Belgrado-Sarajevo M signori in carrozza! - eastwest.eu · dai ritmi di vita a quelli dei treni. ......

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sniaca è di 325 chilometri, non certo siderale. Ma bisogna scordarsi gli Eurostar e i Freccia Rossa, i Tgv e gli Intercity tedeschi. Sia- mo nei Balcani e qui tutto procede a rilento, dai ritmi di vita a quelli dei treni. testo di Matteo Tacconi foto di Cristina Panicali e Antonio Tomeo 62 . east . europe and asia strategies numero 30 . giugno 2010 . 63 U ltimi riti prima della partenza. Due operai carica- no sul vagone ristorante panini incellofanati, latti- ne di birra e bottigliette d’acqua, snack vari. Il ca- potreno, berretto calzato bene in testa e occhiate vigili a inquadrare il movimento sul marciapiede, osserva la si- tuazione e scribacchia qualcosa sul registro di bordo. Dei poliziotti, terminata una rapida perlustrazione del con- voglio, confabulano su chissà che cosa. Alcuni passeg- geri sorseggiano caffè prima di saltare su in carrozza. Il macchinista caccia fuori la testa dal finestrino – più che altro una feritoia – della locomotiva. Via, si parte. Alle 8.15, in perfetto orario. Il treno infila subito il ponte ferroviario sulla Sava e, una volta oltre fiu- me, si ritrova a costeggiare Novi Beograd, con i suoi gran- di edifici bianchi e regolari, gli stradoni ampi e i nuovi centri commerciali sorti negli ultimi tempi in questo quartiere, oltrepassato il quale si spalanca la periferia: un disordinato, casuale e micidiale groviglio di casupole, palazzacci, prefabbricati e spazi industriali. Così fino ai limiti della metropoli, fino a quando Belgrado inizia a scomparire, fa perdere le tracce di sé, si mescola con la pianura serba fino a che quest’ultima prende il soprav- vento, srotolandosi come un enorme tappeto e ripeten- dosi, sempre uguale a se stessa. Da Belgrado a Sarajevo, tutta una tirata. Passando attra- verso la Serbia, un lembo di Croazia e le due entità etni- che della Bosnia, la Republika Srpska e la Federacija Bo- sne i Hercegovine. Nota anche, quest’ultima, come Fede- razione croato-musulmana. Una lunga galoppata di no- ve ore, a un’andatura media di 36 chilometri orari. Più trotto che galoppo, dunque, considerato che la distanza tra la capitale serba e quella bosniaca è di 325 chilome- tri, non certo siderale. Ma bisogna scordarsi gli Eurostar e i Freccia Rossa, i Tgv e gli Intercity tedeschi. Siamo nei Balcani e qui tutto procede a rilento, dai ritmi di vita a quelli dei treni. Tuttavia, più che la velocità di crociera conta che questo treno sia ripartito. Dopo diciotto anni. Dall’inizio delle ostilità in Bosnia, nel 1992, la linea è infatti rimasta inat- tiva e i tre antichi belligeranti, Serbia, Bosnia e Croazia, non hanno finora sentito la necessità di riaprirla. Finita la guerra, nel 1995, non è che sia d’altronde scoppiata la pace. Ognuno di questi Paesi s’è chiuso in se stesso, au- tarchicamente, ignorando il vicino e difendendo i propri dogmi nazionali. Che poi, in Bosnia, Paese etnicamente plurale e sempre etnicamente diviso, i dogmi sono addi- rittura tre: quelli dei serbi, quelli dei croati, quelli dei bo- Belgrado-Sarajevo : signori , in carrozza! Da Belgrado a Sarajevo, tutta una tirata. Passando attraverso la Serbia, un lembo di Croazia e le due entità etniche della Bosnia, la Republika Srpska e la Federacija Bosne i Herce- govine. Una lunga galoppata di nove ore, a un’andatura media di 36 chilometri orari. Più trotto che galoppo, dunque, considerato che la distanza tra la capitale serba e quella bo- U sgnacchi (così si autodefiniscono i membri della maggio- ranza musulmana). È mancata la volontà di ricercare le ragioni profonde del- la guerra, di rielaborare il conflitto e mettersi nei panni dell’altro, di confessare crimini e colpe. Qualcuno un po’ l’ha fatto, a dire il vero, ma senza comunque andare fino in fondo. È così che, in tutto questo tempo, le relazioni fra le tre nazioni attraverso le quali si dipana la linea Bel- grado-Sarajevo non hanno mai preso quota a livello po- litico. Né tantomeno dal punto di vista infrastrutturale. Dopotutto se una ferrovia muore, una ferrovia tra l’altro molto importante al tempo della Jugoslavia, il fatto è an- che politico. Anzi, è tutto politico. Niente riconciliazio- ne, niente treno. Perché, secondo il principio autarchi- co, da Belgrado bisognerebbe andare a Sarajevo? Perché da Sarajevo a Belgrado? Perché la Croazia dovrebbe met- tere a disposizione dei vicini una parte della sua rete fer- roviaria? a adesso serbi, croati e bosniaci si sono messi d’accordo. Si corre di nuovo da Belgrado a Sa- rajevo e viceversa, transitando per la Croazia. È il segno che negli ultimi tempi l’idea di ignorare total- mente l’altro non giova più a nessuno e che la convin- zione che la manovra d’avvicinamento all’Europa s’im- posti anche con la cooperazione in chiave regionale, sta facendo breccia. Primo incontro sul treno: Tatjana. Ci ritroviamo a fuma- re una sigaretta nel corridoio della carrozza. È già alla sua seconda esperienza sul Belgrado-Sarajevo. Ora ac- compagna le figlie a una gara di pattinaggio su ghiaccio, in precedenza era stata invece una delle diciassette per- sone che, il 13 dicembre scorso, si sono presentate alla stazione di Belgrado e hanno tenuto a battesimo la ripar- tenza del trenino. «Sono una serba di Bosnia, ma vivo a Belgrado da tempo. Amo la Serbia e amo la Bosnia. Amo la gente di Zenica, la mia città natale. Amo la gente di Sarajevo, capitale meravigliosa e accogliente. La guerra M REPORTAGE . 2

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sniaca è di 325 chilometri, non certo siderale.

Ma bisogna scordarsi gli Eurostar e i Freccia

Rossa, i Tgv e gli Intercity tedeschi. l Sia-

mo nei Balcani e qui tutto procede a rilento,

dai ritmi di vita a quelli dei treni. l

testo di Matteo Tacconifoto di Cristina Panicali e Antonio Tomeo

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Ultimi riti prima della partenza. Due operai carica-no sul vagone ristorante panini incellofanati, latti-ne di birra e bottigliette d’acqua, snack vari. Il ca-

potreno, berretto calzato bene in testa e occhiate vigili ainquadrare il movimento sul marciapiede, osserva la si-tuazione e scribacchia qualcosa sul registro di bordo. Deipoliziotti, terminata una rapida perlustrazione del con-voglio, confabulano su chissà che cosa. Alcuni passeg-geri sorseggiano caffè prima di saltare su in carrozza. Ilmacchinista caccia fuori la testa dal finestrino – più chealtro una feritoia – della locomotiva. Via, si parte. Alle 8.15, in perfetto orario. Il treno infilasubito il ponte ferroviario sulla Sava e, una volta oltre fiu-me, si ritrova a costeggiare Novi Beograd, con i suoi gran-di edifici bianchi e regolari, gli stradoni ampi e i nuovicentri commerciali sorti negli ultimi tempi in questoquartiere, oltrepassato il quale si spalanca la periferia: undisordinato, casuale e micidiale groviglio di casupole,

palazzacci, prefabbricati e spazi industriali. Così fino ailimiti della metropoli, fino a quando Belgrado inizia ascomparire, fa perdere le tracce di sé, si mescola con lapianura serba fino a che quest’ultima prende il soprav-vento, srotolandosi come un enorme tappeto e ripeten-dosi, sempre uguale a se stessa.

Da Belgrado a Sarajevo, tutta una tirata. Passando attra-verso la Serbia, un lembo di Croazia e le due entità etni-che della Bosnia, la Republika Srpska e la Federacija Bo-sne i Hercegovine. Nota anche, quest’ultima, come Fede-razione croato-musulmana. Una lunga galoppata di no-ve ore, a un’andatura media di 36 chilometri orari. Piùtrotto che galoppo, dunque, considerato che la distanzatra la capitale serba e quella bosniaca è di 325 chilome-tri, non certo siderale. Ma bisogna scordarsi gli Eurostare i Freccia Rossa, i Tgv e gli Intercity tedeschi. Siamo neiBalcani e qui tutto procede a rilento, dai ritmi di vita aquelli dei treni.

Tuttavia, più che la velocità di crociera conta che questotreno sia ripartito. Dopo diciotto anni. Dall’inizio delleostilità in Bosnia, nel 1992, la linea è infatti rimasta inat-tiva e i tre antichi belligeranti, Serbia, Bosnia e Croazia,non hanno finora sentito la necessità di riaprirla. Finitala guerra, nel 1995, non è che sia d’altronde scoppiata lapace. Ognuno di questi Paesi s’è chiuso in se stesso, au-tarchicamente, ignorando il vicino e difendendo i propridogmi nazionali. Che poi, in Bosnia, Paese etnicamenteplurale e sempre etnicamente diviso, i dogmi sono addi-rittura tre: quelli dei serbi, quelli dei croati, quelli dei bo-

Belgrado-Sarajevo:signori, in carrozza!Da Belgrado a Sarajevo, tutta una tirata. l Passando attraverso la Serbia, un lembo di

Croazia e le due entità etniche della Bosnia, la Republika Srpska e la Federacija Bosne i Herce-

govine. l Una lunga galoppata di nove ore, a un’andatura media di 36 chilometri orari. l

Più trotto che galoppo, dunque, considerato che la distanza tra la capitale serba e quella bo-

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sgnacchi (così si autodefiniscono i membri della maggio-ranza musulmana).

È mancata la volontà di ricercare le ragioni profonde del-la guerra, di rielaborare il conflitto e mettersi nei pannidell’altro, di confessare crimini e colpe. Qualcuno un po’l’ha fatto, a dire il vero, ma senza comunque andare finoin fondo. È così che, in tutto questo tempo, le relazionifra le tre nazioni attraverso le quali si dipana la linea Bel-grado-Sarajevo non hanno mai preso quota a livello po-litico. Né tantomeno dal punto di vista infrastrutturale.Dopotutto se una ferrovia muore, una ferrovia tra l’altromolto importante al tempo della Jugoslavia, il fatto è an-che politico. Anzi, è tutto politico. Niente riconciliazio-ne, niente treno. Perché, secondo il principio autarchi-co, da Belgrado bisognerebbe andare a Sarajevo? Perchéda Sarajevo a Belgrado? Perché la Croazia dovrebbe met-tere a disposizione dei vicini una parte della sua rete fer-roviaria?

a adesso serbi, croati e bosniaci si sono messid’accordo. Si corre di nuovo da Belgrado a Sa-rajevo e viceversa, transitando per la Croazia. È

il segno che negli ultimi tempi l’idea di ignorare total-mente l’altro non giova più a nessuno e che la convin-zione che la manovra d’avvicinamento all’Europa s’im-posti anche con la cooperazione in chiave regionale, stafacendo breccia. Primo incontro sul treno: Tatjana. Ci ritroviamo a fuma-re una sigaretta nel corridoio della carrozza. È già allasua seconda esperienza sul Belgrado-Sarajevo. Ora ac-compagna le figlie a una gara di pattinaggio su ghiaccio,in precedenza era stata invece una delle diciassette per-sone che, il 13 dicembre scorso, si sono presentate allastazione di Belgrado e hanno tenuto a battesimo la ripar-tenza del trenino. «Sono una serba di Bosnia, ma vivo aBelgrado da tempo. Amo la Serbia e amo la Bosnia. Amola gente di Zenica, la mia città natale. Amo la gente diSarajevo, capitale meravigliosa e accogliente. La guerra

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po. Il viaggio è lungo anche per chi, come lui, dipenden-te delle ferrovie serbe da venticinque anni, è abituato apassare parecchie ore in carrozza. Aleksander raccontadi com’era il treno una volta, all’epoca di Tito, quando ladirettrice Belgrado-Sarajevo, insieme a quelle che univa-no la capitale federale con Zagabria e Skopje, era uno deitre assi portanti della ragnatela ferroviaria jugoslava.«C’erano tre convogli al giorno, mica uno, composti daalmeno dieci carrozze, se non quindici». Altri tempi, al-tri treni. Treni leggendari. Come il notturno che da Subo-tica, al confine con l’Ungheria, passava da Belgrado e con-duceva a Trieste. Era stipato di giovani universitari e ram-polli della classe borghese jugoslava che si recavano nel-la città giuliana, l’emporio occidentale più vicino e più aportata di portafoglio, a svaligiare i negozi d’abbigliamen-to e riportare a casa capi introvabili in patria. «Lo chia-mavamo, non a caso, il treno dei jeans», asserisce lo chef.Intanto, intorno alle 13.30, si giunge al confine tra Croa-zia e Repubblica serba di Bosnia. Solito copione: control-lo del biglietto, timbro sul passaporto, avvicendamentotra locomotive, macchinisti, equipaggi. In Bosnia cambia il colpo d’occhio sul paesaggio. La ta-vola piatta cede il passo alle sagome tozze dei monti, at-

vanti lungo la linea, svolge esclusivamente una funzio-ne di raccordo.Le operazioni alle stazioni situate prima e dopo le lineedi confine comportano lunghe soste, dilatando quindi itempi di percorrenza.

Tatjana, con cui scambio ancora due battute in attesa cheil treno si schiodi da Tovarnik, non è disturbata dal pit-stop. «Se questo è il prezzo da pagare per la riattivazionedella linea, io lo pago volentieri», taglia corto. Del restonon si può pretendere che il Sarajevo-Belgrado infili unconfine dietro l’altro senza controlli frontalieri e senzasostituzioni di locomotive e personale. Non bisogna di-menticare, infatti, che al posto della Jugoslavia federaleoggi ci sono tanti Stati sovrani e che unificare trasporti esistemi doganali è ancora prematuro. Bisognerà attende-re l’arrivo dell’Europa e, per il momento, accontentarsi.Il treno ingrana nuovamente il ritmo e prende a tagliarela pianura croata, non dissimile da quella serba, lascian-dosi dietro campi coltivati, mucchi di fieno e borghi ada-giati sulla linea dell’orizzonte. Vado al vagone ristorantee ordino un goulash. Il cuoco, Aleksander, attacca botto-ne. Si vede che ha una gran voglia d’ammazzare il tem-

m’ha fatto male, è stata una cosa orrenda. Quando c’erala Jugoslavia era meglio e pure bello. Era. Il marescialloTito, lui sì che sapeva tenere insieme i popoli della re-gione», afferma Tatjana, “jugonostalgicamente”.

Seconda chiacchierata, seconda riflessione jugonostal-gica. Anche Gordana, così si chiama la mia interlocutri-ce, sta accompagnando le nipotine alla gara di pattinag-gio e mi dice che sta tornando a Sarajevo dopo vent’an-ni. «Sono emozionata. A me che dentro sono ancora ju-goslava, accompagnare le mie nipotine a Sarajevo, a que-sta competizione che si svolge nei vecchi impianti olim-pici di Kicevo, mi riporta indietro, ai giochi invernalidel 1984». Un evento che fu l’ultimo acuto internazio-nale, l’ultima manifestazione di prestigio dell’antica pa-tria comune degli slavi del Sud. Dopo circa tre ore di viaggio si arriva a Sid, l’ultima sta-zione serba prima del confine croato. Il macchinistaaziona la leva del freno e il treno smette di sbuffare. Sal-gono sulle carrozze dei doganieri, sfogliano il mio pas-saporto e lo timbrano. Dopo di loro è la volta dei con-trollori, che danno un’occhiata al biglietto. Poi si ripar-te, verso la frontiera.

empo venti minuti e la corsa s’arresta di nuovo,alla stazione di Tovarnik, appena dentro il terri-torio croato, annunciato da una sfilza di tricolo-

ri a strisce orizzontali rosse, bianche e blu, con al centrolo scudo a scacchi bianchi e rossi che caratterizza la ban-diera nazionale, differenziandola da quella serba, iden-tica nella sequenza cromatica, ma con l’aquila bifrontecome elemento peculiare. A Tovarnik nuova ispezione.Stavolta da parte dei controllori e degli agenti croati. Al-tro timbro sul passaporto. Poi inizia il trambusto per ilcambio della locomotiva. Il vettore serbo si distacca e ivagoni vengono agganciati da quello croato. Nei rispet-tivi tratti di competenza, Serbia e Croazia, RepublikaSrpska e Federazione croata-musulmana si fanno caricodel trasporto e del servizio. Insieme alla locomotiva cam-biano anche il macchinista e il personale di bordo.

L’eccezione sono il cuoco e il cameriere, che rimangonoper tutta la tratta nelle loro postazioni: la carrozza risto-rante è fornita dalle ferrovie serbe. Le altre due, quelledove siedono i passeggeri, sono assicurate dalla Repu-blika Srpska e dalla Federacija. La Croazia, attraversatarapidamente dal treno e sprovvista di centri abitati rile-

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data della nuova inaugurazione della tratta. Sono ventioggi, compreso il sottoscritto. Così assicura Nemanja,uno studente di Belgrado che durante il tragitto ha inter-vistato i viaggiatori e compilato un formulario statisticoper le ferrovie serbe, in cambio di qualche dinaro. «Glialtri passeggeri – spiega Nemanja – sono pendolari o gen-te che sfrutta il passaggio del Belgrado-Sarajevo per an-dare in questo o in quell’altro posto». Che considera, in-somma, questo treno alla stregua di un altro qualsiasiconvoglio. Il Belgrado-Sarajevo è un passo avanti nella ricostruzio-ne delle relazioni regionali e insieme un’opzione in piùper i viaggiatori. Un’opzione lenta, ma economica (31 eu-ro andata e ritorno). Oltre che puntuale: vengo scaricatoalla stazione di Sarajevo alle 17.35 spaccate, con rispet-to elvetico della tabella di marcia. .

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traverso i quali si fa largo sgomitando il fiume Bosna, chedalle colline di Sarajevo risale a settentrione, dove si get-ta tra le braccia della Sava, che a sua volta, all’altezza diBelgrado, si concederà al Danubio.Altri incontri. Nicole è una giornalista americana, incu-riosita come me dalla storia di questo treno che riparte.Zoran e Mario sono due studenti croati che si recano aSarajevo a passare il weekend. «Abbiamo scelto la stra-da ferrata, anche se ci vuole più tempo, perché costa me-no rispetto alle corriere», affermano, mentre si transitadall’entità serba a quella croato-musulmana della Bo-snia, con la solita cerimonia di confine. Ma stavoltaniente timbro sul passaporto, il confine è solo ammini-strativo.A proposito di costi e a proposito di corriere: apprendo,nei chilometri successivi, che sono state proprio le pres-

sioni delle lobby del trasporto gommato, che già da qual-che anno garantiscono collegamenti tra Belgrado e Sa-rajevo, a ritardare il rilancio del convoglio ferroviarioche corre tra le due città. Me lo riferisce Josip, cronistadella rivista delle ferrovie serbe, salito a bordo allo sca-lo serbo-bosniaco di Doboj. «Con il fatto che le tariffe deltreno sono inferiori, le compagnie degli autobus, fino aieri monopoliste del traffico di genti tra Belgrado e Sa-rajevo, hanno alzato la voce, temendo che il treno sot-tragga loro clienti».

l momento, tuttavia, non hanno di che preoccu-parsi. Le persone che percorrono l’intera tratta daBelgrado a Sarajevo non sono molte, anche a cau-

sa della frequenza limitata e del numero, anch’esso limi-tato, di carrozze. Erano diciassette il 13 dicembre scorso,

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