Avvenire - Inserto "E' Vita" del 26 febbraio 2009

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www.avvenireonline.it\vita 204 Giovedì 26 febbraio 2009 legge 40 2 Il bilancio di 5 anni trascorsi sotto assedio fine vita 3 Quante bugie sul «diritto a morire» scienza 4 Clonazione: ci risiamo La vita come un bene di consumo, che vale tan- to più quanto è funzionante e funzionale. È que- sta convinzione strisciante, questo «état d’esprit» collettivo che Benedetto XVI ha denunciato do- menica scorsa, facendo notare che oggigiorno «si tende a privilegiare le capacità operative, l’effi- cienza, la perfezione e la bellezza fisica a detri- mento di altre dimensioni dell’esistenza non ri- tenute degne»; e che «viene così indebolito il ri- spetto dovuto a ogni essere umano, anche in pre- senza di un difetto nel suo sviluppo o di una ma- lattia genetica». Un rovesciamento antropologi- co, questo, la cui piena analisi e comprensione resta la via maestra per sciogliere i tanti nodi del fine vita ed evitare depistaggi e mistificazioni. Gran Bretagna di Carlo Bellieni E per i malati mentali «cure minime» no spettro si aggira per l’Europa: è l’handifobia, la fobia discriminatoria verso l’handicap e le persone malate. Figlia dell’eugenetica – di cui più nessuno parla proprio perché sta diventando pane comune e non si vuole chiamare col suo nome – sta mostrando la sua virulenza sui più indifesi: le persone disabili. Il grido d’allarme viene dall’Inghilterra: un Rapporto dell’associazione "Mencap" per i diritti dei disabili mentali (significativamente intitolato "Morte per indifferenza") denuncia come i medici chiamati a curare disabili psichici esitino a spingersi oltre i segni della malattia mentale. Il Rapporto inizia con le parole del padre di Mark, disabile mentale morto per polmonite: «Credo che Mark sia morto senza motivo. Nella sua vita abbiamo trovato medici che non hanno idea di come trattare con disabili mentali. Se solo ci avessero ascoltato…». Il Rapporto riporta le parole terribili che certe famiglie si sono sentite dire dai medici: «Se la ragazza fosse normale non esiteremmo a curarla», «Non sarebbe meglio per tutti lasciarla andare?» «Secondo me non ha nulla. È lui che è così». Il Rapporto spiega allora che «le persone con ritardo mentale sono viste come una priorità secondaria», i medici, talora non educati a trattare con i malati mentali, interagiscono poco con le famiglie che invece li conoscono bene, e addirittura si fermano magari per l’ovvia (ma sormontabile) difficoltà burocratica di ottenere un consenso informato dal disabile mentale. Ancor più inquietante è leggere che «i medici spesso fanno una loro personale valutazione della qualità di vita del paziente e la considerano come base per le loro decisioni. Questo nonostante ricerche mostrino scarsa correlazione tra l’opinione del medico e la reale percezione del paziente». Ci troviamo, secondo il Rapporto, di fronte a una vera discriminazione sulla base della salute. Anche la Commissione inglese per i diritti dei disabili recentemente riportava una trascuratezza verso i disabili mentali e il suo segretario lamentava «un ottuso fatalismo verso la morte in giovane età dei disabili mentali»; un altro recente studio citato nel Rapporto mostrerebbe addirittura che i disabili mentali ricevono meno analgesia degli altri. Tutto questo ci appare come un "successo" dell’eugenetica: se si permette di pensare che esiste solo un modello ideale di essere umano che meriti il titolo di persona e che certi disabili avrebbero tutto il vantaggio a non essere nemmeno nati, è ovvio che chi non è al top dell’autonomia e della "normalità" (bambini, disabili e vecchi in primis) diventa di serie B. handifobia dilaga dando una visione spettrale della disabilità non solo come fatica e dolore, ma come vergogna, per cui è quasi un obbligo sociale per una madre non far venire al mondo un disabile o, per un disabile dipendente in tutto dagli altri, non domandare di togliere il disturbo. Le recenti parole del Papa, «Ogni discriminazione esercitata da qualsiasi potere (…) sulla base di differenze riconducibili a reali o presunti fattori genetici è un attentato contro l’intera umanità», ci esortano a chiedere che l’handifobia eugenetica (sui giornali, negli ospedali) che porta il malato a vergognarsi di essere al mondo, diventi realmente un crimine sanzionato dalla legge, come le altre fobie oggetto di riprovazione e sanzione. L U stamy di Graz L’eugenismo legale che cancella i bambini Down eppe essere un uomo di verità e di carità, senza rifugiarsi esclusivamente nell’una o nell’altra. Ed ebbe anche il coraggio di non tacere a proposito di ciò che giudicava centrale, la difesa della vita, accettandone anche i contraccolpi sulla propria carriera». Jean-Marie Le Méné, presidente della Fondazione Jérôme Lejeune, ricorda così la figura del grande scienziato francese, divenuto nel 1994 il primo presidente della Pontificia Accademia per la Vita. Mentre è già aperta la causa di beatificazione, si celebrano quest’anno i 50 anni dalla maggiore scoperta di Lejeune: la dimostrazione dell’origine genetica della trisomia 21, fino ad allora nota solo come "sindrome di Down". Come giudica il clima che accompa- gna quest’anniversario? Lo Stato francese non pare totalmente insensibile, dato che due eventi pubblici hanno ricordato la scoperta. Ma potrebbero restare i soli. Toccherà a noi rilanciare l’interesse sul tema. Lo faremo con campagne di comunicazione e sensibilizzazione sul destino attuale della malattia. La disattenzione pubblica, non solo in Francia, sembra la prova dei per- sistenti tabù sulla malattia. Lejeune fu molto sensibile al problema... Sì. Prima della scoperta di Lejeune, l’espressione spregiativa "mongolismo" copriva di fatto un enorme vuoto di conoscenza. Basti pensare che Down, alle cui descrizioni ottocentesche risale la designazione "sindrome di Down", parlava di degenerazione della razza bianca verso quella gialla. Si restava in questo quadro estraneo a ogni razionalità scientifica e l’ignoranza faceva pesare terribili sospetti sulle famiglie e soprattutto sulle donne che avevano partorito questi bambini diversi. Si parlava di comportamento sessuale vagabondo della madre, di alcolismo del padre e così via. In questo contesto, Lejeune finanziò le sue prime ricerche con fondi destinati allo studio della sifilide, dato che le madri erano sospettate di aver contratto S « un’affezione sessuale affine alla sifilide. Dopo la scoperta, Lejeune s’investì in prima persona per scacciare l’ombra di queste assurde stigmatizzazioni sociali. Disse chiaro e forte che si trattava di un incidente genetico, perdipiù non ereditario. Perché la discriminazione rimane? Esiste ancora una forma di stigmatizzazione, ma di natura diversa. Un tempo si additavano le presunte colpe anteriori delle madri. Oggi, la stigmatizzazione continua a colpire le donne, ma per il fatto di scegliere di mettere al mondo questi bambini. In effetti, la società fornisce tutti i mezzi per non farli nascere. Tutti i feti possono essere diagnosticati. In fondo, per quanto mostruoso possa sembrare, si pensa lo stesso che queste donne fanno pesare alla società un carico finanziario indebito. In modo più sottile, poi, credo anche che il fatto di far nascere questi bambini rappresenti un rimprovero vivente per i genitori che hanno fatto la scelta opposta. Questa sorta di testimonianza può diventare un caso di coscienza per chi ha abortito. Del resto, mi è stato detto tante volte, con aria di rimprovero verso le donne che scelgono la vita. La sua Fondazione, privata, è il primo fi- nanziatore in Francia della ricerca sulla malattia. Perché i fondi pubblici scarseg- giano? In Francia e in altri Paesi l’insistenza sulla diagnosi fetale universale, cioè su tutte le donne senza criteri d’età, si accompagna a un calo degli sforzi per la ricerca. Dietro c’è un atteggiamento ideologico favorevole all’aborto. Chi fa ricerca sulla trisomia viene associato alla militanza contro l’aborto. Si scivola così nell’ideologia e a margine di ogni serio argomento scientifico. Il suo ultimo libro, dedicato a questa si- tuazione, s’intitola "La trisomia è una tragedia greca". Cosa intende? Il destino di questa malattia è tragico. La sua scoperta è legata a un grande uomo di scienza che voleva mettere tutto al servizio dei malati. Energia, genio, talento, spirito umanista. Ma la scoperta ha finito per ritorcersi contro i malati, dato che ha aperto la strada alla diagnosi fetale di massa che oggi conosciamo. Si sta scivolando nell’eugenismo? In Francia una certa forma di eugenismo è di fatto già accettata, come ammettono i giuristi che commentano il quadro legislativo. Si tratterebbe di un eugenismo democratico, medico, soft, diverso dalle forme criminali di eugenismo del secolo scorso. Ma queste riflessioni, almeno in Francia, accompagnano nei fatti la crescente banalizzazione dell’uso dell’eugenismo. Nel caso della trisomia 21, la logica attuale ha qualcosa di genocidario. Accanto a una forma sottile e arbitraria di stigmatizzazione verso una comunità di persone, s’impiegano mezzi tecnici ed economici per organizzare la loro completa eliminazione. Ciò costa in Francia circa 100 milioni di euro l’anno. C’è però la testimonianza di chi sceglie la vita... Certo, ma se oggi nel 96% dei casi si sceglie l’aborto, è perché la libertà della donna è ridotta. Tutto spinge in un’unica direzione. La scelta non è libera, ma orientata già da gran parte del mondo medico che giudica l’aborto l’esito normale. L’esempio di altri Paesi europei dove ciò non è così automatico dovrebbe far riflettere la Francia. Si è aperto l’anno francese della bioetica; come avrebbe contribuito Lejeune? Credo col suo desiderio di una nuova scossa morale. Una sua frase resta illuminante: non ci sono soluzioni tecniche alla follia degli uomini. Eppure, oggi molti si lasciano tentare dal pensiero che la scienza e la tecnica verranno a capo di tutti i nostri problemi. Si tratta della fede in uno scientismo salvifico. La scienza e la tecnica ci portano tanti strumenti e soluzioni, certo. Ma non sono il rimedio alla follia degli uomini, a tutte le sofferenze, alle tentazioni di trasgredire. L’attuale fede nel progresso ricorda talora quella della rivoluzione industriale. Al riguardo, Lejeune non era molto ottimista. Ma cercò sempre di mostrare che la fede religiosa non è mai contro la scienza. È la scienza, talora, ad essere dirottata contro l’uomo. Daniele Zappalà Nel 50esimo anniversario della scoperta di Lejeune dell’origine genetica della malattia, parla Jean-Marie Le Méné, a capo della Fondazione che porta il nome dello scienziato: c’è un atteggiamento ideologico che spinge per l’aborto, le donne non sono libere di scegliere «Purtroppo le ricerche del medico cattolico si sono ritorte suo malgrado contro i malati: oggi la società francese fornisce tutti i mezzi per non farli nascere E la diagnosi fetale universale si accompagna a un calo degli sforzi per la ricerca» box Trisomia, una Fondazione per la ricerca «Purché rispetti la vita fin dall’inizio» a Fondazione dedicata a Jérôme Lejeune, voluta dai familiari e sostenuta da altre figure vicine al professore, finanzia ogni anno una sessantina di programmi di ricerca sulle malattie dell’intelligenza, a cominciare dalla trisomia 21. Restando fedele ai principi etici e umanistici di Lejeune, l’istituzione chiede ai ricercatori che utilizzano i suoi fondi di «rispettare l’essere umano fin dall’inizio della sua vita». Si tratta della «scelta di un avvenire in cui i progressi della scienza restano al servizio dell’uomo». Con l’intento di proseguire l’azione di Lejeune, la Fondazione si occupa anche di curare i malati, attraverso un centro d’accoglienza e di consultazione presso il quale giungono migliaia di pazienti dalla Francia e dall’estero. Al contempo, fra gli obiettivi principali vi è anche quello di difendere i diritti e la dignità degli stessi malati. Nel mese di marzo, ad esempio, la fondazione organizzerà un colloquio sul lavoro in un contesto ordinario delle persone con una deficienza intellettuale. Negli ultimi anni, l’istituzione ha rafforzato anche la sua opera d’informazione e di sensibilizzazione sulle questioni bioetiche, anche attraverso diversi siti internet molto consultati. (D.Z.) L comparso nel 1994, Jérôme Lejeune rientra nel novero delle maggiori figure scientifiche del Novecento. A soli 32 anni, dimostrerà che la "sindrome di Down" è dovuta a un cromosoma sovrannumerario: per la prima volta, un ritardo mentale è associato a un’anomalia genetica. Lejeune diviene titolare a 38 anni della prima cattedra di genetica in Francia e descriverà numerose malattie di origine cromosomica. Riconosciuto a livello mondiale come uno dei padri della genetica moderna, non rinuncerà alla cura quotidiana di migliaia di bambini come primario all’Ospedale Necker di Parigi. Le sue posizioni pubbliche contro l’aborto e in difesa dei "suoi" piccoli pazienti, gli varranno attacchi di rara violenza. Definirà la pillola abortiva «il primo pesticida umano». Gli verrà negato il Nobel, ma riceverà riconoscimenti in tutto il mondo. Nel 1997 Giovanni Paolo II si raccoglierà davanti alla sua tomba. La causa di beatificazione di Lejeune è stata aperta nel 2007. (D.Z.) S Jérôme Lejeune, il padre della genetica moderna «Vita degna solo quando funzionale»: deriva disumana box Lejeune Rapporto choc dell’associazione per i diritti dei disabili: i medici che curano pazienti handicappati sono troppo spesso disattenti, superficiali e fatalisti. «È discriminazione» Bellieni

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Inserto "È vita" di Avvenire - Edizione del 26 febbraio 2009

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www.avvenireonline.it\vita

204Giovedì26 febbraio 2009

legge 402Il bilancio di 5 anni

trascorsi sotto assedio

fine vita3Quante bugie

sul «diritto a morire»

scienza4Clonazione:

ci risiamo

La vita come un bene di consumo, che vale tan-to più quanto è funzionante e funzionale. È que-sta convinzione strisciante, questo «état d’esprit»collettivo che Benedetto XVI ha denunciato do-menica scorsa, facendo notare che oggigiorno «sitende a privilegiare le capacità operative, l’effi-cienza, la perfezione e la bellezza fisica a detri-mento di altre dimensioni dell’esistenza non ri-tenute degne»; e che «viene così indebolito il ri-spetto dovuto a ogni essere umano, anche in pre-senza di un difetto nel suo sviluppo o di una ma-lattia genetica». Un rovesciamento antropologi-co, questo, la cui piena analisi e comprensioneresta la via maestra per sciogliere i tanti nodi delfine vita ed evitare depistaggi e mistificazioni.

Gran Bretagna di Carlo Bellieni

E per i malati mentali «cure minime»no spettro si aggira perl’Europa: è l’handifobia,la fobia discriminatoriaverso l’handicap e lepersone malate. Figliadell’eugenetica – di cui

più nessuno parla proprio perchésta diventando pane comune e non si vuolechiamare col suo nome – sta mostrando la suavirulenza sui più indifesi: le persone disabili. Ilgrido d’allarme viene dall’Inghilterra: unRapporto dell’associazione "Mencap" per i dirittidei disabili mentali (significativamente intitolato"Morte per indifferenza") denuncia come imedici chiamati a curare disabili psichici esitinoa spingersi oltre i segni della malattia mentale.Il Rapporto inizia con le parole del padre diMark, disabile mentale morto per polmonite:«Credo che Mark sia morto senza motivo. Nellasua vita abbiamo trovato medici che non hannoidea di come trattare con disabili mentali. Sesolo ci avessero ascoltato…». Il Rapporto riportale parole terribili che certe famiglie si sonosentite dire dai medici: «Se la ragazza fossenormale non esiteremmo a curarla», «Nonsarebbe meglio per tutti lasciarla andare?»«Secondo me non ha nulla. È lui che è così».Il Rapporto spiega allora che «le persone con

ritardo mentale sono viste come una prioritàsecondaria», i medici, talora non educati atrattare con i malati mentali, interagiscono pococon le famiglie che invece li conoscono bene, eaddirittura si fermano magari per l’ovvia (masormontabile) difficoltà burocratica di ottenereun consenso informato dal disabile mentale.Ancor più inquietante è leggere che «i medicispesso fanno una loro personale valutazionedella qualità di vita del paziente e la consideranocome base per le loro decisioni. Questononostante ricerche mostrino scarsa correlazionetra l’opinione del medico e la reale percezionedel paziente».Ci troviamo, secondo il Rapporto, di fronte auna vera discriminazione sulla base della salute.Anche la Commissione inglese per i diritti deidisabili recentemente riportava una trascuratezzaverso i disabili mentali e il suo segretariolamentava «un ottuso fatalismo verso la morte ingiovane età dei disabili mentali»; un altro recente

studio citato nel Rapporto mostrerebbeaddirittura che i disabili mentali ricevono menoanalgesia degli altri.Tutto questo ci appare come un "successo"dell’eugenetica: se si permette di pensare cheesiste solo un modello ideale di essere umanoche meriti il titolo di persona e che certi disabiliavrebbero tutto il vantaggio a non esserenemmeno nati, è ovvio che chi non è al topdell’autonomia e della "normalità" (bambini,disabili e vecchi in primis) diventa di serie B.

handifobia dilaga dando una visionespettrale della disabilità non solo comefatica e dolore, ma come vergogna, per cui è

quasi un obbligo sociale per una madre non farvenire al mondo un disabile o, per un disabiledipendente in tutto dagli altri, non domandaredi togliere il disturbo. Le recenti parole del Papa,«Ogni discriminazione esercitata da qualsiasipotere (…) sulla base di differenze riconducibilia reali o presunti fattori genetici è un attentatocontro l’intera umanità», ci esortano a chiedereche l’handifobia eugenetica (sui giornali, negliospedali) che porta il malato a vergognarsi diessere al mondo, diventi realmente un criminesanzionato dalla legge, come le altre fobieoggetto di riprovazione e sanzione.

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stamy di Graz

L’eugenismo legale che cancella i bambini Downeppe essere un uomo diverità e di carità, senzarifugiarsi esclusivamentenell’una o nell’altra. Edebbe anche il coraggio dinon tacere a proposito

di ciò che giudicava centrale, la difesadella vita, accettandone anche icontraccolpi sulla propria carriera».Jean-Marie Le Méné, presidente dellaFondazione Jérôme Lejeune, ricordacosì la figura del grande scienziatofrancese, divenuto nel 1994 il primopresidente della Pontificia Accademiaper la Vita. Mentre è già aperta lacausa di beatificazione, si celebranoquest’anno i 50 anni dalla maggiorescoperta di Lejeune: la dimostrazionedell’origine genetica della trisomia 21,fino ad allora nota solo come"sindrome di Down".

Come giudica il clima che accompa-gna quest’anniversario?Lo Stato francese non pare totalmenteinsensibile, dato che due eventipubblici hanno ricordato la scoperta.Ma potrebbero restare i soli. Toccheràa noi rilanciare l’interesse sul tema. Lofaremo con campagne dicomunicazione e sensibilizzazione suldestino attuale della malattia.

La disattenzione pubblica, non soloin Francia, sembra la prova dei per-sistenti tabù sulla malattia. Lejeunefu molto sensibile al problema...Sì. Prima della scoperta di Lejeune,l’espressione spregiativa"mongolismo" copriva di fatto unenorme vuoto di conoscenza. Bastipensare che Down, alle cui descrizioniottocentesche risale la designazione"sindrome di Down", parlava didegenerazione della razza biancaverso quella gialla. Si restava in questoquadro estraneo a ogni razionalitàscientifica e l’ignoranza faceva pesareterribili sospetti sulle famiglie esoprattutto sulle donne che avevanopartorito questi bambini diversi. Siparlava di comportamento sessualevagabondo della madre, di alcolismodel padre e così via. In questocontesto, Lejeune finanziò le sueprime ricerche con fondi destinati allostudio della sifilide, dato che le madrierano sospettate di aver contratto

S«un’affezione sessuale affine alla sifilide.Dopo la scoperta, Lejeune s’investì inprima persona per scacciare l’ombra diqueste assurde stigmatizzazioni sociali.Disse chiaro e forte che si trattava di unincidente genetico, perdipiù nonereditario.

Perché la discriminazione rimane?Esiste ancora una forma distigmatizzazione, ma di natura diversa. Untempo si additavano le presunte colpeanteriori delle madri. Oggi, lastigmatizzazione continua a colpire ledonne, ma per il fatto di scegliere dimettere al mondo questi bambini. Ineffetti, la società fornisce tutti i mezzi pernon farli nascere. Tutti i feti possonoessere diagnosticati. In fondo, per quantomostruoso possa sembrare, si pensa lostesso che queste donne fanno pesare allasocietà un carico finanziario indebito. Inmodo più sottile, poi, credo anche che ilfatto di far nascere questi bambinirappresenti un rimprovero vivente per igenitori che hanno fatto la scelta opposta.Questa sorta di testimonianza puòdiventare un caso di coscienza per chi haabortito. Del resto, mi è stato detto tantevolte, con aria di rimprovero verso ledonne che scelgono la vita.La sua Fondazione, privata, è il primo fi-

nanziatore in Francia della ricerca sullamalattia. Perché i fondi pubblici scarseg-giano?In Francia e in altri Paesi l’insistenza sulladiagnosi fetale universale, cioè su tutte ledonne senza criteri d’età, si accompagna aun calo degli sforzi per la ricerca. Dietroc’è un atteggiamento ideologico favorevoleall’aborto. Chi fa ricerca sulla trisomiaviene associato alla militanza control’aborto. Si scivola così nell’ideologia e amargine di ogni serio argomentoscientifico.

Il suo ultimo libro, dedicato a questa si-tuazione, s’intitola "La trisomia è unatragedia greca". Cosa intende?Il destino di questa malattia è tragico. Lasua scoperta è legata a un grande uomo discienza che voleva mettere tutto al serviziodei malati. Energia, genio, talento, spiritoumanista. Ma la scoperta ha finito perritorcersi contro i malati, dato che haaperto la strada alla diagnosi fetale dimassa che oggi conosciamo.

Si sta scivolando nell’eugenismo?In Francia una certa forma di eugenismo èdi fatto già accettata, come ammettono igiuristi che commentano il quadrolegislativo. Si tratterebbe di un eugenismodemocratico, medico, soft, diverso dalle

forme criminali dieugenismo del secoloscorso. Ma queste riflessioni,almeno in Francia,accompagnano nei fatti lacrescente banalizzazionedell’uso dell’eugenismo. Nelcaso della trisomia 21, lalogica attuale ha qualcosa digenocidario. Accanto a unaforma sottile e arbitraria distigmatizzazione verso unacomunità di persone,s’impiegano mezzi tecnicied economici perorganizzare la loro completaeliminazione. Ciò costa inFrancia circa 100 milioni dieuro l’anno.

C’è però la testimonianzadi chi sceglie la vita...Certo, ma se oggi nel 96%dei casi si sceglie l’aborto, èperché la libertà della donnaè ridotta. Tutto spinge in

un’unica direzione. La scelta non è libera,ma orientata già da gran parte del mondomedico che giudica l’aborto l’esitonormale. L’esempio di altri Paesi europeidove ciò non è così automatico dovrebbefar riflettere la Francia.

Si è aperto l’anno francese della bioetica;come avrebbe contribuito Lejeune?Credo col suo desiderio di una nuovascossa morale. Una sua frase restailluminante: non ci sono soluzionitecniche alla follia degli uomini. Eppure,oggi molti si lasciano tentare dalpensiero che la scienza e la tecnicaverranno a capo di tutti i nostriproblemi. Si tratta della fede in unoscientismo salvifico. La scienza e latecnica ci portano tanti strumenti esoluzioni, certo. Ma non sono il rimedioalla follia degli uomini, a tutte lesofferenze, alle tentazioni di trasgredire.L’attuale fede nel progresso ricorda taloraquella della rivoluzione industriale. Alriguardo, Lejeune non era molto ottimista.Ma cercò sempre di mostrare che la federeligiosa non è mai contro la scienza. È lascienza, talora, ad essere dirottata control’uomo.

Daniele Zappalà

Nel 50esimoanniversariodella scopertadi Lejeunedell’originegeneticadella malattia,parlaJean-MarieLe Méné,a capo dellaFondazioneche portail nome delloscienziato:c’è unatteggiamentoideologicoche spingeper l’aborto,le donnenon sono liberedi scegliere

«Purtroppole ricerchedel medicocattolicosi sono ritortesuo malgradocontro i malati:oggi la societàfranceseforniscetutti i mezziper non farlinascereE la diagnosifetaleuniversalesi accompagnaa un calodegli sforziper la ricerca»

box Trisomia, una Fondazione per la ricerca«Purché rispetti la vita fin dall’inizio»

a Fondazione dedicata a Jérôme Lejeune, voluta dai familiari esostenuta da altre figure vicine al professore, finanzia ogni announa sessantina di programmi di ricerca sulle malattie

dell’intelligenza, a cominciare dalla trisomia 21. Restando fedele aiprincipi etici e umanistici di Lejeune, l’istituzione chiede ai ricercatoriche utilizzano i suoi fondi di «rispettare l’essere umano fin dall’iniziodella sua vita». Si tratta della «scelta di un avvenire in cui i progressidella scienza restano al servizio dell’uomo». Con l’intento diproseguire l’azione di Lejeune, la Fondazione si occupa anche dicurare i malati, attraverso un centro d’accoglienza e di consultazionepresso il quale giungono migliaia di pazienti dalla Francia edall’estero. Al contempo, fra gli obiettivi principali vi è anche quellodi difendere i diritti e la dignità degli stessi malati. Nel mese dimarzo, ad esempio, la fondazione organizzerà un colloquio sullavoro in un contesto ordinario delle persone con una deficienzaintellettuale. Negli ultimi anni, l’istituzione ha rafforzato anche la suaopera d’informazione e di sensibilizzazione sulle questioni bioetiche,anche attraverso diversi siti internet molto consultati. (D.Z.)

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comparso nel 1994, Jérôme Lejeunerientra nel novero delle maggiori figurescientifiche del Novecento. A soli 32

anni, dimostrerà che la "sindrome diDown" è dovuta a un cromosomasovrannumerario: per la prima volta, unritardo mentale è associato a un’anomaliagenetica. Lejeune diviene titolare a 38 annidella prima cattedra di genetica in Francia e

descriverà numerose malattie di origine cromosomica.Riconosciuto a livello mondiale come uno dei padri dellagenetica moderna, non rinuncerà alla cura quotidiana dimigliaia di bambini come primario all’Ospedale Neckerdi Parigi. Le sue posizioni pubbliche contro l’aborto e indifesa dei "suoi" piccoli pazienti, gli varranno attacchi dirara violenza. Definirà la pillola abortiva «il primopesticida umano». Gli verrà negato il Nobel, ma riceveràriconoscimenti in tutto il mondo. Nel 1997 GiovanniPaolo II si raccoglierà davanti alla sua tomba. La causa dibeatificazione di Lejeune è stata aperta nel 2007. (D.Z.)

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Jérôme Lejeune, il padredella genetica moderna

«Vita degna solo quandofunzionale»: deriva disumana

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Lejeune

Rapporto choc dell’associazioneper i diritti dei disabili: i mediciche curano pazienti handicappatisono troppo spesso disattenti, superficialie fatalisti. «È discriminazione»Bellieni

suoi detrattori non si sonoarresi neppure davanti alleevidenze scientifiche e dopo

vari tentativi sono riusciti aportare la legge davanti aigiudici della Consulta, che afine marzo giudicheranno sullalegittimità costituzionale deldivieto di diagnosi pre-impianto. Ed è proprio questouno dei profili maggiormentecriticati. La diagnosi pre-impianto, si dice, permette diavere figli sani. I dati forniti daiPaesi in cui questa tecnica èpermessa dimostrano lasaggezza della "via italiana":diversi studi scientificipubblicati in questi ultimi annisulla base di queste esperienzeaffermano, infatti, che ladiagnosi pre-impianto è unatecnica pericolosa in sé, nel

senso che il prelievo stesso di una solacellula può provocare danni all’embrione,incidendo negativamente sulla buonariuscita della gravidanza. Oltre a questo, viè un’alta possibilità di errori diagnostici,che gli studi più recenti attestano in unapercentuale non inferiore al 15%, sia difalsi negativi (un embrione anormalerisulta sano) sia di falsi postivi (unembrione sano risulta anormale). Tuttociò non solo porta alla distruzione diembrioni non patologici, ma dimostraquanto la diagnosi pre-impianto sialontana dalla "garanzia" di ottenere unfiglio sano. Questo perché nelle prime oredalla fecondazione possono esistere dei"mosaicismi", in cui sono presentipopolazioni cellulari differenti composteda cellule sane e cellule che risultanomalate, ma che già dopo una settimanapotrebbero normalizzarsi.

eventuale introduzione delladiagnosi pre-impianto nel nostroordinamento comporterebbe

conseguenze destabilizzanti per tutta ladisciplina perché non si coniugherebbecon diversi altri articoli delle normativa:innanzitutto con l’articolo 1, chericonosce l’embrione come soggetto didiritto, con l’articolo 14, che vieta ladistruzione, la crioconservazione e lacreazione di più di 3 embrioni per ciclo;infine stravolgerebbe la disciplina dettatasull’accesso alle tecniche, ora riservato agliaspiranti genitori che hanno problemi disterilità o infertilità. Tale limitazione allecoppie con questi problemi, è giustificatadal fatto che la legge, come recita l’articolo1, è stata varata «al fine di favorire lasoluzione dei problemi riproduttividerivanti dalla sterilità o dalla infertilitàumana», coniugando questa finalità con ilrispetto della natura umanadell’embrione. Ammettendo la diagnosipre-impianto si dovrebbe necessariamenteampliare l’accesso alla tecniche anche acoppie che infertili non sono,stravolgendo la ratio della disciplina, chepermetterebbe la via artificiale anche a chipotrebbe generare naturalmente, nellasperanza di avere un figlio sano.

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linea con quello europeo, anche se c’èun’incidenza negativa dovuta all’etàsempre più avanzata delle donne cheaccedono alle tecniche (il 24% delledonne ha 40 o più anni).

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2 Avvenire Giovedì, 26 febbraio 2009

Legge 40: funziona ma è ancora sotto assedio di Ilaria Nava

cinque anni dalla suaapprovazione, avvenuta il 19febbraio 2004, finalmentepossiamo tracciare un primobilancio delle legge 40: unperiodo sufficientemente lungo

per permettere ai centri migliori diadeguare le proprie strutture e la propriaprofessionalità alle nuove regole, cherispetto a prima – e questo è innegabileda chiunque – ha messo un po’ d’ordinein una situazione di totale assenza di unadisciplina unitaria. È l’ultima relazionesullo stato di attuazione della legge,redatta alla scadenza del mandatodall’allora ministro della Salute Turco, aconsigliare prudenza prima di denunciarei limiti di una normativa che il tempo euna migliore applicazione sta rendendosempre più efficace. Rispetto all’annoprecedente, infatti, la relazione avevaevidenziato una diminuzione degli eventiinfausti, ossia degli aborti spontanei,tardivi, delle gravidanze extrauterine edelle morti in grembo, passando al 24,9,contro il 26,4% dell’anno precedente. Iltasso di successo della fecondazioneartificiale praticata nel nostro Paese è in

ACinque anni faveniva approvata lanormativa che regolale pratiche difecondazioneassistita. Obiettivo,regolamentare unasituazione fino adallora priva diqualsiasi disciplinaunitaria. Positivi irisultati: meno abortispontanei, numero disuccessi in linea conla media europea,donne più tutelate.Eppure i suoidetrattori nonsmettono ancora discreditarla

Fine vita, dàgli al terzistangeloPanebiancostiatranquillo.Nonintendiamo

tirargli le orecchie,mordergli il naso,

tempestarlo di pomodori fradici. Noi.Sottolineeremo semplicemente con lamatita tirate, morsi e pomodori altrui,informando i nostri lettori delformidabile dibattito sul fine vita incorso sulla stampa italiana.Dovrà ammettere, Panebianco, che acominciare è stato lui. Corriere dellasera, 23 febbraio, prima pagina. Unabotta ai neoguelfi: «I fautori della"sacralità della vita" sbagliano digrosso a volere imporre per legge a tuttii loro valori (la sacralità della vita è unconcetto privo di senso per chi noncrede in Dio)». I neoguelfi, insomma,attentano al pluralismo. «Ma sbaglianoanche i fautori della "libertà di scelta".Costoro la fanno troppo semplice,banalizzano in maniera inaccettabile ilproblema. Non è vero che essi silimitano a rivendicare un "diritto" chei credenti sono liberi di non praticare».Anch’essi intendono «far prevalere laloro concezione della vita e dellamorte». Tutto sbagliato, la legge nondovrebbe occuparsi della cosa: «Lalegge è uno strumento troppogrossolano, troppo rozzo (…). Dueragioni, o due torti, si fronteggiano. Ilproblema verrà affrontato a colpi dimaggioranza (e nessuno, per favore, se

ne lamenti: è la democrazia, bellezza).Vorrà dire che faremo l’alternanza, aseconda di chi vince e di chi perde leelezioni, anche delle concezioni dellavita e della morte. Davvero un belrisultato».

priti cielo. Maurizio Lupi (unicavoce neoguelfa) va sul morbido(Corriere, 24 febbraio): «L’obiettivo

non è alimentare uno scontroideologico tra guelfi e ghibellini. Non èneanche imporre dei valori. L’obiettivoè evitare che, d’ora in poi, bastil’interpretazione di un giudice perdecidere su un tema così delicato comela vita e la morte di una persona».Anche Claudia Mancina (Riformista, 25febbraio) dà atto a Panebianco di avermesso sul tappeto un problema serio.Ma tutto alla fine consiste nel garantire«la libertà di giudicare, ciascuno per sestesso, se e fin dove far uso deisupporti tecnici a disposizione. Aquesto si deve rispondere, non a ungenerico principio diautodeterminazione». Non la pensacosì Sivio Viale, che almeno gioca acarte scoperte (Corriere, 24 febbraio):«Noi ghibellini, favorevoliall’eutanasia, siamo solo persone che

amano talmente la vita da volerle beneanche nel suo viaggio terminale. Comefu per il divorzio, come fu per l’aborto,non è indifferente per nessuno qualetorto finirà per prevalere nel regno deiguelfi». Sull’Unità (25 febbraio), infine,Bruno Gravagnuolo non resiste allatentazione più ferale dei nostri tempi:in un dibattito, prima di tuttoridicolizza l’avversario, infangalo,beffeggialo, togligli credibilità edignità. Panebianco «ammanniscelezioncine», i suoi sono «goffi escriteriati fervorini» e si erge a «SommoTerzo Giudicante». Fino alla bottafinale: «Dirimente, in un sistemaliberale, è il volere del singolo. Eccoloil punto quindi: la libertà liberale. Cosìcara a Panebianco da mettersela sotto ipiedi». E Panebianco? Si richiama"fuori" (Corriere, 24 febbraio): «Nonintendo in alcun modo partecipare aquesto surreale referendumsull’esistenza o l’inesistenza di Dio acui, in sostanza, voi guelfi e voighibellini, volete costringere il Paese».

ost-scriptum: lungi da noi insegnarea un professore, ma con lamassima cautela ed umiltà osiamo

far notare a Sergio Bartolommei(Unità, 25 febbraio) che eutanasia nonsignifica "dolce morte", e men chemeno "dolcissima", come egli paresicuro che sia stata la morte di EluanaEnglaro. Significa «buona morte».Neppure a lui può sfuggire ladifferenza.

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prospettive di Elena L. Pasquini

ella diagnosie nellaterapia dellemalattierare, lagenetica è la

carta su cui punta laricerca. E lo

strumento privilegiato adisposizione di pazienti e scienziatisono i test genetici, Non è un caso sela domanda di esami di questo tipoè cresciuta in Italia del 30 per centosolo negli ultimi tre anni, con unaumento senza precedenti nelnumero dei laboratori che effettuanoqueste analisi e che ci porta ai verticidelle statistiche europee. Spesso,però, si ricorre ai test senza un realemotivo, senza la consulenza di ungenetista, in strutture che nongarantiscono qualità, assecondandouna tendenza che porta a chiedere lasalute a ogni costo e che faacquistare test genetici persino suinternet.L’impennata nella domanda di testgenetici è stata sottolineata ancorauna volta da Bruno Dallapiccola,direttore scientifico dell’IstitutoMendel di Roma, durante laConferenza internazionale sulle

malattie rare e sui farmaci orfani,conclusa ieri a Roma presso l’Istitutosuperiore di sanità.

enticinque milioni di europeisoffrono di una malattia rara; laricerca ha individuato 2100 geni

responsabili di queste patologie e2950 sono i test genetici messi apunto finora. «Abbiamo tantissimitest per questo tipo di malattie – haspiegato Dallapiccola – utili per farediagnosi che non possono essereraggiunte in altro modo, per validarealcune diagnosi difficili, migliorarela conoscenza della malattia e ancheevitare analisi inutili». Il rischio,però, è una deriva sulla quale l’Italiasi sembra già avviata: una modaalimentata dalla comunicazionecommerciale di test sulla cui utilità eaffidabilità esistono troppi puntiinterrogativi.Così nel nostro Paese si arriva a 560mila test l’anno, con unaconcentrazione maggiore al Nord, e

a 1.276 diagnosi prenatali percercare microdelezioni delcromosoma Y che determinanoinfertilità maschile, secondo i datipresentati a novembre dalla Societàdi genetica umana e dell’IstitutoMendel, e «che certo non è crucialeconoscere prima della nascita», comeaveva sottolineato in quellaoccasione Dallapiccola.

rospettive inquietanti, disseallora il genetista, per il numerocrescente di test inutili, per

l’aumento ingiustificato dei centri eper la grande quantità di strutturenon certificate. Il nodo dei centri digenetica è stato ricordato più voltedai relatori della Conferenzainternazionale sulle malattie rare: idati riportati da Ségolène Aymé erelativi alla rete Orpha.net, databaseeuropeo che raccoglie informazionisu geni, malattie e centri, mostranocome pochissime siano le strutturecertificate in rapporto alle migliaia direaltà che effettuano test genetici. Unruolo fondamentale è quello dellaconsulenza genetica, ha sottolineatoDallapiccola, del personale, cioè, ingrado di accompagnare il paziente espiegare i risultati delle analisi.

PV

NI test genetici? Vanno di moda

Panebianco si chiama fuori daldibattito fra «guelfi e ghibellini»sul disegno di leggeCritiche morbide dai cattolici,colpi bassi dalla sinistra

Divieto di diagnosi preimpiantoall’esame della Consulta

a legge 40 sarà esaminata dai giudicidella Corte Costituzionale nell’udienzache si terrà il 31 marzo. Divieto di dia-

gnosi pre impianto, limite massimo di 3embrioni per ciclo, previsione di un unicoe contemporaneo impianto e possibilità direvocare il consenso all’impianto solo finoal momento della fecondazione: sono que-sti i profili della legge, contenuti in partico-lare negli articoli 14 e 6, su cui la Consultasarà chiamata ad esprimersi. Il fascicolo ègiunto alla Corte Costituzionale attraversol’ordinanza di rimessione del Tar del Laziodi gennaio del 2008, e due ordinanze e-messe successivamente da due giudici diFirenze. (I.N.)

Lcordone

i riaccende il dibattito sul-l’opportunità della conser-vazione autologa del cor-done ombelicale, anche aseguito di un rinnovato ap-pello delle biobanche, le

strutture adibite a tale pratica, perl’adozione di un nuovo sistema nor-mativo in materia di cellule stami-nali cordonali. È giusto conservarein forma privata quella che è una ri-serva di cellule staminali per curareeventuali malattie future? È davve-ro utile in una prospettiva terapeu-tica per il donatore? A queste e adaltre domande si propone di ri-spondere il documento del diretti-vo di Scienza & Vita "Conservazio-ne autologa del sangue del cordo-ne ombelicale", redatto con l’o-biettivo chiarire alcune delle que-stioni etiche e scientifiche in pro-posito.

n Italia, come all’estero, esistonocentri adibiti alla raccolta del san-gue del cordone ombelicale (Sd-

co) per «un uso detto eterologo o al-truista che ha lo stesso principio al-la base delle raccolte e donazioni disangue per gli adulti: donazioni gra-tuite e messa a disposizione delle e-sigenze della collettività». Il docu-mento registra poi l’attuale tenden-za verso la pratica della conserva-zione autologa, dedicata cioè all’u-so esclusivo da parte dello stessodonatore e su questa si sofferma. At-tingendo a recenti pubblicazioniscientifiche e a pronunciamenti divari organi competenti in materia,si evidenziano importanti aspetti.Le scarse probabilità di usare il pro-prio Sdco, calcolate approssimati-vamente in 1 caso su 2.700 dall’A-merican College of Obstetriciansand Gynecologists e il fatto che «ladonazione di Sdco dovrebbe esserescoraggiata quando diretta ad usopersonale o familiare per la possi-bilità che nel sangue stesso ci sianocellule che causano la patologia chesi vuole curare» (American Academyof Pediatrics) sono motivi sufficientiad affermare che «la donazione alpubblico deve essere incoraggiata».Sullo stesso binario si muovono ilComitato di Medicina materno-fe-tale dei ginecologi canadesi, che inun recente articolo, citato ancoranel documento di Scienza & Vita, af-ferma la necessità di incoraggiare al-la donazione altruistica e il Comi-tato Nazionale di Etica francese chegià nel 2002 si pronunciava a favo-re della "pratica solidale del dono".

n’altra questione scottante ri-guarda l’aspetto economico del-la conservazione autologa, che

Scienza & Vita affronta opportuna-mente: «La raccolta di Sdco poneanche dei problemi di giustizia di-stributiva e di pari accesso alle ri-sorse, dato che, nella supposizionedell’efficacia salvavita del Sdco usa-to per se stessi, non tutti i cittadiniavranno i mezzi per accedervi, e ta-luni giungeranno all’indebitamen-to». Alla luce di tutto questo è pos-sibile fare una serena analisi della le-gislazione italiana che, al pari diquella francese, non consente laconservazione autologa del Sdco senon in casi di provata utilità per unfamiliare. Un legge che, per il diret-tivo di Scienza & Vita, appare dun-que «rispettosa dei diritti dei citta-dini, portando ad un paritetico ac-cesso ad una sorgente terapeuticaben riconosciuta». Ferma restandola necessità di informare sugli scar-si benefici della conservazione au-tologa, Scienza & Vita non trascurale «esigenze ormai inarrestabili delmercato» e, nell’eventualità di asse-condarle, propone di «permettere laconservazione autologa con unapossibilità del Servizio sanitario na-zionale di accedere alle scorte pri-vate se un qualunque cittadino neavesse improvviso bisogno e non sitrovasse sangue disponibile nellescorte pubbliche» o di subordinar-la alla «donazione di parte del san-gue al Ssn».

Lorenzo Schoepflin

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Scienza & Vita:inutili le cellulea uso «privato»

Indispensabili nella curadelle malattie rare, troppo spessoutilizzati a sproposito:il punto in un convegno a Roma

scoperteDenti riparaticon staminali

ddio dentiere e protesi: identi in futuro potrannoessere riparati in modo

naturale, o addiritturaricrescere. Tutto questo graziea un singolo gene. Faràdiscutere la scoperta di ungruppo di scienziati dellaOregon State University, il cuistudio è stato pubblicato su"Proceedings of the NationalAcademy of Sciences". Iricercatori hanno individuatoil gene responsabile dellacrescita dello smalto, il durostrato esterno dei denti chenon può riformarsi.Esperimenti sui topi hannodimostrato che il gene, un"fattore di trascrizione"chiamato Ctip2, ha diversefunzioni, che coinvolgono lerisposte immunitarie e losviluppo di pelle e nervi. Maanche la produzione dellosmalto dei denti, attraverso lecellule specializzate chiamateameloblaste. Il controllo diquesto gene, secondo gliscienziati, combinato con latecnologia sulle cellulestaminali, potrebbe renderela creazione artificiale didenti una possibilità reale.

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l disegno di legge relativo alcosiddetto testamentobiologico è approdato tramolte polemiche nell’aula delSenato. La ragione delladiscordia va cercata nel

tentativo di alcune forze politichedi introdurre, per mezzo deltestamento biologico, forme più omeno esplicite di eutanasia. In talmodo si è determinato un graveinquinamento del dibattito sullostrumento giuridico delle direttiveanticipate che, se fatto bene,potrebbe avere una qualcheutilità. Il testo licenziato dallaCommissione Sanità segue laConvenzione sulla Bioetica diOviedo che all’articolo 9 affermaesplicitamente che le volontà delmalato debbono essere prese inconsiderazione, ma che esse nonhanno un valore vincolante per imedici. Quindi il testo non è ilsolito prodotto "oscurantistaclericale", ma in linea con ilprincipale documento europeosulla bioetica.

mportante è poi chiarire checosa voglia effettivamente lagente. Secondo i radicali, Augias

e i compagni della Consulta dibioetica, sembra che gli italianisiano tutti in fila per rifiutare lecure mediche. Si tratta dichiacchiere. Perché gli studi diaccreditate istituzioni scientifichequali l’Istituto tumori di Milanohanno rivelato ciò che le personecomuni chiedono veramente: nonvogliono soffrire inutilmente evogliono essere accompagnati allamorte in modo degno di unapersona umana, quindi con lecure antidolore, le cure palliativenel loro complesso, comprendentianche l’attenzione dei servizisociali alla propria famiglia. Lamedicina palliativa, verarivoluzione della nostra epoca(ribadiamo che è scandaloso chenon sia ancora sufficientementeapplicata) ha mostrato che sipuò trattare adeguatamente ildolore delle persone chesoffrono, senza bisogno diuccidere nessuno. Abbiamo glistrumenti per venire incontro aibisogni delle persone, usiamolibene e rendiamoli velocementedisponibili a tutti. Una primaconclusione è perciò che non c’èalcuna richiesta di eutanasia trala gente normale. Essa derivasolo da posizioni ideologicheche una piccolissima minoranzavuole imporre a tutti.

ato che tutto ciò è ben notoai sostenitori dell’eutanasia,essi stanno cercando diD

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Avvenire 3 Giovedì, 26 febbraio 2009

Liberi di decidere sì, ma non per l’eutanasia di Michele Aramini

introdurre il progetto eutanasicoattraverso il più soffice motto"nessuno deve decidere per me"oppure "Io voglio essere padronedella mia vita", con l’invito adettare indicazioni precise ai

medici su ciò che dovrebbero fareo non fare di fronte a specifichesituazioni di malattia terminale,in particolare si vorrebbeintrodurre la possibilità dirifiutare anche l’alimentazione e

l’idratazione del malato,realizzando così una vera formadi eutanasia. Diventa chiaroperciò il motivo per cui si parlagiustamente di strategia delcavallo di Troia a proposito deltestamento biologico. Sullaquestione della libertà personaleche sarebbe maggiore sepotessimo rifiutare tutte le cure(ma l’alimentazione el’idratazione, anche sesomministrate con qualcheausilio, non sono cure mediche!),l’esperienza olandese hamostrato, con una chiarezza chenon ammette repliche, che lalibertà delle persone, lungidall’essere stata incrementata permezzo delle scelte eutanasiche, èstata consegnata nelle mani deimedici che sono sempre più i veridecisori.

noltre l’esperienza della vita cidice che le prospettivecambiano quando la morte ti

guarda negli occhi. Ascoltiamo ladottoressa Sylvie Menard:

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«Quando la diagnosi di unamalattia dalla quale non si puòguarire viene scritta sotto il tuonome, allora non pensi piùall’eutanasia, ad abbreviare la tuavita prima del tempo. Tutto siribalta, valori e convinzioni.Anche se prima, quando avevi ildono della salute, credevi chefosse un diritto e una tua libertàavere una morte degna cheabbreviasse le sofferenze. Dopo,invece, vuoi viverla fino alla fine,la tua esistenza. Vuoi aggrappartia ogni minuto». Questo ci diceche la libertà dell’uomo non è unfatto astratto, programmabile unavolta per sempre in un contesto digelida solitudine. Infine, laCostituzione, così spessoimpropriamente citata nel suoarticolo 32, garantiscecorrettamente dall’uso impropriodelle cure mediche, mentre nongarantisce affatto il diritto dimorire, come accadrebbe se sipotessero rifiutare consuperficialità l’idratazione el’alimentazione.

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i Il disegno di legge Calabròsul testamento biologicoin discussione al Senato,secondo i radicali, Augiase Beppino Englaro sarebbeil prodotto del solito"oscurantismo clericale",animato da scarso rispettoper l’autonomiadel paziente e sordo allerichieste diffuse della gente,schierata a favoredell’eutanasia. Ma le cosestanno davvero così?L’esperienza – laica – dialtri Paesi dice il contrario

Eluana, quelle sentenze in contraddizioneuando ormai si sperava chedopo il tragico epilogo delladrammatica esistenza di Elua-na, si aprisse un momento disilenziosa meditazione e di pa-cata riflessione, la manifesta-zione di Piazza Farnese a Ro-

ma e, soprattutto, una partecipazione,anche televisiva che ci si augurava non

vi fosse, hanno riaperto il "caso", alimentando le perplessità diquanti avevano temuto che una triste situazione personale e fa-miliare tendesse a trasformarsi in un fatto politico, o comun-que strumentalizzato per conseguire risultati politici.Stando così le cose, non sembra inopportuno proporre, paca-tamente e senza volersi inserire nella polemica politica, chenon ci appartiene, alcune riflessioni.La dialettica – o polemica – che ha caratterizzato i giorni cru-ciali della vicenda si è fondata su alcuni equivoci.Si è affermato – per legittimare la posizione, per così dire, in-terventista – che essa trovava fondamento nel decreto della Cor-te di Appello di Milano – emesso sulla base della nota senten-za della Corte di Cassazione – che, essendo passato in giudi-cato, sarebbe divenuto intangibile. In realtà, nessun giudicatoha definito l’iter processuale: infatti, l’articolo 742 del codicedi procedura civile testualmente dispone che «i decreti posso-no essere in ogni tempo modificati o revocati». Dunque, evo-care l’autorità del giudicato è stato improprio e suscita per-plessità che autorevoli giuristi che hanno trattato il tema nonabbiano tenuto conto dell’art. 742 del codice di procedura ci-vile.Sulla base di questa – quantomeno dubbia – premessa, si è ne-gata legittimità all’ipotizzato intervento del legislatore per da-re diversa soluzione al problema, affermandosi che da tale in-tervento si sarebbe determinato un potenziale conflitto con lamagistratura.Anche questa indicazione si fonda su di un equivoco: infatti, ilnostro ordinamento prevede un istituto – interpretazione au-tentica della legge – che legittima il legislatore ordinario ad in-tervenire per definire la portata di una disposizione di legge,proprio quando la interpretazione giurisprudenziale si presenti

contraddittoria, ovvero non condivisibile.Chi è aduso all’analisi della giurisprudenza sa bene che anchedi recente il legislatore è intervenuto per "correggere" indirizzigiurisprudenziali ritenuti non conformi al sistema ordina-mentale, ovvero ad esigenze di giustizia.Infine, si è evocata l’autorità della Corte Costituzionale per af-fermare che l’indirizzo seguito dalla Corte di Appello di Mila-no e, prima ancora, dalla Corte di Cassazione, avrebbe trovatoin quella sede conferma.

n realtà, la Corte Costituzionale si è limitata ad osservare chela Corte di Cassazione non aveva travalicato i limiti di quel-la che viene definita "funzione nomofilattica". Ma vi è di più:

si legge nella ordinanza della Corte Costituzionale testualmenteche «la vicenda processuale che ha originato il presente giudi-zio non appare ancora esaurita, e, d’altra parte, il Parlamentopuò in qualsiasi momento adottare una specifica normativadella materia»: dunque, la chiara indicazione della Corte Co-stituzionale è nel senso che non si è formato alcun giudicato eche, comunque, restava nella sovrana valutazione del Parla-mento di intervenire o meno. Sgombrato il campo dagli equivoci che hanno caratterizzato lapolemica, soprattutto politica, ed hanno comportato una cer-ta disinformazione dell’opinione pubblica, resta aperto il pro-blema di fondo: che, si badi bene, nel caso di cui ci si occupa,non è tanto quello della pretesa libertà di scelta in ordine allaconclusione della propria vita, quanto piuttosto quello del sedebba richiedersi, per l’esercizio di tale pretesa libertà, una ma-nifestazione esplicita ed informata di volontà, riservata in viaesclusiva al soggetto.Sul punto sembra doversi lasciare la parola alla Corte di Cas-sazione, che, con sentenza 15 settembre 2008, n. 23676, ha e-

nunciato il principio secondo cui il soggetto che intenda disporrein ordine alle terapie cui è sottoposto «deve esprimere una vo-lontà non astrattamente ipotetica ma concretamente accertata,un’intenzione non meramente programmatica ma affatto spe-cifica, una cognizione dei fatti non soltanto ideologica ma frut-to di informazioni specifiche in ordine alla propria situazionesanitaria, un giudizio e non una precomprensione».

unque, vi è una evidente divaricazione tra la richiamata sen-tenza della Corte di Cassazione e quella che ha aperto, percosì dire la "soluzione" del caso Eluana.

Certo, non vi è ragione di scandalo se vi siano pronunce di-vergenti, anche nell’ambito del Supremo Collegio; tuttavia, nonpuò non emergere qualche perplessità, in considerazione del-la delicatezza della materia e della conseguente esigenza di u-niformità di indirizzi giurisprudenziali.Nasce, a questo punto, una ulteriore perplessità in ordine allasentenza della Corte di Cassazione relativa al caso Eluana: sem-brerebbe, infatti, che, nella ricostruzione del sistema normati-vo ordinamentale operata dalla Corte di Cassazione, non siastato dato adeguato rilievo all’art. 5 del codice civile, che vietagli atti di disposizione del proprio corpo che determinino al-terazioni permanenti di funzioni vitali; all’art. 579 del codicepenale, che sanziona l’omicidio del consenziente; all’art. 580dello stesso codice, che sanziona l’istigazione o l’aiuto al suici-dio; all’art. 583 bis del codice penale, che sanziona le pratichedi mutilazione degli organi genitali femminili, pur nella con-sapevolezza che tali mutilazioni possano essere determinateda adesione a credo religioso, che trova garanzia nella Costitu-zione.Forse, se si fosse data maggiore attenzione alle indicate dispo-sizioni e, soprattutto, ai principi che vi stanno alla base, si sa-rebbe potuta definire altrimenti la vicenda.Spetterà al legislatore ordinario intervenire, definendo in mo-do univoco l’ambito di operatività dell’art. 32 della Costituzione,nel più generale contesto espresso dall’art. 2 della stessa Costi-tuzione, che garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, tra i qua-li è certi preminente il diritto alla vita.

* Presidente del Forum delle Associazioni Familiari

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iverse affermazioni riportate direcente dai quotidiani mi sem-brano discutibili. Comincianocon Angelo Panebianco per ilquale «la sacralità della vita èun concetto privo di senso per

chi non crede in Dio" (Corriere della se-ra, 23 febbraio). Ora, è vero che non sipuò parlare di qualcosa di sacro se nonesiste il divino. Ma per sostenere chenon si deve uccidere (salvo il caso del-la legittima difesa e dell’azione milita-re) si può fare leva sulla "dignità" del-la vita umana. E questa può essere de-lucidata (si vedano diversi articoli suAvvenire) senza fare riferimento a Dio.

ncora, secondo Silvio Viale, «le cu-re palliative, se ben condotte, nonsono così lontane da una terapia eu-

tanasica» (sempre Corriere della sera, 24febbraio). Ora, è vero che alcune curepalliative possono cagionare la mortedi un malato, ma c’è una differenza cru-ciale tra queste cure e l’eutanasia. In-fatti, quando io sommistro delle curepalliative per ottenere la cessazione ol’alleviamento della sofferenza di unmalato, non voglio l’accelerazione del-la morte del malato, bensì, a volte, laprovoco, in certi casi consapevolmente,come effetto collaterale, che non è dame voluto né come fine, né come mez-zo. In schema: somministrazione delleterapie – cessazione della sofferenza –

morte. Un effetto collaterale è appuntoquello che non voglio né come fine, nécome mezzo. Ad esempio, la chemiote-rapia comporta le vertigini, la spossatez-za, ecc.? Questi effetti sono negativi, maio posso scegliere di somministrare lachemioterapia a un malato, purché sial’unico modo per guarirlo e purché ci siauna proporzionalità (a volte assai diffi-cile da calcolare) tra gli effetti negativi equelli positivi (guarire o contenere la ma-lattia). Invece, realizzo un’eutanasia sepratico un intervento con cui voglio lamorte del malato come mezzo per farcessare le sue sofferenze. In schema: rea-lizzazione di un intervento – morte – ces-sazione della sofferenza. Dunque, in en-trambi i casi il risultato finale è identico,ma l’azione con cui si giunge a questo ri-sultato è diversa: la prima non vuole lamorte di un essere umano, la seconda in-vece sì. Non è dunque eutanasica, per e-sempio, una sedazione che vuol far ter-minare le sofferenze di un malato e checagiona come effetto collaterale la suamorte; mentre è eutanasica una sedazio-ne che vuol produrre la morte del mala-to, sia pure per non farlo piú soffrire.

nalogicamente, secondo BeppinoEnglaro «dire no ad una terapia sal-vavita non ha niente a che vedere

con l’eutanasia. Una cosa è chiedereun’iniezione letale, un’altra chiedere dilasciarsi morire: l’ha chiesto anche Gio-vanni Paolo II» (Corriere della sera, 22febbraio). In realtà bisogna di nuovodistinguere. C’è una differenza moraledecisiva tra la cessazione delle terapienel caso del rifiuto dell’accanimentoterapeutico e quella che configuraun’eutanasia. Ad esempio, non com-pio eutanasia se sospendo delle tera-pie in se stesse (eccessivamente) dolo-rose, per ottenere la cessazione-alle-viamento della sofferenza, e non vo-glio in alcun modo l’accelerazione del-la morte del malato, bensì la determi-no, anche consapevolmente, come ef-fetto collaterale, non voluto né come fi-ne, né come mezzo; compio invece u-na eutanasia se interrompo le terapieperché voglio la morte del malato co-me mezzo per ottenere la fine delle suesofferenze, che non sono determinatedalla terapie stesse. Se non vogliamoparlare di eutanasia, resta il fatto che sitratta di un’azione volutamente uccisi-va, che è gravemente malvagia. Quan-to a Giovanni Paolo II, egli chiese dinon subire accanimento terapeutico,perché ciò che gli venne prospettato sa-rebbe stato particolarmente dolorosoin sé e inutile.

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DFar morire non è mai una cura

la letteraIl medicoassiste,non elimina

ono un medico di60 anni che per 35anni ha svolto la suaattività professiona-le in reparti di me-dicina interna di al-

cuni ospedali di Pavia e pro-vincia. Nella mia attività la-vorativa mi sono trovato difronte a parecchi casi di pa-zienti in fase preterminale oterminale e li ho affrontatiinsieme ai familiari rispet-tando sempre la volontà deipazienti stessi, senza peròinficiare il Giuramento ip-pocratico. Per quanto ri-guarda il caso Englaro, laclasse medica si è divisa sudue fronti come è accadutoall’interno della popolazio-ne. È presente una compo-nente che ritiene che ciò cheè stato fatto ad Eluana siastato un atto dovuto e un’al-tra componente, di cui fac-cio parte anch’io, che ritie-ne che sia stato un atto eu-tanasico, poiché il non nu-trire e non idratare il pa-ziente è da noi ritenuto unvero e proprio atto di euta-nasia, per di più non tantodolce.

onfrontandomi con di-versi colleghi mi per-metto di segnalare un

altro punto che non è maistato affrontato sui giorna-li, per rispetto nei confron-ti del papà di Eluana. Moltidi noi si chiedono perché ilpadre non abbia voluto por-tare a casa la figlia e non l’ab-bia assistita a domicilio, de-cidendo come comportarsinei suoi confronti. Tengo aprecisare che ci sono all’an-no migliaia e migliaia di ca-si in Italia in cui i familiaridecidono di portare al pro-prio domicilio il pazientecon patologia irreversibilesenza creare dibattiti suimass media. A questo pun-to è imperativo che si pon-ga in atto una legge sulla di-chiarazione anticipata, an-che se personalmente la ri-tengo il minore dei mali enon vorrei che potesse dareadito a futuri scenari in cuii fragili, i disabili, gli anzia-ni con Alzheimer, i pazien-ti con patologie croniche de-generative possano essere"eliminati" nei casi in cuinon ci sia al loro fianco unfamiliare che si faccia caricodelle loro sofferenze. Restacomunque fondamentale ilrapporto di fiducia tra me-dico e paziente, per poter af-frontare al meglio tale te-matica, convinti che il pa-ziente-parente necessita diuna dimensione relaziona-le e sociale oltre che tecnico-professionale. Termino que-ste poche righe citando an-ch’io ciò che ha detto un lai-co non cattolico medico co-me Jannacci: "Speriamo inuna carezza del Nazareno"per alleviare questa ferita e-sistenziale di tutti noi.

Giovanni Belloni,presidente

Federazione Regionale degli Ordini dei MediciChirurghi Odontoiatri

della Lombardia Presidente Ordine

Prov.le Medici Chirurghie Odontoiatri di Pavia

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«In margine al caso Elua-na: riflessioni giuridiche emorali sul vivere e sul mo-rire» è il titolo di un lun-go approfondimento con-tenuto nell’ultimo nume-ro di Studium, il bimestra-le di cultura diretto daGiuseppe Lazzaro. A trat-tare il caso drammatico ele ricadute che esso ha a-vuto anche sul dibattito -sempre così acceso in Ita-lia - su laicità e laicismo,sono il gesuita PiersandroVanzan e Carla D’Agosti-no Ungaretti.

«Studium»: laicitàe morte assistita

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Il dibattito sull’eutanasia e sul finevita è stato spesso deformato dadichiarazioni fuorvianti. Eccoleraccolte, analizzate e smontate

Nel codice penale è già sanzionato l’omicidiodel consenziente e l’aiuto al suicidio. Duepunti, tra tanti, che la magistratura non ha voluto tenere in considerazione e che hanno condizionato da subito l’intera vicenda

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di questi giorni la notiziadata da Robert Lanza(ricercatore americano digrande spessore e conesperienza nel campo dellecellule staminali) che dice in

sintesi che gli ovociti animali nonpossono sostituire quelli umaniper produre cellule staminali. Inmolti hanno già tirato un sospirodi sollievo pensando che questochiude definitivamente la portaalla creazione dei cosidetti ibridiuomo-animale che i mass mediahanno chiamato fantasticamente"chimere". E questo potrebbeessere un fatto positivo. Ma, lettaper intero e nel verso giusto,questa notizia dice anche che laclonazione umana è possibile equindi è la via da seguire. Del restosulla medesima rivista online diCloning and Stem Cells un gruppodi ricerca cinese afferma di averclonato cinque embrioni umani!A pubblicare ,insieme a RobertLanza della Advanced CellTechnology (Act) ditta privata diWorcester , Massachusetts, c’è unostuolo di ricercatori di altri centriprivati e pubblici e, guarda caso, lanotizia esce proprio quandoObama sta aprendo, negli Usa, leporte alla ricerca con le celluleembrionali umane. La settimanascorsa la Food and DrugAdministration ha autorizzato laditta Geron a condurre test pervalutare la sicurezza delle celluleembrionali in un gruppetto dipazienti che hanno ricevuto danni almidollo spinale e le azioni dellaGeron sono schizzate in alto (allafaccia della crisi).

anza peraltro è già noto per i suoiannunci. Nel 2002 aveva anchepromosso attraverso i giornali di

Boston una chiamata delle donnealla donazione di ovociti e la stessacosa è stata fatta in Inghilterra dove ilprogramma per creare ibridi (latecnica di trasferimento nucleare)utilizzando ovociti animali e cellulesomatiche umane è stato finanziatoper sopperire alla mancata donazionedi ovociti umani. Le donne ,infatti,non hanno rispostoentusiasticamente all’appello (ancheperché per donare ovociti questedevono sottopporsi a pesanti terapieormonali). Nell’agosto del 2006Lanza annuncia sulla rivista Natureche è possibile produrre staminaliutilizzando un solo blastomeroestratto da un embrione. Ciò suscitagrande interesse. Richiesto diconoscere meglio i rischi insiti allabiopsia necessaria per prelevare ilblastomero, Lanza interviene suNature online ammettendocandidamente (forse si era scordatodi scriverlo!) che gli embrioni nonrimanevano intatti («... did notremain intact»). Cioè, per intendercimeglio, morivano. Nel lavoroscientifico pubblicato pochi giorni fasulla rivista Cloning and Stem Cellsegli conclude (e c’è da credergli!) chegli ovociti bovini e di coniglio nonsono in grado di riprogrammare il

L

È

genoma di nuclei di cellulesomatiche umane mentre ciò sarebbepossibile con ovociti umani(confermando così la possibilitàdella clonazione umana).Naturalmente i sostenitori degliembrioni ibridi con a capo Minger(che ha avuto in Inghilterra la licenzaper costruire gli ibridi uomo-

animale) sostengono che questi datinon sono affatto definitivi e criticanoLanza di non aver fatto esperimentiadeguati con le scimmie.

omunque sia il succo di tutta lavicenda resta quello di "un colpoal cerchio e uno alla botte". Da

una parte si sottolinea che la stradadell’ibrido non è tecnicamentepercorribile (almeno per ora) edall’altra che si deve investire sullacreazione di embrioni umani perottenere cellule staminali. E questorafforzerà anche l’intervento diObama al quale si apriranno tutte leporte. Questa breve nota non ha loscopo di ritornare sulle numerose edrammatiche controindicazioni(anche scientifiche) che tale stradaapre, tuttavia vale almeno la penaricordarci che il vero problema resta eresterà quello etico-antropologico. Ilpunto di tutta la questione riguardala concezione di persona umana e ilrispetto della sua dignità dalconcepimento alla morte. La radice difondo da cui nasce questa ostinataricerca sugli embrioni è stata benedescritta da Benedetto XVI nella sualezione di Ratisbona e consiste nellasbagliato uso della “ragione e dellarazionalità” umana. Da meravigliosostrumento per indagare e conoscerela realtà e il significato del nostroessere uomini essa è stata ridotta acriterio di misura e di definizionedella realtà stessa. Questocontribuisce alla tragicaassolutizzazione della scienza intesacome "il massimo bene" per unaumanità astratta e quindi incapace diriconoscere l’ unicità e l’irrepetibilitàdi ogni singolo essere umano e inparticolare di quelli più indifesi.

*Presidente Associazione ItalianaColture Cellulari

Facoltà di Medicina e Chirurgia,Università degli Studi di Milano

C

www.avvenireonline.it\vita

4 Avvenire Giovedì, 26 febbraio 2009

Per inviare notizie, se-gnalazioni, proposte,lettere e interventi allaredazione di “è vita”:

email: [email protected] fax: 02.6780483

L’appuntamentocon le pagine

di Avveniresui temidella bioetica

è per giovedì5 marzo

Ibridi & cloni: quando la scienza sbaglia tutto di Augusto Pessina*

Scienza & VitaIn unaricercal’americanoLanza tornaa insisteresullaclonazione.E dimenticatutto il resto

Dignità del malato:Fano a convegno

Anche la vita ha la sua pastoraleel mese incui si ècelebrata laGiornata perla vita, èpartita una

nuova iniziativadidattica, il «Corso dipastorale della vita»,

promossa dall’Istituto Giovanni Paolo IIper studi su matrimonio e famigliaall’Università Lateranense. Il corso ècondotto da monsignor Elio Sgreccia,presidente emerito della PontificiaAccademia per la Vita e della Fondazione«Ut Vitam Habeant» dedicata proprioalla pastorale della vita.L’iniziativa rappresenta una novità inambito universitario: «Diverse ragioni –spiega Sgreccia – rendono utile enecessario introdurre un corso dipastorale della vita nel piano di studiteologici. La Chiesa ha un compitospeciale nei confronti della vita,soprattutto quella più fragile e indifesa.Inoltre, ha il compito di favorirel’incontro tra la vita umana e la vita diCristo», sorgente della vita.Di vita umana si occupano in tanti:medici, politici , educatori, legislatori,«ma il compito specifico che solo laChiesa può svolgere – continua Sgreccia

– è sostenere la vita umana attraversoCristo e la sua grazia che non si arrendedi fronte a chi ha peccato e ha commessodelitti contro la vita. La Chiesa, per talecompito di cui si riconosce il bisogno,può offrire un apporto che tuttidovrebbero gradire e apprezzare».

n’altra ragione che stimola apromuovere l’iniziativa è «laposizione del magistero verso la vita,

richiamata e ribadita da Benedetto XVI».In particolare l’enciclica Evangelium vitaedi Giovanni Paolo II è un esempio diorganica trattazione della pastorale dellavita, che presenta l’aspetto descrittivo, ilcontenuto biblico, quello morale el’intervento pastorale. Ma, per applicareun’enciclica rivoluzionaria come laRerum novarum, occorre inserirne, tral’altro, le indicazioni nei programmidelle facoltà teologiche. In particolare,per pastorale della vita si intende – comespiega Sgreccia – l’elaborazione di queicontenuti antropologici, filosofici eteologici fondati sulla ragione e sullafede, che costituiscono il messaggiocristiano in ordine al valore della vitaumana e ai mezzi soprannaturali espirituali propri della Chiesa affinché lavita umana diventi, per il dono della vitadivina, essa stessa dono di salvezza.

Il nuovo corso di 24 ore prevede alcunelezioni sul significato della pastorale,come pure lezioni sui contenuti suggeritidall’Evangelium vitae e sul valore dellacreazione, per chiarire alcuni dubbi(riproposti dal bicentenario di Darwin)diffusi da una mentalità secondo cui lavita è frutto del caso. Il corso sottolineaanche l’apporto della Chiesa a una pienavisione della vita vera, quella eterna cheguida le nostre scelte temporali econforta il cristiano nei momenti deldolore e della morte.

a nuova offerta formativa si rivolgenon solo agli studenti della licenza edel master, già iscritti all’Istituto, ma

anche a uditori esterni, previa iscrizioneal corso, presso la segreteria dell’Istituto.Tra gli uditori si affacciano laici, inparticolare insegnanti e animatori digruppi parrocchiali, come pure sacerdotiche nel confessionale sperimentano ladifficoltà e la delicatezza nel trattare letematiche della vita, con l’interesse dioffrire un apporto di fede e dieducazione cristiana all’apostolato dellaChiesa.Per informazioni: segreteria delPontificio Istituto Giovanni Paolo II perStudi su Matrimonio e Famiglia(06/69886113; [email protected])

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UN

boxPiacenza fa le pulcial testamento«tanatologico»

«Mi accusanoingiustamentedi usare lamia storia perfare politica.Ma non mi in-teressa».Beppino En-glaro, Corrieredella sera, 21febbraio

erché mai farepolitica è qualcosadi cui essere"accusati"? È cosìbrutta e sporca, lapolitica? Se fare

politica significa entrare inParlamento, siamod’accordo: Englaro non fapolitica e, assicura lui, nonha intenzione di farla:«Candidarmi? Mai, neppurese tornasse il grande partitosocialista». Ma quandoscrivi un libro; quando vainove volte a Porta a Porta(il terzo ramo delParlamento)… per noi,questo è fare politica, insenso lato e nobile deltermine. Se vai in tv a direche un disegno di legge è«barbaro», se ti colleghi con

una manifestazione dipiazza fai politica eccome.Se sul giornale più diffusod’Italia dichiari: «Con miopadre parlavo di LorisFortuna, il socialista padredella legge sul divorzio eautore della prima propostasulla depenalizzazionedell’aborto. Poi ho sempreavuto in mente il partitosocialista, del quale BettinoCraxi prese le redini nel1976. Spero nella rinascitadel partito socialista», faipolitica. Ed è difficile dartorto a Giuliano Ferrara sescrive: «È acclarato che èstata compiuta unagigantesca operazionepolitica». A Englaro «noninteressa», forse. Ma la fa,eccome se la fa.

PLa politica non gli interessa, ma la fafrasi sfatte di T.G.

el contesto della cultura contem-poranea che considera l’uomo inmodo riduzionista, senza tenere

conto della dimensione della sua trascen-denza e della sua immagine e somiglian-za con il Creatore, siamo chiamati a ri-flettere sul valore della vita umana, dellamalattia, della morte non solo fisica e bio-logica. Non solo in termini di qualità masoprattutto in termini di dignità». Con que-ste parole monsignor Armando Trasartivescovo di Fano-Fossombrone-Cagli-Pergola, ha annunciato il convegno di stu-di sulla bioetica del dolore e fine vita or-ganizzato dal Centro di Bioetica Diocesa-no, in collaborazione con l’Ordine Pro-vinciale dei Medici Chirurghi, dal 21 al 24aprile presso il Centro Pastorale di Fano.Tra i relatori Luciano Fattori, presidenteprovinciale dell’Ordine dei Medici Chi-rurghi della Provincia di Pesaro e Urbino,l’oncologo Marco Maltoni, Antonio Gioac-chino Spagnolo, ordinario di Bioetica diMacerata; Maurizio Pietro Faggioni, ordi-nario di Bioetica Accademia Alfonsiana diRoma (info e iscrizioni su www.associa-zionelafamiglia.it/bioeticadeldolore.html)

Giacomo Ruggeri

Toscana

resce in Toscana –anche se non inmaniera significa-tiva – l’uso dellapillola del giornodopo. La conferma

arriva dai report sulle con-fezioni di levonorgestrelvendute attraverso le far-macie territoriali conven-zionate: secondo questi re-port, fornitici dalla Regio-ne Toscana, 35 donne ognimille in età fertile, tra i 15e i 49 anni fanno ricorso aquesto prodotto (erano 34nel 2007).Nel primo semestre 2008,dalle farmacie toscane so-no uscite 14.516 confezio-ni di pillole (erano state13.342 nel primo semestredel 2006 e 13.575 nei pri-mi mesi del 2007). Piùmarcato l’incremento diprescrizioni proprio a Pisa,nei mesi scorsi tristementebalzata sulle prime paginedei quotidiani perché quialcune donne avrebbero a-vuto difficoltà a reperirla:1.797 le confezioni utiliz-zate nel primo semestre2008 (erano state 1.472nello stesso periodo di dueanni prima e 1.570 nel pri-mo semestre 2007). Molte,se si pensa che sono 74.239le donne residenti all’in-terno del perimetro dicompetenza dell’aziendasanitaria di Pisa; e che que-sto prodotto è catalogatocome "contraccettivo d’e-mergenza" (anche se mol-ti ne rilevano il carattere a-bortivo) e che, appunto,anche a detta del ginecolo-go radicale Silvio Viale «do-vrebbe essere assunta soloin caso di emergenza».

l commento di MarcoCarraresi, capogruppodell’Udc in Consiglio re-

gionale: «Alcuni giornali,sempre in prima linea con-tro l’insegnamento dellaChiesa e dei valori cristia-ni, hanno fatto pubblicitàgratuita a questo prodotto.Parlare, com’è stato fatto,di "boom" nell’uso dellapillola del giorno dopo,quando l’incremento, indue anni, è inferiore al10%, mi sembra fuorvian-te e finalizzato a promuo-verne l’uso, in maniera noncerto responsabile». I dati –continua Carraresi – «sonocomunque preoccupanti,perché a essi è sottesa spes-so una grave sottovaluta-zione degli effetti della pil-lola del giorno dopo, e deisuoi meccanismi di fun-zionamento, spacciati co-me contraccezione d’e-mergenza. Non vi è sicura-mente la percezione di ciòche questo prodotto è, ov-vero un abortivo».

Andrea Bernardini

I

C

Pillola delgiorno dopoCresce l’uso

pochi giorni dalla mortedi Eluana Englaro, a Pia-cenza si è infatti discusso

del "diritto a morire" in un in-teressante convegno dal tito-lo provocatorio: Testamentobiologico (o tanatologico!?).Il convegno è stato promosso,

oltre che da Scienza & Vita Piacenza, anche dal-l’Amci, dall’Ordine dei medici, dal Meic, dall’Ug-ci e dalla Fondazione San Benedetto. PiergiorgioPoisetti, nefrologo presso l’ospedale Guglielmoda Saliceto e instancabile presidente dell’associa-zione piacentina, ci tiene a sottolineare i meriti ditutti gli organizzatori: «Se questa iniziativa è stataposta in essere così rapidamente, dobbiamosenz’altro ringraziare il dottor Carlo Mistraletti,persona vulcanica, che si dedica con entusiasmoa quella che possiamo definire un’efficace "pre-venzione" degli eventi». Già, come si fa a mettereun vulcano in pensione?L’incontro, svoltosi nelle antiche aule di un semi-nario attualmente sede di un liceo, si è rivelato unvero e proprio happening bioetico, che si è snoda-to tra l’analisi medica, politica e giuridica dei fatti.

ommenta Poisetti: «Questi argomenti sonosempre ostici da veicolare. Si stemperano da-vanti alla tv, nei talk show dove, comunque,

siamo spettatori passivi. Dal vivo, in mezzo allagente, elaborare un discernimento che possa tra-sformarsi in sentire comune, non è mai sempli-ce». È necessario pertanto elaborare una comuni-cazione che si presti alla comprensione, senza e-vitare le note dolenti o i punti critici. L’associazionepiacentina si è spesa molto in questo senso: «Co-me Scienza & Vita abbiamo cercato di portare u-na sintesi nuova. Secondo noi la bioetica falliscese non trae linfa da un dialogo continuo, anchetra credenti e non credenti. Al convegno era pre-sente e ha preso la parola anche il dottor GiorgioMacellari, agnostico, che è partito da posizionipro-eutanasiche e, alla fine, si è messo con noi acercare risposte. Il nostro sforzo, pur nella certez-za delle nostre posizioni, è quello di non con-trapporci "l’un contro l’altro armati", cercando,piuttosto, di sottolineare i valori comuni».

i impone, quindi, la necessità di trovare unaterza via che, partendo dai due capisaldi – néaccanimento, né eutanasia – superi la con-

trapposizione tra laicità forte e laicità debole e siavvii verso la formazione di quella che Piergior-gio Poisetti chiama, con felice sintesi, l’etica dellavulnerabilità: «Bisogna che si riparta dal basso,dall’incontro quotidiano con la vita, non dalle i-dee. Noi, come medici, siamo chiamati ogni gior-no a confrontarci non con la medicina, ma con ilmalato». In questa prospettiva, non vale più l’au-tonomia assoluta della ragione, ma occorre unasensibilità specifica alla condizione della malat-tia e della fragilità.Scienza & Vita Piacenza non smette dunque di pro-gettare mentre le nuove leve stanno crescendo al-l’interno dell’organizzazione, perché l’importanteè "non farsi mai trovare impreparati dagli eventi".

Emanuela Vinai

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