ca. E noi vediamo che l'individuo è precisamente per laspecie ciò che il punto è per la linea, il cui carattere è

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di essere composta da un numero indefinito di punti. Ecosì la rappresentazione grafica espressa dall'individuosarà un punto sulla spira che rappresenta la sua specie.

Se la posizione dell'individuo sulla spira è un punto,l'evoluzione dell'individuo, in rapporto al cilindro evolu-tivo universale, sarà rappresentata da una superficie.

Notiamo subito che questo non è assolutamente vero;anzitutto per una ragione metafisica, poiché, se l'evolu-zione individuale fosse rappresentata da una superficie,il punto d'arrivo sarebbe uguale al punto di partenza, ecosì non si avrebbe attività (ma monotonia e immobilitàcon il ricominciamento), e non si avrebe del bene, giacchél'attrazione verso la perfezione non si farebbe sentire; inseguito, per una ragione matematica, poiché se l'evoluzio-ne A fosse esattamente una superficie, essa ritornerebbeal suo punto di partenza per iniziare l'evoluzione B, e cosìi tempi dell'individuo non percorrerebbero la spira. CiòvuoI dire che il numero dei punti che la compongono sa-rebbe infinito.

Ora, questo numero non è che indefinito, e così l'evo-luzione partita dal punto A della spira ritorna al puntoB, che è il punto seguente, indefinitamente vicino ma ma-tematicamente distinto.

Così, in realtà, l'evoluzione individuale è una spira,una funzione d'elica il cui passo è infinitesimale. Perciò,essendo dato che noi viviamo, agiamo e ragioniamo alpresente su delle contingenze, noi possiamo e dobbiamoanche considerare il grafico di questa evoluzione come unasuperficie. E, in realtà, essa ne possiede tutti gli attributie le qualità, e non differisce dalla superficie che conside-rata come l'Assoluto. Così, sul nostro piano, il circolo vita-,le è una verità immediata, e il cerchio è la rappresen-tazione del ciclo individuale umano. Qui torniamo dunquealla concezione occidentale che non è falsa, come abbiamoprevisto, ma male applicata ai movimenti dell'Universo, dalmomento che essa deve l'esistenza all'azione dell'uomosolo.

I! cerchio del destino individuale di ciascuno, pressole razze gialle, è rappresentato dal simbolo dello Yin-yang.

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Alcune brevi spiegazioni sulla figura rappresentata quisopra sono necessarie. Lo Yin-yang è un cerchio, e diremoil perché. E' un cerchio che rappresenta una evoluzione,individuale e specifica, e non partecipa che per due di-mensioni al cilindro ciclico universale. Non avendo af-fatto spessore, esso non ha capacità, ed è rappresentatodiafano e trasparente, ciò vale a dire che i grafici delleevoluzioni, anteriori o posteriori al suo momento, si ve-dono e s'imprimono allo sguardo attraverso di esso.

La spirale, che divide in forma di S il cerchio delloYin-yang non è un simbolo soltanto dell'elica universale;essa è la traccia descrittiva, secondo la lingua matemati-ca, di questa stessa elica. Consideriamo in effetti lo Yin-ya~g dal solo punto di vista dal quale può essere consi-derato veramente, vale a dire, insomma, consideriamo lo inrapporto con la Perfezione, e « dall'alto del luogo geometri-co e metafisico della volontà del cielo» l.

Uno dei bracci della curva in S è la proiezione matema-tica, sul piano orizzontale (geometria descrittiva) dellaporzione d'elica, il quale, lungo il cilindro universale (chediventa cono all'infinito), va, dal punto della spira dovelo Yin-yang è tangente, fino alla reintegrazione nella Per-fezione. L'altra braccio della curva in S è la proiezione(attraverso la trasparenza del cerchio dello Yin-yang) dellaporzione d'elica che va dalla Perfezione attiva, che oltre-

l Per una miglior comprensione di questa frase, si veda il capitoloVI, «Le Leggi dell'Evoluzione ».

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passa le forme, fino al medesimo punto della tangentedella spira col cerchio dello Yin-yang. E' tutto il tracciatodella volontà universale, a partire dalla volontà che ma-nifesta fino alla volontà che riassorbe.

Una metà dello Yin-yang è nera; è quella che rappre-senta l'evoluzione al di sotto del cerchio; l'altra è bianca:è quella che rappresenta l'evoluzione al di sopra delcerchio considerato. Queste due metà sono uguali: poiché,dal momento che il punto di partenza e la mèta sonol'Infinito, il punto considerato della spira può, in rappor-to all'Infinito, essere supposto, veridicamente e sempre,a uguale distanza tra il punto di partenza ed il punto d'ar-rivo. I due piccoli cerchi interni, l'uno nero nella super-ficie bianca, l'altro bianco nella superficie nera, sono là,innanzitutto per ricordare la « trasparenza» del simbolo,e poi per mostrare che queste opposizioni di colorazionenon costituiscono una realtà, e che il bianco esiste sottoe con il nero, ed il nero sotto e con il bianco, e che, inrealtà, lo Yin-yang è tutto bianco, e tutto nero, a secondache lo si consideri in rapporto alla sua partenza od inrapporto al suo arrivo. D'altronde, per coloro che sarannoancora ingannati da una vana apparenza dopo questochiarimento, bisogna ricordarsi che lo Yin-yang è il sim-1;>010 dell'evoluzione umana individuale, ovvero di un'atti-vità. Questo simbolo dev'essere preso dunque come at-tivo in se stesso: e per considerarlo come dev'essere, bi-sogna farlo girare attorno al suo centro. Noi vediamo quin-di che è di un solo colore, e che, mai, di conseguenza, sipuò pretendere di trovarvi, anche superficialmente, il ben-ché minimo carattere di dualismo.

Esistendo, lo Yin-yang soddisfa il principio di causa-lità: muovendosi attorno al suo centro con la velocitàdell'evoluzione umana specifica, soddisfa la legge di at-tività; avendo la forma circolare, soddisfa la legge diarmonia; essendo preceduto e seguito da un numero in-definito di cerchi concentrici, adempie la legge del bene.Ma rileviamo qui - ed è una riflessione che bisogna com-piere molto profondamente - che i primi tre princìpi so-no soddisfatti all'interno stesso dello Yin-yang e che ilsoddisfacimento del quarto principio (principio del bene)

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si trova fuori dello Yin-yang, vale a dire che per procura-re tale soddisfacimento bisogna considerare la situazionedei cerchi immediatamente vicini. Nell'interno di un cer-chio considerato isolatamente, la legge del bene non è sod-disfatta. Ossia, nell'interno di una evoluzione umana indi-viduale l'attrazione della volontà del cielo non si fa sen-tire. Questa sorprendente constatazione risulta dalla con-siderazione matematica del grafico; ed essa ci conducea conseguenze metafisiche, almeno le più rilevanti, se nonle più impreviste 2.

Si ricordi che noi l'abbiamo dimostrato: la libertà de-gli esseri non esiste che in quanto particelle e funzioni del-l'evoluzione universale. La libertà assoluta, che compren-de quella di contrastare i disegni della volontà del cielo,è esclusiva di questa volontà e di Dio. Ma noi abbiamo fat-to presentire una certa libertà dell'individuo. Ed eccoche la matematica ci mostra che nel circolo vitale dellaspecie e dell'individuo l'attrazione della volontà del cielonon si fa sentire, ossia, che, nell'interno della sua evolu-zione particolare, I'ìndividuo gode della sua libertà d'azio-ne. Vediamo i limiti e le condizioni di questa libertà.

L'entrata nello Yin-yang e l'uscita dallo Yin-yang nonsono a disposizione dell'Individuo: perché essi sono duepunti che appartengono, benché allo Yin-yang, alla spiraiscritta sulla superficie laterale del cilindro, e che sonosottomessi all'attrazione della volontà del cielo. E, inrealtà effettivamente l'uomo non è libero né della suanascita né della sua morte. Per la sua nascita, egli nonè libero né dell'accettazione, né del rifiuto, né del mo-mento. Per la morte, non è libero di sottrarvisi; ed egli nondeve neppure, in tutta giustizia analogica, essere libero

2 Noi bisogna mai perdere di vista che, se preso a parte, lo Yìn-yangpuò essere considerato come un cerchio, ed esso. è, nella .succes~i?ne.del-le modificazioni individuali, un elemento d'elica: ogni modìfìcazioneindividuale è essenzialmente un vortice a tre dimensioni; non vi è cheuna sola stasi umana; e non si ripassa mai per il cammino già per~corso. Questo per troncare ogni tentativo, più o meno ingegnoso, diadattamento della Tradizione Primordiale a teorie panteiste od anchespiritualiste (nel senso speciale che danno a questo termine talunisperimentatori occidentali).

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del momento della sua morte e pereto, diciamolo di pas-saggio, il suicidio è l'atto più anormale e contrario agliinteressi dell'individuo.

In tutti i casi, egli non è libero da nessuna delle con-dizioni di questi due eventi; la nascita lo lancia inesora-bilmente nel circolo di una esistenza che egli non hadomandato né scelto: la morte lo ritira da questo circoloe lo lancia inesorabilmente in un altro, prescritto e pre- .visto dalla volontà del cielo, senza che egli possa modi-ficarne nulla. Così l'uomo terrestre è schiavo quanto allasua nascita e alla sua morte, cioè in rapporto ai due attiprincipali della sua vita individuale, ai soli che riassu-mono insomma la sua evoluzione speciale rispetto all'In-finito.

Ma tra la sua nascita e la sua morte, su questo cerchiosenza spessore, su questa superficie imponderabile del vo-lume universale dove l'attrazione della volontà dall'altonon viene esercitata affatto, l'individuo è libero. Egli è li-bero assolutamente, nel compimento e nel senso di tutti isuoi atti terreni. Egli non ha più per maestro la volontàdel cielo: ha per guida la coscienza oscura, sorta d'istintomentale che non è il medesimo per tutti gli individui, cheevolve, s'ispessisce o si affina con ciascuno di essi, e cheè in rapporto aritmetico con le facoltà intellettuali dell'in-dividuo, e il valore dell'ambiente sociale nel quale s'inse-risce. Questa coscienza è la generatrice dinamica dellesue azioni personali.

E' nel fenomenismo morale in cui si esercita questacoscienza, strumento mediocre, che nascono le contingen-ze del bene e del male. Ed è la credenza personale nelbene e nel male, limitati l'uno dall'altro, che fa del benee del male una realtà oggettiva nello spirito umano. E' lacoscienza dell'uomo che crea il bene e il male, ed è la li-bertà dell'uomo che, permettendogli di seguire l'uno o l'aÌ-tro, crea delle responsabilità.

Non insisteremo mai troppo su queste evidenze razio-nali: la coscienza, che genera il bene e il male, è una par-ticolarità specifica, temporanea, e proteica, anche nellaspecie; la libertà d'agire è estremamente limitata neltempo e nelle contingenze individuali; gli atti compiuti da

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qu sta libertà e qualificati da questa cosci~nza son~ d~-qu degli atti relativi, esclusivi alla s~e~l~ e all indivi-duo, non avendo valore che nelle oggettlvlt.a ~ per le. o~-gettività dove essi nacquero, ed esse~~o .Indlffe~e~tI n-spetto all'Infinito. I meriti o. ~ dem~ntI,. I ben~flci o leoffese sono della stessa qualità degli attì ~he II produs-sero' e le sanzioni che vi sono legate, per Il fatto stessodell~ giustizia che è nell'essenza dell'Infinito, ~ono de~lostesso valore, dello stesso grado e della stessa ripercussro-ne, degli atti che le motivano. . ,

L'uomo è un essere limitato e relativo: ~o~ puo. c?m-mettere che atti relativi, generatori di merìtì relativi, ecapaci di sanzioni relative. Ciò che è fatto ~el tempo ~?npuò essere apprezzato che n~l te~po: la hgu~a che s In-scrive in uno spazio a due dimensioni ~o~ puo ave~e tredimensioni; qui noi siamo stretti dall eVlden~a aSSI?ma-tica della geometria più semplice. Dunque l atto di unuomo, che è un atto temporaneo e finito, se colpevol~quanto possa giudicarlo la coscienza. ge~~rale, non puoprocurargli una punizione eter~a. ed infinita, D~nque lepene eterne - I'ìnferno, non cristiano, ma cattolico e ro-mano, - non esistono affatto. .

Ma i sentimentali illogici gridano che la ~olpa,. nvol-gendosi ad un Essere Infin.ito, =. ~ecesslta d~ unapena infinita. Ecco una doppia assurdità, Una co~tll1gen-za non può affliggere l'Assoluto. In che modo SI crededunque sia fatto Dio perché possa essere offeso .da unuomo? Bisogna essere Dio per poter offen,dere ?~o: c~-loro che cercano di convincersi di una COSIterribile po-tenza non hanno mai pensato a ciò.

Ma vi è un'altra cosa. La libertà relativa dell'uomo,l'abbiamo visto e dimostrato, suppone !'i~eserciz.io dell'~t-trazione cioè la indifferenza della volonta del CIelo. E mverità, l:uomo non avrebbe potuto agire liberamente, se. l~volontà del cielo non lo avesse lasciato fare. Essa SI edisinteressata della cosa: non può dunque essere offesa. dauna cosa di cui si è disinteressata, e che essa non guidaunicamente perché non ha voluto guidarla. . . ,

Noi dunque non neghiamo affatto la ,sanzIO~e,.n~~ ?1Udella responsabilità, non più della liberta; ma I limiti im-

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posti alla libertà mitigano in proporzione la sanzione, chenoi vediamo temporanea, relativa e contingente. E adessoche la sappiamo oggettiva in tutti i punti, la riconoscia-mo necessaria. Questa sanzione, secondo la volontà delcielo, si esercita nel cerchio seguente; non importa: poichéi nostri atti «vibrano» e si inscrivono lungo la nostrapersonalità, in un modo indefinito, e non infinito. E la san-zione, che, come l'atto, si produce nel tempo, può essereritardata indefinitamente nel corso dei cicli." E' così cheil prodotto delle azioni di un'esistenza è uno degli ele-menti costitutivi delle esistenze ulteriori.

Ma si ricordi: questo elemento, puramente oggettivo,di gioia o di dolore, non può influire in nulla sul corso del-l'evoluzione generale. Che noi abbiamo agito bene o male,il ciclo che ci attende è lo stesso per noi tutti: gli unilo percorrono nella felicità, gli altri fra le lacrime; ma ilgradino che noi saliamo alla fine di ogni circolo vitale èlo stesso, e ci avvicina tutti, invincibilmente e col mede-simo valore, all'Infinito al quale siamo destinati.

E' un problema puramente taoista, che studieremo neltrattato del Kan ying, che vi è interamente dedicato, il de-terminare la somma delle vibrazioni delle nostre azioni, ele sanzioni che ne risultano. Ma il principio è posto; essosoddisfa, come abbiamo detto, la nostra coscienza e I'ideadella nostra libertà; risponde al tempo stesso alla Bontàed alla Giustizia del cielo; e lascia intatte le leggi in-frangibili della tradizione. Esso mette al loro giusto postoil dualismo contingente del bene e del male, così comei meriti e le sanzioni delle azioni umane. Ed esso prova,in modo così perentorio che non avremo più bisogno diritornarvì, che la credenza, ingenua o interessata, nellesanzioni eterne, è contemporaneamente un barbarismo mo-rale, un non-senso metafisico, ed una ingiuriosa negazionedegli attributi essenziali della Divinità.

Tra la sua nascita e la sua morte, l'essere umano èdunque libero; abbiamo visto la ragione ed le modalitàdi questa libertà oggettiva; ne vediamo ogni giorno leazioni; ne vedremo d'altronde le conseguenze, in quellaparte della Via Razionale, che assume in Occidente ilnome di Morale. Ma, al di là di ogni fenomenìsmo, vedia-

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che cosa sono questa nascita e questa morte, le cuipoche, circostanze ed i cui risultati sono indipendenti

dalla volontà di colui che le subisce.Secondo tutte le formule precedenti, e secondo l'irre-

futabile logica della geometria, la nascita è l'entrata di unaparticella evolutiva del ciclo umano; la morte è l'uscita diquesta particella fuori dal ciclo umano: ma, per entrarenel ciclo umano, e figurarvi come individuo nella specie,bisognerebbe che questa particella uscisse dal ciclo in-feriore al ciclo umano, o, per impiegare la grossolanaimmagine abituale, occorrerebbe che essa ({morisse» inquesto ciclo. Ma, uscendo dal ciclo umano, perdendo l'in-dividualità rispetto alla specie, la particella evolventesientra nel ciclo superiore al ciclo umano, e, per impiegareil nostro linguaggio comune, nasce in questo nuovo ciclo;la nascita e la morte si accompagnano, dunque, e si com-pletano l'un l'altra; la nascita umana è la conseguenzaimmediata di una morte; la morte umana è la causa im-mediata di una nascita. Una di queste circostanze non siproduce mai senza l'altra. E, non esistendo qui il tempo,possiamo dire che, tra il valore intrinseco del fenomenonascita e il valore intrinseco del fenomeno morte, vi èidentità metafisica. Quanto al loro valore relativo, ed acausa dell'immediatezza delle sue conseguenze, la morteall'estremità del ciclo X è superiore alla nascita nel me-desimo ciclo X, di tutto il valore dell'attrazione dellavolontà del cielo sul ciclo X, cioè, matematicamente, delvalore del passo dell'elica evolutiva 3. Ciò che precedepuò sembrare paradossale perché, per farei meglio com-prendere, impieghiamo le parole nascita e morte per desi-gnare i passaggi fra i cicli, e perché l'ingenua vanità uma-na dà un senso di accrescimento all'entrata nell'umanità(nascita) ed un senso di diminuzione all'uscita dall'uma-nità (morte), il tutto come se l'umanità occupasse ilvertice di una parabola, al di qua e al di là del quale non

3 Ripetiamo che, di questo elemento geometrico, non conosciamoil valore essenziale, perché non abbiamo il ricordo degli stati cicliciin cui siamo passati, e non possiamo quindi misurare l'altezza meta-fisica che ci separa oggi da quello da cui proveniamo.

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si potrebbe che discendere. Non VI e errore contempora-neamente più pericoloso e più ridicolo. Vediamo che me-tafisicamente, nella successione dei cicli, la morte è unavanzamento sulla nascita, perché l'ingresso nel ciclo X+1è superiore all'ingresso nel ciclo X. Lo vediamo geometri-camente sulla curva evolutiva dell'universo. Lo vedremopsicologicamente, considerando, nello specimen umano, qua-li sono gli elementi apportati dalla nascita, e quali sonogli elementi intaccati dalla morte 4.

Non è qui il momento di indicare quali sono i setteelementi che la tradizione riconosce alla specie umana.Lo vedremo ampiamente nella parte di questi studi con-cernente le scienze psicologiche e psichiche tratte diretta-mente dalla dottrina di Lao-tze. Ma fin d'ora possiamo af-fermare - e quest'affermazione non stupirà per nientechi ha scrutato gli arcani del ternario e del settenarioindù -, che i sette elementi umani della Tradizione Pri-mordiale possono riassumersi in una terna, e che essi siadattano molto bene alla triade: corpo, anima, spirito, cosìcome la conoscono e la definiscono gli adepti occidentali

4 Vogliamo la curiosità d'un gioco algebrico? Rappresentiamo i datinella seguente maniera: morte = M. Nascita = N. Il ciclo umano = H.Il ciclo inferiore al ciclo umano = H-L Il ciclo superiore al cicloumano = H + 1. E questo può essere fatto per qualunque ciclo. Ponen-do algebricamente, in equazione, le proposizioni sopra enunciate, avremo:

M.H = N(H + 1) e N.H = M(H-1)sviluppando abbiamo:

M.H= N.H + N, e N.H. = M.H-M.sostituendo M.H con il valore, avremo:

M.H. = M H - M + N,cioè M = N. Vale a dire che, eliminando si da se stessi tutti gli indicie tutti i coefficienti, i fenomeni morte e nascita, considerati in sèstessi ed all'infuori dei cicli, sono perfettamente eguali. Poniamo ora Xeguale al valore ignoto del perfezionamento ottenuto nel corso di unamodificazione qualsiasi, avremo:

M (H -1) + N.H + X = M.H + N (H + 1) ovvero MH - M + N.H ++X = M.H+N.H+N·

e quindi X = M + N.I coefficientì, anche qui, si eliminano; e noi otteniamo che X (perfe-

zionamento) è dovuto espressamente alla somma d'una morte e di unanascita, e alla coincidenza di questa morte e di questa nascita.

E - cosa strana - ci accorgiamo che, anche algebricamente, que-sta X, di cui noi conosciamo la sostanza ed il funzionamento, è incom-mensurabile.

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d 11'Alta Scienza. Ed è su questa triade, famigliare a tutti,e che la cattolicità romana deve, dai suoi testi fondamen-tali, riconoscere essa stessa, che porremo le nostre indagi-ni e la nostra dimostrazione.

L'essere umano non è un'entità; esso è un aggregato,e, in realtà, un aggregato di elementi naturalmente assaipoco coerenti fra loro, poiché differiscono tra loro essen-zialmente gli uni dagli altri. Questi tre elementi che costi-tuiscono l'uomo come noi lo conosciamo, esistono indi-pendentemente gli uni dagli altri; vi sono corpi senza ani-me né spiriti, come la materia terrestre; vi sono anime sen-za spirito né corpi, come i fluidi invisibili emanati dalleforse fisiche celesti, o erranti; vi sono spiriti senza corpi,come quelli che i cattolici chiamano i « cori degli angeli »,e che rispondono ad una realtà assoluta.

Non diciamo qui niente di nuovo, ma presentiamo, sot-to un nuovo aspetto, la percezione di cose antiche. Glielementi che compongono l'uomo non hanno quindi bisognodi restare uniti per esistere; ma è la loro unione che 'co-stituisce l'uomo. Prima che essi si riunissero, non esiste-va alcuna umanità; dopo la loro dìssociazione, non esistealcuna umanità. L'umanità è formata dalla loro tempo-ranea coesione.

E' dunque, non su questi elementi in sè, ma sulla lorounione e coesione, che si esercitano i fenomeni dellanascita e della morte, particolari alla nostra specie. Dob-biamo anche dire che questi elementi, presi ognuno inparticolare, sono indifferenti alla nascita e alla morte, chenon possono interessare altro che le loro modalità, o leloro qualità proteiche.

Questa verità è già intravista e sentita - se non di-mostrata - per lo spirito e per l'anima. Essa non è me-no precisa in ciò che concerne la materia. Sarebbe as-surdo dire che l'atto della generazione crea la materia dicui il corpo umano è formato: poiché solo il germe fe-conda, cioè provoca lo sviluppo della forma umana sudelle particelle condensate della materia. Sarebbe ancheassurdo affermare che l'atto della morte uccide la mate-ria: essa la disaggrega, cioè la libera della componenteumana, le toglie la forma solo sotto la quale essa poteva

far parte dell'uomo, e la ritorna alla corrente delle forme?ove non resterà inutilizzata, finché l'Universo sarà sottoIl regno del Limite.. La ~ascita umana è dunque la formula di composi-zione di un aggregato (si direbbe chimicamente: la for-mula di produzione di un precipitato). Siccome noi sia-mo in evoluzione, cioè parlando secondo le contingenze, inprogresso, nel mezzo dei cicli, lungo le rivoluzioni del-l'e.lica, che c~ conduce alla volontà del cielo, questa na-SCIta e benefica, vale a dire che l'aggregato così formatocomporta ele:t;nenti.superiori a quelli dell'aggregato pre~cede~te, l~ cUI.na.sclta a~la stasi umana ha provocato I'im-n:edlata dissociazione, L uscita dalla stasi ante-umana cor-risponde alla dispersione, nella corrente universale di unelemento inferiore all'ultimo degli elementi umani,' ovverodella parte più massiccia e rudimentale della materia. L'en-tr~ta n~ll~. stasi ~mana, che le è coincidente, corrispondea!l acqursizrone di un elemento· superiore, lo Spirito odi una part~ dell~ Spirito che l'altra stasi non possed~vaaffat.to. NOI parliamo sempre, è beninteso, in manieracontingente, perché diventa ogni giorno più scientifica-:ne~te probabile, e più metafisicamente indispensabile, chel .dIversI elementi di cui sono composti gli esseri sonogli stati differenti di una sola ed identica Cosa (supponia-mo: della sola Materia) depurata e sublimata attraversog!i. individui, sotto l'attrazione benigna della ~olontà delCIelO,tramite gli sforzi continui della personalità.

Il fenomeno della morte è assolutamente identico e~embra determinare degli effetti analoghi, ma in se~somverso, solo perché abbiamo preso la cattiva abitudine dic?nsi?erarIa dal solo punto di vista della stasi umana.~ uscita da questa stasi (morte) corrisponde alla disper-SIOne del corpo, alla perdita della forma materiale uma-~a, che è la parte più bassa del nostro composto. Mal entrata nella stasi super-umana (nascita) che è coinci-dente alla morte umana, comporta l'aggiunta di un ele-mento spirituale.. di cui non conosciamo il valore e che èsuperiore al migliore dei nostri elementi umani. É' perciòche la morte umana, dal momento che coincide con unamiglior nascita, è superiore, metafisicamente, alla nascita

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umana. Ecco dunque l'aggregato umano. Nessuno dei suoielementi gli appartiene in proprio, poiché essi tutti fannoparte di altri aggregati, sia inferiori, sia superiori. Nes-suno di essi è intaccato essenzialmente dai fenomeni uma-ni. L'aggregato è dunque costituito solamente dall'associa-zione temporanea di questi elementi indipendenti. E la ca-ratteristica umana è questa: che in nessun'altra parte que-sti elementi si trovano riuniti insieme, nell' ordine e coni coefficienti che hanno nella nostra stasi. La specialitàumana non è dunque una specialità .d'essenza né di na-tura; è una specialità di grado e di metodo. Questo grado,questo metodo, in una parola questo concatenamento par-ticolare, è l'INDIVIDUO.

Ma questo, nell'uomo, non è tutto; e qui noi tocchia-mo il fondo della cosa metafisica per ciò che concerneil nostro stato presente. Gli elementi dell'aggregato uma-no, di cui abbiamo ammesso la condensazione in tre prin-cipali, sono indipendenti gli uni dagli altri, e rivestono,nell'evoluzione dell'Universo, qualità diverse e disparate,il cui gioco tende ad allontanarle le une dalle altre: l'ab-biamo già determinato più sopra. Ciò nonostante, l'ag-gregato umano, se non è così omogeneo come ci si au-gurerebbe, è solido; esso possiede quindi innata una forzadi coesione a cui obbedisce.

Si è potuto affermare che questa forza di coesione erala volontà divina; questo può essere evidentemente unaconseguenza; ma non è la volontà del cielo. Ci si riportialle indiscutibili concezioni geometriche dei capitoli pre-cedenti; vi si vedrà che, nella stasi umana, la volontàdel cielo non si fa sentire affatto, ed è appunto per questoche l'uomo possiede una libertà relativa, e che il sim-bolo grafico della sua stasi può essere un cerchio enon una rivoluzione d'elica. Questa forza non è la volontàdel cielo; e nemmeno la forza degli elementi costitutividell'umanità, che è una forza personale, indipendente,quindi centrifuga, in rapporto al composto umano.

Questa forza, che è un'emanazione della volontà delcielo, ci appartiene specificamente: questa forza che man-tiene unito l'aggregato umano, e che fa nascere e animal'individuo, è la PERSONALITA'.

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Individualità e Personalità: stati diversi, che non appar-tengono allo stesso piano, che non possiedono la mede-sima organizzazione, la stessa esistenza, e di cui il se-condo è superiore al primo con tutta la superiorità chel'eternità ha sul tempo; termine di cui, peraltro, un'abitu-dine spiacevole ha creato dei sinonimi, o in ogni caso deglianaloghi, la cui confusione ha generato, nel ragionamen-to scientifico e nell'immaginazione popolare, i più detesta-bili errori: quando sapremo che la persona è la sorgentedi tutti gli individui successivi che hanno rappresentato laforza di coesione di cui parlavamo poco fa, comprende-remo come si armonizzano e convivono proposizioni ed in-teri sistemi, che sembrerebbero opposti, in seguito ad unamancanza di definizioni, o ad una confusione di oggetti.

L'individualità è, in apparenza, la personalità consi-derata in un ciclo; in realtà non è nemmeno questo; poi-ché la personalità esiste completamente al di fuori del-l'individuo e non è intaccata né dalla nascita, né dallamorte, né da alcuno dei cambiamenti all'interno del ciclo.Esattamente, l'individualità è la risultante dello sforzodella personalità su di un composto, su di un compostoumano, per esempio. Di conseguenza, l'individualità è as-solutamente legata ad un composto, e si trasforma conesso; la personalità sussiste sempre eguale, e si trasformacon esso; la personalità sussiste sempre eguale a se stessa.

Così l'individuo umano, che è il risultato delle influen-ze fisiologiche e psicologiche degli elementi del compostoumano gli uni sugli altri, l'individuo umano appare, sisviluppa e scompare, contemporaneamente al compostodi cui è espressione. La personalità, così come si esercitasul composto, si chiama la personalità umana; ma non èche un avatar, una misura temporanea del suo valore: es-sa si applica oggi al composto umano, ieri al compostoche l'ha preceduta, domani al composto che la seguirà;ed essa è sempre simile a se stessa, perché la natura e ledeterminanti di una forza sono indipendenti dal suo pun-to di applicazione. L'individuo è dunque proteico e con-tingente: la personalità è immortale: ed essa contiene l'in-definita successione degli individui.

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Vediamo dunque chiaramente ora di cosa si componela «persenalità umana », particella della personalità uni-versale. Essa si compone di un aggregato umano, che co-stituisce l'individuo; si compone anche dei movimenti ge-nerati fra loro dall'avvicinamento degli elementi dell'in-dividuo; si compone infine dei movimenti che la persona-lità imprime, nel suo sforzo di coesione, sull'individuo.

Si può, con un'accettabile analogia, arguire che, diquesta trinità umana, il primo termine corrisponde alcorpo, il secondo all'anima, il terzo allo spirito, non, benin-teso, nella loro essenza, ma nella loro manifestazione.Ma non bisognerebbe, pena l'errore, spingere troppo lonta-no le conseguenze di quest'analogia, fatta soprattutto ascopo di semplificazione, e non per creare' nuove cate-gorie.

In questo modo si trova chiarita, provata e vendicatadi tutte le sue ingiurie, la legge buddhista e pitagorica delleRinascite, che molti dei suoi stessi adepti interpretano me-diocramente. Non bisogna affatto intendere degli indivi-dui, poiché essa è contraria alla loro condizione; occorreintendere la personalità, affinché un individuo (cioè uncampo d'azione e di sforzo) scomparso si scelga un al-tro individuo, ovvero affinché un individuo morto, rinascain un altro individuo. (Notiamo che la scelta dell'indivi-duo è tale, che soddisfa sempre alle quattro leggi primor-diali di attività, di libertà, di armonia e di bene, e che inquesto modo la metempsicosi animale appare anche quiun ridicolo controsenso ed una vera barbarie). E così, lapersonalità - che in un dato momento fu, è, o sarà iapersonalità umana, a seconda del momento del ciclo chesi considera -, passerà di esistenza in esistenza fino « allareintegrazione nell' esistenza suprema, in Dio », Nessun al-tro luogo migliore di questo, per dimostrare come, quan-do ci si sia accordati sulle definizioni, non vi è cheun solo modo di dire la verità, in nessun altro luogosarà meglio posta questa frase che sottolineo a matita,frase di un occultista che fu esclusivamente occidentale,il mio caro amico e fratello Stanislao de Guaita.

E' in questa immutabilità della persona che si soddi-sfa il nostro vago desiderio d'infinito; è in essa che deve

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confidarsi il ben pru preciso affetto che portiamo pernoi stessi, attraverso i nostri simili: essa ci basterà, se sa-premo sublimare questi affetti, a distaccarci dalle aspi-razioni inferiori, che sono troppo pesanti per seguirei nel-l'ascensione indefinita dell'elica evolutiva. Ed è essa cheè insieme testimone e garanzia della nostra eternità .

Così come questa distinzione, così profonda, così ne-cessaria, e che sembra sottile solo perché la si è pertroppo tempo misconosciuta, ci chiarisce la legge delleRinascite, di cui possiamo, tutti, in qualsiasi culto tradi-zionale, quale che sia, essere fedeli, così ci illuminerà ilfenomeno razionale della morte umana, e la causa deltragico laceramento e dell'orrore che ci ispira.

Abbiamo ampiamente dimostrato come ogni morte (ela morte umana non vi fa eccezione) sia un passaggiobenefico da uno stato qualunque ad uno stato superiore.Anche i più profondi pensatori hanno aspirato alla mor-te, come al solo mezzo del loro perfezionamento. Ma tuttal'umanità, e questi stessi pensatori, si rivoltano con tuttoil loro essere al momento del passaggio. E quando vedia-mo morire davanti a noi uno dei nostri, malgrado tutti iragionamenti metafisici che possiamo fare, siamo presi dalterrore e dalla tristezza; e piangiamo insieme su chi se n'èandato, e su di noi, che pertanto lo seguiremo. Comespiegare questa universale impressione, che sarebbe unafollìa se altri fattori, oltre a quelli che segnaleremo, nonentrassero in gioco?

E' perché siamo particolarmente attaccati, in questopassaggio, dagli elementi che questo passaggio tocca edassume in forma più considerevole. E consideriamo psi-chicamente il ruolo della morte umana nell'evoluzione:della nostra personalità. .

Il corpo -ovvero la forma - e la forma caratteri-stica della specie - non ha più ragione d'essere, e ineffetti scompare, più o meno rapidamente, per « sposa-re» altri contorni, per divenire un'altra forma, che ci èindifferente, allo stesso modo in cui ci è indifferenteuna qualunque forma umana non animata. Non è affattolà che risiedono l'angoscia e la causa del dolore.

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La personalità - l'abbiamo visto - sussiste; ed essasussiste, aumentata e perfezionata attraverso le esisten-ze che ha percorso e l'individualità che ha animato; essaè aumentata dal suo proprio sforzo, che l'individualità,in cui questo sforzo è stato effettuato, le rende al momen-to della dissociazione. E questo bagaglio che la persona-lità porta con sè in altri cicli, è l'eredità sacra dellenostre idee, delle nostre concezioni, delle nostre fatiche edelle nostre sofferenze. E poiché, per individualizzarsi dinuovo, la personalità sale di un grado, non è nemmeno làche risiede il rimpianto.

.Ma abbiamo mostrato che il composto umano com-prendeva ancora i movimenti causati dal confronto deisuoi elementi fra di loro, e dalla somma dei suoi ele-menti fra di loro, e dalla somma dei suoi elementi faccia afaccia della sua personalità.

Sono questi - non le idee - che sono figlie dellapersonalità e della volontà del cielo. Sono questi gli affet-ti, le impressioni, in una parola i suoi sentimenti umani.La personalità li porterà con sè? No, perché essi furonodell'uomo. Li ritroveremo un giorno? Li sentiremo in mo-do simile altrove? No. Bisognerebbe, per questo, ritro-vare tutti gli altri elementi costitutivi di queste impres-sioni, cioè gli elementi del composto umano associati al-lo stesso modo, con gli stessi coefficienti: cioè bisogne-rebbe ritrovare, in un altro ciclo, la caratteristica del cicloumano. E questo è impossibile. Certi elementi umani siritroveranno, ma non tutti, e non con lo stesso valore;essi non influiranno quindi nello stesso modo gli unisugli altri; la personalità non si sforzerà più su di lorocon i medesimi risultati. I « Sentimenti dell'uomo» sonodunque specifici dell'uomo e spariscono con esso. E mentreil suo corpo se ne ritorna alla materia per entrare in un'al-tra corrente di forme, mentre il suo spirito inalterabileconduce la personalità nella sua ascensione, la sua anima,che è la più tenue, se si vuole, delle materie, ma che èmateria, al dire stesso dei princìpi della Chiesa cattolica 5,

5 Anima: materia prima (San Tommaso d'Aquino: cap. 75); confron-tare anche la bolla di Papa Clemente V sul medesimo soggetto.

la sua anima svanisce nel mondo psichico, nell'etere dellevibrazioni, nel dominio delle forze erranti, che noi cono-sciamo ancora così male, ma di cui si sa nonostante que-sto che l'energia liberata è letteralmente astrale. Quella cheera la caratteristica animica dell'uomo non la ritroveremomai più.

Ragionevolmente, non potremmo rimpiangerla, poichéil suo annientamento è immediatamente rimpiazzato da unelemento di essenza analoga e di qualità superiore. Ma,impulsivamente, preferiamo ciò che abbiamo e conoscia-mo, a ciò che ignoriamo: ma siamo attaccati a questofascio di impressioni e di sentimenti ancora di più diquanto era la caratteristica del nostro stato umano. Que-sta sensibilità esclusivamente umana, cordone affettivocon cui ci leghiamo gli uni agli altri, era quello che ave-vamo di più caro. Ed è questo, solo questo che si con-fonde, senza possibile ritorno all'individualizzazione, nel-l'universale!

E notiamo che questa sofferenza ci è tanto più greveperché la sede della sofferenza, riguardo la perdita diquesto elemento, è precisamente in questo stesso elemen-to. Non è con la nostra sessualità, né con la nostra ragio-ne, ma con la nostra sensibilità che deploriamo la scom-parsa della summa sentimentale che rappresentava l'uo-mo che muore accanto a noi. E questo è così vero che inostri più cocenti rimpianti vanno, non all'uomo di genio,con cui abbiamo legami intellettuali, non ai nostri parenti,con cui abbiamo legami di sangue, ma a coloro la cuivita fu parallela alla nostra, le cui azioni furono vicinealle nostre, e la cui sensibilità, di conseguenza, penetròla nostra e ne determinò più di frequente i movimenti.

Da questo dolore irragionevole, ma naturale, che 'èl'altruismo umano, vale a dire l'egoismo generalizzato, benpochi possono dirsi indenni: poiché la ragione stessa sene dichiara impotente. E le bizzarrìe della nostra sensi-bilità non sono qui vinte che dal freno della volontàpiù potente. Ma il problema non sta affatto qui. Conten-tiamoci di aver analizzato a fondo la morte, e di averne mo-strato l'esatta dissezione, fino ai sentimenti che essa pro-voca in noi.

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Peraltro, dopo aver detto che cos'è la nascita e checos'è la vita umana, non lasciamo così lo studio dellacondizione ultima dell'individuo. Poiché, come abbiamodetto, la personalità eterna sale l'elica evolutiva ingros-sata, nelle sue modalità, della summa sublimata delleidee conosciute e delle impressioni subite. In questo mo-do, anche per quanto riguarda lo stato umano sensibile,esso non perisce interamente. Non perirono di più glistati che lo precedettero. La nostra personalità, umana-mente individualizzata, con i suoi propri movimenti, è

. l'eredità, di cui non siamo coscienti, dei cicli anteriori. Ilfatto che non ne abbiamo affatto memoria, non potrebbenegarla. Noi abbiamo un chiaro desiderio dell'avvenire:abbiamo dei ricordi oscuri, come lampi. velati, del pas-sato: questi desideri e questi vaghi ricordi sono propridel nostro stato umano. E' logico che, salendo attraversoi cicli, la conoscenza del futuro e la memoria del passatoilluminano la nostra intelligenza. E concepiremo alloracome assiomi quelle verità profonde delle. quali oggi sia-mo obbligati demandare la concezione alla sintesi analo-gica.

Si sappia dunque che, non solamente per la nostraevoluzione, ma per la formazione definitiva della nostraentità, il passaggio nella stasi umana ci è vantaggioso, eche il meglio di esso ci resta, attraverso queste rinascite,con cui corroboriamo l'antica legge. Si sappia che nientedi ciò che facciamo, diciamo, pensiamo, è assolutamenteperduto. Si sappia che anche questa sensibilità, che cifa a torto considerare come il peggiore dei mali il dipar-tire dalla stasi terrestre, trova alla fine la sua piena sod-disfazione. Ci si voglia perdonare, in conclusione di unostudio così rigoroso, una volontaria digressione nel do-minio sentimentale. Non abbiamo altro scopo tramite que-sto che provare l'eccellenza della logica tradizionale, e laprevidente onnipotenza della Volontà del cielo.

Poiché lo scopo dell'Evoluzione è l'unità, tutti i sen-timenti suscitati dalle bellezze fisiche, tutte le idee su-scitate dalle bellezze sentimentali, inscritte nel susseguirsidelle modificazioni, tendono al luogo metafisico, in cui

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tutte le bellezze, divenute lo splendore, e tutte le idee, di-venute la Verità, svaniscono, coscienti, nella Perfezione.

Così le personalità che, attraverso tali individualizza-zioni, si avvicinano al corso dei cicli, si avvicinano ogniistante di più: queste unioni terrestri, comunque le sivoglia chiamare, che noi crediamo ·la morte non dissolva,si restringono attraverso le modificazioni, a misura chei nostri elementi si perfezionano; in modo che - anchese i legami umani ci sembrino stretti -, noi siamo ora piùlontani gli uni dagli altri, di come lo saremo mai neicicli futuri. La nostra aspra e severa logica ci conducedunque ad un risultato inevitabile, che soddisfa la senti-mentalità, sbarazzata, evidentemente, del suo egoismo na-tivo, meglio di ogni sogno e di ogni misticismo. Le affini-tà che constatiamo nel mezzo umano sono la sommadegli sforzi di altri cicli che precedettero il nostro; essesono, anche, la preparazione e la promessa di legami piùstretti e disinteressati tra coloro che li stringeranno, e nefaranno delle modalità della loro personalità. Così le ideepure, coloro che le concepirono, coloro che le provocarono,e coloro che si adorarono in esse, sublimate ed elevateper mezzo della corrente dell'Evoluzione benefica, ci ele-vano, eternamente riuniti, nell'Universale 6.

Terminiamo qui il riassunto della Via Metafisica se-guita e conservata dalla Tradizione Gialla, che è - fino

6 Si noterà che in questa studio metafisico abbiamo trattato dellastasi umana, considerandola al di fuori di tutte le altre stasi. Ciò cheabbiamo detto di essa può considerarsi applicabile ad ogni altra stasispecifica, ad ogni altro vortice individuale. Precisiamo solamente, an-cora una volta, che !'individuo non passa che una sola volta attraversola stessa specie, e che il suo vortice non è che l'applicazione, al suoindividuo, della spira figurativa dell'evoluzione della specie. Quantoai rapporti dei vortici tra loro e delle stasi tra loro, la Tradizionecinese ci rimanda allo studio di un'altra parte della sua filosofia. Ineffetti, la successione delle sta si ha qualcosa di regolare e coordinato,che è del dominio della Ragione. Le modificazioni che emanano dal-l'essere, la trasformazione che reintegra gli esseri, ed il Nirvana (Nib-ban) che è il coronamento e la fine delle serie, devono essere studiatia partire dai loro movimenti e dalle loro influenze reciproche. Il testostesso di Wen-wang lo dice espressamente: «La modificazione e latrasformazione, la ·Via Razionale dell'attività». Noi ne troveremo espo-sizione nella Filosofia della Via Razionale, cioè nel sistema taoista diLao-Tze.

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ad altre scoperte - la sola Tradizione conservata fino ainostri giorni senza interpolazioni, soppressioni od obnubi-lamenti. L'avremmo ulteriormente ridotto se non avessi-mo creduto di rendere ancora più oscura la compren-sione di queste materie delicate. In altri studi, succinta-mente analoghi, vedremo più tardi, con la filosofia diLao-Tze, la Via Razionale, e, con la filosofia di Kong-Tze(Confucio) la Via Sociale, derivate altrettanto strettamen-te- e direttamente dalla stessa Tradizione.

Ma vorremmo lasciare, nelle nostre ultime righe, uncorollario pratico dell'idea metafisica di cui si è disqui-sito. Vorremmo ricavare da questo insegnamento un me-todo consequenziale ed adeguato di lavoro, per chi saràcurioso, non solamente di leggere le pagine precedenti, madi incominciare il faticoso lavoro che esse lasciano dafare, e che preconizzano.

Questo metodo di lavoro si deduce logicamente daiprincìpi che abbiamo stabilito: spieghiamolo in poche ra-pide parole.

Il destino d'attività dell'uomo si manifesta prepoten-temente nell'attività che gli dà la modificazione ciclica dicui l'umanità attuale fa parte. Noi non siamo i maestridi quest'attività, né del suo fine, e nemmeno dei suoi mez-zi. Ora, per obbedire alla volontà del cielo, noi dobbiamoconformare il nostro movimento al suo, ed anche, comedice espressamente Tsu-Kong, far tacere i desideri umaniche ostacolerebbero il bene risultante dall'attività. Questomovimento personale e cerebrale dell'essere umano, in cosapuò meglio consistere se non nello studio dell'attività delcielo, nostro modello, studio che ci farà partecipare, nellamisura del possibile, a questa attività?

L'attività del Cielo fa sì che tutto si modifichi e sitrasformi; lo studio non ne può mai essere completo; essonon è più esatto, appena è stato espresso, anche se ha po-tuto esserlo nel momento preciso in cui fu formulato.Lo studio del cielo non è dunque mai terminato; non ènemmeno mai iniziato. E non dobbiamo temere di con-sacrarvi tutti i movimenti della nostra ragione.

Come dev'essere portato avanti questo studio? Dev'es-sere fatto con un fine di attività, in parallelo e al di sotto

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dell'attività del cielo; vale a dire con ogni principio, ognilibertà, ogni armonia, ogni bene. Con ogni principio,cioè appoggiando sul principio di attività del cielo e suquelli che ne derivano; - con ogni libertà, cioè liberando-si da ogni passione, che è una catena; - con ogni armo-nia, cioè deducendone logicamente e normalmente le con-seguenze di tutti i princìpi; - con ogni bene, cioè se-guendo la regola della ragione perfettibile che ci vienedal Cielo. In queste condizioni, il lavoro dell'uomo dotatogli sarà favorevole. D'altra parte non vi è, nello studio,errore di cui si possa interamente essere colpevoli neiconfronti del cielo; e le responsabilità che, potremmoaverne, risalirebbero più lontano che non al momentoattuale; non ci sono imputabili, se non provengono dallanostra volontà immediata, vale a dire se, studiando, noiosserviamo i princìpi secondo cui il cielo si muove, ese esse provengono solamente dall'imperfezione relativaalla nostra modificazione presente.

A tale altezza, ogni concezione, anche falsa, anche fol-le, è un merito e un omaggio reso. Insufficienti le idee,detestabili i termini, ecco di cosa si compongono i no-stri studi a causa della nostra natura e della mediocritàdei nostri mezzi. E' come dire che dobbiamo rinunciarvi,ed accontentarci della fede dei bambini e delle anime sem-plici? Sicuramente no: l'intelligenza accordata all'uomo,e di cui egli non può che inorgoglirsi, nel caso se neserva, gli fa un debito d'immobilità; essa gli verrà va-lutata a titolo d'indifferenza. Oppure può accadere che,cercando la verità, temessimo di incontrare l'errore eci si attaccassimo, mancando così di fiducia nel cielo enel destino che ci ha conferito. La visione, senza fre-merne, di ciò che sta sopra di noi, è il dovere della mo-:dificazione del nostro spirito affinché esso giunga allasua definitiva trasformazione.

Per questo centro, che è Uno e Tutto, non esistel'errore; davanti all'Essenza non vi è divergenza apprezza-bile tra due affermazioni contrarie pronunciate da noi,né tra ciò che chiamiamo il vero ed il falso. Il vero ed ilfalso umani sono talmente lontani dalla Verità che, con-siderandoli in rapporto ad essa, si confondono all'infinito

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in una sola e' medesima inesattezza, che ci è meritoriocommettere, quando la commettiamo con cuore puro edardente, secondo la Via del Cielo.

Qualunque strada s'intraprenda, si cammina sempre ver-so il Centro, inevitabilmente. Ogni passo superato, in qua-lunque senso, con lo studio, ci avvicina ad esso. I concetti,naturalmente falsi, che emettiamo oggi, vibrano in tuttala nostra personalità, ed al di là dei limiti che i nostrisensi impongono al mondo attuale. Salendo, di spira inspira, attraverso le modificazioni che ci attendono, essisi svestono dell'errore, nello stesso tempo in cui rifiutanoi termini ridicoli di cui li avevamo necessariamente rive-stiti.

Ogni lavoro, ogni pensiero, ogni sogno stesso è dun-que propizio. Non dobbiamo dolerci dei passi falsi e de-gli errori, di cui non siamo responsabili che attraverso lanostra natura ed i nostri destini presenti. E non è che ac-cumulando degli errori che l'uomo dotato sale un giornoall'altezza del vero.

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CAPITOLO NONO

GLI STRUMENTI DELLA DIVINAZIONE

(Testi e Documenti)

Sono qui indotto a dare alcuni testi e documenti estrat-ti dal Yi-king e da diversi commentari o paragrafi filosofi-ci degli apoftegmi di Fo-hi e di Wen-wang. Abbiamo vistoche lo Yi-king si adegua a tutte le condizioni dell'esisten-za umana, a tutte le scienze contingenti e allo studiostesso della metafisica e del soggettivo. Lo Yi-king avevaanche un senso divinatorio. Col simbolismo politico, ècertamente questa parte del testo primordiale a esserla più popolare.

Diciamo subito che è quella peggio interpretata e lapiù insufficientemente compresa. Infatti i sapienti e i fi-losofi dell'Estremo Oriente non si sono mai interessatiagli empirismi e non hanno mai privilegiato, nei lorostudi, l'aspetto divinatorio del Yi-king. Solo dei pretiambulanti, chiamati taosse, i quali occupano il punto dimezzo, ma non il giusto mezzo, fra i monaci mendicanti ei giocolieri, hanno fatto di questo studio la loro passionee, allo stesso tempo, il loro mestiere. Abbandonata ai traf-fici di spiriti mediocri, la tradizione divinatoria del Yi-kingnon ha tardato a oscurarsi; e si può dire che essa siaoggi del tutto perduta.

Non saremo noi ad aver l'ingenua audacia di tentarnela ricostruzione; infatti i testi del Libro sono quasi inin-telligibili senza la Tradizione Orale; quanto meno, il lorosenso è così vago, che se ne possono trarre tutte le in-terpretazioni desiderate. Ora, bisogna riconoscere che dasecoli (possiamo dire, all'incirca, da ventun secoli) la Tra-dizione Orale divinatoria è scomparsa.

Lao-tze e Confucio la conobbero; Lao-tze la disdegnòcome gioco inferiore. Confucio la trasmise ai suoi disce...poli; ma non se ne trova più traccia dopo la distruzione

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dei Libri e l'esecuzione dei Letterati ordinate dall'Impera-tore Sin-ci Hoang-ti (213 a.C.).

Il nostro amore per la precisione ci induce a confes-sare che non abbiamo in nessun luogo trovato spiegazioniscritte né esegeti autorizzati della divinazione. Se ne esi-stono, sono nascosti nei penetra li degli ultimi santuari,oppure custodiscono il loro deposito così gelosamenteche neppure gl'iniziati estremo-orientali di grado elevatone suppongono l'esistenza.

Questa era anche l'opinione di Philastre, dal qualeprendo a prestito, non potendo fare di meglio,. alcunipassi dell'eccellente traduzione dello Yi-king, da me giàsegnalata. Non ci si stupirà, in tali condizioni, che noipresentiamo dei testi quasi incomprensibili e delle tavolequasi indecifrabili; è tuttavia utile che questi testi e que-ste tavole non scompaiano del tutto dalla memoria degliuomini: forse qualche kabbalista o qualche sapiente pro-fondamente versato nelle scienze occidentali vi potrà trova-re dei punti di convergenza e dei tratti comuni con ladivinazione quale ce l'hanno trasmessa la Grecia e il Me-dioevo. In ogni caso, non pensiamo che sia possibile farluce, quanto meno coi raggi estremo-orientali, là dove Phi-lastre è stato costretto a dichiararsi smarrito nelle tene-bre.

Philastre infatti (ed è la ragione per cui abbiamo sceltole sue traduzioni laddove non siamo stati tenuti a tra-durre il testo per la prima volta), Philastre non era sol-tanto un sociologo emerito, quale non ne videro altri lecupole dei nostri diversi istituti. Egli aveva trascorso un'agran parte della sua vita in Cina e in Indocina: illustreufficiale di marina, filosofo colto ed insigne, aveva messoa profitto il suo lungo soggiorno presso i Gialli per pe-netrare il loro spirito, la loro tradizione e la loro società.Era giunto, grazie alla sua alta cultura e ad una non co-mune forza di assimilazione, a vincere la diffidenza deiprudenti mandarini dell'Impero e a varcare le soglie ordi-nariamente vietate, soglie che solo in casi eccezionali di-vengono accessibili a uomini appartenenti a un'altra razza.Egli raccolse anche gl'insegnamenti più preziosi; oltre adalcuni seri benefici, ricevette tali istruzioni e cooperò con

tali interlocutori, che la sua traduzione della «Tradizione\Primordiale» è il miglior monumento che si possa spe-rare di innalzare, in una lingua occidentale, in onore dellefilosofie cinesi.

Questi benefici non escludevano gli obblighi verso larazza che lo aveva accolto e verso i sapienti che avevanoeducato la sua anima.

Tali obblighi acquisiscono in Estremo Oriente una for-ma particolarmente coercitiva. Philastre se ne rese contotroppo tardi, allorché, dopo la morte dell'eroico Garniernel Tonchino, egli accettò di trattare da plenipotenziario,a- nome della Francia, con l'impero dell'Annam. Gli obbli-ghi del suo cuore erano in contrasto con quelli della suafunzione; egli cercò invano di conciliarli e fu vittima diuna situazione inestricabile. Con uno spirito di venerazionee di obbedienza per i suoi maestri, egli cercò di conclu-dere un trattato che non fosse svantaggioso per loro. Par-ve così disconoscere gl'interessi del proprio paese e allostesso tempo, suo malgrado, tradì i desideri più segretidella sua coscienza. Fu sollevato dalla sua funzione, la-sciò l'Estremo Oriente e dovette accontentarsi, nel Mididella Francia, di' un infimo impiego nella scuola, dovemorì povero e ignorato, senza aver ricavato nient'altro, daisuoi lavori e dal suo sapere, che la costanza della propriarassegnazione.

Ho voluto porre in risalto questi pochi tratti d'un'esi-stenza veramente tragica, allo scopo di farne risaltare que-sto insegnamento: impegnarsi in un vicolo cieco intellet-tuale porta un individuo alla rovina sociale.

I Numeri

A. Il cielo è uno, tre, cinque, sette, nove. La terra èdue, quattro, sei, otto, dieci. Questi sono i numeri delcielo e della terra. Le situazioni dei numeri 1 e 6 sono inbasso; 2 e 7, in alto; 3 e 8, a sinistra; 4 e 9, a destra; 5e lO, in mezzo.

B. Il numero cinque indica l'estensione di ciò che ge-nera; il numero dieci, l'estensione di ciò che è generato.

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/Uno, due, tre, quattro, rappresentano la situazione deiquattro simboli: sei, sette, otto, nove sono i numeriche vi corrispondono. I

C. Vi sono cinque numeri celesti e cinque numeri ter-restri: in ogni serie i numeri concordano a due a due. Lasomma della prima è venticinque; la somma della secon-da è trenta; il loro totale è cinquantacinque. E' questoche compie le stasi di espansione di contrazione.

I numeri celesti sono dispari: i numeri terrestri, pari.1 e 2, 3 e 4, 5 e 6, 7 e 8, 9 e lO formano dei gruppi con-cordi. Parimenti nelle cinque situazioni due numeri corri-spondenti concordano, cioè: 1 e 6, 2 e 7, 3 e 8, 4 e 9, 5 e10. L'unità si modifica e genera l'acqua; il 6 la trasforma;il 2 genera il fuoco e il 7 lo trasforma; il 3 genera il le-gno e 1'8 lo trasforma; il 4 genera l'oro e il 9 lo trasfor-ma; il 5 modifica la terra e il 9 la trasforma. Così i cinqueagenti e i cinque pianeti subiscono i fenomeni di contra-zione e di raddrizzamento, di andata e di ritorno.

D. Secondo il centro segreto della tavola del fiume, ilnumero celeste cinque moltiplica il numero terrestre e sene ottiene cinquanta. Ma quando si consulta la sorte permezzo di questo numero, si limita l'impiego di esso aquarantanove.

Del modo di operare la divinazione mediante l'uso dell'er-ba Shi

Sospenderne uno fra il mignolo sinistro e il dito suc-cessivo. Separare ciò che resta dopo aver contato quattroper quattro. Raccogliere nei due intervalli del medio dellamano sinistra. Terminata l'operazione, si ritira il tutto; siriunisce e si separa come dopo la prima volta, in modo dafare la riunione nelle due mani e si ricomincia così lamedesima operazione.

E. Le sorti relative alla positività sono duecentosedìci,quelle relative alla negatività sono centoquarantaquattro:in tutto trecentosessanta, ossia l'equivalente dei giorni d'unarivoluzione.

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F. La tavola del fiume ha quattro facce: la grande po-sitività è 1 ed è seguita dal numero 9; la piccola posi-tività è 3, ed è seguita da 6; la piccola negatività è 2,ed è seguita da 8. La regola per contare ed eliminare ifuscelli (i fuscelli dell'erba shi, che nella divinazione rap-presentano le linee degli esagrammi) consiste nel contareinsieme quel che rimane dopo le tre modificazioni, nelloscartare l'unità fin dall'inizio, nel contare ogni gruppo di8 come una dualità. L'unità è circondata circolarmente da3; la dualità è circondata in quadrato da 4: 3 si serve del-la totalità, 4 si serve della divisione. Riunendo il tutto,ciò dà i numeri 6, 7, 8, 9 e dopo tre eliminazioni tuttosi trova ancora riunito. Restano tre unità in eccesso, lequali, ripetute tre volte, danno 9. I fuscelli sono dunque4 X 9 = 36, numero che costituisce l'estrema positività = 1.36 = 3 + 6 = 9; 9 + 1 = lO.

Se restano invece tre dualità, si ha 6, e il numero deifuscelli sarà 4 X 6 = 24, che costituisce l'estrema nega-tività - 4. 24 = 2 + 4 = 6; 6 + 4 = lO. Tale è il mi-stero della trasformazione; esso ha esclusivamente lo sco-po di mostrare la formazione dei numeri.

Gli esagrammi contengono 192 linee positive e altret-tante negative. Ora, 192 X 36 = 6.912, e 192 X 24 == 4.608, in tutto 11.520 formule di divinazione. Fare lequattro operazioni: divisione in due gruppi: sospensionedi un fuscello: eliminazione per quattro: raccolta del re-sto. Tre modificazioni determinano una formula; diciottodeterminano un esagramma.

I sei tratti essendo completi, se li si considera gli unicome movimento e gli altri come riposo, ne risulta cheun solo esagramma può diventare successivamente unoqualunque dei sessantaquattro tratti e può servire a de-terminare i presagi. Queste modificazioni si presentanodunque in 4.096 modi differenti: 4.096 = 642

Tutte queste questioni erano completate e sviluppatenelle istruzioni del Ceu-li, che sono oggi perdute, ed erano

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dirette ai funzionari incaricati della divinazione, ma èggi assolutamente impossibile controllarle 1.

Le Prove

A. L'uomo interroga: è dai segni che riceve la rispo-sta; riceve, come da un'eco, l'ordine che prescrive il suodestino. Non c'è per lui nulla di remoto, nulla di oscuro,nulla di nascosto. Ha conoscenza e coscienza degli esseriche si presentano.

B. Dopo aver contato tre per tre per la modificazione,si conta ancora cinque per cinque: si cercano i numerisette, otto, nove, dieci, per determinare il simbolo delmovimento o del riposo. Bisogna scrutare le analogie ele differenze nelle parole, al fine di conoscere le distin-zioni fra i membri delle associazioni; poi viene la provaper tre e per cinque, per confrontare gli esseri e le pa-role. (Questi due testi sono estratti dalle opere di Wei-fei).

I Segni

A. Lo Yi comporta l'estrema origine, ecco quello chegenera le due regole: ambedue generano i quattro simbo-li, che generano gli otto trigrammi. L'ordine è sempreben tracciato quando si tratta della divinazione.

B. Gli strumenti divina tori sono i fuscelli d'erba e latestuggine; grazie ad essi si determinano i presagi lieti otristi dell'universo. Il cielo mostra i simboli, il sapiente nededuce i presagi. Dal fiume esce la tavola, dal lago esceil libro e il santo ne formula le regole. Le formule an-nesse ai simboli servono a determinare l'avvertimento.

C. I presagi lieti o tristi sono sempre il risultato deldestino tracciato dalle formule; è per effetto del movi-mento delle modificazioni che questi presagi diventanoevidenti. Fo-hi vide i simboli nel cielo e le formule sulla

1 I paragrafi A, C, E sono tradotti dalle formule determinative diWen-wang e di Ceu-kong: il paragrafo B, dal commento di Thseng-tze:i paragrafi D e F, dall'opera di Tzu-hi intitolata La dissipazione delletenebre.

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terra. Due occhi si scambiano gli sguardi, gli esseri esi-stono.

D. Fo-hi fece dei nodi con una corda per la caccia eper la pesca. La ricavò dal trigramma li. Shen-nong piegòil legno per fare un aratro: lo ricavò dal trigramma Yi.Istituì il mercato affinché gli uomini di tutto l'universovi effettuassero i loro scambi: questo lo ricavò dal tri-gramma She-ho.

Hoan-ghi, Yao e Shuen-shi governarono; diressero il po-polo affinché non fosse ozioso; lo illuminarono affinchési conformasse al bene; ciò venne derivato dai due tri-grammi della Perfezione. Tagliarono un albero per fareuna piroga, tagliarono la legna per fare un remo; questolo ricavarono dal trigramma Hoan. Aggiogarono i buoiper il trasporto; sellarono i cavalli; questo lo ricavaronodal trigramma Su-ei. Raddoppiarono le porte per acco-gliere gli ospiti pericolosi; questo lo dedussero dal tri-gramma Yu. Presero un albero per fare un pestello e bu-carono la terra per fare un mortaio; questo lo dedusserodal trigramma Siae-kio. Piegarono e tagliarono il legnoper fare archi e frecce; questo lo dedussero dal trigram-ma kuei. Innalzarono delle colonne e dei muri per costrui-re delle abitazioni; questo lo dedussero dal trigrammaTat-sheng. Fecero uso delle bare interne ed esterne; questolo dedussero dal trigramma Tae-kuo. Inventarono i ca-ratteri della scrittura e le tavolette; questo lo dedusserodal trigramma Kue 2.

Le Concordanze

Un tempo, l'uomo santo percepì segretamente le causemisteriose della luce e creò la divinazione. Triplicò il cie-lo, raddoppiò la terra e si appoggiò ai numeri; esaurìla ragion d'essere e abbracciò completamente la naturadell'uomo al fine di giungere al destino. Il cielo e la terradeterminano le situazioni; la montagna e la palude me-

2 I paragrafi B e D sono tradotti dalle formule di Weng-wang e diTsheu-kong: il paragrafo A, dal Ki-mong di Tzu-hi: il paragrafo C, dalcommento dello stesso autore.

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scolano liberamente le loro arie; il fulmine e il ventoentrano a contatto, l'acqua e il fuoco non si distruggonoaffatto. Conoscere ciò che è passato è conforme alla viaordinaria; conoscere ciò che accadrà è al di sopra dellavia ordinaria.

Il fulmine lacera; il vento disperde; la pioggia imbeve;il sole vaporizza; l'ostacolo ferma; la soddisfazione fa go-dere; il cielo governa; la passività abbraccia.

L'essere supremo risulta dal movimento; si eguaglianell'universo; si vede nella trasformazione; agisce nellapassività; parla nella soddisfazione; combatte nell'attività;si sforza nello spostamento; perfeziona la parola nell'arre-sto finale 3.

Il movimento, che è il Drago, è la causa misteriosa ditutti gli esseri.

Kien, attività; khuen, passività: tshen, movimento; suen,ingresso; khan, caduta; lì, vibrazione; ken, arresto; tuei,soddisfazione.

Khien, cavallo; khuen, giumenta; tshen, Drago; suen,pollo; khen, porco; li, fagiano; ken, volpe; tueni, ariete. Siprendono gli esempi alla lontana: khien, testa; khuen, ven-tre; tshen, piedi; suen, coscia; khan, orecchio; lì, occhio;ken, mano; tuei, bocca. Si prendono gli esempi sul corpo.Khien, il cielo, è il padre; khuen, la terra, è la madre; tshen,principio maschio; suen, principio femmina; khan, lo spo-so; li, la sposa; ken, il ragazzo; tuei, la ragazza.

Khien: è il sole, tutto ciò che è rotondo, la pietra pre-ziosa, il principe, l'oro, il freddo, il ghiaccio, il rosso.r ìlcavallo veloce, il cavallo bianco, l'albero secco, tutto ciòche è diritto, il vestito, la parola.

3 Queste concordanze richiedono la spiegazione grafica degli ottotrigrammi primitivi: tre tratti continui == Khien = cielo; untratto continuo fra due tratti spezzati = = Khan = = acqua; un trat-to spezzato sopra due tratti continui ::.:: tuei Sii palude; un trattospezzato sotto due tratti continui === suen == vento; un trattospezzato fra due tratti continui === li == fuoco; un tratto conti-nuo su due tratti spezzati == ken _ _ montagna; un tratto con-tinuo sotto due tratti spezzati == tshen =-= fulmine; tre trattispezzati _ _ khuen :: :: terra.

. Khuen: è la terra, la stoffa, l'ascia, l'economia, l'ugua-glianza, la vacca, il carro, l'apparenza, la folla, il manicodell'utensile, il nero, tutto ciò che è quadrato l'oscuritàil sacco, la pipa, la mosca. "

Tshen: è il drago, la folgore, il giallo, !'influenza cau-sativa, la grande via, il primogenito, la fretta, il bambù,il canto armonioso, la criniera, il ritorno alla vita, la ri-petizione, il corvo.

Suen: è il legno, il vento, la figlia più anziana, la tra-ma, il bianco, il lavoro, la lunghezza, l'elevazione, il ramo,l'odorato, la fronte ampia, il beneficio, l'albero, la ricerca.

Khan: è l'acqua, il segreto nascosto, il tetto, la cordadell'arco, il disagio, la circolazione del sangue, il rossopallido, l'ardore, il piede delicato, la coperta, la calamità,la luna, il ladro, la durezza di cuore, l'antro, la musica, ilcespuglio spinoso, la volpe., Li: è il fuoco, il s?le, il lampo, la ragazza, la posterità,1arma, la tartaruga, Il ventre, il rettile, il frutto, lo stelo,la vacca.

Ken: è la montagna, il sentiero, la pietra, la porta ilreligioso, il dito, il sorriso, la solidità, il naso, la tigre,il lupo.

Tuei: è la palude, il bambino, I'indovino, la lingua,la rottura, la durezza, la concubina l'ariete la permanen-

4 ' ,za .

Nota. Dai testi che precedono è possibile inferire:

1) che la divinazione fu effettivamente determinata daWeng-wang e da Tsheu-kong;

2) che le regole della divinazione sono nella scienzadei numeri e che la numerazione veniva fatta coi fuscellidell'erba shi;

4 Tutto questo testo è estratto dal Capitolo VI dei Dieci colpi d'aladi Kong-tze (Confucio).

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3) che la manipolazione dei fuscelli dell'erba shi porta-va all'esame di uno qualunque dei sessantaquattro esa-grammi;

4) che questo esame doveva avvenire assumendo comedirettrice mentale una delle posizioni esagrammatiche, se-condo la formula della domanda, e che così c'erano 64

.maniere per fare l'esame dell'esagramma indicato dallamanipolazione, di modo che c'erano 4.096 (642

) maniereper rispondere a una data questione;

5) finalmente, a seconda della domanda che venivaposta, il senso di ognuno dei trigrammi che componevanogli esagrammi era indicato nelle concordanze.

Si possono, in via analogica, trovare altre cose neitesti che precedono. Ma lo stato della tradizione, dal solopunto di vista divinatorio, non ci consente di apprezzareche quanto si può trovare in questi testi è veramente quan-to volevano che vi si trovasse coloro che li scrissero.

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INDICE

Nota esplicativa pago 3

La Tradizione Primordiale » 5

Il primo monumento della conoscenza » 15

I grafici di Dio » 27

I simboli del Verbo }} 39

Le forme dell'Universo » 53

Le leggi dell'Evoluzione » 65

I destini dell'Umanità . » 81

Le condizioni dell'individuo » 101

Gli strumenti della divinazione » 125

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MATGIOILa via

metafisica

Matgioi (<<Occhiodel Sole») èil nome iniziatico di Albert dePouvourville, un francese chenei primi del novecento ricevettenel Tonchino l'iniziazione taoi-sta. La Voie métaphysique, checostituisce l'opera principale diMatgioi, è appunto un'introdu-zione alla metafisica estremo-orientale, dovuta a uno dei ra-rissimi occidentali qualificatiper parlarne. Il testo venne ini-zialmente pubblicato a puntatesulla rivista «La Voie», che uscìdal 1904 al 1907 sotto la dire-zione di Léon Champrenaud(entrato in Islam col nome diAbd el Haqq) e dello stessoPouvourville-Matgioi. Nel 1934Albert de Pouvourville pubbli-cò, con imprimatur ecclesiasti-co,un' agiografia dal titolo Sain-te Thérèse de Lisieux, dove sipoteva leggere che Santa Tere-sa annoverava parecchi devotifra i «pagani» dell'Asia. Ciò in-dusse Guénon a dire che, se Al-bert de Pouvourville era anco-ra vivo, Matgioi poteva ormaiessere considerato morto.

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