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Quaderno di lavoro e riflessione per ragazzi in ricerca vocazionale a cura dei Salesiani.

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INPUT

IL SOFFIO

Spirito del Padre vieni a vivere in noi: alleluia canteremo per le strade della vita.

• Vieni Padre dei poveri, vieni luce splendida.

• Scendi amico degli umili, forza per i deboli.

• Tu conforti chi è solo, salvi dai pericoli.

• Tu creatore dei mondi, ami la mia vita.

• Vieni a darci la pace, pace che ci libera.

IL MEDICO DELL’ANIMAIL CONFESSORE STABILE

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• la creatura umana, cioè il profeta Isa-ia, si sente un “uomo dalle labbra impu-re” che abita “in un popolo dalle labbra impure”, cioè si sente lontano da Dio e appartenente ad un popolo che vive lontano da Dio a causa del peccato; si tratta di un’esperienza simile a quella del giovane Giovanni Bosco, che alle soglie dell’Ordinazione sacerdotale, sentiva fortissima la propria indegnità rispetto al dono grande che stava per ricevere.Il Signore però non lo “mette in dispar-te”, ma invia un cherubino a toccare le labbra di Isaia, perché sia partecipe della sua santità e possa annunciare le parole che Lui vorrà.

3. CHE RISPOSTA DIO SI ATTENDE DA ME?Il profeta ha un dono straordinario: non solo può contemplare la gloria di YHWH nel suo Tempio senza morire, ma addirittura Dio lo rende partecipe della sua santità, per cui egli può esse-re disponibile alla missione che il Signo-re vorrà affi dargli. Noi ci troviamo in situazione ancora mi-gliore rispetto ad Isaia: possiamo infatti vedere la gloria di Dio in Gesù morto e Risorto; egli infatti si è fatto nostro fra-tello per togliere ogni distanza tra gli uo-mini e Dio, per renderci partecipi della sua santità e della sua missione di sal-vezza. Gesù è vivo e presente qui per noi in Don Bosco prete: egli da un lato, con la sua vita, ha fatto vedere a tanti ragazzi e giovani che la “gloria” di Dio era il suo amore tenero e provvidente per tutti i suoi fi gli; dall’altro, esercitan-do per ore il ministero della confessio-ne, ha denunciato l’orrore del peccato, che ci stacca dalla santità di Dio, ed ha mostrato che Dio è padre e con il suo abbraccio di misericordia ci fa sempre

dono della sua amicizia.Se Isaia, con grande fede, può dire a Dio “eccomi, manda me”, rendendosi disponibile alla vocazione cui è chiama-to, ancor più lo possiamo noi, poiché Gesù, in don Bosco, ci rende partecipi di questo progetto di santità.

4. IN SINTESI…Il Signore in questo passo ci aiuta a ca-pire un aspetto molto importante del mistero della vocazione.

1. Dio è il “tre volte santo” ed il suo amore è senza misura, per cui, nei suoi confronti, noi ci sentiamo sempre man-canti.

2. Il peccato, che coinvolge noi ed i no-stri fratelli, ci rende paurosi davanti alla vocazione ed incapaci di fi darci di Dio.

3. La vocazione è anzitutto invito di Dio a partecipare alla sua santità; basta pensare a don Bosco che ha invitato i ragazzi a stare con lui per fare un “eser-cizio di carità” e crescere nella santità.

L’ECO

LA PAROLA

IS 6,1-81Nell’anno in cui morì

il re Ozia, io vidi il

Signore seduto su un

trono alto ed elevato;

i lembi del suo manto

riempivano il tempio. 2Sopra di lui stavano

dei serafi ni; ognuno

aveva sei ali: con due

si copriva la faccia, con due si

copriva i piedi e con due volava. 3Proclamavano l’uno all’altro,

dicendo: «Santo, santo, santo

il Signore degli eserciti! Tutta la

terra è piena della sua gloria». 4Vibravano gli stipiti delle porte al

risuonare di quella voce, mentre

il tempio si riempiva di fumo. 5E

dissi: «Ohimè! Io sono perduto,

perché un uomo dalle labbra

impure io sono e in mezzo a un

popolo dalle labbra impure io

abito; eppure i miei occhi hanno

visto il re, il Signore degli eserciti».6Allora uno dei serafi ni volò verso

di me; teneva in mano un carbone

ardente che aveva preso con le

molle dall’altare. 7Egli mi toccò

la bocca e disse: «Ecco, questo

ha toccato le tue labbra, perciò

è scomparsa la tua colpa e il tuo

peccato è espiato».8Poi io udii la voce del Signore che

diceva: «Chi manderò e chi andrà

per noi?». E io risposi: «Eccomi,

manda me!».

1. DOVE CI TROVIAMO?Il passo che abbiamo letto si trova all’i-nizio di quella sezione del testo di Isaia conosciuto come il “Libro dell’Emma-nuele” (capp. 6-12), che contiene gli oracoli del profeta riguardo al regno di Israele ed il loro compimento durante la guerra Siro Efraimitica (734-732 a.C.). I passi più famosi di questa sezione sono due: la profezia, rivolta al re Acab, sull’Emmanuele –il Dio con noi-, che preannuncia la venuta di Cristo, e il rac-conto della vocazione del profeta, che apre il cap. 6 e che ha luogo alla morte del re Ozia, nell’anno 740 a.C.

2. CHE COSA MI DICE DIO?La scena è ambientata nel Tempio di Gerusalemme, più precisamente nell’ekàl, la stanza antistante al Santo dei Santi, cioè il luogo ove era custodi-ta l’Arca dell’Alleanza e sede della pre-senza di YHWH, che lì dimorava con tutto il suo cavòd (la sua gloria e la sua santità).Tale gloria domina tutta la scena: il manto di Dio copre il Tempio, il fumo, che già sul Monte Sinai era stato il se-gno della presenza divina, lo riempie e la voce possente, che proclama Dio “tre volte santo” (cioè santissimo), fa tremare gli stipiti delle porte. Davanti alla santità ed alla gloria del Signore le creature sentono tutta la propria inde-gnità:• le creature celesti, cioè i cherubini, si coprono con le loro ali;

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1. I lembi del suo manto riempivano il tempio. Dio manifesta a noi il suo amore e la sua santità nella preghiera. Coltivi il rapporto

con lui? Lo conosci? Leggi il Vangelo?

2. Un uomo dalle labbra impure io sono. Tutti facciamo l’esperienza del peccato. Come reagisci quando ti capita di

sperimentare la tua debolezza? Ti abbatti? Lasci perdere il tuo rapporto con Dio? Oppure lo consegni al tuo confessore il quale, donandoti il perdono di Dio, ti aiuta a crescere nella santità?

3. «Eccomi, manda me!». Dio ci fa una proposta impegnativa, la santità; don Bosco non aveva paura

di proporre mete alte ai propri ragazzi. Tu sei disponibile a intraprendere una cammino bello ma impegnativo come questo? Ti fai aiutare da un confessore stabile?

4. Egli mi toccò la bocca con il carbone ardente. Dio, tramite don Bosco, ci coinvolge in un progetto di santità. Ne sei cosciente?

Quando frequenti la casa di don Bosco, sai di essere coinvolto in questo?

PER LA TUA VITA

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0. IL CONTESTO Immaginate per un momento che io (ndr l’autore) stia giocando a pal-lone il sabato pomeriggio in un parco, ho appena fatto un gran goal di quelli per cui puoi vantarti non poco con gli amici, mentre ritorno verso la mia porta mi si oscurano gli occhi, sento una fi t-ta tremenda allo stomaco e mi ritrovo per terra in un battibaleno. Quando mi risveglio ho male in tutto il corpo, spe-cialmente al cuore, non capisco cosa mi stia accadendo, ma apro gli occhi vedo un’amico che sta chiamando l’ambulanza. - Sei matto! - gli urlo con quel fi lo di voce che mi è rimasta - Ci penso io a curarmi, è una questione solo mia, cosa ne sanno di me quei camici bianchi lì, tutto il santo giorno rinchiusi in ospedale e poi arrivano qui, vogliono sapere dove ti fa male, toccano i punti più dolorosi, ti chiedono di prendere medicine strane, per lungo tempo, con costanza preci-sione e continuità, sì…arrivano e voglio-no comandare tutti a bacchetta!

- Sei matto tu! - risponde un mio caro amico - Guarda che rischi di brut-to, può anche essere una cosa grave la tua! - E chi lo dice che è grave? Lo dicono loro! Saprò io cos’è meglio per me? E adesso lasciatemi in pace. Mi rendo conto che il siparietto appare surreale, ma a volte ragioniamo proprio così quando si tratta non della salute del corpo, ma dell’anima nostra. Crediamo che l’unico modo per risol-vere le questioni della coscienza sia il “fai da te”. A decidere cosa è bene e cosa è male siamo noi, la barca della nostra vita la governiamo noi, gli altri al massimo sono utili come l’aiuto del pubblico, una sorta di sondaggio, nulla più. Ogni intromissione, anche se con buone intenzioni, è una violazione del-la mia libertà. Questo modo di pensare trova un suo specchio nella bella can-zone di Alex Britti dal titolo “.23”.

.23 un calcolo balisticoper vivere più

ACTIO

LA RISPOSTA

IL GRIDO

L’IMPEGNO

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intensamente dolcemente.23 perchè è il giorno del mio comple-annoe poi si sache porta anche fortuna quindipunto su di me per vincerequei giorni che d’amore non ce n’èmi guardo intorno e vedo soloil buio intorno a mequel buio che in fondo poi non c’è

.23 tutta la vitaè come un tiro alla roulette c’è una pallina che gira e girapoi si fermerà, una ragazza apparee la dolcezza esploderàmi prende di sorpresa quindipunto su di meper dare un senso al tempo che più passa e più ce n’èla regola è bleffare onestamente e sai perchèla vita dura il tempo di un caffè

.23 e nuoto contromanoin un fi ume di perchèma poi seguo l’istintoe c’è una voce dentro me che dice sempre punta su di te

Non così è nell’oratorio di don Bosco! I suoi ragazzi hanno un rapporto con lui che è completamente diverso.

1. L’ANAMNESI Francesco è arrivato da pochi mesi in oratorio e nella sua umiltà since-ra vede tutti i suoi compagni più buoni di lui e desidera imitarli. Per fare questo decide di adoperare una strategia che don Bosco consiglia sovente ai suoi ra-gazzi, specialmente i nuovi arrivati. “Sul principio della novena della Natività di Maria SS. si presentò al suo direttore dicendogli: Io vorrei pas-sar bene questa novena e fra le altre

cose desidero di fare la mia confes-sione generale. Il direttore come ebbe inteso i motivi che a ciò lo deter-minavano rispose di non ravvisare al-cun bisogno di far simile confessione, ed aggiunse: Tu puoi vivere tranquillo, tanto più che l’hai già fatta altre volte dal tuo Arciprete. - Sì, ripigliò, io l’ho già fatta all’occasione della mia prima comunione, ed anche quando ci furo-no gli esercizi spirituali al mio paese, ma siccome io voglio mettere l’a-nima mia nelle sue mani, così desidero di manifestarle tutta la mia coscienza, affi nché me-glio mi conosca, e possa con più sicurezza darmi quei consi-gli che possono meglio giova-re a salvarmi l’anima. Il direttore acconsentì: lo lodò della scelta, che voleva fare d’un confessore stabile; lo esortò a voler bene al confessore, pregare per lui, e manifestargli sem-pre qualunque cosa inquietasse la sua coscienza. Quindi lo aiutò a fare la desiderata confessione generale. Egli compì quell’atto coi più commoventi segni di dolore sul passato e di pro-ponimento per l’avvenire, sebbene, come ognuno può giudicare, consti dalla sua vita non aver mai commessa azione, che si possa chiamare pecca-to mortale.” (Giovanni Bosco, Vita del giovane Besucco Francesco, 58) Immaginate: è la prima volta che vado dal medico, mi presento e gli dico semplicemete: “Dottore Bianchi, non sto bene mi curi!”, il dottore corruccia le sue folte ciglia nere mettendo in evi-denza le rughe e dice: ”Troppo vago, troppo vago!” e meditabondo continua a scrutarmi. Ecco l’errore: con coraggio è necessa-rio raccontare tutta la propria storia cli-nica, le cure già messe in atto, le medi-cine in uso, le intolleranze alimentari e le allergie, si descrivano con abbondanza di particolari i dolori e le sofferenze che

ci opprimono. Spesso è necessario per poter diagnosticare correttamente la malattia e per indicare la terapia miglio-re, svelare le abitudini di vita, i vizi, che infl uiscono sulla nostra salute. Pensate se per timore del giudizio del nostro dottore, a fronte di un fegato che duo-le, omettesimo di dirgli la nostra abitu-dine ad alzare il gomito…sarebbe folle! Francesco ha avuto il coraggio di fare una vera e propria “anamnesi spiri-tuale” per consegnarsi totalmente nelle mani del suo “medico dell’anima. La confi denza assoluta, come di padre e fi glio, tra confessore e peni-tente era per don Bosco la condizione fondamentale per un cammino di san-tità orientato a comprendere la volon-tà di Dio su ciascun giovane…un’altro Francesco lo ha capito bene. Vediamo! “La merenda, la merenda!.”Una turba di ragazzi si precipitò urlando fuo-ri dalle aule verso due cestoni ricolmi di pagnotte. “Uno ciascuno, non di più” – gridavano i panettieri. Francesco Piccolo, un ragazzo di 11 anni, guardava tutta quella ressa e attendeva il suo turno per adden-tare qualcosa di buono e di soffice. Pensava però che una pagnotta sola era poco a confronto dell’ap-petito. Avesse potuto raddoppiare la razione... Mentre pensava così, vide che alcuni suoi compagni, dopo aver intascata una prima razione, si riponevano tranquillamente in fila, e s’impadronivano di due, tre pagnot-te, senza che nessuno se n’accor-gesse. «Anch’io - raccontò France-sco Piccollo - mi lasciai allora vincere dall’appetito e approfittando di una distrazione dei panettieri, rubai due pagnotte e fuggii dietro il porticato, a mangiarle con avidità. Ma poi ne pro-vai rimorso: “Ho rubato - pensavo -. E domani come oserò fare la comunione? Devo confessar-mi!”, Ma il confessore era don

Bosco e io sapevo come si sarebbe addolorato al sapere che avevo rubato. Come fare? Scappai dalla porta della chiesa, e corsi al vicino santuario della Con-solata. Entrai nella chiesa semibuia, scelsi il confessionale più nascosto e cominciai la mia confessione:- Sono venuto a confessarmi qui per-ché ho vergogna di confessarmi da don Bosco.Una voce rispose:- Di’ pure, don Bosco non saprà mai niente.Misericordia! Era la voce di don Bosco! Sudavo freddo. Ma se don Bosco era all’oratorio, come poteva essere lì? Un miracolo? No, niente miracolo. Don Bosco era stato invitato a confessare alla Consolata, ed io mi ero imbattuto precisamente in colui che volevo fug-gire.- Parla, caro fi gliolo! Cosa ti è succes-so?Tremavo come una foglia: - Ho rubato due pani.- E ti hanno fatto male? - No!- E allora non affl iggerti. Avevi fame?- Sì.- Fame di pane e sete di acqua, buona fame e buona sete! Guarda: quando avrai bisogno di qualche cosa, chiedila a don Bosco. Ti darà tutto il pane che vorrai, ma ricordati bene: don Bo-sco è contento se gli dai con-fi denza. Con la tua confi denza ti potrà aiutare. La ricchezza di don Bosco è la confi denza dei suoi fi gli. Non dimenticarlo mai, Fran-cesco.” (Teresio Bosco, Don Bosco una biografi a nuova) Ancora uno sforzo di fantasia: con la mia ricetta in mano torno ver-so casa sollevato per le preziose indi-cazione del dott. Bianchi, per un po’ di tempo sono in perfetta salute, ma dopo alcune settimane torno a non sentirmi bene, vomito, nausea, stan-

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chezza…non ce la faccio più! Adesso basta, la mia vicina di casa, la “sciura” Maria, mi ha detto che il dott. Rossi è un bravissimo dottore, vado da lui…e poi se andassi ancora dal dott. Bianchi chi glielo dice che non ho fatto rego-larmente le punture che mi aveva pre-scritto? No, no meglio andare dal dott. Rossi, e poi il dott. Bianchi non mi sta-va neanche simpatico con quelle ciglia nere sempre arruffate!Mah…sentiamo cosa ne pensa don Bosco a riguardo… “Si eviti il difetto di alcuni, che cangiano confessore quasi ogni vol-ta che vanno a confessarsi; oppure dovendo confessare cose di maggior rilievo vanno da un altro, ritornando poscia dal confessore primitivo. Fa-cendo così costoro non fanno alcun peccato, ma non avranno mai una guida sicura che conosca a dovere lo stato di loro coscienza. A costo-ro accadrebbe quello che ad un ammalato, il quale in ogni visita volesse un medico nuo-vo. Questo medico diffi cilmen-te potrebbe conoscere il male dell’ammalato, quindi sarebbe incerto nel prescrivere gli op-portuni rimedi.” (Giovanni Bosco, Vita del giovane Besucco Francesco, 59) Francesco lo aveva capito, se si vuole che il confessore non sia solo un dispensatore di perdono, ma una vera e propria guida per il nostro cammino, bisogna essergli fede-li, anche quando costa fatica, anche quando temiamo di deluderlo, anche quando per l’ennesima volta ricadia-mo nello stesso peccato. Nella sua voce, udiamo l’eco della volontà del Signore, nei suoi consigli, tanto più accurati quanto più a lui ci siamo af-fi dati, riconosciamo un aiuto decisivo per comprendere la strada da per-correre nella nostra vita. Non pochi

sono i giovani che proprio in un cam-mino di confessione regolare e ben fatta hanno scoperto la vocazione a cui Dio li chiamava e rinnovato il desi-derio di seguirla con tutto il cuore.

2. LA DIAGNOSI Michele dopo un tempo di en-tusiasmo in oratorio inizia a farsi sem-pre più serio e pensieroso, non gioca più, a volte versa qualche lacrima di nascosto. A don Bosco non sfugge questa anomalia e un giorno, facendo-si coraggio si fa avanti e gli dice: “- Caro Magone, io avrei biso-gno che mi facessi un piacere; ma non vorrei un rifi uto. - Dite pure, rispose ardi-tamente, dite pure, sono dispo-sto a fare qualunque cosa mi comandiate. - Io avrei bisogno che tu mi lasciassi un momento padro-ne del tuo cuore, e mi manife-stassi il motivo di quella malin-conia che da alcuni giorni ti va angosciando. - Sì, è vero, quanto mi dite, ma ... ma io sono disperato e non so come fare. Proferite queste parole diede in un dirotto pianto. Lo lasciai sfogare al-quanto; quindi a modo di scherzo gli dissi: Come! tu sei quel generale Mi-chele Magone capo di tutta la banda di Carmagnola? Che generale tu sei! non sei più in grado di esprimere colle paro-le quanto ti duole nell’animo! - Vorrei farlo, ma non so come cominciare; non so esprimermi. - Dimmi una sola parola, il rima-nente lo dirò io. - Ho la coscienza imbrogliata. - Questo mi basta; ho capi-to tutto. Aveva bisogno che tu dicessi questa parola affi nchè io potessi dirti il resto. Non voglio per ora entrare in cose di coscienza; ti darò solamente le

norme per aggiustare ogni cosa.” (Gio-vanni Bosco, Cenno biografi co sul gio-vanetto Magone Michele, 59) Ancora uno sforzo di fantasia: sono a casa mia e non mi decido ad andare dal dott. Bianchi per un motivo che nenche io so, ad un certo punto suona il campanello, mi alzo, scosto le tende per vedere chi è a quest’ora del-la mattina e…non ci posso credere è il dott. Bianchi! E ora? Cosa faccio? Lo faccio entrare? Cosa vuole quest’im-piccione? Vedo che ha la borsa degli atrezzi, ho paura…no, no meglio far fi n-ta di non esserci, zitto, zitto vedrai che se ne va! Vi starete chiedendo se sono pazzo, una visita a domicilio di uno sti-mato dottore rifi utata così, però a volte ragioniamo proprio così quando si trat-ta di aggiustare gli affari dell’anima no-stra con la confessione, temiamo che qualcuno si interessi della salute dell’a-nima nostra, siamo gelosi dei nostri se-greti…ma se Michele avesse ragionato così, se non avesse avuto il coraggio di farsi toccare da quel sapiente medico spirituale che è don Bosco, se lo aves-se allontanato con una scusa qualsiasi, che peso ancora ci sarebbe nel suo cuore, quanto bene non avrebbe po-tuto fare? Bisogna avere il coraggio di la-sciare al nostro confessore lo spazio per toccare le ferite della nostra vita e permettere che vi versi il vino e l’olio del Buon Samaritano (Lc 10,25-37), che soli hanno la forza di sanare ogni ferita anche la più profonda e dolorosa. Fra-gile potere della confessione.

3. LA TERAPIA Per don Bosco la confessio-ne era il luogo privilegiato per aiutare i suoi giovani nella comprensione del-la loro vocazione, certo don Bosco aveva doni speciali del Signore che gli

permettevano di leggere nel cuore dei suoi ragazzi, di vederne lo stato di co-scienza…come nel caso di Evasio: “Evasio Garrone entrò come studente nell’Oratorio il 4 agosto 1878. Aveva diciott’anni e a casa sua face-va il negoziante. Erano le sette della sera. Giunto alla porta della sacrestia, vide una processione di giovani avviar-si là dentro. Curioso seguì la corrente ed ecco ivi un prete che confessava, attorniato da molti ragazzi che si pre-paravano. S’inginocchiò con essi, ma pensando più a casa sua che non a’ suoi peccati.Venuto il suo turno, impreparato com’era, restò muto, nè riusciva a ri-cordarsi di un solo peccato. Allora quel prete gli disse: - Parlerò io. - E uno dopo l’altro per ordine di tempo e con le in-dicazioni dei luoghi gli snocciolò tutti i suoi peccati, indicandone il numero e le circostanze. Ciò fatto, gli diede alcuni avvisi con tanta fede e con tanto affet-to che ad ogni sua parola egli si sentiva sempre più confortato, e la contentez-za del cuore gli crebbe a segno che gli sembrò di essere in paradiso. In ultimo il confessore disse al penitente: - Gar-rone, ringrazia la Madonna; dopo sei anni che tu sospiravi, ella ti ha esaudito. Sii di lei sempre devoto, ed ella ti salve-rà ancora da tanti pericoli. Dall’età appunto di dodici anni il giovane nutriva il segreto desiderio di farsi prete; ma, conoscendo essere impossibile per la sua famiglia mante-nerlo alle scuole, non aveva manifesta-ta ad anima viva quella sua inclinazione. […] Finita la confessione, si ritrasse in un canto della sacrestia, si pose in gi-nocchio e con le mani dietro la schiena se ne stava là da smemorato, contem-plando quel misterioso confessore, che gli aveva scoperti tutti i suoi segre-ti. Diceva fra sè: - Che questo prete, il quale mi conosce così bene, sia del mio paese? Ma a Grana io non l’ho mai

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visto! Come fa dunque a conoscermi così ? - Pensava alla confessione, pen-sava alle belle parole udite, nè tra me-ravigliato e commosso sapeva, levarsi da quella posizione. All’indomani, mentre stava in cortile, vide tutti i giovani correre verso un prete che allora si avanzava. Corse anche lui. Era proprio quel della con-fessione. Appena gli fu vicino, udì che diceva a un giovanetto: - Ti voglio far cuocere. Indi, rivolto a lui, soggiunse: - Anche qui Garrone lo voglio far cuocere. - Ma insomma, pensava fra sè Garrone, chi è questo prete che mi chiama per nome, che sa tutti i miei affari, che mi vuole far cuocere? - E senz’altro lo interrogò: - Dica, ma lei è del mio paese? - Io no, rispose il prete. Mi conosci tu? - Io non l’ho mai visto. - Ciò detto, chie-se a un vicino chi fosse quel prete. Don Bosco, il Direttore dell’Oratorio... - Sì, sono Don Bosco, replicò il prete sorridendo. - Ma non è lei che mi ha mandato la lettera di accettazione!... - Così io parlava, spiegò Don Garrone a Don Lemoyne, perchè era un gio-vane di grosse maniere e non sapeva quello che mi dicessi. Da quel punto però sentii per Don Bosco una profon-da venerazione.” (MB XIII, 895-896) Certo la cottura di cui parla don Bosco non è quella culinaria, ma era uno dei tanti modi di dire che aveva per suggerire ai ragazzi di confrontarsi se-riamente con la vocazione consacrata o con il sacerdozio. Ecco che allora il confessore al quale con sincerità ab-biamo consegnato la nostra esisten-za perchè sia riconciliata con Dio può diventare un’autentico mediatore per un vero discernimento vocazionale, egli ha l’osservatorio più qualifi cato in assoluto per scorgere l’azione di Dio in un anima e magari anche quella parti-colarissima azione che è il “Vieni e se-

guimi” (Mt 19,21) del Signore Gesù. Egli è osservatore ed insieme alleato del combattimento che avviene tra la gra-zia di Dio e l’uomo vecchio che è in noi, affi nchè quotidianamente peccatori ri-conciliati possiamo sentire, capire ed amare ciò che Dio ha pensato per noi.

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LA DOMANDA

1. Ho un confessore stabile che posso chiamare il mio vero medico dell’anima? Ogni quanto lo incontro?

2. Ho piena confi denza nel mio confessore? Sono sempre pienamente sincero nelle mie confessioni?

3. Ho mai parlato di vocazione con il mio confessore ordinario?

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OUTPUT

1. Anamnesi dimenticata: riguardo alle confessioni passate se ho omesso qualcosa volontariamente o dimenti-cato qualche cosa di importante.

2. L’appuntamento stabilito: ogni quanto mi confesso, mi preparo bene, sono fedele.

3. La cura precisa: prendo nota in un quadernetto spirituale dei propositi e delle indicazioni del confessore.

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PUREZZA EVOCAZIONE

2INPUT

Spirito di Dio riempimiSpirito di Dio battezzamiSpirito di Dio consacramivieni ad abitare dentro me Spirito di Dio guariscimiSpirito di Dio rinnovamiSpirito di Dio consacramiVieni ad abitare dentro me Spirito di Dio riempiciSpirito di Dio battezzaciSpirito di Dio consacraciVieni ad abitare dentro noi (2 v.)

IL SOFFIO

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LA PAROLA

LECTIO GEN 39,6B-206bOra Giuseppe era bello di forma

e attraente di aspetto.7Dopo questi fatti, la moglie del

padrone mise gli occhi su Giusep-

pe e gli disse: «Còricati con me!». 8Ma egli rifi utò e disse alla moglie

del suo padrone: «Vedi, il mio si-

gnore non mi domanda conto di

quanto è nella sua casa e mi ha

dato in mano tutti i suoi averi. 9Lui stesso non conta più di me in

questa casa; non mi ha proibito

nient’altro, se non te, perché sei

sua moglie. Come dunque potrei

fare questo grande male e pec-

care contro Dio?». 10E benché

giorno dopo giorno ella parlasse

a Giuseppe in tal senso, egli non

accettò di coricarsi insieme per

unirsi a lei.11Un giorno egli entrò in casa per

fare il suo lavoro, mentre non

c’era alcuno dei domestici. 12Ella

lo afferrò per la veste, dicendo:

«Còricati con me!». Ma egli le la-

sciò tra le mani la veste, fuggì e se

ne andò fuori. 13Allora lei, veden-

do che egli le aveva lasciato tra le

mani la veste ed era fuggito fuori, 14chiamò i suoi domestici e disse

loro: «Guardate, ci ha condotto in

casa un Ebreo per divertirsi con

noi! Mi si è accostato per coricarsi

con me, ma io ho gridato a gran

voce. 15Egli, appena ha sentito che

alzavo la voce e chiamavo, ha la-

sciato la veste accanto a me, è

fuggito e se ne è andato fuori».16Ed ella pose accanto a sé la ve-

ste di lui fi nché il padrone venne

a casa. 17Allora gli disse le stesse

cose: «Quel servo ebreo, che tu ci

hai condotto in casa, mi si è ac-

costato per divertirsi con me. 18Ma

appena io ho gridato e ho chiama-

to, ha abbandonato la veste pres-

so di me ed è fuggito fuori». 19Il pa-

drone, all’udire le parole che sua

moglie gli ripeteva: «Proprio così

mi ha fatto il tuo servo!», si accese

d’ira. 20Il padrone prese Giuseppe

e lo mise nella prigione, dove era-

no detenuti i carcerati del re.

L’ECO

DOVE CI TROVIAMO?Il libro della Genesi, dopo aver lungamente narrato –a partire dal cap. 12- le vicende dei Patriarchi Abramo, ≤sua ascesa nella corte faraonica (cap. 41), le due discese dei suoi fratelli in Egitto a causa della carestia e la manifestazione di Giuseppe (capp. 42-45), la discesa di Giacobbe e l’incontro con Giuseppe (capp. 45-47), gli ultimi atti di Giacobbe in Egitto (capp. 48-49), la morte di Giacobbe e di Giuseppe (capp. 50).

CHE COSA MI DICE DIO?La scena è ambientata nella casa di Potifar, consigliere del Faraone e capo delle sue guardie. Egli riconosce delle qualità eccezionali in Giuseppe –il Signore era infatti con lui (cfr. v. 3)- per cui gli affi da l’amministrazione della sua casa; lo schiavo, venduto a tradimento dai suoi fratelli, ha nuovamente fatto fortuna, grazie all’aiuto di Dio!Ma ecco, inaspettata, una nuova insidia: la moglie di Potifar propone al giovane servo di unirsi a lei, tradendo così la fi ducia del padrone e venendo meno alla legge di Dio. Davanti al rifi uto di Giuseppe la donna non desiste e gli tende il fatale tranello che lo porta ad essere gettato in prigione. Ma anche qui Dio non lo abbandona e, come si legge nei capitoli successivi, Giuseppe non solo verrà liberato, ma addirittura farà fortuna, grazie alla sua capacità di leggere i sogni, nella corte dello stesso Faraone.

CHE RISPOSTA DIO SI ATTENDE DA ME?Dio chiede a Giuseppe di essere fedele alla sua legge, in base alla quale non è

bene abusare della sessualità unendosi con la moglie di un altro. Giuseppe potrebbe “approfi ttarsi” della situazione in cui si trova, ma sceglie di custodire l’amicizia con Dio, lottando con le insistenti insidie della moglie di Potifar e pagando di persona –e a caro prezzo- la sua rettitudine morale. Del resto, se avesse acconsentito alle proposte della donna, non solo avrebbe tradito la fi ducia del suo padrone, ma avrebbe attirato su di sé la “maledizione” di Dio; tutto il bene che si era costruito sarebbe andato perduto!

IN SINTESI…Il passo che abbiamo letto descrive molto bene la condizione in cui si trova un giovane cristiano.

1. La nostra vita è colma, fi n dalla gio-vinezza, della benedizione di Dio, che non viene mai meno.

2. Inaspettatamente ed insistente-mente la tentazione si presenta nella nostra vita, per farci tradire l’alleanza con Dio.

3. La dimensione della sessualità è quella in cui il male si insidia con mag-giore insistenza ed astuzia poiché un giovane, proprio perché si trova in una stagione di maturazione, è particolar-mente fragile.

4. Se un giovane “molla” la custodia della propria dimensione affettivo/ses-suale rischia di far “andare a rotoli” tutta la propria esperienza cristiana (non di-mentichiamo l’insistenza di don Bosco sulla virtù della “purezza”).

5. La lotta può essere in certi momenti molto dura giacchè il male è insidioso e insistente.

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1. Ora Giuseppe era bello di forma e attraente di aspetto. La giovinezza è il tempo in cui la benedizione di Dio si manifesta nella nostra vita ed i doni da lui ricevuti risplendono davanti ai nostri occhi; anche la salute e la bellezza sono una forma di questa benedizione. Sei cosciente che tutto ciò che hai è un dono del Padre? Sai che la corporeità e l’affettività sono le cose più preziose che Dio ci ha dato? Ringrazi per questi doni?

2. La moglie del padrone mise gli occhi su Giuseppe. Quando meno ce l’aspettiamo e quando tutto nella vita scorre sereno, so-praggiunge forte la tentazione. Sei vigilante e prudente? Eviti le occasioni di male (immagini; fi lm; frequentazioni; uso cattivo del tempo;…)? Coltivi le “buone pratiche” (fare sport; coltivare amicizie sane;…) che ti aiutano nella custodia del tuo cuore e del tuo corpo?

3. Come dunque potrei fare questo grande male e peccare con-tro Dio? Giuseppe ha un motivo “forte” per resistere alle insidie della moglie di Potifar: la fedeltà all’alleanza con Dio. Custodisci la tua affettività e la tua sessualità? Ti apri con il tuo confessore sulle fatiche che incontri in questa dimensione?

4. Il padrone prese Giuseppe e lo mise nella prigione. Giuseppe, in questo momento di lotta contro le insidie della moglie di Potifar, sperimenta ancora una volta la fatica: dall’onore alla vergogna. Ti attrezzi alla lotta per la custodia della purezza? Sei fedele alla preghiera, alla Con-fessione regolare ed all’Eucaristia? Preghi la Vergine Maria, Immacolata ed Ausiliatrice?

PER LA TUA VITA

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IL GRIDO

L’IMPEGNO

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0.1 LA DITTATURA DELL’EROS “Tre sono le parole che vanno coniugate a riguardo della sessualità: sesso, erotismo e amore. Chiamiamo sesso tutto ciò che nella vita dell’uomo è impiantato per la riproduzione della specie, non è un prodotto culturale, ma naturale. Ha sue regole, la sua energia, la sua disponi-bilità molto superiore a quanto è ne-cessario per la riproduzione. La natura non può correre rischi e non essere prodiga rispetto a questo compito. L’e-rotismo è il piacere collegato alla espe-rienza della riproduzione, la natura ha spinto l’ingegno umano a inventarlo; dà all’atto sessuale un valore aggiunto al di là e al di fuori della sua funzione ripro-duttiva. E’ collegato strettamente alla funzione riproduttiva, che è condizione indispensabile per il suo esistere, ma se ne distingue. L’amore è la scelta di dono e di signifi cato, di comprensione e di trasformazione, di vocazione e di motivazione che governa e il sesso e l’erotismo. E’ una sorta di sovrastruttu-

ra emotiva e intellettuale, che investe il sesso di numerosi nuovi signifi cati. La storia del sesso è l’eterna lotta tra que-ste tre realtà che tendono a prevalere o a scomparire a seconda della cultura, del potere, delle fi losofi e. Oggi la novità senza precedenti è che l’erotismo reclama la sua assoluta indipendenza dal sesso e dall’amore, dalla funzione riprodut-tiva e dal signifi cato della decisione in cui si colloca. E’ unica e suffi ciente ra-gione e scopo di se stesso. La libertà di cercare il piacere sessuale fi ne a se stesso, senza condizioni, senza legami o briglie, libero di contrarre e sciogliere qualsiasi rapporto di convenienza, è assurta a livello di norma culturale. “Il giovane - conclude Mons. Si-galini - spera ancora che nei suoi com-portamenti sessuali, che a noi sembra-no senza regola, si possa trovare rispo-sta alla solitudine, alla voglia di amare, alla sete di compagnia, di dialogo. Si assiste oggi a uno spostamento dal genitale all’affettivo. E’ la necessità di

ACTIO

LA RISPOSTA

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affetto, di sentirsi di qualcuno, di avere una compagnia per affrontare la vita, di sentirsi accolto, coccolato, amato.” (Mons. Domenico Sigalini, Solo l’amore fa vivere, 5)

0.2 LA PRECARIETÀ NEGLI AFFETTI “Ieri quando avevi diciott’anni ti si diceva: “E’ fi nita l’età della stupide-ra, è ora di mettere la testa a posto. Se non vuoi lavorare va all’università e decidi da che parte stare, se vuoi lavo-rare sappi che sarai sempre come hai cominciato. Non fare come me, cercati un futuro più arioso. Hai una ragazza? Mettiti a posto intanto che ti possiamo dare una mano anche noi. Hai il ragaz-zo? Tienitelo stretto, altrimenti farai la zia”. E si andava a studiare decisi: inge-gnere, medico, avvocato, insegnante, ricercatore... oppure ci si fermava in un buon lavoro e cominciavano ad arriva-re soldi e soddisfazioni. Ci si poteva an-che sposare. Una fatica boia a trovare la casa, ma prima o poi si riusciva. Oggi a diciott’anni non decidi un bel niente e se per caso ti sei buttato su una strada con un po’ di ingenuità a 25 anni rimet-ti tutto in discussione, affetti compresi, ragazzo o ragazza compresi. Hai davanti anche tu qualche amico che s’è sposato, ma ha già ab-bandonato. E’ già ritornato a fare l’ami-co nella tua banda. E’ mancato solo un anno, forse due e te lo trovi a cercare di dimenticare, a fi ngere di poter fare lo scemo, ma non ci riesce più. Debo-lezza!” (Mons. Domenico Sigalini, Solo l’amore fa vivere, 7) La risposta cristiana a questo progressivo smarrimento del senso autentico dell’amore tra uomo e donna prende il nome di purezza. Essa è un vero tesoro che per essere scoperto e raccolto esige la forza di chi vuol anda-re contorcorrente e non teme l’impo-polarità. Proviamo a scoprire qualche aspetto di questo tesoro.

1. PUREZZA E VITA CRISTIANA “È necessario, come punto di partenza, intenderci sul signifi cato che diamo al termine “castità”. È una virtù che non è riducibile a una saggia ge-stione della propria corporeità o delle proprie pulsioni sessuali. In altre paro-le, non riguarda primariamente il cor-po. Invece l’opinione corrente, dentro e fuori la Chiesa, è quella che collega castità, purezza a corporeità, genitalità, uso corretto delle proprie pulsioni. Pen-sare in questo modo è sganciare la ca-stità dalle sue radici e soprattutto non metterla in relazione con il fi ne verso cui deve tendere. Rileggiamo le parole di Gesù nei Vangeli e gli altri scritti del Nuovo Testamento, e notiamo come la Buona Novella punta a realizzare la profezia di Ezechiele: “Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne...” (36,26). Gesù ammonisce di non dar troppo peso all’esteriorità, ma di pun-tare al cuore: “È ciò che esce dal cuo-re che può rendere impuro un uomo... Infatti dall’intimo, dal cuore dell’uomo escono tutti i pensieri cattivi che porta-no al male” (Mc 7, 15b.21). La castità è la virtù che ha come obiettivo la formazione di un cuore “nuo-vo”, capace di amore vero. Edu-care una persona alla castità è farla crescere nella sua capaci-tà di amare.Concretamente, signifi ca mettersi al suo fi anco al fi ne di costruire una strut-tura di personalità armonica, che pos-sieda:• una suffi ciente conoscenza di sé e

una conseguente accettazione delle proprie capacità e talenti, come an-che dei propri limiti;

• una serena interazione con le perso-ne che le vivono accanto, realizzando comunicazioni a differenti livelli;

• la capacità di superare il proprio mon-

do e aprirsi con generosità agli altri attraverso il servizio, la gratuità, la di-sponibilità;

• la consapevolezza di essere fatti per amare e quindi l’impegno sereno di educarsi all’innamoramento senza chiusure né anticipazioni pericolose, senza paure né avventure superfi -ciali;

• la forza di controllare emozioni, impul-si, scelte che porterebbero a poco a poco all’indurimento del cuore;

• il coraggio di riconoscere nel Dio di Gesù Cristo il Signore della vita e dell’amore;

• fare come Gesù, che ha consegnato la sua vita per noi.”

(Un dono per tutti, Gianni Ghiglione, 21s) La castità è una chiamata per tutti i cristiani, essa non è riservata ai soli religiosi, è dono e compito di ogni battezzato. Così nel Catechismo del-la Chiesa Cattolica:”Ogni battezzato è chiamato alla castità. Il cristiano si è “rivestito di Cristo” (Gal 3,27), modello di ogni castità. Tutti i credenti in Cristo sono chiamati a condurre una vita ca-sta secondo il loro particolare stato di vita. (CCC 2348) Per don Bosco la castità è ve-ramente la regina di tutte le virtù, con essa un giovane ha tutto, senza perde tutto. Ecco cosa dice a riguardo don Bosco nel manuale di vita cristiana scritto appositamente per i suoi ragaz-zi, “Il giovane provveduto: “Questa virtù è come il centro, intorno a cui si raccolgono e si conserva-no tutti i beni, e se per disgrazia si perde, tutte le altre virtù sono perdute: Venerunt omnia bona pari-ter cum illa, dice il Signore.Ma questa virtù, o giovani miei, che fa di voi altrettanti Angeli del Cielo, virtù che tanto piace a Gesù ed a Maria, è sommamente invidiata dal nemico delle anime, che suole darvi gagliardi assalti per farvela perdere o almeno

indurvi a macchiarla.” La virtù della castità diventa, specialmente per un giovane, la difesa dell’amore, la garanzia che esso non venga contaminato dall’egoismo, dalla gelosia, dalle cattive intenzioni. Lottare per custodire la castità in gioventù è as-sicurare l’edifi cio intero della vita cristia-na per tutta la vita. Sì, perchè proprio di lotta si tratta, contro il tentatore che sa bene quanti vantaggi trae dall’insediare in quel punto un giovane.

2. PUREZZA E VOCAZIONE Se è il ruolo della castità nel cam-mino di vita cristiana è centrale, ancora più importante è per chi si confronta con una vocazione di speciale consa-crazione o con il sacerdozio.A tal proposito ci pare estremamente interessante riscoprire alcune indica-zioni di don Bosco a tal proposito: “Ora veniamo all’altro (ragazzo dell’oratorio). Esso dice: - Io vorrei sa-pere se ho la vocazione ecclesiastica o religiosa. - Hai tu desiderio e propensione a farti prete o religioso? - L’ho.Seconda domanda: ti compiaci nel ser-vizio delle funzioni, nell’ascoltar messa, accostarti ai sacramenti, imparar cere-monie? - Mi compiaccio. - Allora io vengo alla terza domanda: come stai riguardo a probità di costu-mi? - E qui tenete ben a mente: se uno non è moralmente certo, mediante la grazia del Signore, di poter conservare la castità, costui per carità non cerchi di farsi nè prete nè religioso. Uno adunque mi risponde: - Mi pare che colla grazia del Signore, come non ho mai gravemente mancato, così non mancherò contro questo.Allora bene. Ma uno mi dirà: - Purtrop-po io devo lamentare cadute gravi; ma

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conosco il male, propongo assoluta-mente... - Non basta, mio caro, non basta... Accertiamoci meglio: da quanto tem-po non sei più caduto in queste cose? Son più mesi o più anni? Se sì, c’è già speranza. - Ma no, è da poco tempo.- Allora abbi pazienza, non andare avanti.

Ma il dolore, il pentimento che costui ne ha, il proponimento fermo di non più peccare non bastano? Bastano per ottenerne il perdono da Dio nel Sacra-mento della Confessione; ma per que-sto no. Finchè non passarono parecchi mesi, o qualche anno, per maggior si-curezza, cioè fi nchè uno non può dirsi moralmente certo di poter conservare la castità che è il fondamento, la base, delle altre virtù, io non consiglierei mai alcuno ad andare avanti”. (MB XI,573-575)

Certo le parole di don Bosco ci appaiono molto esigenti, forse anche troppo per la nostra sensibilità moder-na, ma custodiscono alcune attenzioni importantissime per il discernimento vocazionale:

• È importante ricordare che sco-po fondamentale di ogni vocazione è salvare l’anima propria, per questo si diventa sacerdoti o religiosi, per potere un giorno condividere la gioia del Paradiso. Se invece di esse-re una barca di salvezza la vocazione diventa un luogo di maggiori pericoli per sè e per i giovani che ci sono affi -dati, allora non è assolutamente bene proseguire nel cammino di consacra-zione. Proprio per questo la certezza morale di poter custodire tale dono è per don Bosco punto essenziale.

• In secondo luogo, più in positivo, don Bosco sa che solo chi ha donato

tutto se stesso, corpo, sensi, affetti, desideri al Signore riconsegnandogli ciò che di fatto era già Suo, può vera-mente porsi in quell’atteggiamento di dedizione totale a Dio e ai fratelli che la vocazione religiosa e sacerdotale richiedono.

• Inoltre questa custodia di sè fatta di affetti equilibrati, diventa il marchio di fabbrica dello stile educativo salesia-no: l’amorevolezza. Ecco svelato il segreto del fortissimo ascendente che don Bosco aveva sui suoi giova-ni; essi facevano la quotidiana espe-rienza di un affetto che letteralmente li avvolgeva. Il Can. Ballesio presta la sua testimonianza riguardo a don Bosco: “sempre in mezzo ai giovani circondato da loro e tirato alle volte dai medesimi da una parte e dall’altra, nelle ricreazioni, e i giochi di mano e di corsa, dimostrava una semplice, disinvolta e pudicissima sveltezza; e non solo le sue parole, ma an-che la sua presenza e molto più un suo sguardo, un sorriso, ispiravano amore a questa vir-tù, che era ai nostri occhi uno dei più splendidi ornamenti del servo di Dio e per il quale egli era tanto per noi vene-rando ed amabile. (MB V, 167) Attestò inoltre D. Berto Gioachino: “ Io gli sono stato attorno, l’ho servito per oltre venti anni e posso affermare che la virtù della modestia negli sguardi, nel-le parole, nei tratti fu da lui portata al più sublime grado di perfezione. Il se-greto che egli adoperò per raggiun-gere questa perfezione, fu la continua occupazione di mente, l’eccessiva fa-tica di giorno e di notte, e una calma imperturbabile. Da lui si diffonde-va un’infl uenza vivifi cante. Io stesso posso dire che, stando vicino a lui, la sua presenza al-lontanava da me ogni pensiero molesto”. (MB VII, 81)

Mirabile bellezza dei santi che diffondono la verginale bellezza del Vangelo con la loro stessa vita. Egli stesso ricordava ai suoi salesiani: “Ciò che deve distinguere la nostra Congre-gazione è la castità come la povertà contraddistingue i fi gli di San France-sco d’Assisi e l’obbedienza i fi gli di San Ignazio.”

3. COME CUSTODIRE/CONQUISTARE LA PUREZZA? Quali sono dunque i mezzi usati da don Bosco per giungere a pratica-re tale virtù in un grado così elevato? E quali erano i mezzi che consigliava ai suoi ragazzi? Nessuna stranezza, ma ciò che da sempre la tradizione cristia-na custodisce, adattato per i suoi gio-vani e la loro sensibilità. Le novene delle feste mariane, specialmente l’Immacolata Concezio-ne, erano l’occasione migliore in cui suggerire tutti i mezzi necessari per cu-stodire un cuore limpido come quello della celeste Madre, soleva ripetere ai suoi ragazzi: ”Il massimo e più potente custode della purità è il pensiero della presenza di Dio.” (MB VII, 331) Ma se dovessimo scrivere la for-mula per vincere tutte le seduzioni del nemico delle anime e custodire la pu-rezza del corpo e del cuore potremmo dire con don Bosco:

- Preghiera: La modestia è una virtù celeste e chi vuole conservarla biso-gna che si innalzi verso il cielo. Salvatevi adunque coll’orazione. Orazione che vi innalza al cielo sono le preghiere del mattino e della sera dette bene; orazio-ne è la meditazione e la messa; orazio-ne è la frequente Confessione e la fre-quente Comunione; orazione sono le prediche e le esortazioni del Superiore; orazione è la visita al SS. Sacramento; orazione il Rosario; orazione lo studio. Con questa il vostro cuore si dilaterà

come un pallone e vi eleverà verso il cielo e così potrete dire quello che di-ceva Davide: Viam mandatorum tuo-rum cucurri, cum dilatasti cor meum. Così porrete in salvo la più bella delle virtù ed il vostro nemico, per quanti sforzi faccia, non potrà strapparla dalle vostre mani. (MB VIII, 34). La purezza, bisogna esserne con-sapevoli, è prima di tutto dono dall’alto, è frutto della presenza in noi dello Spi-rito Santo. Per quanti sforzi possiamo mettere in atto, se non supplichiamo da Dio con tutto il cuore questa grazia, ogni sforzo sarà vano e facile solo a montare l’orgoglio personale. Proprio per que-sto don Bosco consigliava di chiedere tale dono durante il momento più sacro, quello dell’elevazione del Santissimo durante la S.Messa.

- Lavoro: Se noi ci teniamo occupa-ti, il demonio non ci potrà mai vincere. Aspetta sempre ad assalirci quando siamo in ozio. Levarsi subito al matti-no al segno della levata. Non andare a riposare in tempo indebito. Nel gior-no, quando si fossero terminati i propri doveri, inizierai a leggere qualche libro che tratti di cose di spirito.[...] Quando la mente stanca non regge ad un’oc-cupazione e si ha bisogno di sollievo, a preferenza di far niente, passeggiate, saltate, giocate, date mano a qualche lavoro materiale. Così consigliava S. Fi-lippo Neri. Non state mai un minuto in ozio. Insomma non dar riposo al cor-po e concedergli solo quel tanto che è indispensabile alla sua conservazione. (MB IX, 709). Lavoro, lavoro, lavoro! Ecco quello che diceva don Bosco ai suoi sa-lesiani. Un lavoro ordinato e santifi cato dall’intenzione diviene un baluardo for-tissimo per custodire e rafforzare la no-stra castità. Ma particolare importanza riveste il servizio generoso in risposta ai

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bisogni di chi vive con noi. Questo eser-cizio di donazione gratuita vince tutte le spinte all’egoismo presenti in noi e che spesso si manifestano in disordini della vita sessuale come ripiegamenti su se stessi.

- Mortifi cazione: Metterci subito in guardia, quando siamo tentati; dar mano a far qualche cosa, cambiar posizione, passeggiare, distrarci con qualche fantasia o ricordi a noi graditi, passare da una occupazione a un’al-tra, o cose simili. Appena incomincia la tentazione, è facile la vittoria, ma se si sta alquanto in mora a combattere, questa diventa diffi cile, perchè tanto si diviene più deboli, quanto il nemico acquista di forza. Respingete subito l’assalto coll’allontanarvi dal pericolo, ma subito, subito, perchè nelle cose contro la modestia, se acconsentite, non vi è piccolezza di materia. Si tron-chi, per il momento, la lettura di un libro anche buono, se troppo ci impressiona qualche descrizione. Quando vediamo qualche quadro, immagine, che in noi desta qualche disturbo, benchè non sia cattiva, qualche ragazzo o qualche ra-gazza, vestiti non troppo decentemen-te, facciamo subito una mortifi cazione, rivolgendo altrove il nostro sguardo. [...] Mettiamo adunque in pratica tutti i mezzi per vincere, anzi per prevenire le tentazioni. Non andare a coricarsi dopo pranzo. Venuta l’ora del riposo, coricar-si colle mani giunte sul petto. Pregare fi nchè ci siamo addormentati, e, qua-lora nella notte ci svegliamo, ripigliare la preghiera: dir delle giaculatorie, bacia-re l’abitino, o il crocifi sso o la medaglia che si porta indosso. Aver nella cella un poco d’acqua benedetta; fare il segno della santa croce con fede. (MB IX, 710) Il coraggio di dire dei no decisi alla pigrizia nel dormire, ai cibi fuori dai pasti, alle letture pruriginose, alla liber-

tà negli sguardi, all’uso del computer e tante altre piccole rinunce che non sempre sembrano direttamente im-plicate nel raggiungimento di una vita casta, sono invece un’ effi cacissima palestra della libertà. Dice a tal proposi-to Padre Andrea Gasparino: ”Finché sei schiavo di te stesso non sei preparato ad amare. Finché predominano in te la volgarità, i bassi istinti, la sensualità, tu sei immaturo all’amore. Finché in casa tua non comandi, tu non sei capace di amare. Sono verità dolorose che biso-gna ribadire fi nché sei in tempo. Gesù Cristo è esigente con la tua formazio-ne all’amore, perciò è esigente con la tua formazione alla libertà interiore. E alla scuola di Cristo che si coltiva la li-bertà interiore profonda.” e ancora “La prima roccaforte da conquistare per la libertà e la pulizia dei pensieri. Piaccia o non piaccia, questo e l’insegnamento di Cristo; chi e sporco nei pensieri non e un uomo libero. E l’uomo che non e libero e immaturo all’amore: cercherà sempre e soprattutto se stesso.”

Emerge da queste pagine la sa-pienza educativa di don Bosco che sa tradurre a misura dei suoi ragazzi la ric-ca tradizione ascetica e mistica del cri-stianesimo perchè sappiano affrontare le tentazioni contro il sesto comanda-mento. Così facendo i cortili di Valdoc-co sono state una fucina di personalità armoniche, riuscite, capaci di un amo-re autentico, fedele, limpido. Insomma una fucina di uomini liberi.

LA DOMANDA

1. In quale modo è trattato l’argomento sessulità e castità dai tuoi coetanei e dai media che utilizzi (internet, tv, radio…)?

2. Casto = Represso oppure Casto = Libero , cosa risponderesti a getto?

3. Cosa vuol dire castità per un adolescente? É un progetto di vita possible secondo te?

4. Pensi che la castità per un sacerdote o un religioso sia utile o dan-nosa per la missione che gli è affi data?

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OUTPUT

1. Se ho taciuto qualcosa a riguardo in confessione, compio un profondo atto di fede e di umiltà per fare fi nalmente un confessione fatta bene.

2. Comporre una breve preghiera da recitarsi dopo la S. Comunione per ottenere il dono della purezza del corpo e del cuore.

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3ETERNITÀ EVOCAZIONEQUESTIONE DI PARADISO

INPUT

IL SOFFIO

Spirito di Dio, scendi su di noi.

Spirito di Dio, scendi su di noi.

• Rendici docili, umili, semplici.• Guidaci, Spirito, salvaci, formaci!• Suscita vergini, donaci apostoli!• Libera i poveri, dà pace ai popoli.

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L’ECO

LA PAROLA

poggiava sulla terra, mentre la sua

cima raggiungeva il cielo; ed ecco,

gli angeli di Dio salivano e scende-

vano su di essa. 13Ecco, il Signore

gli stava davanti e disse: «Io sono

il Signore, il Dio di Abramo, tuo pa-

dre, e il Dio di Isacco. A te e alla

tua discendenza darò la terra sulla

quale sei coricato. 14La tua discen-

denza sarà innumerevole come la

polvere della terra; perciò ti espan-

derai a occidente e a oriente, a

settentrione e a mezzogiorno. E si

diranno benedette, in te e nella tua

discendenza, tutte le famiglie del-

la terra. 15Ecco, io sono con te e ti

proteggerò dovunque tu andrai; poi

ti farò ritornare in questa terra, per-

ché non ti abbandonerò senza aver

fatto tutto quello che ti ho detto». 16Giacobbe si svegliò dal sonno e

disse: «Certo, il Signore è in questo

luogo e io non lo sapevo». 17Ebbe

timore e disse: «Quanto è terribi-

le questo luogo! Questa è proprio

la casa di Dio, questa è la porta

del cielo». 18La mattina Giacobbe

si alzò, prese la pietra che si era

posta come guanciale, la eresse

come una stele e versò olio sulla

sua sommità. 19E chiamò quel luogo

Betel, mentre prima di allora la città

si chiamava Luz.

GEN 28,1-191Allora Isacco chiamò Giacobbe, lo

benedisse e gli diede questo co-

mando: «Tu non devi prender mo-

glie tra le fi glie di Canaan. 2Su, va’ in

Paddan Aram, nella casa di Betuèl,

padre di tua madre, e prenditi là una

moglie tra le fi glie di Làbano, fratello

di tua madre. 3Ti benedica Dio l’On-

nipotente, ti renda fecondo e ti mol-

tiplichi, sì che tu divenga un insieme

di popoli. 4Conceda la benedizione

di Abramo a te e alla tua discen-

denza con te, perché tu possieda

la terra che Dio ha dato ad Abramo,

dove tu sei stato forestiero». 5Così

Isacco fece partire Giacobbe, che

andò in Paddan Aram presso Làba-

no, fi glio di Betuèl, l’Arameo, fratello

di Rebecca, madre di Giacobbe e di

Esaù. 6Esaù vide che Isacco aveva

benedetto Giacobbe e l’aveva man-

dato in Paddan Aram per prender-

si una moglie originaria di là e che,

mentre lo benediceva, gli aveva

dato questo comando: «Non devi

prender moglie tra le Cananee». 7Giacobbe, obbedendo al padre

e alla madre, era partito per Pad-

dan Aram. 8Esaù comprese che le

fi glie di Canaan non erano gradite a

suo padre Isacco. 9Allora si recò da

Ismaele e, oltre le mogli che aveva,

si prese in moglie Macalàt, fi glia di

Ismaele, fi glio di Abramo, sorella di

Nebaiòt. 10Giacobbe partì da Bersa-

bea e si diresse verso Carran. 11Ca-

pitò così in un luogo, dove passò la

notte, perché il sole era tramonta-

to; prese là una pietra, se la pose

come guanciale e si coricò in quel

luogo. 12Fece un sogno: una scala

DOVE CI TROVIAMO?A partire dal capitolo 25 della Genesi compare la fi gura di Giacobbe, fi glio di Isacco e di Rebecca, fratello di Esaù e capostipite delle 12 tribù di Israele. Le vicende di questo Patriarca si leggo-no fi no al cap 36, quindi si intersecano con quelle del fi glio Giuseppe, vendu-to dai fratelli e giunto come schiavo in Egitto; la morte di Giacobbe è narrata al cap. 49, appena prima di quella di Giuseppe.L’episodio che stiamo leggendo ha come antefatto l’ira di Esaù, che vo-leva uccidere il fratello minore che lo aveva soppiantato nella primogenitu-ra; per tale ragione Rebecca, al fi ne di salvare il fi glio, lo vuole inviare da Labano, suo fratello, e induce Isacco a sostenere questa decisione eviden-ziando il rischio che Giacobbe prenda moglie tra le donne hittite, che abita-vano in quella regione, e contamini in questo modo la purezza della stirpe. Per tale ragione Isacco invia il fi glio dal-lo zio Labano, con l’ordine di prendere moglie tra le sue fi glie.

CHE COSA MI DICE DIO?In obbedienza al comando del padre e dopo aver ricevuto la sua benedi-zione, Giacobbe si mette n viaggio da Bersabea (che si trova nella Palestina meridionale) verso Carran (che si tro-va nella Mesopotamia settentrionale, nell’attuale Iraq).Durante una sosta notturna, mentre si trovava presso la città di Luz, che poi sarà chiamata Betel (che signifi ca “la casa di Dio”) ha una visione in for-ma di sogno:- gli appare una scala che collega la

terra -dove abitano gli uomini- e il cielo -dove abita Dio- (è eviden-te il richiamo ai luoghi di culto me-sopotamici, gli Zigurrat, che erano costruiti in forma di piramide su cui saliva una scala);

- su questa scale salgono e scendo-no gli angeli, messaggeri di Dio agli uomini, che portano sulla terra i co-mandi del cielo e riportano a Dio le risposte degli uomini;

- davanti ai suoi occhi appare il Si-gnore, che si rivela come il Dio di Abramo e di Isacco e gli rinnova la benedizione della discendenza e la promessa della terra in cui abitare.

CHE RISPOSTA DIO SI ATTENDE DA ME?Giacobbe vive sempre nell’atteggia-mento “credente” tipico dell’uomo biblico poiché:- obbedisce alla voce del padre dal

momento che in essa vede una me-diazione autorevole del volere del Signore;

- riconosce la presenza di Dio nella sua vita, presenza che è al contem-po trascendente (la scala scende dal cielo) e implicata nella storia de-gli uomini (davanti a lui di presenta il Dio di Abramo e di Isacco, che rin-nova la propria benedizione e la fe-deltà all’Alleanza);

- ha “timore”, cioè sa che Dio è pre-senza che eccede l’uomo, la sua ragione, la sua forza; sa che è una presenza che riempie ogni cosa e rende “santo” ciò che tocca (infatti cambia nome a quel luogo –da Luz a Betel-, vi erige una stele e lo con-sacra con l’olio).

L’ECO

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IN SINTESI…L’episodio che abbiamo letto è – giu-stamente – molto conosciuto e ci mostra gli elementi essenziali della trascendenza del Dio della Bibbia.

1. La trascendenza di Dio si fa incon-trare dall’uomo, a condizione che questi viva nella logica dell’obbedien-za alla volontà divina.

2. La trascendenza di Dio è radicata – ovviamente – in cielo, ma si proten-de verso la terra; Dio vuole entrare in rapporto con gli uomini (cfr. gli angeli che salgono e scendono) e interagire con la loro storia (è il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe).

3. L’uomo credente davanti alla pre-senza di Dio prova “timore”, riconosce che chi cammina con lui nella storia è il Dio totalmente altro ed eccedente e ciò che viene toccato dalla sua presen-za è “santo”.

Pensando alla tradizione salesiana, vengono in mente due espressioni: l’Oratorio era un “tripudio di Paradiso”, come dicevano i ragazzi; “un pezzo di Paradiso aggiusta tutto”, come diceva don Bosco.

1. Isacco chiamò Giacobbe, lo benedisse e gli diede questo comando. Giacobbe incontra Dio perché prima di tutto ha obbedito a suo padre Isacco. Sai che l’obbedienza è la via necessaria per trovare Dio? Sei obbediente ai tuoi edu-catori ed alla tua guida o sei autoreferenziale?

2. Scala. Il cammino che congiunge Dio e l’uomo è graduale, è una scala fatta di tanti pioli. Sei ordinato nel tuo cammino di crescita? Ti fai guidare in modo graduale? Oppu-re vuoi “tutto e subito” e non cammini?

3. Poggiava sulla terra. La scala per stare in piedi deve avere anzitutto la base ben piantata. La scala (cioè il legame con Dio) è appoggiata al centro della tua vita, tocca le cose essenziali (gli affetti; la fedeltà al dovere; la gratuità verso le persone a te vicine), oppure è messa ai margini della tua esistenza (vai a Messa la Domenica, ma la vita non cambia mai)? Quali aspetti della tua vita non sono assolutamente toccati dal rap-porto con Dio?

4. Mentre la sua cima raggiungeva il cielo. La scala per stare in piedi deve anche essere appoggiata su qualcosa di solido. Vivi, come credente, nella prospettiva del Paradiso? Pensi mai, come diceva don Bosco, “che di anima ce n’è una sola; persa quella, è perso tutto”? Quando devi fare una scelta importante, la vita eterna che posto occupa tra i tuoi criteri?

5. Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo. Hai nella tua vita dei “luoghi” (cioè dei tempi prestabiliti di preghiera; l’incontro con il confessore; gli esercizi spirituali fatti ogni anno;…) che ti ricordino che la vita ha senso solo se si guarda nella prospettiva dell’eternità?

PER LA TUA VITA

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IL GRIDO

L’IMPEGNO

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0. IL CONTESTO Mario ha 80 anni e da 52 è sposato con Teresa, sono in pensione e hanno un po’ di risparmi in banca. Per il loro anniversario di matrimonio Mario decide di fare una sorpresa a Teresa e, per mostrargli il desiderio di essere per sempre inseme a lei, decide di acquistare due loculi al cimitero uno vicino all’altro. Teresa non gradisce il dono e decide di portare il caso in tribunale per obbligare il marito a vendere. Certo il caso può suscitare una certa ilarità, ma ascoltando gli avvocati impegnati nella difesa dei due assistiti e rifl ettendo su due sposi di quasi mezzo secolo, ci si accorge dell’incredibile imbarazzo in cui si trovano tutti nel dover parlare della morte. É un tema così censurato che mancano le parole per affrontarlo, o meglio le parole ci sono, ma o le abbiamo dimenticate o ce ne vergognamo. Ciò è indubbiamente frutto di una società materialista in cui ogni questione relativa al destino ultimo dell’uomo, al senso della vita sembra

essere riservata al solo ambito del privato in cui ognuno e chiamato a risolvere in proprio i problemi più scottanti di sempre. Radicalmente diverso, anche per il contesto culturale in parte differente, ci pare l’approccio di don Bosco. “Stupisce la sua familiarità con la morte, umanamente impotente di fronte alla falcidie operata da tbc e polmoniti, è preoccupato della salvezza dei suoi ragazzi e anche della loro serenità: parla della morte non per angosciarli, ma per porli di fronte ad una vita che va affrontata con resposabilità e anche con tutta la fi ducia possibile, perchè il tempo scorre e non è nelle nostre mani. Sorridendo quasi a sdrammatizzare, dice: ”Viviamo come se questo fosse l’ultimo giorno…facciamo le cose belle e giuste che vorremmo avere fatto…e oggi una fetta di salame in più a colazione per farvi coraggio!”. In realtà don Bosco non pensa alla morte, ma al paradiso che le sta dietro. Sulla misura del paradiso invita a valutare le giuste scelte quotidiane.”

ACTIO

LA RISPOSTA

(Don Bosco amico dei giovani per conto di Dio, La morte, 28)

1. “VI ASPETTO TUTTI IN PARADISO” E’ la notte del 27 gennaio 1888, mancano solo quattro giorni alla morte di don Bosco, ne è consapevole ed ogni parola che a fatica pronuncia è un vero e proprio testamento; in quelle parole emergono i desideri più profondi e radicati del suo cuore: “A quanti si avvicinavano al suo letto, dava gli ultimi ricordi, dicendo per lo più: - Arrivederci in Paradiso!... Fate pregare per me... I giovani facciano per me la santa comunione. - Disse pure a Don Bonetti: - Di’ ai giovani che io li attendo tutti in Paradiso!” (MB XVIII, 533) Il suo motto, che campeggiava nel suo uffi cio, era “da mihi animas coetera tolle” espressione di un desiderio ruggente che custodiva nel cuore, sembra voler dire: “Signore dammi le anime, tante, giovani, povere, bisognose e tieni tutto il resto, solo quelle mi interessano per poterle consegnare felici nelle tue mani per l’eternità”.Sulla base di questo principio don Bosco ordina la propria vita e tutte le attività dell’oratorio, questo diventa il punto focale che mette in ordine tutti gli altri, li relativizza e dà loro senso. Una cosa sola conta, questa sola è la vocazione di ogni uomo, salvarsi l’anima. Orientato da questo desiderio don Bosco costruisce le relazioni, una ad una, con i suoi ragazzi generando in loro un vero desiderio di paradiso. Così anche con Domenico Savio: “Venuto nella casa dell’ oratorio si recò in mia camera, per darsi, come egli diceva, interamente nelle mani dei suoi superiori. Il suo sguardo si portò subito su di un cartello sopra cui a grossi caratteri sono scritte le seguenti parole che amava ripetere S. Francesco di Sales: da mihi animas, caetera tolle. Si mise a leggerle attentamente; ed io desideravo che ne capisse il signifi cato;

perciò l’invitai, anzi l’aiutai a tradurle e cavar questo senso: O Signore, datemi anime e prendetevi tutte le altre cose. Egli pensò un momento e poi soggiunse: “ho capito: qui non c’è negozio di danaro, ma negozio di anime: ho capito: spero che l’anima mia farà anche parte di questo commercio.”(DS VI, 30) Tra i ragazzi dell’oratorio e don Bosco nasce come un patto “Ho da dirvi una cosa di molta importanza e questa si è che mi aiutiate in una impresa, in un affare, il quale tanto mi sta a cuore: quello di salvare le anime vostre. Questo è non solo il principale, ma l’unico motivo, per cui venni qui. Ma senza il vostro aiuto non posso far nulla. Ho bisogno che ci mettiamo d’accordo e che fra me e voi regni vera amicizia e confi denza.”(MB VII, 504) In questo clima di profonda confi denza tra giovani e salesiani, in cui si desidera il paradiso insieme gli uni per gli altri, ecco accadere un vero miracolo, proprio l’oratorio stesso, quei cortili, quelle aule, quei laboratori si trasformano in un vero e proprio paradiso in terra in cui don Bosco è l’animatore di una cordata per la santità. Ecco come la descrive in una buona notte: “Oh! che bel Paradiso terrestre sarebbe questa nostra casa […] se tutti ci mettessimo d’impegno nel compat-irci, aiutarci, sopportare, perdonare perchè trionfasse sempre la carità. Oh! se ciascuno si mettesse ad imitare Magone e Besucco, nel cercare di accrescere negli altri l’amore di Dio e allontanare gli incauti dal peccato. Tutti possono impedire i cattivi discorsi di un compag-no, come ha fatto Savio; tutti possono colle belle maniere calmare gli animi caldi di chi volesse attaccar brighe o già avesse incominciata una rissa. Per-chè non farvi amici con qualcuno dei più dissipati per condurli a confessarsi, invitarli a fare qualche visita a Gesù in

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Sacramento? Questa carità era quella che rendeva più amabili Savio e Besuc-co. Adocchiati certi compagni, dei quali desideravano trarre le anime al Signo-re, ora li vedete spiegar loro con ogni pazienza le diffi coltà non capite nella scuola; ora ceder loro i propri guanti vedendo che non potevano scrivere per il freddo alle dita; ora in ricreazione mettere sulle spalle ad un compagno leggermente vestito il proprio mantello; ora regalare a chi mangiava pane as-ciutto, una mela, qualche noce. Sono cose, si dirà, che costano poco, e sem-brano anzi cose da niente, eppure con queste impedivano litigi, erano ricevuti con amore i loro buoni consigli, cessa-vano le mormorazioni, si prendevano in buona parte gli avvisi di chi chiede-va ad essi l’osservanza della regola. Erano cose da niente, ma più di un giovane per mezzo di queste si salverà, che altrimenti sareb-besi perduto. Sono cose da niente, ma oh! quanto rivelano un’anima gen-tile, un’anima bella, un’anima santa! Se tutti imitassero Savio e Besucco che bel paradiso sarebbe l’Oratorio. Allora io son sicuro, che riuscirò a farvi tutti santi ed è questo l’unico mio de-siderio. (MB VII, 601-602) Ed ecco che capita qualcosa di unico, i ragazzi di don Bosco scoprono che darsi da fare per salvare la propria ed altrui anima, desiderare il paradiso, insomma, fare un cammino di santità non è causa di tristezza e malinconia, non è mortifi care la propria vitalità, ma anzi è scoprire la fonte della gioia vera: l’amicizia con Dio. “Servite Domino in letitia” ecco il programma di vita sale-siano per giovani.

SALVATI? MA DA COSA? “O Signore non son degno di partecipare alla tua mensa, ma di soltanto una parola ed io sarò salvato”. Quante volte abbiamo ripetutto queste parole durante la messa, ma a volte ci domandiamo: “Salvato… ma da cosa? Da chi?”Anzi addirittura ci possiamo chiedere

ancora più radicalmente:”Ma c’è davvero bisogno di una salvezza?”Sì, sì e ancora sì! Ci pare per almeno due buonissimi motivi:- Guardati intorno, per esempio, guar-

da un telegiornale, oppure guarda in un libro di storia solo al capitolo del ‘900 con le sue guerre mondiali, op-pure cerca le “gesta mirabili” di uomini come Krasic, Milosevic con le rispet-tive pulizie etniche operate a pochi chilometri dalle coste italiane.

Ora invece guarda ai tuoi amici, una loro parola può farti soffrire terribilmente, un loro silenzio può essere più doloroso di cento schiaffi .Infi ne guardati dentro, vedi con chi-arezza le intenzioni cattive che talvol-ta animano anche le azioni più lode-voli, osserva le inclinazioni cattive che passo passo ti abituano a fare il male e scopri dentro di te uno sconosciuto che sembra vedere il bene, desider-arlo, ma fare il male. C’è come in ogni uomo un frattura dentro il cuore, nel volere e nell’intelletto.Ecco descritto a pennellate veloci il mistero del male. Il misterium iniquitatis.- Ma ancora di più ti chiedo di guardare

al Vangelo, di lasciarti stupire da quell’evento unico che è la vita di Gesù di Nazareth. Contempla la croce, contempla Dio che per la salvezza degli uomini accetta di farsi carico del male dell’uomo, che desideroso del bene dell’uomo e unito al Padre sale il calvario per “fare nuove tutte le cose”. Se Dio “spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana,   umiliò se stesso facendosi obbediente fi no alla morte e alla morte di croce” (Fil 1,7-8) per la nostra salvezza, allora sì, abbiamo bisogno di salvezza e dobbiamo prenderla davvero sul serio.

Dobbiamo quotidianamente bere alla fonte della salvezza, la croce, per guarire la nostra libertà ferita dal peccato orginale. Non a caso questa ferita è guarita da un’altra ferita, quella provocata dalla lancia al costato di

Cristo da cui “subito ne usci sangue ed acqua” (Gv 19,32). Infatti ora le nostre ferite sono per sempre nel corpo di Cristo e per noi sono dischiuse le ricchezze inesauribili dei sacramenti rappresentati nel sangue e nell’acqua.

2. LA CONFESSIONE SPALANCA IL PARADISO La salvezza non è opera nostra, ma opera preziosa del Signore Gesù che con la sua morte e risurrezione ci ha salvati una volta per tutte. Proprio nella Chiesa da lui voluta possiamo bere alla fonte di questa grande misericordia ed esserne partecipi: i sacramenti. Se c’è salvezza per l’uomo, questa è nei sacramenti e don Bosco lo sapeva bene. In modo speciale dirà in tutti i modi che il suo sistema educativo è tutto fondato su due colonne: confessione e comunione. “Un giovanetto sui quindici anni, chiamato Carlo, che era solito a fre-quentare l’Oratorio di S. Francesco di Sales, cadde nel 1849 gravemente ammalato, e in poco tempo si trovò agli estremi della sua vita. Abitava in una trattoria ed era fi glio dell’albergatore. Vistolo in pericolo, il medico consigliò i genitori ad invitarlo a confessarsi, e questi addoloratissimi chiesero al fi glio quale sacerdote volesse che gli fosse chiamato. Egli mostrò gran desiderio che si andasse a chiamare il suo con-fessore ordinario, che era D. Bosco. Si mandò subito per lui, ma con grande rincrescimento si ebbe per risposta che era fuori di Torino. […] Morì. Quan-do Don Bosco tornò in Torino, venne avvisato della morte di Carlo e subitò andò a trovarlo. D. Bosco gli si avvicinò e pensava: “ Chi sa se avrà fatta bene la sua ultima confessio-ne! chi sa qual destino avrà in-contrata l’anima sua! ”. E rivoltosi a chi lo aveva introdotto, gli disse: - Riti-ratevi; lasciatemi solo! - Fatta quindi una breve, ma fervorosa preghiera, bene-disse, e chiamò due volte il giovane in tono imperativo: - Carlo, Carlo, alzati! - A quella voce il morto cominciò a

muoversi. Don Bosco nascose subito il lume e con forte strappo d’ambo le mani scucì il lenzuolo, perchè il giovane restasse libero, e gli scoperse il volto. Quegli, quasi si svegliasse da profondo sonno, apre gli occhi, li volge attorno, si alza alquanto e dice: - Oh! Come mai mi trovo così? - Quindi si volta, fi ssa lo sguardo su D. Bosco, e appena lo ri-conobbe, esclamò: - Oh! D. Bosco! Oh! se sapesse! L’ho sospirato tanto! Io cercava appunto di Lei... Ho molto bisogno di Lei. È Dio che l’ha manda-to... Ha fatto tanto bene venire a sveg-liarmi!E D. Bosco gli rispondeva: - Di’ pure tutto quello che vuoi; sono qui per te.E il giovanetto proseguì: - Oh! D. Bosco; io doveva essere in luogo di perdizione. L’ultima volta che mi son confessa-to, non osai confessare un peccato commesso da qualche settimana... È stato un compagno cattivo co’ suoi discorsi... Ho fatto un sogno che mi ha grandemente spaventato. Sognai di essere sull’orlo di un’immensa for-nace e di fuggire da molti demoni che mi perseguitavano e volevano pren-dermi: e già stavano per avventarmisi addosso e precipitarmi in quel fuoco, quando una signora si frappone tra me e quelle brutte bestie, dicendo: Aspet-tate: non è ancor giudicato! Dopo al-cun tempo d’angoscia udii la sua voce che mi chiamava e mi sono svegliato; e ora desidero di confessarmi. […] Dopo averlo confessato D. Bosco in fi ne gli disse: - Ora sei in grazia di Dio: il cielo è aperto per te. Vuoi andare lassù o rimanere qui con noi? - Desidero andare al cielo, rispose il giovane.- Dunque a rivederci in paradiso! - E il fanciullo lasciò cadere il capo sull’origliere, chiuse gli occhi, rimase immobile e si riaddormentò nel Signo-re.” (MB III, 497-498)

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3. UNA QUESTIONE CRUCIALE: LA VOCAZIONE. Un cuore giovane che ha la for-tuna di respirare un’aria come quella di Valdocco cresce veramente libero, ma non di quella libertà che sembra si-nonimo di “fa’ ciò che vuoi”, ma quella libertà coraggiosa che sa intravedere un senso per il quale vale giocarsi com-pletamente, senza riserve. Proprio così anche in ragazzi molto giovani nasco-no scelte coraggiose e defi nitive, don Bosco ce ne racconta una delle tante: “Nel 1873 un alunno di seconda ginnasiale, svelto ma serio, che si tro-vava vicino a Don Bosco insieme con molti compagni sotto i portici, durante la ricreazione, pareva un po’ inquieto e ansioso di parlargli. Il Santo se n’avvide e gli domandò:

- Tu vorresti dirmi qualche cosa, non è vero?

- Sissignore, ha indovinato. - E che cosa vorresti dirmi?, - Ma.... non vorrei che gli altri sentis-

sero, - e tirò Don Bosco in disparte, e gli sussurrò sotto voce: - Vorrei farle un regalo che le farà piacere!

E che regalo vuoi farmi? - Ecco qua! - ed alzandosi quasi in

punta di piedi, allungando le braccia e componendo il volto a serietà: - vorrei regalarle me stesso, affi nchè d’ora in avanti faccia di me quello che vuole e mi tenga sempre con lei!

- Veramente, gli rispose Don Bosco, non potevi farmi un regalo più gradito. L’accetto, ma non per me, sibbene per offrirti e consacrarti al Signore!Quel caro giovinetto era Francesco Picollo, di Pecetto Torinese, che si fece salesiano, salì al sacerdozio, e fu mae-stro di novizi, direttore ed ispettore. (MB X,100-101) A volte però, anzi molto spesso, la comprensione della volontà di Dio sulla nostra vita non è così semplice, quasi spontanea, ma porta con sè un vero e proprio travaglio interiore, sen-tiamo il nostro intimo come abitato da una battaglia. In questa confusione è diffi cile ascoltare la voce di Dio per

compiere la sua volontà, è necessario un vero amico dell’anima che sappia indicarci dei criteri per fare ordine an-che nel caos di sentimenti contrastanti che ci abitano il cuore. Guardiamo in-sieme don Bosco all’opera con uno dei suoi ragazzi in affannata ricerca voca-zionale: “Un buon giovane, ma vera-mente buono, aveva manifestato il desiderio di farsi prete nel primi mesi di Oratorio. Dopo qualche tempo, in-terrogato da me della sua vocazione, mi disse chiaro: - Non voglio più farmi prete.- Oh! che cosa è questo? io gli chiesi; la vocazione l’avevi.- No; non voglio più farmi prete - Mi replicò risolutamente.Io era stordito, tanto più che il giovane continuava ad essere un vero modello di buona condotta. Allora io gli chiesi per gran piacere che mi signifi casse qual causa gli avesse fatto mutar de-liberazione. Dopo molta esitanza: - Ecco, mi disse; il tale mi ha fatto vedere come tutti i preti sono cattivi. E’ ipocris-ia ciò che pare all’esterno. Esso ha un parente canonico ed ha sentito rac-contare da lui stesso che molti parroci conducono una vita! ... che prendono in casa persone!… che vivono male... Piuttosto che farmi prete briccone, non mi farò mai e poi mai prete. Io l’anima mia la voglio salvare.Io gli feci animo a non rinunciare così facilmente alla propria vocazione, gli feci vedere l’assoluta falsità della cosa e senza più insistere gli soggiunsi: - Fa’ il possibile per dimenticare ciò che quel perverso ti narrò: non pensarci più ol-tre. Dal tuo canto, fa’ così: poniti per un momento avanti ad un Crocifi sso od al Santissimo Sacramento, e di’ fra te stesso: Se io mi trovassi in pun-to di morte, qual è la cosa che desidererei d’aver fatta? Quale stato desidererei d’aver abbrac-ciato per potere con maggior fa-cilità salvarmi l’anima e fare del bene? Pensa a questo e poi rispon-dimi.

Quel giovane si pose avanti ad un Cro-cifi sso, vi stette alquanto e poi ritornato da me, disse: - Prete sì, ma non nel mondo. Star ritirato affatto!Questo era ciò che io voleva.” (MB XII, 87-90) Ancora una volta ecco operare il pricipio guida di don Bosco, prima di tutto salvarsi l’anima. Se il primato è chiaro allora anche se scossi da tanti dubbi, nella preghiera sincera il caos dell’anima lascia il posto alla pace. Ma se sbaglio vocazione…mi toccherà l’inferno? La domanda è

molto seria e non va banalizzata. Non sta a noi il giudizio eterno (per fortuna!), ma il volto triste del giovane ricco da-vanti alla chiamata del Signore Gesù ci deve interrogare profondamente: “egli si fece scuro in volto e se ne andò via rattristato; possedeva infatti molti beni” (Mc 10,22). Non seguire la propria vocazione riconosciuta è come voler fare uno sla-lom tra le grazie che il Signore ha pre-parato per la nostra vita. Non mettiamoci in pericolo, ma seguimmo con coraggio la voce di Dio che ci chiede di seguirlo.

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1. Quando penso alla morte che sentimenti nascono in me? Ho già avuto espe-rienza di un caro defunto (parente, amico, compagno…) come ti sei comportato?

2. Come immagini il giudizio fi nale? Di cosa pensi ti verrà chiesto conto?

3. Se oggi fosse l’ultimo giorno della tua vita, cosa ti piacerebbe essere stato? Cosa invece vorresti eliminare della tua vita?

LA DOMANDA

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OUTPUT

1. Una visita ai tuoi cari al cimitero affi -dando al Padre la loro salvezza e chie-dendo la loro protezione.

2. Guardare integralmete il fi lm “Non è mai troppo tardi” con Jack Nicholson e Morgan Freeman.

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4 SOLO DIO CHIAMASACRAMENTI E VOCAZIONE

INPUT

IL SOFFIO

Spirito del Padre vieni a vivere in

noi: alleluia canteremo per le strade

della vita.

• Vieni Padre dei poveri, vieni luce splendida.

• Scendi amico degli umili, forza per i deboli.

• Tu conforti chi è solo, salvi dai peri-coli.

• Tu creatore dei mondi, ami la mia vita.

• Vieni a darci la pace, pace che ci li-bera.

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LA PAROLA

LC 24,13-3513Ed ecco, in quello stesso giorno

due di loro erano in cammino per

un villaggio di nome Èmmaus, di-

stante circa undici chilometri da

Gerusalemme, 1 4e conversavano

tra loro di tutto quello che era ac-

caduto. 15Mentre conversavano

e discutevano insieme, Gesù in

persona si avvicinò e camminava

con loro. 16Ma i loro occhi erano

impediti a riconoscerlo. 17Ed egli

disse loro: «Che cosa sono que-

sti discorsi che state facendo tra

voi lungo il cammino?». Si ferma-

rono, col volto triste; 18uno di loro,

di nome Clèopa, gli rispose: «Solo

tu sei forestiero a Gerusalemme!

Non sai ciò che vi è accaduto in

questi giorni?». 19Domandò loro:

«Che cosa?». Gli risposero: «Ciò

che riguarda Gesù, il Nazareno,

che fu profeta potente in opere e

in parole, davanti a Dio e a tutto

il popolo; 20come i capi dei sacer-

doti e le nostre autorità lo hanno

consegnato per farlo condannare

a morte e lo hanno crocifi sso. 21Noi

speravamo che egli fosse colui

che avrebbe liberato Israele; con

tutto ciò, sono passati tre giorni

da quando queste cose sono ac-

cadute. 22Ma alcune donne, delle

nostre, ci hanno sconvolti; si sono

recate al mattino alla tomba 23e,

non avendo trovato il suo corpo,

sono venute a dirci di aver avuto

anche una visione di angeli, i quali

affermano che egli è vivo. 24Alcuni

dei nostri sono andati alla tomba

e hanno trovato come avevano

detto le donne, ma lui non l’hanno

visto». 25Disse loro: «Stolti e lenti

di cuore a credere in tutto ciò che

hanno detto i profeti! 26Non biso-

gnava che il Cristo patisse que-

ste sofferenze per entrare nella

sua gloria?». 27E, cominciando da

Mosè e da tutti i profeti, spiegò

loro in tutte le Scritture ciò che si

riferiva a lui.28Quando furono vicini al villaggio

dove erano diretti, egli fece come

se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: «Resta con

noi, perché si fa sera e il giorno è

ormai al tramonto». Egli entrò per

rimanere con loro. 30Quando fu a

tavola con loro, prese il pane, re-

citò la benedizione, lo spezzò e lo

diede loro. 31Allora si aprirono loro

gli occhi e lo riconobbero. Ma egli

sparì dalla loro vista. 32Ed essi dis-

sero l’un l’altro: «Non ardeva for-

se in noi il nostro cuore mentre

egli conversava con noi lungo la

via, quando ci spiegava le Scrit-

ture?». 33Partirono senza indugio

e fecero ritorno a Gerusalemme,

dove trovarono riuniti gli Undici e

gli altri che erano con loro, 34i qua-

li dicevano: «Davvero il Signore è

risorto ed è apparso a Simone!».

35Ed essi narravano ciò che era

accaduto lungo la via e come l’a-

vevano riconosciuto nello spezza-

re il pane.

L’ECO

DOVE CI TROVIAMO?Ci troviamo nella terza parte del Vange-lo di Luca (capp. 19-24), in cui vengono narrati i grandi eventi di Gerusalemme, la città santa ove si compie la salvezza attra-verso la croce di Gesù: l’ingresso trionfale del Messia (cap. 19); il suo insegnamento nel Tempio (capp. 20-21); il racconto del-la passione (capp. 22-23); i racconti della Pasqua (cap. 24), cui appartiene il nostro testo, cioè l’apparizione del Risorto a due discepoli nei pressi di Emmaus, un’ignota località che generalmente viene identifi cata con Amwas, villaggio a 30 km a nord ovest di Gerusalemme.

CHE COSA MI DICE DIO?Gesù risorto è colui che si mette accanto a due uomini increduli, che avevano perso la fede in lui dopo il fallimento della croce: pensavano che fosse il profeta potente mandato da Dio a liberare il popolo, invece è sepolto da tre giorni e, per quanto riu-scivano a vedere, YHWH non è ancora in-tervenuto per mostrare di essere dalla sua parte. Notiamo alcuni particolari signifi cati-vi di questo racconto:

• Gesù si mostra non nella sua gloria di Si-gnore Risorto, ma sotto il “velo” delle forma umana, per cui sembra essere un pellegrino di passaggio a Gerusalemme per la Pasqua, il quale ignora fi nanche il processo e la con-danna che si sono consumati in quei giorni;

• Gesù spiega ai due viandanti tutto l’Anti-co Testamento (Mosè ed i Profeti) in chiave “cristologica”, mostrando come nella sua persona hanno trovato compimento tutte le Scritture;

• Gesù accetta l’invito a fermarsi a cena coi due, i quali, secondo il costume palestinese, fanno dell’ospitalità un gesto dal forte valore sociale;

• Gesù durante la cena compie il gesto eu-caristico di “spezzare il pane” e proprio in questo gesto egli si rivela per quello che è –il Risorto, che scompare dal loro sguardo poiché ormai nella gloria, fuori dallo spazio e dal tempo- ed “apre gli occhi” ai suoi com-mensali, che tornano a Gerusalemme pieni di gioia.

CHE RISPOSTA DIO SI ATTENDE DA ME?Come i due discepoli Dio si aspetta che noi facciamo un cammino: dall’incredulità che nasce dallo scandalo della croce, alla fede nel risorto; dall’ignoranza, per cui la Parola di Dio è “muta”, alla comprensione delle Scritture; dalla paura che ci fa fuggire, alla gioia che ci fa ritornare sui nostri passi; dal silenzio che nasce dallo sconforto alla testimonianza esplicita dell’incontro con il Risorto.

Questo quadruplice passaggio non è pos-sibile per le nostre forze, che risultano sem-pre perdenti davanti alla croce, ma perché il Risorto si fa presente qui ed ora accanto a me nell’Eucarestia, il pane che Gesù spez-za per noi.

Partecipare all’Eucarestia è “mettersi a ta-vola “ con Cristo, il quale, pur sotto il “velo” dei segni del pane e del vino, è realmente presente, ci parla, ci spiega le Scritture e da increduli ci rende credenti e testimoni.

IN SINTESI…Questo celebre episodio del terzo Vangelo ci aiuta a capire che l’Eucarestia –ed i Sacra-menti in generale- hanno senso per me qui ed ora.

1. E’ Cristo Risorto che si mette accanto a me.

2. E’ Cristo nella sua piena realtà di corpo che ha patito e che è glorifi cato, il quale si mostra a noi in un segno che lo vela e che, allo stesso tempo, lo svela.

3. E’ Cristo Risorto che mi accoglie nella mia fatica e nella mia incredulità e mi rende credente e testimone.

L’ECO

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4. E’ Cristo Risorto che mi dà la forza di camminare.

Per un giovane che si sta interrogando sulla propria vocazione e che è tentato, davanti alla fatica ed al proprio limite, di perdere la speranza e la fede e di “mollare”, la parte-cipazione (non solo domenicale, ma anche feriale) al banchetto eucaristico è il dono più prezioso che Gesù può fargli.

1. E conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto.

I due discepoli “ chiacchierano a vuoto” poiché non hanno compreso il senso della croce di Gesù. Quando la fatica visita la tua vita, come reagisci? Prendi delle decisioni concrete per superare lo scoglio che ti si pone davanti oppure ti perdi in discorsi inutili ed in pensieri sconfortanti?

2. I loro occhi erano impediti a riconoscerlo.

Se cadiamo nell’incredulità diventiamo ciechi e non riusciamo più a riconoscere la presenza di Dio nella nostra vita. In quali situazioni della tua vita hai sperimentato questo “buio”? Qual’era la fatica maggiore? Che cosa ti ha aiutato ad uscire da quella situazione?

3. Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?

La croce è diffi cile da capire e da portare; eppure è necessaria. La partecipazione all’Eucarestia ti aiuta nella fatica quotidiana? Quando hai dei momenti di prova ti fermi in chiesa davanti a Gesù crocefi sso e risorto, che è lì per te?

4. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero.

Il dono più grande che si può ricevere è scoprire Cristo presente nella propria vita, accanto a noi. Che percezione hai della presenza di Gesù nella tua vita quotidia-na? L’Eucarestia che celebri regolarmente come ti aiuta?

PER LA TUA VITA

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0. UN POVERO DI 13 ANNIRicordo ancora come fosse oggi una mattina all’oratorio estivo in cui, es-sendoci la possibilità di andare a Mes-sa, mi portavo (ndr l’autore) verso la chiesa, anche attratto dalla possibilità di ricevere qualche punto bonus bon-tà per la mia squadra. Mi avvicina un ragazzo più grande, sarà stato di 3 media, che mi chiede beffardo:- Ma stai andando a Messa?- Sì... – gli rispondo un po’ intimorito- Pfff – sbuffa platealmente il mio inter-locutore – che rottura ma è sempre la stessa cosa, io la so ormai a memoria la messa!...Ero rimasto senza parole. Non perchè mi avesse offeso, ma perchè sapevo che la Messa non è sempre uguale, sapevo che non è una noia, ma non sapevo spiegarlo a quel povero ra-gazzo che già a 13 anni era convinto che la Messa, fonte e culmine dell’a-zione della Chiesa, fosse semplice-mente una sorta di noiosa cerimonia

per vecchiette.

Proviamo dunque insieme a riscoprire alcuni dei gesti e dei signifi cati dell’eu-carestia che ci permetteranno di po-terci accostare con crecente parteci-pazione al sacrifi cio eucaristico.

1. LE CONDIZIONINon si accede al banchetto eucaristi-co, quello del quale Gesù stesso ha detto: «Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, poiché vi dico: non la mangerò più, fi nché essa non si compia nel regno di Dio» (Lc 22,15-16), senza essere adeguata-mente preparati. Certo non si potrà mai essere degni, o pronti, ma è ne-cessario fare di tutto per esserlo.

Uno dei segni che nei riti intro-duttivi iniziali inserisce nel mistero che si va celebrando, è il battersi il pet-to mentre si prega il “Confesso...” durante l’atto penitenziale. Sentiamo ora come descrive accuratamente tale gesto uno dei più acuti ed appassionati studiosi della liturgia, Romano Guardini.

ACTIO

LA RISPOSTA

“La santa Messa è cominciata. Il Sa-cerdote sta ai piedi dell’altare. Si pre-ga: «Io confesso a Dio Onnipotente... che ho molto peccato con pensieri, parole, opere e omissioni per mia col-pa, per mia colpa, per mia grandissima colpa». E quante volte pronunziano la parola «colpa», ci si batte il petto. Cosa signifi ca dunque questo battersi il pet-to? Dobbiamo compiere bene l’atto per capirlo… Non toccarci appena colla punta delle dita il vestito; il pugno chiuso deve colpire il petto… È una percossa, non un gesto cerimonioso. Ha da attraversare le porte del nostro mondo interiore e scuoterlo. Allora comprendiamo cosa signifi ca. Que-sto mondo ha da essere pieno di vita, pieno di luce, forza ed attività vigoro-sa. Ma come si presenta esso in ve-rità? Gravi esigenze ci si presentano, doveri, bisogni, inviti alla decisione, ma a stento alcune di esse hanno un’e-co dentro di noi. Così, siamo magari gravati da qualche colpa, ma non ce ne preoccupiamo. «Nel fervore della vita siamo circondati dalla morte», ma non vi pensiamo. Ma ecco una voce di Dio che ammonisce: «Destati! Guar-dati attorno! Rifl etti su di te! Converti-ti! Fa’ penitenza! ». Questo monito prende forma concreta nella percossa del petto. Questa ha da penetrare; ha da scuotere, intimorire il mondo interiore, af-fi nché si desti, apra gli occhi, si converta a Dio.Si rende l’anima consapevole della sua condizione? In tal caso le salta all’oc-chio, come abbia sciupato in scioc-chezze la vita, ch’è una cosa seria, come abbia trasgredito il comanda-mento del Signore, come abbia tra-scurato i suoi doveri, «per sua colpa». In questa colpa essa si trova incarce-rata, e c’è solo una via per uscirne, e precisamente che riconosca senza ri-serve: «Ho peccato in pensieri, parole opere ed omissioni contro Dio e la co-munione dei Santi ». Questo è dunque il signifi cato del battersi il petto: l’uomo si sveglia. Desta il suo mondo interio-

re, affi nché percepisca l’appello di Dio. Si mette dalla parte di Dio. Rifl essione pertanto, conversione. Lo facciamo pure quando, prima della Comunione ci viene mostrato il corpo del Signore e diciamo: «Signore, io non sono degno che Tu entri sotto il mio tetto»”. (Da R. GUARDINI, I santi segni, Morcelliana, Brescia 1960.)

2. LA SUA PRESENZARidestarsi del mondo interiore, ope-rare una rottura con l’abitudinarietà dei ritmi della settimana, mostrando la necessità di inserirsi gradualmete nel mistero eucaristico che si sta vivendo, sono lo scopo principale dei riti intro-duttivi della Santa Messa.Riti introduttivi...ma introduttivi a cosa? A chi? Essi ci accompagnano passo, passo all’incontro di una presenza che non accade nei modi cui siamo abitua-ti, ma non per questo è meno reale e personale. Nell’incontro con la Parola di Dio prima e nel pane spezzato poi ogni credente è introdotto, proprio come capitò 2000 anni fa ai discepoli di Emmaus, all’incontro con il Vivente: Gesù Cristo morto e risorto. Capiamo ora meglio le parole di Gesù nel van-gelo di Matteo al capitolo 18: «In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domanda-re qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,19-20).Segni emblematici di questa presenza viva in mezzo a noi sono:

L’altare: Termine derivante da Altus, probabilmente da Alere = nutrire, indi-cando la mensa destinata a ricevere gli olocausti offerti in dono e quasi in cibo alle divinità mentre in senso metaforico Alere = far crescere, sollevare indican-do il posto elevato ove si facevano le offerte di incenso o di animali in forma cruenta.• Luogo Pietra angolare che è Cristo. “Stringendovi a Lui, pietra viva, rigetta-

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ta dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impie-gati come pietre vive per la costru-zione di un edifi cio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifi ci spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo” (1Pt 2,4-5).• dei sacrifi ci: Presso gli Ebrei l’altare (mizbeah, ciò su cui si sacrifi ca) era in origine connesso con una apparizione di Dio (Mosè elevò un a. ai piedi del Si-nai: Esodo 24, 4) e su di esso si ucci-deva l’animale offerto alla divinità• Tomba (cfr. reliquie dei martiri, par-tecipi del sacrifi cio di Cristo): se l’alta-re è il Cristo e il Corpo di Cristo, allora dobbiamo comprendere quest’ultima espressione in tutta la sua ampiezza: essa designa anche il Corpo mistico. Tale è la signifi cazione delle reliquie che sono inserite obbligatoriamente in ogni pietra d’altare.• Banchetto della Pasqua: L’altare è la mensa dell’ultima cena, il Calvario della Passione. • Mensa del Paradiso: l’altare dei nostri temPli non è altro che il simbolo ter-restre di questo archetipo celeste. Ap, 19, 9: Allora l’angelo mi disse: «Scrivi: Beati gli invitati al banchetto delle noz-ze dell’Agnello!». Poi aggiunse: «Que-ste sono parole veraci di Dio». Lu, 12, 37: Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a ser-virli.

L’altare è la tavola, la pietra del sacri-fi cio, quel sacrifi cio che costituisce - per l’umanità caduta - il solo mezzo di prendere contatto con Dio. L’altare è il luogo di questo contatto: attraverso l’altare Dio viene verso di noi e noi an-diamo a Lui. Esso è l’oggetto più san-to del tempio, perché lo si riverisce, lo si bacia e lo si incensa. È un centro di raggruppamento, il centro dell’assem-blea cristiana; e a questo raggruppa-mento esteriore corrisponde un rag-gruppamento interiore delle anime e

dell’anima“Forze molteplici vi sono nell’uomo: co noscendole, egli può abbracciare tutt’intorno le cose, stelle e montagne, mari e fi umi, piante ed animali e tutta l’umanità ch’è vicino a lui, e così arric-chire il suo mondo interiore. Egli le può amare, le può odiare e respingere; può porsi contro di esse op pure tendervi ed attirarle a sé. Può agire sul mondo circostante e modifi carlo secon do il proprio volere. Un vario ondeggiare di gioia e di brama, di affl izione e d’amo-re, di calma e di eccitazione accompa-gna il ritmo del cuore.La sua forza più nobile è però que-sta: il riconoscere che v’è qualcosa di più alto sopra di lui; il venerare code-sto qualcosa di più alto ed inserirvisi. L’uomo può co noscere al di sopra di sé Dio, Lo può ado rare e può offrire se stesso « affi nché Dio sia glorifi cato ».Questa è l’offerta: che la sublimità di Dio risPlenda nello spirito; che l’uomo ado ri questa sublimità; non si attardi egoisticamente nei propri possessi, bensì li trascenda, impegni se stesso affi nché l’eccelso Iddio venga glorifi -cato.La forza più profonda dell’anima è la sua capacità di offerta. È nell’intimo dell’uomo che hanno sede la calma e la lim pidezza donde sale l’offerta a Dio.Appunto di questo nucleo più intimo, calmo e forte, proprio dell’uomo, l’al-tare di pietra è il segno visibile. Esso sta nella parte più santa della chiesa, elevato da gradini sul resto dello spa-zio, che pure è distinto esteriormente dalle altre opere dell’uomo, distacca-to come il santuario dell’a nima. Sal-damente eretto sullo zoccolo sicu-ro, come il volere verace dell’uomo che non ignora Dio ed è deciso a impegnarsi per Lui. E sullo zoccolo la « mensa », un luo go ben preparato su cui è presentata l’of ferta. Nessu-na angolosità, superfi cie tutta libera. Nessuna penombra né azione nell’o-scurità, bensì aperta a tutti gli sguardi. Così, come l’offerta ha da aver luogo

nel cuore. Tutta dispiegata dinanzi allo sguar do di Dio, senza riserve né se-condi fi ni.Ma l’uno è in intima relazione coll’altro: l’altare esteriore con quello inte riore. Quello è il cuore della chiesa; que sto la realtà più profonda di un petto uma-no che palpiti, del tempio interiore, del quale l’esterno colle sue pareti e volte è espressione e similitudine.” (Da R. GUARDINI, I santi segni, Morcelliana, Brescia 1960.)

L’ambone: “L’ambone è il luogo pro-prio della parola di Dio. Quando è fatto di pietra e con una forma avvolgente richiama il sepolcro vuoto del giorno di Pasqua. Dall’ambone è proclamato l’Exultet: «O notte veramente beata! Tu sola hai potuto conoscere il tempo e l’ora in cui Cristo è risorto dagli inferi». Alcuni amboni antichi sono anche re-cintati: entrarvi è come calcare il giardi-no del Santo Sepolcro.L’ambone deve essere presenza elo-quente, capace di far riecheggiare la parola di Dio anche quando non c’è nessuno che la sta proclamando. Su molti, specie dopo l’anno mille, tro-viamo scolpito il tetramorfo, i “quattro esseri viventi” che troviamo nel libro del profeta Ezechiele e nell’Apocalisse (Ez 1,5; Ap 4,7) e che sono tradizional-mente identifi cati con i quattro evan-gelisti in base all’incipit di ciascun van-gelo. [...]L’ambone, in quanto sepolcro vuoto, è il luogo del «non è qui» detto dall’angelo alle donne che cercavano il corpo morto di Cristo al mattino di Pa-squa (Mt 28,6). L’ambone è luogo che rimanda ad altro. Infatti, nella liturgia, il libro evangeliario ha la propria sede sull’altare. E da qui viene portato pro-cessionalmente all’ambone. Questo ci ricorda che la rivelazione è più ampia della Scrittura: la Parola si è fatta car-ne ed è parola viva. Il Verbo cerca la voce dei testimoni dove risuonare. Per questo all’ambone, si sta in piedi. Per-ché questa è la postura del Risorto. E quando si ascolta il Vangelo non si sta

seduti, né inginocchiati, ma ci si alza in piedi. Perché si è chiamati a imitare il Risorto, il solo che ha parole di vita eterna.” (da L. CODEMO, Arte e cate-chesi, in www.la bussola quotidiana.it, 10)

Segno - Il bacio del Vangelo e dell’altareIl Bacio è l’espressione più intensa dell’amore. È una comunione, un af-fetto che si fa tangibile, è una manife-stazione chiara del donarsi. Il Bacio è un gesto di venerazione, di comunio-ne e di tenerezza rispettosa di Adora-zione. Quando il sacerdote e il diacono alla Messa baciano l’altare, esprimono la loro comunione con Dio, con Cristo e con tutta la Chiesa del cielo, la cui presenza è simbolizzata dalle reliquie dei santi. Alla Messa, dopo aver letto il Vange-lo, il diacono o il sacerdote baciano l’evangeliario, in segno di adesione ri-spettosa alla parola di Cristo.

Segno - Lo spezzare del paneLa “frazione del Pane” è uno dei più antichi nomi dell’Eucaristia (Lc 24,35; At 2,42.). Il rituale ebraico dei pasti pre-vedeva che il presidente, dopo aver pronunciato la benedizione, spezzas-se il pane per distribuirlo ai commen-sali. Gesù ha compiuto questi gesti in occasione delle due moltiplicazioni dei pani (Mt 14,19; 15,36; Gv 6,11) e nel mo-mento dell’istituzione dell’Eucaristia (Lc 22,19). Il rito della frazione diventa-va allora il simbolo di Cristo Servo che dona la sua vita perché noi abbiamo la vita in abbondanza: egli si consegna per essere « spezzato » (dalla soffe-renza) e distribuito fra tutti. «Spezza-re il pane» diventa così l’atto centrale della liturgia cristiana (At 2,46; 20,7-11; 27,35; / Cor 10,16). Nella celebrazione della Messa il rito della frazione viene dopo il ge sto di pace, durante il can-to dell’Agnello di Dio. La frazione è un gesto pre paratorio alla comunione,

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degno di una particolare venerazione, per ché riproduce quello del Signore; il suo simbolismo è sottolineato dalla triplice invocazione all’Agnello di Dio che si è dato per noi e che man giamo come nostra Pasqua.

3. IL MANDATODopo la preghiera eucaristica, che ha il suo culmine nel momento della con-sacrazione, ci sono i riti di comunione. Essi ci dispongono ad entrare appun-to in comunione con il corpo di Cristo e in lui, con tutti i nostri fratelli.Scambiatevi un gesto di pace! – escla-mano il diacono o il sacerdote perchè “se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ pri-ma a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono. (Mt 5,23-24)”. Non è possibile entrare in comu-nione con Cristo così radicalmente ed essere divisio dai propri fratelli. É così vero che subito dopo siamo invita-ti a pregare la preghiera dei fi gli che Gesù stesso ci ha insegnato, il Padre Nostro, preghiera che in Dio Padre ci rende tutti fratelli. Alla comunione il sacerdote esclama, Corpo di Cristo – Amen, ri-spondiamo noi; Lui è in noi e noi in Lui, ma non ci si siede a quella mensa per rimarvi, per consolarsi della sua pre-senza. Dentro di noi egli ci invia pro-prio come i discepoli di Emmaus che dopo averlo riconosciuto corrono a più non posso verso Gerusalemme dagli undici.Testimoniate il Signore con la vostra vita, andate in pace – rendiamo grazie a Dio. Così è la fi ne della celebrazio-ne eucaristica, non è semplicemete il punto a capo, ma è un mandato mis-sionario, è l’invito che il Signore fa ad ogni suo fi glio: ”Va ed annunzia le me-raviglie del mio amore” . La comunio-ne eucaristica vuol smuoverti dentro, ti chiama ad essere proprio come

quel Gesù del quale ti sei nutrito. Esci dalla chiesa colmo di Lui per assomi-gliare a Lui e parlare di Lui con la tua vita a chi incontrerai.

Segno - L’Eucaristia sulle mani e lo scambio della pace“Quando ti avvicini a ricevere il Corpo del Signore, non avvicinarti con le pal-me delle mani distese né con le dita separate, ma facendo della tua mano sinistra come un trono per la destra dove sederà il Re. Con la cavità della mano ricevi il Corpo di Cristo e rispondi «Amen»” (Cirillo di Gerusalemme, Ca-techesi mistagogiche, Sec. IV)

LA DOMANDA

1. Dove e come ti è capitato di fare vera esperienza della presenza di Dio?

2. Come esprimi l’affetto per Dio nelle tuo quotidiano?

3. Valuta da 1 a 10 il modo con cui partecipi alla celebrazione eucaristica (attenzione, partecipazione, comprensione, conversione)

4. Fare la comunione è entrare nella massima comunione con Dio.Come curi il ringraziamento dopo aver mangiato con e di Lui? Cosa gli chiedi in que-sto momento di intimità speciale?

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OUTPUT

1. Fissa il crocifi sso. Fissa le sue piaghe. Fissa il suo costato. Trasforma lo stupore in preghiera da dire nel silenzio dopo la comunione.

2. Renditi disponibile per il servizio dell’altare come chierichietto/ministrante. Solo dal di den-tro scopri le bellezze della liturgia eucaristica.

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IL CARISMA E LA VOCAZIONESALESIANA

INPUT

IL SOFFIO

Spirito del Padre vieni a vivere in

noi: alleluia canteremo per le strade

della vita.

• Vieni Padre dei poveri, vieni luce splendida

• Scendi amico degli umili, forza per i deboli.

• Tu conforti chi è solo, salvi dai pericoli.

• Tu creatore dei mondi, ami la mia vita.

• Vieni a darci la pace, pace che ci libera.

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LA PAROLA

1SAM 16,1-13E il Signore disse a Samuele: «Fino

a quando piangerai su Saul, men-

tre io l’ho rigettato perché non

regni su Israele? Riempi di olio il

tuo corno e parti. Ti ordino di an-

dare da Iesse il Betlemmita, per-

ché tra i suoi fi gli mi sono scelto

un re». Samuele rispose: «Come

posso andare? Saul lo verrà a

sapere e mi ucciderà». Il Signo-

re soggiunse: «Prenderai con te

una giovenca e dirai: Sono venuto

per sacrifi care al Signore. Inviterai

quindi Iesse al sacrifi cio. Allora io

ti indicherò quello che dovrai fare

e tu ungerai colui che io ti dirò».

Samuele fece quello che il Signo-

re gli aveva comandato e venne

a Betlemme; gli anziani della città

gli vennero incontro trepidanti e

gli chiesero: «E’ di buon augurio la

tua venuta?». Rispose: «E’ di buon

augurio. Sono venuto per sacrifi -

care al Signore. Provvedete a pu-

rifi carvi, poi venite con me al sacri-

fi cio». Fece purifi care anche Iesse

e i suoi fi gli e li invitò al sacrifi cio.

Quando furono entrati, egli osser-

vò Eliab e chiese: «E’ forse davan-

ti al Signore il suo consacrato?». Il

Signore rispose a Samuele: «Non

guardare al suo aspetto né all’im-

ponenza della sua statura. Io l’ho

scartato, perché io non guardo ciò

che guarda l’uomo. L’uomo guar-

da l’apparenza, il Signore guarda

il cuore». Iesse fece allora venire

Abìnadab e lo presentò a Samue-

le, ma questi disse: «Nemmeno su

costui cade la scelta del Signo-

re». Iesse fece passare Samma e

quegli disse: «Nemmeno su costui

cade la scelta del Signore». Iesse

presentò a Samuele i suoi sette

fi gli e Samuele ripetè a Iesse: «Il

Signore non ha scelto nessuno di

questi». Samuele chiese a Iesse:

«Sono qui tutti i giovani?». Rispo-

se Iesse: «Rimane ancora il più

piccolo che ora sta a pascolare il

gregge». Samuele ordinò a Iesse:

«Manda a prenderlo, perché non

ci metteremo a tavola prima che

egli sia venuto qui». Quegli mandò

a chiamarlo e lo fece venire. Era

fulvo, con begli occhi e gentile di

aspetto. Disse il Signore: «Alzati

e ungilo: è lui!». Samuele prese il

corno dell’olio e lo consacrò con

l’unzione in mezzo ai suoi fratelli,

e lo spirito del Signore si posò su

Davide da quel giorno in poi. Sa-

muele poi si alzò e tornò a Rama.

L’ECO

1. DOVE CI TROVIAMO?Il passo che abbiamo letto è l’inizio dell’ul-tima sezione del Primo Libro di Samuele (capp. 16-31), in cui l’autore ci racconta l’a-scesa del re Davide ed il contemporaneo declino del Re Saul. Questi infatti aveva di-sobbedito per due volte a Dio, che, come dice il testo biblico, “si era pentito di averlo fatto regnare su Israele”; Samuele, che lo aveva consacrato re, piangeva su di lui, ma il Signore ha già scelto chi chiamare per compiere la missione a favore del popolo, per cui invia il profeta a ungere come suc-cessore uno dei fi gli di Iesse.

2. CHE COSA MI DICE DIO?E’ possibile che a causa della nostra di-sobbedienza e del peccato “roviniamo” il progetto di Dio, così come ha fatto Saul; davanti a queste situazioni siamo portati a bloccarci ed a lamentarci, come fa Sa-muele. Ma Dio non si scoraggia e conti-nua a chiamare chi vuole perché la storia di salvezza vada avanti e il suo disegno si compia.

Tra tutti i fi gli di Iesse sceglie, con stupore di Samuele, non i più anziani, uomini fatti e di statura imponente – cioè Eliab, Abina-dab e Samma- ma il più giovane, Davide, che era ancora un ragazzo e che il padre aveva lasciato a pascolare le greggi, non immaginando certo che Dio lo avrebbe scelto e, tramite l’unzione profetica, avreb-be fatto scendere su di lui il suo spirito. Ma YHWH, a differenza dell’uomo che guarda l’apparenza, guarda il cuore, per cui, come dice bene San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi, “Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti”.

3. CHE RISPOSTA DIO SI ATTENDE DA ME?Samuele è pieno di paura, poiché teme

che Saul, venendo a sapere che stava an-dando a consacrare un altro re, lo avrebbe ucciso. Dio però lo invita a proseguire per-ché il peccato e la violenza non possono mai ostacolare il suo disegno. Se pensiamo a don Bosco, vediamo che alle origini della sua opera ci sono state moltissime incom-prensioni e diffi coltà, non solo da parte del-le autorità civili (che all’epoca erano forte-mente ostili alla Chiesa), ma anche dei suoi confratelli sacerdoti, che non comprende-vano che si trattava di un’opera dello Spirito santo.

Un’altra diffi coltà che spesso ci blocca de-riva dal fatto che siamo portati a valutare la realtà secondo i nostri criteri, non secondo quelli di Dio: anche a noi sarebbe sembra-to impossibile che il più giovane dei fi gli di Iesse fosse chiamato da Dio a diventare re, oppure che quel giovane prete di Tori-no, che con un pizzico di follia si era “but-tato” a lavorare tra i ragazzi poveri, stesse dando vita ad una grande opera a favore della gioventù di tutto il mondo. Al contra-rio, il Signore ci chiede di aver coraggio e di imparare a leggere la realtà con i suoi oc-chi! Don Bosco lo aveva compreso molto bene quando, senza paura, prendeva dei ragazzi adolescenti e li “mandava” come amici ed educatori tra i più piccoli: agli occhi di molti pareva una cosa senza criterio, in realtà era un’opera dello Spirito di Dio.

IN SINTESI…

Questo testo biblico ci mostra che:

1. Dio sceglie chi vuole per affi dargli la mis-sione che vuole;

2. i criteri di scelta di Dio non sempre colli-mano con i nostri;

3. anche un ragazzo può diventare colla-boratore del progetto di Dio;

4. quando Dio attua la sua scelta, ricolma del suo Spirito chi è chiamato a portare avanti la sua missione.

L’ECO

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1. Non guardare al suo aspetto né all’imponenza della sua statura. Io l’ho scartato, perché io non guardo ciò che guarda l’uomo.

I criteri di azione di Dio ci lasciano talora “a bocca aperta”, per cui ha scelto Gio-vannino Bosco, un povero ragazzo orfano di padre per essere “padre” di tanti giovani abbandonati. Quali sono i tuoi criteri di giudizio sulla realtà? Cerchi di con-formare il tuo pensiero ai criteri del Vangelo?

2. L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore.

La questione centrale della nostra vita non è l’esteriorità, ma il cuore (“l’educazio-ne è cosa di cuore” diceva don Bosco). Hai “cura” del tuo cuore? Lo tieni pulito ed ordinato, o vi fai entrare di tutto? Hai qualcuno cui aprirlo completamente, per farti aiutare nella crescita?

3. Rimane ancora il più piccolo che ora sta a pascolare il gregge.

Come Giovannino Bosco, anche Davide è scelto per compiere una grande mis-sione in giovanissima età. Hai mai pensato che questo vale anche per te? Non potrebbe don Bosco -come del resto ha fatto alle origini della sua opera- chie-derti un impegno “serio”, nonostante i tuoi 16/17 anni?

4. Lo spirito del Signore si posò su Davide.

Il più giovane dei fi gli di Iesse è colmato dello Spirito di Dio, così come lo fu il giova-ne Giovanni Bosco. Hai mai pensato che il carisma salesiano, di cui fai esperienza, è frutto di un’iniziativa non umana, ma divina? Quali sono le “cose belle” che Dio ti ha dato stando nella casa di Don Bosco e frequentando il suoi fi gli, i Salesiani? Ne hai mai ringraziato?

PER LA TUA VITA

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IL GRIDO

L’IMPEGNO

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1. DA AGNELLI A PASTORIIn un sogno simile a quello dei 9 anni, don Bosco si trova in un campo im-menso di lavoro ed è stremato di for-ze. Don Bosco vuol fermarsi, ma la voce di una Pastorella è irresistibile: bisogna proseguire. Tanti aiutano don Bosco, ma dopo un po’ si stancano, scappano e cambiano strada. D’un tratto, gli agnelli, che un tempo era-no bestie feroci, diventano pastori e rimangono con don Bosco, per sem-pre, ad aiutarlo nella sua missione.

“La seconda domenica di ottobre di quell’anno (1844, don Bosco è pre-te da 3 anni e non ha ancora un luo-go fisso dove fare l’oratorio) dovevo dire ai miei giovani, che l’Oratorio sarebbe stato trasferito in Valdocco. Ma l’incertezza del luogo, dei mez-zi, delle persone mi preoccupavano. La sera precedente andai a letto col cuore inquieto. In quella notte feci un nuovo sogno, che pare la conti-nuazione di quello fatto la prima volta ai Becchi quando avevo circa nove

anni. Letteralmente ve lo racconto .Sognai di vedermi in mezzo ad una moltitudine di lupi, di capre e capretti, di agnelli, pecore, montoni, cani ed uc-celli. Tutti insieme facevano un rumore, uno schiamazzo, o meglio un diavolio da incutere spavento ai più coraggiosi.Io volevo fuggire, quando una Signo-ra, assai ben messa simile ad una pa-storella, mi fece cenno di seguire ed accompagnare quel gregge strano, mentre Ella precedeva. Andammo va-gabondi per vari luoghi: facemmo tre stazioni o fermate: ad ogni fermata molti di quegli animali si cambiavano in agnelli, il cui numero aumentava sem-pre più. Dopo avere molto cammina-to, mi trovai in un prato, dove quegli animali saltellavano e mangiavano in-sieme, senza che gli uni tentassero di mordere gli altri.”Oppresso dalla stanchezza, volevo sedermi accanto ad una strada vicina, ma la pastorella mi invitò a continuare il cammino. Fatto ancora breve tratto di via, mi sono trovato in un vasto cortile con porticato attorno, alla cui estre-

ACTIO

LA RISPOSTA

mità c’era una Chiesa. Qui mi accorsi che quattro quinti di quegli animali era-no diventati agnelli. Il loro numero poi divenne grandissimo. In quel momento sopraggiunsero parecchi pastorelli per custodirli: ma essi si fermavano poco, e subito partivano. Allora succedette una meraviglia. Molti agnelli si trasforma-vano in pastorelli, che aumentando, si prendevano cura degli altri. Crescendo i pastorelli in gran numero, si divisero, e andavano altrove per raccogliere altri strani animali e guidarli in altri ovili.”

PreghieraDa bestie feroci ad agnelli, da agnelli a pastori. Tu Signore ci vuoi Tuoi colla-boratori, non ti curi delle nostre debo-lezze, vuoi solo che iniziamo a servire i nostri compagni. Donaci Signore il co-raggio di sporcarci le mani, di perdere tempo per i nostri fratelli, per i nostri amici lontani da Te.

2. VISIONE DI MASTRO BOSCHETTO. MARMOCCHI E RINTOCCHI.

DIVENTARE UN CAPOLAVOROBLOCCO 4 Psst… ascolta, ma che cos’è uno scultore?BOSCHETTO Non dirmi che tu hai voglia di ragionare.BLOCCO 4 Voglio sapere che cos’è uno scultore…BOSCHETTO Uno scultore è un personaggio che ama il marmo…BLOCCO 4 Dunque tu ami il marmo?BOSCHETTO Sì, io amo il marmo! Quando trovo un blocco di marmo vedo già una bellissima scultura…

BLOCCO 4 E che cos’è una

scultura?

BOSCHETTO È un’opera d’arte, un

capolavoro, vivo,

unico, con un volto,

con un viso, con

una storia…

BLOCCO 4 Ma come si fa a

diventare una

scultura?

BOSCHETTO Diventare una scultura

è una cosa bellissima,

ma è diffi cile!

BLOCCO 4 Perché è diffi cile?

BOSCHETTO Perché una scultura

nasce se qualcuno

la ama!

BLOCCO 4 Cosa vuol dire

amare?

BOSCHETTO Amare, vuol dire

volere più bene

all’altro che a sé…

BLOCCO 4 E nessuno ama

le sculture?

BOSCHETTO Per amare le sculture

ci vuole speranza, si

deve credere a un

blocco di marmo…

BLOCCO 4 Credere a un blocco

di marmo?

BOSCHETTO Sì, credere, con

speranza, vedere in

un marmocchio un

capolavoro…

BLOCCO 4 Ma allora è bella la

scultura!

BOSCHETTO È un’arte bellissima! Uno scultore è una

mano donata alla

speranza!

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BLOCCO 4 Se tu sei uno scultore io potrei diventare una scultura?BOSCHETTO Ci dovrei pensare…BLOCCO 4 Vuol dire che qui vedi solo un marmocchio… non vedi un capolavoro?BOSCHETTO Sì, sì, vedo un capolavoro, ma vedo anche tanto lavoro di scalpello…BLOCCO 4 Cos’è lo scalpello? BOSCHETTO È uno strumento che picchia duro, scava, ferisce, fa strada alla speranza, scolpisce! BLOCCO 4 Per diventare un capolavoro dovrei lasciarmi scolpire?BOSCHETTO Sì, dovresti lasciarti scolpire…BLOCCO 4 E tu mi scolpiresti?BOSCHETTO Solo a patto che tu fossi d’accordo…BLOCCO 4 Ma soffrirei molto?BOSCHETTO Senza sofferenza non nasce un capolavoro…BLOCCO 4 Se tu mi farai coraggio io proverò a farmi scolpire!BOSCHETTO D’accordo, ti porto via, questa notte! C’è un grande prato poco lontano da qui…BLOCCO 4 Un prato? Ma tu lavori in un prato?BOSCHETTO Per ora sì, ma è il prato del sogno! E alla luce della luna diventerai un capolavoro!

UN SOGNO PIÙ GRANDE: DA CAPOLAVORI A SCULTORI

MICHAL Ora vi svelo un segreto: sapete che Mastro Boschetto sogna per noi?BLOCCO 2 Cosa sogna?MICHAL Sogna di far nascere un laboratorio su questo prato…BLOCCO 1 E cos’è un oratorio? MICHAL Un la-bo-ra-to-rio dove i marmocchi diventano capolavori e non statue di polvere!BLOCCO 3 Allora noi siamo i primi capolavori?MICHAL Mastro Boschetto di questo è sicurissimo, ma ha un sogno ancora più grande…BLOCCO 1 Cosa sogna?MICHAL Sogna che diventiamo scultori! Scultori come lui!BLOCCO 2 Degli scultori? Mastro Boschetto vorrebbe fare di noi degli scultori?MICHAL Sì per riempire il mondo di capolavori, e sconfi ggere il polverizzatore!BLOCCO 3 Neanche pensavo di diventare capolavoro, fi gurati diventare scultore…MICHAL Ora siamo capolavori! Mastro Boschetto

vorrà la nostra risposta…BLOCCO 2 Scultore, scultore… una vita tra blocchi e marmocchi… BLOCCO 1 Scultore o non scultore, io seguirò Mastro Boschetto, senza di lui sarei polvere di marmo!BLOCCO 3 Forse hai ragione… Gli dobbiamo la vita! Ha dato fi no all’ultimo respiro per noi!

3. BRANI PER LA RIFLESSIONE PERSONALE

UNA RIUNIONE SEGRETA: NASCE LA CONGREGAZIONE.Poniamo l’attenzione sull’inizio dell’o-pera salesiana: Don Bosco ha avuto fi -ducia dei suoi giovani e li ha coinvolti nel suo sogno, li ha educati e fatti crescere per renderli adatti alla missione che con loro aveva da compiere, li ha fatti par-tecipi del suo sogno e dei suoi segreti. Ha dimostrato loro la fi ducia e non solo, ma li ha anche fatti sentire necessari, anzi indispensabili. Don Bosco li ha convocati in “camera sua” e lì il suo cuore ha parlato al loro cuore, sentendosi in perfetta sintonia con loro. Ha rifatto quello che 1800 anni prima già Gesù aveva compiuto: coin-volgere altri nella sua missione: giova-ni scelti, tra i migliori, tra i più sensibili, tra i più disponibili e generosi. “Ecco io vi mando come agnelli…” aveva det-to Gesù e don Bosco ha preso i suoi agnelli e, come gli aveva già indicato Maria, ne ha fatto dei pastori… i primi pastori dal cuore oratoriano.

“Si era celebrata solennemente nell’O-ratorio la festa dell’Immacolata Conce-zione di Maria SS. e D. Bosco in quel-

la sera annunciava in pubblico come il giorno successivo avrebbe tenuta una conferenza speciale in sua came-ra dopo che i giovani si fossero ritirati a riposare. Quelli che dovevano interve-nire capirono l’invito. I preti, i chierici, i laici che cooperavano alle fatiche di D. Bosco nell’Oratorio ed erano ammes-si ai segreti dell’Oratorio, intuirono che quella adunanza doveva essere impor-tante. Il 9 dicembre 1859 si radunaro-no.Invocato con le solite preghiere la luce dello Spirito Santo e l’assistenza di Maria SS., fatto cenno di ciò che aveva esposto nelle precedenti con-ferenze, D. Bosco descrisse che cosa fosse una congregazione religiosa, la bellezza di questa, l’onore immortale di chi si consacra tutto a Dio, la facili-tà di salvare l’anima propria, il cumulo inestimabile di meriti che si può acqui-stare con l’obbedienza, la gloria e la doppia corona che attende il religioso in paradiso.Quindi con una visibile commozione annunziò essere venuto il tempo di dare forma a quella Congregazione, che da tanto tempo egli meditava di erigere e che era stato l’oggetto prin-cipale di tutte le sue cure; che Pio IX aveva incoraggiata e lodata; che già esisteva con l’osservanza delle regole tradizionali, alla quale la massima parte di loro apparteneva almeno in spirito e alcuni per promessa o voto tempora-neo. Aggiunse che in tale Congrega-zione sarebbero stati ascritti solamen-te coloro, che, dopo matura rifl essione, avessero intenzione di emettere a suo tempo i voti di castità, povertà ed ob-bedienza.Quindi concluse essere giunto per tutti quelli che frequentavano le sue con-ferenze, il momento per dichiarare se volevano o non volevano ascriversi alla Pia Società che avrebbe preso, anzi conservato, il nome da S. Francesco di Sales. Dava a tutti una settimana di tempo per rifl ettere e trattare quell’im-portante affare con Dio”.

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MICHELE RUA: IO E TE FAREMO TUTTO A METÀ

“In una mattina del 1847, san Giovanni Bosco distribuisce medaglie ai bambini accorsi sul suo passaggio. Un ragazzo d’una decina d’anni, dall’aria timida, gli si para davanti e tende la mano. «Ah, sei tu, Michele! Cosa vuoi? – Una me-daglia... – Una medaglia? No. Ancor meglio. – E cosa allora? – Tieni, è per te!» E così dicendo, don Bosco tende la mano sinistra aperta, ma vuota, e, con l’altra, tenuta perpendicolarmen-te, fa il gesto di tagliarla in due, per of-frirgliene la metà. «Andiamo! Prendi! Prendi, ti dico!» Prendere, ma cosa? La mano rimane vuota. Che cosa vuol dire, si chiede il ragazzo. Parecchi anni dopo, don Bosco chiarirà l’enigma: «Caro Michele, tu ed io, nella vita, divi-deremo sempre tutto: dolori, preoccu-pazioni, responsabilità, gioie ed il resto, tutto il resto, tutto ci sarà comune».

Una domenica dell’autunno 1845, Mi-chele spinge la porta del famoso ora-torio di don Bosco. Questi gli si avvi-cina, gli mette per qualche istante la mano sul capo e lo fi ssa stranamente. Michele è ben presto conquistato dal-la bontà del giovane sacerdote, che, provvidenzialmente, lo accoglie all’O-ratorio due mesi dopo la morte del padre.

Un giorno, il cappellano della Manifat-tura d’armi dice a Michele: «Ma come? Non sai che don Bosco è gravemente malato? – Non è possibile; l’ho incon-trato ieri l’altro. – Ma sì, ti dico, è malato di un male da cui si guarisce solo diffi -cilmente: è la testa che non funziona!» Cinquant’anni più tardi, don Michele Rua confesserà: «Se mi avessero par-lato così di mio padre, non ne sarei sta-to più rattristato».

Di fronte allo sviluppo dell’opera, don Bosco inaugura un metodo che non cambierà più: far emergere dal grup-

po capi in grado di istruirlo e di coman-darlo. Un giorno del 1850, egli chiede a Michele: «Cosa pensi di fare l’anno venturo? Non ti piacerebbe continua-re gli studi per diventare sacerdote; che ne diresti?”. “Direi di sì, subito. Ma la mamma... chissà? – Prova a par-largliene: mi dirai quel che ne pensa». La risposta di quella madre cristiana è chiara: «Vederti sacerdote, sarebbe la più grande gioia della mia vita... Di’ a don Bosco che sono d’accordo per quest’anno, a titolo di prova». Il ragaz-zo corre dal sacerdote per annunciar-gli la buona notizia. Don Bosco mette la mano sulla spalla di Michele: nel suo sguardo brilla un’immensa speranza; negli occhi del fanciullo si legge una gioia ineffabile. Michele continua gli studi sotto il controllo di don Bosco. Le ore di libertà che gli lasciano gli studi le passa eseguendo mille lavori oscu-ri che alleggeriscono le spalle del suo maestro. Diventa anche esperto nel condurgli nuovi ragazzi. Talvolta, don Bosco redige foglietti volanti per istru-ire le anime; vi passe molte ore di not-te, correggendo il testo, aggiungendo note e segni convenzionali. La mattina, si diverte a metterne uno o due sotto gli occhi spaventati dei giovani studen-ti che non riescono a decifrare la sua scrittura quasi illeggibile. «Ecco lavoro per Rua, esclama allora don Bosco». Infatti, la sera, dopo aver fi nito i com-piti e le lezioni, Michele si accanisce sui geroglifi ci del maestro, e con la sua impeccabile calligrafi a restituisce un testo perfetto.

Michele Rua ha 15 anni. A differenza di altri non si spaventa di quello che dice don Bosco. Dice che l’oratorio, negli anni che verranno, avrà migliaia di ra-gazzi, che si trapianterà in tutta l’Italia, anche oltre le Alpi, e addirittura al di là degli oceani. Michele Rua sa che Don Bosco non è matto e si fi da completa-mente di lui.

Nell’autunno del 1853 don Bosco gli dice: “Ho bisogno che tu mi dia una mano. Per la festa della Madonna del Rosario, ver-rai con me alla cappellina dei Becchi. Lì verrà il parroco di Castelnuovo e ti farà indossare la veste nera dei chierici. Così, l’inizio dell’anno scolastico 1853-54, sarai assistente e insegnante dei tuoi com-pagni. Sei d’accordo? Mio caro Miche-le, tu cominci una vita nuova. Ma sappi che prima di entrare nella Terra Promes-sa avrai da attraversare il Mar Rosso e il deserto. Se mi aiuterai, passeremo tran-quillamente l’uno e l’altro e arriveremo alla Terra Promessa”. Michele ci pensa un po’ su. Non ci capisce molto. Allora don Bosco gli dice: “Ma come? Non ca-pisci ancora? Noi due nella vita faremo tutto a metà. Tutto quello che sarà mio sarà anche tuo. Ci saranno tante cose belle, vedrai. E al termine la cosa più bella di tutte: il Paradiso!”

GIOVANNI CAGLIERO: NON TEMERE, QUESTA È LA TUA VIA

Coinvolgimento e fi ducia hanno porta-to don Bosco a invitare i primi ragazzi in camera sua per dar vita alla Congrega-zione salesiana. La sua profonda pas-sione educativa lo ha indotto a condi-videre con loro la vita. I giovani hanno sentito su di loro l’invito di don Bosco: “ho bisogno che tu mi dia una mano” ed ora devono scegliere che risposta dare.

È stato il dilemma esistenziale di Gio-vanni Cagliero, quella sera, dopo che don Bosco aveva loro aperto il cuore e resi partecipi del suo sogno. Cosa fare? Da che parte schierarsi? Accet-tare la sfi da, coinvolgente, ma anche imprevedibile nelle sue conseguenze o lasciar perdere tutto? E poi come conoscere qual è la scelta giusta? Ca-gliero ci ha pensato, ma poi ha capito che in alcuni momenti della vita la sola ragione non può spiegare tutto. Ha la-

sciato parlare il cuore: il profondo af-fetto per colui che ormai considerava padre. Ma poi, da persona intelligente qual era, ha voluto compiere un passo ulteriore: non si è fi dato solo del suo cuore, ma ha confrontato la sua scelta, la scelta di stare con don Bosco, con una persona che lo potesse guidare sulla strada giusta, qualcuno che, con autorevolezza, potesse dirgli: “non te-mere, questa è la tua via!”.

“Quindi concluse essere giunto per tutti quelli che frequentavano le sue conferenze, il momento per dichiarare se volevano o non volevano ascriver-si alla Pia Società che avrebbe preso, anzi conservato, il nome da S. Fran-cesco di Sales. Dava a tutti una setti-mana di tempo per rifl ettere e trattare quell’importante affare con Dio.

Come D. Bosco ebbe fi nito, si recitò la preghiera di ringraziamento e l’as-semblea si sciolse in profondo silenzio. Usciti da quella camera, e quando si fu nel cortile, più d’uno disse sotto voce: “D. Bosco ci vuol fare tutti frati!”

Cagliero Giovanni era indeciso se do-vesse o no prendere parte alla nuova Congregazione. Passeggiò per lunga ora sotto i portici agitato da vari pensie-ri: fi nalmente esclamò volgendosi ad un amico: “O frate o non frate, intanto è lo stesso. Sono deciso, come lo fui sem-pre, di non staccarmi mai da Don Bo-sco!” Poi scrisse un biglietto a D. Bosco col quale gli diceva di volersi rimettere pienamente ai consigli e alla decisione del suo superiore. E D. Bosco incon-trandolo lo guardò sorridendo e poi: “Vieni, vieni, gli disse: questa è la tua via!”

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4. FRATE O NON FRATEDon Bosco

Sì, io da solo non potrei fare di più. Ma con voi accanto io mille strade aprirò. Miracoli faremo.... Si, fi gli miei crescete per servire il mondo, come l’aria che respira è forza d’ogni tem-po. Miracoli faremo, con Maria vici-no, insieme.

Cagliero e altri Io frate o non frate qui starò. Con Don Bosco io vivrò. La mia vita nelle mani sue (2).

Don Bosco Sì, io vedo già lontani continen-ti. Aprirete un nuovo mondo, sarà regno dei pezzenti che hanno più nessuno... Sì, il Signore ci darà pane e cielo. E mani di lavoro per fare il suo Regno. Ragazzi decidete: do-nategli la vita...

Cagliero e altri Io frate o non frate qui starò Con Don Bosco io vivrò. La mia vita nel-le mani sue. Io frate o non frate qui starò. Con D. Bosco io vivrò. La mia vita nelle mani sue. No, frate o non frate non andrò, con Don Bosco anch’io vivrò, la mia vita nelle mani sue. Io frate o non frate qui starò. Con D. Bosco io vivrò. La mia vita nelle mani sue.

IL DISCERNIMENTO VOCAZIONALE NELLA VITA DI UN GIOVANE SALESIANO “Tra le tante persone che mi hanno fat-to conoscere Gesù, quella che più mi ha aiutato a crescere come cristiano è stato il mio parroco. A questo contribu-to determinante si aggiungono gli anni di scuola trascorsi dai Salesiani, nel cui ambiente ho maturato con gradualità l’amicizia con Gesù, attraverso la pre-ghiera quotidiana, la frequenza regola-re alla Confessione fi no ad arrivare alla partecipazione quotidiana alla Messa nella cappella dell’Istituto Salesiano pri-ma dell’inizio delle lezioni. Essendo di-

ventato Gesù un vero e proprio punto di riferimento nella mia vita, è stato na-turale per me approfondire la mia vita di cristiano: la fede, la preghiera, il servi-zio, l’appartenenza ad una comunità... Questa verifi ca quotidiana non pote-va non prendere in considerazione la scelta di come spendere la mia vita: in quale ruolo ero chiamato a giocare nella squadra di Dio, per conformarmi sempre di più a lui?Da quel momento in poi ho cercato di leggere un po’ più seriamente il mio cammino e le mie attitudini, confron-tandomi con alcune persone-guida, rifl ettendo personalmente, pregandoci sopra, rimanendo disponibile al proget-to di Dio e all’azione dello Spirito San-to. In altre parole ho cercato di essere protagonista della mia vita e di vivere in pienezza il cammino di discernimento vocazionale che mi veniva proposto, nonostante gli impegni, i rapporti in fa-miglia e con gli amici, in una parola le sicurezze che da tempo mi ero creato. Anche se questi non sono veri e pro-pri impedimenti, non è facile, però, farli convivere con il cammino vocazionale, soprattutto per lo sconvolgimento che questo cammino porta nella vita di una persona. Quando infatti una persona ha raggiunto certe sicurezze ed è con-tento della vita che fa, anche se sente che manca qualcosa, fa fatica a cam-biare, proprio perchè ha paura di per-dere quello che ha già conquistato. Ma affi darsi signifi ca lasciarsi compromet-tere, e ti aiuta a farlo solo la certezza di trovare qualcosa che ancora di più ti fa essere pienamente te stesso, a Sua immagine e somiglianza.

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LA DOMANDA

1. E se oggi, anche a te don Bosco dicesse: “ho bisogno che tu mi dia una mano”,cosa risponderesti? Quali sentimenti nascono in te davanti ad un pro-getto così grande? Cosa ti spaventa, cosa ti attrae?

2. Per fare dei capolavori è necessario consegnare “fi n l’ultimo respiro”. Per cosa saresti disposto a donare tutto te stesso?

3. Pensi che la tua ancora sia veramente gettata in cielo? Puoi dire che è lei a tenerti in piedi?

4. Guarda con calma al cammino del GxG di quest’anno, cosa hai fatto bene e cosa invece potevi fare meglio? In cosa ti ha aiutato?

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OUTPUT

1. Verifi ca del mio progresso spirituale, apo-stolico e vocazionale: al termine del cammino del GxG provo ad elencare i passi in avanti che ho fatto e le diffi coltà che ho provato. Mi con-fronto con il mio salesiano di riferimento e pro-viamo a delineare i passi da fare.

2. Valutare l’eventuale passaggio dal GxG al grigio: provo a rifl ettere sull’importanza e sulla necessità per me di affrontare un cammino più serio di discernimento vocazionale; prego se-condo questa intenzione e mi confronto onesta-mente con il mio direttore spirituale.

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