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1 ACCADEMIA NAZIONALE DI AGRICOLTURA Atti del convegno Grano gluten free? Le innovazioni della ricerca italiana BOLOGNA, 13 MAGGIO 2016

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AccAdemiA NAzioNAle di AgricolturA

Atti del convegno

Grano gluten free?Le innovazioni della ricerca italiana

Bologna, 13 Maggio 2016

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Si ringraziano la Regione Emilia-Romagna e l’Associazione Nazionale Celiachia

A cura di:Silvia Folloni Open Fields Srl - www.openfields.itRoBeRto RanieRi Accademico corrispondente - Accademia Nazionale di AgricolturaeRcole BoRaSio Accademico ordinario - Accademia Nazionale di Agricoltura

accadeMia nazionale di agRicoltuRa

Palazzo dei Pasi - Via Castiglione, 11 - 40124 Bolognawww.accademia-agricoltura.it

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SOMMARIO

Programma ..................................................................................................... pag. 5

SimoNA cASelli, giuSeppe di FAbio

Premessa ....................................................................................................... pag. 7

giorgio cANtelli Forti, cAteriNA pilo

Saluti introduttivi ........................................................................................... pag. 9

ercole borASio

Introduzione al tema ...................................................................................... pag. 16

InterventI

giNo roberto corAzzA

Aspetti fitopatologici e clinici della malattia celiaca .................................... pag. 19

Norberto pogNA

Lo stato della ricerca sulle proteine del grano .............................................. pag. 24

mArco SilANo

Aspetti nutrizionali della dieta senza glutine ................................................ pag. 39

cArmeN lAmAcchiA Tecnologia Gluten-FriendlyTM: effetto sulla struttura delle proteine del glutine nei semi mediante microscopia ottica ed elettronica .................. pag. 43

mAriA roSAriA corbo

Impatto del pane Gluten-FriendlyTM sulla microflora intestinale di pazienti celiaci ........................................................................................... pag. 51

tavola rotonda

dAllA ricercA All’iNNovAzioNe a cura degli editor .......................................................................................... pag. 59

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PROGRAMMA

Grano gluten free? Le innovazioni della ricerca italiana

Venerdì 13 maggio 2016Sala conferenze Ordine dei farmacisti della Provincia di Bologna

Via Garibaldi 3, Bologna

ore 9.45 Saluto introduttivo PRoF. gioRgio cantelli FoRti Presidente Accademia Nazionale di Agricoltura dott.SSa cateRina Pilo Direttore Generale Associazione Italiana Celiachia

ore 10.00 Introduzione al tema dott. eRcole BoRaSio Accademico Ordinario Accademia Nazionale di Agricoltura

Interventi

ore 10.15 Aspetti fisiopatologici e clinici della malattia celiaca PRoF. gino RoBeRto coRazza Professore Ordinario di Medicina Interna, Università di Pavia

ore 10.45 Lo stato della ricerca sulle proteine del grano PRoF. noRBeRto Pogna Professore di Miglioramento genetico delle piante, Università La Sapienza

di Roma

ore 11.10 Problematiche nutrizionali della dieta aglutinata dott. MaRco Silano Direttore Reparto Alimentazione, Nutrizione e Salute dell’Istituto Superiore

di Sanità di Roma

ore 11.30 Grano “Gluten friendly” PRoF.SSa caRMen laMacchia Ricercatrice Dipartimento di Scienze Agrarie, degli Alimenti e dell’Ambiente,

Università di Foggia

ore 12.00 Impatto del pane “gluten frienfly” sulla microflora intestinale di pazienti celiaci

PRoF.SSa MaRia RoSaRia coRBo Professore Associato di Microbiologia, Dipartimento di Scienze Agrarie,

degli Alimenti e dell’Ambiente, Università di Foggia

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ore 13.00 Lunch

ore 14.30-16,30 Tavola rotonda: “Dalla ricerca all’innovazione” Moderatore: gioRgio cantelli FoRti Presidente Accademia Nazionale di Agricoltura

Intervengono: dott. PaSquale caSillo Presidente Gruppo Casillo dott. RoBeRto RanieRi Trasferimento Tecnologico Open Fields PRoF.SSa Silvana hRelia Direttore Centro Ricerche sulla Nutrizione - Università di Bologna PRoF.SSa caRMen laMacchia Università di Foggia PRoF. gino RoBeRto coRazza Università di Pavia dott. MaRco Silano CoordinatoreComitatoScientificoAssociazioneItalianaCeliachia dott. claudio caMPagna Head of Cereals & Rice Compaign Management Syngenta

(*) Pranzo offerto dalla Regione Emilia-Romagna e curato da F.lli Spigaroli, Polesine P.se (PR).

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(*) Assessore all’Agricoltura, Caccia e Pesca Regione Emilia-Romagna.(**) Presidente Associazione Italiana Celiachia.

PREMESSA

Il glutine, ed in particolare i prodotti che lo contengono, sono stati negli ultimi anni oggetto di frequenti articoli e di interesse da parte della comunità scientifica e dei media in relazione alla malattia celiaca ed altre disfunzioni metaboliche.

L’Associazione Italiana Celiachia conferma che in Italia sono 172.000 i celiaci, di cui 14.000 sono riferibili alla Regione Emilia-Romagna.

Questa situazione ha generato una consistente attività legata alla produzione e commercializzazione di alimenti gluten-free che sta producendo un rilevante onere economico a carico dei malati e a carico della sanità pubblica.

D’altra parte la ricerca scientifica è impegnata nel realizzare possibili soluzioni alimentari atte a superare i fattori che scatenano la reazione celiaca.

Il convegno, organizzato dall’Accademia Nazionale di Agricoltura, ha l’obiet-tivo di fare il punto sullo stato dell’arte e di produrre un approfondimento sui diversi approcci genetici, biotecnologici e di processo, che, nel nostro paese, sono stati sviluppati in questi ultimi tempi per ridurre l’immunogenicità del glutine.

L’evento è stato patrocinato dalla Regione Emilia-Romagna e dalla Associa-zione Italiana Celiachia.

Simona Caselli (*)

“Da sempre la Regione Emilia-Romagna è impegnata nel sostegno alla ri-cerca ed al trasferimento dell’innovazione nel settore cerealicolo. La Regione Emilia-Romagna, con grande piacere, ha concesso il patrocinio per il convegno riconoscendo l’importanza dell’iniziativa che valorizza il glutine di frumento anche nell’alimentazione dei malati celiaci. In Emilia-Romagna, infatti, il numero di celiaci si attesta sulle 14 mila unità e, attraverso la presentazione delle ricer-che che si stanno svolgendo a livello nazionale, si potrebbero avere importanti ripercussioni anche a carattere locale sui costi della sanità e della produzione agroalimentare regionale”.

Giuseppe Di Fabio (**)

“AIC, associazione pazienti che da circa 40 anni lavora sul territorio nazionale ed internazionale per la tutela dei celiaci e il diritto alla corretta informazione, ha

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sempre seguito l’innovazione della ricerca scientifica sia medica che tecnologica rivolta all’alimentazione dei celiaci: la Fondazione Celiachia da 4 anni finanzia la ricerca scientifica Peer Review mediante Bandi nazionali aperti anche alla Food Technology, AIC a novembre organizza il Convegno medico-scientifico atteso ogni anno da circa 250 medici e ricercatori da tutta Italia, nel nostro magazine Celiachia Notizie abbiamo una Rubrica (Scienza&Ricerca) dedicata alle novità della scienza medica e tecnologica e in queste pagine più volte abbiamo dato spazio e voce alla ricerca italiana sulle varietà di grano potenzialmente utili per i celiaci. La dieta è al momento l’unica ed efficace terapia per la celiachia, si tratta quindi di un aspetto di fondamentale importanza per AIC. Proprio per que-sto motivo e nell’obiettivo di una informazione equa e corretta, AIC promuove da sempre, sia presso l’opinione pubblica che in sedi istituzionali e mediche, il concetto fondamentale che non bisogna mai iniziare una dieta senza glutine senza aver prima diagnosticato con certezza la celiachia: la dieta gluten-free non è una moda e non è una pratica salutistica (come dimostrato dagli studi scientifici) ma è una terapia per chi ha intolleranza al glutine o allergia al frumento”.

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9G. Cantelli Forti

Giorgio Cantelli Forti (*)

SALUTI INTRODUTTIVI

“Con questo convegno l’Accademia Nazionale di Agricoltura intende aggiun-gere un ulteriore tassello relativamente al fondamentale binomio agricoltura-salute in linea e accordo con quanto presentato a Roma, il 27 e 28 aprile scorso, dal ministero della Salute, durante gli Stati generali della ricerca sanitaria. Sempre di più, infatti, una corretta alimentazione, eseguita attraverso la scelta di mate-rie prime di qualità e prodotti sicuri, è la via giusta per aumentare la salute del consumatore e ridurre la spesa sanitaria. Le scelte genetiche, agronomiche e di trattamento tecnologico della materia prima possono, dunque, contribuire al raggiungimento di un duplice risultato verso l’intolleranza celiaca mantenendo il glutine come importante sostanza proteica per l’organismo e superando, al contempo, le sofferenze della patologia”.

(*) Presidente dell’Accademia Nazionale di Agricoltura.

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10 C. Pilo

Caterina Pilo (*)

SALUTI INTRODUTTIVI

L’Associazione Italiana Celiachia nasce nel 1979 per iniziativa di un gruppo di genitori che affrontavano, allora, le prime diagnosi di celiachia in Italia. Ciò avveniva in un panorama di assenza totale di tutele e di assistenza nell’affrontare una malattia di cui si conosceva ancora pochissimo. I bisogni di quella nascente comunità di famiglie erano davvero primari: innanzitutto, capire cosa fosse, realmente, la celiachia, cui si arrivava spesso dopo lunghi e penosi periodi di sofferenze ed errate diagnosi. E poi conoscere il significato della «dieta senza glutine», scoprire quali erano i prodotti adatti al celiaco e dove reperirli.

AIC Onlus è una Federazione composta da 20 Associazioni territoriali, presenti in tutte le Regioni italiane e nelle Provincie autonome di Trento e Bolzano. La presenza capillare sul territorio è uno dei punti di forza di AIC. Oltre ad AIC Onlus, fanno parte del Gruppo AIC la Fondazione Celiachia Onlus, che finanzia la ricerca scientifica sulla patologia, e l’impresa sociale Spiga Barrata Service, che, dopo accurate verifiche, rilascia in licenza d’uso il Marchio Spiga Barrata sulle confezioni dei prodotti idonei ai celiaci, ed è editore delle pubblicazioni che AIC realizza a favore dei celiaci e delle loro famiglie, come l’house organ Celiachia Notizie, il Prontuario degli Alimenti, la Guida Alimentazione Fuori Casa.

Oggi il nostro Paese è all’avanguardia in ambito scientifico e la classe medica è padrona di metodi di diagnosi sofisticati. Inoltre l’Italia rappresenta un modello in termini di politica sanitaria per quanto riguarda la celiachia.

L’attività dell’Associazione e i bisogni dei celiaci oggi

Dopo oltre 35 anni di attività, l’Associazione Italiana Celiachia conta circa 50.000 associati: ha contribuito a modificare radicalmente il panorama delle tutele

(*) Direttore Generale Associazione Italiana Celiachia.

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dei celiaci e il volto stesso della celiachia in Italia.Intanto i bisogni sono cambiati: oggi il celiaco chiede:

– il diritto al pasto senza glutine, alla «demedicalizzazione» della celiachia e alla normalizzazione della sua vita;

– di poter vivere la sua quotidianità «senza glutine» secondo i nuovi stili di vita che si affermano nella società, dal lavoro al tempo libero, dalle vacanze alla famiglia;

– la possibilità di scelta tra un’offerta ampia di prodotti senza glutine che offra la possibilità di variare la propria dieta;

– l’opportunità di essere accolti in tutta sicurezza in un numero di locali e strutture sempre maggiori in tutta Italia, fino all’individuazione di terapie alternative alla dieta.Resta l’obiettivo di una diagnosi precoce e corretta di celiachia. Se è vero che

le diagnosi crescono costantemente, rimane il fatto che a fronte di una inciden-za di questa malattia nella popolazione di 1:100, i celiaci diagnosticati restano ancora pochi.

L’Associazione si trova oggi ad affrontare uno scenario mutato riguardo alla percezione della dieta senza glutine promossa oggi da molti media quasi come una moda e non come una terapia necessaria ad una fascia vulnerabile della popolazione, impattando così negativamente sulla vita delle persone celiache. Tale scenario ha già portato a gravi conseguenze sul piano normativo, con lo stralcio degli alimenti appositamente formulati per celiaci dalla norma quadro europeo sugli alimenti destinati a categorie vulnerabili della popolazione (Reg. (UE) 609/2013). La diffusione della “moda del senza glutine” ha portato anche ad un generale rischio che, nella disinformazione, si confondano celiachia, altre patologie di cui ancora si sa davvero poco, come la gluten sensitivity, stili ali-mentari e mode dove tutto viene banalizzato, mettendo a rischio le diagnosi, la sicurezza e la salute stessa del paziente e le sue tutele.

L’Associazione prosegue così la sua attività che non è di sola conquista di determinati diritti, ma anche di presidio degli stessi.

I numeri della celiachia in Italia

In Italia il numero atteso di celiaci è 600.000, l’1% della popolazione. Ad oggi sono stati diagnosticati solo 172.197 celiaci (dato Relazione al Parlamento del Ministero della Salute al 31/12/2014). Oltre 400.000 pazienti ignorano di essere affetti da celiachia. La celiachia non diagnosticata può portare a problematiche quali fratture spontanee ripetute in uomini e donne, aborti spontanei ripetuti, in-fertilità, disturbi della gravidanza, carenza di ferro o anemia, fino a complicanze drammatiche tra cui il linfoma intestinale. Di questi 400.000 pazienti oltre il 60% sono donne (la celiachia colpisce le donne 2 volte più degli uomini) che

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si espongono a problematiche quali alterazioni del ciclo mestruale, infertilità, anemia, menopausa precoce e osteoporosi.

Servono in media ancora 6 anni per giungere alla diagnosi, sprecando dena-ro pubblico con esami inutili e costosi e ritardando l’inizio della terapia, unica prevenzione alle gravi complicanze della celiachia. La diagnosi, oltre che un dovere verso la salute dei pazienti, è un’importante operazione di prevenzione e quindi di contenimento della spesa sanitaria perché il celiaco non diagnosticato oppure con diagnosi tardiva, manifesta gravi complicanze, che compromettono la qualità della vita e costringono a frequenti ricorsi a cure mediche che gravano sulla collettività. Inoltre, a distanza di anni, un numero significativo di diagnosi di celiachia si rivelano sbagliate. Ancora molto resta da fare per migliorare la performance diagnostica in Italia.

A questo proposito AIC ha orientato tutte le sue attività scientifiche e divulgative del 2016 al tema della diagnosi. Ne è un esempio, oltre alla Set-timana Nazionale della Celiachia (16-22 maggio, maggiori informazioni su www.settimanadellaceliachia.it) l’evoluzione del Progetto “Donna&Celiachia” a cura del Comitato Scientifico AIC che ha prodotto una Guida di raccoman-dazioni cliniche dedicate ai medici di medicina generale e agli specialisti per aiutarli a riconoscere la celiachia nelle loro pazienti. Per maggiori informazioni è possibile consultare: www.celiachia.it/donnaeceliachia.

Ricerca e tecnologia per migliorare la terapia

Oggi grande attenzione è concentrata sulla ricerca di nuove tecnologie volte a migliorare la terapia della celiachia. In questo contesto AIC è attenta a ogni sviluppo volto a migliorare la qualità della vita dei celiaci e rendere più econo-mica la terapia a parità di garanzia per la salute.

La produzione degli alimenti per celiaci deve confrontarsi con l’assenza del glutine e quindi delle sue importanti proprietà visco-elastiche, fondamentali per la struttura dell’impasto e del prodotto finito. Negli anni, le aziende specializzate nella produzione di alimenti per celiaci hanno investito molto nella ricerca & sviluppo di nuovi alimenti. Dati recenti mostrano come l’industria dei prodotti dietetici spenda circa il 5% del proprio volume d’affari in Ricerca&Sviluppo, a fronte dell’1% dell’industria tradizionale (fonte: IDACE, http://www.idace.eu/facts-and-figures ).

Negli ultimi anni, sono stati presi in considerazione diversi approcci per la produzione di alimenti senza glutine, sia utilizzando nuove tecnologie di produ-zione sia testando l’utilizzo di nuovi ingredienti.

Tra le novità più interessanti ricordiamo ad esempio il cosiddetto amido di frumento deglutinato. L’amido di frumento è un utilissimo ingrediente per i prodotti da forno, in quanto ne migliora notevolmente la palatabilità e l’aroma.

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Fino a qualche anno fa, era però impossibile ottenere un amido che non portas-se con sé significative tracce di glutine, che lo rendevano inadatto a preparare alimenti gluten-free. Oggi, grazie a nuove tecnologie produttive che consentono di “raffinare” il prodotto, è disponibile sul mercato un amido di frumento detto “deglutinato” (codex wheat starch) che permette la realizzazione di prodotti idonei al celiaco con contenuto in glutine inferiore ai 20 ppm.

Un’altra interessante novità tecnologica si è ottenuta utilizzando una lievita-zione sviluppata ad hoc che ha consentito di arrivare alla completa degradazione dei complessi proteici della farina di frumento, che vengono idrolizzati ai singoli amminoacidi costituenti, non più tossici per il celiaco.

Una combinazione ottimale di fermenti lattici ed enzimi, uniti al processo tradizionale di lievitazione naturale e ad un prolungato tempo di riposo, permet-tono così di eliminare il glutine della farina di frumento all’interno di impasti utilizzati oggi per la produzione di tipologie di pane che offrono al celiaco non solo un aroma simile al pane tradizionale, ma anche un profilo nutrizionale molto ricco e completo.

Già oggi possiamo prevedere alcuni sviluppi interessanti nel futuro delle tecnologie di produzione degli alimenti per celiaci:

il cosiddetto “gluten friendly”, una tecnologia di trattamento dei chicchi di grano, ancora in fase di studio, che promette di detossifficare il grano mantenen-done inalterate le proprietà reologiche;

lo sviluppo di ricette e tecnologie produttive per i prodotti da forno “ad alta lievitazione” (come il panettone o le brioche), alimenti ancora oggi di difficile resa senza l’apporto del glutine;

lo sviluppo di alimenti “ad alta qualità nutrizionale”, quindi che oltre a sapore e consistenza, privilegino anche profili nutrizionali bilanciati e ricchi di fibre.

L’importanza della compliance alla dieta

Nonostante i passi avanti compiuti grazie all’innovazione in ambito tecnologico e l’importanza della ricerca a cui l’Associazione guarda con grande attenzione, ad oggi, la dieta senza glutine rimane l’unica terapia nota per la celiachia. A questo proposito sappiamo che nel 2014 il costo della terapia (erogazione gratuita degli alimenti a carico del Sistema Sanitario Nazionale) per i pazienti celiaci in Italia ammonta a 215 milioni di Euro. Se guardiamo però il valore totale del mercato senza glutine, pari a 320 milioni di Euro, scopriamo che ben 1/3 del mercato è costituito dagli acquisti dei consumatori non diagnosticati celiaci.

Oggi infatti molte persone scelgono di eliminare il glutine dalla propria dieta per seguire la moda del momento, un’idea talvolta rafforzata dai sempre più numerosi personaggi noti, non celiaci, che seguono la dieta gluten-free e lo dichiarano pubblicamente. Basti pensare che 1 persona su 10 pensa che la

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dieta gluten-free sia più salutare (dato Nielsen Global Survey of Corporate Social Responsibility e Nielsen Trade Mis Distribuzione Moderna 2015) e che 3 italiani su 10 pensano che la dieta gluten-free faccia dimagrire (dato Doxa/Aidepi “Gli italiani e le bufale alimentari online”, luglio 2015). Ricordiamo che la dieta senza glutine è l’unica terapia ad oggi nota, vero e proprio “salvavita” per curare la celiachia. Con questa finalità, il Servizio Sanitario Nazionale eroga ai pazienti celiaci i prodotti dietetici senza glutine. I pazienti, in quanto tali, sono affetti da una vera e propria patologia e devono nutrirsi senza gluti-ne per tutta la vita, in ogni circostanza. Nel corso del tempo, i pazienti hanno faticosamente conquistato importanti diritti, tutele fondamentali che rischiano di essere messe in discussione dal diffondersi della moda del senza glutine tra la popolazione non celiaca, che svilisce e banalizza questa patologia e le difficoltà di chi ne soffre. Chi non soffre di celiachia non ha vantaggi o bene-fici dall’esclusione del glutine. Anzi, adottare autonomamente la dieta senza glutine potrebbe rendere impossibile la diagnosi corretta di celiachia, qualora il paziente non sapesse ancora di esserne affetto, esponendosi così, in futuro, alle complicanze, anche gravi. A differenza della popolazione sana, per la quale la dieta senza glutine è di fatto uno stile di vita, una scelta alimentare, per i pazienti diagnosticati la dieta senza glutine è, come già detto, una terapia, l’unica in grado di curare la celiachia, malattia cronica e “sociale” in quanto incide profondamente sullo stile di vita delle persone. La dieta senza glutine deve essere infatti seguita rigorosamente per tutta la vita. Per questo motivo l’aderenza alla terapia (compliance) assume un ruolo fondamentale e, in questo senso, le innovazioni tecnologie potranno rappresentare un valido supporto per aumentare la percentuale di aderenza alla dieta.

La già citata erogazione gratuita è una forma di assistenza che garantisce l’accesso a una terapia ancora troppo costosa: i tetti di spesa come li conoscia-mo non sono mai aumentati dal 2001 a oggi mentre i prezzi dei prodotti senza glutine sono sempre stati in crescita nonostante la recente presenza sul mercato di marchi nuovi, che ci lasciano intravvedere la possibilità di avere prezzi più bassi in futuro. Attualmente l’erogazione è quindi ancora necessaria ma è evidente che debba essere anche sostenibile e per tutti, celiaci di oggi e di domani, senza ridurre il diritto alla salute. A questo proposito riteniamo fondamentale la ridu-zione dei costi della terapia attraverso l’impegno nell’abbassamento dei prezzi e lo sviluppo di diversi canali distributivi. Nella stessa direzione anche la riduzione degli sprechi dell’assistenza: maggiore è l’efficienza della spesa pubblica, più è alto il livello di salute che può essere garantito. L’efficienza passa inoltre anche dall’utilizzo di strumenti informatizzati (buono elettronico, anziché il cartaceo) di accesso alla terapia. Sono già attive buone pratiche italiane, che ci dimostrano che il buono elettronico liberalizza l’accesso ai diversi canali distributivi e rende immediata, trasparente ed efficace la rendicontazione.

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La trasformazione dei buoni da cartacei a digitali è oggi una realtà soltanto in Lombardia e Umbria, ma ci sono altre regioni che si stanno progressivamente adeguando. Si tratta anche della soluzione più auspicabile per l’Associazione Italiana Celiachia. Il buono mensile può diventare a tutti gli effetti digitale ad esempio attraverso l’accreditamento sulla tessera sanitaria dell’importo mensile. Un cambiamento che porterebbe non solo a una riduzione dei costi diretti (pensiamo alla carta su cui si stampano i buoni, la loro spedizione, il personale destinato alla loro produzione e distribuzione), ma anche e soprattutto all’indiretto risparmio dovuto alla rendicontazione, che diventerebbe trasparente e automatica. Si rende-rebbe impossibile qualsiasi abuso della spesa, sarebbe garantito l’accesso libero ai diversi canali distributivi, tenuto conto che dove è più presente la GDO si sono registrate le più significative riduzioni dei prezzi, fino a -26%. In modo indiretto si agevolerebbe anche l’ampliamento di negozi specializzati e supermercati, in convenzione con l’ASL, che potrebbero offrire il servizio di vendita di alimenti per celiaci come previsto dal Servizio Sanitario Nazionale.

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Ercole Borasio (*)

INTRODUZIONE AL TEMA

È con grande piacere che mi appresto ad introdurre il tema che ci vedrà im-pegnati in questa giornata.

L’Accademia assolve a molti e svariati compiti e fra questi vi è anche una sorta di mediazione culturale che la vede impegnata a diffondere correttamente la “conoscenza” frutto della ricerca scientifica. Ora non tutta la ricerca scienti-fica produce innovazione e conseguente trasferimento tecnologico. Innovazione è prodotta solo da quella ricerca capace di manifestare, in senso favorevole, un notevole e duraturo impatto di natura economica o sociale o sulla salute dell’uo-mo e dell’ambiente.

In questo convegno verranno presentati i risultati di una ricerca iniziata nel 2009 che, con molta probabilità, produrrà una innovazione in grado di contribuire alla soluzione dei problemi connessi al trattamento della malattia celiaca. Questa ricerca, nel 2015, ha meritato due sigilli d’eccellenza della Commissione Euro-pea, e sempre nel 2015 ha vinto il premio europeo NutriAwards per il miglior processo innovativo in campo alimentare/salutistico, ed il premio nazionale per l’innovazione (sia il premio Life Science e sia il primo premio assoluto).

Sono anche lieto nel constatare che questa ricerca è innovativa e rivoluzionaria perché va in una direzione opposta a tutte le altre orientate dalla “demonizza-zione” del glutine e dal concetto che il glutine era una “cosa” di cui bisognava liberarsi. Conseguentemente anche tutte le attività connesse alla produzione de-gli alimenti identificati gluten-free partivano con un processo di sottrazione del glutine dal grano o di surroga dello stesso con l’impiego di altri cereali privi di glutine; oltretutto la sostituzione delle proprietà, uniche, del glutine di frumento nei prodotti gluten-free rappresenta uno dei problemi che le industrie del settore devono affrontare per conferire a questi alimenti qualità sensoriali e caratteristiche

(*) Accademico Ordinario Accademia Nazionale di Agricoltura.

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tecnologiche elevate. In questo caso invece si parte dalla valorizzazione del glutine per le sue peculiari caratteristiche nutrizionali e tecnologiche, “detossificandolo” nel caso dell’impiego nella dieta dei celiaci.

È noto che il cibo influenza quotidianamente il benessere e la salute del consumatore riducendo in tal modo anche la spesa sanitaria: la ricerca in questo settore ha pertanto molteplici ricadute.

La ricerca e l’innovazione rappresentano l’unica chiave per dare le risposte alle esigenze dell’umanità che tempo per tempo si manifestano.

L’occasione mi offre anche l’opportunità di contrastare quanto spesso si è voluto far credere, diffondendo, soprattutto da parte dei media, ma non solo, una informazione scorretta che vede nel miglioramento genetico, che ha di fatto aumentato il contenuto proteico nel frumento, la causa della “tossicità” dei grani “moderni” indicandoli come promotori di non meglio identificate gluten sensivity.

È doveroso non dimenticare che le situazioni di carattere generale si sono profondamente e rapidamente modificate.

Settanta anni orsono sul pianeta vivevano 2,5 miliardi di persone; oggi sul pianeta vivono 7,3 miliardi di persone, e nel 2050, tutte le stime concordano nell’indicare 9,7 miliardi di persone di cui oltre il 50% vivranno urbanizzate in agglomerati sempre più grandi (città da oltre 20 milioni di abitanti). Tutto ciò ha anche radicalmente modificato le tecnologie di produzione delle materie prime agricole e degli alimenti ed il miglioramento genetico ha fornito il proprio con-tributo alla soluzione dei nuovi problemi.

Sempre con riferimento al grano, occorre ricordare che una volta la pasta ed il pane erano prodotti a carattere familiare o artigianale e non industriale: il fornaio si alzava alle tre del mattino per poter lasciare lievitare le farine per ore. Tutto questo non è più possibile per le intercorse modifiche delle leggi sul lavoro notturno e del costo del lavoro, e quindi industrialmente si sono accorciati di molto i tempi di produzione; questa nuova situazione ha richiesto la disponibilità di grani con un maggior contenuto proteico e con glutine più tenace. Per non parlare della macinazione, che necessariamente è passata dalla macinazione a pietra (che pur offriva un prodotto eccellente) alla alta macinazione industriale.

Anche la richiesta quantitativa è in costante e rapido aumento: nel mondo nel 2010 si sono prodotti 670 milioni di tonnellate di grano e nel 2015 se ne sono prodotti 720 milioni di tonnellate (incremento di 50 milioni di tonnellate in 5 anni). Una siffatta trasformazione impone di poter disporre di modelli di pianta idonei alla moderna produzione. Non si possono certo riproporre i “frumenti antichi” (oggi di moda), se non per studiare ed eventualmente trasferire da essi alcune caratteristiche nutraceutiche, per garantire soluzioni idonee alle accennate mutate situazioni a livello planetario.

Occorre quindi indirizzare la ricerca e non criminalizzarla come paradossal-mente in agricoltura troppo spesso avviene.

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È infatti solo con un continuo ricorso all’innovazione, sia essa genetica, bio-tecnologica o di processo (spesso fra loro integrate), che possiamo dare risposte concrete alle esigenze che di volta in volta si manifestano.

Ed è proprio questo il tema del convegno di oggi.

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19G.R. CoRazza

Gino Roberto Corazza (*)

ASPETTI FISIOPATOLOGICI E CLINICI

DELLA MALATTIA CELIACA

Definizione

La malattia celiaca (MC) è un’enteropatia caratterizzata da atrofia dei villi intestinali, ipertrofia delle cripte ed aumento dell’infiltrato infiammatorio, causata, in individui geneticamente predisposti, dall’ingestione di glutine, la componente proteica delle farine di frumento/grano, orzo e segale. Queste alterazioni regre-discono eliminando il glutine dalla dieta.

La prevalenza della MC nella popolazione generale del mondo occidentale è stimata essere compresa tra 1/80 e 1/200 (Biagi et al., 2010). Tale prevalenza sale al 10-15% in particolari “gruppi a rischio” quali i familiari di I grado, i pazienti affetti da anemia sideropenia, i pazienti affetti da malattie autoimmuni (Dubé et al., 2005).

Eziopatogenesi

Nell’eziologia della MC rientrano fattori sia ambientali sia genetici. Il fattore ambientale è rappresentato dalla gliadina, una proteina alcool-solubile contenuta nella farina di frumento e, a sua volta, separabile in quattro sottofrazioni elet-troforetiche (a-, b-, g-, w-) provviste di tossicità decrescente nei confronti della mucosa intestinale dei pazienti affetti da MC. L’importanza dei fattori genetici nell’eziologia della MC è confermato dall’elevata prevalenza della MC tra i familiari di I grado di pazienti (10-15%). Questa prevalenza sale al 35% quando si considerano fratelli e sorelle con identico HLA. La MC presenta una forte associazione con i geni che codificano per le molecole HLA DQ2 e DQ8 (Sollid et al., 2005).

(*) Professore Ordinario di Medicina Interna, Università di Pavia.

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La rapida attivazione dei linfociti T della lamina propria e l’aumento del nu-mero dei linfociti intraepiteliali sono le prime alterazioni che si verificano nella mucosa intestinale di pazienti celiaci già trattati ma che riprendono a consumare glutine. A queste prime lesioni, fanno seguito l’atrofia dei villi e l’ipertrofia delle cripte. Inoltre, i linfociti T presenti nella mucosa intestinale di pazienti celiaci sono linfociti T gliadina-specifici DQ2-ristretti. Sono, cioè, linfociti in grado di riconoscere la gliadina soltanto quando questa viene loro presentata da cellule antigene-presentanti HLA DQ2 positive. Tali linfociti, una volta attivati dalla gliadina, producono un pattern di citochine di tipo Th1, le responsabili dello sviluppo delle successive lesioni intestinali.

Per quello che riguarda l’immunità umorale, la MC è caratterizzata dalla pre-senza nel siero di anticorpi specifici antigliadina ed antiendomisio/antitransgluta-minasi. Tali anticorpi sono prodotti dalle plasmacellule della mucosa intestinale e la loro sintesi è gliadina-dipendente, come confermato dalla loro negativizzazione una volta eliminata la gliadina dalla dieta. È verosimile che questi anticorpi non abbiano un ruolo primario nella patogenesi della MC.

La dimostrazione che l’enzima transglutaminasi rappresenta l’antigene degli anticorpi antiendomisio ha permesso di riunire in un unico denominatore comune la risposta cellulo-mediata e la risposta umorale. La transglutaminasi è infatti una proteina citoplasmatica che catalizza il legame tra peptidi e riconosce tra i suoi substrati preferenziali proprio la gliadina. Peptidi gliadinici vengono specificamente deprivati dalla transglutaminasi di un gruppo amidico; così deamidati i peptidi della gliadina vengono più facilmente riconosciuti dai linfociti T gliadina-specifici DQ2-ristretti, con conseguente aumento della loro stessa attivazione.

Quadro clinico

Come tutte le enteropatie, anche la MC è caratterizzata da una gamma estre-mamente ampia di possibili presentazioni cliniche (Biagi et al., 2002). Si ricono-sce, infatti, una cosiddetta forma maggiore, caratterizzata dai classici sintomi di malassorbimento globale, cioè diarrea, steatorrea e/o calo ponderale, una forma minore, caratterizzata da sintomi minori e/o extraintestinali, riconducibili o a malassorbimenti selettivi o a condizioni associate alla MC stessa, ed infine una forma silente caratterizzata dalla sostanziale assenza di sintomi e segni.

Numerose sono le condizioni morbose, prevalentemente a patogenesi autoim-mune, che possono associarsi alla MC. È questo il caso della dermatite erpetiforme, del diabete mellito insulino-dipendente, delle tiroiditi autoimmuni (in particolare quella di Hashimoto), del deficit selettivo di IgA, della sindrome di Down, della cirrosi biliare primaria, della colangite sclerosante e della epilessia con calcifi-cazioni cerebrali. Queste associazioni rivestono grande importanza per motivi diagnostici e terapeutici. Da una parte, infatti, il paziente potrebbe lamentare

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Fig. 1 - Meccanismo di danno alla mucosa nella malattia celiaca (Di Sabatino e Corazza, 2009).

solo i sintomi della condizione associata e, dall’altra, l’introduzione della dieta priva di glutine può migliorare anche la seconda condizione.

Diagnosi

La diagnosi di MC richiede la dimostrazione di una serie di alterazioni della mucosa del tenue: atrofia dei villi intestinali, ipertrofia delle cripte ed aumento dell’infiltrato infiammatorio (Ludvigsson et al., 2014). Queste lesioni, pur essendo caratteristiche, non sono però specifiche per MC e quindi non sono sufficienti a porre diagnosi di MC. In un paziente in cui sono state riscontrate delle lesioni mucosali compatibili con MC, questa diagnosi può essere formulata se il paziente risulta essere positivo agli anticorpi sierici specifici per celiachia e/o se si dimostra che le lesioni intestinali sono glutine-sensibili, cioè se regrediscono eliminando il glutine dalla dieta. Gli anticorpi specifici per celiachia sono rappresentati dagli anticorpi antigliadina, antiendomisio ed antitransglutaminasi tissutale. Questi anticorpi permettono non solo di formulare la diagnosi di MC in pazienti con riscontro di lesioni mucosali compatibili con MC, ma rappresentano anche ottimi

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metodi per individuare i pazienti con maggiori probabilità di essere affetti da MC e che quindi devono essere inviati all’esecuzione della biopsia duodenale. Inoltre, il dosaggio di questi anticorpi è risultato essere estremamente utile per lo screening della MC in alcune condizioni considerate “a rischio”. Infine, biopsia duodenale e ricerca degli anticorpi sierici vanno effettuati con il paziente in dieta contenente glutine. Non bisogna infatti mai dimenticare che alterazioni mucosali ed anticorpi sierici sono tutti glutine-sensibili e quindi scompaiono una volta iniziata la dieta aglutinata. Iniziare una dieta aglutinata prima di aver eseguito questi accertamenti è pertanto un grave errore, che complica terribilmente l’iter diagnostico dei pazienti con sospetta MC.

Terapia

La dieta aglutinata rappresenta il trattamento della MC. Solo alcuni pazienti, con grave malassorbimento, necessitano di una terapia di supporto. La dieta deve essere estremamente rigorosa e deve essere mantenuta per tutta la vita non solo nelle forme francamente sintomatiche, ma anche in quelle subcliniche e silenti. È importante, infatti, sottolineare che le temibili complicanze della MC posso-no svilupparsi anche in pazienti senza un evidente quadro di malassorbimento. Poiché mantenere per tutta la vita una rigorosa dieta aglutinata è impegnativo e costoso, sono attualmente in fase di studio terapie alternative alla dieta stessa.

Complicanze

Sebbene la mortalità dei pazienti celiaci diagnosticati in età pediatrica, e da allora in rigorosa dieta aglutinata, non sia aumentata rispetto a quella della po-polazione generale, la mortalità dei celiaci diagnosticati in età adulta è pressoché raddoppiata (Biagi et al., 2010). In molti casi, la causa di morte è rappresentata da una delle complicanze che hanno nella prolungata esposizione al glutine, dovuta appunto ad una insufficiente compliance alla dieta e/o ad una diagnosi tardiva, il fattore più importante per il loro sviluppo (Biagi et al., 2014). Tali complicanze sono il linfoma intestinale a cellule T, la digiuno-ileite ulcerativa, il carcinoma dell’intestino tenue, la malattia celiaca refrattaria e la sprue collagenosica; queste vanno sempre sospettate in tutti i pazienti celiaci che, pur continuando a seguire una rigorosa dieta priva di glutine, manifestano una recrudescenza della sinto-matologia (dolori addominali, calo ponderale, febbre e diarrea). Più raramente, la storia clinica del paziente può esordire direttamente con la comparsa di queste complicanze senza, cioè, che la MC non fosse mai stata sospettata in precedenza. È necessario, tuttavia, sottolineare che, nella maggioranza dei pazienti diagnosi precoce e rigorosa dieta priva di glutine proteggono il paziente dall’insorgenza di tali complicanze.

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Ringraziamenti

Si ringrazia il Professor Federico Biagi (Università di Pavia) per il fondamen-tale contributo nella preparazione di questo documento.

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Norberto Pogna (*)

LO STATO DELLA RICERCA SULLE PROTEINE DEL GRANO

La celiachia è una malattia sistemica autoimmune che colpisce individui ge-neticamente predisposti a seguito dell’ingestione di alimenti contenenti grano, orzo, segale o triticale. Si tratta di una enteropatia cronica caratterizzata sul piano clinico da un ampio spettro di possibili presentazioni che spaziano da quadri cli-nici silenti, a quadri con deboli sintomi, fino a quadri di grave malassorbimento globale che possono mettere in pericolo la vita del paziente.

La patologia è caratterizzata quindi da un’alta variabilità clinica ed istologica che può prevedere l’appiattimento dei villi della mucosa nella parte superiore dell’intestino tenue ed il malassorbimento dei nutrienti apportati con il cibo; si osserva la normalizzazione della mucosa intestinale e dei test di assorbimento dopo una dieta priva dei sopramenzionati cereali tossici e una ricomparsa delle anomalie della mucosa in seguito alla reintroduzione di glutine.

Ad oggi nel nostro Paese risultano più di 164.000 celiaci, circa 15.830 in più rispetto al 2012. Il 46% della popolazione celiaca italiana risulta residente al nord, il 22% al centro, il 19% al sud ed infine il 13% nelle isole; inoltre è stato stimato che per ogni diagnosi accertata ci siano 7 celiaci non diagnosticati. Questo ha portato alla definizione della celiachia come malattia sotto diagnosticata ed alla sua rappresentazione come un iceberg la cui punta è rappresentata dai soggetti diagnosticati ed il sommerso dai soggetti affetti non riconosciuti o tardivamente riconosciuti di questa patologia. Negli ultimi anni però, grazie alla diffusione di test diagnostici semplici e poco invasivi ed all’aumentata conoscenza delle varie forme di presentazione della malattia da parte della classe medica, si è avuto un incremento esponenziale delle diagnosi.

La malattia celiaca si manifesta nei bambini, inizialmente, con prurito e/o angioderma delle labbra, del palato e della lingua, sensazione occasionale di

(*) Professore di Miglioramento genetico delle piante, Università La Sapienza di Roma.

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restrizione della gola, sintomi sistemici di nausea, dolori addominali, spasmi, vomito e/o diarrea. Negli adulti tende a presentarsi con sintomi meno tipici come debolezza muscolare, dolori ossei, tendenza alle fratture, alterazioni cutanee, afte e anemia.

L’esistenza di una predisposizione genetica alla celiachia è dimostrata tra l’altro dagli studi condotti sui gemelli e sui parenti dei soggetti celiaci. Il princi-pale fattore genetico di suscettibilità è dato da particolari varianti del complesso HLA (Human Leucocyte Antigen) che occupa una regione di 4Mbp nel cro-mosoma 6p21. La regione HLA contiene circa 200 geni i cui prodotti proteici governano importanti funzioni immunologiche: sono infatti molecole deputate al riconoscimento delle proteine estranee all’organismo, provenienti sia da altri individui (nelle risposte ai trapianti d’organo) sia da agenti infettivi come virus e batteri. La predisposizione alla malattia celiaca si correla con la presenza degli alleli DQA1*02 e DQB1*05 che codificano rispettivamente per la catena alfa e la catena beta dell’eterodimero proteico HLA-DQ2.5 portato dalle cellule APC. Una piccola quota di celiaci possiede solo la catena alfa o la catena beta dell’e-terodimero DQ2.5, mentre solo lo 0,4% di essi è privo di entrambe le catene e dell’eterodimero DQ8 (Van Heel et al., 2005). Tuttavia occorre sottolineare che gli alleli DQA1*02 e DQB1*05 sono piuttosto comuni nella popolazione sana, ricorrendo nel 30% circa dei Caucasici (Sollid et al., 1989). Pertanto, la presen-za delle molecole DQ2.5 o DQ8 rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente allo sviluppo della celiachia.

Con l’eccezione del riso e dell’avena, i componenti principali delle proteine di riserva nell’endosperma dei cereali sono le gliadine e le glutenine, colletti-vamente note come prolamine (o prolammine) per l’alto contenuto di prolina e glutammina (30-70% degli aminoacidi totali).

Le gliadine (circa 40% delle proteine della cariosside) sono singole catene polipeptidiche solubili in etanolo, con peso molecolare compreso tra 28 e 70 kDa.

Sono distinte in tre famiglie (w, g e a/b) in base alla loro mobilità elettroforetica in un gel di poliacrilammide a pH acido (3,0) e si presentano nell’endosperma di grano tenero sotto forma di 45–50 molecole diverse (Payne et al., 1987; Bietz et al., 1977; Kasarda et al., 1983).

Le glutenine sono costituite da due tipi di polipeptidi noti come subunità HMW (High Molecular Weight) e subunità LMW (Low Molecular Weight). Entrambe le subunità sono presenti nella farina come eteropolimeri costituiti da subunità legate tra loro da ponti disolfuro. Le subunità HMW (peso molecolare di 80–120 kDa) costituiscono circa il 10% delle proteine di riserva e si presentano come 3–5 molecole diverse in ciascuna varietà. Le subunità LMW fanno parte evolutivamente della superfamiglia delle gliadine e sono distinte in tre gruppi: il gruppo B comprende subunità basiche di 35–50 kDa, il gruppo D è costituito da subunità acide di circa 60 kDa, mentre il gruppo C contiene subunità di minor

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peso molecolare (circa 30 kDa). In una singola varietà si possono contare oltre 40 diverse subunità LMW.

Sono circa venti i loci che codificano per le prolamine attualmente noti. L’a-nalisi genetica e citogenetica ha dimostrato che i geni che controllano la sintesi delle subunità gluteniniche HMW sono localizzati sui cromosomi 1A, 1B e 1D (Payne, 1987). I loci gluteninici vengono chiamati Glu-A1 (cromosoma 1A), Glu-B1 (1B) e Glu-D1 (1D); ogni locus contiene due geni chiamati x e y (Harberd et al., 1986) che codificano per una subunità ciascuno. Tuttavia il gene y del locus Glu-1A in grano tenero e grano duro è sempre inattivo e alcuni genotipi non presentano l’espressione del gene x del locus Glu-A1 e del gene y del locus Glu-B1. Pertanto nelle varietà di grano tenero, due delle 3-5 subunità gluteniniche HMW sono controllate dal cromosoma 1D, una o due dal cromosoma 1B e una o nessuna dal cromosoma 1A. Successivamente sono stati identificati molti alleli in grano tenero, grano duro, farro e grano monococco.

Nell’analisi elettroforetica SDS-PAGE (Sodium Dodecyl Sulphate - PolyA-crylamide Gel Electrophoresis), che permette la separazione di estratti proteici in base al loro peso molecolare, i frumenti duri (tetraploidi) si differenziano dai teneri (esaploidi) perché non esprimono le subunità codificate dal locus Glu-D1, inoltre, mostrano una ridotta variabilità a livello degli altri loci. Ad esempio, nella quasi totalità del germoplasma italiano di frumento duro il locus Glu-A1 non codifica per alcuna banda mentre per il locus Glu-B1 si riscontrano solamente 3 o 4 alleli differenti.

I loci che codificano per le w-gliadine e le g-gliadine (loci Gli-1, Gli-3, Gli-4, Gli-5 e Gli-6) e per le subunità LMW (loci Glu-2 e Glu-3) si trovano nei bracci corti dei cromosomi 1A, 1B e 1D, mentre i loci che controllano la sintesi delle a/b-gliadine stanno nei bracci corti dei cromosomi 6A, 6B e 6D. Questi loci pro-laminici contengono da 10 a 100 geni o pseudogeni appartenenti a estese famiglie geniche di cui la più grande, quella delle a/b- gliadine, comprende fino a 150 geni.

Le prolamine sono parzialmente resistenti alla degradazione indotta dalle proteasi gastriche, pancreatiche e intestinali (prodotte a livello dell’orletto a spazzola delle cellule dell’intestino tenue) e pertanto rilasciano peptidi di grosse dimensioni (2–5 KDa) nel lume intestinale (Kumar et al., 1984). Questi peptidi possono oltrepassare la membrana epiteliale dell’intestino, in occasione ad esempio di infezioni o di una condizione di alterata permeabilità intestinale ed interagire con le cellule che presentano l’antigene (APC) nella lamina propria intestinale (Shan et al., 2002). Tra questi peptidi resistenti alla digestione ricordiamo il P31-43 e il peptide 33 mer.

Nei pazienti celiaci, caratterizzati da una alterata permeabilità intestinale costitutiva, alcuni peptidi gliadinici o gluteninici promuovono una reazione infiammatoria mediata dal sistema immunitario innato (attività citotossica) e da quello adattativo (attività immunogenica).

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L’attività citotossica si manifesta a livello di epitelio intestinale e coinvolge il sistema immunitario innato: i peptidi prolaminici citotossici sono riconosciuti da particolari recettori denominati PRR (Pattern-Recognition Receptors) portati sulla superficie cellulare degli enterociti e delle cellule fagocitarie (macrofagi e monociti) presenti nella lamina propria, i quali rilasciano Interleuchina 15 (IL-15), una citochina che svolge un ruolo chiave sia nella risposta immunitaria innata che in quella acquisita. Inoltre, IL-15 induce sulla membrana degli enterociti l’espressione di recettori denominati Fas (o CD95) che appartengono alla famiglia dei recettori del TNF (Tumor Necrosis Factor). Questi recettori interagiscono con un ligando (FasL) prodotto dalle cellule mononucleate della lamina propria (macrofagi, monociti) e inducono l’apoptosi degli enterociti (danno tissutale). Gli effetti dei peptidi prolaminici sull’integrità strutturale della cellula epiteliale enterocitaria ricordano inequivocabilmente quelli, ben più noti, scatenati dai fattori di crescita. Infatti, il tempo di induzione degli effetti è molto breve (circa 10-15 minuti) e il risultato finale delle modificazioni del citoscheletro di actina, ovvero la comparsa delle tipiche increspature della membrana, è compatibile con gli effetti indotti dai fattori di crescita. Tra i principali fattori di crescita (PDGF, insulina, LPA) soltanto EGF (Epidermal Growth Factor) può determinare effetti simili a quelli provocati dalle prolamine, probabilmente grazie alla presenza di molti recettori di EGF (EGFR) in queste linee cellulari (Barone e Courtneidge, 1995). Una prova del diretto coinvolgimento del pathway dell’EGFR è rappre-sentata dalla capacità degli inibitori dell’EGFR di prevenire gli effetti provocati dai peptidi prolaminici.

In ogni caso, la morte apoptotica degli enterociti libera l’enzima TG-2 (o tTG, transglutaminasi tessutale) il quale agisce sugli epitopi prolaminici rendendoli particolarmente reattivi con l’antigene MHC (HLA-DQ2.5 o DQ8) portato dalle cellule che presentano l’antigene (APC, cioè macrofagi e cellule dendritiche) coinvolte nell’immunità adattativa. Inoltre, l’IL-15 attiva le cellule APC affinché leghino gli epitopi deamidati e li presentino alle cellule Th1 e Th2, innescan-do la risposta immunitaria acquisita. Il peptide 13-mer LGQQQPFPPQQPY localizzato in posizione 31-43 di una a-gliadina nota come A-gliadina (Kasar-da et al., 1984) è molto attivo nell’indurre lesioni della mucosa intestinale e apoptosi dell’enterocita (Maiuri et al., 2003). Questo peptide, o la sua variante PGQQQPFPPQQPY in cui il residuo L (leucina) in posizione 31 è sostituito da P (prolina), è presente in molte sequenze di a-gliadina attualmente note (Kasarda et al., 1984; Kasarda e D’Ovidio, 1999; Arentz-Hansen et al., 2000). Esso non mostra un’attività immunogenica sulle cellule T, ma possiede la ca-pacità delle prolamine di agglutinare le cellule indifferenziate K562, ostacola la guarigione dei pazienti con mucosa duodenale atrofica e attiva i meccanismi dell’immunità innata nella mucosa di pazienti celiaci a dieta senza glutine (De Ritis et al., 1988; Gianfrani et al., 2005).

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L’attività immunogenica si realizza nella lamina propria ed è mediata dal sistema immunitario: i peptidi prolaminici vengono deaminati dalla transglu-taminasi tessutale (tTG) e così modificati interagiscono con i recettori HLA-DQ2.5 (o HLA-DQ8) delle cellule APC. Infatti, l’affinità di legame aumenta dopo questa specifica e selettiva deamidazione che introduce una carica nega-tiva trasformando alcune glutammine in acido glutammico. La presentazione dell’antigene prolaminico al T-cell receptor (TCR) dei linfociti T CD4+ presenti nella lamina propria stimola una risposta infiammatoria di tipo Th1 e Th2. I linfociti Th1 sono i principali responsabili della risposta immune cellulo-mediata attraverso il rilascio di numerose citochine, tra cui interferone-gamma (IFN-γ), interleuchina 2 (IL-2) e Tumor Necrosis Factor (TNF)-β, con conseguente attivazione dei linfociti intra-epiteliali (IEL) T citotossici CD8+ (Sollid, 2002; Nilsenet al., 1998). Inoltre i linfociti Th1 rilasciano il TNF-α che determina la secrezione di metallo-proteinasi da parte dei fibroblasti intestinali con conse-guente dissoluzione del tessuto connettivo della lamina propria. D’altra parte, i linfociti Th2 indirizzano la risposta immunitaria in senso umorale secernendo le interleuchine IL-4, IL-5 e IL-10 le quali inducono la proliferazione dei linfociti B e la loro trasformazione in plasmacellule produttrici di immunoglobuline. Dunque, l’attivazione della cascata delle citochine porta da un lato al danno tissutale (fino all’iperplasia delle cripte ed all’atrofia dei villi) e dall’altro lato all’attivazione dei linfociti B con conseguente produzione anticorpale specifica (Mohamed et al., 2006).

Sono state identificate almeno 35 sequenze immunologicamente attive appar-tenenti alle a-gliadine, g-gliadine, w-gliadine o alle sub unità gluteniniche LMW.

Alcuni di questi epitopi, direttamente o dopo deamidazione da parte dell’en-zima transglutaminasi tessutale (tTG), sono immunodominanti cioè scatenano una forte e rapida attivazione dei linfociti T in quasi tutti i celiaci. Questi epitopi immunodominanti appartengono in gran parte alle a-gliadine, ma ve ne sono altri come QQPQQSFPEQQ derivati da una g-gliadina (Sjostrom et al., 1998) o dalle w-gliadine. Un peptide di 33 amminoacidi si forma per digestione fisiologica della a2-gliadina (Arentz-Hansen et al., 2000) presente in grano tenero sul genoma D. Questo peptide con sequenza LQLQPFPQPQLPYPQPQLPYPQPQLPYPQP QPF contiene tre epitopi immunodominanti, lunghi 11, 12 o 13 amminoacidi, noti come DQ2-a-I (LQPFPQPQLPY), DQ2-a-II (PQPQLPYPQPQL) e DQ2-a-III (QLPYPQPQLPYPQ) che reagiscono fortemente con i linfociti T intestinali di tutti i pazienti celiaci. Sembra dunque che la tossicità del grano riguardi non una ma numerose proteine, forse alcune decine. Ciò comporta che l’eliminazione di una o poche prolamine, cosa relativamente facile da realizzare, non è un valido approccio per sviluppare varietà di grano da destinare all’alimentazione dei celiaci. D’altra parte, è atteso che l’eliminazione di tutte le proteine tossiche abbia effetti molto negativi sulle proprietà tecnologiche delle farine, cioè sulla loro capacità

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di dare un buon pane o una buona pasta, in quanto queste proprietà dipendono in larga misura dalla prolamine del glutine.

Le sequenze amminoacidiche delle prolamine contengono molti residui di prolina e questo le rende particolarmente resistenti alla digestione da parte degli enzimi gastrici, pancreatici e dell’orletto a spazzola degli enterociti. Il risultato di questa parziale digestione sono peptidi di 8-33 amminoacidi alcuni dei quali sono tossici e immunogenici per la mucosa celiaca.

La spettrometria MALDI MS/MS ha identificato una trentina di peptidi nel materiale ottenuto dalla digestione di una a-gliadina di grano tenero con gli enzimi gastrici e pancreatici pepsina, tripsina, chimotripsina, elastasi e carbossi-peptidasi A (Mamone et al., 2007). Il numero di peptidi si riduce notevolmente se lo stesso materiale è ulteriormente digerito con gli enzimi estratti dall’orletto a spazzola delle cellule dell’epitelio intestinale. Tra i superstiti si riscontra un peptide di 25 amminoacidi (P31-55) che include nella sua sequenza il peptide P31-43 LGQQQPFPPQQPY. Questo stesso peptide e il 33-mer LQLQPFPQPQLPYPQPQLPYPQPQLPYPQPQPF, insieme ad altri non identificati, si ritrovano anche nel materiale ottenuto dalla digestione delle prolamine totali di grano tenero con gli stessi enzimi gastrici, pancreatici e intestinali (Mamone et al., 2007).

Alcuni particolari enzimi, chiamati propil-endopeptidasi, assenti tra le proteasi gastriche, pancreatiche ed intestinali dell’uomo ma prodotte da alcuni microrga-nismi, sono in grado di idrolizzare le proteine a livello dei residui di prolina in posizione non-terminale (Shan et al., 2002).

L’elevata reiterazione dei geni prolaminici e l’assenza di attività funzionale in queste proteine può dar ragione del loro estremo polimorfismo. Ad esempio in 360 varietà di grano tenero analizzate mediante elettroforesi sono stati iden-tificati in ciascun locus gliadinico da 18 a 24 alleli, molti dei quali derivano da mutazioni puntiformi o da delezione/duplicazione di brevi sequenze nucleotidi-che. Tuttavia la variabilità è molto più estesa, come dimostrato dalla continua scoperta di nuovi alleli in grano tenero, grano duro, farro, grano monococco e spelta. Ciò significa che la composizione del glutine varia da cultivar a cultivar, un fatto che dovrebbe essere tenuto in debito conto quando si conducono studi sulla celiachia utilizzando glutine.

Mescolando con una certa energia farina di grano ed acqua si ottiene un impa-sto che può essere trasformato in pane, biscotti, prodotti da forno oppure pasta e cous-cous. Le particolari proprietà viscoelastiche dell’impasto di grano sono dovute principalmente alle prolamine (gliadine e glutenine), che costituiscono il componente principale del glutine, massa proteica elastica che si ottiene mescolando la farina sotto un leggero flusso d’acqua che allontana l’amido e altre molecole solubili (alcune proteine, zuccheri, sali minerali ecc). Il glutine riveste un ruolo funzionale di primaria importanza nella panificazione e nella produzione della pasta poiché rappresenta il composto che conferisce elasticità e tenacità all’impasto (Figura 1).

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Fig. 1 - Formazione del glutine.

Le notevoli differenze di forza riscontrate nelle farine delle varietà di gra-no sono associate a differenze nelle dimensioni delle molecole gluteniniche e queste differenze dimensionali dipendono in primo luogo da differenze varietali nella composizione in subunità gluteniniche HMW e LMW. Le diverse subunità HMW hanno effetti contrastanti sulla qualità panificatoria misurata mediante test di sedimentazione in SDS. Più recentemente numerosi gruppi di ricerca hanno confermato l’associazione tra la presenza di certe subunità HMW e caratteristiche biochimiche e reologiche del glutine, utilizzando test qualitativi come l’alveo-grafo di Chopin, il mixografo, il farinografo ed il test di sedimentazione in SDS. Soffiando aria dentro l’impasto si ottiene una bolla di dimensioni variabili in funzione delle proprietà viscoelastiche del glutine (Figura 2).

Fig. 2 - Rigonfiamento dell’impasto ottenuto con l’alveografo di Chopin.

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La resistenza al rigonfiamento (P) e il diametro massimo della bolla (L) sti-mano rispettivamente la tenacità (elasticità) e l’estensibilità dell’impasto. Questi due parametri si misurano su un grafico detto “Alveogramma”. L’area dell’al-veogramma misura l’energia (W) spesa per gonfiare la bolla e viene definita “forza” del glutine. Il passaggio alla panificazione e pastificazione industriale da quella artigianale ha portato alla costituzione di nuove varietà di frumento con indici di W sempre più elevati. Le varietà di grano tenero prodotte da Strampelli nel primo trentennio del ‘900 avevano un valore medio di W che risulta essere meno della metà di quello delle varietà attualmente coltivate. Anche l’indice di glutine, parametro che misura la qualità del glutine in una scala da 0 (scadente) a 100 (ottimo), è molto più basso nelle varietà rilasciate da Strampelli rispetto a quelle di recente costituzione. Infatti, l’incremento del W negli ultimi decenni è stato ottenuto selezionando nuove varietà contenenti proteine particolarmente elastiche, quindi con un P elevato.

Sono state ottenute prove sperimentali di una certa variabilità nel livello di citotossicità immediata e immunogenicità adattativa tra le diverse specie di grano o tra le varietà della stessa specie. In particolare, è stato dimostrato (van den Bro-eck et al., 2010) che le varietà più recenti di grano tenero sono particolarmente ricche di sequenze fortemente immunogeniche rispetto alle varietà coltivate nella prima metà dello scorso secolo, comprese le varietà di Strampelli.

A partire dal 2011 è stato ufficialmente riconosciuto un nuovo disturbo ali-mentare associato all’ingestione di grano. Si tratta della sensibilità al glutine non celiaca (Non Celiac Gluten Sensitivity, NCGS), che può essere definita come una condizione di intolleranza non celiaca e non allergica, nella quale il consumo di grano è associato a sintomi simili a quelli osservati nella malattia celiaca. La NCGS non sembra arrecare alterazioni alla permeabilità intestinale e atrofia dei villi intestinali. Essa si presenta con una varietà di sintomi che includono gonfiore, dolori addominali ed una serie di sintomi extra-intestinali come mal di testa, mente annebbiata (foggy mind), debolezza e stanchezza, disturbi articolari e muscolari, iperattività, schizofrenia, sintomi comunque non correlati solitamente con alterazioni sierologiche. Il malessere solitamente si manifesta subito dopo l’assunzione di alimenti a base di grano, quindi con effetto quasi immediato, ed una dieta priva di glutine porta ad una scomparsa dei sintomi (Catassi et al., 2013; Gasbarrini et al., 2014; Grazyna, 2014). Carroccio et al. 2012 ritengono che la causa da sindrome da colon irritabile del 30% dei pazienti è da attribuire alla NCGS. Anche se la patologia resta ancora da definire e caratterizzare, essa appare legata principalmente all’immunità innata, e non dipendere dalla presenza di immunoglobuline specifiche verso le prolamine.

Come accennato precedentemente, la NCGS non è correlata a precise e spe-cifiche indicazioni sierologiche. In un recente lavoro (Sapone et al., 2011) su pazienti che lamentavano i sintomi della NCGS, è stato visto che il 48% dei

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pazienti stessi risultava positivo all’anticorpo anti-gliadina (AGA), ed il 57% era positivo per HLA-DQ2 o HLA-DQ8. Il 56% dei pazienti AGA-positivi risultava positivo anche a HLA-DQ2 o HLA-DQ8, mentre il restante 44% era negativo, suggerendo che la produzione di anticorpi anti-gliadina AGA non è associato alla presenza di molecole HLA-DQ2 o HLA-DQ8; nello stesso lavoro è stata studiata l’attività immunitaria innata e adattiva, dimostrando che solo nei pazienti celiaci ci sono maggiori livelli di IL-6 e IL-21 (marcatori per il sistema immunitario adattativo), mentre nei pazienti NCGS l’espressione del gene TLR-2 è maggiore rispetto ai celiaci, suggerendo il coinvolgimento del sistema immunitario innato nella NCGS.

A differenza della mucosa duodenale di pazienti celiaci, la mucosa di pazienti con NCGS incubata con gliadine, non esprime i marcatori di infiammazione, e i basofili non sono attivati (Bucci et al., 2013).

La sensibilità al glutine è molto più frequente ed interessa il 6-10% della popolazione, vale a dire 3,5-6 milioni di persone nel nostro Paese. L’ipotesi di una possibile relazione tra intolleranza al glutine e varietà di grano sembra confermata da due osservazioni. Della prima abbiamo già accennato preceden-temente (studio di Van Den Broeck e colleghi) ma bisogna anche precisare che molti pazienti con GS si rivolgono al gastroenterologo avendo già individuato la causa del loro malessere ed avendo già introdotto nella loro dieta, con un certo successo, cereali a basso indice di glutine come il farro (Triticum turgidum ssp dicoccum), il grano khorasan (T. turgidum ssp turanicum, cui appartiene il ben noto “Kamut”), la segale, e più recentemente il grano monococco (T. monococcum). Quest’ultimo cereale, caratterizzato da un glutine molto debo-le, è incapace, almeno in alcuni casi, di scatenare le reazioni immunitarie più precoci della celiachia. Inoltre, diversamente dal glutine di grano tenero, quello di grano monococco può essere completamente demolito dai nostri enzimi di-gestivi, come recentemente dimostrato da Mamone e colleghi. Come già detto, infatti, alla base della celiachia e della sensibilità al glutine c’è l’incapacità di digerire completamente il glutine perché il nostro bagaglio di enzimi digestivi non è attrezzato per demolire una molecola così grande e complessa, soprattutto quando il glutine è particolarmente “forte”. Come risultato, i frammenti indigeriti di glutine scatenano nell’intestino dei celiaci e dei pazienti con GS il quadro sintomatologico succitato.

Triticum monococcum è una specie di ‘antica’ coltivazione che ha avuto un ruolo fondamentale nell’alimentazione umana (Figura 3). È una specie tollerante a stress ambientali capace di dare una produzione economicamente valida in condizioni di modesta fertilità del terreno. L’antichità della coltivazione ed il legame con le tradizioni ne hanno fatto una coltura tipica di determinate aree geografiche. La rusticità, l’alto contenuto proteico e l’abbondanza di sostanze biologicamente attive come tocoli, carotenoidi e fibre alimentari nella cariosside,

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il gradevole e “diverso” sapore dei prodotti a base di grano monococco sono i caratteri unici di questa specie, sufficienti per giustificarne la reintroduzione in coltivazione (Gazza et al., 2014). D’altra parte, la ridotta produttività (20-25 q/ha), l’aderenza delle glume alle cariossidi e l’elevata sofficità delle cariossidi stesse sono i principali difetti di questa specie, alla cui correzione è dedicata l’attività di miglioramento genetico.

D’altra parte, è stato osservato che le prolamine di alcuni genotipi di grano monococco, come ad esempio la varietà Monlis, si comportano come le prolamine di frumento tenero nella loro capacità di agglutinare le cellule K562(S). Questi rari genotipi di monococco (<2%) differiscono tra loro per la composizione gliadinica e gluteninica ma presentano la stessa caratteristica di non sintetizzare w-gliadine. Alla luce di questi risultati si può ipotizzare che i peptidi prolaminici di grano monococco con attività antagonista o “protettiva” possano appartenere alla famiglia delle ω-gliadine, della quale fanno parte sia il 10-mer QQPQDAVQPF presente nel grano duro Adamello e in alcune varietà di grano tenero contenenti la traslocazione cromosomica 1BL/1RS (Pogna et al., 2008), sia la sequenza QQPQRPQQPF appartenente alle ω-secaline (De Vita et al., 2011).

Fig. 3 - Triticum monococcum cv Hammurabi.

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A sostegno dell’ipotesi di un possibile ruolo antagonista (protettivo) esercitato dalle ω-gliadine di grano monococco, una recente ricerca ha fornito l’evidenza sperimentale che due distinte accessioni di monococco, diverse tra loro per la presenza/assenza di ω-gliadine, mostrano un comportamento opposto nell’atti-vazione della risposta immunitaria innata. In particolare, la varietà Monlis, priva di ω-gliadine, è risultata in grado di stimolare la produzione di interleuchina 15 (IL-15) nelle cellule epiteliali dei villi e delle cripte e nella lamina propria della mucosa intestinale di pazienti celiaci in remissione, mentre il genotipo ID331, che possiede la ω-gliadina ω-331 a basso peso molecolare, non manifesta questa capacità (Gianfrani et al., 2012). Inoltre le prolamine di Monlis, come quelle di grano tenero, promuovono la proliferazione delle cellule epiteliali delle cripte nella mucosa intestinale dei pazienti celiaci, mentre quelle di ID331 non modificano l’attività mitotica di queste cellule. Pertanto meritano di essere approfondite le basi genetiche e biochimiche del comportamento contrastante delle prolamine di Monlis e ID331.

Altre proteine tossiche o allergeniche

Nella granella di frumento tenero e fumento duro si accumulano proteine a basso peso molecolare in grado di contrastare l’azione delle alfa-amilasi degli insetti fitofagi, enzimi in grado di digerire l’amido fino a zuccheri semplici. Si tratta di proteine che nel grano esplicano un’azione di difesa verso l’aggressio-ne da parte di diverse specie di insetti, ma che nell’uomo esercitano un’azione tossica o allergenica quando sono ingerite o inalate. Gli inibitori delle α-amilasi contengono da 120 a 143 amino acidi, per un peso molecolare complessivo di 13-15 kDa, e costituiscono il 4% circa delle proteine totali, ovvero 0,4-0,6 % del peso secco della cariosside di grano, rappresentando una forma di proteine di riserva per le fasi iniziali di crescita della plantula. Sono caratterizzati da un alto contenuto in cisteina (7-8%) ed altri amino acidi essenziali come lisina e treonina, compensando in parte la carenza di amminoacidi essenziali tipica del glutine del quale entrano a far parte insieme con le prolamine (gliadine e sub unità gluteniniche). Gli inibitori delle α-amilasi sono raggruppati in tre famiglie note come WMAI (Wheat Monomeric Amylase Inhibitors), WDAI (Wheat Dimeric Amylase Inhibitors) e WTAI (Wheat Tetrameric Amylase Inhibitors).

Alla famiglia WMAI appartengono due proteine monomeriche note anche come “proteine 0,28”. Sono codificate da geni presenti nel braccio corto del cromosoma 6D (proteina WMAI-1) o 6B (proteina WMAI-2) e sono state riconosciute come i principali allergeni convolti nell’asma dei panettieri, una forma allergica causata dall’inalazione della farina di grano.

Alla famiglia WDAI appartengono tre proteine che si presentano come dimeri costituiti da due subunità identiche (omodimeri). In particolare, WDAI-1 (nota

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anche come proteina 0,53) e WDAI-3 sono codificate da geni presenti nel braccio corto del cromosoma 3B, mentre la proteina WDAI-2 (o proteina 0,19) è codificata dal braccio corto del cromosoma 3D. Infine alla famiglia WTAI appartengono sei diverse proteine note come “CM proteins” perché solubili in una miscela di parti uguali di cloroformio (C) e metanolo (M). In dettaglio, le proteine CM1 e CM2 sono codificate rispettivamente da geni presenti nei bracci corti dei cromosomi 7D e 7B, le proteine CM3B e CM16 da geni nel braccio corto dei cromosomi 4B e le proteine CM3D e CM17 da geni nel braccio corto del cromosoma 4D. Questi inibitori tetramerici si presentano come aggregazione di una copia di CM1 (o CM2), una copia di CM16 (o CM17), una copia di CM3B e una copia di CM3D. L’attività inibitoria delle WDAI e WTAI verso le amilasi degli insetti dipende dalla combinazione delle subunità. Orbene, è stato osservato che gli ini-bitori dimerici e tetramerici di grano agiscono come potenti attivatori del nostro sistema immunitario innato. Una volta ingeriti come componenti del glutine, gli inibitori WDAI e WTAI resistono all’azione degli enzimi digestivi (proteasi dello stomaco e dell’intestino) e una volta superata la barriera dell’epitelio intestinale possono stimolare le cellule del nostro sistema immunitario innato (monociti, cellule dendritiche e macrofagi) a produrre molecole infiammatorie come le in-terleuchine IL-8 e IL-12 e il TNF (Tumor Necrosis Factor), innescando reazioni immunitarie in pazienti affetti da celiachia, sensibilità al glutine, sindrome del colon irritabile od altri disordini non intestinali.

In aggiunta, WDAI-2 (proteina 0,19) e una forma glicosilata della CM16 agiscono anche come potenti allergeni nell’asma dei panettieri.

Come osservato precedentemente, la sperimentazione ex vivo condotta su espianti di mucosa intestinale ha dimostrato che la varietà di grano monococco ID331 non è in grado di attivare il sistema immunitario innato di pazienti celiaci (Gianfrani et al., 2012, 2015). Questa incapacità sembra associata alla presen-za di un peptide (P 105-123) resistente alla digestione enzimatica, derivato da una ω-gliadina (Iacomino et al., 2016). Questo peptide è in grado di esercitare un’azione protettiva dell’epitelio intestinale verso l’azione tossica/immunogeni-ca delle prolamine di grano tenero. A questa ridotta o nulla tossicità del grano monococco potrebbe contribuire anche l’assenza di inibitori alfa-amilasici nelle farine di questo cereale. Infatti, la sintesi delle proteine WMAI, WDAI e WTAI è sotto controllo genetico di cromosomi appartenenti ai genomi B e D presenti in grano tenero e grano duro (limitatamente al genoma B) ma assenti nel grano diploide Triticum monococcum con genoma A.

Ringraziamenti

Si ringrazia la Dott.ssa Laura Gazza (CREA-QCE) per il fondamentale con-tributo nella preparazione di questo documento.

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Il Dott. Norberto Pogna è improvvisamente scomparso il 22 giugno 2016. Ex direttore dello storico Istituto sperimentale per la cerealicoltura, nella sua prestigiosa carriera ha dato un contributo fondamentale alla ricerca sulle pro-teine di riserva nel grano studiandone soprattutto le implicazioni tecnologiche e il loro ruolo nelle intolleranze alimentari. Ricercatore e breeder appassionato, ha affrontato temi pioneristici come quello dei grani perenni, a cui stava ulti-mamente lavorando.

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Marco Silano (*)

ASPETTI NUTRIZIONALI DELLA DIETA SENZA GLUTINE

La malattia celiaca (MC) è una infiammazione cronica dell’intestino tenue, scatenata dall’ingestione di glutine, che insorge in soggetti geneticamente predi-sposti (www.celiachia.it; Sapone et al., 2012). La prolamina è una delle frazioni proteiche che costituiscono il glutine ed è la responsabile dell’infiammazione celiaca. La prolamina del frumento è la “gliadina”; la secalina nella segale e l’ordeina nell’orzo, sono proteine simili, con lo stesso effetto sul celiaco.

Nei soggetti celiaci, l’introduzione di alimenti contenenti glutine induce in-fiammazione della mucosa dell’intestino tenue, in particolare l’atrofia dei villi intestinali, con conseguente malassorbimento. La MC può insorgere a qualsiasi età ed è caratterizzata da un quadro variabilissimo, che va dai sintomi gastroin-testinali, come la diarrea, a sintomi extra-intestinali, quali l’anemia sideropeni-ca, all’associazione con altre malattie autoimmuni, quali il diabete di tipo 1 e la tiroidite (Gazz Uff n. 191, 2015). In Italia, la prevalenza della MC si aggira intorno all’1% della popolazione (Celiachia Relazione annuale al Parlamento anno 2014, 2015).

Ad oggi l’unica terapia conosciuta per la cura della celiachia è la dieta senza glutine (DSG), che permette una completa scomparsa dei sintomi e delle alterazioni a livello intestinale, da seguire con rigore e per tutta la vita. La ripresa della dieta libera, anche dopo diversi anni di trattamento, o semplicemente l’introduzione di glutine in piccole quantità, provoca nuovamente la comparsa delle lesioni a livello intestinale e dei sintomi.

In mancanza di terapie alternative, dunque, è essenziale attenersi scrupolosa-mente alla DSG, che oltre a comprendere alimenti naturalmente senza glutine o appartenenti a categorie non a rischio per i celiaci e alimenti del libero commercio garantiti “senza glutine”, include anche i prodotti sostitutivi senza glutine spe-

(*) Direttore Reparto Alimentazione, Nutrizione e Salute, Istituto Superiore di Sanità, Roma.

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cificamente formulati per celiaci, che si presentano come alternative ai prodotti da forno tradizionali (Pellegrini et al., 2015).

Ad oggi sono stati condotti molti studi in diversi paesi sull’adeguatezza nu-trizionale della dieta senza glutine presentando risultati contrastanti. Un aspetto frequentemente indagato riguarda la possibilità che la DSG, comportando l’eli-minazione del glutine, possa portare a deficit o squilibri nutrizionali (Penagini et al., 2013). Alcuni studi hanno osservato differenze nel contenuto calorico, di macronutrienti, soprattutto acidi grassi saturi, fibre, nei prodotti SG, rispetto gli equivalenti CG (Miranda et al., 2014). I prodotti SG, specialmente pane e pasta, hanno un minor contenuto di proteine (Wu et al., 2015), un contenuto di grassi maggiore (Ferrara et al., 2009; Bardella et al., 2000), e inoltre, apportano meno fibra (Kinsey et al., 2008; Wild et al., 2010). Relativamente ai micronutrienti, si sono osservate possibili carenze ad esempio di ferro, folati, niacina, vitamina B12, calcio, zinco e selenio (Dall’Asta et al., 2012; Hallert et al., 2002). Le carenze di vitamine e minerali quali vitamina A, B6, B12, acido folico, zinco, ferro, magnesio sono presenti soprattutto alla diagnosi (Wierdsma et al., 2013), così come quella relativa al calcio (Zanchi et al., 2008), ma tendono a norma-lizzarsi con una corretta DSG nella maggior parte dei pazienti. Talvolta, alcuni deficit, soprattutto di folati e vit. B12 possono comunque persistere nonostante la DSG e richiedere una supplementazione (Caruso et al., 2013). È comunque da sottolineare che anche la popolazione generale, a dieta libera, presenta apporti di queste vitamine decisamente inferiori alle raccomandazioni.

Confrontando le abitudini alimentari di bambini celiaci con quelle dei controlli non celiaci a dieta tradizionale, il trend sembrerebbe lo stesso: più proteine, più zuccheri e più grassi (Zuccotti et al., 2013) oltre che più grassi saturi, meno fibra, meno vitamina D e magnesio rispetto alle raccomandazioni (Ohlund et al., 2010; Mazzeo et al., 2015).

In conclusione, la DSG è un regime dietetico obbligato per i soggetti affetti da celiachia. Grazie alla sempre maggior attenzione nella formulazione dei prodotti alimentari senza glutine e al ricorso agli alimenti naturalmente senza glutine (soprattutto frutta e verdura), la DSG non presenta attualmente degli squilibri nutrizionali importanti, purché si seguano una dieta sana ed equilibrata e corretti stili di vita (Scazzina et al., 2014; Segura et al., 2011). I soggetti celiaci, tra l’altro, presentano una minor incidenza di sindrome metabolica e diabete mellito di II tipo rispetto alla popolazione generale (Kabbani et al., 2013).

Ringraziamenti

Si ringraziano le Dott.sse Miriam Cornicelli e Susanna Neuhold (Associazio-ne Italiana Celiachia, AIC) per il fondamentale contributo nella preparazione di questo documento.

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Carmen Lamacchia (*)

TECNOLOGIA GLUTEN-FRIENDLY™: EFFETTO SULLA STRUTTURA

DELLE PROTEINE DEL GLUTINE NEI SEMI MEDIANTE MICROSCOPIA

OTTICA ED ELETTRONICA

Riassunto

Nel presente studio viene mostrato l’effetto della tecnologia Gluten FriendlyTM

(GF) sulla morfologia dell’endosperma dei semi di grano e sulla struttura delle proteine del glutine utilizzando la microscopia ottica, ad immunofluorescenza, e SEM. Le tecniche di microscopia sono state combinate con le tecniche di immu-nolocalizzazione con anticorpi specifici che riconoscono le gliadine, le LMW e gli epitopi antigenici al fine di acquisire una migliore comprensione della tecnologia a livello molecolare. Il presente lavoro è tratto da Landriscina et al. (2017).

Introduzione

La tecnologia Gluten FriendlyTM (GF) è un metodo innovativo di detossifi-cazione delle proteine del glutine dalla granella di cereali (Brevetto Italiano n°: 0001414717, Patent Cooperation Treaty, application no. PCT/IB2013/000797) (Lamacchia et al., 2015a; Lamacchia et al., 2013), messo a punto con lo scopo di combinare le proprietà nutrizionali e tecnologiche, uniche delle proteine del grano con la sicurezza per i pazienti celiaci. L’innovazione, semplificando, consiste nell’applicazione di energia con le microonde per pochi secondi sulle cariossidi di grano idratate, prima della molitura, per raggiungere alte temperature in breve tempo, tali da indurre modifiche della struttura secondaria e terziaria delle proteine del glutine (Lamacchia et al., 2016). Le modifiche strutturali indotte da questa tecnologia sulle proteine del glutine aboliscono del tutto la capacità antigenica del glutine (Lamacchia et al., 2016) e riducono, significativamente e in vitro, l’immu-

(*) Ricercatrice Dipartimento di Scienze Agrarie, degli Alimenti e dell’Ambiente, Università di Foggia.

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nogenicità degli epitopi più comuni coinvolti nella celiachia (Lamacchia et al., 2015b), senza però compromettere sia le proprietà nutrizionali che tecnologiche necessarie a trasformare la semola in pasta e la farina in pane e prodotti da forno (Lamacchia et al., 2016). Inoltre è stato dimostrato che il pane GF è in grado di correggere e modificare positivamente la composizione quali-quantitativa del microbiota dei soggetti celiaci in un sistema modello (Bevilacqua et al. 2016a). Tuttavia, non ci sono dati disponibili sui cambiamenti che si verificano nei semi di frumento dopo l’applicazione della tecnologia Gluten FriendlyTM.

In questo lavoro, sono mostrati gli effetti della tecnologia GF sulla morfolo-gia dell’endosperma di grano e sulla struttura delle proteine del glutine nei semi mediante microscopia ottica, ad immunofluorescenza e SEM. Le tecniche di microscopia sono state combinate con le tecniche di immunolocalizzazione con anticorpi specifici che riconoscono le gliadine, le LMW e gli epitopi antigenici al fine di acquisire una migliore comprensione della tecnologia a livello molecolare e il meccanismo attraverso cui essa abolisce la capacità antigenica del glutine.

Effetto della tecnologia Gluten-Friendly™ sulla morfologia dell’endosperma del seme di grano

La struttura dell’endosperma di frumento è stata analizzata mediante SEM (Scanning Electron Microscopy) prima e dopo trattamento con la tecnologia GF. Un numero significativo di campioni CG (Control Grains) e GFG (Gluten-Friendly Grains) sono stati tagliati trasversalmente in due parti, preparati con la tecnica freeze-fracturing, e analizzati mediante SEM ad un voltaggio di circa 20.0kV (Landriscina et al., 2017). I campioni GFG hanno mostrato differenze significative in termini di matrice proteica rispetto ai campioni GC. Infatti, in figura 1 si può osservare la presenza di una matrice proteica, all’interno delle cellule dell’endosperma dei campioni GFG, più densa e confluente rispetto ai campioni CG.

Effetto della tecnologia Gluten-Friendly™ sulla struttura delle proteine del glutine

Gli effetti della tecnologia GF sulla struttura delle proteine del glutine è stata valutata mediante esperimenti di immunofluorescenza ed SEM-immunogold con due anticorpi monoclonali, specifici per sequenze ripetute e comuni a differenti frazioni di gliadina e di LMW. In particolare, è stato utilizzato l’anticorpo monoclonale IFRN 0610, che riconosce epitopi QQSF, QQSY, comuni a molte gliadine e LMW-GS, ma non HMW-GS, e l’anticorpo monoclonale di topo γ-gliadina, che riconosce il dominio ripetitivo presente nella frazione della γ -gliadina, PEQPFPQGC.

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Fig. 1 - Campioni di Control Grain (CG) (a) e Gluten Friendly Grain (GFG) tagliati tra-sversalmente, trattati secondo la tecnica del freeze-fracturing e analizzati mediante SEM. In particolare, (a) cellule del subaleurone di CG ricche di matrice proteica (1500x); (b), cellule del subaleurone di GFG completamente avvolte da una matrice proteica densa e confluente (Immagini tratte da Landriscina et al., 2017).

Il protocollo utilizzato è descritto in dettaglio nel lavoro di Landriscina et al. (2017). La figura 2 mostra i risultati degli esperimenti di immunofluorescen-za. Nei campioni GFG, si osserva una diminuzione significativa dell’intensità del segnale dopo marcatura con l’anticorpo 0610 e l’anticorpo specifico per la γ-gliadina rispetto ai campioni CG, in accordo con i risultati della SEM-immunogold (dati non mostrati). La marcatura con anticorpi è stata misurata quantificando il segnale luminoso e correlandolo ad una scala di grigi, attraver-so il software ImageJ. I risultati espressi come MGVS (valori medi di grigio) mostrano una riduzione della fluorescenza del 91.71% (p <0,001) nei confron-ti dell’anticorpo 0610 e del 90.61% (p <0.001) nei confronti dell’anticorpo γ-gliadina nei campioni GFG rispetto ai campioni controllo CG (Landriscina et al., 2017). Questi risultati confermano che la tecnologia GF induce cambiamenti significativi nella proteine del glutine, riducendo così la cross-reactivity con anticorpi che riconoscono quasi tutta la gamma di proteine del glutine attra-verso le sequenze QQSF, QQSY, PEQPFPQGC. L’ingrandimento di parte delle micrografie (Figura 3) ha evidenziato un’altra caratteristica interessante, vale a dire una fusione significativa dei corpi proteici nei campioni CG e GFG. Ciò nonostante è stato possibile distinguere ancora i corpi proteici ed evidenziare differenze nel livello di fusione dei corpi dei campioni GFG rispetto ai cam-pioni CG. Nei campioni GFG, i corpi proteici erano completamente fusi nella matrice proteica, che appariva molto più omogenea e confluente, mostrando un maggiore livello di aggregazione rispetto ai campioni CG (Landriscina et al., 2017).

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Fig. 2 - Micrografie di sezioni di campioni Control Grain (CG) e Gluten Friendly Grain (GFG) marcate con anticorpi monoclonali 0610 e γ-gliadina in esperimenti di immuno-fluorescenza. (1) Subaleurone di CG marcato con anticorpo IFRN 0610; (2) subaleurone di GFG marcato con anticorpo IFRN 0610; (3) subaleurone di CG marcato con anticorpo γ-gliadina; (4) subaleurone di GFG marcato con anticorpo γ-gliadina; (5) endosperma amidaceo di CG marcato con IFRN 0610; (6) endosperma amidaceo di GFG marcato con anticorpo IFRN 0610 (Immagini tratte da Landriscina et al., 2017).

Questi risultati suggerirebbero che l’aggregazione e quindi la copertura degli epitopi potrebbe essere la causa primaria della ridotta reattività delle proteine nei confronti degli anticorpi che le riconoscono, piuttosto che un cambiamento nella struttura secondaria e/o terziaria come suggerito da Lamacchia et al. (2016). In ogni caso, questi risultati sono in accordo con le analisi eseguite con la SEM

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Fig. 3 - Ingrandimento di parte delle micrografie di sezioni sottili di campioni Control Grain (CG) e Gluten-Friendly Grain (GFG) marcate con anticorpi 0610 e γ-gliadina monoclonal antibody in esperimenti di immunofluorescenza. (1,2) Corpi proteici di tipo 1 (PB-type1) da campioni GC; (3,4) Corpi proteici di tipo 2 (PB- type2) da campioni GFG (Immagini tratte da Landriscina et al., 2017).

utilizzando tecniche di freeze-fracturing e con il fatto che le proteine del glutine sono suscettibili al trattamento termico e polimerizzano durante il riscaldamento. Il comportamento delle proteine del glutine sottoposte ad elevate temperature è stato studiato da numerosi ricercatori che hanno evidenziato come durante il trattamento termico, solitamente, le gliadine monomeriche vengano incorporate mediante legami covalenti nel network glutinico (Singh & MacRitchie 2004; Redl et al.,1999). Ciò nonostante, Lamacchia et al. (2010) mostrarono per la prima volta, che l’applicazione di elevate temperature alla granella di frumento prima della fase di molitura generava una polimerizzazione delle proteine in cui le gliadine non formano legami crociati con le glutenine. L’ipotesi, per spiegare tale fenomeno è, che nel seme di grano, il glutine non è ancora formato e le proteine del glutine sono depositate in differenti corpi proteici nella loro forma nativa. Lamacchia et al., (2016) ha confermato questi risultati, mostrando che l’applicazione di alte temperature, generate dalle microonde, per breve tempo, sulla granella idratata di frumento, prima della molitura, induce una polimerizza-

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zione tra proteine della stessa classe (i.e. gliadina-gliadina, glutenina-glutenina, albumina-albumina) e solo attraverso legami covalenti di tipo disolfuro (evi-denziato dai grafici SE-HPLC e dalle analisi elettroforetiche in SDS). Tuttavia, questo non sembra essere in accordo con i risultati della microscopia SEM ed ad immunofluorescenza in cui le immagini mostrano una forte aggregazione tra tutte le proteine dell’endosperma di frumento. Una spiegazione a tutto questo potrebbe essere che la forte aggregazione tra le diverse classi di proteine dell’en-dosperma di grano, sia dovuta ad interazioni ioniche e/o idrofobiche, causate da un riarrangiamento della struttura secondaria e/o terziaria delle molecole proteiche del glutine durante l’applicazione della tecnologia “Gluten Friendly™”. Tale aggregazione non era visibile attraverso SE-HPLC e SDS-PAGE (Lamacchia et al., 2016) a causa delle proprietà denaturanti del sodio dodecil solfato utilizzato nei tamponi di estrazione.

Effetto della tecnologia Gluten-Friendly™ sulla capacità antigenica delle proteine del glutine

La breve sequenza di amminoacidi che si lega con l’anticorpo per suscitare una reazione immunitaria è chiamato epitopo antigenico. Gli epitopi antigenici più comuni delle proteine del glutine sono gli HLA DQ2 (antigene leucocitario umano), caratterizzati da residui ripetuti di prolina (Pro) e glutammina (Gln). L’effetto della tecnologia GF sull’ antigenicità delle proteine del glutine è stata valutata mediante microscopia ottica (in accordo a quanto descritto da Landri-scina et al., 2017), utilizzando l’anticorpo monoclonale R5 che riconosce sia il pentapeptide, glutammina-glutammina-prolina-fenilalanina-prolina (QQPFP), molto ripetuto nelle sequenze delle proteine del glutine e potenzialmente tossi-co, e gli epitopi LQPFP, QLPYP e PQPFP presenti nella sequenza del potente stimolatore gliadinico 33-mer (residui 57-89) (LQLQPFPQPQLPYPQPQLPYPQPQLPYPQPQPFP). I risultati (mostrati nel lavoro di Landriscina et al., 2017) rivelano un decremento significativo del segnale emesso dai campioni GFG, rispetto ai campioni CG di circa l’89.19% (p <0.001). L’intensità del colore è stata misurata attraverso il software ImageJ e i dati riportati sono stati espressi come valori medi di grigio come descritto da Landriscina et al., (2017). La ridotta antigenicità delle proteine del glutine osservata nei campioni GFG con il saggio colorimetrico R5 è in accordo sia con gli esperimenti di SEM-immunogold che con quelli di immunofluorescenza ma anche e soprattutto con Lamacchia et al. (2016) che ha mostrato una riduzione drastica (99%) dei livelli di proteine rile-vabili, trattati con la tecnologia Gluten-Friendly™, testati per la loro capacità di legare l’anticorpo monoclonale R5 in un saggio ELISA. A differenza del saggio colorimetrico effettuato con microscopia ottica, il test R5 ELISA prevede, però, prima della reazione con l’anticorpo, una procedura di estrazione delle proteine

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del glutine, con sostanze denaturanti e riducenti, che consente agli aggregati di gliadine, generate dai trattamenti con il calore, di essere solubilizzati (Valdés et al.,2003). Su questa base, diventa sempre più plausibile l’ipotesi che sia un riarrangiamento della struttura secondaria e terziaria nelle proteine del glutine e quindi una diversa conformazione spaziale delle sequenze tossiche, indotta dalla tecnologia GF, a causare la riduzione significativa dell’antigenicità nei campioni GFG e non una copertura degli epitopi causata dalla significativa aggregazione proteica visibile negli esperimenti di microscopia. Questo è ben supportato dal fatto che la disponibilità di frammenti antigenici delle proteine del glutine dipende dalla struttura secondaria e terziaria della proteina nonché dai legami SS, che stabilizzano particolari conformazioni degli epitopi e che permettono il legame con l’anticorpo (Waga, 2004). Il riarrangiamento della struttura terziaria delle proteine e la diversa conformazione spaziale degli epitopi giustificherebbe anche i risultati ottenuti sul pane Gluten-Friendly™ in grado di correggere e modificare positivamente la composizione quali-quantitativa del microbiota dei soggetti celiaci in un sistema modello come mostrato da Bevilacqua et al. (2016).

Conclusioni

Il presente studio permette di acquisire una migliore comprensione della tec-nologia Gluten-Friendly ™ a livello molecolare e il meccanismo con cui essa abolisce la capacità antigenica del glutine. Le diverse tecniche di microscopia utilizzate in questo studio mostrano che la tecnologia GF induce sia una signi-ficativa aggregazione delle proteine dell’endosperma di grano, che profonde modifiche alla struttura delle proteine del glutine. La cross-reactivity delle pro-teine del glutine con anticorpi che riconoscono quasi tutta la gamma delle stesse e degli epitopi antigenici è significativamente ridotta. I dati raccolti in questo studio suggeriscono che i cambiamenti chimici e la ridotta cross-reactivity delle proteine del glutine con i loro anticorpi specifici sia causata da un riarrangiamento della struttura secondaria e terziaria, che comporta una conformazione spaziale diversa delle sequenze, anche delle cosiddette sequenze antigeniche. Questi cambiamenti permettono un nuovo tipo di aggregazione tra le diverse classi di proteine dell’endosperma di grano, che ha luogo principalmente attraverso inte-razioni idrofobiche e/o ioniche.

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Maria Rosaria Corbo (*)

IMPATTO DEL PANE GLUTEN-FRIENDLY™

SULLA MICROFLORA INTESTINALE DI PAZIENTI CELIACI

Introduzione

La flora batterica intestinale funziona come una barriera difensiva, capace di modificare l’ambiente intestinale e renderlo sfavorevole alla proliferazione di agenti patogeni. Il microbiota intestinale supporta, inoltre, molti processi utili per l’organismo, come l’assorbimento di varie sostanze nutritive, la produzione di alcune vitamine ed il rafforzamento del sistema immunitario. La flora batterica intestinale è, dunque, essenziale per la buona funzionalità dell’organismo umano.

Essa è costituita principalmente da batteri anaerobi (per esempio Bacteroides, bifidobatteri) che sono molto più numerosi di quelli aerobi (come Escherichia e lattobacilli). Per il benessere dell’intero organismo è fondamentale l’equilibrio tra le diverse specie della flora batterica. In essa, infatti, sono presenti essenzial-mente 3 grandi gruppi: – batteri nocivi (come Pseudomonas aeruginosa, Staphylococcus, Clostridium,

Proteus, Veillonella); – batteri neutri che diventano nocivi solo in determinate condizioni (Escherichia

coli, enterococchi, streptococchi, Bacteroides, Eubacterium); – batteri utili (appartenenti ai generi Lactobacillus, Bifidobacterium).

In condizioni normali, i microrganismi nocivi sono tenuti sotto controllo dall’intera flora batterica; tuttavia, la “disbiosi” del microbiota intestinale è asso-ciata allo sviluppo di molte malattie poiché esistono relazioni dirette e indirette tra questa comunità microbica e la risposta immunitaria dell’organismo umano. Diversi studi dimostrano che questo scompenso del microbiota intestinale è asso-ciato alla celiachia (Forsberg et al., 2004; Stene et al., 2006; Collado et al., 2007).

(*) Professore Associato di Microbiologia, Dipartimento di Scienze Agrarie, degli Alimenti e dell’Ambiente, Università di Foggia

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L’obiettivo del lavoro è stato quello di indagare e studiare gli effetti del pane prodotto con farina Gluten-Friendly™ (GF) sul microbiota intestinale. A tale scopo, le prove sono state condotte seguendo la fermentazione in vitro mediante il sistema di batch cultures.

Il presente lavoro è tratto da Bevilacqua et al. (2016).

Metodologia

Preparazione dell’Etica (donatori celiaci) Prima di intraprendere la sperimentazione, è stata elaborata tutta la parte

relativa alla richiesta dell’approvazione “Etica”. Il comitato etico ha espresso parere favorevole e, quindi, approvazione allo studio il 14 Marzo 2015 (UREC 15/20: Stool sample donation for in vitro systems modelling the human colon. Favourable opinion).

Produzione del pane I campioni di pane, rispettivamente “pane non trattato” e “pane Gluten-

Friendly™”, sono stati ottenuti miscelando 100 g di farina, 66 mL di acqua, 1,33 g di lievito ed 1 g di sale.

Simulazione della digestione in vitroIl protocollo è stato eseguito in accordo a Maccaferri et al. (2012). Il proto-

collo simula le tre fasi più importanti della digestione (fase orale, fase gastrica e fase intestinale, modulando il pH ed aggiungendo gli enzimi o componenti più importanti della saliva, del succo gastrico e del succo pancreatico).

Fermentazione in vitro mediante il sistema di batch cultures L’effetto del pane controllo e del pane Gluten-Friendly™ è stato studiato con

il sistema delle batch cultures, cioè di mini-fermentatori della capacità 100 mL, riempiti asetticamente con 45 mL di terreno di coltura GUT Model Medium (GMM) simile, per composizione, al contenuto ileostomico (Maccaferri et al. 2012).

Nelle unità di fermentazione sono state realizzate condizioni di anaerobiosi, insufflando azoto (15mL/min) da 24 ore prima della sperimentazione. Il giorno successivo, i vessel sono stati inoculati in ragione del 10% con fecal slurry (preparato fecale) di soggetti sani e di soggetti celiaci. In particolare, sono state prelevate le feci di 3 soggetti sani e 3 soggetti celiaci.

Per ogni soggetto sono stati preparati 3 vessel differenti:– Controllo negativo (vessel inoculato con il fecal slurry)– GFB (vessel inoculato con il fecal slurry e addizionato di 1mL di digerito di

pane Gluten-Friendly™)

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– CB (vessel inoculato con il fecal slurry e addizionato di 1mL di digerito di pane controllo).La temperatura nei vasi fermentazione è stata mantenuta a 37 °C. Il pH è stato

impostato nel range di 6.7-6.8 per simulare le condizioni del colon discendente ed è stato controllato tramite sistemi di controllo automatico del pH (Electro-lab260, UK) mediante l’aggiunta continua di soluzioni di NaOH (0.5 M) o HCl (0.5 M). Le condizioni anaerobiche sono state mantenute per tutta la durata della sperimentazione.

La fermentazione in vitro è stata seguita per 48 ore, prelevando i campioni im-mediatamente dopo l’inoculo e dopo 6, 24 e 48 h. I campioni sono stati sottoposti all’analisi della composizione batterica mediante la Flow-FISH (Fluorescence In Situ Hybridization) e all’analisi degli acidi grassi a corta catena (SCFA-short chain fatty acids; acido acetico, propionico e butirrico) attraverso HPLC, utilizzando i protocolli riportati da Bevilacqua et al. (2016).

Risultati

Studio della microflora intestinale

I risultati ottenuti dagli esperimenti di FISH e SCFA sono stati standar-dizzati rispetto al controllo negativo di ciascun donatore e, successivamente, sono stati analizzati con l’ANOVA ad una via per individuare le differenze significative.

La Figura 1 mostra i risultati relativi ai bifidobatteri. Dopo 48 ore sono stati riscontrati due gruppi statistici; il primo gruppo era costituito dal solo campione E (donatore celiaco con pane controllo) e il secondo gruppo da tutti gli altri cam-pioni. Il campione E non mostrava un aumento significativo della popolazione dei bifidobatteri, probabilmente per un effetto negativo esercitato dal pane sulla microflora, mentre negli altri campioni si verificava un aumento di 0,7 a 0,9 log cellule/mL. Il dato interessante risiedeva proprio nell’inclusione del campione F (microflora dei celiaci+pane Gluten-Friendly™) con i campioni del soggetto sano, suggerendo un effetto benefico del pane Gluten-Friendly™, in grado di ripristinare un trend normale nella popolazione dei bifidobatteri.

I batteri lattici presentavano un andamento caratteristico nel tempo, come riportato nella Figura 2; dopo 6 h di fermentazione si osservava una diminuzione della popolazione lattica nei campioni E ed F (0,57-0,64 log cellule/mL) (micro-flora dei soggetti celiaci addizionata di pane controllo o pane Gluten-Friendly™). Dopo 24 h, questo trend negativo si riscontrava nel campione E, ma non nel campione F, in cui la popolazione lattica aumentava e mostrava un trend simile a quello dei soggetti sani, suggerendo un effetto interessante e benefico del pane Gluten-Friendly™.

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Fig. 1 - Incremento della concentrazione dei bifidobatteri nelle batch cultures in seguito alla somministrazione di pane controllo (CB) e pane Gluten-Friendly™ (GFB). A, mi-crobiota soggetti sani; B, microbiota soggetti sani+CB; C, microbiota soggetti sani+GFB; D, microbiota soggetti celiaci; E, microbiota soggetti celiaci+CB; F, microbiota soggetti celiaci+GFB.

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Fig. 2 - Incremento della concentrazione dei batteri lattici nelle batch cultures in seguito alla somministrazione di pane controllo (CB) e pane Gluten-Friendly™ (GFB). A, mi-crobiota soggetti sani; B, microbiota soggetti sani+CB; C, microbiota soggetti sani+GFB; D, microbiota soggetti celiaci; E, microbiota soggetti celiaci+CB; F, microbiota soggetti celiaci+GFB.

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I risultati statistici per Eubacterium rectale mostravano una distribuzione costante, senza differenze significative tra i diversi campioni (dati non mostrati).

La Figura 3 mostra i risultati relativi a Bacteroides. La distribuzione statistica dei campioni cambiava nel corso del tempo; tuttavia, l’aumento/diminuzione della conta vitale dopo 48 h (-0-33-0.26 log cellule/mL) era moderata in valore assoluti, suggerendo, quindi, che un esperimento prolungato potrebbe essere utile per individuare differenze importanti tra i campioni.

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Fig. 3 - Incremento della concentrazione dei Bacteroides nelle batch cultures in seguito alla somministrazione di pane controllo (CB) e pane Gluten-Friendly™ (GFB). A, mi-crobiota soggetti sani; B, microbiota soggetti sani+CB; C, microbiota soggetti sani+GFB; D, microbiota soggetti celiaci; E, microbiota soggetti celiaci+CB; F, microbiota soggetti celiaci+GFB.

Analisi degli acidi grassi a corta catena (SCFA)

La principale funzione metabolica svolta dal microbiota intestinale è costituita dalla fermentazione di residui della dieta non digeribili e/o di muco endogeno prodotto dall’epitelio. La diversità genica esistente nella comunità microbica garantisce la presenza di numerosi enzimi e pathway biochimici diversi da quelli caratteristici dell’ospite.

Il risultato finale delle attività metaboliche del microbiota è il recupero di energia e di substrati che possano essere assorbiti ed utilizzati dall’ospite, ed il rifornimento di energia e prodotti nutritivi per la crescita dei batteri. A livello di

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colon, la maggior fonte di energia è la fermentazione di carboidrati non digeribili, quali polisaccaridi (amido, cellulosa, emicellulosa, inulina, pectine e gomme), oligosaccaridi, ed alcoli, con la conseguente generazione di acidi grassi a corta catena (SCFA) e gas, quali H2 e CO2.

Gli SCFA svolgono un’importante funzione a livello della fisiologia dell’ospite. In particolare, il butirrato rappresenta la principale sorgente energetica delle cellule epiteliali del colon (circa il 70% dell’apporto energetico), che lo consumano quasi interamente. Acetato e propionato, invece, entrano nel circolo ematico e svolgono altre funzioni, quali ad esempio la modulazione del metabolismo del glucosio.

Lo stesso approccio è stato utilizzato per analizzare i risultati degli SCFA (acidi grassi a corta catena). Risultati estremamente interessanti si riscontravano per l’acido butirrico (Figura 4).

Dopo 24 h l’acido butirrico aumentava di 17 mM nel controllo negativo D, seguito dagli altri due campioni dei donatori celiaci (rispettivamente E, 7,6 mM, e F, 4,1 mM); i risultati dopo 48 h mostravano un trend interessante, in quanto il campione F (fecal slurry dei soggetti celiaci+pane Gluten-Friendly™) mostrava un profilo simile ai campioni dei donatori sani, con un incremento netto di acido butirrico di 4,28 mM.

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Fig. 4 - Incremento della concentrazione di acido butirrico (mM) nelle batch cultures in seguito alla somministrazione di pane controllo (CB) e pane Gluten-Friendly™ (GFB). A, microbiota soggetti sani; B, microbiota soggetti sani+CB; C, microbiota soggetti sani+GFB; D, microbiota soggetti celiaci; E, microbiota soggetti celiaci+CB; F, micro-biota soggetti celiaci+GFB.

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Conclusioni

I risultati ottenuti rappresentano un valido contributo per spiegare l’effetto del pane Gluten-Friendly™ sulla microflora di soggetti sani e di soggetti celia-ci. In particolare, in presenza di pane Gluten-Friendly™ nei soggetti celiaci si registrava un aumento dei microrganismi utili, quali bifidobatteri dopo 48 ore e di lattobacilli dopo 24 h con un andamento di crescita paragonabile a quello ottenuto nei soggetti sani. A questo profilo del microbiota corrispondeva un trend interessante per l’acido butirrico.

Bibliografia

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TAVOLA ROTONDA:

“DALLA RICERCA ALL’INNOVAZIONE”

Moderatore:

gioRgio cantelli FoRtiPresidente Accademia Nazionale di Agricoltura

Intervengono:

dott. PaSquale caSilloPresidente Gruppo Casillodott. RoBeRto RanieRi

Trasferimento Tecnologico Open FieldsPRoF.SSa Silvana hRelia

Direttore Centro Ricerche sulla Nutrizione - Università di BolognaPRoF.SSa caRMen laMacchia

Università di FoggiaPRoF. gino RoBeRto coRazza

Università di Paviadott. MaRco Silano

CoordinatoreComitatoScientificoAssociazioneItalianaCeliachiadott. claudio caMPagna

Head of Cereals & Rice Compaign Management Syngenta

Il Professor Giorgio Cantelli Forti, Presidente dell’Accademia Nazionale di Agricoltura, ha presentato i partecipanti alla tavola rotonda sottolineando la fa-vorevole presenza congiunta di esponenti del mondo della ricerca e dell’impresa. La collaborazione tra ricerca e impresa, infatti, fa sì che il binomio porti reale innovazione. Il Professor Cantelli Forti ha quindi espresso la sua soddisfazione per il fatto che l’Accademia Nazionale di Agricoltura abbia organizzato un evento su un tema così sentito ed attuale, ed ha auspicato che quest’ultima continui ad essere presente su tematiche che interessano, a partire dal mondo agricolo, tutta la filiera agroalimentare e la vita delle persone che ogni giorno acquistano il cibo.

La Professoressa Silvana Hrelia, direttrice del Centro Ricerche sulla Nutrizione dell’Università di Bologna, ha raccomandato, per coloro che devono seguire la dieta aglutinata, ma anche per chi consuma cereali contenti glutine, di variare i cereali ed inserire cereali e pseudocereali integrali e legumi nella propria alimentazione;

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questi veicolano composti bioattivi, sostanze importanti per la salute umana come la rutina nel caso del grano saraceno, i betaglucani nel caso dell’avena, e peptidi bioattivi in molti cereali e legumi.

Il Professor Corazza, direttore di Medicina Generale al Policlinico San Mat-teo – Università degli Studi di Pavia, ha plaudito l’intuizione dalla Professoressa Lamacchia e gli sforzi di innovazione del gruppo di ricerca da lei guidato, sot-tolineando però l’assoluta necessità di effettuare test clinici al fine di validare le indicazioni positive ottenute dai test in vitro. La Professoressa Carmen Lamacchia ha quindi confermato che i test clinici volti a dimostrare la non-tossicità per i pazienti celiaci, del grano trattato con tecnologia gluten-friendly, sono attualmente in corso presso l’Università di Rhoempton (Gran Bretagna).

È stato quindi affrontato il tema della sostenibilità economica del grano trat-tato con tecnologia gluten-friendly. La Professoressa Lamacchia ha dichiarato che l’innovazione è pensata per tutti e non solo per i celiaci. Il Gruppo Casillo, azionista dello spin off New Gluten World, ha infatti calcolato che l’impatto del trattamento che il grano subisce per essere “de-tossificato” sulla struttura dei costi è praticamente trascurabile, per questo le farine non avranno un prezzo molto più alto di quelle attualmente in commercio. Il Gruppo Casillo, ha dichiarato Pasquale Casillo, Presidente del Gruppo Casillo, non poteva non sostenere un‘in-novazione di così vasta portata, che origina dal proprio territorio, potenzialmente rivoluzionaria, come il grano gluten-friendly, avendo alle spalle una lunga storia di innovazione. Il Gruppo è stato infatti tra i primi ad adottare la tecnologia della decorticazione nella macinazione del grano duro ed oggi in gran parte impiega energia solare per alimentare i mulini e movimenta le merci via treno.

Anche il mondo del breeding sta cercando di rispondere al fabbisogno di un numero crescente di persone che evitano il glutine, ha dichiarato il Dott. Claudio Campagna, manager Syngenta. Syngenta lavora su queste tematiche, ma saranno necessari ancora tempi lunghi per una eliminazione dell’immunogenicità delle prolammine e in particolare delle gliadine.

Roberto Ranieri di Open Fields srl è intervenuto illustrando il ruolo importante che le aziende specializzate nel trasferimento tecnologico rivestono nello sviluppo dell’innovazione; esse individuano, tra i risultati della ricerca degli istituti pubbli-ci, quelli che rispondo al fabbisogno delle aziende alimentari e favoriscono una comunicazione efficace tra soggetti che spesso parlano lingue diverse.