BASTA CELIACHIA ANCORA CELIACHIA! - Medico E Bambino BASTA CELIACHIA... ANCORA CELIACHIA! a cura di...

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Medico e Bambino 7/2005 Focus 431 BASTA CELIACHIA... ANCORA CELIACHIA! a cura di TANIA GERARDUZZI E ALESSANDRO LENHARDT Scuola di Specializzazione in Pediatria, Dipartimento di Scienze della Riproduzione e dello Sviluppo, IRCCS “Burlo Garofolo”, Trieste Q uesto Focus è stato realizzato utilizzando i contri- buti presentati al convegno di Trieste del gennaio 2004 sulla malattia celiaca. Come esplicitamente dice- va il titolo del convegno (Basta celiachia… ancora ce- liachia!), già allora pensavamo di… non poterne più di tutta la storia. Tutto quanto fu detto e discusso in quella occasione è ancora attualissimo e meritevole (almeno a noi pare così) di essere divulgato anche a un anno di di- stanza. È vero però che, a dimostrazione di quanto sia- no in continuo divenire le conoscenze sulla malattia ce- liaca, nuove problematiche e nuovi dibattiti si sono aperti nel tempuscolo che ci separa da quel congresso. Ed è per questa ragione che abbiamo ritenuto che debba far parte integrante di questo stesso Focus il contributo critico (estemporaneo, tanto letterario nella forma quanto rigoroso nei contenuti scientifici) di Luigi Greco sul tema della “pillola” per la celiachia cui i “media” hanno dato ultimamente tanta risonanza. Così come ci sembra già il momento di annunciare il prossimo con- vegno sulla malattia celiaca che si terrà a Trieste il 20 gennaio 2006 e che sarà, come ormai da tradizione, or- ganizzato con l’insostituibile aiuto dell’Eurospital. LA FACCIA E... L’ANIMA DELLA CELIACHIA Trieste, Area di Ricerca di Padriciano, 20 gennaio 2006 9.00-9.15 I SESSIONE Celiachia: c’è ancora qualcosa da sapere? 9.15-9.45 Celiachia a colpo d’occhio. Ovvero la “facies” celiaca 9.45-10.15 Pelle, osso, muscoli e… nervi: quattro casi per entrare nel discorso 10.15-11.30 (compresa discussione) Che cosa è la celiachia 1: impariamo dalla dermatite erpetiforme Che cosa è la celiachia 2: impariamo dal neurologo e dall’immunologo Celiachia “ridotta all’osso” 11.30-11.45 Caffè e biscotti senza glutine 11.45-13.15 II SESSIONE Celiachia “pronta per l’uso” ovvero: quanto rapida può essere la diagnosi • Una goccia di sangue • Una goccia di siero • Una goccia di saliva Esperienze sul campo: • Trieste • Asolo • Brasile • Africa 13.15-14.30 Pranzo senza glutine 14.30-16.00 L’anima della celiachia ovvero a che punto siamo con la ricerca • Celiachia e autoimmunità: modelli animali • Il topo che fa gli antitransglutaminasi • L’anatomia del celiaco vista attraverso gli autoanticorpi • Celiachia e “regolatori” dell’immunità • Terapia in pillole e... altre storie 16.00-16.15 Tè e succo di frutta 16.15-17.30 TAVOLA ROTONDA Legiferare sulla celiachia: tra garanzie per la salute e sottolineature di malattia Esperienze europee a confronto Intervengono i rappresentanti delle Associazioni della Celiachia di diversi Paesi europei 431-455 FOCUS celiachia 20-09-2005 11:07 Pagina 431

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Medico e Bambino 7/2005

Focus

431

BASTA CELIACHIA... ANCORA CELIACHIA!a cura di TANIA GERARDUZZI E ALESSANDRO LENHARDT

Scuola di Specializzazione in Pediatria, Dipartimento di Scienze della Riproduzione e dello Sviluppo, IRCCS “Burlo Garofolo”, Trieste

Q uesto Focus è stato realizzato utilizzando i contri-buti presentati al convegno di Trieste del gennaio

2004 sulla malattia celiaca. Come esplicitamente dice-va il titolo del convegno (Basta celiachia… ancora ce-liachia!), già allora pensavamo di… non poterne più ditutta la storia. Tutto quanto fu detto e discusso in quellaoccasione è ancora attualissimo e meritevole (almeno anoi pare così) di essere divulgato anche a un anno di di-stanza. È vero però che, a dimostrazione di quanto sia-no in continuo divenire le conoscenze sulla malattia ce-liaca, nuove problematiche e nuovi dibattiti si sono

aperti nel tempuscolo che ci separa da quel congresso.Ed è per questa ragione che abbiamo ritenuto che debbafar parte integrante di questo stesso Focus il contributocritico (estemporaneo, tanto letterario nella formaquanto rigoroso nei contenuti scientifici) di Luigi Grecosul tema della “pillola” per la celiachia cui i “media”hanno dato ultimamente tanta risonanza. Così come cisembra già il momento di annunciare il prossimo con-vegno sulla malattia celiaca che si terrà a Trieste il 20gennaio 2006 e che sarà, come ormai da tradizione, or-ganizzato con l’insostituibile aiuto dell’Eurospital.

LA FACCIA E... L’ANIMA DELLA CELIACHIATrieste, Area di Ricerca di Padriciano, 20 gennaio 2006

9.00-9.15 I SESSIONE Celiachia: c’è ancora qualcosa da sapere?

9.15-9.45 Celiachia a colpo d’occhio. Ovvero la “facies” celiaca

9.45-10.15 Pelle, osso, muscoli e… nervi: quattro casi per entrare nel discorso

10.15-11.30 (compresa discussione)Che cosa è la celiachia 1: impariamo dalla dermatite erpetiforme

Che cosa è la celiachia 2: impariamo dal neurologo e dall’immunologo

Celiachia “ridotta all’osso”

11.30-11.45 Caffè e biscotti senza glutine

11.45-13.15 II SESSIONE Celiachia “pronta per l’uso” ovvero: quanto rapida può essere la diagnosi

• Una goccia di sangue

• Una goccia di siero

• Una goccia di saliva

Esperienze sul campo:

• Trieste • Asolo • Brasile • Africa

13.15-14.30 Pranzo senza glutine

14.30-16.00 L’anima della celiachia ovvero a che punto siamo con la ricerca

• Celiachia e autoimmunità: modelli animali

• Il topo che fa gli antitransglutaminasi

• L’anatomia del celiaco vista attraverso gli autoanticorpi

• Celiachia e “regolatori” dell’immunità

• Terapia in pillole e... altre storie

16.00-16.15 Tè e succo di frutta

16.15-17.30 TAVOLA ROTONDA

Legiferare sulla celiachia: tra garanzie per la salute e sottolineature di malattia

Esperienze europee a confronto

Intervengono i rappresentanti delle Associazioni della Celiachiadi diversi Paesi europei

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Focus

A prima vista un nuovo congresso sulla celiachia può sembra-re proprio di troppo. Le cose che abbiamo imparato su que-

sta malattia solo negli anni più recenti ci appaiono ancora cosìnuove, così diverse da quello che sapevamo prima, così rivoluzio-narie sul piano teorico e nello stesso tempo così utili su quellopratico che veramente avremmo voglia di fermarci un po’, sem-plicemente a metterle in atto e a verificare direttamente quantosiano vere.

È di fatto solo da pochi anni che abbiamo imparato come laceliachia sia una condizione frequente, polimorfa sul piano cli-nico, da cercare e sospettare anche in assenza di sintomi ga-stroenterologici (...le molte facce della celiachia). E certamente èancora quasi una novità che la patogenesi della malattia sia “di ti-po autoimmune” o che se ne conoscano i fattori di predisposizio-ne genetica. E, non posso negare, che chi è passato attraverso lastoria travagliata della diagnosi della celiachia e delle tre biopsiesi meraviglia ancora un po’ che ora sia tutto così facile grazie alladisponibilità di test sierologici così sensibili e specifici.

Tutto questo è rimasto vero ma è in qualche modo è andatocomplicandosi proprio attraverso la continua implementazionedella ricerca e della pratica sul campo della “nuova celiachia”. Difatto, se è comprovato che la celiachia viene oggi cercata (e cor-rettamente diagnosticata) molto più spesso che in passato (equesto è il risvolto positivo di tutta la faccenda) è vero anche chepiù si sa e più si cerca, più ci troviamo davanti a situazioni “limi-te” mal definibili e, alla fine, ci sembra di essere più confusi diprima. A questo punto sentiamo in qualche modo l’esigenza ditornare sui nostri passi, di essere più schematici e più semplici.

Per introdurre questo incontro ho scelto tre punti critici, so-stanziali, legati agli aspetti clinici della celiachia concreta madietro ai quali c’è una grande prospettiva di ricerca.

Il primo punto è il problema della storia naturale della celia-chia nel soggetto asintomatico. È giusto o no in questi casi porrela diagnosi? Intervenire terapeuticamente? Non possiamo infattiparlare di celiachia e non parlare anche dei soggetti celiaci, dellepersone a cui tiriamo addosso una malattia pur se asintomatici.Molto importanti in quest’ambito sono i risultati ancora prelimi-nari di un progetto di ricerca della regione Friuli-Venezia Giulia,frutto di una collaborazione tra il centro di Epatologia, la ClinicaPediatrica e il Dipartimento di Biologia dell’Università di Trieste.In questo studio (di tipo retrospettivo prospettico) è stato possi-bile verificare gli eventi di salute/malattia sopravvenuti in 10 an-ni in 3000 abitanti della cittadina di Cormons e di correlarli a datidi laboratorio disponibili (anche a posteriori) sui campioni di sie-ro che erano stati raccolti. È stato così possibile verificare comesoggetti celiaci non riconosciuti (EMA positivi), nei dieci annidello studio, si siano ammalati (in particolare per anemia, patolo-gie autoimmuni e di fegato) e abbiano fatto ricorso a visite e a

cure mediche e in particolare a esami endoscopici molto più fre-quentemente della popolazione EMA negativa. La celiachia,quindi, rappresenta un importante fattore di morbilità generico,e questo forse ci aiuta a rispondere ai nostri dubbi sul che cosafare nel soggetto asintomatico.

Un secondo accento va posto sulla sempre vivace discussionein merito all’associazione tra diabete e celiachia. Rimane affasci-nante l’ipotesi che nel soggetto predisposto ad avere diabetemangiare glutine faccia male. A questo proposito quindi devo ci-tare uno studio che davvero impressiona. Sono stati selezionatidei neonati con rischio genetico di sviluppare diabete e sono sta-ti suddivisi in un gruppo che riceve glutine precocemente (nei

Cari ragazzi...ALESSANDRO VENTURA

Dipartimento di Scienze della Riproduzione e dello Sviluppo,IRCCS “Burlo Garofolo”, Trieste

Figura 2. Qualità della vita percepita dopo l’inizio della dieta senza glu-tine (da voce bibliografica 2).

Figura 1. Età di introduzione del glutine e predisposizione al diabete inneonati a rischio (da voce bibliografica 1).

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primi 3 mesi) e in un gruppo che lo riceve tardivamente1. Gli Au-tori rivelano che si verifica significativamente meno diabete (po-sitività degli ICA) nel secondo gruppo, pur trattandosi comun-que di soggetti predisposti (Figura 1).

Un terzo e ultimo accento deve essere posto sulla qualità divita del celiaco. Spesso il medico dimentica che curando una ma-lattia introduce, con la diagnosi, un’etichetta della persona e im-pone una terapia dannosa o faticosa da fare. E di fatto qualcunocontinua a sottolineare come la dieta senza glutine in un celiacoasintomatico rischi di apportare semplicemente un peggioramen-to della qualità della vita senza un vantaggio misurabile. Eppurealcune evidenze della letteratura sembrano dirci che qualcosa èrealmente cambiato e che non dobbiamo più avere una visionecosì drammatica della dieta senza glutine. Il trend degli studi piùrecenti indica infatti che sia nei soggetti sintomatici che in quelliasintomatici la dieta senza glutine migliora la percezione della

qualità della vita2 (Figura 2). Certo, altri studi sembrano ancoradimostrare il contrario; ma è possibile che la normalizzazionedell’essere celiaco, lo sviluppo di una società che inserisce comevariabile normale il poter scegliere se mangiare o meno glutine,la diffusione e il rafforzamento dalle associazioni dei pazienti (co-me l’Associazione Italiana Celiachia, AIC) abbiano un ruolo de-terminante.

Bibliografia

1. Ziegler AG, Schmid S, Huber D, Hummel M, Bonifacio E. Early infantfeeding and risk of developing type 1 diabetes-associated autoantibodies.JAMA 2003;290:1771-2.2. Mustalahti K, Lohiniemi S, Collin P, Vuolteenaho N, Laippala P, MakiM. Gluten-free diet and quality of life in patients with screen-detected ce-liac disease. Eff Clin Pract 2002;5:105-13.

Nel tempuscolo intercorso tra il mee-ting di Trieste e il tempo attuale, il po-

polo dei celiaci italiani ha visto sorgere uninsperato interesse dei media, di ogni li-vello, verso il “problema celiachia”, inte-resse guidato da un vessillo giornalisticoda grande scoop: c’è ormai, quasi pronta,una ‘pillola’ che ‘cura’ la celiachia.

Qualsiasi partita di pallone ottiene suiquotidiani vessilli ben più credibili e menosuperficiali. Non si tratta di “pure fando-nie” ma di un pessimo livello di documen-tazione e interpretazione delle varie “pen-ne libere” dei nostri media, che sembranon sappiano proporre i veri progressi del-la scienza senza scivolare nel miracoli-smo.

Ma… “Le passioni si calmano quan-do parla la virtù e la sapienza” ci consi-glia Mentore, tutore di Telemaco.

Vediamo umilmente di interpretaresenza infrangere le delicate speranze de-gli utenti.

TOMO I: Ove Telemaco, figliuolo di Ulisse, affronta i perigli del mare alla ricerca del padre

Eliminare pane e pasta dalla dieta quo-tidiana appare ai nuovi celiaci, e ancor piùai loro familiari, una ingiustizia insoppor-

tabile, deve trattarsi di una cosa transito-ria, gli scienziati troveranno presto unasoluzione… Lanciamoci nel mare peri-glioso alla ricerca della “pillola”.

Eppure, lo sappiamo tutti, che l’uomonon ha affatto bisogno di pane, pasta, gra-no. Infine, si tratta dei cibi qualitativamen-te più scadenti, portati agli altari perchésoluzione ai recenti secoli di miserie e ca-restie, ma ben superati ai giorni nostri.Molti dicono (anche intere nazioni): biso-gna trovare la pillola perché fare la dieta èimpossibile…

Ma basta un semplice ragionamento:una pillola, di qualsiasi tipo, servirebbe afarci mangiare tutti il grano, “contenen-do” o “riducendo” più o meno gli effettitossici che questo causa ai soggetti chehanno i geni predisponenti alla celiachia.È come affrontare la pioggia scrosciantecon un ombrello di vimini: l’acqua pas-serà dai siti più impensati. Non conoscia-mo ancora infatti quali sono i meccanismimolecolari che causano nei celiaci, e nonin altri, i gravi danni di una patologia au-toimmune. E abbiamo mezzi rudimentali,tutti non specifici e di per sé pericolosissi-mi: sopprimere l’immunità innata, elimi-nare la risposta infiammatoria, controllarele citochine, modificare l’immunità cellu-

lo-mediata. Un peso enorme per l’equili-brio dei nostri sistemi di difesa. Sull’altropiatto della bilancia una dieta piacevole,ricca, più nutriente, semplice ed economi-ca, già pronta oggi.

TOMO II: Ove Telemaco, figliuolo di Ulisse,subisce l’incanto della dea Calipso

Ma c’è per fortuna un grande sforzo percapire gli intimi meccanismi che portanosolo i celiaci a reagire tanto male a unaproteina alimentare. Da anni sappiamo chei celiaci che ingeriscono glutine hanno unaumento della permeabilità intestinale: laloro barriera intestinale si apre più facil-mente al passaggio di zuccheri di diversedimensioni. Un gruppo americano cercada tempo di identificare una proteina, chia-mata zonulina (Box 1), che potrebbe esse-re una “chiave” di apertura e chiusura deipassaggi tra le cellule intestinali. La lorosperanza è che, bloccando l’azione di que-sta proteina, si possa bloccare il passaggiodei peptici tossici del glutine dal lume inte-stinale verso le cellule che scatenano la ri-sposta immunitaria. La “pillola” in questocaso è un inibitore dell’azione della pre-sunta “zonulina”. Ma certamente le spe-ranze concrete sono lontanissime: non sipuò attualmente bloccare solo il glutine enon gli altri nutrienti, e non si conosconoancora i meccanismi molecolari e le strut-ture di questo complesso di proteine checontrollano la permeabilità. In ogni casoquesta “pillola” andrebbe data insieme alglutine e non potrebbe controllarne gli ef-fetti sulla superficie cellulare degli entero-citi. È infatti stato dimostrato che la mag-gior parte dei peptidi tossici del glutinepassano direttamente per la superficie del-l’enterocita e solo in piccolissima partepassano per le giunzioni tra le cellule.

Curare con una “pillola”? Che ne pensa Telemaco, figliuolo di Ulisse?LUIGI GRECO

Dipartimento di Pediatria, Università “Federico II” di Napoli

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Francesca è una bambina di 7 annicon una storia di alvo frequente, con

feci molli e puzzolenti. La mamma è mol-to preoccupata da quando la figlia non

gioca più perché dice di essere troppostanca. D’accordo con il pediatra di basele fa eseguire alcuni esami ma l’emocro-mo nega la presenza di anemia. La mam-ma, ancora non convinta, la porta in am-bulatorio gastroenterologico. Gli anticor-pi EMA e anti-tTG risultano positivi.

Gianna è la mamma di Francesca, ha45 anni e 12 anni prima aveva deciso didonare il sangue ma era stata scartataperché anemica. Aveva successivamenteassunto alcuni cicli di ferro per bocca, masuccessivi controlli avevano sempre con-fermato l’anemia iposideremica, oltre aevidenziare la presenza di una modestaipertransaminasemia. Successivi ap-profondimenti per inquadrare il problemaepatico non avevano evidenziato patolo-gie specifiche. Successivamente, di fron-te alla comparsa di importanti e diffusi

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Focus

La celiachia dal vero: dal bambino all’adulto filo conduttore è l’anemiaUn’anemia di famigliaTANIA GERARDUZZI

Scuola di Specializzazione in Pediatria, IRCCS “Burlo Garofolo”, Trieste

TOMO III: Ove Telemaco, figliuolo di Ulisse,apprende che l’uomo è ingegnoso per trovar ragioni che lo favoriscono, e rimuover quelle che lo condannano

Una soluzione più promettente è quel-la di agire sul glutine prima che venga incontatto con il soggetto celiaco, cioè ten-tare di “detossificare” il glutine. Si trattain pratica di digerire il glutine in laborato-rio prima di confezionare prodotti con fa-

rina di grano. Il metodo è attualmente di-sponibile, ma non è ancora proponibilecome soluzione pratica. Il glutine predige-rito è infatti un materiale poco adatto aconfezionare pani e paste, perché perde lastruttura tipica del glutine intatto, neces-saria alla lievitazione e alla tenacità dellapasta. (Appl Environ Microbiol 2004;70(2):1088-96).

Si è anche parlato di fare una “pillola”

che contenga gli speciali enzimi digestivicapaci di attaccare, nello stomaco del pa-ziente celiaco, i peptici tossici del glutinein modo da ridurne la tossicità. Ma questaè ancora una soluzione “fantasiosa” chenon ha sbocchi pratici.

TOMO IV: Ove Telemaco, figliuolo diUlisse, scopre l’Eccellenza della Ragione

È un vero peccato non riuscire a distin-guere i progressi della scienza nel campodella celiachia dalla presunta urgenza disoluzioni “a breve termine”: questa confu-sione offusca i grandi recenti progressi emortifica gli sforzi straordinari di tanti one-sti ricercatori impegnati a far luce sullecause genetiche e molecolari dell’intolle-ranza permanente al glutine.

Ora e in futuro esiste già una soluzioneterapeutica straordinariamente semplice,economica, piacevole rispetto a qualsiasi“pillola”. Ma bisogna sforzarsi di progredi-re nelle conoscenze per combattere la lun-ga serie di sofferenze e complicanze che ilglutine causa a tanti soggetti celiaci. Biso-gna combattere la sofferenza, la malattiaautoimmune, non la scomodità; questa vie-ne dopo.

E chi fa ricerca deve stare attento: …iloro falli essendo meno scusabili di quellidei particolari.

Da: Le Avventure di Telemaco, figliuolo diUlisse. Francesco di Salignac della Motta Fene-lon, Maestro de’ Serenissimi Principi di Fran-cia, indi Arcivescovo di Cambrai ec. Nella Stam-peria Abbaziana, in Napoli MDCCXCIII

Box 1 - L’AFFASCINANTE E DIFFICILE PERCORSO DELLA ZONULINA

Il vibrione del colera possiede una tossina, chiamata “ZOT” (Zonula OccludensToxin), capace di aprire le giunzioni serrate tra le cellule dell’intestino umano e cau-sare la ben nota profusa diarrea. Fasano (J Cell Sci 2000;113:4435-40) nel 2000ha ipotizzato che questa tossina dovesse avere una proteina analoga nell’uomo, chechiamò zonulina, capace di controllare l’apertura e chiusura delle giunzioni serratetra le cellule dell’epitelio intestinale. Nel 2001 ha identificato il recettore della ZOTin cellule umane (FEMS Microbiol Lett 2001;194:1-5) e ne ha studiato la possibileanalogia con un recettore per la zonulina. Nel 2003 ha suggerito che la zonulinapossa aprire le giunzioni serrate in risposta a un contatto con batteri, in modo da“lavare via” gli stessi batteri (Gastroenterology 2003;124:275). Nel 2003, insiemea ricercatori italiani, ha dimostrato che l’aggiunta di gliadina a cellule intestinali diratto aumenta la permeabilità, modifica la struttura del citoscheletro ed è coincidentecon un possibile rilascio di zonulina (GUT 2003;52:218-23).Nel 2005 Berti, Not e Fasano hanno osservato che la zonulina era 35 volte più atti-va nei ratti che sviluppano il diabete rispetto a quelli che non lo sviluppano: bloc-cando la zonulina, sono riusciti a ridurre l’incidenza del diabete nei ratti genetica-mente predisposti (Proc Natl Acad Sci 2005;102:2916-21). Da qui la speranza chequesta proteina, per ora identificata in modo preliminare, possa essere sensibile allagliadina sulle cellule intestinali dei soggetti celiaci, in modo da permettere il passag-gio di peptici tossici. In questo caso, purtroppo non verificato sperimentalmente(Heyman, Gastroenterology 2003;125(3):696-707), si potrebbe bloccare la zonuli-na per impedire il passaggio dei peptici tossici.

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Silvia ha 3 anni, ha iniziato a presentaredolori addominali ricorrenti negli ulti-

mi 3 mesi; è pallida, magra; presenta unaddome prominente con un’evidente epa-tomegalia. All’anamnesi scopriamo che vi-ve in campagna e presenta picacismo da 1anno. Gli esami ematochimici rivelanoun’anemia (Hb 8.8 g/dl) e una spiccataipereosinofilia (15.000/mmc rappresenta-no il 58% di tutti i globuli bianchi), a frontedella normalità di transaminasi e gam-maGT. Gli anticorpi specifici per la celia-chia (sia EMA che anti-tTG) risultano posi-tivi. Ma l’epatomegalia e l’ipereosinofilia cipreoccupano e decidiamo di approfondire.L’ecografia epatica rivela multiple forma-zioni nodulari ipoecogene, con fegato au-mentato di dimensioni (Figura 2 a).

A questo punto le ipotesi diagnostichesi moltiplicano. Potrebbe trattarsi di unaparassitosi? Ma non possiamo escludereuna malignità. E se fosse un’istiocitosi? Dicerto una forma allergica non può spiegaretutto. La risposta la troviamo nel miglioreamico della bimba: il suo cane. Gli anticor-pi anti-Toxocara canis sono infatti positivi(sia nella bambina che nel cagnolino). L’in-

festazione da Toxocara si associa oltre chealla localizzazione epatica anche a localiz-zazione toracica e oculare. In particolare alivello polmonare la Toxocara determinaun infiltrato nodulare diffuso, particolar-mente accentuato nelle zone anteriori deltorace (a mantellina), che si rende eviden-te anche alla radiografia e TAC del toracedella bambina, pur essendo asintomatica.La visita oculistica risulta invece negativa.

La piccola inizia quindi la dieta senzaglutine e assume terapia con albendazolo(somministrato anche al cane). Dopo duemesi l’emoglobina è salita e si sono ridottigli eosinofili. Le lesioni epatiche sonoscomparse (Figura 2 b). Non ha più pre-sentato pica, ma ha avuto necessità di as-sumere più cicli di antiparassitario.

Indubbiamente si tratta di un caso ecce-zionale. Ma non possiamo dimenticare lenumerose conseguenze che possono deri-vare dall’anemia, così spesso provocatadalla celiachia. In questo caso, in particola-re, la celiachia era stata la causa iniziale dianemia da cui era derivata l’abitudine delpicacismo che a sua volta aveva portatocon sé l’aumentato rischio di contrarre latoxocariasi. Celiachia e picacismo si colle-gano quindi attraverso il filo dell’anemia7-10.

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Focus

Cave canem!MARZIA LAZZERINI1, FRANCESCA DE FRANCO2

1Scuola di Specializzazione in Pediatria, IRCCS “Burlo Garofolo”, Trieste2Struttura complessa di Pediatria, Ospedale di San Vito al Tagliamento, Pordenone

dolori ossei, il medico di base le ha pre-scritto una densitometria che ha rivelatoun’osteoporosi avanzata. Dopo il riscon-tro di EMA e anti-tTG positivi nella figliafinalmente completiamo il puzzle e la si-gnora Gianna risulta essere a sua voltaceliaca.

Luisa è la sorella di Gianna, quindi ziadi Francesca. È sempre stata anemica, la-mentando importante spossatezza; nes-sun medico ha mai risolto il problema no-nostante decine di analisi e di cicli di fer-ro per bocca. Non vorrebbe più farsi ve-dere da un medico, ma la diagnosi di so-rella e nipote le ridanno speranza. Ha fi-nalmente una risposta: risulta essere asua volta celiaca.

Ma la storia di questa famiglia non fi-nisce qui e in una specie di gioco deglispecchi (Figura 1) entra anche Giulia,bambina di 7 anni, figlia di Luisa, nipotedi Gianna e cugina di Francesca. Giulia è

stitica da sempre, da alcuni mesi si è co-me spenta, è molto pallida. Risulta EMAe anti-tTG positiva.

La biopsia conferma per tutti la pre-senza di atrofia intestinale.

La letteratura ci dice che, partendo dallaboratorio, si trova la celiachia nel 5% deisoggetti selezionati come anemici agli

screening laboratoristici/donatori di san-gue1-3. Se all’anemia iposideremica si as-socia il riscontro di ipocolesterolemia, lapossibilità che il soggetto sia celiaco di-venta quasi una certezza4.

Anche sugli screening di case-finding,l’anemia è il sintomo extra-intestinale chepiù aiuta a porre diagnosi di celiachia5-6.

Figura 1. Albero genealogico di due cugine figlie di sorelle celiache. La diagnosi è stata posta apartire dal riscontro di anemia in una delle bambine.

Figura 2. Immagini ipoecogene diffuse legate all’infestazione da Toxocara canis (a) nel fegato diuna bambina di 3 anni, che si presentava con anemia ipocromica, picacismo, celiachia, ipereosi-nofilia marcata. Scomparsa delle lesioni dopo terapia con albendazolo (b).

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T utto comincia quando Silvia, 8 me-si, viene ricoverata per il protrarsi

da alcuni mesi della diarrea a fronte diun sempre più evidente ritardo di cre-scita, con flessione della curva che ini-zia dopo lo svezzamento.

La piccola risulta avere anticorpiEMA e anti-tTG positivi. A questo pun-to allarghiamo le indagini al resto dellafamiglia. Il fratello risulta negativo. Mala mamma, che presenta una tiroiditeautoimmune, alopecia e una storia dipregressi aborti, risulta a sua voltaEMA e anti-tTG positiva e riceve la dia-gnosi di celiachia con la biopsia intesti-nale. La zia materna è anemica da sem-pre, senza mai trovare beneficio nell’assunzione di ferro per bocca. Anzi richie-de multipli trattamenti trasfusionali concui contrae l’HCV (Figura 3). Risulta asua volta celiaca, così come la madre(nonna della piccola Silvia, con storia distanchezza cronica e poliabortività) euna prozia.

Eleonora invece è una donna di 44anni. A 12 anni l’alopecia universale lacostringe a nascondersi sotto una par-rucca che non le evita l’isolamento so-ciale. A 13 anni presenta una tiroidite diHashimoto, per cui deve assumere tera-pia sostitutiva. Successivamente i dentile si sgretolano, non riesce nemmeno atenere la protesi dentaria, per cui si iso-la ancora di più. Ma la sua sfortuna nonè ancora finita perché, essendo anemi-

ca e non rispondendo alla supplementa-zione marziale per bocca, viene trasfusae contrae così l’HCV. A 36 anni poi pre-senta delle fratture spontanee seconda-rie a un’osteopenia severa. Lamenta an-che disturbi dispeptici, addebitati all’in-fezione da Helicobacter pylori ma il trat-tamento eradicante e antisecretivo nonsortisce alcun beneficio. Solo successi-vamente sente parlare della celiachia erisulterà EMA e anti-tTG positiva. Nonpuò non chiedersi: “Quanto diversa sa-rebbe stata la mia vita se lo avessi sco-perto da bambina?”

Caroline ha 30 anni e già presentauna storia di poliabortività, che non le haimpedito di avere comunque un primo fi-

glio all’età di 27 anni. Ma è stato un partodifficile, il piccolo è nato prematuro (30settimane di età gestazionale, con pesoalla nascita di 800 grammi) ed ha avutouna sofferenza neonatale con paralisi ce-rebrale. Successivamente Caroline è ri-sultata affetta da sindrome di Sjögren. Ela vita già difficile si complica con il di-vorzio. Partecipa a una conferenza sullaceliachia, nel corso della quale aderisceallo screening sierologico. Viene testatae risulta positiva e a sua volta si chiede:“Quanto diversa poteva essere la mia vi-ta!”.

Questi casi non fanno altro che sot-tolineare come l’associazione tra celia-chia e anemia sia estremamente fre-quente anche e soprattutto nell’adulto.Ma mettono in luce come siano spessomolte le occasioni perse dal pediatraper fare un’adeguata diagnosi di celia-chia. Potrebbero infine risollevare l’an-nosa discussione sull’opportunità di fa-re uno screening, quantomeno di po-tenziare le iniziative di case-finding.

436 Medico e Bambino 7/2005

Focus

La celiachia nell’adulto vista dalla parte del pediatraALESSANDRO LENHARDT

Scuola di Specializzazione in Pediatria, IRCCS “Burlo Garofolo”, Trieste

Figura 3. Un’altra famiglia di celiache, scoperte dopo la diagnosi di celiachia nella bimba di 8mesi esordita con diarrea e arresto della crescita.

Federica è una splendida bambina di3 anni e mezzo. Improvvisamente il

suo carattere cambia, diventa nervosa, è

pallida. Uno zio riceve la diagnosi di ce-liachia e anche Federica fa il test: negati-vo. Bene, ma lei non è più se stessa. Un

emocromo di controllo in effetti rivelauna leggera anemia. Del resto mangiaquasi solo latte, quindi il pediatra consi-glia i genitori di variare la dieta e la arric-chisce di ferro. Non va meglio. Esegueun carico di ferro che risulta piatto: nonassorbe il ferro orale. Potrebbe avereun’anemia sideropenica (in origine ca-renziale) da mucosite secondaria alla de-ficienza stessa, oppure potrebbe esserecolonizzata dall’Helicobacter. Sommini-

Quando la clinica vince la sierologiaIRENE BERTI

Scuola di Specializzazione in Pediatria, IRCCS “Burlo Garofolo”, Trieste

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Focus

L’immagine dell’iceberg è sempre statausatissima per esemplificare la varia-

bilità clinica e istologica della malattia ce-liaca. La punta dell’iceberg rappresenta icasi sintomatici, mentre sotto il livello del-l’acqua c’è la celiachia latente e silente sen-za sintomi evidenti ma con la presenza dialterazioni glutine-dipendenti anche solominime dell’architettura mucosale e del-l’immunità (Figura 1).

Nella popolazione di soggetti celiaci so-no sempre presenti degli autoanticorpi chedefiniscono la condizione (anti-tTG) e unHLA predisponente. La presenza di unaplotipo predisponente naturalmente nonbasta, poiché si trova anche in una buonafetta della popolazione dei soggetti sani.Quanto al rapporto tra sierologia e dannoistologico, vari studi hanno dimostrato chequesto è solo parziale1-4, da cui l’impossibi-

lità di sapere che cosa succede a livello in-testinale senza avere a disposizione la bio-psia.

Nel 2000 è stata però evidenziata unareazione immune specifica correlata allagravità istologica della malattia celiaca, de-scrivendo un autoanticorpo diretto control’actina, una componente del citoscheletro,la cui quantità correla nettamente con lapresenza di atrofia dei villi5 (Figura 2).

Le ricerche in merito agli anticorpi anti-actina (AAA) nella celiachia hanno avutoorigine in modo molto casuale nel campodella ricerca in epatologia. In un gruppo disoggetti affetti da epatite autoimmune erastato isolato un autoanticorpo inizialmentescambiato per un anticorpo anti-muscolo li-scio e poi scopertosi diverso. Questi sog-getti si sono rivelati poi essere celiaci e si èscoperto attraverso la tecnica della micro-scopia elettronica a fluorescenza che l’au-toanticorpo in questione riconosceva l’acti-na. Inizialmente gli studi sono stati fatti sul-le cellule Hep (linea cellulare derivata daun carcinoma laringeo), poi la metodica èstata migliorata utilizzando cellule intesti-nali di ratto (IEC-6). Da questo iniziale da-to è partito uno studio multicentrico in dop-pio cieco sull’analisi di sieri di controlli, disoggetti celiaci e di portatori di altre patolo-gie intestinali, confrontando vari test siero-logici e confrontandoli con gli aspetti isto-logici. Gli AAA hanno dimostrato una mar-cata positività nei gradi maggiori di atrofiadei villi intestinali, evidenziando una corre-lazione molto stretta tra il titolo anticorpalee la gravità del danno istologico, con unaspecificità del 95% (Figura 3). I sieri deisoggetti affetti da altre patologie infiam-matorie intestinali, in particolare nel mor-bo di Crohn e in alcuni casi di enteropatia

IS THE BIOPSY STILL NECESSARY? THE IMPORTANCE OF AUTOANTIBODIES AGAINSTACTIN FILAMENTS (Medico e Bambino 2005;24:437-439)

Key wordsAutoantibodies directed against actin filaments (AAA), Apoptosis

SummaryRecently, serum of celiac patients affected by autoimmune hepatitis revealed autoantibo-dies directed against actin filaments (AAA). The preliminary results regarding AAAshowed a strong correlation between AAA antibody titre and the severity of intestinal da-mage. The AAA testing showed high specificity given that AAA are not found in specificconditions such as Crohn’s disease and autoimmune enteropathy. Further observationsshowed that the actin content of enterocytes increases if gluten is introduced in the colture.These data may suggest the possibility to avoid intestinal biopsy in case of AAA positivity,hence modifying the whole diagnostic protocol. At the same time, they may suggest that tis-sue transglutaminase lead to the development of gluten-dependent autoimmunity againstactin with following tissue damage.

Ancora biopsia? Forse no! Gli anticorpi anti-actina STEFANO DE VIRGILIS

Dipartimento di Pediatria, Università di Cagliari

striamo del ferro per via parenterale econtinuiamo il follow-up. Gli anticorpiEMA e anti-tTG sono sempre negativi,ha normalizzato ferritina ed emoglobinama il test di assorbimento intestinale coni due zuccheri è ai limiti e il carico di fer-ro è ancora piatto. E se fosse celiaca pursenza anticorpi specifici?In effetti presenta un HLA DQ2. La sotto-poniamo alla biopsia duodenale che rive-la lesioni di tipo Marsh 1 alternate a le-sioni di tipo 3a, con linfociti gamma deltapositivi. La mettiamo in dieta senza gluti-ne e normalizza stabilmente l’emocromo.Siamo in attesa di ripetere il carico di fer-ro orale.

Il messaggio non può che esserequello di credere nella celiachia se la cli-

nica lo suggerisce. È ancora più impor-tante della sierologia.

Bibliografia

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autoimmune, non contenevano gli AAA.La comprensione dei fenomeni patoge-

netici che si nascondono dietro la reazio-ne autoanticorpale contro il citoscheletronella celiachia è molto importante. In par-ticolare è determinante comprendere seprecede le altre reazioni immuni. Potreb-bero essere di aiuto alcune considerazioniin merito al ruolo del citoscheletro.

Il citoscheletro dell’enterocita è com-posto soprattutto da microtubuli e fila-menti intermedi, composti da actina F (fi-lamenti di actina, derivanti dalla polime-rizzazione di monomeri di actina G) ecomponenti giunzionali. Durante il feno-meno della polimerizzazione l’actina èpresente in tre stati: monomeri di actinaG, polimeri in formazione, filamenti di ac-tina F completi. La reazione autoanticor-pale del celiaco è rivolta specificamentecontro l’actina F. I rapporti di questi fila-menti con le tight junction sono fortissimi,così come con altre componenti intracel-lulari e delle giunzioni transcellulari.

In effetti la struttura del citoscheletroè alla base delle sue numerose e impor-tanti funzioni: interviene nella motilità eadesione cellulare, organizza i rapporti e isegnali che arrivano ai recettori cellulari,interviene quindi nei processi di endo-esocitosi, regola la struttura della matriceintra ed extracellulare, interviene nell’a-poptosi e in altri meccanismi che control-lano il danno tissutale6-9.

Ulteriori osservazioni sperimentalihanno dimostrato che, nell’enterocita, l’in-gresso del glutine determina la polimeriz-zazione dell’actina stessa con conseguen-ze inevitabili anche se poco conosciutesull’organizzazione del citoscheletro equindi sulla struttura dell’enterocita stes-so10 (Figura 4).

Un’ipotesi affascinante potrebbe esse-re centrata su un’azione della transgluta-minasi tissutale sui polimeri dell’actina,che verrebbero quindi presentati comeantigeni non-self e innescare la rispostaautoanticorpale che determinerebbe la de-strutturazione e la disorganizzazione delcitoscheletro con conseguente danno tis-sutale.

In conclusione, il riscontro degli anti-corpi anti-actina è una delle novità più in-teressanti proposte dalla ricerca in questocampo degli ultimi anni. Nonostante siaevidente il bisogno di ulteriori acquisizio-ni per valutarne su larga scala sensibilità,specificità e potere predittivo con confron-to sia con l’istologia che con la sierologiaclassica che con la genetica, la disponibi-

438 Medico e Bambino 7/2005

Focus

Figura 2. Anticorpi sierici anti-actina in un celiaco (a), paragonati con assenza di anticorpi an-ti-actina in un siero di un soggetto sano (b) su cellule Hep-6.

Figura 1. L’iceberg della celiachia.

Figura 3. Correlazione tra il titolo degli anticorpi anti-actina e il grado istologico di danno dellamucosa duodenale.

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Focus

lità di questo interessante marcatore sie-rologico di danno istologico promuove-rebbe un nuovo protocollo diagnostico se-condo il quale il primo passaggio rimanequello della sierologia classica, dopo diche i soggetti positivi vengono testati pergli AAA e se questi sono positivi si puòformalizzare la diagnosi di celiachia senzabiopsia; se gli AAA risultano negativi, bi-sogna approfondire effettuando lo studiodell’istologia duodenale per valutare inmodo definitivo il sospetto di celiachia

fortemente suggerito dalla sierologia clas-sica (Figura 5).

Bibliografia

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Figura 4. Effetti dell’introduzione in coltura cellulare della gliadina sul contenuto cellulare di fi-lamenti di actina polimerizzata.

Figura 5. Possibile nuovo protocollo diagnostico per la celiachia dopo la validazione degli AAAcome marker sierologico di danno istologico.

MESSAGGI CHIAVE

❏ È ormai noto che il rapporto tra lasierologia e il danno istologico nel ce-liaco può essere soltanto parziale.❏ Gli anticorpi anti-actina correlanocon la gravità del danno istologico conuna specificità del 95% e in manieranetta con l’atrofia dei villi intestinali.❏ La reazione autoanticorpale del ce-liaco è rivolta specificamente contro unaspecifica forma di actina, l’actina F, cheè polimerizzata con le altre nella forma-zione dei filamenti intermedi del cito-scheletro. Quando essa avviene, si alte-ra la struttura del citoscheletro cellularee quindi l’enterocita stesso.❏ Un’ipotesi patogenetica sarebbe cen-trata sull’azione della transglutaminasiumana tissutale sui polimeri di actina,che verrebbero presentati come antigeninon-self, innescando una risposta anti-corpale in grado di destrutturare il cito-scheletro cellulare e di creare quindi ildanno tissutale. ❏ La disponibilità di questo nuovo mar-catore potrebbe suggerire un nuovoprotocollo diagnostico, per cui i soggettipositivi alla sierologia classica (EMA,htTG) e agli anti-actina non necessite-rebbero della biopsia duodenale.

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440 Medico e Bambino 7/2005

Focus

L a diagnosi di celiachia è una diagnosifacile. Abbiamo a disposizione dei te-

st sierologici con buona sensibilità e spe-cificità, e l’esecuzione della biopsia inte-stinale ci permette di vedere direttamenteil danno specifico, con la classificazionedi Marsh che guida e in qualche modorende il più possibile univoca l’interpreta-zione.

Eppure tra tutti i mezzi diagnostici adisposizione, la biopsia intestinale rima-ne quello il cui esito ha maggior probabi-lità di metterci in difficoltà. Che dire difronte a soggetti con clinica suggestiva,anticorpi specifici positivi e un refertoistologico bioptico normale? Oppure difronte a un soggetto con anticorpi speci-fici negativi ma col referto istologico diuna biopsia (fatta per altre ragioni) chedescrive un’atrofia dei villi duodenali?

Il problema centrale infatti è che i ser-vizi di gastroenterologia solo raramentesono “dedicati” alla diagnosi di celiachiae quindi pagano un grado variabile diinesperienza con conseguenti inesattez-ze procedurali e di interpretazione.

Eppure la biopsia intestinale deve es-sere eseguita. Perché?

BIOPSIA SÌ PER PROTOCOLLO

La biopsia duodenale, storicamente,era l’unico modo per porre diagnosi di

malattia celiaca, ancor prima della scoper-ta dei marcatori sierologici. Si dovevanoeseguire infatti ben 3 biopsie all’esordio,in dieta e dopo scatenamento per dimo-strare la glutine-dipendenza del danno.

Ancora oggi la biopsia rientra nei cri-teri fondamentali (ESPGHAN 1990) perla diagnosi di celiachia e per mettere unsoggetto a dieta senza glutine per tutta lavita, senza necessità di scatenamento(Box 1):• storia clinica compatibile con la malat-

tia celiaca

• screening sierologico compatibile• danno istologico compatibile• risposta clinica e sierologia alla dieta

senza glutine• soggetti di età superiore ai 18 mesi • escluse altre condizioni cliniche che

possano mimare la celiachia

BIOPSIA SÌ PER DEFINIRE LA DIAGNOSI

È a livello intestinale che si realizzanoi meccanismi che attivano la risposta im-munologica che sottende la malattia, for-se prima ancora di ritrovarne i marcatorinel siero.

I test sierologici sono buoni, perdonodavvero pochi pazienti ma esistono le si-tuazioni in cui gli anti-tTG risultano posi-tivi e gli EMA sono negativi; esistonopersino le rarità ovvero sieri EMA positi-vi e anti-tTG negativi, pazienti con clinicasuggestiva ma sia EMA che anti-tTG ne-gativi; esiste il deficit di IgA in celiachiache non viene risolto del tutto da IgGEMA e IgG anti-tTG. Certo abbiamo a di-sposizione la genetica che aiuta ulterior-mente a selezionare i pazienti.

La biopsia deve risolvere le situazioniin cui il sospetto clinico è forte (Box 2 e 3).

BIOPSIA SÌ PER NEGARE LA DIAGNOSI…

Molto spesso in medicina è più diffici-le negare la diagnosi piuttosto che farneuna. A volte la biopsia intestinale è ne-cessaria per negare la diagnosi di celia-chia a soggetti in cui il sospetto non ave-

IS THE BIOPSY NECESSARY? ARGUMENTS IN SUPPORT(Medico e Bambino 2005;24:440-442)

Key wordsIntestinal biopsy, ESPGHAN criteria

SummaryUsually the diagnosis of celiac disease is an easy task, thanks to the availability of good se-rology tests and to the intestinal biopsy, which represents a precious chance of looking atthe gluten toxicity right in the gut. Although the significant improvement in the researchfield, biopsy is still required by the international protocol, in particular according to theESPGHAN criteria. Intestinal biopsy offers the advantage of avoiding the gluten challengeand of promoting a better diet compliance, by giving a certain diagnosis. Moreover thebiopsy can be useful in denying those cases in which a wrong diagnosis of celiac diseasewas put.

Ancora biopsia? Forse sì!STEFANO MARTELOSSI

Dipartimento di Scienze della Riproduzione e dello Sviluppo, IRCCS “Burlo Garofolo”,Trieste

Box 1

Gabriele è un bambino di 10 mesi, il fratello è celiaco. La sua curva di crescita pon-derale mostra un’evidente flessione dopo lo svezzamento quando è comparsa anchela diarrea. Gli esami rivelano ipoprotidemia e deficit coagulativo. È una crisi celiacachiara ma gli anticorpi EMA e anti-tTG risultano negativi, solo gli AGA sono positivi.La tipizzazione genetica dimostra la presenza di una HLA DQ2. Viene eseguita unabiopsia intestinale dopo aver corretto il deficit coagulativo e riceviamo un referto chedescrive una mucosa di tipo Marsh 3c.Era indispensabile effettuare la biospia?Sì: aveva meno di 2 anni e avrebbe dovuto sottoporsi a un challenge; gli anticorpispecifici erano negativi. Certo è che questo bambino presentava un quadro clinicoche parlava da sé, ed è stato facile decidere di procedere nonostante l’inusuale ne-gatività dei test sierologici. Il caso ci insegna che, quando manca un pezzo del puzzle, è ancora più importanteeffettuare la biopsia. Non ci si può accontentare del risultato della sierologia, chepuò sbagliare in un senso e nell’altro: la diagnosi deve passare su un approfonditoragionamento clinico.

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Focus

va forti basi cliniche ed è stato sostenutoda test non ortodossi. Nonostante il ri-sultato negativo della sierologia specificae l’assenza di una predisposizione gene-tica, continuerebbero a fare dieta. La bio-psia permette di chiudere il problemauna volta per tutte.

… E PER UNA DIAGNOSI CERTA

La biopsia intestinale serve per for-malizzare una diagnosi certa di celiachiaper tutta la vita, per una diagnosi inattac-cabile che dia una motivazione forte euna compliance dietetica migliore e cheprotegga il soggetto dai propri dubbi maanche dagli altri gastroenterologi. Infattiqualsiasi gastroenterologo avrebbe il di-ritto di proporre uno scatenamento a unsoggetto diagnosticato senza biopsia!

E non dimentichiamo che anche inpediatria la biopsia intestinale è ormai di-

ventata una procedura semplice, grazieai nuovi strumenti e soprattutto grazie al-la sedazione.

Esistono molte altre motivazioni chepossono spingere un medico a fare ese-guire una biopsia intestinale.

Spesso la biopsia viene fatta in rispo-sta a delle esigenze forti del pazientestesso, quasi di rinforzo a una diagnosiricevuta in modo non convincente o con-sapevole in passato che lo ha “convinto”a riassumere il glutine. Esistono moltisoggetti che credono di essere “guariti”dalla celiachia e hanno liberalizzato ladieta. Alcuni sono sintomatici e magari èpiù facile agganciarli ma anche motivarli.Altri sono asintomatici apparentemente,inconsapevoli dell’esistenza di segnispesso subdoli ma non meno gravi. E poiesistono gli adolescenti, che magari han-no ricevuto la diagnosi da piccoli e cheentrano in crisi perché hanno bisogno diribellarsi alla celiachia oltre che al resto

del mondo. Per queste persone, la bio-psia intestinale nel challenge può quindiessere quanto meno utile, nonostante siaun’indicazione non perfettamente corret-ta (dovrebbero bastare i test sierologici,soprattutto se associati alla tipizzazionedell’HLA).

D’altro canto la biopsia serve peresplorare completamente l’iceberg. Inparticolare il gastroenterologo endosco-pista non dovrebbe perdere l’occasionedi eseguire una biopsia duodenale se,“per caso”, si trovasse davanti i seguentisegni endoscopici di sospetto: • l’assenza delle pliche e l’edema della

mucosa • lo scalloping ovvero la pettinatura del-

le pliche • la micronodularità del duodeno• l’acciottolato del duodeno

Uno studio italiano1 dimostra un im-pressionante aumento delle diagnosi diceliachia con la semplice introduzionedella biopsia duodenale a ogni esame ga-stroscopico: l’incidenza di celiachia nelperiodo tra il 1992 e il 1997 era di 1 ogni724 esami endoscopici; nel periodo suc-cessivo 1998-2001 con l’introduzione del-la biopsia a ogni procedura l’incidenzaera di 1:118. Infatti molto spesso l’endo-scopista non conosce bene il paziente edesegue l’esame su prescrizione di altri.Peraltro, in questo studio in particolare,ben 13 degli 88 soggetti diagnosticatinell’ultimo periodo dello studio eranoasintomatici. In 70 degli 88 soggetti(79.5%) erano presenti segni endoscopicimacroscopici indicativi di celiachia. Ladiagnosi di celiachia è quindi una dellemotivazioni principali ad eseguire daprotocollo delle biopsie in corso di ogniendoscopia, con evidenti vantaggi anchesul piano dei costi/benefici.

La biopsia DEVE essere fatta nei sog-getti selezionati con programmi di scree-ning di popolazione. Si tratta infatti spes-so di soggetti asintomatici, di situazionilimite in cui abbiamo ancora tanto da im-parare e conoscere. La biopsia intestina-le deve ancora essere fatta per riempire,con un minimo di rigore scientifico, i bu-chi di quel grande puzzle che è la celia-chia. Rappresenta infatti tuttora il goldstandard a cui si può e si deve fare riferi-mento per tutte le novità che emergonoin questo campo. Anche gli anticorpi an-ti-actina, recentemente descritti comemarker sierologico del danno tissutale,devono ancora essere validati2.

Box 2

Matteo è un bambino di 5 anni, che ha ricevuto la diagnosi di morbo di Crohn peruna storia caratterizzata da ragadi anali e arresto della crescita e per alcuni aspettilaboratoristici (test ai due zuccheri alterato, riscontro bioptico di colite granulomato-sa). La compresenza di cheilite angolare e aftosi recidivante ci fa sospettare il morbodi Behçet, che però escludiamo. La malattia di Matteo si dimostra ben presto cortico-dipendente e resistente, ma risponde bene alla terapia con talidomide a basse dosi.Sia EMA che anti-tTG vengono valutati una prima volta nel 2000 e risultano negativi.Nel 2001 partecipa come controllo alla ricerca sugli anti-tTG salivari e risulta positi-vo. Successivamente, nel 2002, positivizza anche EMA e anti-tTG sierici. La biopsiadella mucosa duodenale e di quella orale mostrano un’infiltrazione linfocitaria in en-trambi i distretti, insieme alla presenza di atrofia intestinale.Era indispensabile effettuare la biopsia?Sì: di fronte a una clinica ambivalente e alla compresenza di un’altra patologia eranecessario valutare quello che avveniva a livello duodenale. Gli anticorpi salivari so-no al momento sperimentali, ma nel suo caso sono stati testimoni della maturazionedella risposta immunologica al glutine.

Box 3

Sara è una donna di 42 anni, che presenta una lunghissima storia di anemia chenon risponde alla supplementazione con ferro per bocca. Ha eseguito un primo do-saggio degli EMA nel 1998 che erano risultati negativi. Nel 2001 è sempre anemi-ca; si sottopone a un nuovo screening sierologico che rivela la presenza di anti-tTGpositivi. Sara presenta un HLA DQ8 e la biopsia intestinale mostra atrofia intestinalecon grado 3b di Marsh.Era indispensabile effettuare la biopsia?Sì: e sarebbe stato meglio farla prima, alla luce della “sola” clinica, fortemente sug-gestiva. Senza lo sviluppo (allora imprevedibile) della tecnica degli anti-tTG avrem-mo perso la diagnosi.

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Focus

Per chiarezza va detto che la biopsiaintestinale non è indispensabile per lacertificazione di celiachia (permanente enon soggetta a rinnovo) e l’ottenimentodell’esenzione in qualità di malattia rara.La legge del 2001 (che abroga quella del1982) non nomina la biopsia ma precisache sono solo i centri di riferimento re-gionali che possono fare la certificazione.

Non vi è invece evidenza circa l’op-portunità di eseguire la biopsia intestina-le nel follow-up, per controllare l’adesio-ne alla dieta. Infatti, sebbene la letteratu-ra metta in dubbio l’attendibilità dei testsierologici per controllare l’effettivaesclusione del glutine e quindi la ripara-zione del danno intestinale3, a fronte del-la remissione della sintomatologia non visarebbe alcun vantaggio dell’eseguire labiopsia di controllo. Bisognerebbe poi di-scutere del momento in cui eventual-mente eseguire la biopsia rispetto al sup-posto inizio della dieta.

Un ultimo aspetto da sfatare è l’ideache imporre la biopsia intestinale possascoraggiare i pazienti e fare loro inter-rompere l’iter diagnostico. L’esperienzadi alcuni screening di popolazione ne-gherebbe l’importanza di questo aspetto.In uno screening di 3188 scolari delleelementari sono stati identificati 33 sog-

getti positivi agli anti-tTG, a cui è stataappunto proposta la biopsia intestinale4.Solo 3 su 33 hanno rifiutato di sottoporsialla procedura; di questi 1 ha interrottole indagini perché i genitori avevano giàdeciso di non accettare la diagnosi e laconseguente dieta.

LA NOSTRA CASISTICA

Nell’ambito di 302 diagnosi di celia-chia effettuate in 3 anni, è stata posta dia-gnosi senza effettuare la biopsia intesti-nale solo in 10 casi, tutti con EMA positi-vi. Le ragioni che hanno portato a forma-lizzare la diagnosi senza il referto istolo-gico sono state essenzialmente il rifiutodel paziente (in 4 soggetti, comunquecon quadro clinico molto chiaro), i rischicorrelati alla sedazione considerata irri-nunciabile nei bambini (in altri 4 sogget-ti); infine la presenza di una crisi celiacasevera e la necessità di avviare la dietasenza glutine dilazionando la biopsia,succesisvamente non più eseguita (in 2casi).

In 20 soggetti la biopsia (corredata

anche da una genetica predisponente)ha permesso di porre la diagnosi di celia-chia con anti-tTG positivi a fronte diEMA negativi

Bibliografia

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MESSAGGI CHIAVE

❏ La biopsia intestinale eseguita in cen-tri “dedicati” alla diagnosi di celiachiariduce al minimo gli errori conseguentia inesattezze procedurali e d’interpreta-zione.❏ La biopsia intestinale rientra tutt’ogginei criteri ESPGHAN per la diagnosi diceliachia.❏ La biopsia intestinale serve al clinicoper la conferma diagnostica, per nega-re una diagnosi di malattia, per rendereuna diagnosi inattaccabile e motivare ilpaziente, specie se asintomatico, a ese-guire la dieta nel modo migliore e conla miglior compliance.❏ La biopsia va eseguita in tutti i sog-getti identificati tramite i programmi discreening di popolazione che più spes-so di altri sono asintomatici.❏ La biopsia intestinale rappresenta an-cora il gold standard a cui si deve farriferimento per la validazione di tutte lenuove metodiche di supporto diagnosti-che, in particolare di tipo sierologico.

Non si può negare l’esistenza di nu-merose e valide motivazioni a soste-

gno della tesi che la biopsia intestinale èsuperflua nella formalizzazione della dia-gnosi di celiachia. In effetti una clinica

suggestiva, EMA, anti-tTG, anti-actina,HLA forniscono in molti casi una diagno-si inequivocabile. Anzi paradossalmente,può succedere che la risposta del patolo-go confonda le carte, manchi la diagnosi,

THE POINT ON THE INTESTINAL BIOPSY (Medico e Bambino 2005;24:442-446)

Key wordsDuodenal biopsy, Intraepithelial lymphocytes

SummaryWhen diagnosing celiac disease, the intestinal biopsy represents a moment of close colla-boration between the pathologist and the clinician. The accuracy of the hystological dia-gnosis depends on the number and the adequate placement of the biopsies on the slides. Itis fundamental to correctly interpret the biopsy in order to recognise artefacts and to de-scribe the different mucosal strata, the relation between villus/crypt and the presence of in-traepithelial lymphocytes. All these characteristics are of great help for the clinician in or-der to identify non clear celiac forms.

Quale biopsia?VITTORIO VILLANACCI

Dipartimento di II Patologia Chirurgica, Spedali Civili, Brescia

MeB

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Focus

o risulti insufficientemente determinata. Il problema centrale è quello della

corretta interpretazione patologica dellabiopsia stessa; a sua volta, questa dipen-de dalla disponibilità di un numero ade-guato di campioni bioptici, dalla qualitàdei preparati e specialmente dal correttoorientamento del pezzo1.

L’ORIENTAMENTO E IL NUMERO ADEGUATO DI BIOPSIE

Per orientamento di una biopsia si in-tende il posizionamento del frammentodi tessuto tale da evidenziare corretta-mente tutti gli strati della parete.

Già nel 1993 si è dimostrata l’utilità diun metodo che sfruttava il posizionamen-to delle biopsie intestinali di ciascun pa-ziente su un filtro millipore di acetato dicellulosa, fatto direttamente dal ga-stroenterologo endoscopista, in sequen-za secondo la sede di prelievo. Le biopsienon vengono più manipolate, ma il filtroviene incluso in modo standard nel bloc-chetto di paraffina che a sua volta vieneruotato e sezionato secondo un criteriopreciso (Figura 1). Questo metodo sipuò e deve applicare a tutto l’apparatogastro-enterico dove è essenziale lo stu-dio dei rapporti dei vari strati della pare-te tra di loro, l’osservazione e la descri-zione del disordine architetturale. La pre-

senza del filtro millipore non inficia l’ap-plicazione di colorazioni specifiche e del-le varie tecniche di immunoistochimica(ad esempio la marcatura con anti-CD3)(Figura 2). La diffusione di questometodo consente anche un risparmioeconomico, poiché permette di studiarele sezioni di 8 frammenti bioptici sullostesso vetrino2.

L’INTERPRETAZIONE PATOLOGICA DELLA BIOPSIA

Il corretto orientamento del pezzoaiuta a ridurre gli artefatti, che comun-que esistono ed è compito di un bravopatologo sapere riconoscere. Alcuniesempi di artefatti che possono condurrea un’errata diagnosi di atrofia o subatro-fia intestinale sono: i villi a fisarmonica,la fusione di villi contigui, il bigeminismodei villi, la presenza di nuclei addossatigli uni agli altri per l’effetto della sezioneche dà la falsa idea di aumento dei linfo-citi intraepiteliali (IEL) (Figura 3).

Quindi ancora più importante del rico-noscimento degli artefatti è il riconosci-mento di una mucosa veramente norma-le. Quando la biopsia è perfettamenteorientata, è possibile dire che c’è unamucosa normale, individuando con faci-lità il rapporto villo/cripta di 3:1 (Figura4). Questo dato deve essere specificatonel referto istopatologico. L’altro parame-tro che non può e non deve essere omes-so è relativo al numero di IEL, facilmentevisualizzabili con la colorazione anti-CD3. Esiste una vasta discussione in let-teratura in merito al numero normale diIEL, che varia tra il 25% rispetto alle cel-lule epiteliali3 e il 40%4.

Inizialmente Marsh aveva individuato3 tipi fondamentali di lesione: il tipo 1 ov-vero infiltrativi, solo con aumento degliIEL; il tipo 2 ovvero iperplastica, con infil-trato intraepiteliale e iperplasia delle crip-te ghiandolari; il tipo 3 ovvero distruttiva,con distruzione e appiattimento dei villi,infiltrazione, evidenza di mitosi anche alivello dell’apice dei villi5 (Figura 5). Suc-cessivamente tale classificazione è stataampliata e modificata da Oberhuber, cheha suddiviso la lesione più grave in 3 sot-totipi, denominati Marsh 3a, Marsh 3b eMarsh 3c in relazione alla gravità dell’a-trofia dei villi6 (Tabella I).

Chiaramente le lesioni caratterizzateda atrofia totale sono facili da interpreta-re, e sottendono situazioni cliniche in cui

spesso la biopsia non aggiunge nulla dinuovo. Il problema sorge evidentementedi fronte alle lesioni di tipo 1, dove è fon-damentale la valutazione del numero deilinfociti intraepiteliali e quindi l’utilizzodella colorazione anti-CD3 è centrale (Fi-gura 6).

Questo rappresenta in effetti il proble-ma fondamentale dell’interpretazione pa-tologica delle biopsie duodenali, conside-rando che molti patologi europei noncontano gli IEL o, se lo fanno, non comu-nicano il dato al clinico7. Eppure si trattaproprio dell’aspetto più tipico, iniziale esensibile, della specifica azione del gluti-ne sulla mucosa8.

Nella lesione iniziale nel tipo Marsh 1e 2, la sensibilità degli EMA risulta esse-re molto bassa9, anche se resta da discu-tere il significato del riscontro di lesionidi tipo 1 di Marsh e quindi con architet-tura mucosale normale in assenza deglianticorpi specifici per la celiachia10. Inquesti casi diventano centrali la correla-zione con la clinica e la tipizzazione ge-netica.

L’aumento di IEL senza altri segniistopatologici può essere aspecifico, manon abbiamo conoscenze sufficienti perchiudere il problema, e pazienti di que-sto tipo dovrebbero essere seguiti neltempo10. Infatti, l’aumento degli IEL po-trebbe rappresentare il primo segno diuna celiachia altrimenti non ancoraespressa. In questi casi potrebbe esseredeterminante applicare lo screening deilinfociti che esprimono il recettore gam-ma/delta11.

Figura 1. Esempi di biopsia duodenale orien-tata (a) e non (b).

Figura 2. Applicazione del sistema di orienta-mento con l’ausilio di filtro millipore di aceta-to di cellulosa (a), con successiva colorazionecon anti-CD3 (b).

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Focus

Una piccola esperienza personale ciha permesso di rivalutare 122 casi di bio-psie duodenali con note patologiche, inparticolare 98 con lesione di tipo Marsh1 e 24 di tipo Marsh 2. Tutti i soggettipresentavano una clinica significativa,che poteva fare sospettare la malattia ce-liaca (il 70% presentavano anemia, il 20%dolori addominali, il 10% diabete e altro).Un aplotipo HLA predisponente era pre-sente solo nel 57.3% dei casi (Figura 7).In 13 soggetti gli anticorpi EMA e anti-tTG, negativi al momento della biopsia,si erano successivamente (in un periodomassimo di 2 anni) positivizzati.

Il ruolo del patologo è quindi quello didescrivere in modo completo quello chevede e non di esprimere una diagnosi cli-nica (Tabella II), fermo restando che ildanno istologico esiste in funzione dell’e-sposizione quantitativa e temporale allagliadina. Quindi sarà il clinico, in posses-so dei dati completi (la clinica, la sierolo-gia, non ultimo appunto il timing dellabiopsia rispetto alla dieta senza glutine),a stabilire infine la diagnosi.

L’ANATOMO-PATOLOGO E LE COMPLICANZE DELLA CELIACHIA

Un aspetto particolare è quello dellaceliachia refrattaria, situazione definitadall’assenza di guarigione istologica do-po dieta senza glutine. L’anatomo-patolo-go ha portato un contributo di ricerca im-portante dimostrando che il tipo di lesio-ne che sottende una celiachia refrattaria

alla dieta senza glutine potrebbe esserediverso rispetto alla lesione che caratte-rizza la malattia celiaca alla diagnosi. Al-cuni Autori francesi infatti hanno applica-to marcatori anti-CD3 e anti-CD8 e stu-diato l’espressione del recettore gam-ma/delta nei casi di sospetta celiachia re-frattaria, individuando un infiltrato CD3+CD8- con riarrangiamenti del gene per ilrecettore gamma/delta12.

Un’altra situazione correlata alla celia-chia e che merita di essere descritta dal-l’istologo è la cosiddetta sprue collageno-sica, complicanza descritta dall’ispessi-mento della banda connettivale sottomu-cosale diagnosticabile solo istologica-mente (Figura 8).

La complicanza più temuta, seppur ra-ra, è quella della presenza di un linfomaintestinale. In questa situazione l’anato-mo-patologo non solo è determinante perla diagnosi differenziale ma fornisce la ti-pizzazione delle cellule, molto importan-te per la prognosi.

Problemi di diagnosi differenziale ma

Figura 3. Artefatti della mucosa duodenale: a)villi a fisarmonica; b) fusione di villi; c) bige-minismo; d) nuclei di cellule epiteliali addos-sati che sembrano indicare un aumento dilinfociti intraepiteliali, negato con la colora-zione anti-CD3.

Figura 4. Rapporto villi/cripte di 3:1 in muco-sa duodenale normale.

Figura 5. La classificazione di Marsh della mucosa duodenale nell’enteropatia glutine-dipendente(da voce bibliografica 6, modificata).

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Focus

spesso anche di associazione morbosapossono derivare da alcune infezioni. Inparticolare è relativamente comune os-servare casi di giardiasi, infezione daCriptosporidium o Microsporidium.

È importante inoltre distinguere la

celiachia dalle manifestazioni allergicheintestinali, sempre caratterizzate da in-filtrato eosinofilo (di solito si considera-no patologici in modo specifico più di 60eosinofili per dieci campi ad alto ingran-dimento).

In conclusione, è importante cheognuno svolga bene il proprio compito.Se il clinico è sicuro della diagnosi, for-se davvero la biopsia è superflua. Ma dicerto se la biopsia si fa, deve essere fat-ta e letta bene e di questo l’unico re-sponsabile deve essere l’anatomo-pato-logo. I centri di riferimento per la dia-gnosi della malattia celiaca dovrebberogarantirsi un servizio di anatomo-patolo-gia adeguato, con cui avere un rapportodi chiarezza e fiducia. Va inoltre sottoli-neato che, una volta effettuata la bio-psia, questa resta uno strumento dia-gnostico anche per l’avvenire, perché iframmenti rimangono a disposizioneper interpretazioni e rivalutazioni suc-cessive.

Tabella I

LA CLASSIFICAZIONE DI MARSH MODIFICATA DA OBERHUBER7

Tipo 0 Tipo 1 Tipo 2 Tipo 3a Tipo 3b Tipo 3c

IEL* < 40 > 40 > 40 > 40 > 40 > 40

CRIPTE Normale Normale Ipertrofiche Ipertrofiche Ipertrofiche Ipertrofiche

VILLI Normali Normali Normali Artofia lieve Atrofia marcata Assenti

*I valori sono dati come linfociti intraepiteliali/cento cellule epiteliali

Figura 6. Intenso infiltrato intraepiteliale evidenziato con colorazione anti-CD3.

Figura 7. Un’esperienza di rivalutazione di una casistica dalla lesione istologica alla sierologia.

Tabella II

PARAMETRI VALUTATI NEL REFERTO

ANATOMO-PATOLOGICO

• Numero delle biopsie

• Orientamento

• Villi: normali, atrofia lieve-moderata-severa

• Rapporto villo/cripta

• Linfociti intraepiteliali

• Colorazione con anti-CD3

• Strutture ghiandolari (cripte)

• Lamina propria

Figura 8. Sprue collagenosica. È ben evidentela banda connettivale sottomucosale.

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446 Medico e Bambino 7/2005

Focus

MESSAGGI CHIAVE

❏ L’accuratezza della diagnosi istopa-tologica di celiachia dipende dal nume-ro e dall’adeguato orientamento dellebiopsie duodenali.❏ Il corretto orientamento riduce il ri-schio di artefatti, permette un’attenta vi-sualizzazione dei vari strati della muco-sa, faci l i ta l ’analisi del rapportovillo/cripta.❏ L’utilizzo dell’analisi immunoistochi-mica (mediante colorazione anti-CD3)permette di identificare il numero deilinfociti intraepiteliali (IEL) e di fornireun ulteriore parametro diagnostico nelleforme meno espresse di danno glutine-dipendente.

L a celiachia è una malattia multifatto-riale con forte componente genetica.

Non sono stati ancora identificati tutti i ge-ni coinvolti. Il rischio di celiachia nei fami-liari di primo grado di un soggetto affettoè superiore al 10%. La concordanza tra ge-melli monozigoti, in un recente grandestudio di popolazione che ha identificatopiù di 100 coppie di gemelli, è stata calco-lata superiore all’85%, molto vicina a quellaosservata sul campo per molte malattie atrasmissione mendeliana1. La concordanzatra gemelli dizigoti non è significativamen-te diversa da quella osservata in fratellinon gemelli, suggerendo una moderatapartecipazione di fattori ambientali nellagenesi della malattia (Tabella I).

I GENI DELL’HLA

Questa patologia da glutine è ristretta aspecifici geni coinvolti nella risposta im-munologica, deputati all’identificazione diantigeni estranei (Human Leukocyte Anti-gens, HLA, cr. 6p21): l’ipotesi patogeneticaè che peptidi della gliadina, derivati dalladeaminazione ad opera della transglutami-

nasi tissutale, interagiscano con specifichemolecole dell’HLA, determinando attiva-zione dei linfociti T intestinali, successivorilascio di citochine pro-infiammatorie eautoanticorpi, responsabili delle lesioniistologiche della mucosa intestinale. È no-ta da tempo l’associazione con alcuni allelidell’HLA DR: DRB1*03, DRB1*05 eDRB1*07. Questi aplotipi sono in linkagedisequilibrium con un eterodimero DQ2(DQab), codificato da una coppia specificadi alleli (DQA1*0501 e DQB1*0201) e pre-sente in circa il 90-95% dei malati. Questamolecola riconosce alcune specifiche se-quenze peptidiche della gliadina, sugge-rendone un ruolo cruciale nella presenta-zione dell’antigene e quindi nell’attivazio-ne della risposta immune. Negli individuinon portatori del DQ2 (5-10% circa) è statoindividuato l’eterodimero DQ8, molecolaalternativa, costituita dalla stessa catenaalfa ma da una differente catena beta (conun notevole grado di omologia con la cate-na beta già nota, proprio nel sito di lega-me specifico di legame con il peptide), inlinkage con il gene DRB1*042-3. Ma più del30-40% degli individui sani non celiaci pre-senta il DQ2 o il DQ8, dunque la loro pre-

GENETICS OF CELIAC DISEASE(Medico e Bambino 2005;24:446-448)

Key wordsCeliac disease, HLA genes, MIC-A and MIC-B genes, Candidate genes

SummaryCeliac disease is a multifactorial disease with a large genetic component. Not all genes in-volved, however, have been identified. The risk of developing celiac disease is higher than10% in first grade relatives, while concordance among omozygotic twins is higher than85%. It is known that HLA genes are involved in the pathogenesis of celiac disease. HLADQ2 is present in 90-95% of celiac patients, while HLA DQ8 in 5-10% of patients. Howe-ver, both HLA loci can be found in 30-40% of healthy subjects, suggesting that their pre-sence has not a high positive predictive value while their absence has a high negative pre-dictive value. Investigations on the association between HLA DQ2 subtypes and celiac di-sease identified 3 risk categories with respectively an increased risk of developing celiacdisease of 4, 10 and 44%. In order to understand the importance of the genetic componentin celiac disease, studies involving chromosome 6, other HLA genes (MIC-A and MIC-B ge-nes) and linkage studies on candidate genes (5q31-33, 11qter) are ongoing.

Genetica della celiachiaLUIGI GRECO1, M. GIOVANNA LIMONGELLI2, OSCAR ESPOSITO3, SARA SCOGNAMIGLIO3

1Dipartimento di Pediatria, Università “Federico II” di Napoli 2Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università di Napoli 3Dipartimento di Pediatria, Università di Napoli

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Focus

senza non ha valore predittivo positivo,mentre l’assenza ha un alto valore preditti-vo negativo (Tabelle II, III, IV).

ULTERIORI ANALISI DEL RISCHIO ASSOCIATO ALL’HLA

All’interno della categoria di familiaridi 1° grado non affetti che ha il DQ2 (edunque un rischio di partenza di circa il

20% di fare la malattia) esistono vari sotto-gruppi di rischio, a seconda del linkagedel DQ2 con sottotipi diversi del DR.

La Tabella V mostra queste classi di ri-schio: avere una doppia dose diDQB1*0201, come nei casi che hannoDR3/DR3 o DR3/DR7 raddoppia il ri-schio dal 20% al 40% o più, ma anche ave-re una sola dose di DQB1*0201 (il DQ2)in linkage con DR5/DR7 produce un ri-schio doppio rispetto al rischio di base.

Avere una sola dose di DQ2, come nelDR3/DRX, produce un dimezzamento delrischio di base. Non avere il DQ2 ma ilDQ8 porta il rischio del familiare dal 20%a circa il 4%.

In conclusione si può, dalla nascita,classificare il rischio di un fratellino o diun figlio di un paziente celiaco in almeno3 classi di rischio, che predicono dal 4 al10 al 44% di rischio di sviluppare la malat-tia4.

Sottotipi di DQ2Ma anche all’interno della molecola di

HLA DQ2, che è prodotta dal geneDQB1*02, esistono due sottotipi:DQB1*0201, sempre legato al DR3, e ilDQB1*0202 legato al DR7. Queste dueproteine hanno una piccola differenza, im-portante dal punto di vista funzionale: unaprolina in posizione P3 nella tasca ove vie-ne riconosciuto l’antigene. Se è presentequesta prolina in P3 nel DQ2*0201 la mo-lecola è capace di riconoscere circa il dop-pio dei peptidi della gliadina rispetto allasua simile molecola senza la prolina in P3,denominata DQ2*0202.

Sembra che anche la risposta di stimo-lazione gliadino-specifica dei linfociti T èdifferente a seconda di questa minuscoladifferenza molecolare.

La Figura 1 conferma che avere duedosi di DQB1*02 (sia per la presenza diDR3/DR3 sia per DR3/DR7) raddoppia lacapacità dell’HLA di riconoscere peptidispecifici della gliadina e di stimolare cellu-le T gliadino-specifiche. Dunque individuicon rischio genetico in doppia dose, even-tualmente in associazione ad altri profiligenetici a rischio, superano più facilmentela soglia di stimolazione di cellule T capacidi avviare la patogenesi autoimmune dellaceliachia5.

Rischi associati a geni del cromosoma 6oltre all’HLA

MICA-A5.1, MICB-CA24 e MIB-350 so-no alleli caratteristici dell’aplotipo estesoB8-DR3-DQ2: i soggetti DR3 portatori diquesta combinazione di alleli hanno un ri-schio di ammalarsi circa 4 volte maggioredei soggetti DR3 portatori di altri profili al-lelici. Le molecole prodotte dai geni MIC-Ae MIC-B sono proteine dello stress cellula-re coinvolte nella fase di immunità natura-le dopo l’esposizione al glutine. L’aplotipoMIC-A.5.1 produce una molecola troncatanella sua ancora di membrana che intera-gisce con antigeni in modo diverso dallamolecola ancorata alle membrane6.

Tabella I

CONCORDANZA DELLA MALATTIA CELIACA IN GEMELLI

Monozigoti Dizigoti

Concordanza di coppie 75% 11%(IC 95%) (58.0 - 94.4) (2.4 - 23.9)

Concordanza di casi 85.7% 20%(IC 95%) (68.9 - 98.9) (0.0 - 56.4)

C = coppie concordanti; D = coppie discordantiConcordanza di coppia = C/(C+D); Concordanza di casi = 2C/( 2C+D)

Tabella II

GENETICA DELLA MALATTIA CELIACA

1. Incidenza: ≅ 1:100

2. Rischio familiare: 10-14%

3. Rischio genetico relativo (parenti di I° grado/popolazione generale) = 14%/1% = 14

4. Tasso di concordanza tra gemelli monozigoti: > 85%

5. Tasso di concordanza tra gemelli dizigoti: 18% (non differente da fratelli non gemelli)

6. HLA di classe II: 90-95% hanno il DQ2 (in linkage con DR3 in cis e con DR5-DR7 in trans) 5-10% hanno il DQ8 (in linkage con DR4)

Tabella III

QUALI INFORMAZIONI FORNISCE L’ANALISI DELL’HLA

• Se sono assenti HLA DQ2 o DQ8: nessuna possibilità di sviluppare la malattia

• Se sono presenti: la malattia è possibile, ma il 30-35% della popolazione generale e il 60-70% dei parenti di primo grado hanno questi aplotipi senza avere la malattia

L’HLA spiega non più del 30% del rischio genetico

Tabella IV

VALUTAZIONE DELL’HLA: MESSAGGIO PER IL PAZIENTE

1. HLA sconosciuto, nessun caso familiare 1% di rischio

2. HLA DQ2 o DQ8 assenti 0% di rischio

3. HLA DQ2 o DQ8 presenti 2.5% di rischio

4. HLA sconosciuti, casi familiari nei parenti di primo grado 10-14% di rischio

5. Parenti di primo grado con DQ2 o DQ8 20% di rischio

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Focus

RICERCA DI GENI CANDIDATI MEDIANTE STUDI DI LINKAGE

Circa il 25-40% della componente gene-tica della malattia è attribuibile ai genidell’HLA, vi è dunque ancora una notevo-le componente genica da identificare. Percercare geni al di fuori della zona dell’H-LA abbiamo condotto uno screening conmicrosatelliti sul genoma umano, cercan-do il linkage tra marcatori genetici riparti-ti su tutto il genoma e la malattia. Un pri-mo studio su un campione di 120 famigliecon due figli affetti, italiani, ha localizzatoalmeno due “zone calde” che mostravanoun linkage significativo con la malattia ce-liaca. Infatti la zona 5q31-33 e quelladell’11qter hanno prodotto risultati signi-ficativi7.

La presenza di una zona calda nella re-gione 5q31-33 è stata successivamenteconfermata in un secondo studio di scree-ning genomico su altre 110 famiglie italia-

ne. La replicazione del linkage ha dunquerafforzato l’ipotesi che la regione 5q31-33contenga geni candidati per la celiachia.

Recentemente il Consorzio Europeoper la ricerca dei geni della celiachia (EU-Cluster GENETICS) ha permesso di con-fermare in altri 4 set indipendenti di fami-glie europee la positività del linkage nellaregione 5q31-33.

Sono state inoltre identificate altre zo-ne calde sul cromosoma 11qter e nella zo-na del gene che codifica per il CTLA4 sulcromosoma 2. In realtà nella popolazioneitaliana il gene del CTLA4 è normale neiceliaci rispetto ai controlli, ma esiste, indiverse popolazioni europee, un linkagespecifico con la zona ove è codificato que-sto gene, ove risiedono i fattori di regola-zione, i fattori post-trascrizionali e i geniassociati alla funzione di questa proteina,che ha come effetto finale la tenuta sottocontrollo dell’azione “lesiva” della cellulaT8,9. In pratica il celiaco ha una cellula T

con “pochi freni” e reagisce “eccessiva-mente” alla stimolazione causata dai pep-tidi del glutine.

Questo lavoro è stato molto più com-plesso di quanto si potesse prevedere enon ha prodotto immediati risultati forseper una ragione interessante: nella celia-chia non sembra che vi siano “geni altera-ti” o “mancanti” rispetto ai soggetti nonceliaci. Sembra infatti che tutto “funzionibene” e che invece si tratti di “un popolo”,una tribù, caratterizzata da un sistema didifesa HLA molto efficace, ma “inganna-to” dal glutine, e da altre caratteristichegeniche che definiscono “il tipo di indivi-duo” piuttosto che il gene-malattia.

Bibliografia

1. Greco L, Romino R, Coto I, et al. The first lar-ge population-based twin study of celiac disease.GUT 2002;50(5):624-8.2. Clot F, Gianfrani C, Greco L, Babron MC, Bou-guerra F, Southwood S, et al. HLA-DR53 molecu-les are associated with susceptibility to celiac di-sease and selectively bind gliadin-derived pepti-des. Immunogenetics 1999;49:800-7.3. Greco L, Corazza G, Babron MC, et al. Geno-me Search in Celiac Disease. Am J Hum Genet1998;62:669-75.4. Margaritte-Jeannin P, Babron MC, BourgeyM, et al. HLA DQ relative risk for coeliac diseasein European populations: a study of the Euro-pean Genetic Cluster on Coeliac Disease. TissueAntigen 2004;63:562-7.5. Vader W, Stepniak D, Kooy Y, et al. The HLA-DQ2 gene dose effect in celiac disease is directlyrelated to the magnitude and breadth of glute-specific T cell responses. PNAS 2003;100(21):12390-5.6. Bolognosi E, Karell K, Percopo S, et al. Additio-nal factor in some HLA DR3/DQ2 haplotypesconfers a fourfold increased genetic risk of celiacdisease. Tissue Antigens 2003;61:308-16.7. Greco L, Babron MC, Corazza GR, et al. Exi-stence of a genetic risk factor on chromosome 5qin Italian Celiac Disease families. Ann Hum Ge-net 2001;65(Pt 1):35-41. 8. Naluai AT, Nilsson S, Samuelsson L, et al. TheCTLA4/CD28 gene region on chromosome 2q33confers susceptibility to celiac disease in a waypossibly distinct from that of type 1 diabetes andother chronic inflammatory disorders. Tissue An-tigens 2000;56:350-5.9. King AL, Moodie SJ, Fraser JS, Curtis D, ReidAM, Dearlove AM, Ellis HJ, Ciclitira P.CTLA4/CD28 gene region is associated with ge-netic susceptibility to coeliac disease in UK fami-lies. J Med Genet 2002;39:51-4.

Tabella V

VALUTAZIONE DEL RISCHIO ASSOCIATO ALL'HLA

DQ DR Casi (%) Rischio Casi (n) Rischio pesato RR 24%

2 3/3-3/7 0,26 1 33 0,26 47,27

2 5/7 0,37 0,68 47 0,2516 45,75

2 3/X 0,24 0,23 30 0,0552 10,04

8 4/4-4/7-7/7 0,06 0,27 8 0,0162 2,95

x Altro (1-5) 0,08 0,02 10 0,0016 0,29

Totale 1,01 2,2 127 2,2

Media 0,733333 0,11692 21,26

Rischio pesato = (Rischio x casi)/127; RR 24% = (Rischio pesato x 24)/Rischio medioDa voce bibliografica 4, modificata

Figura 1. Sottotipi di Q2 e aumento della capacità di riconoscimento di peptidi gliadinici che at-tivano la risposta T-specifica.

MeB

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Focus

L a malattia celiaca presenta tutte lecaratteristiche epidemiologiche e

cliniche che giustificano l’applicazionedi uno screening di popolazione peridentificare precocemente i soggettiaffetti da tale patologia. Infatti l’elevataprevalenza (1% della popolazione gene-rale); l’elevato rischio di mortalità emorbilità tra celiaci tardivamente dia-gnosticati; la disponibilità di test siero-logici (anticorpi di classe IgA e IgG an-ti-transglutaminasi umana) non invasi-vi, di basso costo, sensibili (98%) e spe-cifici (95%) in grado di identificare sog-getti sintomatici e asintomatici; la di-sponibilità di una terapia efficace e laspesa a carico del sistema sanitarioper tutti gli interventi medico-assisten-ziali a causa di una mancata diagnosi diceliaci, soddisfano pienamente i criterinecessari alla progettazione e realizza-zione di uno screening di popolazione1.Attualmente sono presenti due livelli discreening per la malattia celiaca: il pri-mo riguarda i gruppi a rischio (familia-ri di primo grado di celiaci e soggetticon malattie autoimmuni, in particola-re il diabete tipo 1); il secondo è rivoltoai soggetti con sintomi indicativi di unaintolleranza al glutine ma estremamen-te differenti da quelli fino ad ora consi-derati tipici della celiachia (ad esempioastenia, anemia resistente alla terapia

marziale, atassia, osteopenia, epilessiafarmaco-resistente). Fino a qualche an-no fa, questi due tipi di intervento co-stituivano materia di ricerca clinica-epi-demiologica ristretta ad alcuni centri;ora invece sono considerati interventidi buona pratica medica nelle mani di

tutti i medici, in particolar modo delmedico di medicina generale2,3. In di-scussione rimane l’opportunità di orga-nizzare screening di massa tra la popo-lazione generale per identificare i sog-getti asintomatici in modo da prevenirelo sviluppo di patologie glutine-dipen-denti. Le obiezioni a quest’ultimo inter-vento riguardano l’assenza di una etàsicura in cui iniziare lo screening siero-logico e la motivazione alla dieta senzaglutine dei celiaci asintomatici identifi-cati dai test sierologici4.

Una risposta certa al primo puntonon esiste ancora. Recentemente, unostudio prospettico, basato sulla deter-minazione semestrale degli anticorpianti-transglutaminasi a partire dal pri-mo anno di vita in bambini positivi agliHLA DQ2/8, ha dimostrato che il terzoanno di vita è il momento più frequenteper la comparsa degli anti-transgluta-minasi di classe IgA in soggetti celiaci(Figura 1)5. Tuttavia questo studio nonpermette di concludere se i bambinicostantemente negativi durante tutta ladurata dello studio (5 anni) possonoessere considerati sicuramente liberidall’intolleranza al glutine o se invecepotranno sviluppare più tardivamenteuna risposta immunologica glutine-di-pendente. Lo studio ha il merito diaver indicato nella determinazione neo-natale dell’HLA DQ2/8, uno strumento

CELIAC DISEASE AND SCREENING(Medico e Bambino 2005;24:449-450)

Key wordsPopulation based screening, High risk group screening

SummaryFrom the clinical and the epidemiological point of view, celiac disease may represent anappropriate disease model to apply a population based screening strategy. In the literatu-re, the use of human tTG antibodies is described as an efficient screening strategy both inhigh risk groups and in family “case finding” series. However, population based screeningis still a matter of debate, since it is yet not clear which is the most appropriate age whenperforming the screening and which motivations to offer to those subjects positive at thescreening but still asymptomatic. It has been suggested to first identify subjects at risk byneonatal determination of HLA DQ2/DQ8 and to follow them up with periodical sierologi-cal tTG tests in order to identify early celiac patients.

Screening e malattia celiacaTARCISIO NOT

Dipartimento di Scienze della Riproduzione e dello Sviluppo, Università di Trieste e IRCCS “Burlo Garofolo”, Trieste

Figura 1. Modificazione temporale degli anticorpi sierici IgA anti-transglutaminasi in un gruppodi bambini positivi per l’HLA DQ2 e diagnosticati celiaci con la biopsia intestinale immediata-mente dopo la sieroconversione anticorpale. Come si può vedere, la sieroconversione cade entro ilterzo anno di vita.

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Focus

di selezione preliminare dei soggetti arischio e nel proporre un follow-up sie-rologico (della durata ancora da defini-re) per identificare precocemente isoggetti celiaci (Figura 2) .

La seconda obiezione parte dal pre-supposto che i celiaci asintomatici, adifferenza dei sintomatici, siano pocomotivati all’esecuzione della dieta sen-za glutine per il fatto che l’introduzionedel glutine, a causa di errori dietetici odi trasgressioni volontarie, general-

mente non produce sintomi o genericomalessere tali da giustificare una rigo-rosa dieta. Su questo argomento, l’e-sperienza della maggioranza dei grup-pi di lavoro dimostrerebbe una buonaaderenza alla dieta dei celiaci asinto-matici sia dal punto di vista sierologico(negatività degli anticorpi anti-tran-sglutaminasi) che soggettivo. A questoriguardo risulta significativa la testimo-nianza di alcuni celiaci asintomaticiche dichiarano un inaspettato migliora-

mento della qualità di vita durante ladieta rispetto al periodo della dietacontenente glutine6.

In conclusione, l’opportunità di rea-lizzare lo screening di massa per la ma-lattia celiaca rimane ancora un proble-ma aperto mentre lo screening tra igruppi a rischio o per “case finding”costituisce uno strumento di buonapratica medica e di sperimentata effica-cia nella prevenzione di patologie gluti-ne-dipendenti.

Bibliografia

1. Fasano A. European and North Americanpopulations should be screened for coeliacdisease. Gut 2003;52:168-9.2. Hin H, Bird G, Fisher P, Mahy N, JewellD. Coeliac disease in primary care: case fin-ding study. BMJ 1999;318:164-7.3. Ventura A, Facchini S, Amantidu S, et al.Searching for celiac disease in pediatric ge-neral practice. Clin Pediatr 2001;40:575-7.4. Young EH, Wareham NJ. Screening forcoeliac disease: what evidence is requiredbefore population programmes could beconsidered. Arch Dis Child 2004;89:499-501.5. Hoffenberg EJ, MacKenzie T, Barriga KJ,et al. A prospective study of the incidence ofchildhood celiac disease. J Pediatr 2003;143:308-14.6. Mustalahti K, Lohiniemi S, Collin P, et al.Gluten-free diet and quality of life in pa-tients with screen-detected celiac disease.Eff Clin Pract 2002;5:105-13.

Figura 2. Algoritmo per lo screening della malattia celiaca basato sulla selezione genetica dellapopolazione e sul follow-up sierologico dei soli soggetti portatori dell’HLA DQ2/8. L’associazionedegli anticorpi anti-transglutaminasi e anti-gliadina (AGA) sarebbe riservata ai soggetti con etàinferiore ai due anni, per garantire una elevata sensibilità diagnostica.

MESSAGGI CHIAVE

❏ La malattia celiaca può essere consi-derata per caratteristiche clinico-epide-miologiche un modello di patologia sucui è possibile applicare con efficaciauna metodica di screening.❏ È ancora discussa l’opportunità di or-ganizzare screening di massa fra la po-polazione generale per identificare isoggetti asintomatici in modo da preve-nire le patologie correlate all’esposizio-ne al glutine.❏ In particolare i punti in discussionesono quelli dell’età a cui proporre loscreening e la motivazione nell’aderirealla dieta dei soggetti asintomatici. ❏ Lo screening tra i gruppi a rischio oper “case finding” è invece uno stru-mento di buona pratica medica e di di-mostrata efficacia nella prevenzione dipatologie glutine-dipendenti.

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Focus

Nonostante il prof. Gray non abbia po-tuto inviarci un suo scritto, riteniamol’argomento in questione estremamenteoriginale e innovativo; pertanto ripor-tiamo una sintesi del lavoro del prof.Gray e dei suoi collaboratori in merito.

Un campo di ricerca estremamentestimolante dal punto di vista

scientifico e carico di interesse per l’o-pinione pubblica è rappresentato dagliesperimenti volti a individuare un

mezzo per ridurre o annullare la tossi-cità del glutine, trovando per la celia-chia una terapia alternativa alla dietasenza glutine.

Negli scorsi anni sono stati identifi-cati i due principali epitopi immunodo-minanti dell’alfa-gliadina, responsabilidella proliferazione T-linfocitaria inte-stinale e periferica caratteristica deisoggetti celiaci. Questi due epitopi so-no esposti da diversi peptidi originati-si dalla gliadina e sono molto ricchi in

residui di prolina e glutamina. Questipeptidi gliadinici sono stati sottopostia proteolisi in vitro, ad opera di pro-teasi derivate da pancreas bovino eporcino e dall’orletto a spazzola del-l’intestino di ratto. L’esperimento hadimostrato la loro straordinaria resi-stenza alla digestione enzimatica “fi-siologica” ma venivano idrolizzati daun’endopeptidasi batterica1.

Successive indagini hanno identifi-cato un peptide denominato 33-mercon le seguenti caratteristiche:• resistente alla digestione da parte

delle proteasi gastriche, pancreati-che e intestinali

• ricco in prolina e glutamina• in qualche modo si lega e reagisce

con la transglutaminasi tissutale• è capace di stimolare la prolifera-

zione dei linfociti T dei soggetti ce-liaci (Figura 1)

Questo peptide rappresenta appun-to un substrato della transglutaminasitissutale, il principale autoantigene ri-conosciuto nella celiachia, con una se-lettività molto superiore rispetto ad al-tri substrati naturali di questo enzimaextracellulare. Omologhi di questopeptide sono stati riconosciuti nei ce-reali e nei loro derivati in grado di pro-durre tossicità ai celiaci mentre eranoassenti negli alimenti senza glutine. Ilpeptide 33-mer può essere detossifica-to esponendolo a una prolil-endopepti-dasi batterica. Quest’ultima evidenzapotrebbe fornire la base per una stra-tegia di detossificazione del glutinemediante supplementazione orale conendopeptidasi nei celiaci2.

Il passaggio ulteriore è stato quellodi cercare un modello animale per ve-rificare la fattibilità di questo meccani-

THE ROLE OF TOXIC PEPTIDES AND ENDOPEPTIDASES IN CELIAC DISEASE(Medico e Bambino 2005;24:451-452)

Key words33-mer peptide, Prolyl endopeptidase, Gliadin peptides

SummaryMany gluten peptides elicit T cell-proliferative responses in celiac patients. These peptidesare rich in proline and glutamine residues and so extremely resistant to proteolysis. This re-sistance is related to their toxicity. A 33-mer peptide was identified as the primary initiatorof the inflamnmatory response to gluten in celiac disease. In vitro and in vivo studies de-monstrated its stability towards breakdown by all gastric, pancreatic and intestinal brush-border membrane proteases. This peptide reacts with tissue-transglutaminase with impres-sive selectivity and it is a potent inducer of gut-derived human T cells from celiac patients.Homologs of this peptide were found in all food grains that are toxic for celiacs but are ab-sent from all non-toxic foods. The 33-mer peptide is detoxified by exposure to a bacterialprolyl endopeptidase, suggesting a strategy for oral peptidase supplement therapy for ce-liac disease in alternative to the gluten-free diet. A clinical trial to test the efficacy in vivo ofendopeptidase added to gluten in preventing its multiform toxicity is ongoing.

Le molecole della celiachia:peptidi tossici ed endopeptidasiGARY M. GRAY

Dipartimento di Gastroenterologia, Università di Stanford, California (USA)

Figura 1. L’effetto proliferativo sui linfociti T derivati da soggetti celiaci da parte del peptide 33-mer, confrontato con quello di un altro peptide deri-vato dalla gliadina, meno ricco in prolina e glutamina.

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452 Medico e Bambino 7/2005

Focus

smo. L’endopeptidasi ricombinata èstata infusa nell’intestino di ratto in-sieme al peptide 33-mer altamente re-sistente alla digestione fisiologica(nel rapporto endopeptidasi:peptideda 1:50 a 1:5). È stata ridotta in modosignificativo la durata della presenzadel peptide nell’intestino. Sembrereb-be quindi che i peptidi gliadinici resi-stenti alla proteolisi possano essereprocessati efficientemente anche invivo dalla supplementazione con en-dopeptidasi, che quindi potrebbe es-sere proposta nella terapia della ma-lattia celiaca con l’obiettivo di elimina-re lo stimolo rappresentato dal gluti-ne senza necessariamente escluderlodalla dieta3.

Attualmente è in corso il primotrial clinico per valutare l’efficacia cli-nica della detossificazione del glutinemediante la prolil-endopeptidasi bat-terica. In un fase preliminare dellostudio, 8 soggetti celiaci in remissio-ne con la dieta senza glutine sono sta-ti sottoposti a un challenge con 5g/die o 10 g/die di glutine per 21giorni, che ha dimostrato l’induzionedi malassorbimento clinicamente nonevidente ma dimostrabile con la valu-tazione della xilosuria e dei grassi fe-cali. È stata confermata l’inutilità de-

MESSAGGI CHIAVE

❏ I due epitopi principali dell’alfa-glia-dina, responsabili della proliferazioneT-linfocitaria intestinale e periferica delceliaco, sono esposti da diversi peptidioriginatisi dalla gliadina e sono moltoricchi in residui di prolina e glutamina.❏ Il peptide 33-mer è il principale diquesti peptidi ed è uno dei substrati del-la transglutaminasi umana tissutale, conla più alta selettività rispetto ad altrisubstrati naturali.❏ L’esposizione del peptide 33-mer auna prolil-endopeptidasi batterica po-trebbe detossificare il glutine senza ne-cessariamente escluderlo dalla dieta delceliaco.❏ Evidenze in vitro e studi in vivo anco-ra in corso dimostrerebbero che la di-gestione con endopeptidasi del princi-pale peptide gliadinico, che scatena larisposta auto-anticorpale nel soggettoceliaco, può controllare ed evitare i fe-nomeni immunopatologici alla base del-la malattia.

I cereali, con l’esclusione del riso, co-stituiscono la fonte alimentare prin-

cipale delle popolazioni occidentali enord americane, fornendo carboidraticomplessi, fibre, proteine, sali mineralie vitamine1.

In questi Paesi un numero significa-tivo di bambini e adulti sono genetica-mente suscettibili e non possono tolle-rare cereali quali frumento, segale, tri-ticale e orzo, dal momento che svilup-pano una risposta immunitaria al gluti-ne presente nella dieta. In questi pa-zienti alcune delle proteine e peptididerivati dalla digestione del glutine

scatenano una serie di processi pato-fi-siologici che possono portare ai dannitipici dell’epitelio intestinale con defi-cienze di assorbimento2. La prevalenzadella malattia, con sintomi evidenti, va-ria considerevolmente nei diversi Pae-si ed è stimata a una incidenza dello0,3% nella popolazione europea. A di-spetto della sua diffusione non esisteuna terapia eccetto l’esclusione, pertutta la vita, del glutine dalla dieta3.

La componente maggiore del gluti-ne è costituita da due gruppi di protei-ne, le gliadine e le glutenine, presentinell’endosperma dei cereali sopra

GLUTEN FREE BREAD(Medico e Bambino 2005;24:452-455)

Key wordsGluten, Gliadine, Wheat genome, Wheat gene modifications

SummaryMany celiac patients find gluten free diet not tasty and difficult to follow rigorously. It is the-refore auspicable to develop new gluten-free food products which taste better, includingbread. Several attempts of gene modifications in order to eliminate allergic peptides fromwheat have been made but unfortunately they did not lead to any significant result, giventhe complexity of wheat genome and the presence of a high number of toxic peptides. On-going experiments which genetically combine a non-allergic cereal (rice) with those wheatproteins which are necessary for the baking process, represent a new potential winningapproach.

Pane senza glutineCORRADO FOGHER

Istituto di Botanica e Genetica vegetale, Università Cattolica S. Cuore, Facoltà di Agraria, Piacenza

gli anti-tTG per monitorare un test discatenamento acuto. Quindi è statoavviato il trial clinico, tutt’ora in cor-so, con altri 14 celiaci in remissione.Sono randomizzati in due gruppi condisegno cross-over; per 2 settimaneun gruppo ha assunto 5 g/die di gluti-ne da solo mentre l’altro gruppo haassunto 5 g/die di glutine + 200 UI diendopeptidasi/ grammo di glutine.

L’obiettivo è quello di valutare sein vivo la digestione con endopeptida-si, e quindi la distruzione del principa-le peptide gliadinico scatenante la ma-lattia celiaca, possa controllare e pre-venire del tutto i fenomeni immuno-patologici di base.

Bibliografia

1. Hausch F, Shan L, Santiago NA, GrayGM, Khosla C. Intestinal digestive resi-stance of immunodominant gliadin pepti-des. Am J Physiol Gastrointest Liver Phy-siol 2002;283:G996-G1003.2. Shan L, Molberg O, Parrot I, et al. Struc-tural basis for gluten intolerance in celiacsprue. Science 2002;297:2275-9.3. Piper JL, Gray GM, Khosla C. Effect ofprolyl endopeptidase on digestive-resistantgliadin peptides in vivo. J Pharmacol ExpTher 2004;311:213-9.

Sulle pagine elettroniche (www.medicoe-bambino.com) è riportato il lavoro di GrecoL, et al. sui dati sperimentali relativi allapossibile riduzione della tossicità del glutinepredigerendolo con proteasi.

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Medico e Bambino 7/2005 453

Focus

menzionati, con particolare riferimen-to al frumento4. Le gliadine sono subu-nità monomeriche di peso molecolarevariabile da 36 a 78 kDa, suddivise indiverse classi (α-, β-, γ-, ω-gliadine) ealcuni peptidi, presenti in particolarenelle α-gliadine, sono la causa della ri-sposta immunitaria nella celiachia5. Leglutenine invece comprendono subu-nità a basso (LMW) e ad elevato(HMW) peso molecolare; quelle a bas-so peso molecolare hanno dimensioniche variano da 30 a 45 kDa, mentrequelle a elevato peso molecolare varia-no da 90 a 120 kDa6. Le glutenineHMW hanno delle proprietà uniche,tra le proteine dei cereali, che consen-tono la preparazione di impasti viscosied elastici in grado di trattenere l’ani-dride carbonica prodotta dai lieviti equindi di lievitare7.

Prove archeologiche hanno mostra-to che la domesticazione del frumentoda parte dell’uomo neolitico avvennenel centro di distribuzione dei proge-nitori selvatici del frumento, nella par-te nordorientale della mezzaluna ferti-le (Iran, Iraq, Turchia) e da qui poi,grazie alla sua plasticità genetica, si èdiffuso in tutto il mondo.

La variabilità genetica dei frumenticoltivati, che si è accumulata in più di10.000 anni di attività umana, è andatadiminuendo con l’introduzione di pra-tiche di incrocio moderne e scientifica-mente programmate. I frumenti oggicoltivati appartengono a tre specie delgenere Triticum, che contengono tuttequalche multiplo della serie aploide di7 cromosomi. La specie con il numeropiù basso di cromosomi, T. monococ-cum, ha un corredo diploide di 14 cro-mosomi, T. durum è tetraploide con28 cromosomi e T. aestivum è esaploi-de con 42 cromosomi.

Delle tre forme di frumento coltiva-to il T. aestivum è quello economica-mente più importante e le varietà mo-derne, definite come frumento tenero,sono più di 20.000 e adattate ad am-bienti molto diversi. La struttura gene-tica delle specie poliploidi di Triticumfa sì che la maggior parte dei loci geni-ci è presente in quattro o sei “dosi” el’accumulo di variazione genetica at-traverso la mutazione è maggiormentetollerato che in una specie diploide.Così la poliploidia facilita la diploidiz-zazione genetica, un processo per

mezzo del quale i geni presenti in dosimultiple, anche elevate, possono ac-quisire nuove funzioni. Da qui si com-prende il diverso ed elevato numerodei geni gliadinici presenti nelle formecoltivate, che raggiunge il numero diqualche centinaio e che ha impedito laselezione di frumenti ipoallergenici.

Parte delle caratteristiche elastichedella rete proteica formata dal glutinedipendono dal dominio centrale ripeti-tivo delle glutenine ad elevato pesomolecolare (HMW) che costituisconoil 60-80% della loro sequenza aminoaci-dica e comprende i peptidi PGQGQQ,GYYPTS(P/L)QQ e GQQ. Nelle glia-dine invece le sequenze peptidicheche sono state riconosciute come epi-topi specifici sono PFPQPQLPY, PQP-QLPYPQ, PYPQPQLPY, ecc.8. La for-mazione dei legami intercatena è inve-ce garantita dalla presenza dei residuidi cisteina nelle regioni N- e C-termi-nali delle glutenine HMW che consen-tono la formazione di ponti disolfuro.Che non partecipi solo l’enzima disolfi-to isomerasi alla formazione dei lega-mi intercatena, ma anche una tran-sglutaminasi della pianta, è suggeritodalla presenza, sempre in posizione N-e C-terminale delle glutenine HMW, diresidui di lisina indispensabile nellaformazione dei legami glutamina-lisinaoperati dalla transglutaminasi9. A ulte-riore sostegno di questa ipotesi vi èl’individuazione della presenza di unasequenza aminoacidica altamente con-servata nella parte C-terminale di tuttele glutenine HMW che contiene dueresidui di lisina.

Allo scopo di ingegnerizzare un

nuovo cereale che presenti le caratte-ristiche panificatorie del frumento e lecaratteristiche di ipoallergenicità delriso abbiamo deciso di percorrere unastrada diversa da quella tentata fino adora, che consisteva nel selezionare va-rietà di frumento prive delle compo-nenti gliadine allergiche, e che non haportato a risultati apprezzabili. Questanuova strada prevedeva il trasferimen-to in riso delle proteine di frumento,importanti per la determinazione dellacaratteristica di lievitazione, ma privedegli epitopi riconosciuti come allergi-ci per i pazienti celiaci. Nel caso co-munque che le sequenze gluteninichescelte, per il trasferimento in riso, pre-sentassero sequenze aminoacidiche ri-conosciute come allergiche dai celiaci(Figura 1), queste sono state modifica-te con tecniche di ingegneria proteicache consentono la sostituzione di alcu-ni aminoacidi nelle posizioni desidera-te. Inoltre, al fine di promuovere la for-mazione di una rete proteica nell’impa-sto ottenuto dalla farina del nuovo ce-reale, abbiamo introdotto anche il ge-ne codificante per l’enzima transgluta-minasi.

Le sequenze delle 10 glutenine aelevato peso molecolare che abbiamoscelto per il trasferimento in riso sonostate clonate da frumento mediantetecnica PCR, sfruttando le informazio-ni di sequenza presenti nelle banchedati del DNA. Il gene per la transgluta-minasi è stato invece clonato, median-te RT-PCR, a partire da mRNA purifi-cato dal fegato di criceto.

Le piante di riso trasformate con igeni di frumento, dopo rigenerazione

Figura 1. Verifica del riconoscimento delle glutenine HMW, da parte del siero di pazienti celiaci,eseguito su proteine purificate da diverse varietà di frumento e separate mediante SDS-PAGE. A:colorazione delle proteine con Comassie blu; B: analisi Western delle proteine di A (le bande inalto corrispondono alle glutenine HMW, quelle in basso alle gliadine).

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(Figura 2), sono state controllate a li-vello molecolare per verificare la pre-senza dei transgeni, la loro funziona-lità e l’effettivo accumulo della protei-na di frumento nel seme di riso. Unesempio del controllo eseguito contecnica Western sulle proteine totaliestratte da riso è riportato in Figura 3.

CONCLUSIONI

Molti pazienti celiaci trovano la die-ta priva di glutine poco gradevole e

questo determina difficoltà nel seguirlarigorosamente. Vi è quindi la necessitàdi sviluppare nuovi preparati, special-mente nei prodotti da forno, per stimo-lare una più stretta osservanza dell’uni-ca alternativa terapeutica per questamalattia.

La selezione di un frumento privo dipeptidi allergici sarebbe una buona al-ternativa alla dieta priva di glutine ma,nonostante i numerosi tentativi esegui-ti con il miglioramento genetico e lamodifica genetica del frumento, non siè giunti a risultati pratici. Questo in-

successo dipende dalla complessità delgenoma del frumento, cinque volte piùgrande di quello umano, e dal grandenumero di proteine tossiche presenti10.

Noi abbiamo seguito un approcciodifferente utilizzando un cereale nonallergico come background e modifi-cando le sue proprietà tecnologiche in-troducendo proteine di frumento im-portanti in termini qualitativi per la pa-nificazione. Per la scelta delle proteinedi frumento da trasferire in riso ci sia-mo basati su diversi parametri quali:sequenza aminoacidica primaria, as-senza di epitopi conosciuti come aller-gici, presenza dell’aminoacido lisina,importanza strutturale della proteinaecc. Per ampliare i dati disponibili sullatossicità delle proteine di frumento ab-biamo verificato decine di campioni disiero di pazienti celiaci su gliadine, glu-

MESSAGGI CHIAVE

❏ La componente maggiore del glutineè costituita da due gruppi di proteine, legliadine e le glutenine. Le varie subu-nità delle gliadine (in particolare l’α-gliadina) sono la causa della rispostaimmunitaria nel soggetto celiaco. Leglutenine hanno proprietà uniche checonsentono la preparazione di impastiviscosi ed elastici che trattengono l’ani-dride carbonica e permettono quindi lalievitazione.❏ La variabilità genetica dei frumenticoltivati è andata diminuendo con l’in-troduziione di pratiche d’incrocio mo-derne e scientificamente programmate.In particolare l’utilizzo di frumenti conpatrimonio genetico polipoide e quindicon un elevato numero di geni gliadiniciha impedito nel tempo la selezione difrumenti ipoallergenici.❏ La complessità del genoma del fru-mento e la compresenza di numeroseproteine tossiche rendono difficile la se-lezione di un frumento privo di peptidiallergici.❏ Utilizzando invece come cereale nonallergico il riso e modificando le sueproprietà tecnologiche, si è riusciti a in-trodurre proteine del frumento non tos-siche e importanti in termini qualitativiper la panificazione. Le verifiche suquesti nuovi tipi d’impasto dimostranola capacità di queste di trattenere i gasprodotti dai lieviti e di non contenereepitopi conosciuti come allergici.

Figura 3. Risultati dell’analisi Western eseguita, con un anticorpo specifico per la proteina di fru-mento 1Dy10, su proteine totali estratte da seme di riso. T.a.: proteine estratte da Triticum aesti-vum cv Cheyenne. 1-10: proteine estratte da seme di riso transgenico; C+ controllo positivo(1Dy10 da E. coli); C- controllo negativo (proteine da Oryza sativa cv Rosa Marchetti).

Figura 2. Germogli di riso rigenerati in vitro (sinistra) dopo la trasformazione genetica dei callie fase di acclimatazione (destra) delle piantine complete in coltura idroponica prima del trasferi-mento in serra.

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tenine HMW e LMW di numerose va-rietà di frumento tenero, mediante ana-lisi Western, sia con tecniche elettrofo-retiche monodimensionali che 2D. Tut-te le glutenine scelte per l’espressionein riso presentano 5 residui di lisina di-sponibili per le reazioni di cross-linking catalizzate dall’enzima transglu-taminasi e due di questi sono in unaposizione C-terminale di 18 aminoacidialtamente conservata e mai evidenziataprima. Le verifiche tecnologiche, ese-guite sugli impasti ottenuti a partire dafarina di riso di linee transgeniche cheesprimono i geni di alcune delle protei-ne di frumento e il gene dell’enzimatransglutaminasi, dimostrano la capa-cità di queste di trattenere i gas pro-dotti dal lievito.

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