Basta, smetto di lamentarmi

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Lamentarsi, mugugnare, borbottare, brontolare, lagnarsi... molti sinonimi per una sola dannosa e sterile abitudine, che quasi tutti pratichiamo quotidianamente, talvolta senza neppure accorgercene.

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Collana «I FLAP»

BASTA, SMETTODI LAMENTARMI!

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CHRISTINE LEWICKI

BASTA, SMETTODI LAMENTARMI!Puoi essere ottimista e vivere felice,

se sai come farlo!

Prefazione di Laurent Gounelle

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A Philippe, mio marito, l’Amore della mia vita

Titolo originale:J’arrête de râler!© 2011 Groupe Eyrolles, Paris, France

Illustrazioni:Lili la baleinewww.lililabaleineverte.fr

Traduzione dal francese:Elena Sacchini

Copertina:Giulia Arimattei

Fotocomposizione:Romano Bottini – Roma

Stampa:La Moderna – Roma

Copyright dell’edizione italiana:GREMESE2012 © New Books s.r.l. – Romawww.gremese.com

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essereriprodotta, registrata o trasmessa, in qualsiasi modo o con qualsiasimezzo, senza il preventivo consenso formale dell’Editore.

ISBN 978-88-8440-716-0

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L amentarsi è un atteggiamento, un’abitudine comporta-mentale spesso legata al contesto culturale. A Bali o alleMauritius le persone non si lamentano perché accettano

ciò che ricevono dalla vita senza etichettarlo come positivo onegativo. Anche negli Stati Uniti lo si fa poco, ma per altreragioni: lì preferiscono agire...

In Francia si brontola parecchio. Jean Cocteau diceva: «I fran-cesi sono italiani di cattivo umore». In una società verticalecome quella, criticare fa sentire «migliori» del bersaglio dellacritica... D’altra parte è proprio questo che paradossalmenteimpedisce di essere positivi: un sondaggio pubblicato lo scor-so autunno rivelava che il 41% dei francesi era convinto dipassare per sprovveduto se si fosse mostrato gentile. E un talestato d’animo è radicato nel tempo. Nel 1963, Michel Audiardfaceva dire a Jean Gabin in Colpo grosso al casinò: «L’impor-tante è lamentarsi. Dà un certo tono».

Probabilmente però c’è un’altra ragione, del tutto inconscia:lagnarsi permette di sentire meno il peso della propria imper-fezione... o piuttosto di ciò che si considera tale. Una societàil cui sistema scolastico, sin dalle scuole elementari, punta ildito sugli errori dell’allievo anziché valorizzarne i risultati noncondanna forse il futuro adulto a una scarsa autostima? Chi mugugna potrà forse ottenere qualche raro beneficio

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minore, ma non sa che comportandosi in questo modocostruisce giorno dopo giorno la propria infelicità. Brontolarecompensa superficialmente certe ferite dell’ego, ma di sicuronon le guarisce...

Tutti, prima o poi, possono cadere in questo ingranaggio infer-nale che, se non si fa attenzione, rischia di diventare una pras-si. Eppure, prenderne coscienza non basta: perché allora ilrischio è quello di esagerare... mugugnando contro se stessi.Perciò l’unica domanda pertinente è: «Come uscirne?».

Tutti coloro che non hanno voglia di passare quindici anni suldivano dello psicanalista per poi andarsene recriminando con-tro quest’ultimo, possono leggere questo libro di ChristineLewicki. Ha un grande merito, una caratteristica preziosa chene fa un testo imperdibile: l’autrice conosce l’argomento per-ché ci è passata in prima persona... insomma, sa perfettamen-te di cosa parla! Il nostro volume dunque, anziché essere l’o-pera di uno studioso compassato che indaga un fenomeno alui estraneo con sguardo freddamente analitico e poi sale incattedra per dispensare consigli ponderati, poggia su un vissu-to, una realtà concreta, un confronto con il quotidiano: ha ilgusto, il profumo e la forza dell’esperienza vera. È questo,soprattutto, a farne un libro prezioso, un libro necessario. Enon soltanto per sé, ma per tutti. Perché lamentarsi vuol direaffossare il mondo attirando l’attenzione di ciascuno su quelloche non va. What you focus on expands 1, dicono gli america-ni. A forza di far notare problemi, negligenze, debolezze,imperfezioni e altri difetti, attribuendo loro un’importanza chenon hanno, ce ne lasciamo invadere la vita – una vita che in

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1 Quello su cui ci si focalizza tende a espandersi (N.d.T).

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questo modo si impregna del profumo della delusione e vestei toni spenti dell’insoddisfazione. In fin dei conti, nella vita ci si dovrebbe lamentare una voltasoltanto: l’ultima.

Laurent Gounelle 2

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2 Laurent Gounelle è autore di racconti filosofici.

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HO LANCIATO UNASFIDA A ME STESSA:«BASTA, SMETTODI LAMENTARMI»

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È INIZIATOCOME TUTTO#01

A essere del tutto onesta, non ricordo più esattamente cometutto è iniziato. Quel che posso dirvi è che a poco a poco,tra la primavera del 2009 e la primavera del 2010, è germi-

nata l’idea di questa sfida: smettere di lamentarsi. Ci è voluto deltempo perché l’idea maturasse, ed è stato solo nell’aprile del2010 che qualcosa è scattato (si veda più avanti) e mi sono lan-ciata. Questa è la storia del mio percorso e delle ragioni che mihanno portata a vivere una simile, straordinaria avventura.

IO, LA MUGUGNATRICELa voglia di lanciare questa sfida a me stessa è nata quando misono resa conto che, pur essendo una persona tendenzialmen-te positiva, mi ritrovavo spesso – sin troppo per i miei gusti –a vivere situazioni di frustrazione o di nervosismo, momenti incui mi sentivo una vittima e... mugugnavo. Ho notato più volte che la sera andavo a dormire stanca esvuotata da tutto quello che avevo «subito» nel corso della gior-nata. Avevo l’impressione di averla affrontata come una lottaincessante per preparare i bambini per la scuola, portare avan-ti la mia attività, essere puntuale, gestire la logistica della casae del lavoro e i diversi conflitti. Andavo a dormire chiedendo-mi se quel giorno avessi avuto qualche momento di qualità. Eil bilancio era piuttosto negativo.

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Eppure quello era stato un giorno come gli altri. Non era suc-cesso nulla di grave, anzi era stata una giornata normale, lasolita routine... Allora mi sono chiesta che cosa mi impedisse di godere delmio quotidiano. I giorni si succedevano, tutti uguali, e io con-tinuavo a ripetermi che più in là, quando i miei tre figli fosse-ro cresciuti (soprattutto la più piccola), quando la mia attivitàsi fosse consolidata, quando avessi avuto più tempo per me,quando fossi stata in vacanza, quando fossero arrivati i miei adarmi una mano... insomma, più in là, e soltanto più in là,avrei potuto avere una vita più serena, migliore. Poi ho cominciato a dirmi: perché aspettare domani per sen-tirmi più felice? In fin dei conti è un peccato, perché il quoti-diano è la vita vera, no?«Ieri non è più, domani non esiste... Esiste soltanto l’oggi». Sonole parole di un saggio. Certo, le avevo già sentite, ma da quelmomento mi sono decisa a metterle in pratica. Sono una «mampreneur» 1 e le mie giornate sono a dir pocopiene tra la mia impresa (la O Coaching), i tre figli che fre-quentano tre scuole diverse, le attività di ciascuno (piscina,chitarra, pianoforte...), il volontariato presso la direzione dellaFederazione del coaching di Los Angeles (ICFLA), la mia vitadi donna, di moglie, di madre... il tutto a 10.000 km da qual-siasi aiuto familiare, in una città tentacolare dove tutto va mol-to veloce! La sera, quando mi ritrovavo sotto le coperte senza riuscire achiudere occhio, cercavo un modo per far sì che il mio quoti-diano fosse da subito più leggero e soddisfacente, anche se inquel periodo molte cose sembravano complicate. Viviamo tutti dei momenti particolarmente felici e spensierati.I weekend, le vacanze, le feste, le cene con gli amici dove si

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1 Contrazione di «maman» (mamma) e «entrepreneur» (imprenditrice).

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ride a crepapelle, gli appuntamenti romantici, i matrimoni, iviaggi... ma anche tutte quelle parentesi preziose – un massag-gio, un momento dedicato solo a noi stessi. Si tratta di inter-valli di felicità e appagamento che ci fanno uscire dal tran tranquotidiano. Ma bisogna ammettere che sono piaceri che nondurano mai a lungo e che malauguratamente dipendono dacircostanze esterne sporadiche, per non dire eccezionali. E cosa ne è del resto della nostra vita? Quella quotidianitàdecisamente più banale e scandita dai vari impegni... Rifletten-doci, ho capito che era uno spreco enorme lasciar scorrerequelle ore «normali» dell’esistenza senza trovarci la benchéminima attrattiva – o addirittura subirle.Io voglio essere felice ogni giorno... perché so che prima o poimorirò. Ogni minuto è incredibilmente prezioso. La vita è unregalo e sono ben decisa a godermela pienamente. Mi sono resa conto che quel che mi logorava di più erano pro-prio i momenti in cui mugugnavo. Fare le cose borbottando,prendersela con il computer, imprecare in auto, malignare congli altri, lamentarsi dei figli, sbuffare, recriminare, lagnarsi,brontolare... tutto questo inquinava la mia vita e, francamente,serviva a ben poco. Sempre sotto le coperte, con gli occhi fissi al soffitto, mi inter-rogavo sulla mia vita. Sono il tipo di persona incrollabilmenteconvinta che «la vita è bella»: allora perché brontolare? Non ero depressa, ero in buona salute, piuttosto gioiosa epositiva, il mio matrimonio era felice, stravedevo per i mieifigli, adoravo il mio lavoro... Eppure, quali che fossero le cir-costanze, trovavo ancora il modo di brontolare e andare a dor-mire svuotata, frustrata, sfinita...

«La sensazione di felicità o infelicità raramentedipende dalla nostra condizione in assoluto; èfrutto piuttosto della nostra percezione della situa-

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zione, della capacità di accontentarci di quelloche abbiamo».

Il Dalai Lama

È stato a quel punto che mi sono detta: e se smettessi sempli-cemente di lamentarmi? Sì, lo so, ho scritto «semplicemente», ma adesso che ho porta-to a termine il progetto so che tanto semplice non è. Fonda-mentalmente si tratta di scegliere tra filosofeggiare sulla felici-tà, leggere un sacco di libri e frequentare seminari sull’argo-mento, oppure scegliere di iniziare oggi a fare tutto il possibi-le per essere felici – impegnandosi, tanto per cominciare, asmettere completamente di lamentarsi per 21 giorni consecu-tivi! E poi stare a vedere cosa succede! Negli Stati Uniti, dove vivo da dieci anni, questo genere di pro-gramma per cambiare in 21 giorni un’abitudine di vita (perde-re peso, praticare uno sport, smettere di fumare...) è piuttostocomune, così mi sono detta: «E perché no?». Nella terza partedel libro spiegherò meglio il «perché» dei 21 giorni. Quando ho dato inizio al progetto non avevo idea di quantomi lamentassi (rendermene conto è stato un vero shock!), nédi cosa avrebbe significato per me portarlo a termine.

IO E I MUGUGNATORIMi è venuta voglia di lanciarmi in questa sfida dopo aver nota-to quanta energia mi spremano le persone che mugu-gnano. Quando mi trovo di fronte qualcuno che recrimina nel-la vita di tutti i giorni, in città, sul lavoro, a casa, questo midisturba profondamente. Sono sensibile alle «onde» negativeemanate da questi individui, che mi avvelenano la giornata.Mi capita di percepire la rabbia che esprimono, di provareempatia per le loro rimostranze, a volte mi sento persino

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responsabile e mi chiedo se è per colpa mia che si lamentano! E voi, avete dei mugugnatori cronici nella vostra vita? Cosa vipassa per la testa quando li sentite lamentarsi? Per me, questa è stata una presa di coscienza. Scoprirmi sen-sibile ai mugugnatori mi ha fatto realizzare quanto fosseimportante per mio marito, i miei figli, i miei amici, le mie rela-zioni professionali o il mio team che io brontolassi di meno.Se sono tanto sensibile alle lamentele altrui, allora devo cam-biare.

LO SCATTORicordo perfettamente il giorno in cui è scattato qualcosa e hodeciso sul serio di lanciarmi. Il dialogo con me stessa sotto lecoperte era avvenuto qualche settimana prima, ma non avevoancora avuto il coraggio di lanciarmi. Ventuno giorni consecu-tivi senza lamentarsi non sono certo una passeggiata. Avevotrovato un mucchio di scuse: avevo poco tempo, non era ilmomento giusto, non era il caso di impormi un nuovo obbli-go o di stressarmi con un impegno supplementare. Poi un giorno, mentre mi trovavo in compagnia di alcuni cariamici, è scattato qualcosa. Eravamo a casa della mia amicaSabine, che ci aveva invitato a pranzo. Un bel pranzo dome-nicale con un nugolo di bambini che correvano dappertutto,mentre i genitori chiacchieravano davanti a un caffè. È stato lìche abbiamo cominciato a parlare delle persone che si lamen-tano in continuazione. Ci siamo trovati tutti d’accordo: è logo-rante essere circondati da mugugnatori. A quel punto mi sonosentita affermare: «Ah quelli che si lamentano in continuazio-ne, che idiozia, perdono tempo e basta...». A un tratto ho avuto un flash: mi sono resa conto che stavomugugnando sui mugugnatori! Ci è voluta questa presa di coscienza perché mi decidessi a

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fare qualcosa, a uscire da quella spirale, da quella abitudine chenon mi piaceva. È così che è nato il progetto «Basta, smetto dilamentarmi». Ho fatto un breve video e l’ho postato su un blogappena aperto (www.jarretederaler.com), ho diffuso il link suisocial network... e l’informazione ha cominciato a circolare. Incapo a qualche giorno molti blogger famosi trasmettevano a lorovolta il messaggio, poi sono stata invitata su RMC alla trasmissio-ne Deux minutes pour convaincre. Qualche settimana dopo suigiornali (il mensile Psychologies e il settimanale Le Pélerin) com-parivano articoli sul mio blog. Evidentemente il progetto noninteressava soltanto me! E adesso, se state leggendo questerighe, vuol dire che il messaggio è arrivato anche a voi!Ho scelto di non fare questo percorso per conto mio, senza par-larne con nessuno. Il blog è stato un modo per condividerlo eper essere sostenuta raccontando sinceramente quel che avevointrapreso. Il blog è servito a questo, mi ha permesso di fare unbilancio quotidiano e di comunicare con i miei lettori per rica-vare dal progetto degli insegnamenti. A tal proposito, troveretedegli esercizi alla fine del libro e una serie di domande che per-metteranno anche a voi di fare un bilancio e di trarne le dovu-te conclusioni.

GRAZIE GANDHI Nell’avviare il progetto mi sono sentita guidata dalla saggezza diGandhi: «Siate il cambiamento che vorreste vedere nel mondo».L’idea di fondo è di cambiare se stessi anziché passare il tem-po a criticare gli altri. Se quelli che si lamentano mi disturba-no, allora tanto per cominciare devo smettere di farlo io in pri-ma persona, perché non è facendo la morale che si cambia ilmondo: bisogna dare l’esempio. Non posso pretendere dicambiare gli altri, ma una cosa è certa: io posso cambiare.

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