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E D I Z I O N I i m anuali Il farmacista e l’oncologia oggi Aspetti metodologici e organizzativi di un team multidisciplinare VOLUME 2 Stefano Federici con il contributo di Massimo Farina e Rodolfo Mattioli i m anuali

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e d i z i o n iE D I Z I O N I

i manualiAutori

Il farmacista e l’oncologia oggiAspetti metodologici e organizzativi

di un team multidisciplinare

Volume 2

Stefano Federici con il contributo di Massimo Farina e Rodolfo Mattioli

Stefano FedericiDirigente Farmacista Struttura complessa di Farmacia Ospedaliera Aziendale Azienda ospedaliera di Melegnano

con il contributo di:Massimo FarinaPartner Emmeffe Management & Formazione, Milano

Rodolfo MattioliDirettore dell’Unità operativa complessa di Oncologia medica all’ospedale Santa Croce di Fano e coordinatore nazionale del Gruppo rischio clinico del Collegio italiano dei primari medici oncologi ospedalieri (Cipomo)

Prima edizione: dicembre 2011

© Editrice MAYA Idee

Via Saval, 25 - 37124 Verona Tel (+39) 045 8352382 Fax (+39) 045 8305399 e-mail: [email protected]

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i manuali

e d i z i o n i

Il farmacista e l’oncologia oggiAspetti metodologici e organizzativi

di un team multidisciplinare

Volume 2

Stefano Federici con il contributo di Massimo Farina e Rodolfo Mattioli

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“Dedico questo lavoro a mio padre Paris e a mia madre Mariannina, tuttora vivente, che con il loro costante esempio mi hanno inculcato il senso del dovere e della responsabilità sia come uomo che come padre.”

(l’Autore)

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Progetto grafico e impaginazione: PAST (VR) Via Scuderlando, 209 - Verona

Coordinamento editoriale: Nunzia Giglio

Revisione: Paola Arosio

Fotografie: Adriano Carafoli

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sommario

Prefazione pag. 7

CAPITOLO 1

APPLICAzIOne dI mOdeLLI OrgAnIzzATIvI InnOvATIvI pag. 11

1.1 Applicazione della Lean production in galenica clinica pag. 25

1.2 Il progetto Mago pag. 33

1.3 Terapia orale in oncologia: un ambulatorio sperimentale pag. 42

1.4 Il progetto Picc in oncologia:

farmacista e dispositivi medici pag. 48

1.5 La robotizzazione: nuovo modo di riorganizzare l’Uto pag. 74

CAPITOLO 2

LA fOrmAzIOne In fArmACIA OnCOLOgICA pag. 81

2.1 Specializzazione in Farmacia e farmacologia oncologica pag. 84

CAPITOLO 3 M. Farina – R. Mattioli

LA gesTIOne deL rIsChIO In OnCOLOgIA medICA pag. 97

3.1 Clinical governance e Clinical risk management pag. 97

3.2 Il processo di gestione del rischio e suoi principali strumenti pag. 100

3.3 Survey del Cipomo: le priorità applicative degli strumenti del rischio clinico pag. 112

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È con piacere che presentiamo il secondo volume

de Il farmacista e l’oncologia oggi. Aspetti meto-

dologici e organizzativi di un team multidisciplina-

re, ospitato all’interno della collana i manuali. Sotteso a

tutta l’opera, che ha richiesto vari mesi di lavoro, il rap-

porto, complesso e interrelato, tra farmacia ospedaliera

e oncologia. La moderna oncologia sta affrontando nuovi

traguardi, nuove sfide, con l’obiettivo di offrire al paziente

soluzioni terapeutiche innovative. In questo contesto, in

continuo e rapido mutamento, si sta sempre più affer-

mando il ruolo del farmacista oncologo, un manager che,

in collaborazione con le altre figure professionali, cono-

sce le risorse utilizzabili e le rende disponibili nel migliore

dei modi a vantaggio del paziente. È opportuno ribadire

come, in generale, i rapporti tra medici oncologi e farma-

cisti ospedalieri siano buoni, anche in conseguenza del

tavolo permanente attivato da Aiom e Sifo. La collabora-

zione tra le due società scientifiche ribadisce ancora una

volta, pur nel rispetto dei ruoli, l’importanza della sinergia

tra le due figure professionali, unite con l’obiettivo di met-

prefazione

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tere al centro degli sforzi e dei progressi il malato, con i

suoi bisogni, le sue fragilità, le sue speranze di cura.

Questo volume apre con un capitolo dedicato all’applica-

zione dei modelli organizzativi innovativi, che includono

anche i dispositivi medici. Segue un’ampia parte dedicata

ai percorsi formativi che consentono di diventare farma-

cisti oncologi: corsi di perfezionamento, master, tirocini

danno l’opportunità di acquisire una formazione specifica

e di alto livello, da spendere poi sul campo. Infine, l’ultimo

capitolo tratta la gestione del rischio clinico in oncologia

medica, delineando approcci, strumenti, priorità. Nella

speranza di avere contribuito, con questo volume, ad ac-

crescere la conoscenza su un argomento per alcuni versi

ancora di frontiera, auguriamo a tutti una buona lettura.

Stefano Federici

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capitolo uno

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capitolo uno

9

01capitolo uno

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ApplicAzione di modelli orgAnizzAtivi innovAtivi

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stefano federiciDirigente Farmacista

Struttura complessa di Farmacia Ospedaliera Aziendale Azienda ospedaliera di Melegnano

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APPLICAzIOne dI mOdeLLI OrgAnIzzATIvI InnOvATIvI 01

Introduzione

La gestione centralizzata dei farmaci oncologici risponde a specifi-

che disposizioni di legge. Le linee guida ministeriali pubblicate sulla

Gazzetta ufficiale n. 236 del 07.10.99 prevedono, al fine di contenere

il rischio degli operatori professionalmente esposti, il controllo di tutte

le fasi della gestione del farmaco, ovvero manipolazione, somministra-

zione e smaltimento, attraverso l’attivazione di un’Unità farmaci antitu-

morali (Ufa).

La dodicesima edizione della Farmacopea ufficiale assimila l’attività di

manipolazione di farmaci antiblastici all’attività di galenica magistrale,

prevedendo, quindi, specifici requisiti di sicurezza e qualità, che posso-

no essere assicurati dall’attuazione di un processo controllato e valida-

to, garantito dalle Ufa. Infine, la Raccomandazione per la prevenzione di

morte, coma o grave danno derivante da errore nella terapia farmaco-

logica (n.7), pubblicata, nel settembre del 2007, dal Dipartimento della

Qualità della Direzione generale della Programmazione sanitaria dei livel-

li di assistenza e dei principi etici di sistema del Ministero della Salute,

elaborata al fine di ridurre il rischio di errore nella terapia farmacologica,

dà nuovo rilievo al rischio collegato all’utilizzo di farmaci antiblastici.

Infatti, il basso indice terapeutico di questi farmaci, la necessità di con-

trastare la loro tossicità attraverso dosaggi personalizzati con som-

ministrazione secondo sequenze predefinite e la contemporanea as-

sunzione di altri medicinali finalizzati al controllo e alla riduzione della

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tossicità sono elementi che generano serie probabilità di errore che,

congiuntamente agli obblighi previsti dalle procedure tecnico-farma-

ceutiche di allestimento, richiedono l’adozione di specifiche misure per

garantire il contenimento del rischio. A tal fine, il ministero suggerisce

la necessità di centralizzare e controllare, attraverso un modello inte-

grato, la gestione dei farmaci antiblastici.

Attraverso la centralizzazione delle terapie oncologiche e soprattutto

attraverso il valore aggiunto dato dalla professionalità del farmacista,

viene certificata la qualità delle terapie offerte al paziente.

Gli obiettivi strategici che devono essere perseguiti attraverso l’attiva-

zione di una Unità di terapia oncologica (Uto) sono (tabella 1):

Tab. 1

gesTIOne deL rIsChIO CLInI-CO e rIduzIOne deL rIsChIO dI errOre

La sicurezza del paziente sottoposto a terapia è correlata al control-lo della formulazione della realizzazione dei preparati, particolarmen-te critici in funzione sia della loro tossicità e tecnica di preparazione, sia della necessità di garantirne l’asetticità di allestimento. Di ciò si occupano i dirigenti farmacisti; il farmacista garantisce un «efficiente sistema integrato di controllo che risponde all’esigenza fondamentale di salvaguardare la salute del paziente». (NBP F.U. XI Ed. 1.)

sICurezzA Per I LAvOrATOrI PrOfessIOnAL-menTe esPOsTI

La sicurezza per gli operatori implica particolari cautele di manipolazio-ne e confezionamento di materiali, sostanze e principi attivi comunque pericolosi, che solo locali e personale dedicati possono garantire.

COrreTTezzA gesTIOnALe

Viene assicurata dal monitoraggio delle prestazioni erogate e della spesa farmaceutica, così come previsto dal Piano sanitario nazionale 06-2008.

OTTImIzzAzIOne deLL’usO deLLe rIsOrse e rI-sPArmIO

Il risparmio si ottiene grazie a riduzione degli sprechi, annullamento delle scorte di reparto, riutilizzo dei residui, attuabili con la razionalizza-zione nella gestione delle terapie.

APPrOPrIATez-zA e AderenzA ALLe IndICAzIO-nI mInIsTerIALI

Attraverso la dose unitaria, cioè con la preparazione di antiblastici monodose per ogni paziente, si realizza l’appropriatezza prescrittiva. Viene quindi garantita la massima aderenza alle indicazioni ministeriali.

gOvernO CLInICO

La gestione centralizzata delle terapie oncologiche presuppone la crea-zione di un team multidiscliplinare e predispone quindi alla condivisione delle tematiche e delle criticità e all’attuazione delle migliori condizioni di espletamento delle cure. Queste azioni di governo clinico rafforzano ulteriormente le sinergie tra i professionisti coinvolti nel processo tera-peutico, in particolare tra il medico oncologo e i farmacisti.

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01capitolo uno

Quindi, attraverso la creazione di un’Ufa, meglio Uto, il farmacista ha

l’opportunità di riappropriarsi di quel “sapere pratico” che storicamen-

te costituisce l’arte del farmacista ospedaliero. Questo concetto è ef-

ficacemente sintetizzato nell’affermazione di J. Bonal: «Il farmacista

oggi ha trovato la sua anima, cioè la sua sostanzialità, la sua valenza

nell’approfondire le proprie esperienze personali come quelle collettive

per giungere a un nuovo obiettivo: dare ai pazienti la cura che essi

domandano e di cui hanno bisogno».

Per attivare ogni nuova attività è fondamentale seguire le indicazioni

dei sistemi di qualità; ciò consente, a chi ne utilizza le metodiche, di di-

mostrare che opera secondo regole condivise di comportamento e di

pratica, che minimizzano i rischi in una struttura di rilevanti dimensioni

e complessità, come quella di un ospedale. Tale sistema di qualità

permette di misurare gli esiti documentati e quindi di verificare, cor-

reggere e migliorare il modello operativo; presuppone la realizzazione

del cosiddetto “ciclo della qualità” che si articola in quattro momenti

fondamentali (tabella 2).

Tab. 2PLAN DO CHECK ACT

Pianificazione attraverso analisi dell’esistente, definizione degli obiettivi e tipologia degli interventi da attuare; identificazione di precise responsabilità, ruoli e competenze ed elaborazione didocumenti, come procedure e istruzioni operative.

Realizzazione del progetto e applicazione delle istruzioni operative e dei protocolli stabiliti.

Verifica del modello applicato.

Ottenimento di risultati e azioni di miglioramento.

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A) PLAN • pianificazione

La realizzazione di un settore di galenica clinica oncologica presuppo-

ne un’analisi approfondita:

del tipo di servizio richiesto.

del livello di servizio richiesto.

delle articolate problematiche lega-te all’organizzazione operativa, alla fase di allestimento, alla formazione e al controllo dell’intero processo produttivo.

Tale analisi deve essere integrata con uno studio attento della situa-

zione di partenza e delle necessità degli attori coinvolti nell’intero pro-

cesso attraverso:

specifici incontri pre-liminari e poi operativi.

attivazione di gruppi di lavoro multidisciplinari in cui i diversi pro-fessionisti, ciascuno per la propria competenza, lavorano alla costruzione della struttura del modello operativo, mediante azioni riguardanti le diverse aree e la definizione di regole per misurare il raggiungimento degli obiettivi.

PLAN

CHECK

ACT DO

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capitolo uno

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01Tale team multidisciplinare deve essere costituito da:

Farmacisti Oncologi medici

TeAm

Clinici infermieriServizio

Prevenzione e protezione

Ufficio tecnicoDirezione sanitaria

Qualità/Risk manager

Medicina del Lavoro

Per rendere operativo il progetto è necessaria una pianificazione del

servizio richiesto e, sulla base di questo, l’elaborazione di un modello

di fattibilità che aderisca al meglio alla realtà. In particolare dovranno

essere valutati:

le risorse già esistenti o la

richiesta di un loro potenziamento

il carico di lavoro i flussi di lavoro le tempistiche

le modalità operative riguardanti l’intero

percorso del farmaco

la dotazione di aree (valutazione quali-

quantitativa)

il personale necessario

i materiali, le attrezzature

e gli arredi necessari

Il punto di partenza deve essere dunque l’analisi del bisogno, ottenibile

fotografando la situazione esistente. Questo presuppone:

n Censimento dei reparti che utilizzano farmaci oncologici; questa

valutazione dovrà essere estesa anche ai reparti che utilizzano sal-

tuariamente medicinali antitumorali (per esempio, reparti di Gineco-

logia che utilizzano metotressate per il trattamento della gravidanza

extrauterina, reparti di Neurologia che utilizzano ciclofosfamide per

il trattamento della sclerosi multipla o reparti di Reumatologia che

utilizzano ciclofosfamide e metotrexate per il trattamento dell’artri-

te reumatoide). In questa fase è raccomandabile considerare an-

che farmaci non antitumorali il cui allestimento richieda specifiche

misure di protezione assimilabili a quelle necessarie per gli antibla-

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stici, come ad esempio ganciclovir, che ha potere cancerogeno.

n valutazione dei carichi di lavoro: questo dato può essere otte-

nuto a partire dall’analisi quali-quantitativa dei consumi dei reparti

e dall’analisi delle schede di dimissione e dell’attività ambulatoriale.

n Analisi dei flussi: per approfondire le modalità operative (carichi

di lavoro, organizzazione, tempistiche) dei singoli reparti può es-

sere utile raccogliere le informazioni attraverso interviste ai diretti

interessati; è comunque opportuno integrare tali informazioni con i

dati raccolti mediante specifici questionari opportunamente redatti.

n riunioni con i sanitari dei reparti coinvolti, per costruire un mo-

dello che si possa integrare con le modalità operative dei reparti

stessi.

n servizio di consegna: è necessario pianificare un servizio di con-

segna efficiente (tempistica e modalità adeguate), concordando

una specifica procedura.

n dotazione di locali e laboratori: è necessario effettuare una

valutazione degli arredi e delle dotazioni necessarie nel rispetto di

quanto previsto dalla dodicesima edizione della Farmacopea ufficia-

le e dalle linee guida ministeriali pubblicate sulla Gazzetta ufficiale

n. 236 del 07.10.99. Quest’attività sarà condotta in collaborazione

con Ufficio tecnico, Servizio Prevenzione e protezione, Medicina

del lavoro e Direzione sanitaria.

n valutazione e individuazione del software gestionale in grado

di soddisfare i requisiti di qualità, rintracciabilità, monitoraggio e

gestione del rischio, tutti fattori correlati alla manipolazione e som-

ministrazione dei farmaci antiblastici; questa attività verrà condotta

in collaborazione con i Servizi informatici aziendali, anche al fine

di valutare la possibilità di integrazione con il sistema informatico

dell’azienda. La centralizzazione dell’allestimento dei farmaci anti-

blastici presuppone la creazione dell’anagrafica dei prodotti utiliz-

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capitolo uno

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01zati e la proceduralizzazione dei comportamenti, delle regole di tra-

smissione dell’informazione e, in particolare, della prescrizione. La

dotazione di un software idoneo è importante perché contribuisce

a creare un sistema di controllo che blocca l’errore di prescrizione

o di preparazione prima che si realizzi.

Quindi è imprescindibile dotarsi di un programma informatico gestio-

nale dedicato, che deve consentire il monitoraggio completo delle ri-

chieste dei reparti, dei protocolli terapeutici, delle terapie preparate,

dei farmaci utilizzati e dei pazienti.

Il programma individuato per l’attivazione dell’allestimento centralizza-

to delle terapie oncologiche dovrà consentire di:

n creare l’anagrafica dei prodotti utilizzati;

n creare il prontuario informatizzato dei protocolli terapeutici;

n gestire informaticamente la prescrizione;

n gestire informaticamente il magazzino (foglio di prelievo, scarico

automatizzato con lotti);

n gestire informaticamente la documentazione a supporto della prepa-

razione: foglio di preparazione, etichette con numerazione progres-

siva e codice a barre;

n creare registro elettronico delle preparazioni, in cui vengono regi-

strati, per ogni allestimento, il farmaco utilizzato, la dose, il diluente,

il nome del paziente, il nome del medico richiedente, il reparto e la

data;

n creare registro elettronico degli esposti in cui vengono riportati, per

ogni operatore, i tempi di esposizione e i farmaci;

n creare l’anagrafica dei pazienti e tenere la registrazione della storia

clinica del malato, al fine di garantire la totale tracciabilità di tutti i

trattamenti somministrati;

n gestire informaticamente la somministrazione, per avere la com-

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pleta tracciabilità non solo delle terapie somministrate, ma anche

della modalità di somministrazione: sequenza, orario e durata. È

importante disporre della documentazione a supporto della sommi-

nistrazione (foglio della somministrazione per il reparto che indica

la sequenza, i tempi e le specifiche modalità di somministrazione

dei farmaci del protocollo chemioterapico).

B) DO • attuazione

Implementazione del software

Creazione di una banca dati di:

n principi attivi, in cui siano contenute informazioni relative alle ca-

ratteristiche chimico-fisiche e a stabilità, modalità di preparazione,

prodotti commerciali;

n dispositivi, in cui siano contenute informazioni relative a caratteristi-

che, modalità di impiego, compatibilità dei materiali;

n protocolli terapeutici precedentemente condivisi e standardizzati,

con le informazioni relative a: nome e posologia di ogni farmaco,

via di somministrazione, soluzione diluente, range di concentrazione

della preparazione finale, velocità di infusione, dispositivi da utiliz-

zare per allestimento e somministrazione, tempo di validità della

preparazione e condizioni di conservazione, eventuali dettagli sulla

terapia di supporto.

Formazione degli utilizzatori

Gli utilizzatori dovranno essere adeguatamente istruiti sull’uso del pro-

gramma. Al riguardo è utile organizzare specifici corsi di formazione

con simulazione, prevedendo, eventualmente, un affiancamento nelle

fasi iniziali dell’attivazione dell’Unità farmaci antiblastici.

Condivisione e standardizzazione dei protocolli chemioterapici

È questo uno dei momenti più importanti dell’attivazione di un’Unità

farmaci antiblastici, perché presuppone la creazione di gruppi di lavoro

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capitolo uno

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01multidisciplinari, al fine di condividere e standardizzare i protocolli te-

rapeutici, con l’obiettivo di ottimizzare le terapie e attuare un governo

dell’appropriatezza; questa attività permette di creare i fondamenti su

cui si basa la redazione del prontuario dei protocolli chemioterapici. In

particolare sarà necessario:

n valutare per ogni singolo farmaco le procedure atte a garantire

una formulazione idonea alle necessità terapeutiche del paziente,

in termini di ricostituzione, concentrazione, via di somministrazione,

soluzione infusionale e scelta del contenitore finale;

n effettuare valutazioni sulle interazioni dei farmaci utilizzati nei pro-

tocolli;

n effettuare valutazioni per verificare il rispetto delle indicazioni auto-

rizzate in scheda tecnica e da specifici provvedimenti ministeriali.

Gestione e organizzazione del magazzino attraverso un elenco

del materiale (farmaci, dispositivi di protezione individuale, dispositivi

medici) valutato qualitativamente e quantitativamente come necessario

e idoneo:

n sono necessarie procedure operative che permettano organizza-

zione dei riordini, individuazione della scorta minima, controllo delle

scorte, carico di farmaci e materiali e scarico dei preparati ai repar-

ti, gestione dei lotti.

Elaborazione e stesura di procedure e istruzioni operative

relative a ogni aspetto dell’attività:

n allestimento e controlli;

n confezionamento;

n consegna e ricevimento;

n modalità di richiesta della preparazione dal reparto;

n approvvigionamento di materiali e farmaci al magazzino dell’Unità

farmaci antiblastici;

n stoccaggio materiali;

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n gestione spandimenti e contaminazione accidentale;

n smaltimento dei rifiuti contaminati nelle unità operative e nell’Unità

farmaci antiblastici;

n somministrazione;

n gestione protocolli e farmaci sperimentali;

n gestione degli eventi avversi;

n redazione di schede di stabilità, con specifica indicazione della sta-

bilità degli intermedi di lavorazione e del prodotto finito;

n modalità di conservazione delle specialità medicinali integre, degli

intermedi di preparazione e delle preparazioni finite;

n protocollo di pulizia degli ambienti (modalità e tempistica);

n protocollo di pulizia delle cappe (modalità e tempistica).

Identificazione dei requisiti di qualità e sterilità del processo di

allestimento: per raggiungere questo obiettivo occorre attivare una

rete di controlli e procedure di monitoraggio ad hoc, in accordo con gli

obblighi di legge e con le linee guida di riferimento nazionali e interna-

zionali. A tal fine sarà necessario redarre specifiche istruzioni operative

per la realizzazione dei controlli previsti dalla Farmacopea ufficiale, dal-

le Good manUfacturing practice e dalle linee guida ministeriali (Gazzet-

ta ufficiale n. 236 del 07.10.99): in particolare, controlli microbiologici

sul prodotto finito e sull’ambiente, controllo del particolato, controllo

della contaminazione ambientale.

n Addestramento del personale: il personale dedicato deve essere

adeguatamente formato; è quindi necessario attivare uno specifico

percorso, che preveda un programma di addestramento documen-

tato, riguardante le tecniche di allestimento in asepsi, l’utilizzo di

apparecchiature e device, l’uso dei supporti informatici. È inoltre in-

dispensabile condividere le procedure e le istruzioni operative redat-

te, verificandone la completa acquisizione. L’addestramento dovrà

essere modulato a seconda dei diversi ruoli previsti.

n Programma di sorveglianza sanitaria. Deve essere previsto

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capitolo uno

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01un piano di sorveglianza sanitaria che stabilisca la frequenza delle

visite a cui tutto il personale deve essere sottoposto in funzione

dell’entità di esposizione e quindi in base alla valutazione del rischio;

secondo le linee guida ministeriali pubblicate sulla Gazzetta ufficiale

n. 236 del 07.10.99 tale frequenza non deve mai superare l’anno.

n Controllo dell’esposizione. Dovrà essere giornalmente identifi-

cato il personale professionalmente esposto, valutando il carico di

lavoro giornaliero per ciascun operatore attraverso l’istituzione di un

registro degli esposti.

Le tabelle presentate di seguito (tabelle 3-6) riassumono vantaggi e

criticità nei vari modelli di gestione delle terapie oncologiche.

Tab. 3vAnTAggI e CrITICITà dI unA unITà CenTrALIzzATA Per L’ALLesTImenTO dI TerAPIe OnCOLOgIChe sOTTO LA resPOnsABILITà deL fArmACIsTA

vAnTAggI svAnTAggI e CrITICITà

Assicurazione di elevati livelli di sterilità

Assicurazione di elevati livelli di stabilità

Riduzione dello spreco di farmaci (tanto maggiore quanto maggiore è il carico di lavoro)

Pianificazione del lavoro

Presenza di personale altamente specializzato

Elevati livelli di qualità e sicurezza del prodotto (controllo del rischio clinico)

Elevati livelli di sicurezza per il personale professionalmente esposto

Standardizzazione delle metodiche di preparazione e confezionamento

Standardizzazione della somministrazione e garanzia di metodiche e tempistiche appropriate

Implementazione dell’appropriatezza (rispetto delle indicazioni ministeriali e migliore adesione al prontuario terapeutico)

Esauriente e dettagliata documentazione dell’attività e della spesa

Investimenti di capitale

Flussi di comunicazione

Logistica della consegna in relazione alla geografia del sito

Copertura del servizio oltre l’orario di lavoro

Aumento dei tempi di preparazione dovuti ai check point che il sistema prevede

Potenziali rischi di esposizione a lungo termine del personale coinvolto

Elevato impegno e coinvolgimento da parte del farmacista

Perdita di esperienza nella gestione di antiblastici da parte del personale dei reparti

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Tab. 4vAnTAggI e CrITICITà dI un’unITà sATeLLITe Per L’ALLesTImenTO

dI TerAPIe OnCOLOgIChe sOTTO LA resPOnsABILITà deL fArmACIsTA

vAnTAggI svAnTAggI e CrITICITà

Centralizzazione del carico di lavoro in specifiche aree ospedaliere dedicate

Flussi di comunicazione facilitati e aumento dei contatti interprofessionali

Riduzione della criticità della consegna

Maggiore rapidità nel rispondere alle richieste

Assicurazione di elevati livelli di sterilità

Assicurazione di elevati livelli di stabilità

Riduzione dello spreco di farmaci (tanto maggiore quanto maggiore è il carico di lavoro)

Maggiore facilità nel garantire una estesa copertura oraria anche attraverso la possibilità di accesso, al di fuori dell’orario di servizio, da parte del personale dei reparti

Elevati livelli di qualità e sicurezza del prodotto (controllo del rischio clinico)

Elevati livelli di sicurezza per il personale professionalmente esposto

Allontanamento del personale della farmacia dalla sede centrale

Incremento delle scorte

Rischio potenziale di aumento degli sprechi

Frammentazione del servizio di farmacia

Negoziazione degli spazi con altri dipartimenti

Potenziali rischi di esposizione a lungo termine del personale coinvolto

Tab. 5vAnTAggI e CrITICITà deLLA PrePArAzIOne esTemPOrAneA In rePArTO

(nOn COnTrOLLATA)

vAnTAggI svAnTAggI e CrITICITà

Mantenimento dello status quo

Sicurezza degli operatori

Formazione del personale

Sicurezza del prodotto e del paziente

Alti livelli di sprechi

Gestione delle scorte

Ridotto controllo da parte della farmacia

Assenza di documentazione dell’attività e della spesa

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capitolo uno

23

01Tab. 6

vAnTAggI e CrITICITà deLLA PrePArAzIOne esTemPOrAneA In rePArTO (COnTrOLLATA)vAnTAggI svAnTAggI e CrITICITà

Ridotto impegno di capitale

Risposta rapida (servizio aperto 24 ore su 24)

Flussi di comunicazione facilitati

Assenza di problemi legati alla consegna

Elevato turn over del personale coinvolto che richiede un maggiore impegno nella formazione

Minore tempo da dedicare al paziente

Minore sicurezza del prodotto

Minore sicurezza degli operatori

Difficoltà a mantenere elevati standard di qualità

Attività proprie del farmacista svolte da personale non qualificato

Individuazione delle responsabilità e livelli di controllo scarsamente definiti

Alti livelli di sprechi

Difficoltà della gestione delle scorte

Ridotto controllo da parte della farmacia

Assenza di documentazione dell’attività e della spesa

C) CHECK • verifica

Un sistema di qualità deve misurare gli esiti, che devono essere

documentati proprio per attuare le verifiche e mettere in atto azioni

di correzione e miglioramento; non è sufficiente elaborare e applicare

procedure e istruzioni operative, ma sono necessarie verifiche

costanti del grado di aderenza e della effettiva capacità del sistema di

raggiungere efficacemente l’obiettivo. Questa filosofia è chiaramente

indicata nelle Norme di buona preparazione della dodicesima edizione

della Farmacopea ufficiale, che invitano a «riesaminare periodicamente

il sistema per assicurare che gli obiettivi siano definiti in modo adeguato

e siano raggiunti in modo efficiente».

Queste regole condivise di comportamento e di pratica applicate alla

realtà di una Unità di terapia oncologica implicano:

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ApplicAzione di modelli orgAnizzAtivi innovAtivi

24

n continuo monitoraggio delle attività;

n calendarizzazione dei controlli;

n raccolta e analisi dei dati;

n applicazione di indicatori di qualità con cui valutare e correggere le

procedure operative e di gestione.

Oltre alle verifiche “interne”, finalizzate a garantire la sicurezza e la

produzione di un risultato conforme alle specifiche predeterminate,

può essere utile prevedere una verifica che potrebbe essere definita

“esterna”, cioè finalizzata a misurare il livello di performance dell’Unità

di terapia oncologica percepito dai clienti esterni, cioè dai reparti. Tale

verifica può essere realizzata attraverso l’elaborazione di un questio-

nario da somministrare ai sanitari dei reparti.

Le domande dovranno essere elaborate in modo da indagare i vari

aspetti dell’attività dell’Unità farmaci antiblastici, individuando le critici-

tà e le aree di miglioramento, come ad esempio:

n utilizzo del software e modalità di richiesta delle terapie;

n modalità di consegna;

n impatto organizzativo.

d) ACT • azioni di miglioramento

Questa fase prevede l’attuazione di misure “correttive” sulla base di

quanto emerge dalle verifiche effettuate; un sistema di qualità pre-

suppone un miglioramento continuo, ponendo le basi per contenere

il rischio di errore e consentendo, a chi ne applica le metodiche, di

dimostrare che opera secondo regole condivise di comportamento e

di pratica che possono minimizzare i rischi.

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capitolo uno

25

011.1 Applicazione della Lean production

in galenica clinica

Alcuni centri di galenica clinica, nella logica di ottimizzazione delle

risorse, stanno applicando principi legati alla “lotta agli sprechi”:

una filosofia, questa, adottata già negli anni Cinquanta dal Giappone,

al fine di migliorare la produzione e di organizzare i processi in modo

snello (lean process) e in breve tempo (just in time).

Il termine “produzione snella” nasce per evidenziare un nuovo proces-

so aziendale caratterizzato da una riduzione di tempo, denaro, spazio,

sforzi e criticità, a vantaggio di una maggiore efficienza e qualità pro-

duttiva. Nella “produzione snella” il personale diventa artefice, creatore

del prodotto, assume più responsabilità ed è presente una maggiore

integrazione tra il sistema e le risorse umane, che deve essere diffusa

a tutti i livelli. Si sono sviluppate tecniche specifiche quali Fmea, Value

stream mapping, Dmaic, Variety reduction program, alla base delle

quali risiede il concetto cardine di produrre quello che il cliente (pro-

fessionista della sanità o paziente) vuole, nel momento in cui lo vuole

e nella quantità richiesta. Tutti metodi che hanno consentito di mettere

a fuoco gli obiettivi, identificare i problemi, raccogliere dati significativi

per effettuare una standardizzazione dei processi, modificando il vec-

chio assetto organizzativo.

Lean Six Sigma è una metodologia di improvement aziendale che ha

come principale obiettivo il raggiungimento del più alto tasso di miglio-

ramento nella customer satisfaction, nella qualità, nei costi, nella velo-

cità di processo e nel capitale investito. Lean e Six Sigma inizialmente

erano due filosofie separate e autonome, con caratteristiche distinte.

Lean thinking (pensare snello) si concentra nel creare valore eliminan-

do gli sprechi: lean in particolare esprime la volontà di ridurre al mini-

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ApplicAzione di modelli orgAnizzAtivi innovAtivi

26

mo le risorse impiegate, intese come risorse umane, capitale investi-

to, spazi occupati, tempi per eseguire un processo.

Il cardine del “pensiero snello” è produrre di più con un minore consu-

mo di risorse.

Vi sono cinque punti fondamentali che costituiscono l’ossatura di que-

sta metodologia (tabella 1):

Tab. 1

defInIre IL vALOre

IdenTIfICAre IL fLussO dI vALOre

fAre sCOrrere IL fLussO

fAre In mOdO Che IL fLussO

sIA TArATO dAL CLIenTe

rICerCAre LA

PerfezIOne

Il valore è defi-nito dal cliente e assume significato solo attraverso un servizio in grado di soddisfare le sue esigenze.

Il flusso di va-lore è l’insieme delle attività che consentono l’e-rogazione di un determinato ser-vizio. Lo spreco può essere iden-tificato classifi-cando le attività in tre categorie: quelle che crea-no valore; quelle che non creano valore ma sono indispensabili; quelle che non creano valore e non sono ne-cessarie, quindi sono eliminabili.

Eseguiti i due punti precedenti, il prossimo pas-so è quello di far scorrere il flusso attraverso le attività che sono state ritenute non eliminabili.

Significa es-sere in grado di progettare, programmare e realizzare il servizio che il cliente vuole nel momento in cui lo vuole.

Non smettere mai di sforzarsi di identificare ulteriori sprechi per ottenere un miglioramento continuo.

La filosofia lean classifica gli sprechi in sette rilevanti voci di perdita

(tabella 2).

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capitolo uno

27

01Tab. 2

PrOduzIOne In eCCessOsignifica produrre quello che non è richiesto dal cliente oppure produrre un numero di caratteristi-che superiori alle necessità del cliente.

eCCessO dI sCOrTe significa immagazzinare o accumulare più di quanto sia necessario.

TrAsPOrTI

significa effettuare movimentazioni non indispensa-bili, ad esempio lo spostamento di pazienti da un reparto a un altro dell’ospedale se non strettamente necessario.

dIfeTTOsITà quando i servizi non corrispondono ai requisiti dei clienti si generano dei costi.

PerdITe neL PrOCessO dI erOgAzIOne deL servIzIO si tratta di attività non necessarie nel processo.

PerdITe dI TemPO TrAmITe mOvImenTAzIOnI neL PrOCessO

si tratta di movimentazioni non indispensabili degli operatori, ad esempio per cercare strumenti non presenti nella propria postazione.

TemPI mOrTI

si verificano quando gli operatori non possono pro-seguire il loro lavoro perché sono in attesa di qual-cosa di indispensabile al fine dello svolgimento dei propri compiti.

Six Sigma è un approccio nato negli Stati Uniti nel 1987 che ha come

obiettivo quello di aumentare la soddisfazione del cliente e di diminuire

i costi operativi. Sigma è il simbolo (che deriva dall’alfabeto greco)

utilizzato per identificare, in statistica, la misura della variabilità in un

processo; un determinato processo o un’attività produttiva è “a sei

sigma” quando il valore della deviazione standard, che rappresenta

un indice della variabilità, è contenuto sei volte in metà specifica. Six

Sigma è infatti un metodo statistico con il quale è possibile misurare

lo scostamento di un qualsiasi processo dal risultato ottimale. Il con-

cetto centrale risiede nella determinazione del numero di errori, nella

successiva eliminazione sistematica degli errori stessi e quindi nel rag-

giungimento di risultati praticamente perfetti.

Per raggiungere la qualità Six Sigma, un processo non deve realizzare

più di 3-4 difetti per milione di opportunità nei processi di progettazio-

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ApplicAzione di modelli orgAnizzAtivi innovAtivi

28

ne e produzione, sia che si tratti di prodotti, sia che si tratti di servizi,

dove per “difetto” si intende qualunque valore che esca dai limiti pre-

stabiliti.

Six Sigma traduce quindi le richieste del cliente (voice of the customer)

in termini di operatività dell’organizzazione e definisce i processi critici

e le attività che devono essere compiuti in maniera eccellente, senza

difetti.

Le indicazioni del cliente dovranno essere il riferimento costante per

evidenziare le caratteristiche critiche per la qualità (CTQ = critical to

quality), in modo che si possa agire su obiettivi specifici nell’ottica del

miglioramento della prestazione (figura 1).

vOCvoice of the costumer

miglioramentoCTQ

Critical to quality

metodologiasix sigma

Un approccio classico alla metodologia Six Sigma è il Dmaic (Defining,

measuring, analyzing, improving, controlling), una tecnica che punta

al miglioramento di processi già esistenti. Il Dmaic si articola nelle

seguenti fasi (tabella 2):

Fig. 1

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capitolo uno

29

01

Analizzando le diverse fasi si evidenziano le argomentazioni che si

devono trattare (tabella 3).

Tab. 3 a

DEF

INIR

E

focalizzazione degli obiettivi: in questa prima fase si definiscono gli obiettivi da conseguire. Le disposizioni imposte dalle normative statali sono:

• adesione alle normative sulla sicurezza

• centralizzazione delle strutture à istituzione di Umaca

• centralizzazione di stoccaggio farmaci oncologici à riduzione degli sprechi.

Identificazione dei problemi: cosa è necessario modificare, sostituire o creare al fine di raggiungere i traguardi fissati.

Analisi delle incongruenze.

MIS

UR

ARE

Ci si adopera per raccogliere dati storici, numerici e non, che possano essere di aiuto per descrivere e comprendere meglio i vari step dei processi. Si tratta di verificare dove si prepara, dove si somministra, in che tipo di regime (reparto, day hospital, ambulatorio), identificando l’unità operativa che ha la maggioranza dei cicli oncologici e rilevando le incongruenze organizzative che vedono altre unità operative preparare e somministrare farmaci oncologici.

Tab. 2DEFINIRE MISURARE ANALIZZARE COMPROVARE CONTROLLARE

Ci si concentra sulla definizione degli obiettivi e sull’identificazione dei problemi. In questa fase occor-re specificare: cosa si vuole analizzare, quali obiettivi si vogliono perseguire con il progetto, quali sono le risor-se necessarie per realizzare il proces-so, quanto tempo è necessario fino alla sua conclusione.

Si considera ogni attività come misurabi-le, quindi dopo aver trovato le critical to quality su cui si vuole intervenire, si deve passare alla ricerca degli indicatori più appropriati per quel tipo di at-tività e alla rac-colta dei dati.

In questa fase si analizzano i dati raccolti, si fissano gli ipotetici valori ottimali della prestazione e si determinano le capacità del processo.

In questa fase si devono identi-ficare le variabili che influiscono maggiormente sulle critical to quality prese in esame.

In questa fase si verifica che il processo abbia raggiunto il livello di miglioramento che era stato prefissato nella fase di improve e che i risultati rag-giunti possano essere mantenuti nel tempo.

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ApplicAzione di modelli orgAnizzAtivi innovAtivi

30

Tab. 3 b

ANAL

IZZA

RE

Essendo la mancanza di sicurezza una delle criticità principali, è stata effettuata una risk analysis (valutazione dei rischi) sia dal punto di vista degli operatori che dei pazienti. Per fare questo è stata utilizzata la Fmea (Failure mode and effect analysis), che per ogni operazione permette di valutare:

• probabilità (P) del verificarsi di un evento: si valuta su una scala da 1 a 10, dove 1 indica una possibilità pressoché nulla, mentre 10 la possibilità quasi certa;

• gravità (G) dell’evento: si valuta su una scala da 1 a 10, dove 1 indica l’assenza di effetti dannosi, mentre 10 indica la morte dell’utente;

• rilevabilità (R): possibilità che ha l’utente di rilevare il guasto prima che questo avvenga; valutata con un indicatore da 1 a 10, dove per 1 si intende la rilevabilità certa, mentre con 10 la rilevabilità nulla.

Infine si calcola l’RPN (risk priority number) che è l’indice di priorità del rischio: si calcola facendo il prodotto tra probabilità, gravità e rilevabilità: P x G x R = (1< RPN<1000). Dai valori del risk priority number si possono evidenziare operazioni che comportano un elevato rischio sia per l’operatore che per il paziente. Si deve cercare di eliminare le azioni superflue e di diminuire il rischio di quelle necessarie.

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capitolo uno

31

01Tab. 3 c

CO

mPr

OvA

re

Una volta fissati gli obiettivi e analizzati i processi, si devono prendere delle decisioni e applicarle.

Una delle più importanti è quella di dedicare tempo alla formazione del personale coin-volto: una formazione continua, on going, che tenga conto di tutte le problematiche accadute in passato e che potrebbero accadere nell’immediato futuro. Un percorso formativo previsto già al momento dell’assunzione di personale destinato al servizio di preparazione e somministrazione di chemioterapici antiblastici, così come in caso di trasferimento di personale operante in altri settori o in caso di introduzione di nuovi principi attivi o nella eventualità di introduzione di nuove procedure.

Un’altra importante proposta è stata quella di una sorveglianza sanitaria e di una valu-tazione dell’esposizione. Il personale maggiormente esposto ai chemioterapici antibla-stici deve essere sottoposto regolarmente a sorveglianza sanitaria. Tale sorveglianza comprende visite mediche e accertamenti integrativi con periodicità annuale. A conclu-sione dei controlli, il medico competente rilascia il giudizio di idoneità per la mansione specifica.

Il processo prevede la creazione di una Unità di manipolazione chemioterapici antibla-stici (Umaca) che diventa poi Unità farmaci antiblastici (Ufa), per poi allargarsi, in funzio-ne dell’interesse per dispositivi medici e marker tumorali, a Unità terapie oncologiche (Uto). La centralizzazione dell’attività di preparazione dei farmaci consente un notevole risparmio di tempo, evitando al contempo sprechi di medicinali. Inoltre lo smaltimento di materiale contaminato può essere effettuato più facilmente.

Sarebbe necessario anche centralizzare in un unico luogo la somministrazione, in modo da ottimizzare le risorse. Per una migliore gestione dei farmaci oncologici sarebbe utile standardizzare alcuni processi: Prescrizione: standardizzare protocolli di terapia speci-fici per ciascuna unità operativa, in modo da assicurare l’appropriatezza prescrittiva e il monitoraggio dei farmaci che lo prevedono; istituire specifici drug days.

Preparazione: definire specifici turni per l’attività di preparazione.

Informatizzazione del processo organizzativo: al fine di garantire la gestione del rischio clinico e la tracciabilità dell’intero ciclo, occorre acquisire un programma gestionale, con le seguenti caratteristiche:

• gestione del codice a barre personale del paziente;

• gestione della prescrizione per i centri abilitati;

• trasferimento per via telematica alla farmacia;

• validazione della prescrizione da parte del farmacista con stampa di foglio di lavoro, etichette e foglio di somministrazione.

CO

nTr

OLL

Are

In questa ultima fase del Dmaic si controllano i miglioramenti ottenuti in seguito alla fase di improve. Un buon metodo di confronto è quello di ricalcolare la Fmea per l’operatore e per il paziente.

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ApplicAzione di modelli orgAnizzAtivi innovAtivi

32

COnCLusIOnI

L’integrazione di queste due teorie di gestione (Lean thinking e Six

Sigma) è necessaria al fine di consentire una riorganizzazione aziendale

rapida ed efficace. Una filosofia che punta a un miglioramento continuo,

che non considera l’ospedale come una struttura rigida e immutabile,

ma che impone una flessibilità e una predisposizione al cambiamento,

che, in questo caso, ha portato numerosi benefici, sia in ambito di

sicurezza che di risparmio economico.

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capitolo uno

33

011.2 Il progetto mago

L’azienda ospedaliera di Melegnano è costituita da sei stabilimenti

ospedalieri, oltre a numerosi poliambulatori distribuiti su un vasto

territorio, con una popolazione di oltre 700mila abitanti.

Nella struttura, che può essere definita a media complessità, le pato-

logie tumorali vengono trattate prevalentemente nelle due Strutture

complesse di Oncologia, situate rispettivamente nel Presidio ospeda-

liero di Vizzolo Predabissi e in quello di Gorgonzola.

Ad oggi l’allestimento delle terapie oncologiche viene ancora effettua-

to in questi due reparti, nonostante i numerosi tentativi condotti negli

ultimi anni di centralizzare l’attività in Farmacia.

Alla fine del 2009 all’interno della Struttura complessa di Farmacia

viene inaugurato il settore di Galenica clinica, con l’obiettivo di allestire

preparazioni sterili e non sterili per dare una risposta ai bisogni tera-

peutici dei singoli pazienti, in termini di qualità e sicurezza, e all’esigen-

za di una maggiore economicità degli interventi.

Viene pertanto deciso di applicare una metodologia apparsa nel 1995

sul bollettino Sifo e messa in pratica all’azienda ospedaliera di Legna-

no e successivamente all’ex azienda ospedaliera Istituti clinici di perfe-

zionamento di Milano. Si tratta, in sostanza, di un approccio graduale

al processo di centralizzazione delle terapie oncologiche in Farmacia.

Il percorso viene diviso in più fasi, che possono variare in base all’am-

bito di applicazione. Nel caso specifico sono stati previsti tre differenti

livelli di intervento (figura 1):

LIveLLO 1° dIsPensAzIOne

PersOnALIzzATA deLLA TerAPIA

OnCOLOgICA

LIveLLO 2° COnsuLenzA

TeCnICO - fArmACeuTICA

LIveLLO 3° gesTIOne

CenTrALIzzATA deLL’ALLesTImenTO

Fig. 1

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ApplicAzione di modelli orgAnizzAtivi innovAtivi

34

Ognuna di queste fasi non può prescindere dalle risorse disponibili e

deve tener conto sia della competenza raggiunta dal personale coin-

volto, sia delle possibilità operative. In ogni livello vengono evidenziate

le aree d’intervento specifiche: Organizzazione, Personale, Area di la-

voro, Materiali e strumentazione (figura 2). Solo dopo il raggiungimen-

to del risultato in ognuna di esse, si potrà passare al livello successivo.

La prima fase del percorso è rappresentata dal progetto Mago (Magaz-

zino aziendale di gestione farmaci oncologici), che può essere definito

come l’applicazione di un primo livello della metodica dell’“approccio

graduale”. L’obiettivo del progetto è la realizzazione di un sistema che

consenta la dispensazione personalizzata della terapia oncologica dal

settore di Galenica clinica al reparto e che permetta inoltre la raccolta

di informazioni da utilizzare nelle fasi successive del percorso verso la

centralizzazione delle terapie oncologiche in Farmacia.

OrgAnIzzAzIOne

AreA dI LAvOrO

PersOnALemATerIALI

esTrumenTAzIOne

Fig. 2

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capitolo uno

35

01OrgAnIzzAzIOne

La quantità e la tipologia di farmaci da inviare in reparto vengono sta-

bilite sulla base di una specifica modulistica, precedentemente concor-

data con l’oncologo medico o con l’ematologo, in cui vengono riporta-

te informazioni indispensabili al farmacista per erogare i prodotti giusti

nella quantità corretta.

A tale scopo, si è stabilito di utilizzare un modulo unico sia per la

dispensazione dei farmaci in reparto, sia per l’allestimento del ciclo

chemioterapico (tabella 1), evitando un inutile ed eccessivo appesanti-

mento delle attività del personale coinvolto.

Inoltre, sempre con l’obiettivo di semplificare le procedure organizzati-

ve è stato creato nel sistema informatico aziendale un ambiente condi-

viso, denominato Oncocond, in cui è possibile visionare il programma

dei cicli chemioterapici e lo schema di trattamento antiblastico.

Le informazioni presenti nello schema vengono verificate dal farmaci-

sta; in modo particolare si controlla se il trattamento è on label e se il

calcolo della dose da somministrare è corretto. Successivamente si

procede all’inserimento all’interno di un data base dei seguenti dati:

1. nome e cognome

2. Patologia

3. giornata di terapia (lunedì, martedì,…)

4. Ciclo chemioterapico

5. superficie corporea o peso o AuC (in base al farmaco)

6. Principio attivo

7. dosaggio previsto espresso in mg/mq o mg/kg o AuC (in base al farmaco)

8. eventuale riduzione del dosaggio

9. reparto

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36

Tab. 1

SCHEMA DI TRATTAMENTO ANTIBLASTICO: LV5FU2 (De Gramont) De Gramont A. et al., J Clin Oncol 1997;15:808-15

Paziente:

Data di nascita:

Peso kg Altezza cm Superficie corporea mq

Diagnosi

Numero cicli programmati

Intervallo fra i cicli 14 giorni

Data e numero ciclo

Dosaggio � 100% � 75% � 50%

GIORNO 1 data

Ordine di

somministrazione Farmaco Dosaggio Diluizione

Somministrazione Firma - ora

1 Kytril fl 3 mg S.F 100 ml ev

Al bisogno Plasil fl 10 mg S.F 100 ml ev

15 minuti prima della chemioterapia

Ordine di somministrazione

Farmaco Dosaggio totale (in mg)

Diluizione Somministrazione

Firma - ora

2 Acido folinico (100 mg/mq)

S.F. 250 ml ev in 2 ore

3 5-Fluorouracile (400 mg/mq)

ev in bolo

4 5-Fluorouracile (600 mg/mq)

S.F. 500 ml ev in ic di 22 ore

GIORNO 2 data

Ordine di

somministrazione Farmaco Dosaggio Diluizione

Somministrazione Firma - ora

1 Kytril fiale 3 mg S.F. 100 ml ev

Al bisogno Plasil fiale 10 mg S.F. 100 ml ev

15 minuti prima della chemioterapia

Ordine di somministrazione

Farmaco Dosaggio totale (in mg)

Diluizione Somministrazione

Firma - ora

2 Acido folinico (100 mg/mq)

S.F. 250 ml ev in 2 ore

3 5-Fluorouracile (400 mg/mq)

ev in bolo

4 5-Fluorouracile (600 mg/mq)

S.F. 500 ml ev in ic di 22 ore

Firma medico prescrittore

Firma diluitore antiblastici

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capitolo uno

37

01

Si ottiene così una tabella in cui vengono indicati per singola giornata

i farmaci da inviare in reparto (tabella 2).

La consegna dei chemioterapici avviene secondo una precisa calenda-

rizzazione, che prevede per il Day hospital e per il reparto di Oncologia

di Gorgonzola l’invio entro le ore 13.30 del giorno precedente alla

somministrazione, mentre per il Day hospital e il reparto di Oncologia

di Vizzolo Predabissi il mattino stesso, entro le ore 8.

Il trasporto dei farmaci antiblastici viene effettuato con appositi con-

tenitori, leggeri e anti-urto. Inoltre, nello stabilimento ospedaliero di

Gorgonzola il mantenimento della catena del freddo, per i farmaci da

conservare a una temperatura compresa fra 2-8°C, viene garantito da

una specifica procedura.

In questa prima fase, il percorso organizzativo si è concluso con la

centralizzazione, nei locali del settore di Galenica clinica, di tutti i far-

Tab. 2

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ApplicAzione di modelli orgAnizzAtivi innovAtivi

38

maci antiblastici presenti in azienda, eliminando completamente le

scorte nei reparti e vincolando l’erogazione del farmaco all’inserimen-

to del paziente in agenda e alla corretta compilazione dello schema di

trattamento. Una scelta che ha rappresentato il punto di svolta dell’in-

tero progetto, dando alla Farmacia il completo controllo sul percorso,

dall’approvvigionamento fino alla somministrazione.

PersOnALe

Il personale del settore di Galenica clinica e del reparto, coinvolto nel

trasporto e nello stoccaggio del farmaco, è stato adeguatamente ad-

destrato e formato, anche sui protocolli di decontaminazione da appli-

care in caso di rottura accidentale dei contenitori. Per tale motivo, lo

stoccaggio e la conservazione dei farmaci avvengono in un’area dedi-

cata e opportunamente protetta, che dispone di un set di intervento

nel caso di spandimento accidentale di chemioterapici.

AreA

La centralizzazione in Farmacia ha consentito di immagazzinare tutti i

farmaci antiblastici presenti in azienda in un unico ambiente, per una

gestione più sicura e controllata, prevedendo protocolli di pronto inter-

vento in caso di spandimento accidentale. Inoltre, l’area di stoccaggio

è stata contrassegnata con la specifica simbologia internazionale Bio-

Hazard.

mATerIALI e sTrumenTAzIOne

Lo stoccaggio dei chemioterapici avviene in armadi chiusi dotati di

ribaltine, in modo da ridurre al minimo il rischio di caduta accidentale

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capitolo uno

39

01dei flaconi. Per il trasporto in reparto delle terapie vengono utilizzati

contenitori chiusi, resistenti agli urti e con specifici alloggiamenti.

I contenitori arancioni riportano in modo evidente un’etichetta con la di-

citura «Attenzione: chemioterapici antiblastici, maneggiare con cura»,

con la simbologia internazionale Bio-Hazard.

rIsuLTATI

La realizzazione di un ambiente unico in tutta l’azienda ha permesso di

raggiungere tre importanti risultati: consentire alla Farmacia un reale

controllo su tutte le terapie oncologiche; eliminare le scorte di reparto;

ridurre il numero di persone esposte.

1. Consentire alla Farmacia un reale controllo su tutte

le terapie oncologiche

La possibilità di visionare tutta la documentazione sanitaria del pa-

ziente (schema chemioterapico, cartella clinica, lettera di dimissioni,

esami di laboratorio), di conoscere la programmazione dei cicli che-

mioterapici, di sapere quali sono i protocolli in uso in reparto e di

avere accesso ad alcune informazioni di tipo amministrativo, come la

compilazione delle schede di File F, ha consentito al farmacista una

condivisione con il clinico del percorso che porta alla scelta della tera-

pia, eliminando i presupposti per un clima di diffidenza del reparto nei

confronti della Farmacia, che è stato la causa principale del fallimento

dei tentativi di centralizzazione condotti negli anni precedenti.

2. Eliminare le scorte di reparto

La creazione di un magazzino unico aziendale in cui stoccare tutti i

farmaci chemioterapici presenti in azienda ha permesso nel 2010 un

risparmio di circa 400mila euro. Inoltre, l’eliminazione delle scorte di

reparto ha ridotto alcune attività del personale legate all’approvvigio-

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ApplicAzione di modelli orgAnizzAtivi innovAtivi

40

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capitolo uno

41

01namento, al controllo delle scadenze e allo stoccaggio.

3. Ridurre il numero delle persone esposte

Con la decisione di vietare la presenza di scorte di farmaci chemiote-

rapici nei reparti è stato raggiunto l’importantissimo obiettivo di ridurre

il numero dei soggetti a rischio di esposizione. Inoltre, concentrando

le scorte in un unico ambiente, le risorse da investire nei locali e negli

arredi per garantire la sicurezza del personale addetto allo stoccaggio

risultano ridotte, in quanto limitate a poche aree.

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ApplicAzione di modelli orgAnizzAtivi innovAtivi

42

1.3 Terapia orale in oncologia: un ambulatorio sperimentale

InTrOduzIOne

Nel 2010, da un sondaggio condotto dall’Aiom (Associazione italia-

na oncologia medica) su 580 pazienti oncologici in terapia endo-

venosa è emerso che più della metà (56%) preferirebbe assumere lo

stesso farmaco per bocca.

Sempre l’Aiom, in un’analoga ricerca, rivolta a 500 specialisti, ha evi-

denziato che il 94% degli intervistati negli ultimi due anni ha incremen-

tato il ricorso a formulazioni orali.

Il quadro che emerge mostra come nei prossimi anni si assisterà a

un radicale cambiamento nella modalità di somministrazione dei trat-

tamenti in oncologia, con un sempre maggiore utilizzo della terapia

orale rispetto a quella endovenosa.

Il ricorso alle formulazioni orali consente ai pazienti di godere di alcuni

indubbi vantaggi, primo fra tutti la possibilità di assumere la terapia a

domicilio senza bisogno di recarsi in ospedale o in ambulatorio per il

trattamento. La gestione della terapia orale risulta molto più semplice

di quella parenterale, in quanto il paziente non necessita di accessi

venosi centrali o periferici. Va infine considerato che molti chemio-

terapici somministrati per via endovenosa sono vescicanti, irritanti o

necrotizzanti e richiedono particolari attenzioni durante la sommini-

strazione, con il rischio, in caso di fuoriuscita accidentale (stravaso),

di gravi danni.

I vantaggi evidenziati possono essere vanificati del tutto o in parte se

non si considera il rovescio della medaglia: infatti, la prescrizione di

In collaborazione con: Angela rita Iannuzzi, Farmacista A.O. Melegnano (MI) e giuseppe Caravella Responsabile del Settore galenica clinica A.O. di Melegnano (MI)

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capitolo uno

43

01una formulazione orale a domicilio deve tenere presente la possibilità

di una scarsa aderenza alla terapia da parte del paziente, le interazioni

con altri farmaci assunti per bocca, la biodisponibilità della via orale.

Tab. 1 - elenco di alcuni dei farmaci disponibili per la terapia oralenome commerciale

sutentPrincipio Attivo

sunitinibformulazioni disponibili

12.5 25-50 mgXeloda Capecitabina 150-500 mgTarceva Erlotinib 100-150 mgIressa Gefitinib 250 mgGlivec Imatinib 100 mgTyverb Lapatinib 250 mg

Nexavar Sorafenib 200 mgSprycel Dasatinib 20-50-70-80-100-140 mgRevlimid Lenalidomide 5-10-15-25 mgTemodal Temozolomide 5-20-100-140-180-250 mg

UFT Tegafur 100/224 mg

mATerIALI e meTOdI

La creazione di un ambulatorio sperimentale, nella Struttura comples-

sa di Oncologia del Presidio ospedaliero di Gorgonzola, dedicato alle

terapie orali, nasce con l’idea di creare un rapporto diretto farmacista-

paziente, che garantisca a quest’ultimo una completa informazione

sulle modalità di somministrazione di questi farmaci e sulle tossicità

correlate, con il duplice scopo di migliorare l’aderenza alla terapia e di

monitorare gli eventi avversi.

Sono state create delle schede informative per singolo farmaco, che

riportano le informazioni presenti in scheda tecnica, realizzate in modo

tale da renderle più semplici e accessibili al paziente. Tali schede ven-

gono consegnate ai pazienti prima dell’inizio della terapia e a ogni

successivo controllo. Fungono da promemoria per la posologia, la fre-

quenza di somministrazione e la durata della terapia. Includono racco-

mandazioni inerenti le possibili interazioni del farmaco con i cibi e i più

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ApplicAzione di modelli orgAnizzAtivi innovAtivi

44

comuni effetti collaterali (tabella 2). L’azienda ospedaliera di Melegnano

da sempre riconosce l’importanza della comunicazione con il paziente

e della sua informazione ed educazione. Entrambe le Unità operative

di Oncologia dell’azienda infatti hanno aderito al progetto Hucare (Hu-

manization of Cancer care), finanziato dal Ministero della Salute e dalla

Regione Lombardia, che prevede l’implementazione nei centri oncologi-

ci italiani di interventi evidence based medicine per migliorare lo stato

psico-sociale dei pazienti con cancro. Il progetto rappresenta una gran-

Tab. 2EsEmpio di schEda inFormaTiva rElaTiva a suniTinib

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capitolo uno

45

01

de opportunità di intraprendere un processo di miglioramento verso

l’umanizzazione dell’assistenza, ponendo al centro i bisogni informativi,

psicologici e sociali del paziente e dei loro familiari e amici. L’ambu-

latorio è gestito da un farmacista con il supporto organizzativo del

personale infermieristico. Mediante un database vengono registrati gli

accessi dei pazienti all’ambulatorio e le eventuali criticità relative al trat-

tamento. La maggior parte dei farmaci in questione è ancora recente

e necessita di un monitoraggio continuo in termini di farmacovigilanza.

Fig. 1pErcorso assisTEnzialE

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46

Tab. 3 caraTTEri-sTichE dEi paziEnTi

Tab. 4 rEazioni avvErsE rilEvaTE E sEgnalaTE in rnF

Il gefitinib, la capecitabina e la temozolomide, ad esempio, fanno parte

dell’elenco relativo ai farmaci sottoposti a monitoraggio intensivo da par-

te dell’Aifa (aggiornamento ottobre 2010): questo implica l’obbligo della

segnalazione di tutte le reazioni avverse, anche quelle note e non gravi.

L’ambulatorio delle terapie orali consente al farmacista di avere un

costante monitoraggio sulle reazioni avverse e di effettuare una tem-

pestiva segnalazione alla rete nazionale di farmacovigilanza.

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capitolo uno

47

01Nei primi otto mesi di attività dell’ambulatorio sono stati seguiti 16

pazienti (5 donne e 11 uomini; con un range di età di 41-79 anni) e

registrati 52 accessi (tabella 3).

Le patologie più frequentemente riscontrate sono: leucemia mieloide

cronica, carcinoma renale, carcinoma polmonare. I farmaci maggior-

mente prescritti sono risultati Nexavar (sorafenib) e Tarceva (erlotinib).

Le segnalazioni di reazioni avverse relative al periodo e ai farmaci in

esame sono tre, imputabili a Tarceva (erlotinib) e Sutent (sunitinib), non

gravi e con nesso di causalità probabile (tabella 4).

COnCLusIOnI

La creazione di tale servizio di assistenza è stata ben accolta dai pa-

zienti.

Ai fini dell’organizzazione del day hospital oncologico, questo servizio:

•haalleggeritoilpersonaleinfermieristicodaquestaattività;

•hagarantitounamiglioresuddivisionedeicarichidilavoro;

•havalorizzatolafiguradelfarmacista,unicoabilitatoprofes-

sionalmente alla dispensazione del farmaco.

È stato quindi possibile, sebbene con dati preliminari, valutare la fat-

tibilità di un ambulatorio dedicato alle terapie orali e l’impatto di tale

attività su rilevazione, monitoraggio e segnalazione delle reazioni av-

verse.

Non trascurabile, infine, è stato il contributo dato dalla farmacovigilan-

za a questi farmaci ancora recenti dal punto di vista della sorveglianza

post-marketing, ponendo le basi per interessanti sviluppi futuri.

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48

1.4 Il progetto Picc in oncologia: farmacista e dispositivi medici

Nella prefazione alla prima edizione del Compedio farmacologico e

tecnico-farmaceutico alle linee guida Sifo in oncologia, pubblicato

nel 2001, l’allora presidente della società scientifica, Giovanna Scroc-

caro, così descriveva la farmacia oncologica: «La farmacia oncologica

è quella parte della farmacia clinica che ha l’obiettivo di garantire l’uso

efficace, sicuro dei farmaci antitumorali. Oltre alla scelta del farmaco,

altri sono i fattori che concorrono a rendere ottimale una terapia, quali

l’utilizzo di sistemi di infusione sicuri, il monitoraggio della tollerabilità

e l’attenzione ai problemi pratici che il paziente neoplastico deve af-

frontare, come eventuali difficoltà nella somministrazione. Trattandosi

di farmaci che richiedono una particolare cautela nella preparazione,

il farmacista deve preoccuparsi anche di garantire una adeguata pro-

tezione agli operatori addetti alla preparazione, attraverso l’utilizzo di

attrezzature idonee, l’applicazione di procedure comportamentali ri-

gorose e la conoscenza delle caratteristiche tecniche dei materiali di

protezione».

Risulta evidente che l’ambito di competenza del farmacista specialista

in oncologia non deve essere limitato alla sola conoscenza della far-

maco-terapia, della farmaco-vigilanza o della farmaceutica delle inte-

razioni chimico-fisiche, ma deve includere anche quello dei dispositivi

medici (DM) e dei dispositivi di protezione individuale (DPI).

I medical device utilizzati per le procedure di allestimento e sommi-

nistrazione delle terapie oncologiche sono, insieme ai dispositivi di

protezione individuale, i prodotti storicamente di maggior interesse

In collaborazione con: giuseppe Caravella, Responsabile Settore galenica clinica A.O. Me-legnano (MI) e Pietro Antonio zerla Coordinatore Infermieri Struttura complessa di Oncologia medica Presidio ospedaliero di Gorgonzola A. O. Melegnano (MI)

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capitolo uno

49

01per il farmacista che si occupa di oncologia.

Negli ultimi anni nuovi prodotti stanno attirando l’interesse dei farmaci-

sti: tra questi, si annoverano i sistemi per gli accessi venosi (figura 1),

la cui scelta risulta cruciale nel garantire una sicura e corretta sommi-

nistrazione della terapia.

L’accesso venoso (AV) consente di collegare la superficie cutanea con

un distretto venoso. Si distingue in:

1. AV periferico (AVP)

2. AV centrale (AVC)

Fig. 1

L’accesso venoso periferico è un tubicino plastico biocompatibile

(teflon, poliuretano, silicone) che permette il collegamento tra la su-

perficie cutanea e un distretto venoso periferico (vene periferiche e

superficiali dell’avambraccio o vene periferiche profonde del braccio),

consentendo di infondere soluzioni ipotoniche. Le misure sono espres-

se in french per indicare il diametro esterno del lume, in gauge per

indicare il diametro interno, in centimetri per indicarne la lunghezza.

L’accesso venoso centrale è un tubicino di materiale biocompatibile

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ApplicAzione di modelli orgAnizzAtivi innovAtivi

50

(siliconi, poliuretani) assemblato in maniera differente a seconda della

sua specificità, che permette il collegamento tra la superficie cutanea

e un vaso venoso ad alto flusso (giugulare interna, succlavia, femora-

le).

sIsTemI Per gLI ACCessI vAsCOLArI

Butterfly

È un accesso venoso periferico costituito da un ago metallico fornito

di due alette in plastica che permettono di impugnare meglio l’ago

stesso per un più agevole posizionamento. Questo accesso viene

usato per reperire le vene periferiche e palpabili dell’avambraccio e

deve essere utilizzato solo per il prelevamento di campioni di sangue

venoso e per la somministrazione di singole terapie da effettuarsi in

bolo; non è indicato per terapie infusive continue ed è vietato per

la somministrazione di terapie che provochino necrosi tessutale. La

misura dell’ago è espressa per il diametro interno del lume in gauge.

Maggiore è il numero, minore sarà il diametro interno dell’ago. È un

presidio che nell’adulto trova ormai il suo utilizzo esclusivamente per il

prelevamento di campioni di sangue venoso e che è ancora utilizzabile

in neonatologia (aghi epicranici).

Agocannula

È un sottile tubicino di materiale pla-

stico biocompatibile (in poliuretani o

teflon).

Caratteristiche dei materiali di fabbri-

cazione:

n Poliuretano (PUR):

1. Termoplastico

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capitolo uno

51

012. Ritorno dal piegamento

3. Maggior biocompatibilità

4. Minore colonizzazione

5. Minore trombogenicità

n Teflon:

1. Non termoplastico

2. Rigido con scarso ritorno dal piegamento

3. Biocompatibile

4. Maggiore colonizzazione microbica

5. Maggiore trombogenicità

mid-line

È un catetere venoso periferico a

lume singolo in silicone o poliureta-

no, valvolato o non valvolato, flessi-

bile, morbido, biocompatibile, lungo

15-25 centimetri, di diametro va-

riabile tra 2 e 6 french, con durata

media di permanenza 30 giorni. Si

posiziona in una vena della piega del

gomito oppure in una vena profonda

del braccio (basilica, brachiale, cefa-

lica) tramite l’utilizzo di un ecografo

con sonda ad alta frequenza (7,5-9

MHz), attraverso il metodo ecoguidato con introduzione di una micro-

guida. Essendo un accesso venoso con inserzione periferica, l’impian-

to può essere effettuato da personale infermieristico adeguatamente

formato. Questo accesso non è adatto per l’infusione di soluzioni iper-

toniche o di farmaci antiblastici. La misura del catetere è espressa

in french per il diametro esterno, in gauge per il diametro interno, in

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ApplicAzione di modelli orgAnizzAtivi innovAtivi

52

centimetri per la lunghezza.

n Vantaggi:

1. impianto infermieristico

2. impianto anche a domicilio

3. minor rischio di sepsi sistemiche

4. minor costo

5. durata maggiore rispetto a un ago cannula

6. può essere posizionata in modo da rendere agevoli i movimenti

degli arti superiori.

n Svantaggi:

1. richiede vene periferiche agibili o reperibili ecograficamente

2. necessita di conoscenza e di esperienza da parte dell’operatore

3. contempla il rischio di tromboflebiti locali (dipende dal rapporto

tra calibro del vaso e presidio utilizzato).

Picc (Peripherally inserted central catheters)

È un catetere venoso centrale a inserzione periferica, a lume singolo

in silicone o poliuretano, valvolato o non valvolato, flessibile, morbido,

biocompatibile, lungo 40-60 centimetri, con durata media di perma-

nenza superiore ai 30 giorni. Si posiziona pungendo una vena super-

ficiale della piega del gomito oppure reperendo ecograficamente una

vena profonda del braccio (basilica,

brachiale, cefalica), tramite l’utilizzo

di una sonda ad alta frequenza (7,5-

9 MHz) con introduzione di microgui-

da. Essendo un accesso venoso a

inserzione periferica, l’impianto può

essere effettuato da personale infer-

mieristico adeguatamente formato.

Le misure sono espresse in french

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capitolo uno

53

01per indicare il diametro esterno, in gauge per indicare il diametro in-

terno e in centimetri per indicare la lunghezza. Possono essere a uno

o più lumi.

n Vantaggi:

1. impianto infermieristico

2. minor rischio di sepsi sistemiche

3. minori costi rispetto a un catetere venoso centrale

4. abolizione dei rischi legati alla venipuntura centrale

5. impianto a domicilio

n Svantaggi:

1. richiede vene periferiche agibili o reperibili ecograficamente

2. richiede esperienza e conoscenza da parte dell’operatore

3. sono possibili tromboflebiti locali (da discrepanza tra calibro del

vaso e presidio)

4. si possono verificare malposizioni primarie non sostituibili su guida

5. durata limitata nel tempo (rispetto ai cateteri a lungo termine)

6. necessità di controllo radiografico dopo l’impianto

7. flusso limitato (diametri da 2-6 french o 16-25 gauge)

n Complicanze:

1. mancata reperibilità della vena

2. mancata incannulazione della vena

3. mancata progressione del catetere

4. malposizione primaria (soprattutto sulla cefalica)

5. emorragia locale

6. tromboflebite meccanica sterile

7. infezioni locali (da stafilococco)

8. sepsi del catetere

9. embolia gassosa

10. tromboflebite ascellare (se il Picc migra in succlavia)

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Catetere venoso centrale (CvC)

In letteratura, il catetere ve-

noso centrale è definito come

quel catetere la cui punta è

localizzata nel terzo distale

della vena cava superiore o

nel terzo prossimale dell’atrio

destro o alla giunzione cavo

atriale. Consente di veicola-

re in maggior sicurezza infusioni ipertoniche e soluzioni vescicanti;

di infondere in modo continuo e/o protratto nel tempo; di mettere in

pratica procedure speciali (rilevazione della pressione venosa centra-

le, dialisi, feresi). Le misure sono espresse in french per indicare il

diametro esterno del lume, in gauge per indicare il diametro interno e

in centimetri per indicare la lunghezza. Sono di solito in poliuretani o in

silicone, possono avere uno o più lumi, sono a punta chiusa (cateteri

con valvola antireflusso all’estremità distale) oppure a punta aperta. Si

considerano a breve, a medio o a lungo termine in base all’utilizzo a

cui sono destinati.

I cateteri venosi centrali devono avere questi requisiti: stabilità dell’ac-

cesso venoso, possibilità di un uso discontinuo, durata illimitata, pro-

tezione dalle complicanze infettive, massima compatibità.

I cateteri venosi centrali a breve termine sono cateteri esterni non

tunnellizzati, in poliuretano, a punta aperta, posizionati di solito in vena

giugulare interna o succlavia. Hanno una permanenza di 20-30 giorni

e sono adatti all’uso continuo in pazienti ospedalizzati.

I cateteri venosi centrali a medio termine sono cateteri esterni non

tunnellizzati in silicone, a punta aperta, posizionati in una vena centrale

(Hohn) oppure cateteri in poliuretano o silicone posizionati in una vena

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capitolo uno

55

01periferica degli arti superiori (Picc a punta aperta o chiusa). Hanno una

permanenza prevista inferiore a 2-3 mesi, sono adatti a un uso discon-

tinuo, in pazienti non ospedalizzati o in ospedalizzazione periodica.

I cateteri venosi centrali a lungo termine sono tunnellizzati (a punta

aperta o chiusa), posizionati in una vena centrale. Hanno una perma-

nenza superiore a 2-3 mesi e comunque illimitata, sono adatti per

uso discontinuo, in pazienti non ospedalizzati (domicilio, day-hospital,

ambulatorio).

Catetere venoso centrale (CvC) totalmente impiantabile (Port)

Sono costituiti da una camera

serbatoio o reservoir (di soli-

to in titanio e/o polisulfone) e

da un catetere venoso centra-

le in silicone o poliuretano di

nuova generazione, connes-

so al reservoir stesso tramite

un sistema di raccordo. Può

essere a punta aperta o chiu-

sa, a lume singolo o doppio, con reservoir singolo o doppio. L’accesso

al Port avviene mediante puntura percutanea del serbatoio con un ago

non-coring (ago di Huber, gauge 24-19) perforabile fino a circa 3000

volte.

n Vantaggi:

1. Garantisce un buon risultato estetico e cosmetico, particolar-

mente importate per pazienti giovani e attivi

2. Preserva l’immagine corporea

3. È comodo da gestire

4. Consente il nuoto e il bagno

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5. Consente l’utilizzo per un periodo lungo, anche anni

6. Ha un minore rischio di infezione.

n Svantaggi:

1. È necessario personale esperto per la gestione del dispositivo

2. Aumenta il rischio per gli operatori durante l’inserimento dell’ago

3. Il paziente avverte dolore durante il posizionamento e la rimozio-

ne dell’ago

4. Sussiste una possibilità di stravaso da dislocazione dell’ago dal

reservoir

5. È necessario l’uso dell’ago apposito per non danneggiare la

membrana

6. Sono possibili danni cronici da puntura della cute e danni cutanei

da sanguinamento.

n Siti d’intersezione del CVC

(figura 2):

1. Succlavia

2. Sopraclaveare

3. Sottoclaveare

4. Giugulare interna

5. Approccio basso

(medicazioni stabili

e pulite)

6. Approccio alto (me-

dicazioni difficili e

scadenti)

7. Femorale

Fig. 2siTi d’inTErsEzionE dEl cvc

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capitolo uno

57

01Cateteri venosi centrali medicati

Vista l’alta incidenza della colonizzazione batterica dei cateteri, nell’ul-

timo decennio sono stati creati dei nuovi presidi, realizzati tramite rico-

pertura antiadesiva o trattamenti con sostanze antibatteriche.

1. Cateteri venosi centrali con rivestimenti idrofilici

I cateteri venosi centrali polimerici hanno la caratteristica di idro-

filicità. Tanto più un catetere possiede superfici idrofilitiche, tanto

più risultano ostacolati i fenomeni di adesione, dal momento che

i batteri aderiscono meglio a superfici idrofobiche. Questo ha in-

dotto la produzione di presidi ricoperti con materiale idrofilitico

diverso: da un sottile film idrofilico di poli-N-vinilpirrolidone a un

rivestimento con derivati dell’acido ialuronico.

2. Cateteri venosi centrali trattati con sostanze antimicrobiche

Argento

L’impregnazione con argento della matrice polimerica dei ca-

teteri venosi centrali è una strategia per la prevenzione delle

infezioni. La sua efficacia è data dal rilascio di ioni argento che

si legano al Dna microbico, impedendo la replicazione batterica,

e ai gruppi sulfidrile degli enzimi microbici, che ne causano la

disattivazione metabolica. Rispetto ad altri metalli pesanti con

proprietà antimicrobiche, l’argento è il meno tossico per l’uomo.

Cloruro di benzalconio

Complesso quaternario dell’ammonio con azione antimicrobica

specialmente nelle specie gram-positive; ad alte concentrazioni

risulta attivo anche su gram-negative e funghi (candide). La sua

azione è dovuta alla capacità di inibire le funzioni di membrana

dei microrganismi e la replicazione del Dna. La limitata attività

antimicrobica di questi presidi li limita nell’utizzo di cateteri ve-

nosi centrali per tempi brevi.

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58

Clorexidina e argento-sulfadiazina

La copertura con questi due componenti sembra essere uno

dei più promettenti approcci per la prevenzione delle infezioni.

Questi due composti determinano l’alterazione della membrana

batterica indotta dalla clorexidina, la quale permette l’ingresso

degli ioni argento nella cellula batterica, interferendo sulla repli-

cazione del Dna.

L’ACCessO venOsO neL PAzIenTe OnCOLOgICO

La cura del paziente oncologico richiede un frequente ricorso a un ac-

cesso vascolare e spesso il dispositivo prescelto è l’ago cannula per

la sua semplicità d’impianto. Questo prodotto espone il paziente a una

serie di rischi, come lo stravaso, la tossicità endoteliale, l’esaurimento

del patrimonio venoso.

Infatti, la somministrazione di antiblastici pone problemi di tossicità

che sono inusuali per altre classi di farmaci e spesso il ricorso a un

accesso venoso centrale rappresenta la via preferibile da percorrere,

a causa sia della particolare complessità dei regimi chemioterapici a

cui il paziente viene sottoposto, che della frequente necessità di un

supporto farmacologico (antiemetici, antibiotici, oppiacei) e di idrata-

zione, oltre che di prelievi ematici periodici, infusione di nutrienti e di

emoderivati.

Le indicazioni all’impiego di sistemi di accesso vascolare si sono mol-

to evolute negli ultimi anni, grazie soprattutto a una riduzione delle

complicanze a essi correlate. Ciò è connesso soprattutto a un miglio-

ramento e a un’evoluzione dei materiali disponibili.

L’accesso venoso centrale in oncologia fa dunque parte oggi della

pianificazione terapeutica allo scopo di preservare la qualità di vita del

paziente, garantire l’aderenza al piano di cure ed evitare di interrompe-

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capitolo uno

59

01re il programma di infusione per deterioramento dell’accesso venoso.

Nonostante fosse già chiara da anni la necessità di prevedere per que-

sti pazienti un accesso venoso stabile, spesso per problemi organizza-

tivi, dovuti alla scarsa disponibilità di ambienti idonei e di personale, si

è continuato a preferire l’utilizzo degli aghi cannula, limitando il ricorso

agli altri dispositivi.

IL PrOgeTTO dI meLegnAnO

Nel 2008, nell’azienda ospedaliera di Melegnano, nasce un progetto

che ha come obiettivo quello di verificare l’utilità clinica e la sostenibi-

lità economica, nella pratica quotidiana, dei cateteri periferici Midline

e dei cateteri centrali Picc. L’esperienza ha preso avvio a partire da

una collaborazione tra il Dipartimento di Oncologia e l’Unità operativa

di Farmacia.

Da un’approfondita analisi degli accessi venosi sia centrali che periferi-

ci nel paziente oncologico, è emerso che il ricorso routinario agli aghi

cannula era causa di frequenti complicanze, come tromboflebiti, stra-

vasi o esaurimento del patrimonio venoso. Inoltre, la somministrazione

di farmaci a basso o ad alto pH, vescicanti, irritanti o necrotizzanti

avveniva per via periferica anziché centrale. Un simile approccio era

determinato dalle difficoltà organizzative, visto che il posizionamento

di un accesso venoso centrale richiede personale medico specializ-

zato (rianimatore o chirurgo) e un ambiente asettico, come la sala

operatoria.

Si è cercato quindi di risolvere il problema attraverso l’introduzione di

due nuovi dispositivi, che non richiedessero l’utilizzo di una sala ope-

ratoria e che potessero essere impiantati anche da infermieri. Ciò ha

richiesto la realizzazione di un percorso organizzativo innovativo, che

può essere definito “modello Melegnano”. Un progetto che pone le

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ApplicAzione di modelli orgAnizzAtivi innovAtivi

60

proprie basi sulla figura dell’infermiere, a cui affidare la responsabilità

dell’impianto, attraverso un complesso percorso di formazione, che

prevede: un master universitario, dove acquisire sia le basi teoriche

che pratiche, e l’impianto di un determinato numero di cateteri sotto la

supervisione di un tutor per valutare l’idoneità all’esecuzione in autono-

mia. Al termine di tale percorso, l’infermiere impiantatore viene ricono-

sciuto come l’unico autorizzato a eseguire gli impianti di Picc e Midline

in tutta l’azienda, mentre il medico risulta il garante della prescrizione

e dell’avvenuto posizionamento.

In seguito, si è deciso di coinvolgere nel progetto, oltre a medici,

infermieri e farmacisti, anche altre figure: un microbiologo, un infetti-

vologo, un radiologo. Si è così costituito il Picc Group aziendale (figura

3), a cui è stata delegata la stesura di un protocollo per l’impianto e

la gestione dei dispositivi e del consenso informato, oltre alla realizza-

zione di corsi interni con lo scopo di formare e sensibilizzare tutto il

personale medico e infermieristico.

PICC TeAm AzIendALe

Fig. 3

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capitolo uno

61

01PrOTOCOLLO AzIendALe

Il progetto ha consentito, il 16 febbraio 2010, la realizzazione del pri-

mo impianto; il percorso realizzativo è durato due anni, durante i quali

sono state poste le basi per la costruzione degli attuali 400 impianti,

tutti documen-

tati e monito-

rati attraverso

l’utilizzo di un

software che

ha consentito

una sistema-

tica raccolta

dei dati (figure

4-7).

Fig. 4

Fig. 5

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ApplicAzione di modelli orgAnizzAtivi innovAtivi

62

Una scheda ana-

grafica del pa-

ziente, compilata

prima dell’impian-

to con indicazioni

personali e cli-

niche, compren-

siva di foto e di

consenso infor-

mato, consente

una più facile

ident i f icazione

del malato.

Una scheda d’impianto descrive in modo puntuale tutte le fasi dell’in-

tervento; inoltre, vengono riportate le immagini ecografiche della vena

prima e dopo l’inserimento del catetere venoso, fornendo informazioni

sul medico prescrittore e sull’infermiere impiantatore.

Fig. 6

Fig. 7

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capitolo uno

63

01Una scheda riepilogativa riporta tutte le informazioni utili per la ge-

stione del dispositivo: la scheda anagrafica, la scheda d’impianto e la

scheda di tutte le medicazioni effettuate, indicando in ogni sezione il

responsabile di ogni singola operazione.

L’analisi dei dati dopo un anno mostra che nel paziente oncologico il

Picc, e in alcuni casi anche il Midline, sta progressivamente sostituen-

do il Port, i cateteri venosi centrali a breve termine, ma soprattutto il

tradizionale accesso venoso periferico (ago cannula). Infatti, a fronte

di una riduzione di quasi il 50% dei Port e della scomparsa dei cateteri

venosi centrali a breve termine, la vera novità è rappresentata dal

dimezzamento del numero degli aghi cannula utilizzati all’interno del

Dipartimento di Oncologia e dalla loro scomparsa quasi totale consi-

derando i soli i pazienti sottoposti a cicli di chemioterapia.

A fronte di un simile cambiamento, i dati mostrati nella figura 8 eviden-

ziano un livello di complicanze trombotiche, meccaniche, occlusive o

infettive ampiamente inferiori ai valori presenti in letteratura, con un

periodo medio di permanenza molto elevato, compreso fra i 3 e i 6

mesi per i Picc e di un mese per i Midline.

Fig. 8

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ApplicAzione di modelli orgAnizzAtivi innovAtivi

64

In particolare, fra le motivazioni che hanno sostenuto l’avvio del progetto

vi era l‘aspettativa di ridurre le complicanze infettive dovute all’impianto

e alla gestione dei cateteri venosi centrali a breve termine e dei Port.

Alla fine del 2010 è stato perciò condotto uno studio mirato a verifi-

care se con l’introduzione del dispositivo Picc si sia effettivamente de-

terminata una riduzione delle catheter-related bloodstream infections

nell’Unità operativa di Oncologia del Presidio ospedaliero di Gorgon-

zola. Durante la fase preliminare dello studio si è proceduto alla veri-

fica dei dati disponibili: dall’analisi è emerso che l’unica informazione

sempre riportata era riferibile alle setticemie, mentre eventi di minor

gravità non erano segnalati o comunque venivano riportati in modo

discontinuo e quindi non erano utilizzabili per un confronto.

Per verificare se l’obiettivo fosse stato raggiunto, si è proceduto

all’analisi di tutti gli accessi venosi centrali effettuati negli anni 2007,

2008, 2009 e 2010 (dato relativo alla fine di novembre). Si è quindi

proceduto a verificare se nel 2010 si fosse evidenziata una riduzione

dell’incidenza delle setticemie catetere-correlate nei pazienti portatori

di un impianto di Picc rispetto a quelli portatori di altri tipi di accessi

venosi centrali, sia nel corso dello stesso anno sia rispetto al 2007,

2008 e 2009. I casi di setticemia sono stati evidenziati attraverso

l’analisi delle schede di dimissione ospedaliera, mentre la correlazione

dell’evento settico con il catetere è stata portata alla luce attraver-

so un’analisi delle cartelle cliniche dei pazienti in cui si era verificato

l’evento. Sono stati considerati eventi settici tutti i casi in cui erano

presenti almeno due delle seguenti condizioni:a. febbre (> 38°) o ipotermia (< 36°)b. tachicardia (90 bpm) non spiegatac. segni di alterata perfusione cutanead. shock non spiegato (ad esempio, da cause ipovolemiche)e. alterazioni mentali (sopore, confusione)

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capitolo uno

65

01Per la correlazione fra l’evento settico e il catetere venoso centrale

sono invece state prese in considerazione le seguenti condizioni:a. crescita dello stesso microrganismo dal liquido di infusione e

da emocultura senza altre identificabili fonti di infezione;b. presenza di eritema, indurimento e/o dolore alla pressione

entro 2 centimetri dal punto di uscita del catetere, spesso associata a fuoriuscita di pus; possono essere presenti altri segni o sintomi di infezione come febbre; con o senza blood stream infection;

c. essudato a livello del punto di uscita del catetere che contie-ne microrganismi con o senza blood stream infection;

d. dolore alla pressione, eritema e/o indurimento > 2 centimetri dal punto di uscita, lungo il tratto sottocutaneo del catetere tunnellizzato, con o senza blood stream infection;

e. per i Port presenza di liquido infetto nella tasca sottocutanea di un catetere intravascolare totalmente impiantato, spesso associata a dolore alla pressione, eritema e/o area di induri-mento al di sopra della tasca; può essere presente una rottu-ra spontanea con drenaggio del liquido o necrosi della cute sovrastante con o senza blood stream infection;

f. in caso di rimozione del catetere, analisi microbiologica della punta;

g. nel caso di non rimozione del catetere, prelievo di due emo-culture di cui una dal catetere e una da vena periferica.

Nel 2007, su un totale di 90 impianti (tabella 1), si sono verificati sette

casi di setticemia in portatori di accesso venoso centrale (tabella 2).

In cinque di questi, si è con ogni probabilità di fronte a una catheter-

related bloodstream infection, mentre negli altri due casi i dati non

permettono di evidenziare una chiara correlazione.

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ApplicAzione di modelli orgAnizzAtivi innovAtivi

66

Tab. 1Impianti anno 2007

cvc z-port totale

30 60 90

Tab. 2Anno 2007

iniziali paziente

tipo impianto cr-BSi microrganiSmi rimozione giornate di ricovero

T.G. Z-PORT SìStafilococco

coagulasi negativo

Sì (10/04/07)

dal 26.03.07 al 14.04.07

C.V. CVC ?

Pseudomo-nas aerugi-nosa, Cory-nebacterium

striatum

No dal 28.02.07 al 09.03.07

R.G. CVC Sì E. coli No dal 25.03.07 al 13.04.07

P.L. CVC SìStafilococco

coagulasi negativo

No dal 07.02.07 al 11.02.07

R.M. Z-PORT Sì Enterobacter cloacae No al 10.09.07

al 26.09.07

C.C Z-PORT Sì

Pseudo-monas

aeruginosa, E. coli, Ste-notrophamo-

nas melt-ophila

Nodal 26.06.07 al 01.07.07

B.L. Z-PORT ? ? Sì dal 02.04.07 al 21.04.07

Nel 2008 si sono verificati cinque casi di setticemia catetere-correlati

(tabella 4) su un totale di 111 impianti (tabella 3), di cui quattro Port e

un catetere venoso centrale: in tutti i casi si è proceduto alla rimozione.

Si è inoltre verificato un caso in cui lo stesso paziente ha subìto due

rimozioni, in seguito a due differenti infezioni da microrganismi diversi.

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capitolo uno

67

01Tab. 3

Impianti anno 2008

cvc z-port totale

39 74 111

Tab. 4Anno 2008

iniziali paziente

tipo impianto cr-BSi microrganiSmi rimozione giornate di ricovero

D.G. Z-PORT Sì Listeria Sì (09.05.08) dal 18.04.08 al 08.06.08

D.G. Z-PORT SìStafilococco

coagulasi negativo

Sì (15.05.08) dal 18.04.08 al 08.06.08

C.A. Z-PORT SìStafilococco

coagulasi negativo

Sì (14.10.08) dal 08.09.08 al 26.10.08

A.M. Z-PORT SìStafilococco

coagulasi negativo

Sì (03.10.08) dal 18.09.08 inviato in C.P.

G.G. CVC Sì

Stafilococco coagulasi negativo,

Candida gla-brata

Sì (15.04.08) dal 19.03.08 al 02.05.08

Nel 2009 su un totale di 164 impianti si sono verificati quattro casi di

setticemia, di cui due catetere-correlati (tabelle 5 e 6). In tutti e quattro

i casi il catetere è stato rimosso.

Tab. 5Impianti anno 2009

cvc z-port totale

79 85 164

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68

Tab. 6Anno 2009

iniziali paziente

tipo impianto cr-BSi microrganiSmi rimozione giornate di ricovero

B.O. Z-PORT SìCandida

species non albicans

Sì (03.04.09)dal 27.03.09 al 10.04.09

V.G. CVC SìStafilococco

coagulasi negativo

Sì (23.04.08)

dal 20.04.09 al 24.04.09, poi trasferito in Nefrologia

C.M. CVC ? Bacteroides fragilis Sì (28.04.09)

dal 28.03.09 al 18.04.09, poi trasferito

in C.P.

C.N. CVC ? E. coli Sì (26.11.09) dal 16.11.2009

Nel 2010, con l’introduzione dei Picc, si è assistito a una riduzione

degli impianti Port di circa il 40% e dei cateteri venosi centrali di oltre

l’80%, anche se il numero complessivo degli impianti risulta aumentato

di circa il 10% su base annua (tabella 7).

Tab. 7Impianti anno 2010

cvc port picc totale

15 45 121 181

Il dato principale che emerge è l’assenza di eventi settici in tutti gli im-

pianti effettuati durante il 2010 (grafico 1). Questo dato è un probabile

indicatore di una migliore gestione della medicazione degli accessi ve-

nosi centrali, dovuto con buona probabilità ai corsi di formazione sulla

gestione del Picc effettuati nel 2010. Per quanto concerne la riduzione

delle infezione dei Picc rispetto agli altri accessi venosi centrali, non è

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capitolo uno

69

01possibile affermare che vi sia un reale vantaggio con il solo utilizzo del

nuovo dispositivo, in quanto non si sono verificati casi settici nemme-

no con gli altri dispositivi in uso.

Probabilmente la diminuzione degli impianti di cateteri venosi centrali

tradizionali e di Port rispetto ai Picc e il tipo di dato ricercato (solo

eventi settici) possono aver contribuito alla mancata evidenziazione di

una differenza significativa nel rischio infettivo.

Va comunque considerato che la non insorgenza di eventi settici nel

2010, oltre a un beneficio per la salute, ha determinato un importante

risparmio economico.

Infatti, considerando i lavori più importanti degli ultimi anni, come quelli

del NNSSI, in cui ogni catheter-related bloodstream infection compor-

ta un prolungamento medio della degenza pari a sette giorni e un

costo compreso tra i 3700 e 29mila dollari o i dati del Center for

disease control del 2002, che quantificano in circa 25mila dollari i

costi di un’infezione che si verifica al di fuori della Terapia intensiva, si

può stimare per il solo Dipartimento oncologico un risparmio nel 2010

compreso fra i 18.700 e i 145mila dollari, considerando le 16 sepsi

totali registrate negli anni 2007, 2008 e 2009.

Un altro dato interessante si ottiene analizzando per i soli Picc tutte

le batteriemie. Infatti, se si confrontano i valori emersi nel 2010 nel

Dipartimento Oncologico dove, a fronte di 16.590 giorni-catetere e

una permanenza media di 137 giorni per singolo paziente, si sono

riscontrate tre infezioni non settiche di gravità lieve, pari a 0,18 ogni

1000 giorni-catetere, con lo studio di Safdar pubblicato su Chest nel

2005, in cui viene riportata un’incidenza pari a 0,4 ogni 1000 giorni-

catetere, risulta evidente l’ottima performance ottenuta dalla struttura

nell’anno appena trascorso.

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ApplicAzione di modelli orgAnizzAtivi innovAtivi

70

Il Picc team aziendale all’inizio del 2011 ha proceduto a una revisione

del progetto sulla base della nuova documentazione disponibile (linee

guida, pubblicazioni, protocolli…), dell’esperienza acquisita e dei dati

emersi dal monitoraggio dell’attività nel 2010.

Si è cercato di migliorare i seguenti aspetti:1. selezione del paziente2. scelta della tipologia di accesso venoso3. scelta del dispositivo medico

4. scelta del tipo di medicazione.

Sono stati individuati dei gruppi di pazienti con determinate caratte-

ristiche a cui abbinare il giusto dispositivo e per ogni gruppo è stato

stimato il costo complessivo.

Il tutto è stato rappresentato graficamente attraverso un algoritmo

decisionale che propone un percorso che aiuta il clinico a individuare il

tipo di accesso e il dispositivo da utilizzare in base alle caratteristiche

del paziente (figure 9-16).

graFico 1

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capitolo uno

71

011) L’operatore in base alla valu-

tazione iniziale sceglie il per-

corso.

2) L’operatore in base alla per-

manenza del catetere esegue

una scelta.

3) Il sistema propone un’indica-

zione.

4) L’operatore in base alla valu-

tazione iniziale sceglie il per-

corso.

Fig. 9

Fig. 10

Fig. 11

Fig. 12

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ApplicAzione di modelli orgAnizzAtivi innovAtivi

72

5) Il sistema dà un’indicazione

del catetere, l’operatore pone

delle scelte (domande).

6) Il sistema dà un’indicazione

del catetere, l’operatore pone

delle scelte (domande).

7) Il sistema dà un’indicazione

del catetere, l’operatore pone

delle scelte (domande).

8) A partire da costo dell’impian-

to (operatore, struttura, ecc.),

del dispositivo scelto e della

gestione, il sistema elabora

un costo totale.

Fig. 13

Fig. 14

Fig. 15

Fig. 16

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capitolo uno

73

01L’algoritmo è stato utilizzato come base per un software attraverso il

quale il medico, coadiuvato dall’infermiere impiantatore, ha la possibilità,

selezionando determinati campi, di arrivare al suggerimento del disposi-

tivo da utilizzare e di stimarne il costo.

Il programma si presenta con una veste grafica di facile comprensione,

composta da una serie di riquadri in cui viene chiesto di selezionare

alcune fra le caratteristiche proposte, relativamente a: 1. durata del trattamento2. caratteristiche chimico-fisiche del farmaco3. caratteristiche del paziente

4. fattori legati alla terapia.

In base alle scelte effettuate, vengono proposti il tipo di accesso venoso

e il dispositivo da utilizzare. Il programma consente anche di stimare il

costo complessivo del trattamento, prendendo in considerazione sia il

materiale utilizzato per l’impianto, sia il costo della medicazione e della

gestione del catetere.

L’operazione risulta estremamente semplice: è sufficiente selezionare

da menù a tendina i prodotti in commercio utilizzati (medicazioni traspa-

renti, stureless device, feltrini, tappini) e il programma indirizza la scelta

verso la valorizzazione economica del percorso. I dispositivi inseriti nel

programma sono quelli presenti in azienda, la cui scelta avviene in base

a una valutazione collegiale del Picc team aziendale in collaborazione

con l’ufficio Dispositivi medici e con la Commissione aziendale Dispositi-

vi medici, che consentono di avere device adeguati allo scopo.

L’esperienza del progetto Picc mette in risalto come al farmacista venga

spesso richiesta un’enorme flessibilità, che lo induce a dover diversifica-

re le proprie competenze, per cercare di rispondere sia alle necessità

del reparto che alle esigenze del paziente. Il farmacista specialista in

oncologia, quindi, non si può limitare a essere un esperto del farmaco

oncologico, ma deve sforzarsi di avere una visione complessiva.

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1.5 La robotizzazione: nuovo modo di riorganizzare l’uto

L’automazione rappresenta uno degli obiettivi maggiormente perse-

guiti dalle Farmacie oncologiche proprio a causa delle caratteristi-

che di pericolosità dell’allestimento delle terapie, sia per i pazienti che

per gli operatori: l’introduzione di farmaci biomolecolari, che agiscono

selettivamente sulle cellule malate, e la personalizzazione del tratta-

mento per ogni paziente hanno permesso di aumentare l’efficacia e

soprattutto la tollerabilità dei farmaci, ma ne hanno reso più comples-

sa la preparazione.

Un’accurata progettazione di tutti i processi associati all’erogazione

della terapia oncologica e la centralizzazione dell’attività in unità dedi-

cate all’allestimento delle terapie stesse (Umaca) permettono di ridur-

re i rischi, ma la fase di allestimento della terapia, essendo soggetta a

errore umano, rimane l’anello debole della filiera.

Oltre alla sicurezza, notevoli sono i vantaggi anche dal punto di vista

organizzativo e gestionale. Di seguito sono evidenziati i vantaggi e le

criticità di un sistema robotizzato (tabella 1).

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capitolo uno

75

01Tab. 1

vAnTAggI CrITICITà

• Aumento della sicurezza del personale(articoli 3 e 64 del Decreto Legislativo 626/94).

• Annullamentodella figuradel tecnicoal-lestitore (esiste solo assistente al robot/operatore): si ha un impiego più razionale del personale della Farmacia.

• Ottimizzazionedell'usodeifarmaci e riduzione dei costi.

• Eliminazionedeglierrorinellaformulazio-nedei farmacigrazieall'automatizzazio-ne della procedura.

• Tracciabilitàcompleta del prodotto allestito.

• Nonprevisionediadeguamentiinfrastrut-turali, come camere bianche o spazi de-dicati con acceso controllato.

• Elevatocostodelrobot.

• Lentezzanell’allestimentospecifico di prodotto.

• Necessità di programmare prima unpercorso di produzione, non facilmente conciliabile con la routine incessante e variabile dei cicli terapeutici.

• Necessità di avere un farmacista vera-mente esperto nella gestione di un ser-vizio centralizzato, capace di conciliare la realtà operativa della struttura dove opera con la velocità di produzione del robot.

• Nonduttilitàdellamacchinaadallestire,in tempi diversi, prodotti non oncologici (antibiotici, terapia antalgica, ecc.).

I vantaggi maggiori siano rappresentati da:

1. Possibilità di tracciare il percorso del prodotto allestito in quanto

viene filmato l’intero processo lavorativo, dall’inizio alla fine.

2. Riduzione del personale impiegato del 50% (da due operatori ad

uno) .

La preparazione manuale è particolarmente critica in primis per quan-

to riguarda le possibilità d’errore; in secondo luogo, poiché alcuni far-

maci sono altamente tossici, elevato risulta il rischio professionale per

gli operatori. Inoltre, il costo della mancata qualità nella gestione del

farmaco oncologico finisce per gravare sui già ristretti bilanci delle

aziende sanitarie: in particolare l’errore di inadeguatezza delle terapie

costituisce la principale causa degli eventi avversi di cui è vittima il

12-20% dei pazienti.

L’utilizzo della tecnologia è in grado di ridurre, e in alcuni casi di annul-

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76

lare, tali fattori di criticità, fissando standard di processo e di prodotto.

Praticamente il robot compie tutti i processi che finora erano svolti a

mano: pesa principi attivi e soluzioni, ricostituisce i farmaci in polve-

re, dosa i componenti grazie a un braccio meccanico e ad attuatori

dedicati, allestisce siringhe, sacche, dispositivi di infusione, scarica i

materiali usati in sicurezza. Così, le possibilità di errore diminuiscono

e scompare il rischio professionale dovuto alla prolungata esposizione

ad agenti cancerogeni durante la preparazione e la somministrazione

dei farmaci citostatici. Infatti, il personale è completamente tutelato,

dal momento che il processo si svolge in una camera chiusa, proget-

tata per prevenire e contenere ogni forma di contaminazione. Il farma-

cista pianifica i cicli di preparazione delle terapie, un operatore carica

il sistema con i farmaci appropriati oltre che con siringhe, sacche e

pompe elastomeriche e il robot inizia a preparare la soluzione. Inoltre,

la velocità del sistema migliora la qualità del lavoro, aumentando la

produttività e riducendo i tempi di attesa per il paziente.

In ambito oncologico, l’integrazione di materiali, informazioni e attività

assume la massima rilevanza: l’oncologo, il farmacista e i loro staff di-

ventano squadra intorno al paziente, per garantire la massima qualità

in un’area della cura in continua espansione.

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capitolo uno

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01Conclusioni

In futuro si auspica che le attuali apparecchiature robotizzate, specifi-

che per gli antiblastici, possano essere utilizzate, in orari diversi, per

altre attività di galenica clinica sterile, come ad esempio la produzione

standard di terapie antibiotiche per la profilassi chirurgica oppure l’al-

lestimento di terapie antalgiche o di terapie iniettabili ad alto costo. Il

robot diventerebbe così un’apparecchiatura per il compounding, utile

anche agli ospedali che attualmente non possono supportare l’investi-

mento iniziale per l’acquisto del macchinario.

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La formazione in farmacia oncoLogica

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capitolo due

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La formazione in farmacia oncoLogica capitolo due

79

02capitolo due

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La formazione in farmacia oncoLogica

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stefano federiciDirigente Farmacista

Struttura complessa di Farmacia Ospedaliera Aziendale Azienda ospedaliera di Melegnano

Alberto CorsiniFarmacologo,

Direttore del Master di Farmacia e farmacologia oncologica dell’Università di Milano

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La formazione in farmacia oncoLogica

81

LA fOrmAzIOne In fArmACIA OnCOLOgICA

La formazione e l’aggiornamento continuo costituiscono una fon-

damentale caratteristica del farmacista ospedaliero interessato a

occuparsi di oncologia. Le occasioni sono molteplici, ma lo saranno

sempre più vista l’importanza dell’argomento tra le patologie ospeda-

liere e territoriali. La formazione può avere due fonti specifiche:

- fonte istituzionale (università);

- fonte professionale (corsi/convegni promossi da società scientifiche,

come Sifo, Aiom, Sie, e meeting organizzati da industrie farmaceuti-

che impegnate in ambito oncologico).

Nell’ambito della formazione di tipo professionale, un ruolo fondamen-

tale lo ha avuto l’Area oncologica di Sifo.

02

Mission della Sifo

n Promuovere e coordinare l’attività scientifica, tecnica e amministrativa delle farmacie negli ospedali e nelle Asl al fine di migliorarne le pre-stazioni.

n Studiare, perfezionare, aggiornare i mezzi per la realizzazione, la produzione e la distribuzione dei farmaci nelle strutture operative, in collaborazione con gli altri sanitari. Attuare e incoraggiare tutte le ini-ziative idonee a elevare sotto l’aspetto etico e culturale il farmacista che opera in ospedale e nei servizi farmaceutici territoriali. Curare e gestire i metodi di lavoro a vantaggio di una sempre più efficace ed efficiente economia delle amministrazioni ospedaliere e territoriali.

Tab. 1

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La formazione in farmacia oncoLogica

82

Tale area, attingendo dalla mission di Sifo (tabella 1), ha sostenuto e

incoraggiato per più di vent’anni la formazione oncologica sul campo,

facendo emergere sempre più il ruolo fondamentale del farmacista

ospedaliero nella gestione totale del paziente oncologico.

Un’area, quella oncologica, nata agli inizi degli anni Novanta dall’inte-

resse specifico di alcuni professionisti (Franca Goffredo, Stefano Fede-

rici, Martina Minguzzi, Cristina Rondoni) che hanno saputo coinvolgere

decine di colleghi su tutto il territorio nazionale, intrecciando rapporti

di collaborazione con altre figure professionali, come oncologi medici

e infermieri (tabella 2).

Esempi di formazione scientifica (1995-2000)

n sei corsi settimanali di Oncologia effettuati a Torino nel periodo 1995-2000 a cui hanno partecipato più di 250 farmacisti a livello nazionale;

n convegno nazionale sulle problematiche legislative e protezionistiche dell’allestimento di terapie oncologiche (Università di Milano, 1996);

n convegno nazionale sulle problematiche farmacologiche e tossicologiche delle terapie oncologiche (Università di Milano, 1999);

n meeting regionali (Marche, Triveneto, Liguria, Lombar-dia, Campania, Lazio, ecc.);

n training teorico-pratici in molte Farmacie ospedaliere e organizzazione di training di Farmacia oncologica;

n convegno nazionale in Farmacia oncologica (Napoli, 2000).

Tab. 2

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La formazione in farmacia oncoLogica capitolo due

83

02La formazione è continuata ed è cresciuta negli anni, consentendo ai

farmacisti di intrecciare con altre categorie professionali importanti

contatti, sia sul piano formativo che su quello organizzativo, sia a livel-

lo nazionale che regionale. Oggi si possono annoverare quasi cento

Umaca distribuite sul territorio, dove molti farmacisti operano in ambi-

to clinico, in collaborazione con infermieri professionali, oncologi me-

dici, ematologi. Due gli ambiti di formazione professionale (tabella 3):

fOrmAzIOne In fArmACO-TOssICOLOgIAe In TeCnICA fArmACeuTICA

fOrmAzIOne dI nATurA OrgAnIzzATIvA

- corsi di farmacologia clinica sui nuovi farmaci oncologici;

- corsi di formazione sulle tecniche di galenica clinica nell’allestimento sicuro e sterile delle terapie oncologiche;

- corsi di formazione sulla stabilità dei prodotti sterili.

- corsi di formazione sulla logistica organizzativa;

- corsi di formazione sulla qualità (Iso 9000, accreditamento Joint Commission);

- corsi sulla farmaco-economia oncologica

- corsi di formazione sulla gestione dei rapporti umani all’interno/esterno del gruppo.

Accanto a queste tipologie di formazione, è importante annoverare

due iniziative formative di carattere universitario:

- Master universitario di primo livello in Tecnico in allestimenti galenici,

il cui obiettivo è la creazione di una figura professionale in grado di

rispondere a questa esigenza, tanto che l’Azienda ospedaliera univer-

sitaria senese e Sifo hanno concesso il loro patrocinio.

- Master in Preparazione dei farmaci antiblastici e farmacovigilanza

in oncologia della Sezione di Farmacologia del Dipartimento clinico-

sperimentale di Medicina e Farmacologia dell’Università di Messina.

Gli obiettivi del master è quello di fornire specifiche competenze nella

manipolazione dei farmaci antiblastici, secondo adeguati standard di

sicurezza e prevenzione; approfondire gli aspetti clinici e le proble-

matiche derivanti dalla peculiarità della terapia oncologica, promuo-

vendo, attraverso l’apprendimento di specifiche e avanzate metodo-

logie di farmacovigilanza, una costante verifica dell’uso appropriato

Tab. 3

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La formazione in farmacia oncoLogica

84

e corretto dei farmaci; offrire conoscenze avanzate sui problemi or-

ganizzativi e gestionali delle Unità farmaci antiblastici (Ufa), nonché

sugli aspetti legislativi inerenti la normativa vigente in tema di rischio

professionale legato alla manipolazione dei farmaci stessi.

2.1 specializzazione in farmacia e farmacologia oncologica

InTrOduzIOne

I master universitari sono corsi di formazione professionale, succes-

sivi alla laurea, magistrale e non, istituiti per approfondire le cono-

scenze già acquisite, rivolti pertanto a laureati che intendono acquisire

ulteriori nozioni finalizzate all’ingresso nel mondo del lavoro. A chi già

lavora, i master offrono invece l’opportunità di aggiornarsi e di arric-

chire le proprie conoscenze in maniera efficace.

La facoltà di Farmacia dell’Università di Milano ha istituito, a partire

dal 2000, il master di secondo livello in Farmacia e farmacologia on-

cologica, rivolto ai laureati in Farmacia, Chimica e tecnologia farma-

ceutiche, Biotecnologie farmaceutiche, Scienze biologiche, Medicina

e chirurgia, Medicina veterinaria, Biotecnologie. Il master, diretto da

Alberto Corsini, ordinario di Farmacologia, in collaborazione con Ste-

fano Federici, si prefigge di arricchire le conoscenze farmacologiche,

tossicologiche, tecnico-farmaceutiche, manageriali e legislative degli

operatori sanitari, in modo da gestire nel migliore dei modi la terapia

oncologica. Nella tabella 4 sono riportati il numero e la provenienza dei

partecipanti alle sei edizioni del master.

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La formazione in farmacia oncoLogica capitolo due

85

02Tab. 4

Iscritti al master in farmacia e farmacologia oncologica

provEniEnza

discEnTi

1a EdizionE 2a EdizionE 3a EdizionE 4a EdizionE 5a EdizionE 6a EdizionE

ToTalEanno

2005-2006

anno

2006-2007

anno

2007-2008

anno 2008-2009

anno 2009-2010

anno 2010-2011

32 11 16 15 18 17 109Nord 17 4 8 9 9 8 55

Centro 4 3 5 3 2 3 20Sud 11 4 3 3 7 6 34

Il master, unico esempio di corso universitario di formazione post-

specializzazione in Farmacologia oncologica, completa il corso di

perfezionamento in Farmacia oncologica (tabella 5) giunto nell’anno

accademico 2011-2012 alla dodicesima edizione: a tale corso hanno

già partecipato oltre 250 tra farmacisti, medici e biologi provenienti da

tutto il territorio nazionale e con estrazione professionale diversa (enti

ospedalieri, industrie farmaceutiche del settore, ecc.).

È importante rilevare che molti degli iscritti al corso di perfeziona-

mento hanno in seguito conseguito il titolo di master in Farmacia e

farmacologia oncologica, a riprova del fatto che il master rappresenta

il completamento ideale per chi ha già conseguito il corso di perfezio-

namento in Farmacologia oncologica.

Tab. 5Iscritti al corso di perfezionamento in farmacia oncologica

provEniEnza

discEnTi

1a ed.

2a

ed.3a

ed.4a

ed.5a

ed.6a

ed.7a

ed.8a

ed.9a

ed.10a

ed.11a

ed. totale

30 30 27 19 23 20 15 15 26 23 21 249Nord 10 11 12 10 8 8 7 8 15 10 8 107

Centro 7 7 5 2 7 3 3 3 7 6 4 54Sud 13 12 10 7 8 9 5 4 4 7 9 88

Il corso di perfezionamento in Farmacia oncologica, suddiviso in cin-

que moduli di 24 ore, affronta numerose tematiche concernenti la pa-

tologia oncologica (tabella 6).

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La formazione in farmacia oncoLogica

86

Nella colonna destra della tabella 3, si evidenziano le ore che dovran-

no essere effettuate nell’ambito del master, riferite agli argomenti già

espletati nei cinque moduli del corso (60 ore di lezioni frontali e 500

ore di studio individuale): queste ultime definiscono il corso di insegna-

mento integrativo del master. Le 60 ore di lezione frontale valgono

26 crediti formativi universitari (cfu): è da sottolineare che nell’ambito

del master, diversamente dal corso di perfezionamento, non potranno

essere dispensati crediti formativi Ecm, ma solo crediti universitari. Il

discente, nell’anno in cui effettuerà il master, sarà comunque dispen-

sato dall’onere di accumulare crediti Ecm.

OrgAnIzzAzIOne deL COrsO

Il master in Farmacia e farmacologia oncologica prevede tre tipologie

d’insegnamento:

a) didattica frontale;

b) didattica interattiva;

c) attività di tirocinio formativo.

Il monte ore totale del master di secondo livello è di 1500, di cui 180

di didattica frontale, 324 di didattica interattiva, 250 di tirocinio for-

mativo, 50 per la stesura e la presentazione della tesi sperimentale e

696 di studio individuale.

Tab. 6

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La formazione in farmacia oncoLogica capitolo due

87

02A. Didattica frontale

La didattica frontale è suddivisa in 5+3 moduli. I primi cinque sono con-

divisi con il corso di perfezionamento in Farmacia oncologica (tabella 7),

mentre gli altri tre moduli sono specifici per il master e prevedono un

approfondimento delle conoscenze apprese nei moduli precedenti.

Nel primo modulo si affrontano tematiche che includono: epidemiologia

dei tumori, attuale classificazione e stadiazione dei tumori, trattazione

specifica dei marcatori tumorali.

Il secondo modulo affronta dettagliatamente tutte le terapie farmacolo-

giche innovative, come terapia immunologica, terapia genica, terapia

angiogenica, terapie con anticorpi monoclonali, moderni approcci tera-

peutici sui biological responders modifiers.

Il terzo modulo affronta gli aspetti farmaco-tossicologici dei chemiote-

rapici antiblastici secondo la classificazione targeting-oriented. Vengono

affrontati i problemi relativi allo sviluppo di un nuovo farmaco in oncologia,

facendo riferimento alla legislazione vigente delle sperimentazioni clini-

che. Non vengono tralasciate le modalità di somministrazione specifiche

dei farmaci oncologici, utilizzando tutte le più moderne tecniche con l’au-

silio dei più sofisticati dispositivi medici.

Il quarto modulo descrive tutti gli approcci terapeutici nelle malattie

oncologiche (terapia chirurgica, radioterapia, utilizzo di radiofarmaci,

riabilitazione, utilizzo di terapie ancillari), oltre alle complicazioni trombo-

emorragiche nel paziente affetto da tumore e alla differenza tra la terapia

antalgica e quella palliativa.

Il quinto modulo è caratterizzato da una serie di argomenti che includono

le principali nozioni di statistica medica in oncologia, gli aspetti di natura

tecnico-farmaceutica e gli aspetti legislativi e normativi relativi alle terapie

oncologiche, gli aspetti legati alla certificazione Iso 9000, la metodologia

organizzativa per il raggiungimento di un team oncologico, alcuni aspetti

psicologici, come ad esempio la comunicazione e la musicoterapia.

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La formazione in farmacia oncoLogica

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Tab. 7 moduli del corso di perfezionamento e del master

ore argomenti ore studio individuale cfu

1° modulo 18Anatomia patologica

in oncologia57 3

2° modulo 22Terapie

innovative in oncologia

70 3

3° modulo 24farmacologia e tossicologia

oncologica76 4

4° modulo 18Terapie

di supporto in oncologia

57 3

5° modulo 18gestione

manageriale in oncologia

57 3

100 totali 317 ore in totale 16

Nella colonna destra della tabella 7, si evidenzia il numero di crediti

formativi universitari che sono assegnati al completamento dei cinque

moduli del master. Ogni credito corrisponde a 25 ore, di cui 6 di didatti-

ca frontale e 19 di studio individuale.

In seguito ai cinque moduli, il master annovera nella sua offerta formativa

tre moduli monotematici condotti, mediante lezioni frontali, da professori

e specialisti riconosciuti a livello nazionale e internazionale, consentendo

così di ampliare le conoscenze e le nozioni apprese nella prima parte del

master (tabella 8).

Il sesto modulo, dal titolo Nuovi approcci farmaco-terapeutici e biotecnolo-

gici in oncologia, tratta tutte le terapie farmacologiche innovative utilizzate

nella pratica clinica che sono ancora oggetto di sperimentazione o in fasi

pre-cliniche. Particolarmente utili sono le lezioni incentrate sulle metodiche

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La formazione in farmacia oncoLogica capitolo due

89

02utilizzate nella ricerca pre-clinica da laboratori e ricercatori, evidenziando

quali sono gli orientamenti futuri nella cura della malattia oncologica.

Il settimo modulo, dal titolo Aspetti tecnico farmaceutici, manageriali,

gestionali, giuridici e legislativi delle terapie oncologiche, riprende le ar-

gomentazioni affrontate nell’ultimo modulo del corso di perfezionamento,

ampliandole e arricchendole di nuove tematiche indispensabili in un quadro

socio-economico-sanitario.

L’ottavo modulo, dal titolo Considerazioni teorico-pratiche di farmacocine-

tica: applicazioni in oncologia, approfondisce le conoscenze di farmaco-

cinetica sui farmaci chemioterapici antiblastici, arrivando a prendere in

considerazione sia gli anticorpi monoclonali che le piccole molecole.

Tab. 8moduli integrativi del master

ore argomenti ore studio individuale cfu

6° modulo 20Nuovi approcci farmaco-terapeutici e biotecnologici in oncologia

63 4

7° modulo 18

Aspetti tecnico-farmaceutici, manageriali, gestionali, giuridici e legislativi delle terapie oncologiche

57 3

8° modulo 42

Considerazioni teorico-pratiche di farmacocinetica: applicazioni in oncologia

133 7

80 totali 253 ore in totale 14

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La formazione in farmacia oncoLogica

90

B. Didattica interattiva

Nell’ambito delle attività di didattica interattiva, dal 2007 a oggi è stato

organizzato, nell’azienda ospedaliera di Melegnano, il Corso teorico

pratico sulle integrazioni professionali nel percorso clinico-terapeutico

del paziente oncologico (tabelle 9 e 10), con il preciso scopo di illu-

strare le scelte logistico-organizzative.

Tab. 9didattica interattiva

ore argomenti ore studio individuale cfu

36Corso teorico pratico sulle integrazioni professionali nel percorso clinico-terapeutico del paziente oncologico

14 2

72 Inquadramento farmacologico relativo a un progetto di ricerca 28 4

72 Approfondimento di nuovi approcci terapeutici in oncologia 28 4

36 Corso di laboratorio farmaceutico in oncologia 14

108Formazione a distanza (Fad) sulla neutropenia e l’anemia in pazienti oncologici 42 6

324 ore in totale 126 ore in totale 14

Infatti, il paziente oncologico è curato non solo dall’oncologo medico,

ma è anche supportato da uno staff di sanitari, tra cui il chirurgo spe-

cialista, il patologo clinico, il laboratorista, il radiologo, il radioterapi-

sta, l’infermiere specialista e, non ultimo, il farmacista oncologo.

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La formazione in farmacia oncoLogica capitolo due

91

02Tab. 10

Corso teorico pratico sulle integrazioni professionali nel percorso clinico-terapeutico del paziente oncologico

prima giornata seconda giornata terza giornata

mattinoRelazioni di tutti i componenti del team oncologico.

Due interventi chirurgici(cinque persone en-trano in sala operato-ria, gli altri assistono all’intervento via tele-conferenza).

Giornata sulle cure palliative.

pomeriggio

Visita al letto del pa-ziente con l’oncologo-ematologo.Visita alla Struttura complessa di Ana-tomia patologica e laboratorio di analisi cliniche.

Visita al letto del pa-ziente con l’oncologo-ematologo.Visita alla Struttura complessa di Ana-tomia patologica e laboratorio analisi cliniche.

Visita al letto del pa-ziente con l’oncologo e il palliativista.

L’inquadramento farmacologico relativo a un progetto di ricerca è fina-

lizzato a preparare i discenti all’attività di tirocinio svolta nella seconda

parte del master. L’approfondimento di nuovi approcci terapeutici in

oncologia è rivolto a tematiche particolarmente innovative nel cam-

po della ricerca. Queste attività prevedono lo studio della letteratura

scientifica e la stesura di tesine come forma di verifica delle nozioni

apprese. Tra le altre attività di didattica interattiva è prevista la parte-

cipazione a laboratori di ricerca del Dipartimento di Scienze farma-

cologiche e di Endocrinologia dell’Università di Milano. Questo corso

è organizzato con l’obiettivo di visionare le tecniche utilizzate in la-

boratorio per la ricerca di base in campo oncologico. A conclusione

della didattica interattiva è previsto un corso di formazione a distanza

(Fad), mediante internet, sulle neutropenie e sulle anemie nel paziente

oncologico.

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La formazione in farmacia oncoLogica

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C. Tirocinio formativo

A completamento dell’attività formativa del master si prevede un perio-

do di tirocinio in centri di ricerca oncologica e in aziende ospedaliere

che hanno accettato di ricevere i discenti. Il tirocinio, della durata di

250 ore, si conclude con la stesura e la discussione di una tesi di

carattere sperimentale, con successiva esposizione orale delle attività

tecnico-scientifiche svolte.

Nell’ambito del master vengono organizzate altre forme di addestra-

mento, come descritto nella tabella 11; a 350 ore effettuate corri-

spondono 14 crediti.

Tab. 11Tipologia di attività durata in ore

1. inquadramento farmacologico relativo a un progetto di ricerca. 100

2. inquadramento epidemiologico relativo a un progetto di ricerca. 50

3. progetto di sperimentazione clinica di nuovi approcci terapeutici in oncologia. 100

4. disegno di un progetto di farmacovigilanza in oncologia. 100

Totale 350

Particolarmente stimolante risulta lo spazio formativo per le attività di

tirocinio pratico, come descritto nella tabella 12, che faranno acquisi-

re al discente 20 crediti formativi universitari.

Tab. 12Tipologia di attività durata in ore

Ai discenti verrà richiesto di condurre un progetto di ricerca sul tema della farmacia/farmacologia oncologica in una delle istituzioni che hanno aderito (si veda oltre).

500

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La formazione in farmacia oncoLogica capitolo due

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02sBOCChI OCCuPAzIOnALI

Malgrado la grande recessione economica, possedere una specializ-

zazione così attuale può ottemperare all’alta richiesta di esperti quali-

ficati in farmacia e farmacologia oncologica da parte di varie strutture

del sistema sanitario, come Asl, aziende ospedaliere, Irccs, industrie

farmaceutiche, centri di ricerca, Clinical research organization.

Conclusioni e prospettive future

Il master in Farmacia e farmacologia oncologica rappresenta, per-

tanto, l’ideale completamento post-lauream per laureati in Farmacia,

Chimica e tecnologia farmaceutiche, Biotecnologie farmaceutiche,

Scienze biologiche, Medicina e chirurgia, Medicina veterinaria, Biotec-

nologie. Inoltre, tale corso completa il corso di perfezionamento in Far-

macia oncologica con la finalità di specializzare professionisti sanitari,

clinici e non, in farmacia e farmacologia oncologica.

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La gestione deL rischio in oncoLogia medica

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capitolo tre

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capitolo tre

95

03capitolo tre

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La gestione deL rischio in oncoLogia medica

96

Massimo FarinaPartner Emmeffe Management & Formazione, Milano

Rodolfo MattioliDirettore dell’Unità operativa complessa di Oncologia medica

all’ospedale Santa Croce di Fano e coordinatore nazionale del Gruppo rischio clinico

del Collegio italiano dei primari medici oncologi ospedalieri (Cipomo)

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LA gesTIOne deL rIsChIOIn OnCOLOgIA medICA

Questo capitolo sviluppa tre temi riguardanti la gestione del rischio

clinico in oncologia medica. Il primo intende collocare la gestio-

ne del rischio clinico nell’ambito della clinical governance, il secondo

tratta il processo di gestione del rischio clinico con una sintetica pano-

ramica dei principali strumenti, il terzo riferisce gli strumenti prioritari

per l’oncologia medica ospedaliera emersi da una survey effettuata da

Emmeffe con il Collegio italiano dei primari medici oncologi ospedalieri

(Cipomo).

3.1 Clinical governance e clinical risk management

La clinical governance riprende i concetti della corporate governan-

ce, cioè un insieme di regole di condotta verificabili e trasparenti.

Il complesso concetto di clinical governance può essere sintetizzato

anche come l’insieme di azioni necessarie per dirigere la società verso

obiettivi identificati e condivisi; la sua essenza sta nell’attuazione di

meccanismi di governo che non si basino esclusivamente sull’autorità

e/o sulle sanzioni, ma sulla co-responsabilizzazione e partecipazione

dei professionisti.

03

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La gestione deL rischio in oncoLogia medica

98

Con la traduzione italiana in “governo clinico” non sono da considerare

unicamente gli aspetti dirigistici e gli approcci top-down; la clinical

governance richiede, infatti, la rivalutazione dei ruoli tradizionali e dei

confini tracciati fra le varie professioni sanitarie e fra queste ultime e il

paziente-utente; essa costituisce un importante mezzo per dimostrare

a tutte le parti interessate che il sistema sanitario tende verso il mi-

glioramento continuo della qualità tecnica e organizzativa nel rispetto

della sicurezza. La clinical governance è intesa quindi come la capaci-

tà dei servizi di sviluppare e mantenere una sistematica attenzione alla

qualità dell’assistenza erogata, con particolare riferimento all’efficacia

e all’appropriatezza clinica delle prestazioni.

Tale concetto rappresenta, da anni, una delle parole chiave di vari

piani sanitari nazionali e regionali, dove sono indicate anche le aree di

competenza. Numerosi sono, infatti, i piani regionali che identificano

ruoli e funzioni della Direzione sanitaria, identificando anche nei diret-

tori di dipartimento e nelle loro responsabilità clinico-organizzative i

protagonisti di politiche aziendali capaci di documentare, attraverso

opportune iniziative, anche di audit clinico, la qualità delle prestazioni,

al fine di garantire la sicurezza dei pazienti attraverso l’adozione di

strumenti di gestione del rischio clinico; nel nostro caso, ciò avviene

nell’ambito dell’oncologia medica.

In tale contesto, è bene sottolineare che il clinical risk management

è uno dei pilastri costitutivi della clinical governance. Alla base della

clinical governance si colloca la evidence based health care, mentre

altri pilasti sono rappresentati dalle modalità organizzative aziendali,

dai percorsi clinico-assistenziali e dalla gestione degli strumenti e delle

conoscenze, come illustrato nella figura 1.

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capitolo tre

99

03

Dato che non è pensabile governare ciò che non si conosce, la più

immediata applicazione della clinical governance è quella di creare

condizioni clinico-organizzative per sviluppare in modo sistematico e

continuativo il monitoraggio dei processi assistenziali.

Ciò significa che le direzioni, a ogni livello, e nel nostro caso le unità

operative di Oncologia medica e di Farmacia, devono creare le con-

dizioni affinché le informazioni vengano effettivamente utilizzate per

conseguire il governo e la guida delle prestazioni sanitarie, facilitando

e stimolando il confronto costruttivo tra gli attori dei processi assisten-

ziali. La creazione di tale contesto, come vedremo, è uno dei fattori

che facilitano l’applicazione degli strumenti per la gestione del rischio

clinico. Quando si parla di questo tema, ci si riferisce alla probabili-

tà che un paziente sia vittima di un evento avverso, cioè subisca un

qualsiasi danno o disagio imputabile, anche se in modo involontario,

alle cure mediche prestate in corsia, che possono causare un prolun-

gamento della degenza, un peggioramento delle condizioni di salute

o la morte.

Se da un lato il concetto di rischio clinico può e deve essere esteso

Fig.1il risk

managEmEnT: uno dEi pilasTri

dElla clinical govErnancE

© 2009 EmmEFFE s.r.l.

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La gestione deL rischio in oncoLogia medica

100

anche all’area dell’assistenza territoriale, dove esistono processi critici

che meritano un adeguato presidio, dall’altro non deve però essere

confuso con il rischio per l’operatore. Il rischio per l’operatore, infatti,

anche alla luce dell’entrata in vigore del nuovo testo unico sulla sicu-

rezza (decreto legislativo 81/08), è separato da quello per il paziente

e richiede di essere governato attraverso una mappatura dei rischi

specifica e uno specifico sistema di gestione per la sicurezza, secon-

do modelli adeguati, come il Sistema di gestione della salute e sicu-

rezza sul lavoro (Sgsl) in conformità alle linee guida Uni-Inail o il British

standard OHSAS 18001:2007.

3.2 Il processo di gestione del rischio e i suoi principali strumenti

Prima di addentrarsi nel processo di gestione del rischio clinico, si

ritiene utile rivedere alcuni termini e definizioni ricorrenti nei para-

grafi successivi. Una comune e semplice terminologia consente, infat-

ti, di allineare varie figure che operano nell’ambito della gestione del

rischio clinico.

Nei processi di diagnosi, ricovero e cura, sia ospedalieri che territoria-

li, possono avvenire vari “accadimenti”, come ad esempio: la mancata

somministrazione di farmaci o la somministrazione di posologie erra-

te, la mancata identificazione di allergie, la mancata lettura di un dato,

il mancato trasferimento di immagini radiografiche, ecc.

Molto spesso gli “accadimenti” vengono intercettati, si infrangono cioè

su barriere più o meno strutturate; in tal caso possono essere tradotti,

ad esempio, come: «stavamo per dimenticarci di sospendere la tera-

pia farmacologica anticoagulante» o «stavamo per somministrare un

antibiotico al quale il paziente era allergico», identificandoli così come

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capitolo tre

101

03“quasi-eventi”.

Per contro, quando gli accadimenti non sono intercettati, diventano

degli “eventi”; in tal caso possono essere tradotti come: «non è stata

sospesa la terapia farmacologica anticoagulante» o «abbiamo sommi-

nistrato un antibiotico a cui il paziente era allergico»; la condizione di

evento si ha quindi quando le “barriere” sono state superate.

È importante però sottolineare che la presenza di un evento non è

necessariamente correlata a un danno; sussistono infatti i cosiddetti

“eventi senza danno”, cioè quelli che non hanno portato una conse-

guenza diretta per il paziente: ad esempio non è stata sospesa la tera-

pia, ma il malato non ha subìto una conseguenza clinica.

Quando invece un evento provoca ripercussioni sul paziente, si ge-

nerano quelli che vengono definiti “eventi avversi”, cioè eventi che

hanno generato un danno per il malato: ad esempio, la sospensione

dell’intervento chirurgico o il suo rinvio, uno shock anafilattico, ecc.

La figura 2 descrive le correlazioni tra accadimenti/quasi eventi, eventi

e loro conseguenze.

Fig. 2corrElazionE

Tra accadimEnTi/quasi EvEnTi,

EvEnTi E loro consEguEnzE:

lE graviTà dEi danni

© 2009 EmmEFFE s.r.l.

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La gestione deL rischio in oncoLogia medica

102

Al fine di uniformare i termini, di seguito si riportano le definizioni di:

quasi evento, evento, evento senza danno ed evento avverso.

n Quasi-evento (near miss o close call): ogni accadimento che

avrebbe potuto generare un evento, ma non lo ha fatto, per fortuna

o per abilità di gestione.

n evento: ogni accadimento che ha causato danno o ne aveva la po-

tenzialità nei riguardi di un paziente, ovvero ogni evento che riguar-

da il malfunzionamento, il danneggiamento o la perdita di attrez-

zature o proprietà oppure che potrebbe dar luogo a contenzioso.

Come noto, l’evento e il quasi evento sono l’oggetto della segnala-

zione dell’incident reporting, uno degli strumenti per la gestione del

rischio clinico.

n evento senza danno: evento che aveva la potenzialità di dare

origine a un evento avverso/danno nei riguardi di un paziente ma

che, per condizioni particolari, non lo ha generato.

n evento avverso: una definizione diffusa è quella di «danno causa-

to dalla gestione clinica piuttosto che dal processo della malattia,

che si traduce in un prolungamento della degenza o in una disabi-

lità al momento della dimissione». Questa definizione si riferisce

prevalentemente al paziente ricoverato, anche se ovviamente le

condizioni di rischio sono presenti anche per attività non in regime

di ricovero in cui avvengono atti medici e/o assistenziali. Le logiche

del rischio clinico, infatti, si stanno estendendo sempre più dall’am-

bito ospedaliero a quello territoriale, anche in un’ottica di continuità

assistenziale.

Il processo di gestione del rischio clinico può avere due prospettive:

una a livello di azienda, nell’ambito della gestione strategica del ri-

schio, che non verrà trattata in queste pagine; l’altra dal punto di vista

operativo, in modo da correlare gli strumenti con le diverse fasi del

processo. Quest’ultima è la visione sostenibile dal punto di vista dell’u-

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capitolo tre

103

03

nità operativa, nel nostro caso l’Oncologia medica.

Come è noto, un processo ha un punto di inizio e un punto di fine ma

non è limitato nel tempo, presentando la caratteristica della ciclicità.

Secondo questa logica, il processo di cui ci occupiamo, descritto nella

figura 3, è formato da quattro fasi:

•identificazionedelrischio;

•analisidelrischio;

•trattamento;

•monitoraggio.

In questo contesto si inseriscono gli strumenti per la gestione del ri-

schio clinico, che possono essere visti da diverse prospettive:

•possonoesserecogenti,cioèrichiestiperlegge,ovolontari,quindi

adottati e applicati per libera scelta;

•possonoessereretrospettivi,quandol’eventoègiàavvenuto,opre-

ventivi, quindi di tipo prospettico, cioè utilizzabili prima che l’evento

accada, in modo da evitare l’accadimento e le relative conseguenze

per il paziente.

Tra i principali strumenti per la gestione del rischio clinico si annoverano:

•l’incident reporting;

•lagestionedeglieventisentinella;

Fig. 3il procEsso di gEsTionE dEl rischio

clinico E la sua cicliciTà

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La gestione deL rischio in oncoLogia medica

104

•laroot cause analysis;

•laFailure mode and effect analysis (Fmea);

•l’analisidelcontenziosoedeisinistri;

•lafarmacovigilanza,dispositivo-vigilanzaedemovigilanza;

•l’analisidellecartellecliniche.

Nella tabella 1 i vari strumenti sono correlati con gli ambiti di rego-

lamentazione e con l’approccio, prospettico o retrospettivo, e nella

Tab. 1corrElazionE Tra gli sTrumEnTi pEr la gEsTionE dEl rischio clinico, ambiTi di rEgolamEnTazionE E approccio

tabella 2 sono correlati alle varie fasi del processo di gestione del

rischio clinico.

Come si può notare dalla matrice illustrata nella tabella 1, l’unico stru-

mento di carattere prospettico è la Failure mode and effect analysis

(Fmea), che affronta i possibili accadimenti prima che avvengano,

agendo cioè in termini preventivi, mentre tutti gli altri sono di carattere

retrospettivo, affrontano cioè l’accadimento quando è già avvenuto.

Talvolta gli strumenti possono essere cogenti e/o volontari allo stesso

tempo, come nel caso della Fmea che, solitamente di carattere volon-

tario, diventa cogente se l’organizzazione sanitaria intende adottare

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capitolo tre

105

03specifici modelli di accreditamento all’eccellenza (ad esempio, Joint

commission o Accreditation Canada) o nel caso di specifiche direttive

regionali (per esempio, la delibera n. 1831/08 della Regione Veneto e

la delibera n. 137/10 del Piano programmatico 2010-2012 della Re-

gione Emilia Romagna) che prevedono l’applicazione di specifici stru-

menti nei propri modelli di gestione del rischio clinico. Lo stesso vale

per la root cause analysis che è cogente, se vista come strumento da

applicare nell’ambito della gestione degli eventi sentinella, e volonta-

ria, se non applicata in questo specifico contesto.

Come emerge dalla tabella 2, non tutti gli strumenti coprono le quattro

fasi del processo di gestione del rischio clinico, a eccezione dell’inci-

dent reporting, dell’evento sentinella e della Failure mode and effect

analysis.

Nelle tabelle seguenti (dalla 3 alla 9) si riepilogano le caratteristiche

dei diversi strumenti, riportando per ciascuno:

•cosaè,

•quandosiutilizza,

•comesiutilizza,

•puntidiforza,

•vincolinell’utilizzo.

Tab. 2corrElazionE Tra sTrumEnTi

E Fasi dEl procEsso

di gEsTionE dEl rischio

clinico

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La gestione deL rischio in oncoLogia medica

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Tab. 3: Caratteristiche dell’incident reportingIncident reporting descrizione

Cosa èÈ una modalità retrospettiva, che prevede la raccolta delle se-gnalazioni degli eventi indesiderati, effettuate volontariamente dagli operatori.

Quando si utilizza

Si utilizza nella fase di identificazione del rischio e, a seconda dei suoi contenuti, copre solitamente altre aree del processo di gestione del rischio, come l’analisi del rischio e il monitoraggio. Tale strumento fornisce una base di analisi per la predisposi-zione di strategie e di azioni di miglioramento (ad esempio, identificazione di processi critici).

Come si utilizza

Solitamente l’incident reporting contiene informazioni relative a: contesto, dati del paziente e tipologia di rilevazione, fattori che possono aver contribuito all’evento (le cause possono es-sere più di una e occorre evidenziare quelle ritenute collegate all’accadimento), conseguenze dell’evento, esito dell’evento, informazioni su come si poteva prevenire l’evento, ecc. La struttura del modello ne guida l’utilizzo in modo solitamente anonimo nella fase di segnalazione.

Punti di forza Aumento della consapevolezza degli operatori in merito alla gestione dei singoli casi trattati nelle segnalazioni.

vincoli nell’utilizzo

È necessario che all’interno delle organizzazioni sia garantita la confidenzialità delle segnalazioni e la non punibilità di coloro che segnalano; affinché vengano alimentate le segnalazioni nel tempo, si devono notare i risultati in termini di miglioramento tecnico-organizzativo.

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capitolo tre

107

03Tab. 4: Caratteristiche dell’evento sentinella

evento sentinella descrizione

Cosa è

È uno strumento retrospettivo utilizzato per la segnalazione e gestione di un evento avverso di particolare gravità, potenzialmente evitabile, che può comportare morte o grave danno al paziente e che determina una perdita di fiducia dei cittadini nei confronti del servizio sanitario.

Quando si utilizza

Tale strumento viene utilizzato nelle fasi di identificazione, analisi e trattamento di un evento di particolare gravità, (vedi elenco dei sedici eventi sentinella del 2009), dove il verificarsi di un solo caso è sufficiente a dare luogo a un’indagine conoscitiva mirata ad accertare se vi abbiano contribuito fattori eliminabili o riducibili e ad attuare le adeguate misure correttive da parte dell’organizzazione.

Come si utilizza

La segnalazione è guidata da due schede: la scheda A che deve essere compilata entro sette giorni dall’evento e inviata al Ministero con alcune indicazioni di massima su evento e relative cause; la scheda B che deve essere completata e inviata al Ministero entro 45 giorni dall’evento. La stesura della scheda B, che deve riferire cause identificate, piani di azione e risultati, richiede l’utilizzo di strumenti “potenti”, come la Root cause analysis (Rca), che implica: la costituzione di un team, la raccolta delle informazioni, la loro valutazione, la determinazione delle cause, la pianificazione delle azioni.

Punti di forza

Approccio multidisciplinare richiesto nell’analisi delle cause alla radice e nell’individuazione, da parte delle direzioni aziendali, delle azioni che ridurranno la probabilità e la gravità degli accadimenti in futuro, attivando azioni correttive. Il monitoraggio degli eventi sentinella comprende, oltre alla raccolta delle informazioni, anche la produzione e la successiva implementazione di raccomandazioni specifiche per minimizzare il rischio di accadimento.

vincoli nell’utilizzo

Oltre alla trasparenza della segnalazione, la sua efficacia si fonda sulla capacità di utilizzare gli strumenti di Rca nell’analisi delle cause alla radice e di audit clinico nella verifica dell’efficacia delle soluzioni adottate, oltre alla completezza dei piani (solo il 18% degli eventi sentinella segnalati nel 2005-2007 aveva un piano di contenimento dei rischi).

Tab. 3: Caratteristiche dell’incident reportingIncident reporting descrizione

Cosa èÈ una modalità retrospettiva, che prevede la raccolta delle se-gnalazioni degli eventi indesiderati, effettuate volontariamente dagli operatori.

Quando si utilizza

Si utilizza nella fase di identificazione del rischio e, a seconda dei suoi contenuti, copre solitamente altre aree del processo di gestione del rischio, come l’analisi del rischio e il monitoraggio. Tale strumento fornisce una base di analisi per la predisposi-zione di strategie e di azioni di miglioramento (ad esempio, identificazione di processi critici).

Come si utilizza

Solitamente l’incident reporting contiene informazioni relative a: contesto, dati del paziente e tipologia di rilevazione, fattori che possono aver contribuito all’evento (le cause possono es-sere più di una e occorre evidenziare quelle ritenute collegate all’accadimento), conseguenze dell’evento, esito dell’evento, informazioni su come si poteva prevenire l’evento, ecc. La struttura del modello ne guida l’utilizzo in modo solitamente anonimo nella fase di segnalazione.

Punti di forza Aumento della consapevolezza degli operatori in merito alla gestione dei singoli casi trattati nelle segnalazioni.

vincoli nell’utilizzo

È necessario che all’interno delle organizzazioni sia garantita la confidenzialità delle segnalazioni e la non punibilità di coloro che segnalano; affinché vengano alimentate le segnalazioni nel tempo, si devono notare i risultati in termini di miglioramento tecnico-organizzativo.

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La gestione deL rischio in oncoLogia medica

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Tab. 5: Caratteristiche della root cause analysisRoot Cause

Analysis descrizione

Cosa è

È uno strumento di carattere retrospettivo, che parte da un “problema”, sia esso un evento o un evento avverso, e consente di identificare le “cause alla radice” che possono averlo generato, con un adeguato piano di azioni per evitare che gli accadimenti si ripresentino.

Quando si utilizza

Nel processo di gestione del rischio clinico, si colloca nella fase di analisi dei rischi e si collega ad altri strumenti per l’identificazione dell’evento (es. singolo incident reporting di particolare gravità e/o analisi degli incident reporting raccolti in un dato periodo), d’obbligo nella gestione degli eventi sentinella.

Come si utilizza

Occorre analizzare i fatti fino a identificare tutte le cause dell’evento, evidenziare le cause alla radice e collocarle in uno schema di riferimento, al fine di classificarle, individuare le cause aggredibili, definire le azioni di miglioramento.

Punti di forza

Lo strumento consente di sensibilizzare il personale sulle reali cause di un problema; permette, inoltre, di differenziare le cause per le quali il gruppo di lavoro è indipendente nella risoluzione da quelle dove non è autonomo, al fine di scegliere dove concentrare i propri sforzi in modo efficace ed efficiente.

vincoli nell’utilizzo

Nel gruppo di lavoro devono essere presenti coloro che operano nel processo interessato dal “problema”, per portare alla luce le cause che lo hanno generato. È fondamentale creare un clima positivo; il ruolo del team leader è determinante.

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capitolo tre

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03Tab. 5: Caratteristiche della root cause analysis

Root Cause Analysis descrizione

Cosa è

È uno strumento di carattere retrospettivo, che parte da un “problema”, sia esso un evento o un evento avverso, e consente di identificare le “cause alla radice” che possono averlo generato, con un adeguato piano di azioni per evitare che gli accadimenti si ripresentino.

Quando si utilizza

Nel processo di gestione del rischio clinico, si colloca nella fase di analisi dei rischi e si collega ad altri strumenti per l’identificazione dell’evento (es. singolo incident reporting di particolare gravità e/o analisi degli incident reporting raccolti in un dato periodo), d’obbligo nella gestione degli eventi sentinella.

Come si utilizza

Occorre analizzare i fatti fino a identificare tutte le cause dell’evento, evidenziare le cause alla radice e collocarle in uno schema di riferimento, al fine di classificarle, individuare le cause aggredibili, definire le azioni di miglioramento.

Punti di forza

Lo strumento consente di sensibilizzare il personale sulle reali cause di un problema; permette, inoltre, di differenziare le cause per le quali il gruppo di lavoro è indipendente nella risoluzione da quelle dove non è autonomo, al fine di scegliere dove concentrare i propri sforzi in modo efficace ed efficiente.

vincoli nell’utilizzo

Nel gruppo di lavoro devono essere presenti coloro che operano nel processo interessato dal “problema”, per portare alla luce le cause che lo hanno generato. È fondamentale creare un clima positivo; il ruolo del team leader è determinante.

Tab. 6: Caratteristiche della Failure mode and effect analysis

(fmea)fmea descrizione

Cosa è La Fmea è una tecnica previsionale, sempre più utilizzata in sani-tà per valutare l’affidabilità dei processi.

Quando si utilizza

Per le sue caratteristiche tecniche, più avanti illustrate, si colloca trasversalmente al processo di gestione del rischio clinico. Va infatti dalla fase di identificazione alla fase di monitoraggio del rischio.

Come si utilizza

Per il suo utilizzo è fondamentale costituire un gruppo di lavoro multiprofessionale a garanzia dell’apporto di tutte le conoscenze e competenze disponibili. Il processo di applicazione delle Fmea parte dalla scelta dei processi critici. Poi si applicano le fasi di: studio del processo, analisi dei rischi, trattamento dei rischi con la definizione delle azioni di contenimento e monitoraggio dei ri-sultati.

Punti di forza

Migliora la conoscenza dei processi assistenziali e aiuta chi ope-ra a valutare ciò che viene realizzato quotidianamente. Migliora il processo assistenziale e introduce “barriere preventive di sicurezza” incidendo su frequenza e rilevabilità degli eventi. Fornisce un risparmio di risorse: si agisce in termini preventivi.

vincoli nell’utilizzo

L’efficacia dei risultati dipende dalla qualità delle valutazioni che, essendo soggettive, sono legate al team che le effettua. Pertan-to è fondamentale la costituzione di un gruppo di lavoro compe-tente e aperto al dialogo, che deve essere guidato da un team leader esperto. È opportuno, inoltre, mantenere i risultati raggiunti sui rischi iden-tificati, inserendo ogni anno nell’analisi nuovi processi/prestazio-ni secondo le priorità d’intervento definite e codificate a livello aziendale/regionale.

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La gestione deL rischio in oncoLogia medica

110

Tab. 7: Caratteristiche della Analisi dei contenziosi e dei sinistriAnalisi dei contenziosi e dei sinistri

descrizione

Cosa è È una fonte di informazioni per definire le aree di rischio a livello aziendale.

Quando si utilizza

Si utilizza nella fase di identificazione del rischio, nello specifico come fonte di informazioni e dati per la definizione delle aree prioritarie di avvio del processo di gestione del rischio clinico a livello di organizzazione sanitaria.

Come si utilizza

Si utilizza attraverso l’analisi periodica e strutturata dei conten-ziosi e dei sinistri aperti.

Punti di forza

Facilita il presidio delle aree prioritarie di rischio a livello di azien-da sanitaria; ha un punto di contatto importante con la direzio-ne strategica, premessa per la sensibilizzazione del personale aziendale.

vincoli nell’utilizzo

Al fine di massimizzare le sue potenzialità, si dovrebbe fondare su database il più possibile flessibili, per una maggiore tempesti-vità di risposta ai “quesiti” che l’organizzazione può richiedere.

Tab. 8: Caratteristiche della farmacovigilanzafarmaco- vigilanza descrizione

Cosa èÈ uno strumento cogente per la segnalazione di reazioni avverse da farmaci, incidenti e mancati incidenti relativi all’utilizzo di di-spositivi medici e accessori.

Quando si utilizza

Si utilizza nella fase di identificazione del rischio, ogni volta che i medici e/o i farmacisti, o altre parti interessate, si trovano da-vanti a sospette reazioni avverse da farmaci/dispositivi.

Come si utilizza

Si utilizza secondo schede di segnalazione precostituite a livello ministeriale (decreto 7 agosto 1997) e secondo leggi che guida-no il contenuto delle informazioni, il flusso delle comunicazioni, le responsabilità e i tempi. Tali elementi di segnalazione possono essere input del processo di gestione del rischio di azienda (mappatura dei rischi), anche se solitamente sono input del processo di farmacovigilanza nazionale che vede interessati Ministero della Salute e aziende farmaceutiche, nelle fasi di analisi, trattamento e monitoraggio.

Punti di forza

Costituisce una rete di informazioni a livello nazionale che può fornire indicazioni ad ampio raggio.

vincoli nell’utilizzo

La sensibilizzazione del personale in merito alla gestione delle segnalazioni.

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capitolo tre

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03Tab. 9: Caratteristiche dell’Analisi delle cartelle cliniche

Analisi delle cartelle cliniche descrizione

Cosa è È uno strumento retrospettivo che si basa sull’analisi delle cartelle cliniche per l’identificazione degli eventi.

Quando si utilizza

Tale strumento viene utilizzato nella fase di identificazione del rischio; è accompagnato da altri strumenti, come tecniche di problem setting e problem solving.

Come si utilizza

La revisione viene attuata a campione e occorre definire le modalità di campionamento per condurre un adeguato audit. Solitamente i due metodi sono: i 18 criteri derivati dall’Harvard study e i Limited screening del Department of veteran affairs degli Stati Uniti.

Punti di forza

Approccio multidisciplinare che consente un aumento della consapevolezza degli operatori sanitari sui rischi, con condivisione dei requisiti formali e sostanziali della cartella clinica, che induce il cambiamento immediato dei comportamenti.

vincoli nell’utilizzo

Oltre che sulla puntuale formazione degli operatori come elemento chiave dell’applicazione dello strumento, il buon esito si fonda sulla correttezza e completezza delle registrazioni presenti nelle cartelle cliniche.

Nelle pagine seguenti si riporta l’esito di una survey fatta dalla EmmEffe

management & formazione con il Cipomo, grazie al contributo educazio-

nale di un’azienda farmaceutica multinazionale, il cui sostegno ha reso

possibile la realizzazione dell’iniziativa che, oltre a produrre risultati sul

piano tecnico, ha rappresentato anche un modello di integrazione di

competenze diverse.

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La gestione deL rischio in oncoLogia medica

112

3.3 Survey del Cipomo: le priorità applicative degli strumenti del rischio clinico

Il Collegio italiano dei primari di oncologia medica ospedaliera (Cipo-

mo) si occupa da anni di tematiche organizzative ed è storicamente

attento a supportare i propri iscritti nell’accrescere le competenze con

l’attuazione di programmi formativi in ambito tecnico-gestionale.

In occasione dei tre eventi formativi a livello nazionale erogati nel

2010, che hanno visto la partecipazione di oltre settanta clinici, preva-

lentemente primari di Oncologia medica, finalizzati a fornire ai propri

iscritti una panoramica sul processo e sugli strumenti per la gestione

e riduzione del rischio clinico, è stata condotta una survey. L’indagine,

condotta al termine degli incontri, era finalizzata a raccogliere infor-

mazioni in merito alle esigenze formative di breve (il prossimo anno)

e medio periodo (il prossimo triennio) nell’applicazione degli strumenti

per la gestione del rischio clinico, in modo da sviluppare programmi

mirati alle priorità emerse.

Nella figura 4 sono riportate le priorità emerse dall’indagine sugli stru-

Fig. 4lE prioriTà applicaTivE dEgli sTrumEnTi pEr la gEsTionE dEl rischio clinico dEl brEvE E mEdio pEriodo

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capitolo tre

113

03menti per la gestione del rischio clinico, per il breve e medio periodo.

Come priorità di sviluppo e approfondimento per il primo anno, è stata

segnalata la Failure mode and effect analysis (52%), strumento pro-

spettico per la gestione del rischio clinico, al secondo posto (30%)

sono state segnalate l’applicazione dell’incident reporting e la diffusio-

ne delle conoscenze sul processo di gestione del rischio clinico e sui

suoi principali strumenti. In merito alle priorità del triennio, emergono

la root cause analysis (33%) e l’audit clinico (22%).

Considerazioni conclusive

Considerando che non esiste lo “strumento ideale” per la gestione

del rischio clinico, dovrebbe essere adottato, nel rispetto delle

indicazioni legislative vigenti anche in ambito regionale, lo strumento

più idoneo al contesto aziendale e alle caratteristiche delle relative or-

ganizzazioni, principalmente in termini di conoscenza, consapevolezza

e disponibilità al cambiamento. Tutto ciò con l’obiettivo, nel tempo, di

attivare una gestione integrata dei vari strumenti, tra loro sinergici.

L’esito della survey Cipomo, che ha visto la partecipazione di 57 unità

operative di Oncologia medica in ambito nazionale e di oltre 70 medici

oncologi, ha consentito di sviuppare la conoscenza sugli strumenti ap-

plicabili per la gestione del rischio clinico, illustrandone caratteristiche

di applicazione, vantaggi e vincoli nell’utilizzo.

La survey ha inoltre fornito indicazioni di priorità di approfondimento

dei diversi strumenti presentati, fornendo a Cipomo ulteriori elementi

per lo svilluppo di programmi formativi nel breve periodo. Sono state

impostate, infatti, progettualità per l’applicazione della Failure mode

and effect analysis oggi già in corso in diverse Oncologie mediche a

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114

livello regionale e altre da estendere sul territorio nazionale attraverso

incontri inter-regionali.

Gli sviluppi applicativi e formativi della gestione del rischio clinico po-

tranno vedere sempre più la partecipazione dei farmacisti, in partico-

lare per quanto riguarda la gestione del rischio clinico nelle terapie

farmacologiche, anche nell’ottica del ruolo del farmacista di diparti-

mento.

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115

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Il farmacIsta neI repartI: la stewardship antIbIotIca

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