ARTICOLO GIORNALE "VISTO"

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45 addio Parla il papà del giovane che si è ucciso per protesta contro i «baroni» universitari L’Italia dei raccomandati ha... suicidato mio figlio «Norman era disperato perché, nonostante fosse uno studente brillante, non aveva gli appoggi per diventare docente. E ha scelto lucidamente di ammazzarsi per denunciare un sistema scandaloso», dice Claudio Zarcone che ora rievoca in un libro la storia del ventisettenne di Palermo morto il 13 settembre 2010 gettandosi dal settimo piano dell’ateneo. «L’ho dedicato ai ragazzi della sua generazione, cui stanno rubando il futuro» UNA TARGA PER LUI Palermo. Sopra, Claudio Zarcone, oggi 56 anni, con la moglie Giusi, 53, e l’ex ministro Giorgia Meloni, 35, all’inaugurazione dello «Spazio Norman» (in alto a sinistra, la targa), nella città universitaria di Palermo, dedicato al figlio Norman Zarcone (a destra, il giorno della laurea), uccisosi a 27 anni. In basso a destra, la copertina del libro su Norman scritto da papà Claudio. stato tante lacrime. Ma quello che mi addolora di più è vedere tanti giovani comportarsi come se il loro futuro non li toccasse. Le prime copie del libro le ho stampate grazie alla Provincia di Palermo. Vorrei fare un appello. Ho bisogno di un editore per diffondere il mes- saggio che Norman ha volu- to lasciarci». Ci racconti la sto- ria dall’inizio. «Quel lunedì mat- tina era nella sua stanza, sommerso di libri. Entrai un attimo e vidi che stava scrivendo su un qua- dernetto. Pensavo stesse la- vorando alla sua tesi del dottorato. Mio figlio e lo studio da sempre erano una cosa sola. Invece stava scri- vendo la sua lettera d’addio. Poche ore dopo si sarebbe gettato dal settimo piano dell’Università di Palermo». Che studi aveva fatto? «Si era laureato con lode in Filosofia della conoscenza e di Mirella Dosi Palermo, maggio. «Esistono due libertà incon- dizionate: la libertà di pen- siero e la libertà di morire, che è la stessa di vivere». Que- ste le ultime righe scritte da Norman Zarcone, una men- te brillante di 27 anni che il 13 settembre 2010 ha scelto di togliersi la vita. Stufo, ma non di vivere. Stufo di veder andare avanti solo i racco- mandati. A raccogliere il suo grido di dolore è suo papà Claudio che ha scritto un libro, Il cane di Zenone corre più veloce di me, per far sì che il suo gesto non sia dimenti- cato, ma serva a far riflettere la generazione dei trentenni, quella che lui stesso ha ribat- tezzato «generazione Nor- man». «Mettere il suo dram- ma nero su bianco mi è co- della comunicazione e spe- cializzato, sempre col massi- mo dei voti, in Filosofia e storia delle idee. Stava finen- do un dottorato di ricerca e nel frattempo si era iscritto a Fisica e aveva conseguito il tesserino da giornalista pro- prio tre giorni prima della sua morte. Però non era un sec- chione: amava la musica e suonava con un gruppo. E “Lasciò una lettera in cui era scritto il suo atto d’accusa” “ERA UN DOTTORANDO MODELLO, LAUREATO CON LODE”

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L'ITALIA DEI RACCOMANDATI PARLA CLAUDIO ZARCONE

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addio Parla il papà del giovane che si è ucciso per protesta contro i «baroni» universitari

L’Italia dei raccomandati ha... suicidato mio figlio«Norman era disperato perché, nonostante fosse uno studente brillante, non aveva gli appoggi per diventare docente. E ha scelto lucidamente di ammazzarsi per denunciare un sistema scandaloso», dice Claudio Zarcone che ora rievoca in un libro la storia del ventisettenne di Palermo morto il 13 settembre 2010 gettandosi dal settimo piano dell’ateneo. «L’ho dedicato ai ragazzi della sua generazione, cui stanno rubando il futuro»

una targa per lui Palermo. Sopra, Claudio

Zarcone, oggi 56 anni, con la moglie Giusi, 53, e l’ex ministro Giorgia Meloni,

35, all’inaugurazione dello «Spazio Norman» (in alto a

sinistra, la targa), nella città universitaria di

Palermo, dedicato al figlio Norman Zarcone (a destra,

il giorno della laurea), uccisosi a 27 anni. In basso

a destra, la copertina del libro su Norman

scritto da papà Claudio.

stato tante lacrime. Ma quello che mi addolora di più è vedere tanti giovani comportarsi come se il loro futuro non li toccasse. Le prime copie del libro le ho stampate grazie alla Provincia di Palermo. Vorrei fare un appello. Ho bisogno di un editore per diffondere il mes-saggio che Norman ha volu-

to lasciarci».Ci racconti la sto-

ria dall’inizio.«Quel lunedì mat-

tina era nella sua stanza, sommerso di libri. Entrai un attimo e vidi che stava scrivendo su un qua-dernetto. Pensavo stesse la-vorando alla sua tesi del dottorato. Mio figlio e lo studio da sempre erano una cosa sola. Invece stava scri-vendo la sua lettera d’addio. Poche ore dopo si sarebbe gettato dal settimo piano dell’Università di Palermo».

Che studi aveva fatto?«Si era laureato con lode in

Filosofia della conoscenza e

di Mirella DosiPalermo, maggio.

«Esistono due libertà incon-dizionate: la libertà di pen-siero e la libertà di morire, che è la stessa di vivere». Que-ste le ultime righe scritte da Norman Zarcone, una men-te brillante di 27 anni che il 13 settembre 2010 ha scelto

di togliersi la vita. Stufo, ma non di vivere. Stufo di veder andare avanti solo i racco-mandati. A raccogliere il suo grido di dolore è suo papà Claudio che ha scritto un libro, Il cane di Zenone corre più veloce di me, per far sì che il suo gesto non sia dimenti-cato, ma serva a far riflettere la generazione dei trentenni, quella che lui stesso ha ribat-tezzato «generazione Nor-man». «Mettere il suo dram-ma nero su bianco mi è co-

della comunicazione e spe-cializzato, sempre col massi-mo dei voti, in Filosofia e storia delle idee. Stava finen-do un dottorato di ricerca e nel frattempo si era iscritto a Fisica e aveva conseguito il tesserino da giornalista pro-prio tre giorni prima della sua morte. Però non era un sec-chione: amava la musica e suonava con un gruppo. E

“Lasciò una lettera in cui era scritto

il suo atto d’accusa”

“ERA UN DOTTORANDO MODELLO,

LAUREATO CON LODE”

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aveva una fidanzata con la quale pensava di sposarsi, appena trovato un lavoro stabile. D’estate faceva il ba-gnino per guadagnare qual-cosa. Diceva: “Voglio appren-dere l’etica del lavoro”».

Qual era il suo sogno professionale?

«Avrebbe voluto essere pa-gato per studiare. Perché era una cosa che lo rendeva feli-ce. La carriera universitaria sembrava cucita addosso a lui. Ma sapeva di non avere speranze perché le borse di ricerca sarebbero state asse-gnate ad altri. Con meno meriti, ma più conoscenze che contano. Infatti era iso-lato in facoltà. Nessuno rico-nosceva i suoi meriti, tutti gli consigliavano diplomatica-mente di cambiare strada».

Si è chiesto il perché di un gesto così forte?

«Norman non era un de-

nitori impiegati. Se no sareb-be diventato ricercatore senza problemi».

Perché ha scritto questo libro?

«Sono stati gli amici di mio figlio a pregarmi di farlo. Guardandoli, ho ancora la speranza che questa genera-zione trovi la forza di andare avanti. Norman sul suo qua-derno ci ha lasciato dei mes-saggi. L’ultimo è stato questo: “Mi dispiace, ma con fredda lucidità vi devo dire che ho capito tutto, poco o niente. Mi attende una nuova ricer-ca anche se non potrò com-

mentarla. Avrei voluto tra-smettere il mio essere in un altro modo. Avevo grandi idee”. Con la sua morte Nor-man ha sbugiardato, meglio che con tante parole, le rego-le baronali che uccidono l’università».

Mirella Dosi

“Ora è diventato un ricordo scomodoper i professori”

“Era bravissimo, ma non è mai stato

un secchione”

presso, come qualcuno vuol far credere. Gli amici lo chia-mavano “lo zuzzurellone” per la sua simpatia. Il suo è un omicidio di Stato. Ucci-dendosi in facoltà Norman voleva gridare il suo no con-tro un sistema di micro po-tere che avvelena le coscien-

ze dei giovani».Le aveva lanciato

qualche segnale?«Era sempre più

arrabbiato per quel-lo che vedeva intorno a lui. Quando al Tg hanno dato la notizia che a Barbara Berlu-sconi, sua coetanea, era stato offerto un posto da docente nell’Università di Don Verzè, andò su tutte le furie. Era un’umiliazione per lui, che si era laureato col massimo dei voti in quella stessa disci-plina. Però continuava a studiare, a suonare, a lavora-re. Stava facendo un servizio sulla mafia a Brancaccio, il nostro quartiere. Voleva pro-porlo a Current tv. L’Ordine dei giornalisti infatti gli ha reso omaggio istituendo due

borse di studio a suo nome. L’Università invece continua a ignorarlo».

Perché dice così?«Il rettore davanti alle tele-

camere aveva promesso di assegnargli il dottorato ad honorem. Cosa giusta, visto che mio figlio aveva regolar-mente terminato i tre anni. Ma ancora l’aspetto quel pezzo di carta. Mi è stato riferito che non arriverà mai per punirmi, visto che parlo troppo. Però non capisco perché si accaniscono contro di me: non sono il primo a dire che l’Università italiana è marcia. La verità è che Norman è di-ventato scomodo: è il simbolo di una generazione senza futuro. I suoi amici avrebbe-ro voluto che un’aula della facoltà di Lettere portasse il suo nome. Alla fine c’è stato un compromesso: all’interno della città universitaria è sta-ta creato lo Spazio Norman. La sfortuna di Norman è stata quella di avere due ge-