Auto Aiuto 3/2012

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AUTO AIUTO Associazione Parenti ed Amici di Malati Psichici Poste Italiane Spa - Spedizione in abbo- namento postale - D.L. 353/2003 (Conv: in L. 27/02/2004, n. 46) art. 1, comma 2, DCB Bolzano Reg. 3.7.1995, n. 17/95, Nr. 3/2012 STIGMA consapevolezza - accettazione - cambiamento OSTACOLI NEL QUOTIDIANO

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Giornale dell'Associazione Parenti ed Amici di Malati Psichici, Bolzano, Italia

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Auto Aiuto

Associazione Parenti ed Amici di Malati Psichici

Poste italiane Spa - Spedizione in abbo-namento postale - D.L. 353/2003 (Conv: in L. 27/02/2004, n. 46) art. 1, comma 2, DCB Bolzano Reg. 3.7.1995, n. 17/95, Nr. 3/2012

stigma consapevolezza-accettazione-cambiamento

ostacolinelquotidiano

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Auto Aiuto

Editoriale

Ilsensoprofondodellavergogna

Ilvaloredelladiversità

L’artediascoltare MarianellaSclaviaBolzano

Matutivergogni?

Checosadiconogliutenti?

Superarel’autoemarginazione eaccettarelapropriamalattia

2020:Qualesanità,qualesalute? 1.ConferenzaProvincialedellaSalute

Ostacolinelquotidiano

L’esperienzadiunapartecipantealseminario...

GiornataMondialedellaSaluteMentale

LaSaluteMentalenegliadolescenti- aspetticliniciedetici 2.GiornateItalo-TedeschediPsichiatria

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IndiceiMPRESSuM

opuscolo informativo quadri- mestrale dell‘Associazione Parenti ed Amici di Malati Psichici

Registrato al tribunale di Bolzano: Nr. 17/95 R.St. del 3.7.1995

Editore:Associazione Parenti ed Amici di Malati PsichiciVia G. Galilei, 4/a39100 Bolzanotel. 0471 260 303 Fax 0471 408 [email protected]

Responsabile:Prof.ssa Carla Leverato

Redazione:Martin Achmüller, Margot Gojer, Lorena Gavillucci, Laura Kob, Car-la Leverato, Carmen Premstaller

traduzione:Martin Achmüller, Franco Ducati, Margot Gojer, Klaudia Klammer, Carla Leverato, Carmen Premstaller

Foto:Archivio, Martin Achmüller, Mar-got Gojer, Carmen Premstaller

impostazione e veste grafica:Carmen Premstaller

Stampa:Karo Druck, Frangarto

La redazione ringrazia per la preziosa collaborazione tutti co-loro che hanno contribuito alla pubblicazione di quest‘edizione. Si riserva il diritto di effettuare ab-breviazioni ai testi.

Con il sostegnodella Città di Bolzano

Con il sostegno della

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EDitoRiALE

Cari lettori!Carla Leverato

LA CRiSi ECoNoMiCA Può DiVENtARE uNA RiSoRSA?

s e consideriamo che crisi signifi-ca scelta, cambiamento, possia-

mo anche pensare che sia possibile trasformare la povertà in ricchezza, modificando anzitutto il nostro atteg-giamento e guardando le attuali dif-ficoltà economiche, politiche e sociali con occhi nuovi, da una diversa pro-spettiva e soprattutto con positività e ottimismo.

Così riusciremo a scoprire tutte le op-

portunità di rinnovamento e di risco-perta di altre risorse, oltre che di quel-le che servono a comprare e pagare qualcosa. tanto ormai è evidente che le risorse finanziarie incominciano a scarseggiare.

Poiché però quello che a noi interes-sa in particolare è la situazione dei malati psichici, siamo sicuri che a più soldi a disposizione corrisponda auto-maticamente e in ogni caso a miglior trattamento per i pazienti, migliore qualità della loro vita?

Se ci pensiamo un momento ci possia-mo accorgere che la crisi in definitiva ci offre molte nuove possibilità.Per la nostra Associazione, per esem-pio, quella di unirsi ad altre associazio-ni che hanno gli stessi nostri obiettivi, e di collaborare con idee, disponibilità personali e mezzi, per ottenere van-taggi reciproci.Anche nel campo della psichiatria si possono trovare nuove soluzioni. infatti, anche se le strutture ci sono, qualche volta manca l‘essenziale. Si tratta dunque di riesaminare le offerte e le risorse esistenti perchè è sempre possibile usarle meglio ed in modo più mirato.una cosa che certamente tutti potreb-

bero fare è quella di uscire dal proprio guscio dell‘autoemarginazione per incontrare gli altri con lo stesso pro-blema e darsi aiuto vicendevole.

Anche questo c‘è da imparare: la soli-darietà che è – così dice il vocabolario – senso di partecipazione alle sventu-re altrui, legame che unisce più indi-vidui ed esprime una concordanza di idee ed aspirazioni e volontà di soste-nerle in comune; sentimento di vicen-devole aiuto esistente fra i membri di una collettività.

E importante: parlare, parlare, par-lare... per dire il proprio disagio, ma anche le proprie conquiste, per de-nunciare le cose che non vanno, ma anche quelle che funzionano... per co-municare e non essere più soli.

E non dimentichiamo che molte ini-ziative dell’Associazione possono essere potenziate, altre si potrebbe-ro mettere in piedi, se ci fossero più risorse: non solo quelle economiche, ma quelle umane e personali dei soci.

Ci riusciremo? Proviamo intanto a fare il primo passo, ciascuno secondo le proprie forze, ca-pacità e motivazioni.

Buon Natale e buon Anno Nuovo!

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La vergogna è un’emozione complessa presente in tutti gli esseri umani ed è stata purtroppo, dalla nostra cultura spesso ignorata, singolarmente trascu-rata da chi si occupa di disagio psichico, negata oppure repressa senza ricono-scerla nel suo affiorare nella ridda dei rapporti umani, nelle incomprensioni, negli errori di percezione e di giudizio, nell’assenza di empatia, nella solitu-dine e nella delusione. Ce ne parla qui Giuseppe De Felice.

l ‘origine del termine „vergogna“ non è certa, ma per molti linguisti

esiste una connessione con la parola „coprire“, essendo il coprirsi una mani-festazione comportamentale naturale nella vergogna. La vergogna emerge nei nostri momenti di maggiore vul-nerabilità. Secondo lo psicoanalista inglese Phil Mullon, il rischio di esse-re esposti alla vergogna è inerente a qualunque offerta d’intimità, e ci dà la misura dell’importanza che si attribui-sce alla persona cui la offriamo. Non è sempre facile distinguere la vergogna dal sentimento di colpa. in generale la colpa è avvertita in conseguenza di azioni dannose o proibite, compiute o fantasticate, che spesso hanno un carattere aggressivo. La vergogna im-plica “non fare” ciò che ci si aspettava da noi, ed è legata a sentimenti di de-bolezza, di imbarazzo, di rottura delle aspettative dell’altro.

Lo psicoanalista inglese Victor Seidler nota che le situazioni di vergogna sono sempre “visualiz-zate”, comportano cioè l’espo-sizione allo sguardo altrui. il nostro senso del Sé si forma nel rapporto con l’altro, im-

plica la capacità di vedersi nei suoi occhi, una sorta di rispecchiamento. Ma lo sguardo dell’altro (in primis quello della madre) non sarà sempre di amore e di approvazione, ma potrà anche essere ostile e disapprovante, generando il vissuto di essere “cattivi”. Come dicevamo prima, la vergogna comporta un impulso a nascondersi, può essere descritta infatti come una reazione all‘essere scoperti.

Già a partire dagli otto mesi il bambi-no diventa consapevole della presen-za degli estranei e reagisce ritraendo-si e distogliendo lo sguardo (proprio come fa un adulto timido). il bambino desidera trattenere gli elementi buo-ni vissuti nel rapporto con la madre e rigettare nel mondo esterno quelli cat-tivi, l’estraneo in quest’ottica rap-presenta una mi-naccia all’unione con la madre. Nello stesso tem-po il desiderio di separazione e individuazione porta il bam-bino alla curio-sità per l’estra-

neo. tuttavia, la vergogna è forse più funzionale al sistema sociale che non al singolo, in quanto comporta un adeguamento a norme e regole. Ri-spetto alle emozioni considerate pri-marie (felicità, rabbia, paura, tristezza), che compaiono precocemente senza richiedere autoconsapevolezza per essere evocate, la vergogna compare più tardi perché richiede l’interiorizza-zione di norme e valori. È detta infatti “emozione dell’autoconsapevolezza”, e l’autoconsapevolezza non compare mai prima dei 18 mesi.

La vergogna sensibilizza l‘uomo alle opinioni e ai sentimenti degli altri e così agisce come una forza di coesio-ne sociale. Assicura al gruppo e alla società che l‘individuo sarà sensibile

Il senso profondo della vergognaGiuseppe De Felice, psicologo e psicoterapeuta

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alla critica diretta verso alcuni aspetti centrali del Sé. Ad esempio per evita-re la vergogna di inettitudine l‘indivi-duo è spinto a trovare la sua forza e a svilupparla. il suo riconoscimento può giovare nella relazione con l’al-tro. È attraverso la sensibilità alla ver-gogna propria e altrui che possiamo mostrare attenzione e gentilezza nei rapporti sociali, riducendo il rischio che l’altro si senta in imbarazzo, goffo, inadeguato, escluso, rifiutato.

Voglio completare l’articolo, invitan-dovi a riflettere su questa frase citata, dal poeta tedesco, Christian Friedrich Hebbel:

“LA VERGoGNA SEGNA L‘uoMo iL CoNFiNE iNtiMo DEL PECCAto. Lì DoVE EGLi ARRoSSiSCE, iNiziA iL Suo ESSERE Più NoBiLE.”

Credo che la vergogna sia, a differenza di altre emozioni ad essa affini, come la colpa o il pudore, un passaggio obbligato per una maggiore cono-scenza di se stessi. il fatto di provare vergogna è un sintomo di una consa-pevolezza che nasce dalla parte più autentica di se stessi.

La vergogna non dipende, come si è portati a credere, dalla limitatezza del nostro essere in quanto suscettibile di peccato, ma dallo stesso essere, dalla sua incapacità di rompere con se stes-so. La vergogna si fonda sulla solida-rietà del nostro essere, che ci obbliga a rivendicare la responsabilità di noi stessi.

tutta la drammaticità di questa emo-zione si trova nella imperatività che condanna l‘uomo a se stesso e ad es-sere se stesso. Appare in questo caso quasi l‘impossibilità di qualsiasi gesto. incatenati a noi stessi ogni via di fuga è sbarrata, perché non si vuole fuggi-re dall‘altro ma da se stessi.

La sua caratteristica è mettere l‘uomo di fronte al suo essere e diventare al tempo stesso testimone della sua esistenza. il suo ruolo è di protettrice dell‘integrità dell‘io salvaguardando la stessa ambiguità garante dell‘iden-tità del sé.

l a parola „stigma“ - nel greco antico e ancora oggi a livello universale – significa „marchio“, „segno“. Quel qualcosa che ha marchiato gli schia-

vi come le bestie e in ugual modo, nei secoli e nella storia recente, persone e popolazioni considerate talora inferiori, dannate, non degne di una vita normale fra i loro simili oppure non degne di vivere, semplicemente.

Certe volte il verbo „stigmatizzare“ assume anche un significato positivo, quando per esempio si sente che un certo atteggiamento o dichiarazio-ne è stato stigmatizzato, comprendiamo subito che qualcosa di non bello, non corretto o peggio, è stato riconosciuto come tale e quindi rimarcato e messo al bando perlomeno da una gran parte della società civile. Però è purtroppo un fatto che la parola „stigma“ è ancora usata per indicare la diagnosi di malattia mentale e tutto ciò che la accompagna, creando un circolo vizioso di alienazione e discriminazione che sembra racchiudere a forza la persona malata e la sua famiglia. E il malato e chi gli è vicino lo sanno, che tocca combattere su due fronti, quello della patologia e quello innalzato, appunto, dallo stigma.

L‘organizzazione mondiale della sanità ha dato un nome (anzi, a contar bene, cinque nomi) a tutto questo: pericolosità, inguaribilità, incomprensi-bilità, improduttività e irresponsabilità sono i pregiudizi ancora diffusi che in tutti i paesi impediscono „l‘accesso ottimale ai processi terapeutici ed emancipativi di queste persone“ invitando i Governi a fare tutto quanto sia possibile, concretamente e presto.

Anche se sono passati tre anni, rimane interessante e attuale un interven-to del professor Maurizio Ferrara, psichiatra e docente all‘università di Fi-renze, in cui analizza una ricerca dell‘indigo Research Network – su stigma e schizofrenia, riportata dall‘autorevole rivista scientifica Lancet - che ha coinvolto 732 persone affette da questa patologia in 27 Nazioni.

Sono presenti anche comportamenti di „autodiscriminazione“ o „discrimi-nazione anticipa-ta“ che provoca-no una sorta di „stigma interno“, e non ci si può neppure me-ravigliare se in tante situazio-ni l‘autostima di queste persone con-tinui a subire

Il valore della dIversItàLorena Gavillucci

Può succedereLottare contro la società che ti vuole marchiarelavorare per avere la possibilità che tutti hanno

credere nel merito nell‘esperienza nel fare carrierain un riscontro economico

in tanti anni raccogliere magre soddisfazionifino a quano si cede.

Clara

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duri colpi. Alti livelli di discriminazio-ne percepita riguardano sì il lavoro (30%), ma ancora di più la famiglia e gli amici, le relazioni intime e i vicini di casa (mediamente dal 43 al 27%). Per esempio, il 43% degli intervistati che riferisce di „essere trattato diver-samente in famiglia“.

il professor Ferrara paragona i dati con quelli di altre persone discriminate per eccellenza anche in italia, le donne e gli immigrati, per concludere con una nota di speranza: „il confronto ci dice che la chiusura delle grandi istituzioni manicomiali, lo sviluppo progressivo di un servizio di salute mentale che cura il paziente psichiatrico nella co-munità ha depotenziato lo stigma nei confronti del malato di mente.” Anche in base alla sua esperienza, quindi,

sembrerebbe che il grande impatto di episodi sicuramente reali, ma spesso ingigantiti dai media, non abbia de-molito il senso e il percorso della rifor-ma Basaglia.

Secondo il docente si è avviato un promettente processo di „riacqui-sizione di cittadinanza economica“ (riabilitazione, inserimento lavorativo, formazione e tutoraggio), ma manca ancora la „cittadinanza affettiva, l‘inte-grazione della persona come sogget-to relazionale“. E si torna alla realtà e agli effetti dei pregiudizi, „barriere che condizionano un modo stereotipato di mettersi in relazione con l‘altro (noi e loro) e le disuguaglianze di potere nei contesti relazionali e sociali, speri-mentate dalle persone con un distur-bo mentale“.

E qui si arriva al concetto di recovery sul quale la nostra Associazione tanto sta lavorando: la percezione sogget-tiva di essere in ripresa, „di avere una vita quotidiana e pensieri sul futuro“. Dove „la cultura prodotta di chi ha avuto esperienza diretta di malattia ha allargato il campo di osservazione della clinica e della ricerca in psichia-tria“.

Dalla voce di un paziente: „i professio-nisti della salute, proprio perchè pro-fessionisti, sentono che loro dovreb-bero sapere. Ma è una gran cosa se loro hanno la voglia di dirti, non ho le risposte, non lo so e vorrei conoscere con te, capire da te. Ma questo non è sempre il caso.“

E che ne dicono i nostri lettori?

l’arte dI ascoltareMarianella Sclavi a BolzanoCarla Leverato

l ‘Associazione AMA (Auto Mutuo Aiuto) di Bolzano, con la colla-

borazione dell‘Associazione Parenti ed Amici di Malati Psichici, il Servi-zio Hospice della Caritas e il Servizio per Gruppi di Auto Aiuto della Fede-razione per il Sociale e la Sanità, ha organizzato il 21 novembre presso il Centro Pastorale di Bolzano una spe-ciale conferenza dal titolo ”L‘arte di ascoltare”.

Relatrice d‘ec-cezione è sta-ta Marianella Sclavi, socio-loga etnografa urbana, stu-diosa di Arte di Ascoltare e Gestione Crea-tiva dei Con-flitti, autrice di

numerosi libri fra cui ”Arte di ascoltare e mondi possibili” ed inoltre membro del CdA della Fondazione Langer di Bolzano.All‘evento hanno partecipato ben 200 persone, attirate dalla relatrice di fama internazionale e dal tema che riguarda tutti coloro che vogliono im-parare a gestire al meglio i rapporti in-terpersonali all‘interno della famiglia, nell‘ambiente di lavoro e nelle relazio-ni di aiuto.

Con grande attenzione è stata seguita la relazione di Marianella Sclavi che è riuscita a coinvolgere tutti diretta-mente durante la sua esposizione.

Abbiamo imparato, che l‘arte di ascol-tare richiede pazienza, capacità di cambiare i propri punti di vista, com-prensione del linguaggio delle emo-zioni, gestione creativa dei conflitti...

il tutto adottando una metodologia umoristica.

innumerevoli sono stati gli apprezza-menti e i ringraziamenti da parte del pubblico.Altrettanto soddisfatta Marianella Sclavi, per il calore con cui è stata ac-colta e per la partecipazione del pub-blico. Ci ha promesso che ritornerà.

BolzanoSala conferenze del Centro Pastorale

Piazza Duomo, 1

mercoledì, 21 novembre 2012

ore 18.00 - 20:00

Ingresso libero!

Marianella Sclavi e Carla Leverato

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Ma tu tI vergognI?Luce, familiare

s inceramente no, ho risposto al-l’amica che mi chiedeva se il fatto

di avere un familiare malato psichico fosse per me motivo di vergogna. E come hai superato la vergogna? Mi ha chiesto ancora. Ma, veramente, non ho avuto bisogno di superare niente: non ho semplicemente mai provato vergogna, è stata la mia successiva risposta.

Avrei voluto chiederle se si fosse mai vergognata di avere un congiunto malato di cancro, con l’influenza o un braccio rotto.

tuttavia non si può prescindere dal fatto che spesso la malattia psichica si coniuga ad atteggiamenti diciamo socialmente poco adeguati. talora succede che il malato, forse proprio per manifestare il proprio malessere ed il proprio disagio, assuma compor-tamenti che attirano su di sé, e non in positivo, l’attenzione altrui: petulan-za, sciatteria, scarsa cura delle cose e della persona fino alla vera e propria sporcizia, atteggiamenti volgari o im-prontati alla violenza verbale e a volte anche fisica, etc.

Cosa provo quando la persona che ho accanto assume queste modalità

relazionali (con se stessa in primo luogo)? Premetto che personalmente ritengo di dovermi, se del caso, ver-gognare soltanto di ciò che in prima persona agisco e di cui sono in prima persona responsabile, mentre azio-ni ed atteggiamenti altrui esulano dalla mia responsabilità e dalla mia vergogna.

Quello che provo talvolta è rabbia. Proprio perché riconosco alla perso-na tutta la sua dignità, in qualunque situazione si trovi, provo rabbia quan-do ritengo che questa dignità in pri-ma istanza proprio da lei non sia rico-nosciuta e difesa.

E’ giusto attivarsi per rimuovere lo stigma, impegnarsi con forza per su-perarlo, ma mi chiedo se in certi casi, paradossalmente, esso non rappre-senti uno scudo ed una difesa dietro cui il malato cerca di proteggersi: io sono così, inaffidabile, fragile, magari brutto, sporco e cattivo.

te lo faccio notare subito, così da me non ti aspetti nulla e non mi metti in difficoltà. Lo stigma può anche essere funzionale alla patologia. Se è sciocco aspettarsi che con una gamba rotta si possa correre, penso lo sia altrettan-

to aspettarsi atteggiamenti sempre coerenti e razionali (ma noi cosiddetti “sani” ci comportiamo sempre a que-sto livello?) da chi soffre di una ma-lattia psichica. un male non fisico da un lato è difficilissimo da esprimere e dall’altro per tante persone è assolu-tamente impossibile capire che o ti fa male la pancia o qualsiasi altra parte organica o non è vero che stai male e sono tutte fisime, ma, se il malato è in grado di riconoscere la propria situa-zione, parlarne, dire “sto male“, “non ce la faccio”, “quello che mi chiedi è troppo”, credo che innanzi tutto per se stesso e poi per il contesto sociale in cui vive non debba certo essere moti-vo di vergogna, di perdita di dignità o di affidabilità, tutt’altro.

Ma quando tutto ciò è espresso con modalità comportamentali e relazio-nali che si scontrano con le elementari regole di convivenza civile, penso sia necessario divulgare il più possibile la conoscenza (perché lo stigma nasce soprattutto dall’ignoranza), ma penso anche che in questi casi sia opportuno fare attenzione a non “stigmatizzare lo stigma” o la sua tentazione, suscitan-do controproducenti rifiuti o sensi di colpa in chi sta oggettivamente solo subendo una situazione.

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ogna Lo stigma nei confronti delle persone depresse esiste.

Qualcuno ci reputa persone “particolari” perché frequentiamo un gruppo di auto aiuto e si sentono imbarazzate per il fatto che noi invece lo possiamo frequentare senza provare vergogna.

Nel passato ho avuto io stessa paura dei malati psichici, e mi sono anche vergognata di essere depressa.

La gente ”normale” teme i malati psichici soprattutto per ignoranza.

Mi sono sentita a disagio, non tanto per il fatto di essere malata, ma perché qualcuno me lo faceva pesare.

Non sempre mi vergogno. Ci sono anche persone che mi capiscono. E‘ nell‘ambiente di lavoro che mi pesa di più essere giudicata inadatta, perché malata.

Mi vergogno! Mi vergogno tantissimo. Se quella volta sul lavoro non avessi detto che mi sentivo male e avessi resistito non si sarebbero accorti della malattia che ho, non mi sarebbero venuti a trovare in psichiatria. Adesso tutti lo sanno che sono malata e mi vergogno.Mi sembra di portarmi in giro un‘etichetta, anzi peggio, di essere come un sandwich, con un cartello davanti e uno dietro. Da una parte c‘è scritto malata psichica, dall‘altra vergogna!tutti sono stati gentili con me e hanno fatto di tutto per aiutarmi. La responsabile dell‘ufficio ha chiamato l‘ambulanza ed è rimasta con me finché non sono arrivati i miei parenti, però io volevo star sola e che nessuno si accorgesse di quello che avevo. Provo vergogna, sempre solo vergogna.

Mi sento handicappata! Lavoro in un ufficio pubblico e non ce la faccio più a seguire i ritmi di lavoro, io che devo riguardare cento volte quello che ho fatto, che rimango sempre in ufficio oltre l‘orario perché non riesco mai a concludere niente, che mi sfinisco a furia di controllare e ricontrollare quello che ho fatto.Ho deciso di chiedere l‘invalidità civile per avere una riduzione di orario. Non l‘avessi mai fatto. il motivo della richiesta è ”handicap psichico”. Ed è così che adesso mi sento: una handicappata. E‘ orribile. Mi sento gli occhi di tutti puntati addosso, non oso immaginare che cosa penseranno di me, comunque mi basta quello che io penso di me stessa. Anche se so, e tutti me lo confermano di essere intelligente.Però di questo marchio che mi porto addosso mi vergogno, mi sento un essere inferiore e non mi servono le rassicurazioni di quelli che mi vogliono bene. E‘ degli altri che mi vergogno, dei colleghi di lavoro soprattutto, del mio capo che adesso sa chi sono e che cosa ho.

Mi rifiuto di vergognarmi! Eravamo, o meglio volevamo sembrare una famiglia felice, senza problemi. in realtà mia sorella soffriva di un grave disturbo psichico. Non doveva-mo parlarne, non dovevamo farlo capire a nessuno, perché tutti se ne vergognavano. Mia sorella si è sui-cidata. Quando anche io mi sono ammalata mi sono rifiutata di di vergognarmi della mia sofferenza ed ho incominciato a parlarne. Ho reagito e sono stata aiutata, particolarmente dal gruppo di auto aiuto.

Provavo tanta vergogna per la mia malattia che consideravo meno importante di una malattia fisica. Per mia fortuna ero in cura da una psichiatra intelligente e sensibile, che mi ha spiegato che ho gli stessi diritti degli altri ammalati di parlare della mia sofferenza e che tutte le malattie meritano lo stesso rispetto.

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Sulla rivista “Kontakt” edita dall’Asso-ciazione HPE Austria è comparso nel 2007 un interessante articolo sull‘au-toemarginazione, scritto da Andreas Knuf, psicologo e psicoterapeuta. Egli ha lavorato a Zurigo e Costanza e at-tualmente si occupa di supervisione e formazione ed è autore di numerosi libri ed articoli dei quali al momento purtroppo non esiste la traduzione in italiano.Poiché finora avevo sempre sentito parlare di campagne antistigma come invito ai “sani” ad avere una diversa considerazione nei riguardi dei malati psichici, questa volta mi è parso inte-ressante riportare alcuni spunti tratti dall‘articolo di Knuf, per riflettere e far riflettere sull‘atteggiamento del pazien-te stesso, vittima e nello stesso tempo artefice del fenomeno.

K nuf introduce l‘articolo con l‘os-servazione che „accettare se

stessi come malati psichici è cosa dif-ficilissima e mantenere la propria au-tostima, dopo che si è stati dichiarati tali o si è stati ricoverati in psichiatria, è una delle più grosse sfide che si pos-sono presentare a una persona nella sua vita“.

Egli spiega poi che l‘autostigmatizza-zione avviene quando una persona a causa della sua malattia psichica valuta se stessa negativamente, con alcune conseguenze, la più frequente delle quali è la sensazione di vergo-gna per la malattia stessa, per il pro-prio comportamento in situazioni di crisi o, peggio di tutto, per il ricovero in una clinica psichiatrica.

E la vergogna distrugge l‘autostima.

superarel‘autoeMargInazIone e accettare la propria malattiaCarla Leverato

Parlando delle molte campagne anti-stigma che si sono tenute negli anni, si ha l‘impressione, egli dice, che esse non solo non abbiano ottenuto mol-to, ma anzi, qualche volta abbiano addirittura rafforzato la tendenza a stigmatizzare, ed anche ad autostig-matizzarsi.

CoME Si PoSSA SuPERARE L’Auto-StiGMAtizzAzioNE

Seguono quindi indicazio-ni su come si possa su-perare l‘autostigma-tizzazione. Anzitutto occorre incomincia-re ad accettare la propria malattia, cosa che, per quanto difficile sia, è assolu-tamente importante. Certamente ciò non significa convincer-si che la malattia sia in qualche modo un bene, ma significa im-parare a non giudicarsi negativamente per il fatto di essere ammalati, e a convincersi di valere esattamente come le altre persone „sane“ o con altro tipo di malattia.

Affrontare la malattia e rappor-tarsi con essa in modo cor-retto inol-

tre facilita il processo di guarigione e il paziente che ci riesce sa cercare prima aiuto e scivola più raramente in crisi depressive.

DA DoVE ViENE iL GiuDizio NEGAtiVo SuLLA MALAttiA E iL MALAto?

Esso proviene anzitutto dal contesto, che è qualcosa al di fuori della perso-na. Knuf lo definisce stigmatizzazione

esterna.

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Soltanto però se questo giudizio vie-ne condiviso dal paziente si arriva in un secondo momento all‘autostigma-tizzazione.

E allora, non basta combattere la stig-matizzazione esterna? No, perchè qui entra in gioco l‘atteggiamento del pa-ziente che permette a questa di agire, autostigmatizzandosi. Ciò non succe-de se egli non si preoccupa eccessiva-mente del giudizio altrui.

Queste osservazioni sull‘autostigma-tizzazione valgono anche nei riguardi di particolari gruppi che nella attuale società vengono stigmatizzati.

Anzitutto succede l‘identificazione delle persone con quel dato gruppo e in un secondo momento esse riten-gono giustificata la valutazione nega-tiva degli altri e si convincono inoltre che in essa ci sia un contenuto di veri-tà. L‘autostigmatizzazione è la conse-guenza dell‘accettazione di entrambe le condizioni.

Si può anche parlare di „profezia che si autoavvera“: da studi effettuati risulta infatti che la paura di essere emargi-nati è generalmente più forte della stigmatizzazione stessa realmente vissuta. Questa fa sì che molte perso-ne si incapsulino ed evitino ogni con-tatto sociale. Ed è proprio in seguito a questo comportamento che anche gli altri a loro volta incominciano a di-stanziarsi. Ci si allontana per pau-ra di essere allontanati; gli altri percepiscono „strano“ questo comportamento, lo vivono come un rifiuto e si allontana-no a loro volta, in un cerchio perverso senza fine.

Ne viene di conseguenza che una seria campa-gna antistigma non può occuparsi soltan-to di combattere lo stigma esterno, ma deve offrire un aiuto al paziente per supe-rare l‘autoemargina-zione, affermandosi nello stesso tempo

contro l‘emarginazione esterna.

Poichè è ben difficile che una perso-na possa farcela da sola, il consiglio di Knuf è di cercare l‘aiuto di un profes-sionista, che può essere di sostegno al paziente per esaminare e cercare di capire l‘autostigmatizzazione insieme con le sue conseguenze negative, e per liberarsene. occorre naturalmen-te che si riesca ad instaurare un rap-porto di fiducia tra professionista e paziente, soprattutto per affrontare le reazioni emotive come il senso di vergogna.

un ruolo importante in questo senso giocano anche i gruppi di auto aiuto e i programmi appositamente strut-turati. Chi meglio di un paziente che conosce il problema per esperienza personale può parlare di autostigma-tizzazione e confrontarsi con altri nel-la stessa situazione? in alcuni paesi si sono sviluppati programmi, per far sì che siano i malati stessi ad aiutarsi e sostenersi nel superare l‘autoemargi-nazione e l‘emarginazione esterna.

ANCHE i PRoFESSioNiSti E i FAMi-LiARi DEVoNo ESAMiNARE LA PRo-PRiA tENDENzA A StiGMAtizzARE

„Per poter accettare noi stessi, giova moltissimo un contesto che

sa accettarci così come siamo.“ Pro-fessionisti e familiari possono infatti aiutare i pazienti, creando un clima di accoglienza. Ciò è possibile soltanto se anche essi esaminano i propri mec-canismi di svalutazione e la propria tendenza a stigmatizzare.

Anche questi due aspetti dovrebbero entrare a far parte della formazione dei professionisti. Non basta infatti aver studiato medicina o psicologia per eliminare le proprie paure e pre-giudizi nei riguardi dei malati psichi-ci.

Lo stigmatizzare riguarda infatti tutti: malati, professionisti, familiari ed an-che l‘ambiente sociale.

La conclusione dell‘articolo è che soltanto con la collaborazione di tutti questi quattro gruppi si può costruire un mondo nel quale i ma-lati psichici vengano accettati e non condannati.

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1. Conferenza Provinciale della Salute

“2020: quale sanItà, quale salute?”Martin Achmüller, Vice-Presidente dell’Associazione

c on questo titolo un po’ altisonan-te si è svolta alla fine di settem-

bre una manifestazione presso il Centro pastorale di Bolzano. Prin-cipale relatrice è stata la dottores-sa zsuzsanna Jakab, ungherese di nascita, ma che attualmente lavora a Kopenhagen come direttrice regio-nale della oMS-Europa.

Nella sua introduzione l’assessore provinciale Dott. Richard theiner ha illustrato, sulla base di dati statistici, lo stato attuale della salute in Alto Adi-ge: la speranza di vita è mediamente di 80 anni per gli uomini e di 85 anni per le donne; la mortalità neonatale è pari al 3,7‰; inoltre, nonostante un generale aumento dei costi, è stata ri-levata una leggera diminuzione delle spese pro capite di poco superiore a 2000€ all‘anno. i malati cronici sono stati nominati solo marginalmen-te, mentre dei malati psichici non si è proprio parlato. A tale aspetto si è solo accennato per elogiare il settore della medicina complementare e la Fondazione Vital.

La dottoressa Jakab ha ricordato gli obiettivi principali della oMS, che consistono sostanzialmente nel mi-glioramento della salute per tutti, nel-la riduzione delle disparità nell‘ambi-to sanitario e nel garantire un sistema sanitario applicabile e focalizzato sul-le esigenze della popolazione. Essa ha proseguito spiegando come la speranza di vita nei 53 Paesi europei esaminati stia aumentando in modo significativo, ma come al tempo stes-so stiano purtroppo fortemente au-mentando anche le differenze nell’as-sistenza sanitaria. Salute e benessere

dovrebbero essere consi-derati i para- m e t r i fondamentali per definire il grado di sviluppo di un Paese e a questo scopo i responsabili politici dovrebbero es-sere adeguatamente motivati. Le so-cietà e i governi vanno quindi respon-sabilizzati nel compito di riformare le coscienze e le rappresentanze degli interessati.

Purtroppo riguardo alle malattie cro-niche anche la direttrice dell‘oMS ha parlato solo in termini generali; interrogata in merito, essa ha infatti risposto solo che le malattie croniche e in particolare le malattie psichiche

il nuovo programma di base di politica sa-nitaria „Health 2020“ è stato approvato il 12 settembre 2012 durante il Convegno di

Malta dei Comitati regionali dell‘oMS. il suo ambizioso obiettivo è aumentare salute e benessere per circa 900 milioni di cittadini in tutte le regioni europee facenti parte dell‘oMS. Per due anni i rappresentan-ti dei 53 stati aderenti hanno lavorato insieme intensamente sotto la guida della Direttrice regionale dott.ssa zsuzsanna Jakab, per affrontare le sfide po-litico-sanitarie che nel corso degli ultimi decenni si sono addensate sull‘Eu-ropa. i rapidi cambiamenti nel panorama economico, sociale e sanitario che in questo periodo si sono verificati, richiedevano un radicale mutamento di tendenza nel campo della politica sanitaria. il programma „Health 2020” approvato a Malta è stato presentato a Bolzano in settembre dalla dott.ssa Jakab.

rientrano nelle priorità dell’oMS per i prossimi anni. Anche in merito

alle domande circa le iniziative volte alla riduzione dei danni alla salute causati da fattori ambientali o circa le possibilità di attuare concretamen-te nei singoli Paesi tutti i programmi di sostegno sanitario, la relatrice ha dovuto ammettere che qualsiasi rea-lizzazione dipende dalla disponibilità delle singole persone.

Così in questa „Conferenza sulla salu-te“ è stato presentato un quadro pro-grammatico in sé abbastanza buono, ma in cui un progetto di aiuto concre-to per il benessere della popolazione ancora purtroppo non emerge.

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l a malattia psichica colpisce la per-sona sia al suo interno (corpo, spi-

rito, psiche) che all‘esterno (famiglia, vicini, amici) e da lì si allarga al con-testo sociale, alle strutture e ai servizi pubblici, e la reazione di tutti torna a influenzare la persona sofferente.

Chi si occupa di malattia psichica si trova continuamente a dover affron-tare una serie di problemi che sempre si ripresentano e che paiono senza soluzione.

Non si tratta soltanto dei sintomi o delle complicazioni della malattia, ma di ostacoli ed esigenze che si possono riferire a qualsiasi persona.

La maggior parte di questi ostaco-

li diventano, nel caso di malattia psichica, particolarmente diffici-li e penosi. A volte però, malati e loro familiari riescono ad affrontarli divenendo più coraggiosi, sensibili, creativi. Succede perfino che essi di-chiarino che la loro vita si è trasformata, divenendo, proprio a causa della ma-lattia, più ricca, più completa, perfino più bella.

Se si osserva da vicino, ci si accorge che ciò è successo principalmente perchè non si sono allontanate le persone, ma si sono cercati invece i contatti umani, si è cercata, e trovata, comprensione. Ciò è successo soprat-tutto se si è riusciti a:

comunicare mostrandosi ed espri-mendosi così come si è;

ascoltare e rispondere in modo ve-ritiero.

A parole sembra che sia tutto facile e perfino banale, invece è molto diffici-le da realizzare.

il comunicare è una dote umana innata, come sono capacità innate mangiare, bere, respirare e dormi-re, ma esattamente come queste il comunicare non è esente dall‘essere vulnerabile.

infatti a volte succede che la comu-nicazione arrechi danno e diventi un ostacolo e causa di incomprensione, invece che essere di utilità e fonte di chiarezza.

Questo è ciò che viene vissuto e definito “roba da matti”, e che avviene quando i tentativi di comunicazione portano a smarrimento, dubbio, confu-sione e al “non incontro”.

D‘altra parte, come ci insegna Paul Watzlawik, non si può non comunicare. Anche un malato psichico reagisce ai segnali del mondo che riceve. Egli non ha fondamentalmen-te torto riguardo alle sue per-cezioni e alle sue risposte ad esse, ma quasi sempre è la sua percezione dei dettagli che è lontana da quanto la genera-lità delle persone ritiene nor-male, comprende e condivide con gli altri “normali”.

Chi vive o lavora con malati psichici impara lentamente

ostacolI nel quotIdIanoIngo Stermann, psichiatra, psicoterapeuta - Comprensorio Sanitario di Bressanone

© Norina F. / www.pixelio.de

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a riconoscere e capire il “di-verso” che essi percepiscono e vogliono esprimere. Ed è anche possibile che questo “diverso” venga riconosciuto come qualcosa di importan-te, che con un po‘ di sforzo ed esercizio può anche essere capito. Può anche succedere che i cosidetti normali arrivino a con-siderare preziosa la particolare sensibilità del malato.

Sulla base di questo riconosci-mento può nascere un dialogo sincero, un incontro basato sul rispetto reciproco e un valido profondo rapporto. Le relazioni familiari e personali possono così rivivere, diventare più sop-portabili, con reciproca soddi-sfazione di entrambe le parti.

Però è ben difficile che ci riesca-no da soli un malato, una famiglia, un medico col paziente. E qui entrano in gioco i gruppi di auto aiuto, i gruppi di dialogo guidati. Le persone infatti, ancor oggi che viviamo in un‘epoca di individualismo esasperato, si por-tano dietro dalla loro infanzia e gio-vinezza un bagaglio di esperienze, di comportamenti e comunicativo, che è improntato essenzialmente da due caratteristiche:

Poiché l‘uomo è per natura socie-vole, già prima della nascita e fino ai due anni, come in nessun altra epoca della vita, egli apprende sul mondo e le persone che lo cir-condano una quantità enorme di informazioni. Mancandogli in questo periodo sia la parola che il pensiero ragionato, la comprensione e l‘ap-prendimento in senso adulto, tut-to quello che impara ha a che fare con la vita corporea, viene poi di-menticato e non può essere usato consapevolmente, anche se la loro impronta rimane e lo condiziona più di quanto pensiamo.

Per la maggior parte delle persone la fanciullezza trascorre nella famiglia e viene improntata dalle tradizioni, esperienze, traumi e paure specifi-

che di essa. Spesso viene trasmesso come verità inconfutabile che “Solo della famiglia ti puoi fidare”. Chi cresce in questo modo farà indub-biamente fatica a fidarsi di persone al di fuori della famiglia e soprattutto a parlare di sé e di affari della famiglia. il partner verrà cercato istintivamen-te in famiglie con lo stesso destino inconscio di paure e aspettative, ri-proponendo così per generazioni gli stessi drammi.

Se alcune persone provenienti dai più diversi retroscena familiari si ritrova-no insieme, se queste vengono guida-te da un esperto che conosce queste dinamiche, che sa alleviare la paura di comunicare, risvegliare il coraggio di esprimere le emozioni e sa favorire un clima di rispettosa comunicazione, allora lentamente esse si liberano da costrizioni e proibizioni e scoprono la cultura del dialogo. L‘esperienza di gruppo inoltre favorisce la consape-volezza di sé.

Quanto esposto teoreticamente deri-va dall‘esperienza di decenni dell‘As-sociazione con familiari e pazienti nei gruppi di auto aiuto.

Se i malati psichici e le loro famiglie

fanno fatica a parlare dei loro pro-blemi, anche le persone del contesto reagiscono quasi sempre nei loro riguardi evitandoli, allontanandoli, tacendo, di modo che intorno ai ma-lati si forma un doppio cerchio di silenzio, di mancanza di comunicazio-ne e di difesa.

Per rendere questo cerchio permea-bile, e soprattutto per incoraggiare i familiari a parlare, sono stati proget-tati nel 2012 dei seminari, i cui temi trattano le quotidiane difficoltà della vita in comune tra malati e familiari e le difficoltà di entrare in contatto con il mondo esterno.

i seminari iniziavano solitamente con una relazione introduttiva, e lasciava-no poi spazio ai partecipanti, per os-servazioni e discussioni.

i partecipanti venivano contattati e scelti a seconda del tipo della relazio-ne o della parentela (partner, genitori, figli adulti).

Per questo primo progetto pilota sono stati scelti temi riguardanti le difficoltà e le prospettive di soluzione in tipiche situazioni quotidiane di vita con un malato psichico.

© Norina F. / www.pixelio.de

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quando ho letto l‘invito dell‘Asso-ciazione ai seminari „Malattia psi-

chica come problema familiare“ con il dott. ingo Stermann, mi sono sentita subito chiamata in causa, come sorel-la di una malata di psicosi schizofreni-ca, e molto felice di poter partecipare a questa preziosa occasione offertami dall‘Associazione.

Mi piaceva anche molto la suddivisio-ne degli incontri per tipologia di rela-zione dei familiari con i pazienti.

in qualità di sorella mi sono iscritta al gruppo dei partner, anche se questo mi stava un po‘ troppo stretto. Ma anch’io avevo imparato da mia sorel-la come la malattia psichica colpisca una persona sia nell‘intimo che al-l‘esterno. Da lì poi essa ha influenza-to anche l‘ambiente sociale, nel suo mondo del lavoro e in contatto con i servizi pubblici di competenza e con quelli privati.

Mia sorella, il suo compagno, i miei ge-nitori ed io ci siamo improvvisamente dovuti confrontare con una serie di domande, problemi e compiti, che si sono rivelati difficili, penosi, e fino allora sconosciuti. Ciascuno di noi ha reagito in modo differente alla nuova situazione. io però sentivo anche che come sorella di una malata psichica incominciavo ad affrontare i problemi e che mi si stavano aprendo orizzon-ti finora sconosciuti. Col mio partner stavo intanto diventando forse trop-po aperta, ma lui con i suoi amici era diventato per me un grande soste-gno. Ai miei bambini piaceva quando prima degli incontri familiari li aiutavo ad entrare nel tema ad esempio leg-gendo il libro di Erdmute von Mosch “il mostro della mamma – Che cosa è successo alla mamma?“

Mi sembrava perfino di dover provare riconoscenza verso mia sorella per la nuova esperienza che stavo vivendo con lei e la malattia psichica. La neces-

sità di dovercela fare in qualche modo e l‘appello di mia sorella ad aiutarla io sola mi faceva sentire più ricca, più aperta, libera, compiuta. La mia aper-tura, il mio bisogno di comunicazione e contatti, di sincerità, quasi sempre mi spaventava. Ascoltavo sempre mia sorella con disponibilità e le risponde-vo sinceramente. Però dovevo anche mettere dei limiti, per non bruciarmi e rovinare la mia vita in famiglia e sul lavoro. Mi stupiva che mia sorella mi fosse persino grata di questi paletti. Mi sembrava di essere del tutto sola in questa attività di dover sfondare muri, dietro i quali mi aspettavano nuovamente altre strade, che ancora una volta quando le intraprendevo si svelavano e mi facevano trovare aiuto e sollievo.

il dott. ingo Stermann nei suoi semi-nari presentava la comunicazione come un bisogno fondamentale del-la vita. Fino a quel momento non ne ero stata consapevole nemmeno nei riguardi del mio partner. inoltre che uno psichiatra come il dott. Stermann avesse questo atteggiamento di com-prensione verso i pazienti, ci faceva molto bene, perchè non ci sentivamo soli con le nostre paure e i nostri pro-blemi.

Abbiamo imparato che ci sono aiuti, sia legali che medici o di altro tipo. Alcuni familiari sono stati aiutati ad esprimersi. Durante la condivisione il nostro stato di benessere aumentava. Sentivamo che c‘era ancora speranza. Potevamo ancora ridere.

Capivamo anche che ciascuno deve essere responsabile del suo cammino e che deve intraprenderlo con le sue forze e da solo, senza paura di dove questo condurrà.E‘ stata una serata riuscita. Aspettiamo con piacere altri incontri di gruppo e di condivisione di questo tipo. Speria-mo anche vi siano più partecipanti e magari qualche signore.

L’esperienza di una partecipante al seminario...Anna Mair, familiare

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gIornata MondIaledella salute MentaleMartin Achmüller, Vicepresidente dell’Associazione

s e viene indetta una giornata mondiale della salute mentale

vuol dire che la salute psichica non sta troppo bene. Ed effettivamente i segnali in questo senso sono nume-rosi:

la depressione, la malattia del secolo, sta conquistando la prima posizione nelle diagnosi delle patologie;

il suicidio, che in molti stati è già ora considerato ufficialmente la più frequente causa „non naturale“ di morte – ancor più degli incidenti automobilistici;

la Giornata della Depressione, che viene „festeggiata“ come ricorrenza a sé stante il 1 ottobre;

tutte le organizzazioni sanitarie assegnano assoluta priorità (alme- no sulla carta) alla salute psichica;

la cifra di oltre 25.000 malati psichici attribuita all’Alto Adige appare più sottostimata che sovrastimata (soprattutto se si pensa quanto in molti casi di alcolismo è implicata una problematica psichica e quante persone ne sono colpite).

Familiari di persone con disagio psichico hanno fondato nel 1989, l’„Associazione Parenti ed Amici di Malati Psichici“ allo scopo di migliora-re le condizioni di vita delle famiglie. Solo 8 anni più tardi è stata fondata l’Associazione „Lichtung-Girasole“. Le sue attività sono rivolte direttamente ai malati psichici.

Data la loro localizzazione, le due as-sociazioni hanno una maggiore pre-senza nel territorio bolzanino, rispet-tivamente nella Val Pusteria, anche

se la loro attività si svolge nell’intero territorio provinciale: naturalmente, molte persone incontrano ancora difficoltà a rivolgersi ad associazioni “così fuori mano”. Ciò vale anche per il „Punto di Sostegno-Stützpunkt“, il servizio di consulenza offerto dall’As-sociazione Parenti ed Amici di Malati Psichici” che è l’unico sportello di ri-ferimento a livello provinciale per pa-renti di malati psichici.

Entrambe le associazioni si occupano con grande impegno della parità di di-ritti dei malati psichici (che continua-no ad essere emarginati – in quanto psichicamente malati o disagiati, so-cialmente pericolosi, inaffidabili...) e dei loro famigliari, che sono altrettan-to coinvolti in questa situazione forte-mente discriminatoria.

Entrambe le associazioni si propongo-no come megafono a favore di queste

persone che non hanno alcuna lobby alle spalle in grado di difendere i loro interessi.

É purtroppo una triste verità che le persone con una malattia psichica hanno enormemente meno opportu-nità di accedere ad una casa o ad un lavoro rispetto ai portatori di handi-cap fisici. Qualche volta essi vengono ricoverati in case di riposo (nonostan-te grosse resistenze e problemi di ina-deguata preparazione del personale); la realizzazione di altre strutture più idonee viene rimandata all‘infinito; bambini e giovani vengono ricove-rati – contro ogni indicazione clinica - presso strutture per adulti.

una giornata mondiale della salute mentale ha lo scopo di stimolare la riflessione e di motivare la ricerca di sostegno ai malati psichici ed ai loro familiari;

Non dimenticare chi dimentica... Musica e solidarietà - Alzheimer

Stefano Mascheroni, musicista bolzanino, ha re-gistrato un nuovo CD, con il quale continua la sua campagna di informazione e sensibilizzazione in merito alle problematiche dell‘Alzheimer. Han-

no collaborato con lui alla realizzazione del suo lavoro personaggi della musica e dello spettacolo tra cui Goran Kuzminac, Franco Fasano, Patrizia Milani, ottavia Piccolo, Manfred Schweigkofler, Adele Moroder e Roberto Pacco. All‘interno del CD c‘è lo spot Alzheimer diretto dal regista premio oscar Giuseppe tornatore.

il disco viene distribuito gratuitamente, rivolgendosi a Stefano Mascheroni: www.stefanomascheroni.it

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Programma

2. Giornate Italo-Tedesche di Psichiatria

3 e 4 ottobre 2012

nell’Accademia Cusano

Piazza Seminario 2

39042 Bressanone

CusanusC u s a n u s A k a d e m i e

La salute mentale

negli adolescenti

aspetti clinici ed etici

la salute Mentale neglI adolescentI

aspetti clinici ed eticiSiglinde Jaitner, la presidente dell’Associazione

2. Giornate Italo-Tedesche di Psichiatria

l a fanciullezza è un periodo della vita di crisi di sviluppo fisiologi-

che, durante il quale spesso iniziano disturbi psichici. una diagnosi pre-coce e una altrettanto tempestiva te-rapia sono indubbiamente il miglior sistema per prevenire conseguenti lunghe sofferenze.

Poichè è necessaria la collaborazione delle diverse istituzioni, al convegno si sono incontrati rappresentanti della psichiatria degli adulti e di quella del-l‘età evolutiva, dei servizi e delle isti-tuzioni psicologici e socialpedagogici, delle scuole, dei servizi per disturbi da dipendenza e di quelli dell‘ambito della prevenzione.

Gli esperti intervenuti hanno presen-tato un quadro ampiamente specia-listico dal punto di vista psicologico, sociale e medico.

Nel nostro sistema totalmente domi-nato dall‘economia e all‘insegna di „il tempo è denaro“ i sentimenti non trovano alcuno spazio. La relazione richiede tempo, però i risultati sono certi, anche se non misurabili. L‘aiuto è una prestazione di servizio?

i buoni accompagnatori sono molto di più che dispensatori di prestazioni di servizio: essi sanno osservare il pa-ziente con attenzione, possibilmente senza fretta, ma con benvolere e nel miglior caso anche con empatia.

Donare tempo ai giovani oltre al pre-stare servizio è importante, altrimen-ti si rimane loro debitori. Purtroppo anche nel sociale vige il sistema eco-nomico a scapito della cultura, or-mai andata persa per i nostri giovani, dell‘“interessarsi di“. Essi vivono in un mondo dove è importante il fare, dove tutto è accelerato, dove sono spariti i confini fra privato e pubblico, dove i contatti sono quelli tecnologici che di personale hanno ben poco. il tema centrale nell‘età giovanile è la ricerca di autenticità e di prospet-tive future. i giovani d‘oggi sono lo sismografo della società.

Gli psichiatri dell‘età adulta e quelli dell‘età evolutiva possono approfittare scambievolmente della esperienza di ciascuno. in ogni caso i disturbi psichici nell‘età evolutiva necessitano di soluzioni particolari. i gio-

vani non possono essere ricoverati in un reparto per adulti e ciò può even-tualmente avvenire soltanto in casi di emergenza del tutto particolari.

il trattamento psichiatrico dei giovani poggia su più colonne e comprende anche il coinvolgimento e la colla-borazione dei genitori. il trattamento specialistico ambulatoriale richiede più figure professionali: deve essere perciò regolamentata la collaborazio-ne fra i servizi. inoltre per le situazioni di crisi acute sarà possibile nel 2013 il ricovero in un reparto di psichiatria dell‘età evolutiva nell‘ospedale di Me-rano, come insistentemente richiesto da molte parti ed anche da parte della nostra Associazione.

Al periodo di crisi acuta seguirà poi un soggiorno presso strutture sociope-dagogiche e terapeutiche quali Kin-derdorf, opera Serafica - Fondazione Padri Cappuccini, Villa Winter, Fonda-zione San Nicolò, la Strada ecc.

Per disturbi di comportamento inter-veranno in sostituzione delle famiglie comunità sociopedagogiche, che cu-reranno gli aspetti di relazione, per aiutare i giovani a rimettersi in piedi e a ritrovare se stessi.

Durante il convegno non è stato mi-nimamente accennato al ruolo dei genitori, nonostante il fatto che la sofferenza dei giovani sia nella mag-gior parte dei casi anche la sofferenza dei genitori. Perciò essi dovrebbero in ogni caso essere ascoltati, poter esprimere i loro bisogni e richiedere interventi di sostegno anche per se stessi.