Architettura comunicativa di un genere televisivo. Il talk show tra ... · programma televisivo in...
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Dipartimento di Scienze Politiche
Corso di Laurea Magistrale in “Governo e Politiche”
Indirizzo “Comunicazione e Nuovi Media”
Cattedra di “Campaigning e Organizzazione del consenso”
Architettura comunicativa di un genere
televisivo.
Il talk show tra infotainment politico e l’issue
dell’immigrazione.
Relatore:
Prof. Massimiliano PANARARI
Correlatore:
Prof. Emiliana DE BLASIO
Studentessa:
Ludovica SAVINA
Matricola 629422
Anno Accademico 2016/2017
INDICE
2
SITOGRAFIA……………………………………………………...……………………….4
PARTE I
POLITICA & INTRATTENIMENTO: UN BIONOMIO CARDINE DELLA
COMUNICAZIONE POLITICA
1.1 Il clima culturale della politca pop……………………………………………………...6
1.2 Il leader pop……………………………………………………………………………16
1.3 Il talk show………………………………………………………...…………………..22
1.4 Lo spettatore – cittadino…………………………………………...…………………..28
1.5 Agenda setting e notiziabilità…………………………………...……………………..35
1.6 Il dibattito contemporaneo……………………………………………………………..38
PARTE II
L’OFFERTA POLITICA DELLA TELEVISIONE ITALIANA
2.1 Contesto………………………………………………………………………………..42
2.1.1. Rai………………………………………………………………………...…....44
2.1.2 Mediaset……………………………………………………………...……..…..50
2.1.3. La 7……………………………………………………………………….…….53
2.1.4. Sky…………………………………………………………………….………..56
2.2 L’evoluzione del panorama politico attraverso il talk show……………..…….…..….57
2.2.1 Storia di un format di successo………………………….……………………...58
2.2.2 Tribuna elettorale...……………………………………………….…………….63
2.2.3 Mixer…………………………………………………………………….……...66
2.2.4 Samarcanda……………………………………………….…………………….68
2.2.5 Porta a Porta…………………………………………………….………………70
2.2.6 Matrix……………………………………………………….…………………..73
2.2.7 Servizio Pubblico…………………………………………….…………………74
2.2.8 Il confronto………………………………………….…………………………..76
2.2.9 Crisi o adeguatamento?…………………………………...…………………….78
3
PARTE III
CASE STUDY: LA RAPPRESENTAZIONE MEDIALE DEL FENOMENO
MIGRATORIO
3.1 L’immigrazione come oggetto mediatico……………………………………………...81
3.2 Il ritratto criminale dell’immigrazione…………………………………...…………....84
3.3 Il racconto dell’immigrazione…………………………………………...…………….90
3.4 Linguaggio emotivo …………………………………………………...……….........100
3.5 Storia dell’immigrazione della televisione Italiana……………………………..……104
3.6 Il telespettatore straniero………………………………………...…………...………106
PARTE IV
L’IMMIGRAZIONE NELLA STRUTTURA NARRATIVA DEL TALK
4.1 L’architettura del talk…………………………………………………………...……111
4.1.1 Il set………………….…………………………………………………...……112
4.1.2 Struttura testuale……….…………………………….………………...……....113
4.1.3 Dibattito………………….…………………………….…………...………….115
4.1.4 Ruoli………………….……………………………………………...………...116
4.2 Immigrazione e talk show: una proposta d’analisi……………………...……………121
CONCLUSIONE……………………………………………....…………………………129
BIBLIOGRAFIA………………………………………...……………………………….132
SITOGRAFIA……………………………………………………...…………………….135
4
INTRODUZIONE
In questo elaborato si è deciso, principalmente, di realizzare un percorso che potesse
collegare due tematiche caratterizzanti il nostro tempo: il politainment e l’immigrazione.
Il contesto da cui partiamo è determinato dalla complessità dell’attuale scenario
comunicativo, dove il moltiplicarsi degli strumenti di informazione e la centralità del ruolo
che oggi ricoprono, in quanto principali agenti di socializzazione, hanno comportato
un’importante ridefinizione dei meccanismi di produzione e circolazione dell’informazione
politica.
Ma il mondo dei media è vasto e in continua evoluzione. Per tale motivo, in questo progetto,
si è deciso di porre l’attenzione su un medium in particolare che, nonostante le sfide
tecnologiche, continua a ricoprire una posizione determinante nel sistema mediale, ossia la
televisione.
Partendo quindi da un’ampia riflessione sul rapporto tra media e politica, si cercherà di
fornire una panoramica del contesto contemporaneo, sempre sorretta da considerazioni
teoriche che costituiscono le fondamenta del nostro percorso, per giungere ad un delicato e
centrale tema la cui sorte dipenderà da come viene oggi veicolato e raccontato dal sistema
dei media e della politica.
La svolta verso il sensazionalismo e la personalizzazione dell’informazione politica, centrale
in questo elaborato, verrà trattata soprattutto in relazione ad un genere televisivo che è il talk
show, arena mediale in cui l’attore politico è sottoposto ad un’importante opera di
spettacolarizzazione.
Le riflessioni teoriche di questo progetto saranno principalmente riportate nella prima parte,
dove poniamo le basi di quel “matrimonio” tra politica e intrattenimento ormai consolidato
nel panorama contemporaneo. Infotainment, politainment, sensazionalismo e
personalizzazione sono i concetti chiave intorno a cui ruota tutta questa prima parte, con
un’analisi che tocca la politica pop e il leader pop, il telespettatore e il talk show.
Nella seconda parte forniremo un’analisi storica ed attuale del panorama televisivo che
andiamo ad indagare, non un’analisi di contesto ma una sezione determinante alla luce del
sentiero che intende percorrere quest’elaborato. Obiettivo primario in questo caso sarà
dimostrare come la televisione e i suoi talk show non solo abbiano rispecchiato decennio
dopo decennio il sistema politico e sociale in cui si inserivano, ma abbiano contribuito a
plasmarlo ed ridefinirlo.
5
Nella seconda parte di questo capitolo analizzeremo invece l’architettura del talk, intesa
come le sue componenti essenziali ed universali, in vista di quella che sarà la parte
conclusiva di questa tesi.
Nel terzo capitolo introdurremo invece il focus di questo lavoro, che abbiamo individuato
nel tema dell’immigrazione. La costruzione mediale dei social problems può essere
particolarmente complessa e delicata, ma sicuramente determinante nella percezione
collettiva che si va a creare intorno a quel tema e, quindi, delle azioni e soluzioni che
vengono proposte dalla classe politica.
Infine, la parte conclusiva sarà occupata da un’appendice che, alla luce di quanto
precedentemente esposto, in via teorica si pone l’obiettivo di analizzare concretamente le
modalità con cui il tema dell’immigrazione viene trattato nei talk show a carattere politico.
Il periodo che si prenderà in considerazione corrisponde a va dal 26 aprile 2017 al 3 maggio
2017 e Porta a porta, Matrix e DiMartedì saranno i talk su cui si è soffermerà la nostra
attenzione. Per tale analisi si è scelto di adottare un approccio sociosemiotico, perché in
grado di fornire una panoramica di carattere qualitativo sull’oggetto in esame, i grado di
“superare una visione semplicistica e ingenua dei prodotti mediali”.
6
PARTE 1
POLITICA & INTRATTENIMENTO: UN BINOMIO
CARDINE DELLA COMUNICAZIONE POLITICA
1.1 IL CLIMA CULTURALE DELLA POLITICA POP
“Una volta chi si sentiva abbandonato dal resto dell’umanità trovava consolazione nel fatto
che l’Onnipotente, almeno lui, era ogni giorno testimone dei suoi affanni. Oggi quella
funzione divina è decisamente sostituita dall’apparire in televisione”, scrive Umberto Eco
nell’articolo Dio non c’è più, la tv invece sì, su L’Espresso il 23 dicembre 20101.
Oggi il rapporto tra politica e comunicazione ha raggiunto livelli di interdipendenza
impensabili sino a un secolo fa. Partiamo in questo caso da un assunto fondamentale, ossia
che la comunicazione politica sconfina in più territori, dalla psicologia alla sociologia,
dall’antropologia alla pubblicità. Siamo quindi di fronte a una branca fortemente
multidisciplinare che proprio per questo consente di leggere ed approcciarsi alla complessa
realtà politica.
Un veloce, ma doveroso, accenno va alla storia secolare della comunicazione politica il cui
inizio si fa risalire ad Aristotele e Platone e più in generale alla filosofia greca, che per prima
si è cimentata nell’analisi dei rapporti politici tra i membri di una comunità e, in particolare,
il potere della retorica sui cittadini. La storia della comunicazione politica, naturalmente,
tocca anche il mondo romano e la sua fase repubblicana, con le celebri campagne elettorali
organizzate presso le province periferiche.
Aspettiamo comunque l’arrivo dei mezzi di comunicazione di massa per poter parlare per la
prima volta di comunicazione politica in senso stretto. Ecco quindi che “la comunicazione e
le sue forme di espressione costituiscono elementi fondamentali della qualità e dei caratteri
1 http://espresso.repubblica.it/opinioni/la-bustina-di-minerva/2010/12/23/news/dio-non-c-e-piu-la-tv-invece-
si-br-1.26905
7
della democrazia”2, contribuendo al mutamento delle forme di partecipazione alla vita
pubblica, di organizzazione dei soggetti politici, di selezione della classe dirigente. Se
nell’antica Grecia la polis costituiva l’arena, nella Roma repubblicana avevamo il foro,
nell’Inghilterra del ‘700 club e gazzette, i pamphlet e i caffè a Parigi, e ancora i parlamenti
e i giornali nelle democrazie parlamentari o le piazze e i mezzi di propaganda nei regimi
totalitari. Ed ora nelle moderne democrazie la Televisione ed è arrivato il momento, forse,
di aggiungere la Rete.
Ma il punto di svolta, per questo innalzato a pilastro di questo elaborato, è la comparsa negli
anni ’50 – ’60 della televisione.
La politica è entrata in televisione e ne è diventata la protagonista. “Il resto è storia di oggi:
dai grandi dibattiti Kennedy-Nixon a quelli più nostrani Prodi-Berlusconi; dalle pittoresche
conventions americane alla raffinata costruzione dell’immagine mitterrandiana di Jacques
Séguéla; dai grandi reportages del Vietnam di Walter Cronkite ai grandi eventi mediatici
della caduta del muro di Berlino e alla fine dell’Unione Sovietica; dalle piazze elettroniche
di Santoro alle telecronache della campagna elettorale di Obama”3.
Oggi si possiede piena consapevolezza di come i media e la loro rapida affermazione e
diffusione abbiano in poco tempo imposto alla politica una trasformazione del proprio
linguaggio, spesso calibrato anche in base al mezzo o format con cui si interfacciava.
Trasformazione che ha investito lo stesso attore politico che oggi sfrutta a sua volta i media
come principale strumento di propaganda.
C’è stato un momento quindi in cui il sistema politico ha dovuto fronteggiare nuovi attori in
grado anch’essi di indirizzare e condizionare il pubblico, non a caso nelle grandi dittature i
media continuarono ad avere quel celebre ruolo determinante nell’influenzare le masse,
questa volta piegati completamente al servizio della classe politica, privati della loro
autonomia e libertà.
Abbiamo assistito all’affermazione dei mass media nella società moderna, all’evolversi e
allo svilupparsi della società della comunicazione arrivando oggi ad affermare che la sfera
pubblica e i fondamenti stessi della democrazia rappresentativa subiscono completamente i
mutamenti della scena mediale. Parliamo dell’intervista a un noto politico in un noto
2 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la
politica, l’Italia, Carocci, 2016, p.10.
3 Mazzoleni Gianpietro, La comunicazione politica, il Mulino, Bologna, nuova, 1998, p.19.
8
programma televisivo in grado di influenzare direttamente l’agenda politica, e non solo, del
giorno dopo, o la partecipazione di un politico ormai in declino ad un programma condotto
da un suo oppositore in grado di rilanciare completamente il politico sulla scena
contemporanea o confronti tra politici progettati in accurate scenografie teatrali.
Trasformazioni “qualitative” e nel corso degli anni sempre più “quantitative” data
l’egemonia della televisione sull’intero sistema mediale. “Un tempo la copertura mediatica
era la conseguenza dell’azione politica. Oggi è il presupposto”.4
Questo elaborato si concentra sul rapporto tra televisione, in particolare talk show, e politica,
ma possiamo comunque evidenziare come anche altri rappresentanti della società
contemporanea hanno negli anni instaurato uno stretto legame con i media, non ultima la
Chiesa Cattolica, che ormai da tempo ha affermato la sua presenza sui moderni strumenti di
comunicazione. Possiamo riportare un esempio tra tutti: l’ultimo atto da pontefice di
Benedetto XVI e il suo volo verso Caste Gandolfo “un indiscutibile capolavoro
mediatico…la scenografia e i dettagli hanno trasformato un grande evento storico in un
grande evento mediatico, cosa che di per se non era per niente scontata”. 5
Mazzoleni introduce l’idea della comunicazione politica intesa come prodotto
dell’interazione fra tre attori: sistema politico (istituzioni, partiti, politici), sistema dei media
(imprese di comunicazione, giornalisti), cittadino-elettore. Di questi analizza i vari flussi di
interazione, su cui in questo caso non ci soffermeremo, ma è necessario sottolineare che tali
interazioni avvengono nelle società postindustriali soprattutto tramite i canali della
comunicazione di massa, ecco perché il ruolo dei media diventa sempre più preponderante
ed ecco perché oggi la comunità scientifica parla di “mediatizzazione” della politica.
Ci si riferisce quindi al “processo che riguarda l’arena pubblica nella quale vengono
importate e adottate dagli attori politici logiche mediatiche che possono venire a conflitto
con le logiche proprie dell’agire politico, ma che hanno finito per condizionare la scena e
spesso anche il retroscena della vita pubblica.”6
Ma questa mediatizzazione della politica sappiamo bene non limitarsi all’industria
dell’informazione e ormai dominare anche l’industria dell’intrattenimento.
4 http://www.mangialibri.com/interviste/intervista-francesco-giorgino
5 Morelli Dario, E Dio Creò i Media, Baldini&Castoldi, Milano, 2014, p.14.
6 Mazzoleni Gianpietro, La comunicazione politica, il Mulino. Bologna, nuova, 1998, p.54.
9
Parliamo della cosiddetta Politica Pop che Mazzoleni definisce come: “trasformazione del
sistema politico e della comunicazione politica verso forme di spettacolarizzazione e
personalizzazione, di cui i media sono i motori, ma di cui i politici sono attori entusiasti”.7
“Spettacolarizzazione” e “sensazionalismo” sono oggi i concetti chiave per identificare
l’approccio dei media alla scena politica contemporanea e del passato. Media che rispondono
alle logiche di mercato, alla fame di gossip e invadenza del pubblico, prevale quindi
l’approccio dell’infotainment, di cui Mazzoleni e Sfardini (2009) individuano 3 declinazioni:
Infotainment 1.0: sottogenere dell’informazione dedito al gossip e al sensazionalismo.
Infotainment 2.0: centralità del dibattito, inteso come confronto/scontro che facilmente
sfocia in spettacolo. In bilico quindi tra informazione e intrattenimento (Ballarò, Anno zero,
Porta a Porta, Matrix).
Infotainment 3.0: indossa la veste del giornalismo puro, dell’informazione vera e cruda ma
il fine è sempre lo spettacolo, quindi i programmi con i comici ne sono l’espressione più
comune (Striscia la notizia, Le Iene, Crozza a Ballarò, Rock Politic).
Al fenomeno dell’infotainment si accompagna quello del politainment, in cui la politica non
è sfruttata dai media per fare intrattenimento ma è essa stessa a produrre spettacolo. Quella
che Mazzoleni e Sfardini definiscono “politica pop”.
Prima di procedere è necessario fornire un rapido chiarimento su tali concetti accennati e
che nel corso di questo elaborato prederanno sempre più forma: Infotainment politico/ Soft
News politiche/ Politainment. Fenomeni complessi e trasversali con cui si tenta di inquadrare
in confini più o meno labili di diversi generi e diverse modalità di fare informazione.
Infotainment: con cui indichiamo l’affermazione di una nuova modalità di fare
informazione, ossia un ibrido tra politica e intrattenimento.
Mazzoleni in questo caso distingue due aspetti:
1. Assistiamo all’infotainment quando l’informazione politica cerca di essere anche
piacevole, di avere appeal sullo spettatore. Quando la notizia politica viene
confezionata al pari di qualunque altra, con elementi di gossip, curiosità o ironia.
2. Quando è il programma di intrattenimento inizia a trattare di politica, è l’emblema
della mediatizzazione, programmi dediti all’intrattenimento piegano il loro format e
il loro linguaggio alla sfera politica che si popolarizza totalmente. Quindi comici che
7 Ilvio Diamanti in Mazzoleni Gianpietro e Anna Sfardini, Politica pop. Da Porta a porta a'L'isola dei
famosi, Il mulino, 2009, p.7.
10
intervistano politici o programmi di satira che deridono leader, partiti e commentano
notizie. Sulla cui presenza Freccero afferma: “Ma la presenza del comico non ne
depotenzia l’importanza, anzi, in alcuni casi conferisce alla notizia un’aurea di
maggiore autenticità”8.
Soft news: richiamiamo i tentativi di rendere le notizie politiche “leggere”, “piacevoli”, con
i vari riferimenti alla spettacolarizzazione e alla drammatizzazione.
Politainment: con cui indichiamo l’abbandono completo al giornalismo e alle news per un
contatto diretto tra politica e spettacolo. Anche in questo caso Mazzoleni distingue tra:
1. politica divertente;
2. intrattenimento politico.
Quindi da un lato l’utilizzo di elementi di spettacolo in campagna elettorale o partecipazione
di un leader a un programma di varietà, dall’altro l’accesso dei politici nell’industria
culturale popolare, quindi partecipazione a serie tv- programmi sportivi, spettacoli teatrali
ecc.
Focalizziamo ora l’attenzione sull’infotainment e sulle strategie elaborate per rendere
attraenti le notizie politiche. Partiamo col definire il contesto italiano in cui questo fenomeno
è sorto e le sue peculiarità.
Mazzoleni distingue 3 fattori grazie a cui la TV ha condizionato la politica:
1. Fattore culturale: la tv tramite i suoi programmi è riuscita ad imporre modelli sociali
e morali comunemente accettati. Ciò tramite:
- l’esaltazione della quotidianità, la tv si presenta come la casa degli italiani, e di
conseguenza ospita la politica a casa degli italiani.
- l’autoreferenzialità, l’autocelebrazione del suo star system.
Una tendenza all’intimità con il pubblico, a un contatto reale e concreto (es: reality)
2. Fattore economico-istituzionale: in riferimento alle logiche di mercato. L’obiettivo è
uno: fare ascolti.
3. Fattore sociale: quindi una serie di variabili sociali che caratterizzano il pubblico
italiano. Si abbandona lo status di “cittadino” destinatario delle informazioni culturali
pensate dalla televisione, per ottenere il ruolo di “consumatore” di fronte a un
“prodotto” confezionato ad hoc.
8 Freccero Carlo, Televisione, Bollati Boringhieri, 2013, p 90.
11
Infotainment quindi inteso come commistione, contaminazione di linguaggio politico con
gossip, scandali, curiosità, non a caso i primi esempi mergono nei TV-magazine (Verissimo
o La vita indiretta).
Tale schema proposto da Mazzoleni nel suo volume esprime sicuramente un’interpretazione
critica della deriva dell’informazione, analizzata tramite la variabile della retorica
impegnata. Dalla TV notizia che tramite inchieste e approfondimenti restituisce al piccolo
schermo la sua mission più alta (es: Report), passando al noto dibattito televisivo dove la
spettacolarizzazione inizia ad emergere (es: Maurizio Costanzo Show), per concludere la Tv
del dolore e del gossip. “Oggi la televisione è ossessionata dal problema della realtà”9. Un
posto intermedio tra la seconda e la terza posizione è offerto invece dall’ “utility TV”, quei
prodotti a servizio dei cittadini, che intervengo attivamente per la sua difesa e tutela (es: Chi
l’ha visto, Mi manda Rai Tre, Elisir).
Parliamo quindi di una storia scritta a due mani da politica e media, di interdipendenza
reciproca e influenza costante. Il termine adeguato è mediatizzazione politica, fenomeno
come già detto comune a molti paesi ma che nella forma italiana raggiunge probabilmente
contraddizioni e livelli che rendono la nostra penisola un caso sui generis.
9 Ivi. 91
12
Il primo segnale di questa mediatizzazione emerge dalla deriva dei vari programmi televisivi
verso l’infotainment (Matrix, Ballarò, Le invasioni barbariche) e il politainment (Le Iene,
l’Isola dei famosi, Unomattina).
Due sono i celebri effetti sui cui è doveroso soffermarsi in questo contesto. Partiamo dalla
personalizzazione della leadership, che come sappiamo contraddistingueva anche i forti
leader del passato ma che dalla seconda repubblica acquista una forma del tutto nuovo, il
passaggio è quello dal politico all’uomo. I profondi cambiamenti di quegli anni, l’evoluzione
del modo di fare politica e la fine dell’appartenenza partitica hanno consentito all’elettorato
di aprirsi a nuovi approcci e a una nuova comunicazione politica. Si afferma quindi il leader
super omnes, che ha un partito a sua disposizione e che in lui si indentifica ed è esattamente
in questa trasformazione che i media hanno costruito una nuova modalità comunicativa. Si
è affermato il gossip, lo scandalo, le manie e le debolezze, “è il trionfo della logica dei media
sulla logica della politica”10. Dove per “media logic” si intende: “una «prospettiva», un
«modo di vedere» gli avvenimenti e quindi una visione del mondo che dà «forma» (prima
ancora del contenuto) alle rappresentazioni di realtà offerte al pubblico.”11
Il secondo effetto è naturalmente la spettacolarizzazione della rappresentanza politica e in
questo caso programmi come Cipria o Italia Parla ne sono stati un esempio eclatante, ma lo
strumento probabilmente più emblematico di questa tendenza è stata la capillare diffusione
degli spot elettorali sulle televisioni private, progettati e venduti come un qualunque prodotto
commerciale (ciò naturalmente fino alla legge del 2000 sulla par condicio).
Ma abbiamo parlato anche di contraddizioni che caratterizzano l’esperienza italiana, il media
power esiste e ha portata globale ma naturalmente assume declinazioni diverse a seconda dei
vari contesti nazionali, non a caso nel 2004 è stata elaborata una profonda distinzione da
Hallin e Mancini:
• Il modello pluralista-polarizzato (o mediterraneo). Con cui ci si riferisce al controllo
della politica e delle logiche partitiche sull’industria culturale dei media.
10 Gianpietro Mazzoleni, Anna Sfardini, Politica pop. Da Porta a porta a'L'isola dei famosi, Il mulino, 2009,
p.60.
11 Marini Rolando, Potere dei media, interdipendenza tra poteri e pluralismo dell'informazione, in “Problemi
dell'informazione” 42.1, 2017, p.6.
13
• Il modello democratico-corporativo (o dell’Europa centro-settentrionale). È il
modello della professionalizzazione del lavoro del giornalista, rispettoso e ferreo nel
rispetto delle regole del mestiere.
• Il modello liberale (o nord Altantico). In questo assistiamo a un bilanciamento dei
due poteri, con una sorta di controllo che i media svolgono sul sistema politico.
Naturalmente il caso italiano di colloca nel primo modello in nome di quella dipendenza che
da sempre caratterizza il giornalismo italiano dal sistema politico, richiamiamo ad esempio
le vicende della Rai e le battaglie in parlamento, gli ostacoli al pluralismo delle reti e i
vantaggi ai monopolisti commerciali.
In altre parole media al servizio della politica, utilizzati e manovrati a seconda della causa,
con il sostegno più o meno dichiarato di giornali, telegiornali o reti per una determinata
fazione politica.
Abbiamo definito peculiare l’esperienza italiana, questo soprattutto per l’ascesa alla politica
di un proprietario dei media, che grazie ai media ha raggiunto la scena politica. Un uomo
che incarna l’idolo pop per eccellenza, per estrazione sociale, per atteggiamento, per quel
famoso “carisma” che lo contraddistingue, ha creato un partito personale a sua immagine ed
è arrivato ad esprime a pieno quei caratteri di personalizzazione e spettacolarizzazione che
sono stati precedentemente citati.
Possiamo concludere che il matrimonio tra politica e tv sia avvenuto e si sia ormai
consolidato a livello internazionale e che il nostro paese abbia seguito l’onda della
spettacolarizzazione e della personalizzazione così come altrove, seppur con le peculiarità
dell’ ”anomalia italiana” che hanno portato al potere un personaggio televisivo e gestore dei
media.
La discussione fin dalle origini si è incentrata quindi sostanzialmente intorno a due grandi
macro temi che sono la logica dei media e la logica della politica, sostenendo l’affermazione
della prima sulla seconda, ossia la trasformazione che la politica assume quando entra in
contatto con i media, l’adattamento che subisce in virtù della logica di produzione dei media.
Diverse ricerche si sono susseguite negli anni sull’argomento, in questo elaborato scegliamo
di riportarne una in particolare, condotta nel 2014 da Sergio Splendore e Guido Legnante,
circa la mediatizzazione politica durante le campagne elettorali.
14
“La mediatizzazione va intesa come una prospettiva teorica che prende avvio dalla
constatazione dell’importanza dei media nella produzione e distribuzione di informazioni
sulla politica.”12
Tale ricerca non riguarda i talk show ma si concentra esclusivamente sui telegiornali
partendo da un assunto: il concetto di mediatizzazione della politica viene sempre collegato
ai concetti di infotaianmen e politainment, in format in cui siamo completamente
consapevoli che l’attore politico si adegua alla logica dei media. In questo caso si è deciso
invece di analizzare la relazione che si instaura con un format tradizionale e formale come
quello del telegiornale.
Riportiamo di seguito qualche dato, seppur non in modo approfondito per evitare di divagare
da quello che è il focus di questo elaborato, perché si ritiene sia comunque interessante
inquadrare tutto il contesto televisivo in cui la politica si inserisce.
Sono stati utilizzati i dati dell’Osservatorio di Pavia-Cares sulla presenza dei politici nei
telegiornali italiani e l’elaborazione di ricerche Itanes sulle recenti campagne elettorali.
I principali telegiornali italiani presi in considerazione sono: Tg1,Tg2.Tg3, Tg4, Tg5, Studio
Aperto nel mese precedente le tornate elettorali del 2001, 2006, 2008, 2013.
Nella Figura 1 troviamo il numero medio di minuti in cui si è trattato di politica nei seguenti
anni, con un evidente picco nel 2013 (a causa delle diverse coalizioni presenti nella
competizione).
12 Splendore Sergio e Guido Legnante, Le campagne elettorali italiane in televisione: cercando la logica
politica in un contesto di mediatizzazione, in Comunicazione politica 3, 2014, p. 464
15
Ma Splendore e Legnante si chiedono anche quanto sia il tempo di parola concesso ai politici
in questa fase nei telegiornali.
Ciò che interessa in questo caso è la crescita del tempo dedicato alla politica che da Legnante
e Splendore viene interpretato come un rafforzamento della mediatizzazione, per cui i
telegiornali, così come i talk show, non possono non dedicargli sempre più spazio.
Ciò che la ricerca a questo punto si chiede è: “la politica è diventata talmente capace di
esprimersi nei formati legati alla logica dei media da poter occuparne gli spazi con
dimestichezza, o i professionisti dei media hanno in parte abdicato al ruolo di mediatori?.13”
Dalla ricostruzione dei principali temi emersi durante le campagne elettorali ciò che risulta
è che non sono i media ad imporre le tematiche nel dibattito pubblico, ma i politici o eventi
esterni lanciano i temi di “policy”.
I media dunque ripropongono e danno grande amplificazione a tematiche sorte altrove e i
politici si adattano al linguaggio televisivo e al suo stile ma mantengono il ruolo di agenda
setter.
13 Ivi p. 474
16
1.2 IL LEADER POP
La mediatizzazione della politica ha rafforzato naturalmente il contemporaneo dibattitto
sulla leadership politica. In Italia vari sono stati i leader carismatici del passato ma è con il
segretario del Partito Socialista Italiano (1976-1993) Bettino Craxi che per la prima volta il
fenomeno della leaderizzazione viene affrontato in Italia.
Emiliana De Blasio evidenzia le 4 dimensioni dei rituali politici:
1. La dimensione della solidarietà fra i membri di un gruppo o schieramento, funzionale
alla costruzione di aggregati socialmente coesi e integrati;
2. La dimensione del potere, espresso attraverso un immaginario simbolico che fa
riferimento alla forza (soprattutto nel caso di leadership fortemente personalizzate),
allo status di rappresentanza e all’esposizione pubblica della legittimità che deriva
dal popolo (si pensi all’uso dei sondaggi come strumento di autolegittimazione
sociale oltre che come veicolo di propaganda);
3. La dimensione della condivisione di eventi e soprattutto attività performative
(l’azione politica) come elemento che contraddistingue policy ed è anche in grado di
definire i confini dell’appartenenza (si pensi a espressioni come “politica del fare”
semanticamente opposta alla “politica delle chiacchiere” attribuita agli avversari
politici);
4. La dimensione della negativizzazione dell’avversario, spesso rubricato come
“nemico”, comunque ridefinito sempre come responsabile di problemi insoluti o di
pericoli in agguato.14
Un breve excursus su il potere politico e il ruolo del leader diventa in questo caso necessario
e un autore determinante sull’evoluzione degli studi sulla leadership politica è sicuramente
Max Weber.
Egli elabora una tipologia di potere che è possibile riassumere in questo modo:
• Potere tradizionale: è quello che si basa sulla sua presunta sacralità. Il sovrano ha
potere poiché esso gli deriva da Dio o ne è sua emanazione o, ancora, è connesso a
meccanismi egemonici che non richiedono alcuna legittimazione sociale (…).
14 Emiliana De Blasio, Dalla sfera pubblica allo spazio pubblico mediatizzato: il leader nel web 2.0, in
Emiliana De Blasio, Matthew Hibberd, Michael Higgins, Michele Sorice, La leadership politica. Media e
costruzione del consenso, Carocci, Roma, 2012, p.150.
17
• Potere carismatico: è quello che si basa sull’autorevolezza di soggetti socialmente
riconosciuti come superiori o comunque capaci di operare in maniera “eccezionale”
all’interno delle comunità umane. (…) si tratta quindi del potere che possono avere
gli eroi laici e/o religiosi (…) esso è di natura performativa, poiché l’eroe è tale
perché ha compiuta gesta straordinarie e può quindi ancora compierle per la
collettività.
• Potere razionale-legale: è quello di tipo impersonale (…) che negli Stati moderni è
gestito dalle burocrazie che sono gerarchizzate, specializzate e appunto
impersonali.15
La conseguente teoria sulla leadership di Weber parte proprio dal concetto di “carisma”: il
popolo è completamente devoto ad un’autorità carismatica che dimostra superiorità rispetto
alla massa. Naturalmente l’applicazione di tale modello non si attua solo su figure positive
ma anche negative e quindi personaggi come Hitler e Mussolini possiedono elementi
significativi del leader carismatico.
Tali riflessioni si collegano al processo di personalizzazione della politica e quindi al ruolo
dei media nella costruzione del leader.
Michele Sorice in “La Leadership Politica” riporta gli elementi cruciali nell’affermazione e
rafforzamento del leader, che sono i concetti già ampiamente citati di spettacolarizzazione e
personalizzazione della strategia politica del “leader pop”. In particolare con riferimento alla
personalizzazione Sorice evidenzia 3 processi sociali:
a) lo sviluppo della cultura di massa, la cui massima espressione è quella che si evince dalla
sua rappresentazione mediale: è nella cornice rappresentata dai media, infatti, che la cultura
popolare subisce un processo di "messa in discorso" e di legittimazione sociale;
b) la tendenza alla sovrapposizione delle funzioni pubbliche dell'attore politico con le sue
caratteristiche personali; in realtà non è un fenomeno nato coi media (contrariamente a
quanto si pensa), perché è già presente in molti sistemi politici del passato: si pensi al mondo
romano dove le caratteristiche personali dell'attore politico sono quasi sempre fuse (e
confuse) con le sue competenze politiche. Ciononostante, è evidente che tale processo si è
15 Michele Sorice, Leader, potere e controllo democratico, in Emiliana De Blasio, Matthew Hibberd,
Michael Higgins, Michele Sorice, La leadership politica. Media e costruzione del consenso, Carocci, Roma,
2012, p.72.
18
fortemente accentuato con i media moderni che hanno prodotto una sorta di moltiplicazione
e accelerazione di tali tendenze;
c) il processo di individualizzazione: si tratta del fenomeno che si è intrecciato con lo
sviluppo dei media e del polling, in cui i soggetti individuali sono diventati preminenti a
fronte dell'indebolimento della "forma partito"16.
La convergenza di spettacolarizzazione e personalizzazione ha prodotto un notevole
cambiamento sul processo di visibilità degli attori politici. Si entra in contatto con la
quotidianità del leader, con la sua famiglia, con il suo staff (con quell’apparato che lo
circonda che fino a qualche tempo fa restava assolutamente al di fuori dello sguardo
pubblico). Si mette in modo un processo di intimità con l’attore politico che è completamente
frutto del processo di mediatizzazione della poltica “in questo modo la stessa affidabilità del
leader dipende dalla sua vita personale, dalla sua simpatia e, finanche, dal suo “carisma”17.
Da diversi anni in Italia si affronta il tema della cosiddetta celebrity politics in riferimento
sia al processo di costruzione dell’immagine pubblica di un attore politico sia all’entra in
politica di soggetti già noti ai media.
Sorice individua 5 tipi di “celebrità” nella politica:
• “Political newsworthies: attori politici e soggetti in qualche modo connessi alle
istituzioni politiche che attivano circuiti virtuosi di comunicazione e svolgono attività
di autopromozione: si tratta di soggetti più facilmente rintracciabili nella tradizione
politica statunitense ma appaiono anche in Europa, spesso come figure autorevoli di
riferimento;
• Legacies: in questo caso si fa riferimento ai coniugi e ai figli dei politici ma anche
alle “dinastie” politiche; quest’ultimo fenomeno (molto presente negli USA -i
Kennedy, i Bush, i Gore, i Rockfeller ecc.) si è affermato anche in Italia, sebbene
spesso seguendo meccanismi più vicini alla tradizione del “nepotismo”;
• Celebrità mediali: soggetti che non appartengono direttamente al mondo della
politica ma concorrono per cariche elettive, spesso sfruttando la notorietà ricevuta
dalle loro attività pregresse (attori, cantanti, conduttori televisivi, calciatori,
16 Ivi. p. 80
17 Ivi. p.82
19
soubrette, ma anche scienziati, scrittori famosi, registi noti, leader spirituali, altri
ufficiali militari ecc.)
• Celebrità lobbisti: soggetti che svolgono attività di lobbying a favore di candidati e/o
partiti (di solito si tratta di attore, cantanti, imprenditori, atleti: comunque soggetti
che hanno un forte seguito mediatico, per lo più televisivo);
• Eventi Celebrities: persone che hanno raggiunto la notorietà attraverso specifici fatti
di cronaca o tragedie che hanno colpito l’attenzione dell’opinione pubblica (superstiti
di un attentato, autori di atti eroici, vittime di ingiustizie ecc.).”18
La trasformazione degli attori politici in celebrità è profondamente legata alla ridefinizione
di partiti intesi come brands, questo perché la credibilità di un leader è fortemente legata al
contesto politico in cui si inserisce e al suo universo valoriale di riferimento.
“Si pensi ad esempio alla grande attenzione riposta finanche nella scelta del nome dei partiti.
In Italia, ad esempio, all’evoluzione diacronica che ha accompagnato lo sviluppo del nome
“Partito Democratico” si affiancano le scelte strategiche nella denominazione del partito di
Silvio Berlusconi: “Forza Italia” prima, “Popolo della libertà” poi, in cui, per esempio, è
assente proprio la parola “partito”19.
Definiamo in questo elaborato un fenomeno che sicuramente non si limita ai confini del
nostro paese ma trova negli USA il più grande palcoscenico.
Mazzoleni parla quindi di “competenza mediatica” come requisito essenziale della politica
e non a caso l’esempio di personaggi come Reagan e Schwarzenegger è sicuramente
emblematico, ma naturalmente la lista di politici che hanno saputo usare egregiamente il
mezzo televisivo è assai ampia da John F. Kenned a Tony Blair giusto per citarne un paio.
Attori politici quindi intesi come comunicatori e in un’epoca in cui i media hanno quasi del
tutto cancellato la distanza tra sfera pubblica e sfera privata i leader politici diventano oggetto
di gossip e intrattenimento sulle riviste e nei programmi televisivi.
Ma il leader politico per eccellenza è il presidente degli Stati Uniti, comunicazione e
costruzione dell’immagine sono naturalmente decisivi per questa carica e quindi decisivo è
l’uso che fa dei media e l’uso che i media, a loro volta, gli riservano.
Come approfondito da Mazzoleni, due sono le strategie di comunicazione presidenziale volte
a stabilire un contatto con il pubblico: aggiramento e imbonimento dei media.
18 Ivi p. 91 19 Ivi. p.92
20
Il filtro imposto dai media comporta una serie limiti e deviazioni ai messaggi che il
presidente intende veicolare e qualche esempio di reazione presidenziale a questo
trattamento è riportato sempre da Mazzoleni.
Emblematica è la citazione del presidente Nixon riportata da Seymor-Ure 1982 secondo cui
i presidenti: “Devono saper padroneggiare l’arte di manipolare i media non solo per vincere,
ma anche per promuovere le cause in cui credono ma devono al contempo evitare a tutti i
costi di essere accusati di manipolare i media”20.
In riferimento a Clinton Diamond e Silverman 1995 affermano: “preferì aggirare i giornalisti
di Washington per raggiungere i cittadini-elettori direttamente-senza filtri, senza analisi,
senza contraddittorio”21.
Con imbonimento invece ci riferiamo ai vari tentativi operati dallo spin presidenziale di
instaurare una relazione amichevole e complice, per cui ogni intervento, evento o intervista
nasconde un’ampia costruzione scenografica alle spalle che i media si limitano a riportare.
La comunicazione politica è un fenomeno continuo che al giorno d’oggi non si esaurisce nel
momento elettorale ma caratterizza tutta l’azione di governo in quello che si definisce un
clima di campagna permanente, ecco perché la costruzione di una “narrazione”, di una
retorica comunicativa che definisce un candidato, la sua immagine e la sua campagna e che
avviene principalmente attraverso i media non è marginale all’attività politica in senso stretto
quanto invece centrale ed insita all’azione politica.
Rivoluzionaria, negli ultimi anni, sappiamo essere stata la grande opera di comunicazione
messa in atto da Barack Obama e dal suo staff, una costruzione dettagliata che ha toccato
tutti gli strumenti che la nostra epoca offre a un candidato. Restando in tema con il focus di
quest’elaborato è opportuno citare un elemento che ha contraddistinto la strategia
comunicativa di Obama ed è l’effetto di “amatorialità” 22.
Con una politica filtrata dai media di fronte a un pubblico sempre più consapevole
dell’artificiosità che vi è dietro ogni immagine trasmessa in uno studio televisivo o dietro
uno spot lanciato in campagna elettorale, quello che poi diventerà il futuro presidente degli
Stati Uniti privilegia l’effetto di amatorialità, intesa come “spontaneità”, “bassi costi”.
20 Mazzoleni Gianpietro, La comunicazione politica, il Mulino, Bologna, nuova, 1998, p.114
21 Ibidem.
22 Federico Montanari, Politica 2.0: nuove tecnologie e nuove forme di comunicazione, Roma, Carocci, 2010,
p. 102.
21
Questo appare dai suoi spot, questo è il motivo perché si sceglie la tecnica del documentario
nelle riprese, del perché il candidato non è mai solo perché quando compare, e se compare,
è sempre circondato dalla gente. Parliamo naturalmente di un’amatorialità “costruita”, che
nasconde dietro l’opera di esperti del settore.
Centrale è quindi la costruzione dell’immagine e le strategie di immagine, non a caso
Mazzoleni elabora una distinzione tra immagine proiettata e immagine percepita. Con la
prima ci riferiamo al prodotto costruito da un politico e dal suo staff che viene veicolato
tramite i media, mentre con la seconda si riferisce al risultato finale che viene percepito dal
pubblico e quindi al prodotto filtrato dal mezzo di comunicazione, dalle strategie adottate,
dai livelli di conoscenza dell’utente.
“Perché il primo target sono i media e solo secondariamente l’elettorato”23.
23 Mazzoleni Gianpietro, La comunicazione politica, il Mulino, Bologna, nuova, 1998, p.63.
22
1.3 IL TALK SHOW
“La mediatizzazione della scena pubblica ha nella televisione la principale protagonista e
nel talk show il suo principale strumento operativo”.24
I mezzi di informazione sono variegati, stampa, radio, web, ma la televisione resta ancora
oggi il teatro prediletto dell’attore politico soprattutto a fini di legittimazione. Ottenere
popolarità, consenso, collocamento in una certa cerchia di personaggi celebri senza i giusti
interventi televisivi oggi sembra più difficile….
Televisione all’origine di molti cambiamenti e alcuni sconvolgimenti sistemici, culturali e
politici registrati un po' dovunque in tutti i regimi negli ultimi 50 anni. Essa è di volta in
volta25:
• co-protagonista insieme ai grandi attori che l’hanno usata (o strumentalizzata);
• testimone, a volte suo malgrado, di drammi spaventosi o di eventi eccezionali;
• agente essa stessa dei grandi e piccoli cambiamenti che hanno modificato gli scenari
politici nazionali e anche mondiali.
E gli esempi sono innumerevoli: dai funerali di Lady Diana alla vittoria elettorale di
Berlusconi o all’attacco aereo su Baghdad.
“La Televisione ha cambiato profondamente la politica e la leadership politica a tal punto
che non è esagerato affermare che l’invenzione della televisione è stata una delle pietre
miliari della storia della politica e della democrazia, alla pari di eventi quali la Rivoluzione
francese e la caduta del muro di Berlino.”26
La comunicazione politica nella tv italiana inizia la sua trasformazione negli anni 80 con il
declino della DC e l’affermazione di Craxi, ma è nel 94 che assistiamo alla politicizzazione
delle tv con la campagna elettorale delle reti Fininvest. È nella fine degli anni 90 che
Christian Ruggeri27 evidenzia la fase della “normalizzazione” grazie alla regolamentazione
24 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la
politica, l’Italia, Carocci, 2016, p. 25.
25 Mazzoleni Gianpietro, La comunicazione politica, il Mulino, Bologna, nuova, 1998, p.163.
26 Ivi. p.164.
27 Ruggiero Christian, Le sorti della videocrazia. Tv e politica nell’Italia del Mediaevo, Mondadori, 2014,
p.30.
23
degli spazi e dei tempi di propaganda politica. Sono inoltre gli anni di affermazione di
diverse tipologie di talk show politici Porta a Porta, Linea 3 e Mixer.
Gli anni 80 sono stati gli anni della corsa al benessere e del consumismo, dell’ascesa di Craxi
e della comunicazione pubblicitaria per cui il mezzo televisivo diventa lo strumento
prediletto.
Gradualmente dal secondo dopo guerra il ruolo dei media si rafforza parallelamente
all’affermazione del voto d’opinione, si avvia la personalizzazione della politica e i contenuti
vengono riconfenzionati per essere fruiti da una platea più ampia possibile (avviando il
processo di de-ideologizzazione).
Per cui “Informazione e comunicazione sono il campo di battaglia”28 .
E con Tangentopoli però che i media scendono in campo e assistiamo all’affermarsi della
“giustizia spettacolo”, mentre nei tribunali procedono le inchieste, il mondo dei media si
scaglia contro la classe politica. Naturalmente con la campagna elettorale di Silvio
Berlusconi il coinvolgimento media-politica raggiunge il suo picco e un ruolo non
secondario inizia ad essere svolto proprio dagli esponenti della tv (e non della politica) che
si trasformano in supporter del candidato (Mike Bongiorno, Ambra Angiolini, Iva Zanicchi).
“Il talk ha saputo capitalizzare negli anni l’esigenza di vedere raccontata e rappresentata la
politica con le sue contrapposizioni e i suoi scontri”29. È negli studi televisivi che si lanciano
slogan, si annunciano candidature, si avviano rotture e si stringono alleanze, si afferma
quell’ibridazione di intrattenimento e informazione che abbiamo chiamato infotainment.
“L' irruzione in diretta di Valeria Marini nel dibattito sulle riforme, l'altra sera da Bruno
Vespa, ha segnato uno dei momenti più alti dell'informazione politica di questi mesi. In una
immagine, la Marini che sguaina le gambe e attacca a discutere con Fini dei problemi dello
Stato, la televisione ha disvelato il carattere eminentemente cabarettistica della discussione
politica in atto. E' stato come il crollo d' un sipario”30.
Vi è stato un momento in cui politica e televisione hanno quindi sancito il loro matrimonio
e da quel rapporto si è gradualmente affermata quella che definiamo politica pop. Per
28 Ivi p.32
29 Barra Luca eMassimo Scaglioni, Di necessità virtù. Talk show politici e logiche televisive, in Problemi
dell’Informazione 3, 2016, p. 543.
30 http://www.repubblica.it/politica/1996/02/01/news/la_politica_in_versione_bagaglino-24581806/
24
illustrare chiaramente il fenomeno Mazzoleni propone una serie di esempi emblematici degli
ultimi vent’anni, ma in questo elaborato si è deciso di rimportarne 3 in particolare:
• 2004 Stati Uniti e un reality chiamato American Candidate in cui 10 candidati si
sfidano/ giocano a fare i candidati per delle campagne elettorali, con tanto di esperti
della comunicazione, prove settimanali, spot e misure antiterrorismo.
• 2005 Regno Unito e un altro reality, il Vote for me, con la stessa logica statunitense
se non fosse che in questo caso il vincitore poteva realmente partecipare a delle
elezioni.
• 2008 Italia e L’Isola dei famosi, nel nostro caso l’esempio è di un politico Vladimir
Luxuria che partecipa e vince un reality prodotto dal servizio pubblico, che in merito
disse: “Un reality l’ho già fatto: quando sono stata eletta e per la prima volta sono
entrata a Montecitorio. Mi sono seduta al mio scranno e sopra di me c’erano i
fotografi con i teleobiettivi pronti a cogliere un mio sbadiglio o a immortalarmi se
mi fossi messa le dita nel naso”. 31
Ma era il 1960 quando la politica entra per la prima nella televisione degli italiani e “Tribuna
Elettorale” era il nome del primo talk show tutto all’italiana. Sono gli anni dei partiti di
massa, del “voto di appartenenza”, della mobilitazione dei militanti, della campagna
elettorale nelle piazze che per la prima volta entrano in uno studio televisivo e “l’arena
pubblica e le arene fisiche del paese coincidono”.32
Tra i formati dell’informazione politica in televisione, il talk show si è ormai consolidato
come lo spazio d’opinione istituzionale delle principali forze politiche e sociali (governo,
partiti, sindacati, magistratura, stampa ecc.)33.
Il talk show nasce negli anni ’50 in America e Broadway Open House e The Tonight Show
ne sono gli antesignani.
Riccardo Novelli nel suo libro “La Democrazia del Talk Show” ricostruisce un complesso
percorso storico che il format ha vissuto nel nostro paese. Troviamo elementi del talk in
31 http://www.affaritaliani.it/entertainment/isola-dei-famosi-dopo-vladimir-luxuria-anche-belen-rodriguez-
dice-si260708.html
32 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la
politica, l’Italia, Carocci, 2016, p23.
33 Parodi Marco, Variations in the melodrama of political TV talk shows. The aggression to Berlusconi and
the endless soap of Italian politics, in Comunicazione politica 12.3, 2011, p.387.
25
alcuni programmi della Rai degli anni ’60, come Faccia a Faccia, ma dobbiamo aspettare
la riforma della Rai del 1975 per la vera trasformazione del servizio pubblico.
Il primo talk italiano probabilmente risale al 1975 su Rete 1 L’Ospite delle due seguito dal
più celebre Bontà Loro del 1976.
Celebre è lo studio dedicato ai talk show del 1994 del panorama televisivo americano e
inglese di Livingstone e Lunt. Gli autori identificano alcuni tratti caratterizzanti questo
genere prestando attenzione soprattutto alla centralità dell’uomo comune, coinvolgimento
quindi della “piazza”, di persone qualsiasi, assoluta parità di trattamento tra pubblico e ospiti
con il conduttore che svolge il ruolo di arbitro, venendo quindi al secondo fondamentale
elemento ossia il conflitto, la contrapposizione di opinioni divergenti sul tema prescelto.
Sono programmi tendenzialmente a basso costo, non trasmessi in prima serata, in diretta o
registrati con pochi interventi di post-produzione. Questi sono alcuni dei tratti caratterizzanti
identificati nel 1994 e che, più di 20 anni dopo, tornano sicuramente nell’offerta televisiva
del nostro paese, ricordando la longevità di questo genere televisivo (il The Tonight Show
viene trasmesso senza interruzioni dal 1954).
Oggi l’acquisizione da parte del mezzo televisivo di un ruolo attivo nella rappresentazione e
nella costruzione dell’arena pubblica, con l’intervento sulle forme, sui linguaggi, sugli stili
del dibattito e sui suoi protagonisti è un dato di fatto.
A tal proposito risale al 2013 la ricerca34 di Edoardo Novelli sulla rappresentazione delle
principali tematiche politiche e sociali, attraverso la quotidiana trasmissione, durante l’intero
arco della giornata, di una pluralità di programmi appartenenti a generi differenti,
dimostrando come le diverse emittenti giocano ruoli molto differenti nella costruzione
dell’arena pubblica.
La ricerca ha comportato il monitoraggio della programmazione televisiva trasmessa dalle
sette principali reti televisive nazionali italiane dalle ore 6 del mattino e alle ore 02 di notte
fra sabato 17 e venerdì 23 marzo 2012. L’agenda italiana si è in quei giorni concentrata sul
dibattito sulla riforma del lavoro e dell’articolo 18, ma non è stata segnata da eventi eclatanti
né sul panorama nazionale tantomeno su quello internazionale.
34 Edoardo Novelli, L’arena pubblica televisiva: numeri, generi, tendenze, XXVI Convegno della Società
Italiana di Scienza Politica Roma, Università Roma Tre – 13,14,15 settembre 2012.
26
Il criterio scelto per la selezione dei programmi è stato la presenza in trasmissione di almeno
un “soggetto pubblico”, inteso come: politico, rappresentante delle istituzioni, esponente
dell’associazionismo, etc.
Le trasmissioni televisive che nel corso della settimana campione hanno ospitato almeno un
esponente pubblico sono in totale 50 con un risultato di 94 puntante.
Interessante è però la distribuzione tra le reti, La 7 è sicuramente la rete con più programmi
con personaggi pubblici (27) seguita da Rai Tre (26). Seguno Canale 5 (17 programmi), Rai
Uno (14 programmi), Rai Due (9 programmi) e Italia Uno (1 programma). Notevole il dato
di Rete 4 che non ha ospitato nei suoi programmi nessun “personaggio pubblico”.
Interessante il dato relativo anche alla fascia oraria di programmazione che si rivela
particolarmente concentrata nella mattinata. Dei 94 programmi che compongono il
campione, 24 vanno in onda fra le 9.00 e le 11,59 e 21 programmi fra le 6.00 e le 8,59.
Quindi il 47% viene trasmesso di mattina a dimostrazione di come la presenza di certi
personaggi pubblici sia importante nella programmazione italiana anche al di fuori dei
classici orari tradizionalmente dedicati all’approfondimento giornalistico.
I programmi invece trasmessi fra le 20,30 e le 23,29, sono in realtà 20, mentre 15 quelli fra
le 23,30 e le 02,00.
In generale la giornata con la maggior presenza di programmi risulta il giovedì (20),
tradizionalmente il giorno dedicato da alcune reti al talk politico, seguito dal lunedì (17).
Il tempo complessivo dei programmi del campione è di 141 ore e 53 minuti (6 giorni
ininterrotti di programmazione), mentre il tempo di presenza dei personaggi pubblici in
televisione nell’arco della settimana, pari a 70 ore e 41 minuti. “Senza considerare la
sovrapposizione oraria di molti dei programmi, si può dire che un telespettatore potrebbe
passare tre giorni interi di una settimana a guardare ed ascoltare personaggi pubblici e politici
in televisione.”35
Per quanto concerne, infine, i protagonisti di queste ore emerge come i soggetti pubblici che
in una settimana la televisione chiama a popolare e mettere in scena l’arena pubblica sono
433, evidenziando come i partiti rappresentano senza alcun dubbio gli interlocutori
privilegiati, seguono giornalisti, rappresentanti sindacali, associazioni ecc.
Riportando solo alcune delle conclusioni tratte dalla ricerca emerge un’arena pubblica
discorsiva:
35 Ivi p. 4
27
- presente anche al di fuori dei notiziari e dei telegiornali;
- particolarmente estesa, in termini di programmi ed ore di trasmissione;
- altamente popolata per quanto riguarda le presenze di esponenti pubblici
- alimentata attraverso una molteplicità di generi e tipologie di programmi, che si distaccano
dal tradizionale genere giornalistico;
- influenzata nella sua rappresentazione da esigenze spettacolari proprie dello strumento
televisivo, che rispondono ad esigenze intrattenitive oltre che informative.
Venendo ora all’al fruitore, a colui che sta dall’altra parte dell’apparecchio televisivo
scopriamo che il faccia a faccia tra Silvio Berlusconi e Romano Prodi del marzo 2006 su Rai
Uno è stato visto da 16.120.000 milioni di spettator, la puntata televisiva di Servizio Pubblico
trasmessa il 10 gennaio 2013 su La 7 è stata seguita da oltre 8.700.000 di telespettatori,
superando il 50% di share, mentre il confronto tra Pier Luigi Berleh e Matteo Renzi su Rai
Uno del 27 novembre 2012 è stata seguita da oltre 6.500.000 telespettatori.
Rilevanti sono anche i dati raccolti da Novelli sull’ascolto dei talk show negli ultimi 4 mesi
del 2013, in cui emerge che: Ballarò, L’Arena, Che Tempo che fa, sono stati visti
mediamente da oltre 3.000.000 di spettatori, siamo sopra 2.000.000 per Servizio Pubblico e
La vita in diretta e mediamente sopra un milione per Quinta Colonna, In ½, Porta a Porta,
Piazzapulita.
Mancando il potere del partito come entità a sé stante, come macchina organizzativa, come
coagulante del voto popolare, quel che rimane è uno spazio aperto nel quale il potere del
video e la video-politica hanno agio di dilagare senza imbattersi in contro-poteri.36
36 Giovanni Sartori, Videopolitica, in Rivista Italiana 01 Scienza Politica / a. XIX, n. 2, agosto 1989
p. 186.
28
1.4 LO SPETTATORE - CITTADINO
”La pervasività dei media nella vita quotidiana porta i soggetti a percepire se stessi
incessantemente come un pubblico e ad avere una visione della realtà sempre più
mediatizzata”.37
Affrontiamo adesso il ruolo del terzo attore all’interno del rapporto tra media e politica.
• Il pubblico televisivo viene tradizionalmente interpretato tramite due diverse
accezioni:38
• Pubblico inteso come insieme di cittadini che guardano la tv per informarsi e
partecipare alla vita del paese.
Pubblico intesto come audience analizzato scientificamente.
Ciò su cui ci si concentra a questo punto è sul peso della politica pop nella dieta informativa
degli italiani, in particolare riportiamo la ricerca nazionale PRIN 2006 che analizza una fase
particolarmente intensa per la vita politica del paese:
“Campagne elettorali e cittadino informato: l’influenza dei media e dei modelli di consumo
mediale nelle scelte politiche degli elettori” che introduce un’analisi qualitativa sul pubblico
televisivo. Nello specifico, con un accento sull’infotainment e sul politanment, sono stati
analizzati 12 focus groups in due periodi differenti della campagna elettorale. Ciò che
emerge è una piena consapevolezza dello spettatore italiano delle diverse tipologie di
programmi a cui si approccia e dell’utilizzo che essi fanno dell’informazione politica,
riconosce i diversi stili e registri discorsivi non andando alla ricerca del mero
sensazionalismo ma cercando una tipologia di informazione variegata, credibile e spesso
soft.
Dalle interviste è stato possibile distinguere 6 grandi aree per la collocazione di programmi
di info/politainment:
1. La prima area ricopre quei programmi di watchdog (Report, Le Iene e Striscia la
notizia).
37 Ammaturo, Il consumo culturale dei giovani. Una ricerca a Napoli e Salerno, FrancoAngeli, Milano,
2009.
38 Gianpietro Mazzoleni, Anna Sfardini, Politica pop. Da Porta a porta a'L'isola dei famosi, Il mulino, 2009,
p.106
29
2. La seconda si riferisce alla tv-verità, quei programmi che portano in scena la
rappresentazione della realtà, del quotidiano (Ballarò, ma anche Report, Le Iene e
Steiscia la notizia).
3. La terza comprende i programmi dediti a dibattiti, confronti e servizi di
approfondimento (Porta a Porta, Martix, Ballarò, Annozero).
4. La quarta area richiama la tv dissacrante, satira e ironia sono gli strumenti più
utilizzati (Markette, Che tempo che fa, Parla con me).
5. La quinta porta in scena il lato umano e gli aspetti più personali di certi ospiti (Che
tempo che fa, Il senso della vita, Le invasioni barbariche).
6. L’ultima area è quella del contenitore-varietà che offre un’informazione soft (Uno
mattina, Italia sul Due, Tutte le mattine).
Sempre dalla ricerca sono stati estrapolati i punti di forza dell’attuale linguaggio politico:
- Una comunicazione più leggera e immediata.
- Si riconosce la capacità di semplificare le hard news riuscendo comunque a porre
l’accento sugli avvenimenti più importanti del momento.
- La denuncia super partes.
Infine i dati hanno consentito di tracciare una tipologia di spettatori:
- L’impegnato: colui che va alla ricerca di un’informazione “seria” (Ballarò, Porta a
Porta),10,6% della popolazione.
- L’onnivoro: colui che approccia sia alle hard news che alle soft news, è il 71,1%
della popolazione.
- Il leggero: colui che va sempre alla ricerca dell’entertainment, 13,4% della
popolazione.
- L’indifferente: non è un estimatore dell’infotainment serio tantomeno di quello
leggero, 4,9% della popolazione.
Naturalmente il dato più rilevante è quello dell’onnivoro e del suo 71,1%, corrisponde allo
spettatore medio italiano che si informa costantemente in una grande varietà di format ed è
sicuramente aggiornato sugli avvenimenti principali, riuscendo tramite i mezzi di
comunicazione (principalmente la tv) a monitorare la realtà circostante. A questo dato
corrisponde il tipico cittadino italiano, in grado forse di spiegare il successo di programmi
di infotainment e politainment.
30
Approfittiamo della ricerca per leggere alcune peculiarità dello spettatore italiano, sempre
in riferimento alla distinzione “onnivoro”/”leggero”:
Emerge sicuramente un maggiore distacco da parte del leggero, sia per quanto riguarda le
risposte “mai” su temi di partecipazione politica sia per le strategie attuate per raggiungere
una decisione di voto.
31
Anche il tasso di indecisione è sicuramente più elevato e, come evidenziato da Sfardini e
Mazzoleni, ciò lascia intendere che i leggeri restano anche più tempo sottoposti alle
influenze mediali e che le loro caratteristiche li rendano più suggestionabili.
L’ultimo dato è quello del collocamento sull’asse sinistra-destra. Gli onnivori sono più
rappresentati dal centro-sinistra mente i leggeri dal centro-destra.
Naturalmente non tutti gli strumenti di comunicazione garantiscono lo stesso livello di
influenza sui comportamenti politici dei cittadini, riportiamo quindi una ricerca condotta
dall’Agicom nel 2015 sulla dieta informativa degli italiani durante la fase di campagna
elettorale: “Il consumo di informazione e la comunicazione politica in campagna
elettorale”39. La ricerca, che pone un focus sull’informazione politica, è stata realizzata da
una Società di rilevazione SWG s.r.l., tramite la somministrazione di un questionario di 50
domande a un campione statisticamente rappresentativo di 11.000 individui.
Riportiamo di seguito qualche dato esplicativo sul ruolo che oggi ricopre il mezzo televisivo
per il consumo di informazione degli italiani, necessario in vista del tema principale di
quest’elaborato ossia la posizione determinante che la tv svolge nella percezione di temi di
grande rilevanza contemporanea come l’immigrazione.
Da un confronto con dati raccolti nel 2010 emerge come la tv mantiene il suo primato come
prima scelta tra i mezzi di comunicazione da parte degli italiani con il 96,8%.
39 https://www.agcom.it/documents/10179/4025280/Documento+generico+23-02-2016/a8a5a511-254b-
4440-9881-48a5d0b4612f?version=1.0
32
Entrando più nello specifico della composizione della domanda rivolta ai mezzi di
comunicazione emerge che:
La televisione conferma il primato anche come principale fonte di informazione, registrando
i dati più altri sia per fatti internazionali, nazionali e locali.
La ricerca si è però concentrata sull’informazione in fase di campagna elettorale rilevando
anche in questo caso il primato della televisione (nonostante il continuo avvicinamento di
internet).
In particolare per ascoltare dibattiti, interventi e comunicazioni politiche tra i vari candidati
il piccolo schermo aumenta la sua superiorità rispetto agli altri mezzi, andando quindi ad
33
indicare come sia ancora lo strumento che più si presta alle varie modalità e strategie attuate
dalla comunicazione politica e dal marketing elettorale.
Restando in tema Giacomo Sani e Guido Legnante sostengono che in riferimento
all’influenza della comunicazione sulle scelte elettorali emergano queste proposizioni:
1. Fonti di informazione schierate. Gli strumenti attraverso i quali i cittadini si informano
sulle vicende elettorali diffondono messaggi almeno in parte differenziati a favore
dell’una o dell’altra delle forze in campo;
2. Esposizione selettiva. Gli elettori non utilizzano indifferentemente tutti i canali di
comunibacazione loro disponibili, ma ne privilegiano alcuni e ne trascurano altri, col
risultato di ricevere solo una parte dei flussi della comunicazione provenienti dalle
diverse fonti;
3. Sintonia tra fonti di informazione ed elettori. Esiste una stretta relazione tra
l’orientamento politico delle fonti e le preferenze politiche dei cittadini;
4. Influenza della fonte sugli orientamenti. In questa relazione la variabile indipendente è
il canale di comunicazione (o meglio i messaggi da esso diffusi) mentre le scelte di voto
degli elettori costituiscono la variabile dipendente o l’effetto dell’esposizione selettiva a
fonti partigiane di informazione. […] La comunicazione politica durante le campagne
elettorali penetra in maniera massiccia nel corpo elettorale. Ma questa penetrazione è
assai diseguale. Vi sono infatti marcate differenze nel grado di inserimento degli elettori
nei diversi reticoli attraverso i quali passano i messaggi politicamente rilevanti. Accanto
a cittadini che usufruiscono contemporaneamente di più canali, troviamo altri segmenti
dell’elettorato caratterizzati da una esposizione più limitata ai messaggi politici ed altri
ancora che si trovano in posizione più o meno periferica, o addirittura del tutto marginale,
rispetto alle strutture della comunicazione politica. Come è noto, la stima delle
dimensioni di questi segmenti varia in funzione dei particolari indicatori utilizzati e delle
tecniche utilizzate nella suddivisione del campione e pertanto i risultati sono in una certa
misura arbitrari. Tuttavia, possiamo dire senza far troppo torto alla realtà che
nell’elettorato sono chiaramente identificabili almeno tre grandi gruppi di cittadini. Un
primo segmento che costituisce quella che potremo chiamare l’opinione pubblica
“attenta” (circa un quinto del campione), un gruppo di cittadini con un grado di
inserimento vicino alla media (poco meno del 50%) e, infine, una quota di persone che
34
secondo i nostri indicatori risultano essere molto marginali o periferiche rispetto ai flussi
della comunicazione (intorno al 30% degli elettori). […]
Spesso la tesi dell’influenza viene declinata nel senso di un effetto «a pioggia» per cui gli
eventuali effetti della comunicazione si manifestano indistintamente su tutti gli elettori. Ma
se una parte dell’elettorato è molto esposta ai flussi della comunicazione mentre altri
segmenti sono solo parzialmente inseriti, questa opinione va certamente riconsiderata40.
Concentriamoci quindi su una serie di eventi politici di larga portata per cui il pubblico ha
trascorso molte ore di fronte la televisione, in particolare prendiamo in riferimento un’analisi
delle “maratone” di La741. Queste si collocano in una posizione intermedia tra quelli che
vengono definiti media events nel linguaggio anglosassone (eventi che irrompono nella
routine mediale) e il concetto di breaking news. La maratona di Mentana viene costruita
come un media event che irrompe nell’ordinaria programmazione e prende tutto il tempo
necessario affinché la notizia venga veicolata in modo completo, quasi in pieno disaccordo
con le riflessioni precedenti sulla semplificazione della notizia, sull’immediatezza dello
slogan ecc. Sono stati 3 gli eventi a cui La7 ha dedicato il suo nuovo format: il referendum
sulla Brexit; le elezioni presidenziali americane e il referendum Costituzionale. Lo speciale
sulla Brexit andrà in onda dalle 22.57 per oltre 3 ore, il tema è quello della politica estera
che in quanto tale è seguito da un determinato tipo di pubblico: maschile per più della metà
(56,6%), di età adulta o anziana ( i 55-64enni compongono il 23,45% della platea, mentre
gli ultra 65enni il 42,2%). Alto il livello di istruzione: diplomati 46,41%, laureati 19,28%.
Leggermente più ampio il dato complessivo degli ascolti per le elezioni USA, con delle
differenze anche sul piano qualitativo: uomini (48,3%), donne (51,7%), ma soprattutto un
pubblico più giovane, il peso dei 25-34enni ottiene un +4 rispetto all’evento Brexit. Venendo
adesso al grande evento italiano iniziato alle 22.22 del 4 dicembre per oltre 4 ore, gli
spettatori raggiungono il picco di 1.709.000, i 65enni e i 55enni rappresentano il 50% del
pubblico. Risulta quindi vincente una strategia che va in direzione totalmente opposta a
quella che siamo abituati a vedere, che predilige tempi lenti per dare alla notizia tutto il
tempo di costruirsi, e soprattutto che punta su un determinato target.
40 Giacomo Sani e Guido Legnante, Quanto ha contato la comunicazione politica?, in Rivista italiana di
scienza politica”, Il Mulino, Anno XXXI, Fascicolo 3, dicembre 2001, pp. 483-484.
41 Il pubblico delle «maratone» di La7, in Comunicazione politica 1/2017, pp. 141-144.
35
1.5 AGENDA SETTING E NOTIZIABILITA’
Vediamo ora come si costruiscono i temi che entrano nel dibattito pubblico e il ruolo dei vari
attori. In base alla teoria dell’agenda setting ciò che i cittadini ritengono importante dipende
dall’attenzione che i media dedicano a certe tematiche, assumendo quindi un ruolo
determinante nella percezione e negli orientamenti del pubblico. L’agenda setting indica
quindi “l’ordine del giorno” che i mezzi di informazione trasferiscono al pubblico.
Nel 1963 Bernard Cohen diede la prima formulazione di Agenda Setting: “La stampa può
nella maggior parte dei casi non essere capace di suggerire alle persone cosa pensare, ma
essa ha un potere sorprendente nel suggerire ai propri lettori intorno a cosa pensare. [...] Il
mondo apparirà diverso a persone diverse in relazione alla mappa disegnata dai giornalisti,
dai direttori e dagli editori dei giornali che loro leggono” (Cohen, 1963, p.13).
L’idea di Cohen sarà teorizzata compiutamente nel corso degli anni ‟70 da McCombs e
Shaw: “L’ipotesi dell’agenda setting non sostiene che i media cercano di persuadere […]; i
media descrivendo e precisando la realtà esterna presentano al pubblico una lista di ciò
intorno a cui avere un’opinione e discutere. L’assunto fondamentale dell’agenda setting è
che la comprensione che la gente ha di gran parte della realtà sociale è mutuata dai media.”
(Shaw, 1976).
Le fasi determinanti sono quindi selezione e gerarchizzazione, che possiamo definire grazie
alla classica distinzione42:
- il postulato della selezione: per cui “la gente tende a includere o escludere dalle
proprie conoscenze ciò che i media includono o escludono dal proprio contenuto”
(Shaw, 1979, p.96).
- il postulato della gerarchizzazione secondo cui “il pubblico inoltre tende ad assegnare
a ciò che esso include un’importanza che riflette da vicino l’enfasi attribuita dai mass
media, agli eventi, alle persone”.
Ai temi a cui i media riconoscono un elevato grado di notiziabilità, naturalmente, si accosta
un’importante lavoro di costruzione di notizie parallele in grado di conferirgli maggiore
rilevanza.
42 Marini Rolando,Mass media e discussione pubblica: le teorie dell'agenda setting,Gius.Laterza & Figli Spa,
2015, p. 7
36
“Se l’immigrazione, in un dato momento, si afferma come un tema importante, a partire –
facciamo l’ipotesi- da un omicidio compiuto da uno straniero irregolare, allora molti degli
accadimenti riconducibili a questo tema verranno inclusi nei notiziari e nei quotidiani:
sbarchi di clandestini, prese di posizione sul problema da parte degli esponenti dei partiti dei
rappresentanti delle associazioni di volontariato operanti nel settore, scoperta di laboratori
pieni di operai stranieri privi del permesso di soggiorno e ridotto in schiavitù ecc. fino a
includere episodi minori, come incidenti stradali in cui sono coinvolti immigrati.”43
La teoria dell'agenda setting si inscrive nel contesto storico-sociale in cui ha assunto
crescente importanza quello spazio intermedio tra cittadini e istituzioni detto sfera pubblica,
o meglio quel particolare tipo di sfera pubblica che viene definito sfera pubblica
mediatizzata. I media possono esercitare un'influenza molto debole in ordine all'intensità e
alla direzione degli atteggiamenti (che cosa pensare), ma possono invece influenzare
significativamente l'ordine d'importanza che il pubblico attribuisce alle issues (riguardo a
che cosa pensare). Interessante è prendere in considerazione il contesto socio-culturale che
ha costituito la base da cui sono sorte e si sono sviluppate le teorie dell’agenda setting. Tale
contesto è sicuramente quello delle grandi trasformazioni politiche e culturali degli Stati
Uniti negli anni 60-70.
Leonardo Marini identifica 3 macro-aree di riferimento:
1. la de-ideologgizzazione e le nuove issues
2. l’affermazione dell’elettorato mobile
3. maggiore autonomia dei media
Gli anni 60 rappresentano una fase di profondo cambiamento culturale, sociale e politico.
Entrano nel dibattito pubblico questioni come pace, diritti civili, razzismo, droga, scandali
politici che comportano una necessaria rivisitazione delle tradizionali tecniche di
comunicazione politica. Le ideologie iniziano a lasciare il posto a questioni concrete e
riforme in settori cruciali. In un contesto in così grande fermento il ruolo dei media
naturalmente diviene determinante, sia in quanto voce autorevole e costante sulle grandi
trasformazioni dell’epoca sia come interprete di una pluralità di questioni complesse.
Tutto ciò comporta novità sul voto e sul modo di concepire il momento elettorale, le classiche
fratture basate sui vincoli di appartenenza perdono rilevanza e si afferma un elettorato
indipendente che cerca una guida nei mezzi d’informazione. Con il decadimento delle
43 Ivi p.8
37
preferenze di partito sono le singole tematiche ad assumere un ruolo cruciale nella decisione
di voto, quindi importanti diventano le strategie comunicative messe in atto dagli staff di
consulenti e naturalmente il grado di attenzione che i media dedicano alle issues del
momento. Il grado di influenza non può essere determinato in modo assoluto e non possiamo
identificare con assoluta certezza quale sia l’attore più influente perché le variabili di
contesto e di sistema delle specifiche sfere nazionali costituiscono l’elemento determinante.
Detto ciò alla domanda “Chi determina l’agenda?” Leonardo Marini risponde: “Forse
l’attore più decisivo, piuttosto che il più influente, è l’opinione pubblica (intesa come
opinione di massa): il suo giudizio appare come il risultato ultimo e la sanzione definitiva
del processo che avviene nell’agenda pubblica”.44 Un indicatore significativo del rapporto
tra informazione e potere è classifica annuale di Reporters Sans Frontiéres sul livello di
libertà di stampa e su questo punto il nostro paese ha ancora dei passi in avanti da dover
compiere. In base all’ultimo Rapporto 2017 di Reporters Sans Frontieres (RSF)45 l’Italia è
al 52esimo posto (guadagnando 21 posizioni rispetto al 2015).
Tra i problemi emergono: "Intimidazioni verbali o fisiche, provocazioni e
minacce…pressioni di gruppi mafiosi e organizzazioni criminali", ma anche il ruolo di
alcuni politici come Beppe Grillo che comunicano pubblicamente l'identità dei giornalisti
che danno loro fastidio.
44 Ivi p. 401
45 https://rsf.org/en/2017-world-press-freedom-index-tipping-point
38
1.6 IL DIBATTITO CONTEMPORANEO
Mihaela Gavrilla durante il seminario “Dove sta andando il neogiornalismo?” svolto
Mercoledì 26 aprile 2017 presso l’Università Sapienza di Roma invita ad interpretare i media
non solo come produttori di contenuti intesi come società per azioni ma in quanto società
per azioni sociali, perché i media vivono questo paradosso di essere produttori e diffusori di
temi culturali o comunque in grado di generare impatto sulla cultura, ma devono fare
attenzione anche al riscontro dal punto di vista degli utili-ascolti: un paradosso non sempre
facile da gestire.
Come ci ricorda Aldo Grassoo “la televisione non ha mai goduto di buona letteratura”46 ma
sicuramente vi è piena consapevolezza del ruolo che questo strumento ha svolto nella
costruzione della società contemporanea. Nel panorama italiano 3 sono gli esempi innalzati
da Grasso a tappe significative della trasformazione che la tv ha comportato nel nostro paese.
3 “miti d’oggi”47 caratterizzati da:
- Un importante successo di pubblico
- Essere considerati programmi di “serie B” rispetto alle linee editoriali definite
- Hanno avuto un notevole impatto sul medium in Italia.
LASCIA O RADDOPPIA:
Trasmissione del giovedì sera con Mike Bongiorno in onda dal 1954 al 1959. 191 puntate
che rappresentano la versione italiana del francese Quitte ou double?, che a sua volta
riprendere lo show americano The $ 64,000 Question. Il primo programma che dava
l’opportunità di vincere 5.125.00 lire, che strumentalizza la cultura a fini ludici, che
introduce il concetto di culturale popolare.
PORTOBELLO:
In onda dal 1977 al 1983, con concorrenti che dovevano fa dire a un pappagallo il nome della
trasmissione e inserzionisti vari che presentavano le loro invenzioni. Un programma di
grande successo con punte di 25 milioni di telespettatori tra il 1978 e il 1979, ma soprattutto
meritevole di avere portato in tv e quindi nel panorama nazionale la “provincia” e la sua
quotidianità, con le sue realtà ironiche, genuine e a volte strappalacrime.
46 Grasso Aldo, Storie e culture della televisione italiana, 2013, p. 5 47 Ivi p. 14
39
GRANDE FRATELLO:
L’esempio per eccellenza della tv spazzatura, oggetto di critiche costanti, all’insegna della
banalità e della volgarità. Ma come sottolinea Grasso il programma rappresenta anche scende
di vita quotidiana e cambiamenti sociali che hanno caratterizzato la società, e lo fa con una
struttura ibrida del tutto nuova, sommando generi, stili, linguaggi del tutto diversi (con
parodie, notizie, confessioni, servizi e altro ancora).
La presenza e il peso che i media svolgono nella società contemporanea è un dato di fatto
ma non è possibile ancora identificare una posizione comunemente condivisa sugli effetti
positivi o negativi di tale peso. Gli studi che negli anni si sono susseguiti sono innumerevoli
e la contrapposizione tra “apocalittici” e “integrati” (Umberto Eco, 1964) è ancora viva.
L’impatto maggiore nel panorama internazionale sicuramente proviene dalla Scuola di
Francoforte e nel contesto italiano possiamo trovare negli intellettuali di sinistra e nei
conservatori cattolici i più grandi oppositori allo strumento considerato l’artefice del degrado
culturale. Disimpegno politico, crisi della partecipazione, declino della qualità
dell’informazione sono i pericoli su cui in molti hanno messo in guardia. Ma le critiche
partono da un assunto ossia il ruolo di responsabilità che viene attribuito ai media nella
formazione delle coscienze civiche, sociali, politiche e culturali del pubblico. L’opinione di
Giovanni Sartori sull’argomento è: “secondo me, dipende dal contenuto, dal messaggio, non
dal medium, non dallo strumento. Se la TV fa vedere bambini morenti di fame, ci
responsabilizziamo per salvarli. Ma se la mettiamo in mano a un discendente di Hitler o a
un Ayatollay Khomeini scatena istinti di guerra, di strage e di odio-. Sulla
«responsabilizzazione» avrei dunque molti dubbi.”48 Ma “l’infotainment e il politainment
possono essere visti come palestre di civismo di dubbia qualità, ed è quindi scontato che
alcuni ambienti alzino la guardia sulla politica pop per timore che allontani dalla politica i
cittadini postmoderni.”49. Ma il dibattito tocca anche il tema della “popolarizzazione” che
abbiamo definito una delle sfaccettature della politica contemporanea. Se “alcuni studiosi
individuano nella popolarizzazione del dibattito civile un elemento di democratizzazione
48 Giovanni Sartori, Videopolitica, in Rivista Italiana 01 Scienza Politica / a. XIX, n. 2, agosto 1989
p. 188.
49 Mazzoleni Gianpietro e Anna Sfardini, Politica pop. Da Porta a porta a'L'isola dei famosi, Il mulino,
2009, p. 96.
40
della vita politica”,50 in riferimento all’aumento della partecipazione alla vita politica del
paese anche delle fasce in passato escluse per motivi culturali e sociali, altri si dimostrano
più allarmati in riferimento alla deriva populista che ne può scaturire e a fenomeni come il
dumbing down: la tendenza ad affiancare a temi politici dinamiche della cultura popolare di
massa con esplicito riferimento al degrado culturale. Semplificazione delle notizie è l’esito
più scontato ed è quello contro cui una vasta schiera di studiosi mettono in guardia. Il
fenomeno prende il nome di soundbite effect, la costruzione quindi di un’uniformazione di
effetto, che generi interesse immediato, che possa raggiungere una platea più vasta possibile
e per questo soggetta a frammentazione per slogan. Posizioni pessimiste, che Mazzoleni ci
dice condivise tendenzialmente tra pensatori e scienziati politici, in contrapposizione agli
ottimisti ricercatori di comunicazione politica.
La domanda è: “il cittadino postmoderno, bombardato da stimoli mediali di ogni genere, che
ha innumerevoli opportunità di relazione e di informazione, è davvero più informato o
sufficientemente informato sulla politica per partecipare consapevolmente alla vita
pubblica?”51. Le posizioni ottimiste si basano sul presupposto che in un sistema democratico
auspicare ad una maggioranza di cittadini interessati e sufficientemente ben informati sulla
politica è di fatto irrealistico, per cui un modello definito di “democrazia pragmatica” (Delli
Carpini e Keeter 1996) è invece in grado di assicurare un vasto numero di cittadini informati,
seppur non con livelli sempre adeguati, ma comunque interessati. “La scarsa esposizione al
flusso delle hard news non significa totale ignoranza della politica”52, questo perché l?
“onnivoro”, precedentemente citato, è lo spettatore che monitora e vigilia su ciò accade
intorno a lui riuscendo ad assicurare una sufficiente competenza politica.
“La visione ottimista, o <relativista>, è condivisa da molti altri studiosi di comunicazione
politica, tra i quali possiamo annoverare Delli Carpini e Williams (2001), Baum (2003), Van
Zoonen (2005) e Herbst (2006), tutti d’accordo nel rivalutare la funzione civica di
un’informazione politica minimale per il cittadino, che gli arriva sia dall’infotainment, sia
dalle soft news, sia dal politainment, che si configurano come vere e proprie <scorciatoie
50 Emiliana De Blasio, Matthew Hibberd, Michael Higgins, Michele Sorice, La leadership politica. Media e
costruzione del consenso, Carocci, Roma, 2012, p. 82.
51 Mazzoleni Gianpietro e Anna Sfardini, Politica pop. Da Porta a porta a'L'isola dei famosi, Il mulino,
2009, p. 97.
52 Ivi p. 99
41
informative> in grado di assicurare l’esercizio di una <cittadinanza sottile>.53 Ma la visione
aspramente critica da parte di una larga fetta di studiosi verso mezzo televisivo continua con
gli anni e si fa forte del cambiamento più recente della comunicazione politica in tv e
dell’affermazione della politica pop. Il rischio è di una pericolosa disaffezione del cittadino-
spettatore dalla politica e dall’impegno civico, a causa del consolidarsi di un atteggiamento
passivo ed evasivo non in grado di trasformarsi in azioni di coinvolgimento e partecipazione.
Ma ciò che emerge da quest’analisi è che la politica pop non si possa definire come un
fenomeno circoscritto ad alcuni programmi o personaggi, ma che sia l’esito della
trasformazione che oggi ha compiuto la comunicazione politica, che ha abbandonato l’idea
di dover essere necessariamente seria ed elitaria. Durante un’intervista Gianpietro Mazzoleni
alla domanda se la strategia del “politico pop” fosse una garanzia si successo o dipendesse
dalle sfaccettature dei contesti nazionali, risponde: “Entrambe le cose. Non tutto ciò che
appare pop(olare) in America ha successo in Cina, e quello che è pop(olare) in Giappone
difficilmente potrebbe essere apprezzato come metodo in Francia o in Cile. Possiamo dire
che ogni paese, con le proprie culture, tradizioni, e architetture istituzionali, percorre la
propria strada verso il pop politico. Ma è oggi inevitabile che tutti esperimentino un alto
grado di popolarizzazione della politica. Perché siamo immersi in un mondo
mediatizzato”54.
La politica pop è il volto attuale della comunicazione politica, è il “format” principale
utilizzato dai media che trattano di politica e dei personaggi politici che approcciano ai
media. Ma se tale trasformazione conduca a un disimpegno e ad una disaffezione è ancora
da scoprire, sicuramente in risposta contraria abbiamo l’esempio di Barack Obama, guru
della comunicazione politica odierna, colui che più di chiunque altro ha saputo sfruttare le
trasformazioni in atto del linguaggio politico e dell’approccio ai media riuscendo
sicuramente a generare un grande senso di appartenenza che si è poi trasformato in attivismo
per i suoi elettori.
53 Ibidem
54 http://beerderberg.es/intervista-a-gianpietro-mazzoleni/
42
PARTE II
L’OFFERTA POLITICA DELLA TELEVISIONE ITALIANA
2.1 CONTESTO
Negli anni Cinquanta la televisione entra nelle case degli italiani accolta a volte da
meraviglia e stupore, altre volte da diffidenza e sospetto, e l’intrattenimento di solito
percepito all’esterno, nei teatri e nei cinema, entra nelle mura domestiche e ne stravolge la
quotidianità. Il servizio televisivo iniziò in regime di monopolio pubblico e sotto controllo
governativo nel 1954 ad opera della RAI, caratterizzato da un’offerta limitata, su un solo
canale e solo durante alcune ore del giorno.
Negli anni il mercato televisivo italiano ha assistito a mutamenti radicali nel contesto sociale,
culturale, politico ed economico del nostro Paese che naturalmente hanno provocato
ripercussioni immense sulla sua struttura. Il percorso storico che questo mezzo ha seguito in
Italia non è naturalmente lineare ma tortuose e complesse sono spesso state le sue fasi di
transizione. “è stato un viaggio senza precedenti nella storia dei media, sia per rapidità con
cui si è svolto sia per la sua intensità ma non è stato certo un tragitto privo di negoziazioni,
resistenze, mediazioni e reciproci adattamenti tra il medium e i suoi fruitori”55. Sono 3 le
fasi che Cecilia Penati identifica come tappe significative della storia culturale e sociale della
televisione italiana56:
• La prima fase è quella del periodo “archeologico” del medium.
Va dal 1954 fino all’inizio degli anni ’60. La diffusione della televisione in Italia negli anni
Cinquanta è sicuramente caratterizzata dalle contraddizioni del dopoguerra e l’entusiasmo
verso il progresso di quel periodo: “è un dato di fatto - mai evidenziato abbastanza – che, nei
primi anni di esistenza del medium, l’esperienza di guardare la televisione ha coinciso per
la gran parte dei suoi spettatori con quella di andare alla televisione”57. La dimensione
55 Cecilia Penati, Tutto il mondo in casa. Tv e culture di visione in Grasso Aldo, Storie e culture della
televisione italiana, 2013, p. 53
56 Ivi p. 51
57 Ivi p. 53
43
collettiva della televisione era all’epoca naturalmente associata alle barriere economiche che
caratterizzavano quel periodo, non solo in riferimento all’acquisto dell’apparecchio ma
anche per il costo del canone di abbonamento alla Rai.
• La seconda fase coincide con l’ingresso delle tv commerciali.
Successivamente grazie all’opera di due grandi attori, Rai e marchi di elettronica, la tv
sancisce la sua trasformazione verso un medium domestico e questo grazie a campagne
promozionali, programmi televisivi, opuscoli informativi e discorsi dei dirigenti Rai.
Nei primi anni Sessanta la tv inizia realmente ad entrare nelle case degli italiani e si svuotano
i bar: “Il proprietario del locale (un bar di Via Vitruvio a Milano), dietro la cassa, raramente
allunga il collo per lanciare una sbirciatina al video. Poi ci dichiara:” Ai tempi di Lascia o
raddoppia? La gente arrivava fin qua alla cassa. C’era chi veniva un’ora prima della
trasmissione, per trovar posto”58.
Trasformazioni che Penati collega a 3 diversi livelli: quello dell’offerta (1961 e la nascita di
un secondo canale Rai), quello della tecnologia (con i nuovi ricevitori) e quello del consumo
(con l’affermazione della visione domestica). È in questa fase che il pubblico televisivo si
espande fino a raggiungere l’intera popolazione nazionale.
• La terza fase è quella contemporanea.
La fase della digitalizzazione e della convergenza tecnologica, le barriere che
tradizionalmente caratterizzavano il mercato televisivo sono state abbattute permettendo
l’ingresso di nuovi attori. Gli eventi storici sono certamente molti, dal 1977 con la
trasmissione a colori alla fine di Carosello, dalla prima televisione a pagamento Telepiù al
2012 e il definitivo passaggio al digitale terrestre. Negli ultimi anni il mercato ha subito
sempre più trasformazioni, l’evoluzione del mezzo e del suo utilizzo hanno comportato la
rottura delle routine produttive, delle professionalità e delle competenze rendendo necessario
un continuo aggiornamento per stare al passo con un scenario in costante evoluzione.
58 Piace o non piace ”Campanile sera?” Vi diciamo come gli italiani giudicano la trasmissione, in Grazia,
1960 in Grasso Aldo, Storie e culture della televisione italiana, 2013, p. 63
44
2.1.1. RAI
Marco Damilano in “Storie e culture della televisione italiana” riporta i saluti di Carlo
Jemolo a Giuseppe Spataro che lo sta sostituendo alla guida della Rai: “Sono dolente che per
il modo con cui si svolgono le cose non mi sia possibile porgerle di persona il mio saluto
augurale: voglia credere che per l’affetto che ho preso alla Rai in 15 mesi di Presidenza mi
dà una sincera soddisfazione di sapere che passa nelle sue mani aperte..”59, era il 2 agosto
1946. Jemolo, cattolico-liberale, forte sostenitore di una Rai indipendente lasciava il posto
Spataro, uomo politico e fondatore della Dc che segnerà il futuro dell’ente.
Il 3 gennaio 1954 iniziano le trasmissioni ufficiali della Rai, ma sono già due anni che a
Torino e Milano si trasmettono programmi sperimentali ed inizia quell’opera di unificazione
nazionale compiuta dalla tv che in poco tempo assume portata storica. Nel 1954 gli
abbonamenti erano 88.118, mentre nel 1960 si arriverà a due milioni.
Naturalmente all’inizio la diffusione dell’apparecchio era assai limitata e l’Italia era un Paese
ancora rurale, così la televisione si fece carico di quell’unificazione culturale e linguistica
da molto ricercata.
La Chiesa di Pio XII colse immediatamente la portata rivoluzionaria del mezzo e il 4 gennaio
1954 il pontefice invia ai vescovi italiani una lettera dove parla della televisione come
“meraviglioso mezzo offerto dalla scienza e dalla tecnica all’umanità”60, mentre il 6 giugno
in occasione della costituzione dell’Ente «Televisione Europa» che comprende le
Radiotelevisioni di Italia, Francia, Germania, Belgio, Olanda, Danimarca e Gran Bretagna,
gioisce nelle diverse lingue dell’accadimento61.
Dal 1954 al 1956 l’azienda è segnata da Filiberto Guala, amministratore delegato e fervente
religioso, fu sua l’introduzione del “Codice di autocensura” con l’elenco delle situazioni
vietate in tv: dal divorzio alle “nudità immodeste”.
Ma il 1956 è anche l’anno di Lascia o raddoppia?, ogni giovedì sera l’Italia si fermava e
inizia lo storico quiz di Mike Bongiorno.
59 Marco Damilano, I partiti all’assalto di Viale Mazzini, in Aldo Grasso Storie e culture della televisione
italiana, 2013, p.101
60 https://w2.vatican.va/content/pius-xii/it/biography/documents/hf_p-xii_bio_20070302_biography.html
61 https://w2.vatican.va/content/pius-xii/it/speeches/1954/documents/hf_p-xii_spe_19540606_e-forse.html
45
“I contenuti della programmazione sono in totale aderenza con i valori della Dc: il progresso
equilibrato, il ritrovato benessere dopo la guerra, l’anticomunismo, la moderazione, le
istituzioni sacralizzate (il capo dello Stato, il governo, i presidenti delle Camere) occupate
dai cattolici. Mamma Dc e Mamma Rai sono la stessa cosa.62”
La prima fase della storia della Rai è appunto segnata dalle ingerenze dei democristiani e dei
vertici della Chiesa da un lato mentre trova socialisti e comunisti tra i principali oppositori.
Il potere della Dc nella Rai diventa un caso politico solo nel 1958 quando il capogruppo del
Pci Pietro Ingrao chiede alla Camera perché Giulio Andreotti, all’epoca ministro delle
Finanze, avesse nominato un suo collaboratore nel Cda della Rai.
Ma all’epoca la politica non entrava realmente nella televisione e soprattutto non vi era una
disciplina legislativa in materia. Per una reale trasformazione dobbiamo attendere l’inizio
degli anni ’60, gli anni del boom economico e l’affermazione della società dei consumi.
Con la nomina di Fanfani e l’introduzione delle tribune politiche, seguono gli anni Bernabei
(Direttore Generale) e la “televisione diventerà uno dei motori della modernizzazione
italiana e strumento decisivo di lotta politica”63.
“Per la prima volta in Italia, la propaganda elettorale sarà svolta anche alla televisione.
Milioni di persone, e tra esse molte che non sono mai andate ai comizi, vedranno così sul
video gli esponenti dei partiti”, si legge l’11 ottobre 1960 su “La Stampa”.
“Erano emozionati, e anche lievemente impacciati, i vari Moro, Scelba, Togliatti, Malagodi,
Nenni alle loro prime apparizioni in video; nessuno volle nasconderlo”64. Entrano in
televisione grandi personalità politiche, uomini di cultura che da anni infiammano le piazze
e che però risultano spaesati di fronte questo nuovo strumento. Soprattutto li vedremo portare
sul piccolo schermo il loro linguaggio serio, istituzionale, lento simbolo di una classe politica
che ancora non ha colto quanto di lì a qualche tempo sarebbe diventato cruciale il binomio
politica-spettacolo.
62 Marco Damilano, I partiti all’assalto di Viale Mazzini, in Aldo Grasso Storie e culture della televisione
italiana, 2013, p.106
63 Ivi p. 107
64 Giulia Guazzaloca Tribune e Tribuni nella Rai degli anni Sessanta in Aldo Grasso, Storie e culture della
televisione italiana, 2013, p.117.
46
Intanto la Rai lancia Rt Rotocalco Televisivo, programma settimanale di approfondimento
che ottiene un ascolto medio giornaliero di dieci – dodici milioni di telespettatori, con cui
Bernabei inizia ad aggirare le ingerenze della politica nei telegiornali.
Determinanti in questa fase diventano le innovazioni tecnologiche, soprattutto la
registrazione videomagnetica del 1962 che consentì la messa in onda delle registrazioni.
Telecronache ed edizioni speciali ne giovarono fin da subito e si moltiplicarono i servizi
dall’estero. Inizia la fase di TV7 composto da sette-otto servizi di circa 15 minuti che trattano
di politica e costume. Per quanto riguarda invece l’informazione politica Tribune politiche
in onda dal 1961 rappresenta un successo assicurato. L’innovazione tocca anche il
giornalismo sportivo, sono gli anni di La domenica sportiva, Mercoledì sport e Novantesimo
minuto. Ma è anche l’epoca dei quiz e a Rischia tutto o La fiera dei sogni fanno seguito
Studio uno e Quelli della domenica, e dei programmi musicali Sanremo, Cantragiro e
Festivalbar.
Nel 1964 arriverà la grande accusa pubblica da parte di Indro Montanelli, Corriere della
Sera, dal titolo il “Teleschermo Avvelenato”: “Fateci caso, quando è in scena Togliatti viene
fuori, non si sa come, un imperatore romano. Quando è in scena Scelba viene fuori un
questurino65”, a cui segue la risposta della corrente Centrismo Popolare di Scelba che
presenta in parlamento una mozione di censura. Sono gli anni in cui la televisione diventa il
cuore della battaglia politica, si attacca la Rai per colpire il centrosinistra, Bernabei risponde
e resiste aumentando invece notevolmente le assunzioni e gli incarichi dirigenziali.
Ma già dai primi anni ’60 inizia la diffusione delle emittenti private e “Telebiella” nel 1971
fu la prima rete privata locale, avviando così la minaccia al monopolio televisivo della Rai.
Nel 1974 Bernabei e la sua visione pedagogica lasciano la Rai dopo quattordici anni e si
avvia la riforma del 1975 sulla lottizzazione, con il passaggio del controllo del servizio
pubblico dal governo al parlamento per garantire maggiore pluralismo di informazione.
La legge di riforma n.103 del 14 aprile 1975 determina un Cda di 16 membri (di cui 10 eletti
dalla Commissione parlamentare di vigilanza): 7 consiglieri Dc, 3 socialisti, 2 comunisti, 1
a Psdi, Pri e Pli.
Nel 1979 nasce Rai Tre con vocazione regionale e culturale e nel 1980 Telemilano 58 cambia
nome e logo, parte Canale 5 con lo slogan: “corri a casa in tutta fretta c’è un biscione che ti
65 Montanelli Indro, Il teleschermo avvelenato, in “Corriere della Sera”, 6 maggio, 1964, p. 3.
47
aspetta”66. Berlusconi riesce farsi strada grazie al sostegno di Craxi e alla sua capacità si
manager dello spettacolo portando a Canale 5 personaggi come Mike Bongiorno, la coppia
Vianello-Mondaini, Maurizio Costanzo, Lorella Cuccarini, Raffaella Carrà, Pippo Baudo.
Politica e televisione sono ormai intrecciati come non mai e nel 1986 arriva l’Auditel con la
possibilità di una misurazione quantitativa degli ascolti e per la prima volta è possibile
fotografare i rapporti di forza tra Rai e Fininvest. Vince la seconda e la Rai entra in crisi,
affrontare la concorrenza e affrontare le grandi trasformazioni socio-culturali di quell’epoca
la costringono a rivedere la sua programmazione.
Siamo nella seconda metà degli anni 80 quando assistiamo alla trasformazione di Rai Tre.
La rete che ha ricoperto per qualche anno un ruolo del tutto marginale nel panorama
televisivo nazionale, nel giro di qualche anno vede caratterizzarsi da una linea editoriale più
netta e coerente, che percorre il sentiero delle notizie di qualità, attuali, legate ai grandi
avvenimenti politici e sociali dell’epoca, senza dimenticare che sono indirizzate alla massa
quindi con una particolare attenzione alla realtà, al quotidiano, alla verità.
L’infotainment si intreccia con la tv-verità e nasce il docudrama (montaggio di scene di film,
serie tv, video ecc.), “si tratta di un genere nato in Gran Bretagna e all’origine caratterizzato
da un forte afflato pedagogico che aiutava lo spettatore a costruire il senso della realtà storica.
Allentandosi da questa fonte originaria, il docudrama fa perdere allo spettatore quanto
restava dei confini tra realtà e finzione, tra fatti e rappresentazione”67. Sono gli anni di Linea
Rovente di Giuliano Ferrara, Samarcanda di Michele Santoro, Profondo Nord e Milano,
Italia di Gad Lerner, ma anche di Chi l’ha visto? e Telefono Giallo. “Nasce così un modello
di tv, talvolta accusato di sfruttare il dolore o di fomentare lo scontro politico”68.
La televisione commerciale è ormai una realtà ma ciò che manca è un corpus organico di
norme inteso a stabilire garanzie in grado di salvaguardare il pluralismo nell’informazione.
Arriviamo quindi alla legge Mammì 223/90, “Disciplina del sistema radiotelevisivo
pubblico e privato” dal nome del ministro delle poste e
telecomunicazioni repubblicano Oscar Mammì, che riconosce il diritto dei privati ad
66 http://www.agenziacomunica.net/2016/09/30/30-settembre-1980-nasce-canale-5/
67 Sorrentino Carlo, Il giornalismo in Italia: aspetti, processi produttivi, tendenze. Vol. 415. Carocci, 2003, p.
8
68 Luca Barra “La verità attentamente messa in scena”, in Aldo Grasso, Storie e culture della televisione
italiana, 2013, p. 90
48
accedere alle frequenze su scala nazionale, previa concessione statale, vietando inoltre
pubblicità durante i cartoni animati e fissando il massimo numero di spot durante la
trasmissione di film.
È arrivata ormai Tangentopoli, i vecchi simboli lasceranno il posto ai nuovi due grandi partiti
nati sulle guerre mediatiche degli anni Ottanta e inizierà il vero scontro Rai-Fininvest.
“Perché la Seconda Repubblica è nata dalla tv”69.
In tema televisivo un profondo cambiamento sarà dato dalla legge 206 del 1993 quando al
governo s’insediò Carlo Azeglio Ciampi. L’intento era quello di risanare il deficit Rai
intraprendendo la strada del cosiddetto Decreto salva Rai, che porta a cinque il numero dei
componenti del Cda, il cosiddetto “Consiglio dei professori”, venne ridefinito l’assetto
organizzativo, ci furono importanti tagli e si ottenne l’allontanamento di importanti figure di
quegli anni.
Ma le elezioni del 1994 segnano il reale inizio della politica-spettacolo “cambiano le parole,
cambiano i riti. Abbandonati i comizi, i leader scelgono la tv e la politica invade il piccolo
schermo che si trasforma in piazza mediatica, in talk show, in spettacolo”70. Segue la vittoria
dell’Ulivo alle elezioni del 1996 e la legge Maccanico n. 249 del 31 luglio 1997 per
affrontare le tematiche dell’antitrust ed istituire l’Autorità per le garanzie delle
comunicazioni.
Durante le successive elezioni del 2001 abbiamo assistito a una televisione teatro di scontro
tra l’Ulivo e la Casa delle Libertà, nacque la questione di Santoro, oggetto di un esposto da
parte di Forza Italia all’Authority e la polemica che seguì l’intervento di Marco Travaglio a
Satyricon su Rai2 con le accuse in tema finanziario contro Berlusconi.
Vedremo di lì a poco la direzione generale di Cattaneo e il nuovo volto Rai, con il
ridimensionamento delle Reti a mere strutture esecutrici e i vari tentativi di
ammodernamento nell’offerta televisiva.
Intanto nel 2002 si ottiene la legge Gasparri sulle telecomunicazioni che comporta importanti
novità per nomine Rai con un nuovo aumento dei membri del Cda da cinque a nove.
69 Marco Damilano, I partiti all’assalto di Viale Mazzini, in Aldo Grasso Storie e culture della televisione
italiana, 2013, p.113
70 Giuseppe Gnagnarella, La Bella Preda, Rai tra politica e audience, Carabba, 2008, p. 30
49
Le campagne elettorali si svolgono sempre più in televisione e nel 2006 esplode la
discussione di domenica 12 marzo nel programma di Lucia Annunziata tra Berlusconi e la
conduttrice, riportata nei giorni seguenti da tutti i maggiori programmi.
Negli anni seguenti si è percorso il tragitto del rinnovamento accostando ai vecchi titoli un
grande quantità di nuovi programmi in grado di raggiungere un pubblico anche più giovane.
Viene portata a termine la riforma Rai con la legge n.220 del 28 dicembre 2015 che tra le
varie novità aumenta i poteri del direttore generale ora trasformato in amministratore
delegato.
50
2.1.2. MEDIASET
“Prima della televisione commerciale e dopo il monopolio della tv servizio pubblico, c’è
stato un periodo in cui le emittenti locali si moltiplicavano sul territorio. Erano televisioni
ruspanti, che riprendevano le feste di paese, il presentatore delle sagre, i cantanti amatoriali,
i ballerini dilettanti di balera”71.
Ben presto le reti commerciali vennero assorbite da un unico organismo: la televisione
commerciale. La piccola Telemilano in quella fase iniziò una scalata senza precedenti che la
portò nel 1980 a cambiare nome e logo in Canale 5. La nuova rete si fece strada
sponsorizzando temi che interessavano al pubblico italiano, ma spesso messi in disparte
dall’offerta Rai dedicata invece al suo progetto educativo, parliamo di calcio, cinema e serie
tv.
Una serie in particolare segnò il successo della rete: Dallas, scartata dalla Rai, la nuova rete
la seppe vendere e rendere uno dei programmi di punta (Freccero). Ma quiz, varietà e talk
show che si ispirano alla commedia all’italiana e all’America degli anni Sessanta sono
all’ordine del giorno. “La televisione commerciale condivideva i tratti del postmoderno
come insieme di alto e di basso, di kitsch e di citazione”72.
Così come per la Rai, anche per la nuova rete l’Auditel comportò una profonda
trasformazione: pubblicità e marketing diventano le parole d’ordine. Ma la tv privata era in
differita, all’epoca non poteva trasmettere in diretta, e al centro della programmazione
avevamo la pubblicità, in questa fase il riferimento al modello hollywoodiano e al sogno
americano è palese.
In questa che Freccero definisce infatti come “fase americana” il palinsesto è basato
sull’acquisizione di materiale internazionale, prettamente americano, e non
sull’autoproduzione, comportando “l’americanizzazione” e “l’internazionalizzazione” del
gusto. Dall’America si riprende quindi la controprogrammazione e a Dallas su Canale 5
risponde Dynasty sulla concorrente Rete4.
La fase successiva corrisponde invece all’affermazione dell’autoproduzione e al nazional-
popolare.
71 Freccero Carlo, Televisione, Bollati Boringhieri, 2013, p.46
72 Ivi p. 53
51
“Il punto di svolta si ha nel dicembre del 1981 con l’arrivo a Canale 5 di Mike Bongiorno:
il massimo dell’americanizzazione e insieme del provincialismo italiano, la saldatura con la
memoria storica della Rai e la formula vincente del nuovo show73”.
Gli anni Ottanta sono gli anni di affermazione di Canale 5 con la nascita di programmi che
segneranno la storia della rete come Nonosolomoda o Maurizio Costanzo Show, ma anche
Buona Domenica e Forum.
Ma è nel 1983 che la società si espande ed acquisisce Rete4 e Italia1. Siamo nel periodo del
pieno sostengo di Craxi a Berlusconi e quando nel 1984 la Rai presenta un esposto contro
Fininvest perché violava la legge sul monopolio televisivo (solo la Rai poteva trasmettere
sul territorio nazionale) e la nuova rete venne per questo oscurata, Craxi risolse il problema
con il cosiddetto decreto Berlusconi.
Nel 1990 si ottiene la legge Mammì che vieta la possibilità di possedere più di 3 canali,
fotografando quindi la situazione esistente e sancendo il duopolio Rai-Fininvest.
Facciamo quindi un salto fino al 1992 e a Mani Pulite, un anno e un’inchiesta determinanti
per la storia del paese per una pluralità di ragioni, tra cui la decisione di Silvio Berlusconi di
salire in politica e lasciare le cariche ricoperte nel gruppo Fininvest.
È dalla televisione che proviene Berlusconi, non a caso quello torna ad essere
immediatamente il suo teatro d’azione e ampio respiro in questa fase Canale 5 dà al
candidato e ai personaggi a lui vicini.
Programmi di successo in questi anni diventano Non è la RAI, La ruota della fortuna, Striscia
la notizia, Verissimo e molti altri.
Gli anni 2000 vedono poi l’affermazione di due format in particolare: il reality e il talent
show, Grande Fratello e Amici di Maria de Filippi saranno un successo per la rete.
Il 12 dicembre 2016 inizia la scalata di Vivendi, società francese operante nel campo dei
media e delle comunicazioni, che annuncia di detenere più del 3% del capitale di Mediaset
e di voler arrivare a possedere una quota tra il 10 e il 20%74.
73 Ivi p. 56
74 http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2016-12-20/mediaset-vivendi-e-257percento-cda-
esposto-all-agcom--230745.shtml?uuid=ADN5oWHC&refresh_ce=1
52
Ma a dicembre inizia la scalata della società e il 20 dicembre 2016 la partecipazione sale al
25,75%75.
Il 22 dicembre 2016, l'azienda raggiunge il 29,99% del capitale76.
75 http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2016-12-20/mediaset-vivendi-e-257percento-cda-
esposto-all-agcom--230745.shtml?uuid=ADN5oWHC&refresh_ce=1
76 http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2016/12/22/mediaset-vivendi-al-299-dei-voti_97265868-abe5-
4371-ba6b-0bf58dd00837.html
53
2.1.3 LA7
Il duopolio Rai - Mediaset in Italia ha ostacolato la diffusione di altre reti e, benché tutt’oggi
non si possa ancora parlare della fine del duopolio, sicuramente la sua crisi è iniziata e
procede inesorabile.
Siamo nel 2000 quando Telemontecarlo (TMC,) l’emittente televisiva di Vittorio Cecchi
Gori, viene venduta a Seat Pagine Gialle (del gruppo Telecom Italia)77. Il 24 giugno 2001 vi
sarà la completa trasformazione in La7, per il lancio del nuovo canale si organizzerà una
serata di gala a Milano presso la discoteca “Alcatraz” presentata dalla coppia Fazio –
Littizzetto, con ospiti come: Eros Ramazzotti, Pino Daniele, Francesco De Gregori, Gad
Lerner, Giuliano Ferrara, Sabina Guzzanti, Neri Marcorè, Geri Halliwell e Vincenzo
Montella78.
Un format su cui la rete punterà per il proprio lancio per entrare in concorrenza con Rai e
Mediaset è proprio il talk show, il programma avrebbe dovuto chiamarsi Fabshow condotto
da Fabio Fazio ma cancellato prima della messa in onda per alcune polemiche con i vertici
della rete.
Il primo periodo per la rete non è facile, i risultati in termini di auditel non sono soddisfacenti
e soprattutto non permettono di infrangere il duopolio. Risale al 2002 una prima
trasformazione ed è con l’arrivo di Marco Tronchetti Provera a Telecom Italia, a cambiare
non è solo il logo ma anche l’impostazione generale della rete, non più giovanile e allegra
ma tv di approfondimento, sono anche gli anni de L’Infedele, Omnibus, e Otto e mezzo.
Nel 2003 Daria Bignardi e Piero Chiambretti approdano a La7 con Markette e Le Invasioni
barbariche.
Nel 2006 arriva invece il licenziamento di Aldo Biscardi e la conseguente chiusura di
Processo Biscardi (che nella sua ultima puntata aveva raggiunto il 6,50% di share79) perché
coinvolto nel calcioscommesse.
77 http://www.repubblica.it/online/economia/seat2/fatto/fatto.html
78 https://www.youtube.com/watch?v=BcBAncJtqsk
79 http://www.corriere.it/Primo_Piano/Sport/2006/05_Maggio/16/biscardi.shtml?refresh_ce-cp
54
Risale a un anno dopo l’allontanamento dalla rete di un altro personaggio, Daniele Luttazzi,
che durante il suo Decameron aveva offeso Giuliano Ferrara, all’epoca conduttore di Otto e
mezzo80.
Nel 2012 Luttazzi vince la causa contro La781, secondo la sentenza non ci furono offese ma
solo satira e si condanna La7 al pagamento di 1 milione e 200 mila euro lordi. “Il tribunale
di Roma ha tutelato il diritto di fare satira sancito dalla Costituzione” ha dichiarato Luttazzi.
Lo stesso anno della crisi con Luttazzi Le Invasioni Barbariche di Daria Bignardi vincolo il
Telegatto, il primo per un programma di La782.
Gli anni successivi vendono profondi cambiamenti, con l’arrivo del nuovo direttore Quintilio
Tombolini, si susseguono tagli e abbandoni (come quello di Daria Bignardi e Piero
Chiambretti) e nuove assunzioni (Lilli Gruber).
L’anno di svolta è il 2010 segnato dall’arrivo di Enrico Mentana alla conduzione del Tg, al
cui proposito Gad Lerner dichiara: “Mi auguravo che venisse già nel 2009, ora la squadra
dell'informazione diventa fortissima. Insieme a Ilaria D'Amico, Lilli Gruber, Daria Bignardi,
Luca Telese, allo stesso Piroso che può dare un grande contributo da conduttore, la rete
guidata da Tombolini può crescere ancora”83.
Il 30 giugno 2010 Mentana esordisce alle 20,00 con la direzione del telegiornale e registra
uno share del 7,3%, quasi 1 milione e mezzo di telespettatori84.
Si susseguono in questi anni nuovi programmi di punta, nuovi acquisti ed allontanamenti per
la rete, arrivando al 2011 anno di svolta in sui rivoluziona logo e immagine.
Il 2012 segna tra le varie novità sull’organizzazione del palinsesto l’arrivo di Michele
Santoro e del suo Servizio Pubblico85, trattativa iniziata già l’anno precedente e poi sfumata
per l’intenzione, inseguito abbandonata, della rete di controllare i contenuti del programma
prima della messa in onda.
80 http://www.repubblica.it/2007/12/sezioni/spettacoli_e_cultura/luttazzi/luttazzi/luttazzi.html
81 http://www.corriere.it/spettacoli/12_marzo_10/satira-tv-luttazzi-vince-causa-contro-la-7-franco_69183226-
6a83-11e1-8b63-010bde402ef9.shtml
82 http://www.tvblog.it/post/4255/telegatti-2007-i-vincitori
83 http://www.repubblica.it/politica/2010/06/16/news/mentana_la7-4876133/
84 http://www.tvblog.it/post/21254/ascolti-tv-lunedi-30-agosto-2010-boom-per-per-il-tg-la7-con-enrico-
mentana-al-73-e-15-mln
85 http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/07/04/dalla-prossima-stagione-servizio-pubblico-di-michele-santoro-
in-onda-su-la7/284178/
55
Nel 2013 La7 viene venduta da TI Media a Cairo Communication86 e tra le varie novità di
Urbano Cairo ricordiamo l’arrivo in quell’ anno di Miss Italia trasmesso in una serata.
Nel 2015 Santoro lascia La7 e abbandona il genere del talk: “Il talk show in quanto tale è
vivo e vegeto. Renzi sarebbe nato senza il talk show? E Salvini, e Landini? La sua crisi
esistenziale è dovuta invece alla modestia di un piano industriale che ha scelto, per contenere
i costi, di rendere monotematica la giornata televisiva. Dal lunedì al giovedì, dalla mattina
alla sera, sempre e ovunque talk politici”87 .
Arrivano all’ultima stagione appena conclusa: “la Rete del Gruppo Cairo Communication
continua ad essere la tv generalista che cresce di più in termini di ascolti. La sola La7 ha
registrato il 3,19% nel totale giornata (7:00/2:00), in crescita del +6% (vs 2015/16) e +3%
(vs 2014/15), e il 3,91% in prime time con un milione di spettatori medi (20:30/22:30),
rispettivamente 3% e del +2%. Il Network La7 (La7 e La7d) conquista nel totale giornata il
3.70%, rispettivamente del +5% e del 4% in confronto alle due stagioni precedenti, facendo
segnare la migliore performance degli ultimi tre anni. L’informazione gioca un ruolo sempre
centrale, con le edizioni del TgLa7 di Enrico Mentana, a cui si aggiungono gli
approfondimenti di Bersaglio Mobile e le imperdibili #maratonamentana che seguiranno i
principali avvenimenti nazionali e internazionali”88.
86 http://www.corriere.it/economia/13_marzo_04/telecom-italia-media-la7-cairo_51ef2180-84d7-11e2-aa8d-
3398754b6ac0.shtml
87 http://www.huffingtonpost.it/2015/06/11/michele-santoro-fine-servizio-pubblico_n_7559100.html
88 http://www.la7.it/la7racconta/video/la7-una-certa-idea-di-tv-12-07-2017-218269
56
2.1.4. SKY
Il 31 luglio 2003 iniziano le trasmissioni Sky dopo l’autorizzazione della Commissione
Europea alla fusione Stream-Telepiù consentendo la nascita di un’unica pay-tv in Italia89.
La rete, verso la fine del 2011, raggiunge il traguardo dei 11 milioni di abbonati 90.
Sempre nel 2011 Sky oscura Mediaset Plus per inadempienze contrattuali. Il contratto infatti
stabiliva che Mediaset Plus avrebbe incluso nel palinsesto il meglio della programmazione
di Canale 5, Rete4 e Italia 1 (restarono invece esclusi programmi Chi vuol essere milionario,
Striscia la Notizia, Zelig ecc.).
L’Amministratore delegato di Sky Italia ha così commentato la decisione: “Sono molto
dispiaciuto che Mediaset non abbia onorato gli impegni contrattuali in merito alla
programmazione di Mediaset plus, privando così i nostri abbonati del meglio dei programmi
delle reti Mediaset. Il mancato rispetto degli impegni assunti in relazione alla
programmazione di Mediaset Plus ha reso purtroppo necessaria la decisione di interromperne
la distribuzione. Stupisce però che il gruppo Mediaset rinunci ad una platea televisiva di
oltre 13 milioni di italiani che accedono ai programmi Sky, dopo aver già rifiutato di
accogliere le nostre campagne pubblicitarie sulle proprie reti, rinunciando così ai relativi
proventi"91.
89 http://www.corriere.it/Primo_Piano/Economia/2003/03_Marzo/31/paytv.shtml
90 http://www.tvblog.it/post/28295/sky-raggiunge-i-5-milioni-di-abbonamenti-e-regala-due-weekend-free
91http://tg24.sky.it/economia/2011/07/02/mediaset_plus_non_e_piu_distribuito_dalla_piattaforma_sky.html
57
2.2 L’EVOLUZIONE DEL PANORAMA POLITICO ATTRAVERSO IL
TALK SHOW
I talk show che hanno fatto la storia della televisione ed hanno contributo all’evoluzione
della percezione della scena politica sono molti: in questo elaborato si è deciso di riportarne
alcuni ritenuti decisivi per il contesto socio-culturale in cui si sono inseriti.
La decisione è stata quella di utilizzare la storia dei maggiori talk italiani per ripercorrere le
fasi più significative dell’evoluzione della scena politica e della comunicazione politica dagli
anni Sessanta ad oggi. Un percorso che va dalla mission pedagogica della rai e dal controllo
dei partiti sulla comunicazione all’introduzione dei social network e l’affermazione della
“piazza” come vera protagonista.
Per la selezione dei programmi due sono stati principalmente i criteri utilizzati: 1) l’analisi
compiuta da Novelli (2016) in merito ai programmi che più di altri hanno rispecchiato il
panorama politico 2) una panoramica soddisfacente sui talk che hanno fatto la storia della
loro rete Rai, Mediaset, La7, Sky.
A tal proposito i programmi scelti sono:
• Tribuna elettorale
• Mixer
• Samarcanda
• Porta a Porta
• Matrix
• Servizio Pubblico
• Il Confronto
Successivamente verranno comunque prese in considerazione anche le performance di altri
talk in riferimento alle varie tematiche affrontate, dalla presunta crisi del genere alla struttura
dei vari programmi.
58
2.2.1 STORIA DI UN FORMAT DI SUCCESSO
Il genere talk nasce in America, inizialmente per uso esclusivo della radio, verso la fine degli
anni ’60 viene traghettato verso il mezzo televisivo.
Fino agli anni ’70 il talk risponde alla domanda di socializzazione che viene all’epoca rivolta
a tutta la televisione, con il raggiungimento del benessere per la maggioranza, il format
inizierà a rispecchiare la società contemporanea, la società dei consumi.
Con gli anni ’80 questo macro genere inizia la sua evoluzione verso le forme di
spettacolarizzazione e intrattenimento che prenderanno il sopravvento negli anni ’90.
Tra gli anni Novanta e Duemila sicuramente il talk politico diventa uno dei format di punta
dell’offerta televisiva italiana e nell’ultima fase ha certamente raggiunto una piena maturità,
frutto di notevoli trasformazioni da quel primo esperimento di video-politica che fu Tribune
Elettorali nel 1960.
Evoluzione significativa risale negli anni ’90 grazie all’imposizione del modello “neo-
assembleare”92 con programmi come Samarcanda, Milano, Il rosso e il nero, con il dibattito
che scende in piazza e le istanze sociali che entrano in televisione.
Anni in cui il ruolo dei media si accosta a quello della magistratura nelle accuse aperta a una
classe politica corrotta, contribuendo non solo a segnare una fase fondamentale per la storia
politica del Paese, ma anche ridefinendo il ruolo dello stesso format negli spazi della
comunicazione politica. Si è infatti affermato negli ultimi anni come il principale strumento
della comunicazione politica contemporanea, approfittando certamente degli anni di crisi ed
emergenza costante del sistema politico, “il talk ha saputo capitalizzare negli anni l’esigenza
di veder raccontata e rappresentata la politica con le sue contrapposizioni e i suoi scontri”93.
Due sono gli elementi a cui ricorrono Barra e Scaglioni per spiegare il successo degli anni
Duemila del format:
1. L’eventizzazione: il talk ha colto e raccontato sotto forma di eventi il ventennio
berlusconiano. Un esempio su tutti è lo scontro nella puntata pre-elettorale di Servizio
92 Parodi Marco, Variations in the melodrama of political TV talk shows. The aggression to Berlusconi and the
endless soap of Italian politics, in Comunicazione politica 12.3, 2011, p. 388
93 Barra, Luca eMassimo Scaglioni, Di necessità virtù. Talk show politici e logiche televisive, in Problemi
dell’Informazione 3, 2016, p. 543
59
Pubblico su La7 il 10 gennaio 2013, tra Marco Travaglio e Berlusconi. La puntata fu
un successo senza precedenti per il programma e per la rete in generale con uno share
del 33,58% e circa 9 milioni di telespettatori94.
2. L’altro elemento è la fidelizzazione dell’audience: divenendo programmi consolidati
nei palinsesti (nel decennio 2002-2013 Ballarò il talk si Raitre ha fidelizzato più di
3 milioni di telespettatori).
Riportiamo quindi di seguito qualche dato in grado di dimostrare il successo e quindi i
risultati in termini di fidelizzazioni che vantano i talk dei nostri giorni.
Partiamo da alcune trasmissioni rappresentative dell’info/politainment nel corso di 4
stagione televisive dal 2004 al 2008, cioè: Ballarò, Annozero, Porta a Porta, Matrix, Che
tempo che fa, Le Invasioni Barbariche, Striscia la notizia, Le Iene, Parla con me.
I grafici di seguito riportati, risultato da un’elaborazione di Mazzoleni e Sfardini95 sui dati
auditel/Geca Italia, permettono immediatamente di verificare quell’elemento di
fidelizzazione di cui parlano Barra e Scaglioni, tutti i programmi hanno un trend costante
negli anni simbolo di essere divenuti un appuntamento fisso per il loro target di riferimento.
94 http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/01/11/berlusconi-da-santoro-e-boom-di-ascolti-quasi-9-milioni-
davanti-alla-tv/467099/
95 Mazzoleni Gianpietro e Anna Sfardini, Politica pop. Da Porta a porta a'L'isola dei famosi, Il mulino,
2009, p.110
60
Venendo ora al profilo social demografico del pubblico di riferimento per tali programmi
rilevato nella stagione 2007-2008 emerge innanzitutto la massiccia presenza di un pubblico
adulto, infatti i programmi sono collocati tendenzialmente nel quadrante destro. Il pubblico
di Porta a Porta è tra i 55-64enni ed è in assoluto il più anziano, seguito da Ballarò con i 45-
64enni. La differenza principale delle due trasmissioni risiede però nel sesso dei
telespettatori, Porta a Porta femminile (20,81% di share) mente Ballarò maschile (17,41%).
I giovani compaiono invece per Matrix e Le Iene (il primo con una platea prettamente
maschile, il secondo invece femminile), entrambi riescono comunque ad intercettare le fasce
più dei 15-24enni.
Infine, venendo ai livelli di istruzione, si ribadisce la preminenza di un pubblico istruito più
attento all’informazione politica, concentrandoci sulle fasce giovani il pubblico de Le Iene è
laureato (16,40% di share) mentre quello di Matrix possiede il diploma di media inferiore o
superiore.
61
Riprendendo invece la seconda parte della ricerca, illustrata nel primo capitolo, PRIN 2006
“Campagne elettorali e cittadino informato: l’influenza dei media e dei modelli di consumo
mediale nelle scelte politiche degli elettori” che ha portato alla distinzione tra 4 tipologie di
spettatori/cittadini. In riferimento quindi alla fidelizzazione dell’audience vediamo la
tipologia di spettatore per approccio al talk, concentrandosi sulle due principali: l’onnivoro
e il leggero. Entrambi si interessano a generi hard e soft, il primo emerge come una sorta di
“cittadino monitorante” del panorama politico che lo circonda con un occhio comunque
distaccato e disincantato, il secondo anche dedito all’informazione, privilegiando però quella
leggera.
I programmi più seguiti dagli onnivori sono Che tempo che fa (6,3%), Ballarò (4,8%),
mentre per i leggeri Zelig (12%) e Le Iene (7,5%), dati che rispecchiano in linea generale i
caratteri dei modelli di riferimento.
Un ultimo dato è quello che riguarda invece la domanda: “nei programmi di intrattenimento
che vede più spesso quanto gradisce che vengono trattati temi politici?”. Gradimento elevato
per gli onnivori (44,6%) al contrario dei leggeri (16,9%).
Un ultimo aspetto che prendiamo in considerazione riguarda il rapporto fra talk show e
internet, una relazione ormai profonda e sempre più in costante evoluzione. L’utilizzo del
web assolve molteplici funzioni tra cui96:
• Archivio
• Approfondimento tematico
• Partecipazione
Possiamo individuare diversi utilizzi di Internet da parte dei programmi tv97:
1. Siti internet che esistono grazie alla tv, in particolare rimandano ai contenuti veicolati
direttamente dal programma televisivo.
2. Siti internet legati al talk di riferimento che producono contenuti originali e quindi
sono essi stessi fornitori di servizi per la televisione.
3. Pagine online, assimilabili ai media tradizionali, che forniscono un terreno di
confronto e commenti sulla tv.
96 Peverini Paolo, I media: strumenti di analisi semiotica, Carocci, 2012, p. 111 97 Bagnasco Matteo, Rapporti in evoluzione fra Tv e Internet: il caso dei talk show, in Problemi
dell'informazione 24.4,1998, p. 612
62
Ma se parliamo di engagement online fondamentale è il ruolo dei social network che
consentono un notevole grado di interazione tra pubblico e programma, riportiamo quindi
qualche dato esplicato della presenza dei talk su Twitter nel 2016, presenza sicuramente non
ancora massiccia ma in crescita98.
Il record di tweet va a Piazza Pulita (La7) che registra uno share del 3,4%, seguito da
DiMartedì (La7) con uno share del 6%. La trasmissione che registra maggiori ascolti è
invece Report (Rai3) benché i tweet siano inferiori rispetto agli altri talk, “segno che i
reportage stimolano meno le conversazioni online rispetto al dibattito con ospiti in studio”.
98 http://www.mrasspciati.it/lanalisi-di-cinque-talk-show-quanto-pesa-il-second-screen-piazza-pulita-e-
quello-che-genera-piu-tweet/
63
2.2.2 TRIBUNA ELETTORALE
Tribuna Elettorale nasce nel 1960 ed è il primo talk show tutto all’italiana.
Partiamo innanzitutto da un’analisi del contesto italiano in cui il programma si inserisce e di
cui riflette i caratteri predominanti. Sono gli anni in cui il sistema dei media è ancora agli
esordi e sono i partiti i veri artefici della comunicazione, è la fase del voto ideologico, della
militanza partitica, di una scarsa mobilità elettorale e di un ferreo controllo del governo sulla
televisione, siamo in piena “democrazia dei partiti”, in quella che Pippa Norris (2000)
definisce “era premoderna”. Questo è in contesto quando per la prima volta televisione e
propaganda politica si incontrano, gli anni Cinquanta sono ormai trascorsi e le richieste di
accesso al mezzo televisivo da parte sia della destra che della sinistra aumentano quando
Fanfani, esponente della sinistra democristiana, riesce nell’impresa. Tribuna Elettorale è
quindi l’antenato del format che stiamo analizzando che poi assumerà una miriade di
sfaccettature prima di arrivare alla forma che conosciamo oggi. Erano gli anni della funzione
pedagogica ed educativa della tv e dell’austerità dei partiti, riconosciuti come unici
protagonisti della scena politica, ma anche l’inizio del cambiamento del nuovo decennio, del
boom economico e della protesta, quindi gli scontri di Valle Giulia a Roma e lo sciopero alla
Pirelli di Milano sono alcuni esempi un quadro politico altamente instabile. La scena politica
entra naturalmente in televisione, ma lo fa con pacatezza e distacco e in aperta opposizione
e accusa contro il movimento studentesco (Novelli, 1995). La prima puntata di Tribuna
Elettorale va in onda l’11 ottobre 1960 in virtù della campagna elettorale per le
amministrative del 6 novembre, dando vita al primo al primo teatro di discussione politica
all’interno del piccolo schermo. Granzotto definì così che l’intento del programma è dare:
“attraverso i successivi interventi dei rappresentati più qualificati dei differenti partiti,
nessuno escluso, la conoscenza più ampia e più diretta delle alternative fra le quali con il
vostro voto sarete chiamati a scegliere”99. Si qualifica quindi come il perfetto strumento per
perseguire la mission educativa dello Stato grazie al servizio pubblico radiotelevisivo che
mette a disposizione delle forze partitiche un teatro per la propaganda. Ciò trova conferma
anche nelle parole di Fanfani per cui: “la politica in tv doveva servire a raccogliere attorno
99 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la
politica, l’Italia, Carocci, 2016, p. 43
64
al focolare dei tempi moderni – gli schermi televisivi – babbi, mamme e figlioli, a discorrere
delle cose d’Italia”100. Per quanto riguarda la struttura prescelta si ricorrono ali classici
elementi della comunicazione televisiva già conosciuti dalla classe politica (conferenza
stampa e appello) riducendo al minimo la spettacolarità, l’innovazione e l’artificiosità del
mezzo che così avrebbe sminuito il ruolo degli ospiti. “Tutto quello che direttamente o
indirettamente richiama la dimensione spettacolare propria dello strumento televisivo viene
attenuato e, quando ciò non è possibile, crea imbarazzo”101. Il confronto con il giornalista,
quando c’è, è ridotto al minimo, il ruolo del conduttore è meramente quello di un padrone di
casa che gestisce le tempistiche e la scenografia è ovviamente austera.
Siamo quindi di fronte da un lato alla piena subordinazione della televisione alla politica,
all’affermazione della “democrazia dei partiti” che caratterizza quell’epoca, ma
contemporaneamente a un primo grande esperimento di innovazione televisiva e confronto
democratico. Il programma verrà confermato fino al 1965 cambiando il nome in Tribuna
politica, abbandonando il momento elettorale diventa necessario sperimentare nuovi format
e si inseriscono i dibatti a cinque, importati dalla rubrica radiofonica “Il convegno dei
cinque”. Il nuovo format cambia completamente l’impianto scenografico precedente, si
riduce il distacco tra ospiti e moderatore e l’arredamento è studiato nel dettaglio, altolocato,
elegante, borghese, “si tratta di luoghi non neutri e culturalmente e socialmente lontani dalla
maggioranza degli italiani che assistono al programma”102.
Venendo ora al conduttore, egli si qualifica come unico ponte con il pubblico da casa che
altrimenti non viene mai incluso nella scena, Granzotto ricorre da un lato a un linguaggio
semplice in grado di coinvolgere lo spettatore dall’altro conferisce anch’egli serietà ed
autorevolezza al programma. Concludendo con le tematiche affrontate, esse sono
completamente in mano agli attori politici, il livello di interferenza del medium è ridotto
zero, si propongo questioni e concetti elaborati altrove, spesso lontani dalla quotidianità e
dalla cronaca. Il registro comunicativo continua quindi a non riflettere quello delle piazze e
dei comizi dove la propaganda esplodeva ma restava pacato e sottotono.
100 Giulia Guazzaloca, Tribune e tribuni nella rai degli anni Sessanta, in Aldo Grasso Storie e culture della
televisione italiana, 2013, p.119
101 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la
politica, l’Italia, Carocci, 2016, p. 44
102 Ivi. 47
65
Varie tipologie negli anni verranno sperimentare in risposta ai momenti della scena politica
attuale, le tribune sindacali del 1968, la tribuna popolare del 1970 e le tribune del referendum
del 1974. Nonostante tutto, i primi elementi di spettacolarizzazione iniziarono a manifestarsi
addirittura con questo primo talk e il primo contatto tra politica e intrattenimento non tardò
ad arrivare. Parliamo quindi delle imitazioni di Alighiero Noschese o la parodia del
programma di Mina e del Quartetto Cetra a “Studio Uno”: “prime forme di ibridazione tra
generi diversi: politica, satira, giornalismo, intrattenimento, spettacolo”103. “Le Tribune
cominciarono a modificare le forme e i modelli della propaganda, rappresentarono il primo
passo verso il pluralismo del sistema informativo, avvicinarono i cittadini alla grande
cerimonia della politica, smorzarono un po' delle antiche diffidenze dei comunisti verso i
media audiovisivi, spinsero tutti i partiti a selezionare il proprio personale sulla base di un
nuovo criterio: la capacità di comunicare in video”104.
Da sinistra, Massimo Caprara, Palmiro Togliatti e Gianni Granzotto in una Tribuna
Elettorale del 1960 (fonte: La Stampa).
103 Giulia Guazzaloca, Tribune e tribuni nella rai degli anni Sessanta, in Aldo Grasso Storie e culture della
televisione italiana, 2013, p. 121
104 Ivi p. 123
66
2.2.3 MIXER
Inizia la trasformazione degli anni Settanta, la società inizia a maturare una profonda
evoluzione e il sistema partico inizia sgretolarsi in vista delle trasformazioni radicali del
decennio successivo.
A crescere notevolmente è la presenza dell’apparecchio televisivo nelle case degli italiani e
con essi le ore di programmazione e la varietà di programmi offerti, ma sono anche gli anni
in cui il binomio televisione-Rai cessa di esistere di fronte all’affacciarsi sul mercato delle
emittenti private.
“Dalla seconda metà del decennio Settanta prende avvio in Italia un progressivo
trasferimento della politica dalle piazze e dalle istituzioni agli studi televisivi, con il
conseguente passaggio alla televisione della gestione della disposizione delle strutture
teatrali e spaziali”105.
Vi è la riforma del 1975, inizia una fase di sperimentazione di nuovi format e linguaggi,
arriva il colore e si afferma la centralità dell’intrattenimento in televisione e programmi come
Rischiatutto, 90° minuto e il Tuca Tuca ne sono un esempio.
Di sfondo a tutto ciò si manifesta la profonda trasformazione della scena politica
contemporanea, nasce il fenomeno della personalizzazione della leadership, aumentano le
relazioni tra politica – media – informazione e aumenta la disponibilità della classe politica
ad entrare ed interfacciarsi con lo strumento televisivo (Novelli 2016). “L’immagine e la
seduzione diventano caratteristiche importanti per una politica che fa propria la nuova
dimensione spettacolare, promossa e diffusa dalla neotelevisione”106.
Mixer rappresenta un nuovo modo di fare informazione dove per la prima volta politica e
spettacolo iniziano la loro contaminazione.
Il programma fa il proprio esordio il 21 aprile 1980 su Rai 2, dove resterà fino al 1996 quando
approderà su Rai 3 fino al 1997 registrano 18 anni di attività.
Il programma è organizzato in rubriche e servizi, alla base vi è il modello di un programma
contenitore che propone intrattenimento, informazione e di nuovo intrattenimento, ciò
emerge da una scaletta variegata che tocca musica, sport, politica e cronaca. Eterogeneità è
105 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la
politica, l’Italia, Carocci, 2016, p. 71
106 Ivi p. 68
67
la parola chiave per descrivere questo nuovo modello di programma tv che segnerà
l’evoluzione del format e dei successi programmi degli anni Ottanta.
“All’interno di questa nuova dimensione del consumo, la politica, i suoi rappresentanti e la
discussione di temi di interesse pubblico non godono più di un’area esclusiva e riservata, ma
vengono intervallati e contaminati con contenuti di altro genere, in particolare
intrattenitivi”107.
La trasformazione rispetto Tribuna Elettorale è palese, è terminata la celebrazione della
politica che d’ora in poi è inserita in uno spazio non più esclusivo ma trattata insieme ad una
miriade di altre tematiche.
Lo spettacolo e la politica si incontrano a Mixer e gli strumenti utilizzati sono
prevalentemente due: i sondaggi e l’intervista faccia a faccia.
Cambia il ruolo del giornalista (che già con Faccia a Faccia aveva iniziato la sua
affermazione) non più moderatore in dispare ma attore protagonista che con toni e domande
incalzanti introduce un elemento determinate del talk, ossia lo scontro. Ma lo spettacolo si
raggiunge anche con un altro elemento: la vita privata del politico, informazioni personali
fanno capolino nella scheda biografica con cui il conduttore introduce l’ospite.
Altro elemento decisivo è rappresentato quindi dai sondaggi, servizi, inchieste con dati e
grafici, la tv inizia ad analizzare e studiare la società italiana e con autorevolezza si impone
come suo interprete.
107 Ivi p. 79
68
2.2.4 SAMARCANDA
“A causa dell’autorevolezza di cui gode la tv e della pervasività e della forza del suo
racconto, Samarcanda non è solo un modo, fra molti possibili, di mostrare il paese,
d’informare, di fare politica, ma incide sui tratti e sulla percezione dell’arena pubblica,
ridefinendola nelle sue modalità di accesso, nelle sue titolarità, nelle due logiche, nelle sue
forme discorsive, in base alle regole della televisione. In una parola, su aspetti centrali della
democrazia rappresentativa”108.
Sono gli anni Ottanta, anni di profonda trasformazione a livello nazionale e internazionale,
avvenimenti come la caduta del muro di Berlino, Mani Pulite, l’inizio di un processo di
globalizzazione stanno per stravolgere gli equilibri del paese, è “la fine delle grandi
narrazioni” di Lyotard (1981), l’erosione dei vecchi legami ideologici e sociali. “Con una
rapidità superiore ad ogni previsione, nell’arco di pochi anni, il medium sostituisce la politica
nel ruolo di principale agenzia di aggregazione e rappresentanza delle istanze sociali”109.
È la fase di abbondanza dell’offerta televisiva, della ricerca di nuovi format, nuove
contaminazioni, nuovi registri espressivi. Cambia la gestione del dibattito, cambia la
selezione degli ospiti, entra definitivamente il pubblico nel piccolo schermo in quando
soggetto competente e si afferma definitivamente il ruolo carismatico del conduttore e in
questo Samarcanda con Michele Santoro ha segnato una profonda evoluzione.
Samarcanda nasce come rubrica di approfondimento il 4 aprile 1987, il nome si distingue
dagli altri talk e richiama una città dell’Uzbekistan simbolo di storia e leggenda.
Il programma segna uno scarto con i programmi precedenti: se nella prima fase è un classico
talk di confronto con servizi, inchieste e la classica ambientazione da salotto televisivo
successivamente inizia la sua emancipazione in talk sui generis. Il conduttore abbandona il
salotto e si muove nello studio, modifica costantemente il punto di vista e soprattutto
introduce il vidiwall iniziando il dialogo con l’esterno. La gente comune entra
definitivamente in televisione, vari sono gli schermi disposti lungo lo studio che consentono
i collegamenti con l’esterno, i politici vengono surclassati e la piazza che diventa la vera
protagonista.
108 Ivi p. 107 109 Ivi p. 91
69
Il programma è, tra l’altro, uno dei primi talk di informazione ad essere trasmesso in prima
serata e per la prima volta si smette di raccontare fatti sorti altrove e scelti altrove, ma è in
tv che avviene l’evento e in diretta viene trasmesso. Non a caso, arrivati negli anni Novanta,
Samarcanda esce dallo studio televisivo e scende in piazza, lo fa il 13 giugno 1991 per
festeggiare il referendum per l’abolizione delle preferenze nell’elezione della Camere dei
Deputati. Samarcanda festeggia l’esito di un referendum per cui si era battuto in studio il suo
conduttore e lo fa in piazza alla pari di una qualunque altra forza politica del Paese, ma
soprattutto “comportandosi come un protagonista della scena pubblica e politica”110.
Altro avvenimento centrale nella storia del programma risale al 26 settembre 1991 con la
trasmissione in contemporanea con il Maurizio Costanzo Show su Canale 5 per una serata
dedicata a Libero Grassi. Due simboli del talk politico si contaminano per una sera
monopolizzando per giorni l’informazione, e “il quadro che merge dalla rappresentazione
televisiva delle vicende politiche e giudiziarie che scuotono il paese è quello di partiti, di
una classe politica e di soggetti istituzionali, non più in grado di rappresentare la società
italiana, né di interpretarne l’opinione pubblica. Titolarità alle quali si autocandida ora lo
strumento televisivo”111.
110 Ivi p.104 111 Ivi p. 106
70
2.2.5 PORTA A PORTA
Arrivati agli anni Novanta la televisione assume un ruolo sempre più preponderante anche
nel confronto politico, quindi conflitto di interessi, regolamentazione della propaganda,
controllo degli spot elettorali ed indipendenza dei programmi tv entrano a pieno nel dibattito.
Siamo nel pieno della politicizzazione della “questione televisiva”.
Le trasformazioni in materia di comunicazione politica sono notevoli, si afferma l’emotività,
l’elemento passionale a discapito del ragionamento, si apre l’era del confronto/ scontro;
emerge il ruolo del cittadino-spettatore titolato ad intervenire nel dibattito (Novelli 2016), si
procede verso la “democrazia del pubblico” (Manin 2010). A cambiare profondamente in
questa fase è la visione ed il rapporto che il telespettatore instaura con il leader politico,
portando a maturazione quel processo di personalizzazione già iniziato negli anni precedenti.
L’immagine e il linguaggio del corpo diventano una variabile determinante per consacrare
il rapporto di fedeltà che si instaura con lo spettatore, diventando simbolo di competenza e
professionalità.
Nasce in questa fase il “salotto televisivo della Seconda Repubblica” Porta a porta il 22
gennaio 1996.
Si afferma un nuovo racconto della scena pubblica in quello che si definisce un talk politico
impuro “un programma di parola non dedicato esclusivamente alla politica che affronta
anche temi relativi alla cronaca, al costume, allo spettacolo”112.
Due sono le formule messe in atto dalla trasmissione: 1) l’intervista-dialogo con un attore
politico su temi di attualità politica alla presenza di un altro ospite; 2) il confronto tra due
leader sempre accompagnati da altri ospiti. Si abbandona del tutto il clima conflittuale degli
anni precedenti, la classe politica è ospitata e messa a proprio agio da un conduttore che non
incalza e non crea conflitto, si instaura un rapporto di dare avere tra i due, non c’è politico
di rilievo che non partecipi a una puntata di Porta a porta e non c’è programma che
garantisca all’attore politico un rapporto fiduciario e sereno come quello di Bruno Vespa. “Il
programma pensato come approfondimento di attualità ha l’intento di avvicinare il grande
112 Ivi p.140
71
pubblico al <Palazzo>, facendolo diventare <vicino di casa>”113. Non a caso da Berlusconi
a Renzi, da Letta a Grillo tutti i maggiori leader italiani continuano ad entrare nel programma
che Andreotti definì “la terza Camera del Parlamento italiano”.
Si afferma in questo contesto una rappresentazione della politica profondamente
semplificata e soft, pacata, composta, non ostacolata da scontri con altre forze della scena
pubblica come movimenti, sindacati ecc, “dove la chiacchierata ha preso il posto del
confronto politico”114. Ma dove soprattutto il pubblico torna ad essere un fruitore passivo
senza alcuna possibilità di intervenire nello svolgimento del racconto. “Il pubblico posto
sull’ipotetica cavea semicircolare del teatro greco rimanda immediatamente alla posizione
uditoria del pubblico a casa, seduto sul divano avanti alla televisione. Il telespettatore – così
come lo spettatore in sala – ricopre essenzialmente il ruolo di distaccato osservatore, simile
del resto a quel pubblico che Aristotele descriveva nella sua Poetica”115.
Diventa quindi il teatro dei grandi annunci, si è parlato precedentemente di una tv non più
spettatrice di fatti nati altrove ma artefice diretta di momenti storici per il paese, ecco quindi
che a Porta a porta la classe politica si rivolge direttamente alla cittadinanza.
Evento principale è stato l’8 maggio 2001 quando il programma con Silvio Berlusconi
intervistato da Bruno Vespa si consacra a palcoscenico della politica. L’impianto
scenografico è completamente caratterizzato da telecamere, fotografi, inquadrature dell’altro
in un contesto in cui spettacolo e intrattenimento prendono il sopravvento. Durante la puntata
Berlusconi firma il “contratto con gli italiani” e l’interesse primario della trasmissione e del
conduttore è riconoscere enfasi a quell’evento a discapito dell’intervista giornalistica e di
qualunque forza di contraddittorio.
113 Mazzoleni Gianpietro e Anna Sfardini, Politica pop. Da Porta a porta a'L'isola dei famosi, Il Mulino,
2009. p.158
114 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la
politica, l’Italia, Carocci, 2016, p. 143
115 Denicolai, L. Parole & Media. Talk show, social network e dintorni, 2011, p. 64
72
Il modello narrativo perseguito da Porta a porta assume connotati specifici in alcune puntate
di carattere politico tra cui riportiamo l’analisi di un particolare periodo (metà dicembre-fine
dicembre 2009)116 in cui scandali ed attacchi a Berlusconi sono stati ridimensionati e
ricontestualizzati dal conduttore riuscendo a ribaltare interamente l’immagine dell’ospite. A
conferma di ciò Francesco Marchianò cita gli studi sull’agenda setting (Marini 2006) ed
evidenzia come nel programma di Vespa si tenda a concentrarsi sulla dimensione personale
e specifica del singolo caso evitando una più approfondita analisi, perché “l’obiettivo è
sempre quello di alleggerire i contenuti informativi, accentuandone gli aspetti
sensazionalistici e coinvolgenti”117.
“Per ascolti, rete di trasmissione e numero di puntate, Porta a porta è il talk show politico
più importante degli ultimi vent’anni e, dunque, quello che più di ogni altro ha contribuito a
definire i caratteri della moderna messa in scena televisiva della politica e a promuovere
l’idea di spazio pubblico che fa da sfondo alla seconda Repubblica”118.
116 Marinelli, Alberto, and Elisabetta Cioni, Public screens: La politica tra narrazioni mediali e agire
partecipativo. Volume Completo. Media and Heritage1.1, 2014, 1-278.
117 Ivi p. 164
118 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la
politica, l’Italia, Carocci, 2016, p. 149
73
2.2.6 MATRIX
Matrix è un programma di Canale 5 in onda dal 2005 alla cui conduzione si sono susseguiti
Enrico Mentana, Alessio Vinci, Luca Telese e Nicola Porro. Il talk si caratterizza per un
essere una miscela di tematiche diverse in cui il dibattito politico si inserisce al pari di
qualunque altra tematica, insieme quindi a cronaca, spettacolo, moda e costume. Gli ospiti,
così come abbiamo visto per Porta a porta, sono variegati e provengono dagli ambienti più
disparati contribuendo alla creazione di una messa in scena pop. Rispetto al suo avversario
Porta a Porta, il programma di Canale 5 introduce un elemento dinamico che ritroviamo
nella sigla, nella prospettiva scenica nel ritmo del dialogo. Poco spazio si lascia alle lunghe
chiacchierate, la ricerca costante nel raggiunger il nocciolo della questione emerge in ogni
intervista. Il mix tra hard news e soft news è completo, “gli argomenti della cultura popolare,
oltre ad essere mescolati con quelli di stretta attualità politica, economica e sociale, vengono
anche innalzati di livello, equiparati, in qualche modo, a questioni di più elevata importanza;
viceversa, le hard news riguardanti la politica nazionale e internazionale subiscono un
intervento di popolarizzazione finalizzato a renderle più semplici e comprensibili per un
pubblico più ampio e vario”119. Ma le differenze con Porta a porta ci sono ed emergono
principalmente nel ruolo del conduttore, distaccato e super partes, non incalza l’ospite ma
indaga e con moderazione ottiene “una sua momentanea nudità”120. L’immagine richiamata
da Denicolai è quella del film investigativo, del cinema di spionaggio e la luca che illumina
a cono l’ospite non è altro che la lampada sulla scrivania di un commissario. Il contrasto con
Porta a porta è palese: un’indagine soffusa da una parte contro la rappresentazione di un
dialogo dall’altra.
119 Marinelli, Alberto, and Elisabetta Cioni, Public screens: La politica tra narrazioni mediali e agire
partecipativo. Volume Completo. Media and Heritage1.1, 2014, p. 167
120 Denicolai, L. Parole & Media. Talk show, social network e dintorni, 2011, p. 66
74
2.2.7 SERVIZIO PUBBLICO
L’evoluzione del contesto comunicativo mediatico odierno prosegue ed assume forme
sempre più “ibride”. Oggi la commistione tra televisione e nuovi media ha raggiunto un
altissimo grado di interdipendenza e il predominio che la televisione ha esercitato per oltre
cinquant’anni nella percezione della scena pubblica vede l’avvento della rete porre un
necessario ripensamento dei ruoli.
“La democrazia ibrida che stiamo attraversando dunque denuncia la crisi della democrazia
rappresentativa apertamente sfidata dalla democrazia diretta”, questo afferma Ilvio Diamanti
in riferimento alle trasformazioni della “democrazia del pubblico” condizionata da sfiducia,
populismo e diffidenza, ciò porta a una nuova tipologia di cittadino cioè il “cittadino ibrido”,
perché “diventare ibridi: non è un vizio, ma una virtù e una necessità” democratica”121.
Nonostante ciò in Italia resta la televisione il medium principale e, benché profonde
trasformazioni avvengano online, non è ancora su internet che si decide l’esito di una
competizione elettorale. Questo per più ragioni, come il ritardo che presenta il Paese nella
diffusione e l’uso di internet a cui si associa il device generazionale, ma anche per il ruolo
prioritario che continua la tv a svolgere come principale strumento di comunicazione. Ma il
contatto tra i due strumenti c’è ed è sempre più intenso, la maggior parte delle trasmissioni
hanno inglobato i social network nella propria struttura riuscendo così ad aumentare il grado
di spettacolarizzazione e coinvolgimento che li caratterizza, quindi la possibilità di rivedere
online le puntate o di vederle direttamente online, la comparsa di tweet in diretta , l’utilizzo
delle app sono strumenti di programmi “per sottolinearne l’apertura e l’orizzontalità, nonché
di inserire nella trasmissione la voce del pubblico, arricchendo il programma di un ulteriore
piano comunicativo”122.
Venendo adesso al programma in questione, Servizio Pubblico, lo show viene trasmesso
inizialmente su una multipiattaforma di televisioni satellitari, emittenti locali e siti internet
finanziandolo con una donazione di 10 euro da parte di 100.000 spettatori e il contributo del
121 Diamanti Ilvo, Democrazia ibrida, Editori Laterza GLF, 2014. p. 59
122 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la
politica, l’Italia, Carocci, 2016, p. 182
75
“Fatto Quotidiano”123. Questo per la stagione 2011 – 2012 dopo la quale il talk approda su
La7 evidenziando subito la profonda differenza con il precedente programma preso in
considerazione (Porta a porta) e il ritorno dello scontro nella costruzione della puntata.
La puntata forse più famosa è l’intervista a Silvio Berlusconi dell’11 gennaio 2013,
nell’annunciare con gran clamore il confronto tra il politico e il giornalista è sicuramente la
dimensione dell’entertainment che prende il sopravvento. Berlusconi in questa fase, come
gli è di consueto, compare con massiccia frequenza in tutti i programmi possibili almeno
fino al periodo di par condicio e così nei giorni precedenti era stato ospitato da Porta a porta,
Otto e mezzo, Mattino 5, Studio Aperto, TG4 e Telelombardia (Novelli, 2016). La puntata è
segnata da due momenti ben distinti, nella prima parte emerge il registro politico-
spettacolare di entrambi che con fermezza gestiscono l’incontro e nella seconda il clamoroso
scontro con Travaglio, il colpo di scena e lo scambio di posti che verrà per giorni ripreso
dagli programmi. Una puntata che garantisce un’importante successo a entrambe le parti, gli
ascolti per La7 sono sopra le aspettative con 8.670.000 di telespettatori (33, 58% di share)124
e Berlusconi ha riottenuto centralità e visibilità politica.
123 http://video.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/videoappello-di-santoro-sul-web--dateci-10-
euro/77803/76193
124 http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-01-11/boom-ascolti-show-berlusconi-101312.shtml
76
2.2.8. IL CONFRONTO
Il dibattito televisivo costituisce una modalità già messa in campo da Sky nei suoi programmi
anche prima del 29 novembre 2013 con l’esordio de Il Confronto, la puntata è dedicata elle
elezioni primarie per la segreteria del Partito Democratico tra Matteo Renzi, Pippo Civati e
Gianni Cuperlo.
Lo studio, come per Il Confronto del 2011 tra i leader del centrosinistra in vista delle elezioni
politiche del 2012, resta quello del più noto talent show della rete X Factor.
Il Confronto rispecchia la trasformazione vissuta negli ultimi anni sia dalla politica che dalla
televisione. Da una parte la ricerca costante di nuove modalità innovative di
rappresentazione del dibattito pubblico, dall’altra i profondi cambiamenti che della cultura
politica italiana. Ci si riferisce il particolare all’introduzione delle primarie per lo
schieramento di centrosinistra, una soluzione politica di risposta al calo e alla disaffezione
della cittadinanza nella partecipazione alla vita pubblica in grado di ottenere consenso e
partecipazione. Ma anche uno spettacolare strumento comunicativo in grado di assicurare
un’importante copertura mediatica alla classe politica attuale. “Le elezioni primarie si
scoprono congeniali alle esigenze dei media perché inclini alla personalizzazione della
politica e alla popolarizzazione e spettacolarizzazione della sua trattazione”125.
Riportiamo in particolare l’edizione del 2013 per la sua notevole evoluzione social in grado
di assicurare innovativi strumenti partecipazione.
La spettacolarizzazione è al centro dell’impianto scenografico, l’ingresso degli ospiti tra
musica, luci e applausi è alla pari dell’entrata dei cantanti del talent, è la celebrazione dello
spettacolo e dell’immagine. Ma a questa teatralità corrisponde una struttura di regole fisse e
inderogabili che il presentatore esige: ogni candidato ha a disposizione 3 tipologie di
risposte: 30 secondi, 1 minuto e 1 minuto e 30 secondi; 4 repliche e 4 controrepliche. In
questa costruzione emerge poi il pubblico da casa, lo spettatore-cittadino, che può vedere in
streaming sul sito la puntata, partecipare interattivamente al dibattito con il voting, cioè
rispondendo alla domanda “Chi ti sta convincendo di più?” con il tasto verde del
telecomando, sul sito o sull’app e sfruttare l’applausometro, anche questo accessibile tramite
125 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la
politica, l’Italia, Carocci, 2016, p. 202
77
app o sito. Strumenti con cui Sky apre “l’idea di una nuova forma di partecipazione politica
diretta e una rivoluzionaria funzione democratica della rete”126.
Benché nell’ultimo confronto del 26 aprile 2017 con i tre candidati per la segreteria del PD
lo studio è cambiato e non si è ricorso al voting ancora presente è un altro elemento su cui è
importante infine soffermarci il fact checking, ossia il ricorso a un gruppo di esperti che in
contemporanea con lo svolgersi del dibattito, controlla la veridicità delle affermazioni e dei
dati proposti dai candidati.
Una classe politica monitorata e sfiduciata in varie forme sempre più lontano da quel riserbo
e reverenza di cui vantava nelle tribune della Rai.
126 Ivi p. 206
78
2.2.9. CRISI O ADEGUAMENTO?
Abbiamo visto come l’evoluzione del talk show negli anni abbia rispecchiato a pieno il
contesto di riferimento, riflettendone i caratteri attuali oppure riuscendo ad intercettare le
trasformazioni circostanti mettendo in atto nuove modalità comunicative.
Dagli anni Sessanta caratterizzati da una rappresentazione del sistema partitico autorevole
ed elitario nelle tribune della Rai siamo giunti ad un rovesciamento dei rapporti di forza,
all’affermazione di una scena pubblica orizzontale attiva, ostile alle figure di mediazione e
soprattutto diffidente dell’attuale panorama politico.
“Più la politica, la sua funzione e le sue istituzioni sono andate indebolendosi, più la
televisione ha acquisito un ruolo attivo nell’interpretazione e messa in scena del confronto,
rivendicando anche un ruolo di rappresentanza dell’opinione pubblica un tempo non
concessole”127.
Ma da qualche anno si parla della crisi del talk show, cali degli ascolti, ripetitività dei temi
trattati e degli ospiti invitati sono denunciati ovunque.
“Trame, segreti, finti scoop, balle spaziali e retropensieri: basta una sera alla Tv e finalmente
capisci la crisi del talk show in Italia”128. Scrive su twitter Matteo Renzi il 25 gennaio 2015
commentando una puntata di Piazza Pulita su La7.
La crisi del talk è quindi al centro di dibattiti ormai da tempo, in particolare dalla stagione
2013-2014, in una fase in cui il contesto politico è caratterizzato da una parte dall’uscita di
scena di Berlusconi dall’altra dai governi di coalizione (Monti e Letta).
In riferimento invece alle logiche mediali siamo in un periodo di intense forme di contro-
programmazione, cambi di conduzione e nuovi format che si aggiungono ad un uso
eccessivo e ripetitivo del genere (Barra, Scaglioni, 2016; Novelli, 2016; Mazzoleni, 2016;
Gnagnarella, 2008).
127 Ivi p. 211
128 http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01/27/tv-renzi-trame-finti-scoop-balle-spaziali-capisco-crisi-talk-
show/1373121/
79
Elaborazione su dati Auditel. (Fonte: Barra-Scaglioni, 2016).
Il problema principale riguarda ovviamente gli ascolti e quindi la questione più volte
sollevata (Barra-Scaglioni 2016) è quella dell’autoreferenzialità di un genere che continua a
rivolgersi ad una fetta di pubblico delimitata e fidelizzata negli anni senza riuscire a
raggiungere fette più ampie. Nonostante ciò Barra-Scaglioni nel saggio “Di necessità virtù.
Talk show politici e logiche televisive” affermano l’importanza di contestualizzare il genere
alla luce del particolare contesto politico che stiamo vivendo e delle novità strutturali che il
talk show è costretto ad affrontare. Questo perché le reti nonostante tutto continuano ad
assicurare un uso massiccio del format e ciò perché più che di “crisi del talk” sembra giusto
ipotizzare un suo graduale adattamento al nuovo clima politico. I dati registrati dai talk non
possono essere mai sorprendenti e questo per svariate ragioni, il mezzo televisivo è
comunque orientato all’entertainment e l’informazione politica ne costituisce soltanto una
piccola parte, abbiamo già inoltre ripetutamente visto quanto sia ridotto anche il target dei
talk politici (sia per istruzione che per età) ed è importante sottolineare che per un’analisi
adeguata i risultati di ogni singolo programma vanno inseriti nel macrogenere del talk e nei
numeri complessivi raggiunti dal format.
I dati infatti raccolti nella stagione televisiva 2015-2016 invitano verso una riflessione in tal
senso, basta notare che la differenza in termini di ascolti tra due stagioni differenti è
sicuramente minima.
80
Elaborazione su dati Auditel. (Fonte: Barra-Scaglioni, 2016).
Ecco infatti che anche l’elaborazione di dati quantitativi relativi all’offerta e agli ascolti
attuali del macrogenere condotta da Edoardo Novelli in “La democrazia del talk show”
conferma la tendenza di un genere non in crisi ma in ridefinizione. I 32 talk politici analizzati
nel novembre 2015 hanno garantito all’offerta televisiva ben 524 puntate. “Nel complesso
si può parlare di un genere solido, ben definito e strutturato nell’offerta, all’interno del quale
è in corso un processo di rinnovamento e sperimentazione e talmente istituzionalizzato da
sostenere anche un’azione di celebrazione storica”129. Non si può ignorare, come sostiene
Gianpietro Mazzoleni130, l’importanza e l’eco televisivo raggiunto questo inverno di fronte
lo scontro su La7 tra Renzi e Zagrebelsky, un dibattito che ha assicurato alla rete l’8% di
share131, un risultato che non fa trasparire la fine del format. “Il talk show politico non è in
crisi. O, quanto meno, non più di una politica che, anziché telespettatori, perde ormai da
molto tempo e con un trend crescente elettori. D’altronde in Italia televisione e politica sono
sempre state legate da destini intrecciati e fasi comuni”132.
129 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la
politica, l’Italia, Carocci, 2016, p. 215.
130 Mazzoleni Gianpietro, Un unico, insostenibile talk show, il Mulino 65.6, 2016, p. 947
131 http://www.corriere.it/politica/16_ottobre_01/ascolti-boom-il-duello-la7-il-premier-professore-bd4d9c1a-
87ba-11e6-bf16-41bc56635276.shtml
132 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la
politica, l’Italia, Carocci, 2016, p. 219
81
PARTE III
CASE STUDY: LA RAPPRESENTAZIONE MEDIALE DEL
FENOMENO MIGRATORIO
“L’immigrazione ormai accompagna la nostra vita, le nostre giornate. È un capitolo
importante e ricorrente dello “spettacolo della vita”, che scorre sugli schermi e sulle pagine
dei media”(Ilvio Diamanti)133.
3.1 L’IMMIGRAZIONE COME OGGETTO MEDIATICO
Il ruolo svolto dagli strumenti di comunicazione sulla percezione che il pubblico ha di certe
tematiche è determinante e, di conseguenza, le policies a loro volta vengono influenzate dal
discorso pubblico che si articola intorno un certo tema.
La sfera dei media rappresenta il campo (Binotto, Bruno, Lai, 2016) dove i temi sociali si
esprimono, si costruiscono e dove si trovano soluzioni. In questo contesto determinante
diventa il peso esercitato da vari fattori come aspetti linguistici, metaforici, la selezione e
gerarchizzazione delle issues e, infine, le immagini mediali.
Quando si parla di social problems il panorama diventa più complesso e anche la costruzione
mediale delle tematiche assume diverse sfaccettature, a partire dalla stessa definizione di
“problema sociale”.
“La definizione dei problemi sociali (e ciò è tanto più significativo nella cosiddetta società
dell’incertezza o del rischio) è pertanto un processo saldamente ancorato ai sistemi valoriali,
all’identità collettiva, alle norme condivise. I media svolgono così una funzione ideologica
di controllo sociale, affermando e ribadendo la norma e definendo deviante ogni
comportamento o soggetto che sembra perturbare un ordine sociale presentato di per sé come
desiderabile: la focalizzazione su eventi e singoli “casi da prima pagina”, oppure l’utilizzo
dei dati statistici relativi alla criminalità diventano fondamentali per la costruzione di un
133 Associazione Carta di Roma and Osservatorio di Pavia. "Notizie di oltre i muri." Quarto rapporto Carta di
Roma (2016).
82
consenso verso misure eccezionali ed emergenziali (Altheide 2007) oppure, nel caso qui
presentato, di “difesa” simbolica di uno spazio “nostro” rappresentato come sotto
assedio”134. La percezione di certe tematiche è strettamente connessa alla rappresentazione
stereotipata e negativa diffusa dai mezzi di comunicazione di massa: “Il potere dei mezzi di
comunicazione di massa risiede nella capacità di modellare una determinata realtà sociale.
Gli spettatori, anche i meno attenti, in qualche misura sono investiti da questo potere,
trasferiscono le informazioni mediatiche nella percezione del loro mondo reale (Bandura,
2001). Secondo la Teoria della Coltivazione (Gerbner, Gross, Morgan, Signorielli, &
Shanahan, 2002), i mezzi di comunicazione tendono a sovra-rappresentare alcuni fenomeni
sociali rispetto alla loro reale incidenza, operando in questo modo una distorsione della
realtà. Un’elevata esposizione a tali distorsioni mediatiche si traduce nella percezione che il
fenomeno”135. Ma gli studi sull’argomento sono svariati anche se molti sono ancora gli spunti
di riflessione per continue analisi:
“Le ricerche in psicologia sociale che hanno indagato l’impatto dei mass-media nel
modellare gli atteggiamenti inter-gruppo spesso si sono limitate a descrivere come i membri
di alcuni gruppi sociali fossero rappresentati dai media, arrivando a volte anche a risultati
contrastanti. Esistono invece pochi studi che mettano in evidenza quali siano gli specifici
contenuti mediatici e quali siano i processi su cui i media fanno leva così da aumentare o
diminuire l’espressione di pregiudizio nei confronti di alcuni gruppi sociali (si veda, per una
revisione sull’argomento, Mutz & Goldman, 2010). Inoltre, nella letteratura psico-sociale
rimane aperta la questione del rapporto di causalità tra esposizione mediatica e pregiudizio:
ovvero se siano le persone con maggiore pregiudizio a seguire in misura maggiore un certo
tipo di informazioni mediatiche; o viceversa se siano determinate modalità dei media di fare
informazione responsabili di elicitare o diminuire il pregiudizio. Come suggerito da Mutz e
Goldman (2010), per ovviare a questi limiti, le ricerche future dovrebbero focalizzarsi su
due aspetti: indagare quali siano le specifiche modalità di fare informazione che influenzano
il pregiudizio; quali siano i processi psico-sociali attraverso cui i media agiscono nel
134 Binotto Marco, Marco Bruno e Valeria Lai, eds. Tracciare confini. L'immigrazione nei media italiani:
L'immigrazione nei media italiani. FrancoAngeli, 2016, p.17
135 Latrofa, Marcella e Jeroen Vaes. Potere mediatico e pregiudizio: I mass-media influenzano la nostra
percezione sociale?.In-Mind Italia p.18
83
modificare gli atteggiamenti inter-gruppo”136. Carlo Marletti, in riferimento al tema del
razzismo, ha sottolineato il ruolo esercitato dai media nel sottoporlo all'attenzione del
pubblico e nell'accrescerne la visibilità: "i media concentrano in maniera molto variabile
l'attenzione del pubblico, su questo o quel problema, indipendentemente dalla sua urgenza
reale e dalle effettive condizioni del suo superamento, in base ad eventi per lo più accidentali,
i media fanno esplodere l'interesse di una collettività su taluni problemi, drammatizzandoli
per un breve periodo e creando intorno ad essi attese ed inquietudini di vari gruppi sociali,
per poi lasciarli cadere in stato di latenza, inseguendo altri problemi, e così via, secondo un
ciclo in genere perverso di drammatizzazione e di elusione"137. La tematizzazione
dell’immigrazione all’interno dei media, riportata da Marletti, avviene quindi seguendo un
ciclo di 3 fasi: la prima fase è detta di “latenza” ed è la fase di formazione – costruzione del
tema; la seconda è la “fase di emergenza” che segue un particolare momento-evento
eccezionale, mentre l’ultima è quella “autoreferenziale”, ossia quando il tema inizia ad
essere trattato dai media in base alle dinamiche giornalistiche-mediali. I mezzi di
comunicazione non svolgono solo il ruolo di mera informazione e accanto ad una funzione
“denotativa” emerge quella “connotativa” e “simbolica”138. Il primo elemento evidenziato
da D’Amore è l’inadeguata rappresentazione dei soggetti sociali operata dai media
contemporanei, immagine infantile e rappresentazione femminile in primis. Le motivazioni
di questo “difetto di comunicazione” sono riconducibili ad aspetti già messi in luce nei
capitoli precedenti:
– la tendenza alla drammatizzazione dell’informazione e alla spettacolarizzazione del
quotidiano;
– la tendenza all’uso di un linguaggio che privilegia la dimensione emotiva piuttosto che
quella razionale;
– la superficialità nella verifica delle fonti a favore di un messaggio a effetto;
– la carenza di funzione e fruizione critica dei prodotti di comunicazione (Musarò,
Parmiggiani, 2004).
136 Ivi p.19
137 Carlo Marletti, Mass media e razzismo in Italia, in Democrazia e diritto, 1989, p. 114.
138 http://www.nuovefrontierediritto.it/media-comunicazione-immigrazione/
84
3.2 IL RITRATTO CRIMINALE DELL’IMMIGRAZIONE
Sono 4 i diversi contesti storici della più recente immigrazione europea identificati da Marta
De Philipps139:
• “Tra gli anni Sessanta e Settanta, il modello del lavoro temporaneo (in Svizzera,
Germania, Austria e Lussemburgo) ha attirato soprattutto lavoratori non o semi
specializzati, generalmente dall’Europa meridionale, dall'ex Yugoslavia e dalla
Turchia.
• Il secondo modello, ha avuto origine grazie alla libera circolazione dei lavoratori tra
i paesi nordici, che negli anni Ottanta hanno attirato un gran numero di immigrati,
soprattutto rifugiati, da altri paesi.
• Il terzo modello di immigrazione è il risultato di legami coloniali: in Inghilterra,
Francia, Olanda, Belgio e Portogallo ove gli immigrati sono solitamente in grado di
parlare la lingua del paese di destinazione ma vengono marginalizzati a causa delle
loro diverse origini etniche e del basso livello di educazione.
• Infine, i paesi di nuova immigrazione, soprattutto in Europa meridionale, sono paesi
tradizionalmente di emigrazione che hanno iniziato ad attrarre stranieri solo
recentemente: hanno quindi, generalmente, politiche migratorie e di integrazione
poco sviluppate”.
La tendenza alla criminalizzazione dell’immigrazione è comune a molti paesi e media
internazionali, siamo di fronte ad una visione dell’immigrazione profondamente
radicalizzata nell’immaginario collettivo e che poco risente degli sviluppi in tema di
contenimento e degli stessi dati che ne dimostrano una riduzione. La diffusa ostilità verso
“l’altro”, verso il “diverso” si manifesta come il ritratto di un ritardo culturale (Binotto,
Bruno, Lai, 2016) .
“C’è una difficoltà nel raccontare e dominare il cambiamento socioculturale che riguarda
anche i media: l’ostinata centralità delle notizie riguardanti i crimini degli immigrati appare
sia come un meccanismo di controllo sociale anticipatorio nei confronti degli immigrati sia
come una forma displacement simbolo, un tentativo di spostare l’asse della discussione dalla
139 http://briguglio.asgi.it/immigrazione-e-asilo/2010/marzo/art-de-philippis-percez.html#_ftn5
85
faticosa dialettica conflitto-integrazione a quella, per molti versi molto più rassicurante
dell’Altro-come-minaccia”140.
“Il nesso media – crimine – immigrazione – ansia collettiva tende così a strutturarsi in modo
omogeneo in paesi con diversa storia e cultura”141.
Questa debolezza del nesso tra realtà statistica e realtà costruita in “Tracciare Confini.
L’immigrazione nei media italiani” viene ripresa tramite una serie di studi, che hanno per
oggetto Belgio, Danimarca, Germania, Slovenia e molti altri paesi sulla correlazione tra
l’aumento di attenzione dei media sulla criminalizzazione dell’immigrazione e la diffusione
di movimenti xenofobi e populisti. “Per effetto di questo displacement, in cui i media
assumono un ruolo di assoluta centralità, la semplice presenza dei migranti finisce per
diventare un sinonimo di malessere e disordini, che non solo alimenta l’allarme sociale, ma
è spesso all’origine di veri e propri fenomeni di panico morale”142.
L’allarmismo in tema di immigrazione caratterizza l’informazione italiana dagli anni
Novanta e non sorprende che da un’indagine Eurispes (“Italiani, brava gente?” del Rapporto
Italia 2010 dell’Eurispes) emerga che secondo quasi la metà degli italiani (46,1%) un
atteggiamento di diffidenza nei confronti dei migranti è giustificabile.
La percezione del problema è stata al centro di numerose ricerche negli anni e riteniamo
fondamentale riportarne alcune effettuate in periodi diversi tra loro a dimostrazione della
radicalizzazione del binomio criminalità-immigrazione che prescinde dall’attuale contesto.
La prima ricerca è quella del centro studi della Banca di Italia sul tasso di criminalità nelle
province italiane tra il 1900 e il 2003143, da cui emerge è una diffusa opinione sul nesso
immigrazione - criminalità a fronte in realtà di una percentuale di immigrati non
significativa.
Tutto ciò trova conferma nel progetto di ricerca ricerca «Tuning into Diversity», realizzato
dal Censis144 in collaborazione con l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, e
140 Binotto Marco, Marco Bruno e Valeria Lai, eds. Tracciare confini. L'immigrazione nei media italiani:
L'immigrazione nei media italiani. FrancoAngeli, 2016, p.18
141 Ivi p. 19
142 Ivi p.21
143 M. Bianchi, P. Pinotti e P. Buonanno, Immigration and crime: an empirical analysis, Economic working
paper 2008, n. 698, Dipartimento di ricerca economica della Banca d'Italia.
144 http://www.censis.it/7?shadow_comunicato_stampa=4635
86
finanziato dalla DGV dell'Unione Europea e cofinanziato dal Ministero dell'Interno, per cui
dall’analisi di 72 serie televisive in onda sui palinsesti italiani il 63,8% degli immigrati viene
rappresentato il modo semplificato e facilmente riconoscibile sulla base del “senso comune”.
I fatti di cronaca degli ultimi anni naturalmente non hanno fatto altro che acuire il sentimento
generale e nel rapporto immigrazione-criminalità è subentrato anche il terrorismo. È quanto
emerge da un sondaggio realizzato da Ipsos per Rai NewsIspi con 997 interviste tra il 23 e
il 24 giugno 2015, per il 38% degli intervistati l’immigrazione è una grave minaccia che può
essere connessa al terrorismo145.
Riportiamo di seguito il Rapporto sulla sicurezza in Italia e in Europa realizzato da Demos
& Pi, Osservatorio di Pavia e Fondazione Unipolis, in ottica comparata. Vediamo prima
quindi i dati analizzati nel 2010 e in un secondo momento quelli ricavati dall’ultima edizione
del 2017.
Il primo rapporto è basato su due distinte ricerche condotte nel 2010, una realizzata da
Demos & PI che ricostruisce gli atteggiamenti degli italiani sulla sicurezza (inquadrandoli
nel panorama continentale) e una realizzata dall’Osservatorio di Pavia, riporta l’analisi sulla
“notiziabilità” del tema in base all’indicizzazione dei telegiornali e alla conseguente
rilevazione delle notizie ansiogene. I dati della prima ricerca sono frutto di un sondaggio
condotto su un campione di 1.046 casi, rappresentativo per caratteri socio-demografici e su
distribuzione territoriale della popolazione italiana maggiorenne. Per la seconda si sono
analizzate le edizioni del prime time di tg di Rai 1, mentre per il confronto europeo France
2 (Francia), Tve (Spagna), Ard (Germania) e Bbc One (Gran Bretagna).
Ciò che emerge è che dopo lo scoppio della crisi economica la paura legata alla
disoccupazione ha preso il sopravvento sulle altre emergenze da tempo al centro
dell’informazione (prima tra tutte l’immigrazione) e che con essa la paura della criminalità
è profondamente diminuita rispetto al passato. Dati questi riscontrati a livello europeo ma
che trovano in Italia un’eccezione sui generis, se il telegiornale spagnolo dedica il 40% delle
notizie che generano insicurezza alla crisi, quello francese il 26%, quello inglese io 15% e
quello tedesco l’11%, il TG 1 il 4%. Nonostante la questione economica fosse in quella fase
allarmante sono criminalità e immigrazione ad essere considerate i problemi più gravi dal
51% delle persone.
145 http://www.ispionline.it/DOC/sondaggio.corriere.online.pdf
88
Arrivati invece alla decima edizione il rapporto sulla sicurezza146 viene realizzato tra il 24
gennaio e il 3 febbraio 2017 dalla società Demetra di Venezia. Il campione di riferimento ha
superato i 15 anni ed è: italiano, francese, tedesco, polacco, inglese, spagnolo e ungherese.
La seconda parte si concentra sempre sui maggiori telegiornali dal 2010 al 2017 e sempre
sui temi di “notiziabilità” e “notizie ansiogene”. Ciò che emerge è che nonostante lievi
differenze il quadro è tendenzialmente lo stesso rilevato nel precedente rapporto, il 39%
degli intervistati vede l’immigrato come una insidia per l’ordine pubblico e la sicurezza delle
persone, il 36% come minaccia per l’occupazione. Contemporaneamente la preoccupazione
per il terrorismo si è intensifica dopo gli attentati avvenuti negli altri paesi (29% nel 2010,
37% nel 2015 e 44% nel 2017).
Concentrandoci invece sugli eventi ansiogeni presentati nei telegiornali italiani di prima
serata notiamo che dopo dieci anni il trend cala di 8 punti (dal 28% al 20%), ma a cambiare
soprattutto è la composizione interna. Nel 2017 si afferma l’allarmismo rispetto
immigrazione, globalizzazione e minaccia dell’identità (17%). “Essa si colloca al terzo posto
delle insicurezze ed è incentrata quasi esclusivamente sulle criticità – e il rifiuto – della
accoglienza (rivolte e disordini nei centri di accoglienza), la permanenza di migranti e
profughi (che causa degrado nelle città) e gli sbarchi. Nel 2007 l’immigrazione era in cima
alla rappresentazione ansiogena per la – presunta – propensione a delinquere (e
residualmente in connessione all’accoglienza), dieci anni dopo migranti, profughi e rifugiati
in quanto numerosi e “stranieri”, preoccupano anche “solo” per il passaggio nel nostro
territorio”.
In base al rapporto sulla sicurezza l’informazione televisiva italiana ha imposto la
rappresentazione della criminalità come seconda/terza voce dell’agenda tematica
complessiva dei notiziari. Dall’analisi dei maggiori telegiornali italiani emerge la scelta della
televisione italiani di “prendere le distanze dalla realtà”, dando visibilità ad eventi in costante
calo. Nel 2016 sono 3.231 le notizie su migranti, profughi e rifugiati, una media di 9 notizie
al giorno. “Come avvenuto nel 2007 con il binomio immigrazione-criminalità, dieci anni, gli
“imprenditori della paura” lavorano per suscitare preoccupazioni. Nel 2017 sono i rischi di
infiltrazioni terroristiche sui barconi in arrivo le presunte colonizzazioni culturali. Le parole
e le immagini associate allo sgombero della giungla di Calais, alle proteste nei centri di
146 http://www.fondazioneunipolis.org/wp-content/uploads/2017/02/Fondazione-Unipolis-X-Rapporto-sulla-
sicurezza-e-insicurezza-sociale-2017_light.pdf
89
accoglienza, alle barricate di Goro, alle divisioni in Europa nella ripartizione delle quote
possono dunque suscitare – in alcune fasce della popolazione, soprattutto quelle
maggiormente esposte al fenomeno – un aumento della preoccupazione nei confronti di
migranti e profughi”.
90
L’Italia nel 2014 ha vinto il The Ignorance Index147, un sondaggio Ipsos Mori condotto in
14 Paesi dove battiamo Australia, Belgio, Canada, Corea del Sud, Francia, Germania,
Giappone, Gran Bretagna, Polonia, Spagna, Stati Uniti, Svezia e Ungheria. In Italia si
riteneva che il 30% della popolazione fosse composta da immigrati (in realtà era tra l’8 e il
9%) e che il 20% dei residenti fossero musulmani (erano tra il 2 e il 3%). Ricordiamo quindi
che immigrazione e terrorismo restano le sfide più importanti che deve affrontare l’Unione
Europea secondo il recente sondaggio Eurobarometro standard148. Il 45% degli intervistati
identifica quindi l’immigrazione come il maggiore problema europeo (-3 punti percentuali
rispetto la primavera 2016). In ambito italiano la questione immigrazione (26, -2) è seconda
solo alla disoccupazione (31%, -2).
“L’informazione italiana ha scelto (sull’immigrazione, ma non solo) di ridurre fin quasi ad
azzerare la complessità, di semplificare all’accesso, di restituire immagini semplicistiche e
statistiche (…) mostrando l’incapacità dei media di offrire chiavi di lettura per decodificare
l’insopportabile carattere caotico e sfaccettato della realtà contemporanea”149.
Questa è la critica maggiore che viene rivolta ai media italiani da Marco Binotto, Marco
Bruno e Valeria Lai.
147 Associazione Carta di Roma "Notizie alla deriva. Secondo rapporto annuale." Ponte Sisto, Roma (2014).
148 https://ec.europa.eu/italy/news/20161222_eurobarometro_it
149 Binotto, Marco, Marco Bruno, and Valeria Lai, eds. Tracciare confini. L'immigrazione nei media italiani:
L'immigrazione nei media italiani. FrancoAngeli, 2016, p.21
91
3.3 IL RACCONTO DELL’IMMIGRAZIONE
“La gigantografia è un processo fotografico, l’alterazione delle forme e delle dimensioni di
una stessa immagine per enfatizzarne un aspetto. È quanto avviene alla rappresentazione
dell’immigrazione. Intanto, per larga parte, si tratta di una fotografia, un fotogramma fermo
ormai da quasi quaranta anni su un fenomeno in perenne movimento. I media sembrano
accontentarsi di questa immagine statica e apparentemente immutabile. Hanno scelto un
particolare, una parte da ingrandire ed esaltare. È quella nera, la parte oscura e tenebrosa
presente in ogni fenomeno umano. È quella problematica; quella legata al vocabolario del
delitto, alle sue emozioni e ai suoi dolori; alle paure, al terrore di essere invasi e al timore
dell’ignoto, della povertà e del degrado”150.
L’attenzione dei media alle bad news è sempre prioritario, così come il ruolo che essi
assumono nella diffusione di un clima generalizzato di allarme e sospetto che si instaura
intorno a certe tematiche, prima tra tutte l’immigrazione. Una tendenza generale che è
possibile riscontrare (Binotto, Bruno, Lai, 2016) è l’etnicizzazione delle notizie, tipizzazione
quindi dell’evento in base alla provenienza etnica del individuo. Tendenza contemporanea
ma sicuramente non nuova, caratteristica del mondo della comunicazione già dal passato.
Non a caso Binotto, Bruno, Lai evidenziano come in epoca vittoriana fossero sempre gli
irlandesi, nomadi e artisti di strada ad essere identificati come criminali, oppure come a
Londra tra il XIX e il XX secolo fossero invece ebrei russi e polacchi ad essere attaccati da
media e politica suscitando sentimenti xenofobi e discriminatori. Ma la storia di questa
tendenza è ampia e internazionale e le motivazioni raccolte dagli autori si orientano intorno
a 3 ipotesi interpretative:
- Si richiama la dipendenza dei media dalle fonti giudiziarie e quindi l’effetto delle
routine produttive interne al campo giornalistico (Mansoubi 1990; Corte 2002;
Cerase 2004);
- Effetto di cristallizzazione degli stereotipi determinata dall’imporsi della criminalità
nel discorso pubblico italiana e dell’immagine criminale dell’immigrato (Dal Lago
1999);
150 Binotto Marco, Marco Bruno e Valeria Lai, eds. Tracciare confini. L'immigrazione nei media italiani:
L'immigrazione nei media italiani. FrancoAngeli, 2016, p. 33
92
- Affermazione dei media come interpreti del consenso politico – elettorale che ruota
intorno a movimenti populisti.
È possibile rilevare che in Italia l’attenzione al fenomeno migratorio è di fatto minima fino
alla seconda metà degli anni Ottanta quando l’aumento degli ingressi ha iniziato ad avere un
picco e i mezzi di comunicazione hanno aumentato progressivamente la loro attenzione.
La ricerca condotta tra le principali testate di informazione italiana tra il 2008 e il 2012151
può fornire importanti spunti di riflessione a proposito di quanto e in che misura i media
siano realmente uno specchio fedele dei fenomeni sociali.
Partendo dalla consapevolezza che l’attenzione sui fatti di cronaca nera è maggiore rispetto
ad altri tipi di notizie ciò che emerge è che la centralità aumenta in base alla nazionalità delle
persone sospettate/colpevoli, “quando quest’ultime sono straniere si trovano, in media, più
vicine alla prima pagina e quindi in una posizione ben più visibile delle altre”.
Contemporaneamente però emerge una scarsa propensione all’approfondimento delle
tematiche e alla diffusa semplificazione, “la continua ripetizione di immagini (sbarchi,
gommoni carichi fino all’inverosimile,…) e di espressioni (“emergenza immigrazione”,
“ennesimo sbarco di clandestini”,…) stereotipate, oltre ad avere un effetto “ansiogeno” e a
contribuire, dunque, alla diffusione del panico e alla “sindrome dell’invasione”, ne ha,
paradossalmente, anche uno, per così dire, “abitudinario”152.
Risale al 2013 l’evento evidenziato nel Rapporto annuale Carta di Roma153 che avrebbe
definitivamente portato alla luce i difetti dell’informazione italiana in materia di
immigrazione: il naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013. Utilizzo di stereotipi e cliché,
uso ridondante di immagini di naufraghi e “tendenza a trasferire nella valutazione delle
notizie gli schemi dello scontro politico in atto” sono palesi. Drammatizzazione e
spettacolarizzazione sono al centro del trattamento della tragedia e venendo allo strumento
oggetto di questo elaborato, il talk show, emerge sia lo “stile drammatizzante” della
terminologia (“poveretti”, “disperati”, “profughi”), sia la tendenza ad affiancare all’evento
la polemica politica. Si imposta quel dualismo “drammatizzazione - dibattito” che continuerà
a caratterizzare la rappresentazione mediale del fenomeno.
151 Ivi p. 98
152 http://www.nuovefrontierediritto.it/media-comunicazione-immigrazione/
153 Associazione Carta di Roma. "Notizie alla deriva. Secondo rapporto annuale." Ponte Sisto, Roma (2014).
93
In termini di notiziabilità nel 2015 gli eventi a livello internazionale legati al terrorismo
hanno naturalmente comportato l’incremento di attenzione sul fenomeno, 3 eventi in
particolare sono stati caratterizzati da tutti i criteri di notiziabilità: quello quantitativo
(numero dei morti), emotivo e relativo agli interessi del paese e sono: aumento degli sbarchi,
attacco terroristico, naufragio nel Mediterraneo con relativo scoop fotografico. Riportiamo
di seguito in ottica comparata soltanto alcuni spunti fondamentali emersi dagli ultimi due
Rapporti annuali della Carta di Roma in grado di evidenziare la cornice di riferimento in cui
il fenomeno migratorio viene raccontato dai media italiani.
Secondo il Rapporto Carta di Roma 2015154 la presenza del fenomeno migratorio in questa
fase è aumentata nei notiziari italiani del 250%. In base all’analisi condotta dal rapporto sulle
edizioni serali del prime time delle 7 reti (Tg1, Tg2, Tg3, Tg4, Tg5, Studio Aperto, TgLa7)
emerge il ricorso a toni allarmistici e sensazionalistici e la presenza della politica nel 31%
dei servizi mentre migranti e profughi il 7%, in particolare Renzi il 55%, Salvini il 27% e
Alfano il 19%. Ciò che emerge dall’analisi è che “non esiste una correlazione tra il numero
delle notizie e l’aumento della paura verso gli immigrati: un’elevata esposizione del
fenomeno – come nel 2015 o in misura minore nel 2013 – non corrisponde a un incremento
dell’insicurezza nei confronti degli immigrati. esiste invece una correlazione tra la cornice
in cui il fenomeno è raccontato e la percezione dei cittadini. nel 2007 si registra un picco di
insicurezza nei confronti degli immigrati, in assenza di un incremento significativo della
visibilità mediatica. Le notizie sull’immigrazione tra il 2007 e il 2008 stabiliscono un
binomio tra immigrazione e criminalità. È una narrazione di tipo ansiogeno che suggerisce
una relazione tra la condizione di immigrato e la propensione a delinquere”.
Per quanto riguarda i temi trattati il primo tema dell’agenda è comunque quello
dell’accoglienza (55%) seguito dalla cronaca degli sbarchi (24%) e dalla criminalità e
sicurezza (23%).
154 Associazione Carta di Roma, and Osservatorio di Pavia. "Notizie di confine." Terzo rapporto Carta di
Roma (2015).
94
La differenza principale che viene presa in considerazione si riferisce alla narrazione degli
eventi migratori. “Se c’è una sostanziale uniformità tra i network nella trattazione della
cronaca dei flussi migratori, del terrorismo e delle questioni sociali ed economiche (la voce
“Altro”), c’è uno scarto significativo nella trattazione della criminalità e della sicurezza.
Quando si parla di immigrazione, nei telegiornali Mediaset nel 37% dei casi si parla di
criminalità e sicurezza; 3 volte in più che nei telegiornali Rai e nel TgLa7”.
Ricerche e statistiche sul tema procedono senza interruzioni e arrivando a quelle più recenti,
si è iniziato a sostenere che benché il fenomeno sia sempre al centro della dieta informativa
degli italiani abbia contemporaneamente subito un processo di “normalizzazione”,
“metabolizzazione” del fenomeno (Binotto, Bruno, Lai, 2016; Berretta, Milazzo, 2017).
In base all’ultimo Rapporto Carta di Roma155 il fenomeno migratorio fino a poco fa trattato
con toni emergenziali ed allarmistici è ormai entrato nella ruotine quotidiana del sistema
informativo e soprattutto ha visto l’affermazione di “toni liquidatori e sarcastici”156 simbolo
di un argomento entrato nel terreno dello scontro politico alla pari di molti altri. Un
fenomeno quindi “metabolizzato”, perennemente al centro dell’informazione e soprattutto
155Associazione Carta di Roma and Osservatorio di Pavia. "Notizie di oltre i muri." Quarto rapporto Carta di
Roma (2016).
156 Berretta, Paolo e Giuseppe Milazzo. Notizie oltre i muri: il racconto del fenomeno migratorio nei media,
in Problemi dell'informazione, 42.1, 2017, p. 185.
95
sempre accompagnato dalla politica, in base alla più recente analisi dei tg in 1 servizio su 2
sono presenti politici italiani (33%) o europei (23).
Inoltre: "Non esiste una correlazione tra il numero delle notizie e l’aumento della paura verso
gli immigrati: una elevata esposizione del fenomeno – come nel 2015 o, in misura minore
nel 2013 – non corrisponde a un incremento dell’insicurezza nei confronti degli immigrati,
anzi si assiste a un incremento della paura nei confronti dei migranti in ragione delle
associazioni con il terrorismo di matrice jihadista, da un lato, e con le difficoltà
dell’accoglienza e dell’integrazione. Il 40% dei cittadini (7 punti percentuali in più rispetto
al 2015) ritiene che gli immigrati costituiscano una minaccia per la sicurezza e l’ordine
pubblico.”
Venendo invece alle tematiche invece i 3 temi dell’agenda restano gli stessi: accoglienza
(36%) seguito dalla cronaca degli sbarchi (27%) e dalla criminalità e sicurezza (24%).
96
È inoltre confermata la differenza nella narrazione: “i temi dei crimini e della sicurezza sono
il 37% sulle reti Mediaset, quasi 3 volte in meno sulle reti Rai (13%) e su La7 (12%). Il
consolidamento di questa differenza nella trattazione conferma una presa di distanza delle
redazioni dei telegiornali di alcuni reti dalla trattazione della cronaca nera in chiave “etnica”
e da una narrazione emergenziale incentrata sugli effetti nelle città di presunte invasioni di
rifugiati e migranti”.
Vediamo adesso in particolare il format oggetto di quest’elaborato e la sua rappresentazione
del fenomeno migratorio, “ogni puntata di un talk show rappresenta una sorta di episodio
autoconcluso di narrazione giornalistica”157. La puntata tradizionalmente si apre con
l’annuncio del tema scelto presentato dal conduttore, da un servizio o dal collegamento con
un inviato. La classica struttura del talk prevede poi lo scambio di opinioni tra il parterre di
ospiti selezionali e la conclusione spesso caratterizzata da un appello al pubblico da parte
del conduttore.
Riportiamo quindi l’analisi (“Lampedusa 2013. Discorsi e frame nella rappresentazione del
naufragio di Lampedusa nei talk italiani”), svolta, nell’ambito del progetto Carta di Roma,
della trattazione della tragedia nel 2013 da parte delle trasmissioni Rai, Mediaset e La7.
Nello specifico sono state analizzate 22 trasmissioni che hanno affrontato il tema tra il 3 o
23 ottobre. Nell’analisi emerge lo schema tipico della trattazione giornalistica delle notizie
di emergenza di Marletti, le già citate fasi di “latenza”, “emergenza” ed “autoreferenziale”.
157 Associazione Carta di Roma, and Osservatorio di Pavia. "Notizie di confine." Terzo rapporto Carta di
Roma (2015).
97
Iniziando dalla titolazione delle varie puntate emerge l’inquadramento dell’evento compiuta
dalle redazioni. Si sottolinea il richiamo al lutto e al cordoglio (“Un mare di morti”, “Ancora
morte”, “I vivi e i morti”, “Mare mortuum”, “Verrà la morte e avrà i nostri occhi”, “Senza
parole”) e il collegamento con la polemica politica (“Mai più”, “Lacrime e rabbia”,
“Lampedusa ha cambiato l’agenda politica”, “La politica litiga anche su Lampedusa”).
Dall’analisi svolta contemporaneamente ad altri eventi di attualità politica, come la
decadenza da senatore di Berlusconi, emerge un dato fondamentale in linea con le
considerazioni fatte nei primi due capitoli di questo elaborato cioè la medesima
composizione degli ospiti. Il parterre chiamato a discutere della strage è tendenzialmente lo
stesso proposto per affrontare il caso Berlusconi simbolo della indifferenza di professionalità
e competenze nella selezione degli ospiti.
98
Elementi comuni ai talk sono i richiami alle posizione di apertura di Papa Francesco e al
maggiore aiuto chiesto all’Europa: “ l’Europa va investita, va riformata la convenzione di
Dublino, fare la voce grossa su questo» (Fratoianni - Sel, Agorà 4 ottobre), «le politiche
europee sono disumane» e «l’Europa e il nostro paese non possono più permettersi di
ricevere morti» (Nicolini - sindaco Lampedusa, Agorà 4 ottobre e Matrix 11 ottobre);
«l’Europa non può far finta di nulla» (Rampelli - dirigente Fratelli d’Italia, Matrix 11
ottobre); «è un fenomeno epocale che richiederebbe misure eccezionali, ma l’Europa è
restia» (Mauro - ministro della Difesa, Servizio Pubblico 4 ottobre), «a noi l’Europa non
può dare lezioni, dovrebbe dare sostegno e aiuto» (Alfano - Ministro dell’Interno, Servizio
Pubblico 4 ottobre); «l’Europa intervenga seriamente o c’è il rischio di antieuropeismo,
populismo, demagogia» (Casini, Porta a Porta speciale 3 ottobre); «Frontex è controllo di
confine, serve il controllo del Mediterraneo, perché sia un canale sicuro e navigabile,
l’Europa è chiamata in causa» (Perego - direttore generale fondazione Migrantes, Porta a
Porta speciale 3 ottobre); «l’Europa era silente, ci volevano 300 morti per far sì che si
accorgesse della tragedia che si sta vivendo dalle nostre parti» (Vespa, Porta a Porta 7
ottobre)”. Di rilievo è la puntata di Agorà del 4/10/13 che nel processo di tematizzazione
della tragedia nel più ampio frame del tema immigrazione arriva a sostenere
un’interpretazione globale del fenomeno nonché toni moderati e meno scandalistici:
“Polverini - PdL: «l’immigrazione è un processo globale», «la Bossi-Fini non va cancellata,
ma cambiata; il reato di clandestinità è una vergogna». Pini - Lega Nord: «la Bossi-Fini va
modificata in modo non ideologico”. Un ruolo a parte è quello svolto dai protagonisti di
queste storie e la ricerca pone l’accento su una testimonianza in particolare riportata da Otto
e mezzo il 3/10/13. L’intervento è di Tareke Brhane, mediatore culturale, l’uomo con le sue
frasi sottolinea ed evidenzia l’immensa tragedia umanitaria che soltanto nella fase conclusiva
dello sbarco arriva ai media italiani e non solo solleva questioni meno trattate, come la
violenza sulle donne. “La puntata in questione termina poi con un intervento in particolare:
“Il meccanismo della storia personale, particolarmente funzionale alla chiave narrativa e di
storytelling del talk, viene utilizzato (tra i vari casi) anche in un frammento di Agorà del 4
ottobre. L’allora ministra dell’Integrazione Cécile Kyenge viene chiamata a chiudere la
puntata con la sua storia personale, come se rappresentasse un caso empirico dei migranti
che sbarcano, anche se non è giunta in Italia irregolarmente o come rifugiata, anche se è
cittadina italiana da molti anni; l’associazione stereotipa tra lei e le persone che arrivano a
99
Lampedusa, pur sottointesa, resta intatta”. Rilevato dall’indagine ed in linea lo spirito di
quest’elaborato è l’attenzione riservata ai sottotemi del talk a volte sostenuti dagli stessi
conduttori tramite turni di parola, servizi, sondaggi ecc. e altre volte frutto della capacità
oratoria degli ospiti di orientare i frame della conversazione su temi di loro interesse.
L’indagine svolta evidenzia in ottica comparata come ad Agorà la struttura della discussione
rispetti quella stabilita dalla redazione, a differenza del caso Porta a porta dove in particolare
nella puntata del 3/10/14 benché il tema fosse la Bossi-Fini gli ospiti riescono a spostare il
dibattito su altri aspetti, dalle politiche europee al valore dell’accoglienza. Emerge invece il
ruolo di Miche Santoro a Servizio Pubblico il 4/10/13 nel incidere sulla tematizzazione del
fenomeno. “Il conduttore esplicita alcuni nodi tematici, marcando in modo evidente la linea
editoriale della trasmissione e inserendone il punto di vista direttamente nella discussione e
senza mediazioni di sorta10; basti citare alcune frasi del consueto “editoriale” di apertura o
delle domande-intervento durante il dibattito: «cosa sono state queste persone per tanti
governi in questi anni? Soltanto un nemico e basta, un problema da scaricare sulla gente di
Lampedusa e basta»; «come poteva chiedere aiuto all’Europa il Paese di Bossi?»; «ma non
c’è sproporzione enorme tra come vengono trattati i cosiddetti clandestini in Italia, con la
mancanza di strutture adeguate, e l’impotenza nei confronti dei trafficanti? Siamo molto più
severi verso la povera gente che con i responsabili del traffico di esseri umani, che fanno
mercato della morte». È evidente che questa “supremazia” argomentativa del conduttore si
rifletta nelle risposte e nelle posizioni dei partecipanti al dibattito, i quali sono in qualche
modo obbligati a restare all’interno del frame da lui costruito”158.Differenti talk ma
soprattutto differenti conduttori, vediamo in conclusione le osservazioni riportare su un
personaggio in particolare, ossia Gerardo Greco. Il conduttore cercherà più volte di separare
i temi della puntata (immigrazione e berlusconi) ma soprattutto cercherà di ridurre il ricorso
alle ideologie e alle polemiche del dibattito, dice: “oggi non facciamo ideologie”, né
“polemiche esagerate in un momento come questo, “non oggi, demagogia non oggi”; “Se
fosse stata una giornata diversa avremmo parlato della decadenza di Berlusconi”. “Dal punto
di vista del tono e del lessico, Greco sottolinea la chiave empatica, ad esempio parlando dei
morti di Lampedusa come dei “nostri” morti, che avranno i “nostri” occhi e sono la “nostra
vergogna”159.
158 Ivi p.88 159 Ivi p.89
100
3.4 LINGUAGGIO EMOTIVO
“L’immagine dei migranti come “piaga” è costruita e diffusa dai media attraverso la
titolazione delle notizie e le scelte stilistiche, troppo spesso responsabili di dar vita a
un’equazione implicita di immigrazione e disordine (…) è infatti mediante il contenuto dei
messaggi veicolati, il linguaggio e il metodo di scelta delle notizie che la maggior parte dei
mezzi di informazione contribuisce ad alimentare la paura dello sconosciuto (Dal Lago,
1999.)”160.
Emerge come lo stile linguistico che si è imposto nei media tradizionali abbia perso
l’autorevolezza che lo caratterizzava in passato, assumendo i toni sempre più colloquiali del
parlato è diventato normale anche ricorrere a frasi fatte e metafore che più si prestano a
sensazionalismi, stereotipi e semplificazioni (Binotto, Bruno, Lai 2016).
La tendenza sicuramente comune nell’informazione italiana che sia stampa o televisione è il
riferimento a 2 elementi standard nella trattazione dell’immigrazione, che sono: nazionalità
e status giuridico.
Da una rapida e casuale rassegna effettuata dei titoli dei maggiori quotidiani e notiziari
italiani in “Tracciare i confini. L’immigrazione nei media italiani” emerge il consolidamento
della tendenza ad utilizzare sempre un certo lessico in riferimento a qualunque tipo di notizia
in cui sia coinvolto un immigrato a prescindere dal contesto. Diventa impossibile collocare
temporalmente i titoli riportati ma è possibile evidenziare quindi la caratteristica comune a
tutti che è il riferimento alla nazionalità: “Arrestati due marocchini e un tunisino” (La
Stampa), “Fermato un clandestino” (Corriere), “banda di nigeriani” (Tg4 del 15/1), “Rumeni
in manette” (Tg3 del 24/4). Una grande quantità di titoli completamente interscambiabili
sintomo di una pratica contro cui gli autori mettono in guardia, i rischi sono quelli di uno
scadimento del lessico utilizzato per definire le minoranze (e il frequente uso del termine vu
cumprà né un esempio) e l’abbandono dell’attenzione deontologica nella selezione e
definizione dei fenomeni.
Nel caso dell’informazione televisiva naturalmente è l’immagine a farla da padrona, in grado
di generare empatia, invidia, disgusto e pietà, sommata a toni e annunci emergenziali riesce
160 Binotto Marco, Marco Bruno e Valeria Lai, eds. Tracciare confini. L'immigrazione nei media italiani:
L'immigrazione nei media italiani. FrancoAngeli, 2016, p.66
101
a creare una cornice in cui la “coloritura emotiva” è notevole. Senza scendere nei dettagli
questa tendenza viene confermata dalla ricerca condotta sui telegiornali nel 2008161 dove si
evidenzia come (a differenza della carta stampata) i tg offrano una rappresentazione sopra le
righe su temi di sicurezza e cronaca nera e immigrazione, con un forte utilizzo di toni di
scandalo/ denuncia/ allarme/ ironia/ mistero. Parlare di hate speech e dangerous speech vuol
dire interfacciarsi con concetti complessi che assumono connotati ancora più particolare
nell’ambito della informazione giornalistica, non a caso nella Carta di Roma 2015 sono state
elaborate le linee guida per evitare di imbattersi in dangerous speech. “Gli elementi che il
giornalista dovrebbe valutare prima di diffondere esternazioni potenzialmente incendiarie
sono: la posizione di chi parla, l’audience, le caratteristiche del discorso, il contesto storico-
sociale e i media che lo veicolano”.
Lo stile linguistico adottato dai media assume quindi un ruolo determinante nella percezione
del fenomeno e che dalle fonti prese in considerazione emerga una critica generale a tale
stile sembra essere un dato di fatto. Ma raggiungendo i talk show, i veri protagonisti di questo
elaborato, la questione può diventare ancora più grave, proprio in virtù di quei fenomeni di
spettacolarizzazione e drammatizzazione che abbiamo già precedentemente trattato. Se si
possa parlare di razzismo nel linguaggio politico nei talk show se lo chiede Giuseppina
Bonerba che innanzitutto ci introduce la distinzione tra due logiche: “autorazzizazione” e
“eterorazzizazione” (Taguieff 2001)162, dove la prima riguarda la costruzione della propria
identità tramite l’appartenenza a un gruppo raziale, mentre la seconda richiama la
costruzione di differenze raziali e l’affermazione di superiorità di alcune razza su altre. In
epoca moderna è certamente la seconda ad essersi imposta con una certa classe politica che
si fa sostenitrice di uno scenario ideologico caratterizzato dal “noi” contro “loro” e “il
discorso così prodotto da un certo potere si diffonde nei media e nelle istituzioni e diventa
discorso pubblico, acquisisce autorevolezza, si radica nel senso comune e nel linguaggio
quotidiano”163. Bonerba innanzitutto sottolinea come nella percezione di un problema
sociale determinante sia il ruolo dei claim-makers (politici, giornalisti, esperti) nella
costruzione della tematica all’interno di un frame coerente ed autorevole ma soprattutto etico
ed oggettivo. Bonerba quindi mette in luce come nell’arena mediatica dei talk si noti la
161 Ivi p. 68
162 Voci. Annuale di Scienze Umane XIII ANNO 2016, p. 33
163 Ivi p. 34
102
tendenza ad identificare il fenomeno migratorio come un problema sociale e quindi anche
connotarlo di elementi razzisti ma dietro un velo di oggettività e benevolenza da parte del
leader politico. È il caso di Jole Santelli, Forza Italia, che ad Agorà afferma:
“…posso dire che devo contenere l’immigrazione e non avere nessun tipo di problema o
comunque ritenere assolutamente normale che ci sia chi vive in Italia da vent’anni, è
perfettamente integrato, poi magari ha la fortuna di non doversi truccare come noi, e quindi
è più fortunato di noi, punto” (…) utilizzare il termine razzismo significa iprocritamente
un’inibizione all’altra parte per portarla sulle proprie tesi”164.
Un riferimento a parte in questo contesto è ovviamente per Matteo Salvini, il leader della
Lega ha uno stile comunicativo caratterizzato da una serie di elementi standard: ampio
utilizzo di dati e statistiche (simbolo di quel discorso oggettivo ed autorevole
precedentemente citato), scarso approfondimento delle tematiche e ampio utilizzo di slogan,
ripetizioni, climax ed espressioni dialettali165. “Da politico però pretendo di poter dire che
siccome ci son già tanti delinquenti italiani – purtroppo – non ho bisogno di portare qua altre
migliaia di delinquenti stranieri senza sentirmi dare del razzista (Pomeriggio Cinque)166;
oppure “Noi in Italia siamo numeri, siamo nomi solo quando dobbiamo pagare. Invece gli
extracomunitari, a quelli è tutto dovuto” (Servizio Pubblico)167. L’attenzione va posta in
questo caso tra l’associazione che il politico fa tra il fenomeno migratorio e l’esperienza
quotidiana delle tasse, incorniciando i temi nel frame “noi paghiamo e loro no” lo spettatore
trae un quadro errato e melodrammatico.
Nel talk show non è soltanto il frame e il ruolo dei claim–makers ad essere centrale ma anche
l’elemento dello scontro che abbiamo già ampiamente citato nei capitoli precedenti.
Selezione dei partecipanti, disposizione spaziale, dibattito tra opinioni contrapposte
costituiscono il cuore del talk (Novelli, 2016). Bonerba, citando George Lakoff e le
conclusioni sull’identificazione del frame con specifiche terminologie (es: l’uso del lessico
di guerra nelle conversazioni – ha demolito la sua tesi ), sottolinea come per il fenomeno
migratorio si sia affermato invece il lessico dell’invasione. Riportiamo di seguito l’analisi
164 http://video.ilgazzettino.it/primopiano/gaffe_della_santelli_i_neri_fortunati_non_devono_truccarsi-
21910.shtml
165 Ivi p. 37
166 https://www.youtube.com/watch?v=15NyjocFsHU
167 https://www.youtube.com/watch?v=MQsAzxmfiOs
103
che Bonerba compie della già citata puntata di Pomeriggio Cinque con ospite Matteo Salvini
dove ritroviamo tutti gli elementi centrali di quest’analisi: talk show, confronto, linguaggio
populista, abilità dell’attore politico di imporre i propri frame tramite toni scandalistici.
Il tema della puntata è il perdono cristiano, il fatto l’omicidio di una dottoressa che stava
aiutando un indiano ferito in una rissa quando una macchina con a bordo il fratello del
ragazzo l’ha investita. Salvini, chiamato ad esprimersi sul perdono che la figlia della vittima
ha rivolto all’assassino, riesce a non esprimersi sul tema e ad imporre lui il frame della
conversazione. Dichiara “rispetto” e aggiunge “che la questione è un’altra: perché la donna
è morta”, richiama la “rissa” che c’è stata citando le “spranghe” e la “strada” e
improvvisamente introduce la cronaca di un altro omicidio compiuto 3 anni prima da un
marocchino. La risposta di Salvini, che si è immediatamente distaccata dal tema della
puntata, ha subito un’escalation significativa dal rispetto per la donna al disgusto per un reato
commesso da un’altra persona. È lui che impone il tema della conversazione e ripropone i
propri frame mentre anche gli altri ospiti si fanno trasportare e si sorvola il tema del perdono.
104
3.5 STORIA DELL’IMMIGRAZIONE NELLA TELEVISIONE ITALIANA
Il mondo del giornalismo quando tratta di immigrazione si trova di fronte a un tema
particolarmente complesso non a caso il dibattito in materia è vivo e svariati sono i passi
avanti che sono stati compiuti per una trattazione il più possibile informata ed oggettiva del
fenomeno.
Per offrire una panoramica il più esaustiva possibile dell’argomento è stato elaborato il
manuale Comunicare l’immigrazione. Guida pratica per gli operatori dell’informazione,
realizzato dalla società cooperativa Lai-momo e dal Centro Studi e Ricerche Idos nell’ambito
del progetto “Co-in - Comunicare l’integrazione”, promosso dal Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali, Direzione Generale dell’Immigrazione e delle Politiche di Integrazione, e
finanziato con il Fondo Europeo per l’Integrazione di cittadini di Paesi Terzi168.
Il manuale tra le varie informazioni è in grado di riproporre un veloce riepilogo dei momenti
salienti dell’incontro tra televisione generalista e fenomeno immigratorio, che ci permettono
anche un rapido sguardo sulla struttura che si decide di riservare ai programmi che trattano
questo tema.
Il primo contatto risale al 1989 con la rubrica del Tg2 Nonsolonero, centrata su immigrazione
e razzismo condotta dalla giornalista di origine capoverdiana Maria De Lourdes Jesus.
Sempre la Rai, più specificatamente Rai Educational, manda in onda Un mondo a colori (che
nel 2009 prende il nome di Crash. Contatto, impatto, convivenza) “dedicato al fenomeno
dell’immigrazione e ai processi di integrazione sociale in Italia” condotto prima dal
giornalista congolese Jean-Léonard Touadi e poi da Valeria Coiante. “Stiamo parlando di un
programma di 15 minuti in un orario non particolarmente favorevole (ma è significativo il
gradimento delle repliche nei giorni festivi)”.
Così la Rai presenta il programma: “propone reportage sulla realtà multietnica delle nostre
città e sulle leggi che regolano l’inserimento degli immigrati, ma anche servizi giornalistici
su problematiche come l’emigrazione degli italiani nel Nord Italia o all’estero. Un mondo a
colori trasmette inoltre documentari su altri paesi del mondo, alla scoperta di culture e
condizioni di vita diverse dalle nostre”.
168 Ministero del Lavoro delle Politiche Sociali-Direzione Generale dell’Immigrazione, Comunicare
l’immigrazione. Guida pratica per gli operatori dell’informazione. 2012
105
Abbiamo avuto inoltre il settimanale Shukran andato in onda dal 1999 per 12 anni e sempre
stato in grado di ottenere un buon indice d’ascolto. La redazione nella stagione 2009-2010
Shukran ha abbandonato lo studio ed è sceso in strada.
La presenza del fenomeno migratorio naturalmente è riscontrabile anche nelle televisioni
private anche se con minore continuità, è nel 2007 che su La7 va in onda la puntata pilota di
un nuovo programma Barbari, la trasmissione registrò anche un buon indice di gradimento
ma venne comunque cancellata.
Ma non mancano naturalmente le esperienze a livello locale volte a fornire informazioni sul
fenomeno migratorio, come lo spazio dedicato nella trasmissione Buongiorno Reggio, su
Telereggio, sul progetto europeo F.RA.T.T. (Fight Racism Through Theatre, “Combattere il
razzismo con il teatro”). La trasmissione si struttura tramite interventi di “migranti, donne,
studenti, cittadini” ma ttraverso le telefonate in diretta del pubblico.
106
3.6 IL TELESPETTATORE STRANIERO
Risale all’estate 2013 l’inclusione degli immigrati nel campione analizzato dall’Auditel.
L’assenza di questo dato fino a quel momento ha per molto tempo intaccato la
rappresentatività dei risultati esposti e questo perché gli immigrati guardano molta tv,
soprattutto quella delle tv generaliste che sono tra i soci dell’Auditel (ha dichiarato Giovanni
Gangemi, direttore area comunicazioni di I-Com, l’istituto per la Competitività169).
“In altri Paesi europei la rilevazione degli ascolti si fa anche tra gli immigrati, in Italia
dovremmo muoverci. Si tratta di una fetta importante di consumatori – sottolinea Gangemi
- e anche se possono avere una capacità di spesa ridotta sono più giovani e più dinamici
degli italiani e mediamente più sensibili al messaggio pubblicitario. Se lo scopo di Auditel è
dare numeri agli inserzionisti, questo dovrebbe essere uno stimolo per far entrare gli
immigrati nel panel”.
La questione viene sollevata dall’Antitrust inseguito ad un ricorso presentato da Sky contro
l’Auditel che viene accusata di fornire dati poco trasparenti e soprattutto di favorire i due
grandi poli televisivi Rai e Mediaset.
“Il campione su cui sono effettuate le rilevazioni non rappresenta i comportamenti di ascolto
di circa cinque milioni di stranieri residenti in Italia. Ma i risultati rilevati nel campione
vengono espansi in modo da essere riferiti alla totalità della popolazione residente in Italia,
compresi gli stranieri” denuncia Sky. Secondo Sky, questa è “un’ evidente distorsione dei
risultati. Il pubblico televisivo riportato infatti ha caratteristiche socio-demografiche diverse
da quelle del pubblico televisivo reale e, considerando che la popolazione degli immigrati è
composta tipicamente da soggetti che lavorano fuori casa un elevato numero di ore al giorno,
c’è una sovra-rappresentazione degli ascolti televisivi e quindi del valore dei relativi spazi
pubblicitari”170.
169 http://www.i-com.it/wp-content/uploads/2011/03/la_misurazione_degli_ascolti_nella_tv_che_cambia-
gangemi_analisi_03-2011.pdf
170 http://www.stranieriinitalia.it/attualita/attualita/attualita-sp-754/tv-auditel-senza-immigrati-indaga-
lantitrust.html
107
Ma l’Auditel viene però assolto171 in quanto riesce a dimostrare che per nonostante i tentativi
inserire gli immigrati nel campione d’analisi può essere particolarmente complesso, partendo
proprio dall’impossibilità di accedere agli elenchi anagrafici, anziché a quelli elettorali, per
questioni legate alla tutela della privacy.
Ma nell’estate 2013 si riesce però a fare il passo in avanti e “Da agosto, nella rilevazione
degli ascolti entreranno anche i telespettatori immigrati” aveva annunciato Walter Pancini,
direttore generale di Auditel172, e ciò è stato possibile grazie all’Ipsos, istituto di ricerca che
collabora con l’Auditel al fine di fornire una corretta rappresentazione degli immigrati in
Italia.
Già i primi dati raccolti nel 2013 ha evidenziato un consumo televisivo non molto diverso
da quello degli italiani, sottolineando comunque, soprattutto tra i giovani, un notevole lasso
di tempo dedicato alla televisione.
Parliamo di dati che non si possono sottovalutare che prendiamo in considerazione le
previsioni elaborate dall’Istat nel 2011 secondo cui nel 2065 la popolazione residente
straniera in Italia sarà di 14,1 milioni (con una forbice compresa tra il 12,6 e i 15,5
milioni)173.
Vediamo ora cosa guardano gli immigrati nella televisione italiana, riportando quindi i dati
della Fondazione Leone Moressa174. Sono stati intervistati telefonicamente 600 immigrati,
171 http://www.stranieriinitalia.it/attualita/attualita/attualita-sp-754/su-immigrati-e-tv-l-antitrust-assolve-
auditel.html
172 http://www.stranieriinitalia.it/attualita/attualita/attualita-sp-754/tv-gli-immigrati-entrano-nellauditel.html
173 Ministero del Lavoro delle Politiche Sociali-Direzione Generale dell’Immigrazione, Comunicare
l’immigrazione. Guida pratica per gli operatori dell’informazione. 2012
174 Moressa, Fondazione Leone. "Studi e ricerche sull’economia dell’immigrazione." Dalla fiction ai TG: la
TV che piace agli immigrati. Indagine sui consumi televisivi degli stranieri in Italia”. 2015.
108
non solo al fine di scoprirne i gusti televisivi ma anche “per comprendere un aspetto
importante delle abitudini dei cittadini stranieri e promuovere un’immagine meno
stereotipata”.
Per quanto riguarda il campione preso in esame abbiamo:
Composizione del campione per genere, classe di età e area geografica
Elaborazioni Fondazione Leone Moressa su interviste Panel Data
Composizione del campione per area di Provenienza
Area di Provenienza Distribuzione %
Est Europa 43,9%
Asia 27,6%
Nord Africa 15,3%
Africa Nera 9,2%
Sud America 4,1%
Totale 100,0%
Elaborazioni Fondazione Leone Moressa su interviste Panel Data
Più della metà degli immigrati guarda la tv 1-2 ore al giorno ( il 90% del campione almeno
un’ora), tendenzialmente la sera, ma sono ancora i canali del paese di provenienza a
registrare i risultati più alti (19,3%).
Genere Classe di età Area geografica
Uomini 48,2% Meno di 40 anni 53,6% Nord 61,8%
Donne 51,8% 40-59 anni 37,3% Centro 30,0%
60 anni e oltre 9,1% Sud e isole 8,2%
109
Quante ore al giorno guarda la televisione?
Elaborazioni Fondazione Leone Moressa su interviste Panel Data
Della televisione italiana i canali Mediaset sono i più seguiti (39,6%), seguiti da Rai, Real
Time, Dmax e solo infine La7. Per quanto riguarda i generi televisivi “l’informazione”
risulta vincente grazie ai telegiornali (25,5%), seguiti da film (17,7%) e intrattenimento/
varietà (12%). La predominanza di programmi di infotainment è sottolineata dai notevoli
risultati registrati da programmi come: Tg5, Tg1, Tgla7, Tf3, seguiti da Le Iene (8,8%),
Ballarò (5,7%), Report (4,8%) e Striscia la notizia (4,4%).
Quali sono i generi televisivi italiani che guarda di più?
Elaborazioni Fondazione Leone Moressa su interviste Panel Data
10,9%
50,9%
26,4%
11,8%
Mai/Raramente 1-2 ore al giorno 3-4 ore al giorno Oltre 4 ore algiorno
Il 90% del campione guarda la TV almeno 1 ora al giorno e quasi il
12% oltre le 4 ore al giorno
25,5%
17,7%
12,1%
7,8%
7,4%
6,9%
5,6%
4,8%
3,9%
3,5%
2,6%
2,2%
Telegiornali
Film
Intrattenimento / Varietà
Documentari
Programmi di cucina
Politica e Talk Show
Programmi sportivi
Serie TV
Approfondimenti informativi
Telenovela
Reality
Programmi comici
110
In conclusione la ricerca mostra anche i personaggi televisivi più seguiti dagli immigrati,
partendo da Gerry Scotti (18,9%) a Maria de Filippi (12, 1%), compresi Bonolis (19,6),
Maurizio Crozza (8,3%) e Fabio Fazio (6,8%).
I programmi/trasmissioni: I personaggi televisivi:
Elaborazioni Fondazione Leone Moressa su interviste Panel Data
111
PARTE IV
L’IMMIGRAZIONE NELLA STRUTTURA NARRATIVA
DEL TALK
4.1 L’ARCHITTETTURA DEL TALK
“Avvicinare il panorama dei media significa scegliere di osservare un mondo complesso e
in continua evoluzione cercando di cogliere dietro la molteplicità di linguaggi format e
formati una serie di logiche di fondo, dei meccanismi interni che assicurano il funzionamento
del sistema della comunicazione declinato nelle sue numerose forme espressive”175.
Il talk rappresenta un genere caratterizzato da contenuti e forme espressive altamente
strutturate e riconoscibili, parliamo di programmi essenzialmente caratterizzati da due
elementi, che sono l’attualità delle tematiche trattate e l’affermazione del dibattito come
modello di interazione dominante, tendente poi allo scontro, confronto o intervista a seconda
dei contesti.
“I talk diventano teatri (televisivi) dove la vita politica viene raccontata con maggior gusto
per il pubblico, perché direttamente messa in scena: vi si distinguono personaggi principali
e secondari, trame, luoghi, rituali, colpi di scena, ascese e cadute, alleanze e vendette, un
materiale narrativo eccezionalmente vario – come varia è la realtà politica – che nella
trasposizione televisiva risponde a precise norme estetiche”176.
Un aspetto condiviso generalmente da tutti i talk, su cui ci soffermiamo prima di procedere
con un’analisi dettagliata delle singole componenti, è “il gusto per il melodrammatico”
(Parodi, 2011) che emerge nella scenografia, nell’enunciazione televisiva, nella regia ecc.
Non a caso l’utilizzo del linguaggio teatrale per questo tipo di analisi è assai diffuso (Parodi,
2011; Denicolai, 2011) e ciò in virtù di quella spettacolarizzazione dell’informazione
politica più volte accennata. Imposizione quindi di un immaginario melodrammatico tra il
175 Peverini Paolo, I media: strumenti di analisi semiotica, Carocci, 2012, p. 9
176 Parodi, Marco, Variations in the melodrama of political TV talk shows. The aggression to Berlusconi and
the endless soap of Italian politics, in Comunicazione politica 12.3, 2011, p. 390
112
bene e il male, i buoni e i cattivi, enfatizzando spesso gli aspetti emotivi del racconto per
suscitare sorpresa e coinvolgimento. Marco Parodi (2011) richiama infatti un evento su tutti
simbolo del melodramma, ossia l’aggressione a Berlusconi il 13 dicembre 2009 con una
statuetta del Duomo di Milano. L’immagine della violenza e la violazione del corpo,
suscitano sentimenti di denuncia, compassione e sconforto. Per questo scopo quei talk più
inclini all’entertainment sono ottimi strumenti di spettacolarizzazione con la loro fusione di
tematiche soft ed hard, di ospiti politici e mediatici: “la famiglia e i vicini di casa
dell’aggressore (Matrix), il medico personale di Berlusconi (prima Porta a Porta poi
Matrix), il testimone oculare (Porta a Porta), l’esperto di difesa personale (Matrix)”,
(Parodi, 2011, p.393). È l’eccesso a farla da padrone e “quando Bruno Vespa apre la puntata
di Porta a Porta, tiene fra le mani una statuetta del Duomo simile a quella scagliata
dall’aggressore di Berlusconi; con tono contrito la presenta al pubblico, ne saggia il peso la
forma, la telecamera coglie i particolari della mano del conduttore che scorrono l’oggetto e
la sua pericolosità, mentre alle sue spalle campeggia come titolo della puntata un semplice
interrogativo: Perché?”177 si ottiene il compimento della rappresentazione teatrale.
Proseguiamo cercando di prendere in considerazione i caratteri identificativi del talk show,
sfruttando in parte la divisione elaborata da Paolo Peverini in “I Media: strumenti di analisi
semiotica”.
4.1.1 IL SET
La caratteristica principale e comune a tutti i talk nella gestione degli spazi sia interni che
esterni è la riproposizione di un’arena mediale, in cui il pubblico partecipa in modalità più
o meno attiva, a seconda dei contesti, interfacciandosi con conduttori, politici e giornalisti.
Due sono le alternative che è possibile adottare il set di uno studio televisivo: simulare un
luogo reale (salotto) o riproporre in pieno l’apparato televisivo (Peverini 2012). La seconda
opzione è senza dubbio quella più ricorrente nella struttura dei talk italiani e un esempio su
tutti è stato l’ambiente creato per Servizio Pubblico. Per il programma in questione
telecamere, luci, fotografi e tecnici erano ben visibili durante tutto l’arco della puntata,
l’arena mediale era sottoposta ad una notevole opera di spettacolarizzazione, partendo
dall’entrata in studio del conduttore ripresa dal backstage fino al posizionamento degli ospiti
177 Ivi p. 395
113
secondo una contrapposizione spaziale in grado di marcare lo scontro ideologico che si
preannunciava.
Un perimento separava il teatro in cui agivano conduttore e ospiti con lo spazio dedicato al
pubblico, non sempre semplice spettatore, spesso accompagnato dagli stessi ospiti.
L’arena mediatica di cui parliamo risponde di fatto a una serie di criteri178:
• Valorizza la logica del dibattito a partire dalle posizioni contrapposte degli ospiti che
possono essere disposti sui due lati in maniera simmetrica:
• Assegna al conduttore una posizione centrale all’interno di questo spazio dialettico
che gli consente di controllare le reazioni degli invitati e del pubblico e al tempo
stesso di personalizzare lo stile della conduzione;
• Consente al pubblico in studio di disporsi senza soluzione di continuità intorno a
tutto il perimetro dello spazio riservato al dibattito, restituendo all’audience
l’impressione di una vasta partecipazione di soggetti diversi per identità, interessi e
opinioni.
Ma è naturalmente oggetto di una serie di variazioni determinanti nella struttura di ogni
programma179:
1. Il numero e la disposizione dei posti assegnati a ospiti e pubblico;
2. La distribuzione degli ospiti tra il pubblico o la netta separazione tra la zona del
dibattito e quella riservata all’ascolto;
3. La presenza e la collocazione degli schemi lungo tutto il perimetro dello spazio o in
alcune zone strategiche come ad esempio alle spalle e ai lati della posizione assegnata
al conduttore.
Nell’evoluzione della scenografia notevole è stato il ruolo svolto da Faccia a faccia in segno
di discontinuità con la precedente struttura delle tribune politiche. Con il nuovo talk la
televisione smette di riproporre/nascondersi dietro salotti, tende, teatri ed entra in scena con
i propri spazi bianchi, ampi e artefatti. Lo sfondo in questo caso viene occupato da 3 grandi
monitor fissati su un’impalcatura di tralicci e circondati da apparecchiature tecniche. Una
rudimentale scenografia “intrinsecamente democratica” (Novelli, 2016) grazie al
178 Peverini Paolo, I media: strumenti di analisi semiotica, Carocci, 2012, p. 99
179 Ivi p. 100
114
semicerchio proposto tramite una struttura a ferro di cavallo che richiama quell’agorà, piazza
di discussione e quel parlamento a cui molto si ispira.
4.1.2 STRUTTURA TESTUALE
Per l’analisi della struttura testuale è necessario seguire una serie di step graduali partendo
dalla sigla di apertura e chiusura di un talk180:
• Collocazione
• Durata
• Immagini
• Colonna sonora
• Titoli
• Grafica
La sigla sia con le immagini che con la musica contribuisce fortemente al rafforzamento
dell’elemento drammaturgico precedentemente citato, non stupiscono quindi i riferimenti a
film o canzoni celebri che aprono le puntante dei talk più famosi.
Ma la sigla è sempre più spesso posticipata rispetto all’inizio della puntata, la precede di
norma una breve introduzione da parte del conduttore delle principali tematiche che si
andranno a trattare e questo in virtù di una sempre maggiore identificazione del programma
con il conduttore.
La videografia diventa in questo caso fondamentale per sottolineare il rapporto fiduciario
che il programma instaura con l’audience, ribadito nel caso di Servizio Pubblico dalla frase
di apertura: “Michele Santoro e altri 100 mila presentano Servizio Pubblico”.
Sigla, introduzione e conclusione si qualificano come elementi strutturali nella costruzione
di un programma, a cui fanno seguito un’altra serie di elementi che insieme compongono la
struttura del testo mediale181:
• Introduzione/conclusione
• Copertina
180 Ivi p. 101
181 Ivi p. 103
115
• Presentazione degli ospiti da parte del conduttore
• Dibattito e moderazione
• Editoriale
• Rubriche
• Interviste
• Inchieste
• Sondaggi
• Ricostruzioni di temi e avvenimenti
4.1.3. DIBATTITO
“Spettacolo di parola è senza dubbio la sua traduzione più adeguata. Si tratta di una parola
che diventa illustrazione, descrizione, conversazione, dibattito, scontro, dialettica, sintesi di
posizioni contrapposte, conoscenza inserita in un contenitore pensato per accogliere questo
schematismo espressivo, in cui tutto è periferico alla sua esibizione. C’è poi il ribaltamento
della situazione, cioè l’inserimento da parte della macchina produttiva e autoriale di elementi
di pura spettacolarità all’interno di sequenze dialettiche, con lo scopo di rafforzare i concetti
espressi dal dibattito, ottenendone una sottolineatura, spesso anche come filtro di commento
o distorsione. Dunque un rapporto circolare tra parola e spettacolo”182.
Partiamo innanzitutto dal tipo di interazione messo in atto, necessario per individuare le
specificità di ogni talk. In particolare il programma può essere affidato183:
1. A un unico ospite coinvolto in un dibattito con il conduttore e/o il pubblico in
studio o in casa;
2. A formule di dibattito televisivo costruite su due posizioni contrapposte in cui gli
ospiti si fronteggiando apertamente su un tema tramite la mediazione del
conduttore;
3. Alla presenza di due presentatori che esprimono opinioni contrapposte
dibattendo con gli ospiti in studio.
182 Denicolai, L. Parole & Media. Talk show, social network e dintorni, 2011, p. 10
183 Peverini Paolo, I media: strumenti di analisi semiotica, Carocci, 2012, p. 95
116
Il dibattito rappresenta il cuore di un talk show e per questo tipo di analisi diventa
fondamentale partire dai “turni del discorso”, intesi come gestione della conversazione.
Determinante è quindi l’”ordine che regola la presa della parola” (e quindi il ruolo delle
“interruzioni” che attribuiscono al presentatore un costante lavoro di rinegoziazione dei ruoli
comunicativi), ma anche la “struttura delle interazioni verbali” (intese come numero e ruolo
dei soggetti coinvolti).
In entrambi i casi siamo di fronte ad elementi determinanti che influenzano il ritmo della
conversazione, quindi “alternanza di fasi di tensione e di distensione (Peverini, 2012).
4.1.4 I RUOLI
CONDUTTORE
Venendo al ruolo del conduttore-giornalista ciò che emerge innanzitutto è l’asimmetria dei
ruoli comunicativi messa in atto sia nei confronti degli ospiti che del pubblico.
Elementi a cui ricorrere per un’analisi di questo tipo sono quindi:
• L’uso della cinetica sotto forma di sguardi, mimica e gestualità;
• Il livello di esplicitazione, all’interno del discorso, del proprio punto di vista nei
confronti del dibattito;
• Le forme dirette di interpellazione e coinvolgimento del pubblico in studio e, in via
mediata, dell’audience.
• Il livello di rigore e fermezza nella gestione dei turni di parola;
• Gli interventi diretti nell’andamento del dibattito, con particolare attenzione alle
precisazioni, alle formule di adesione o di presa di distanza avanzate nei confronti
delle dichiarazioni degli ospiti;
• Gli sguardi diretti in camera.
Per quando riguarda lo “stile della conduzione” solitamente si predilige per i caratteri di un
protagonista carismatico arbitro e garante della trasmissione, tutto ciò si accompagna,
naturalmente, alla personalizzazione della conduzione che accumuna la maggior parte dei
conduttori.
Evoluzione del ruolo del conduttore che si distacca profondamente dai primi anni della Rai
e dalla visione pedagogica di Bernabei e che probabilmente vede con Faccia A Faccia
117
l’inizio della sua trasformazione. Si impone un giornalista autonomo e indipendente, non più
semplice arbitro del regolamento ma artefice in prima persona dello svolgimento della
puntata. Novelli (2016) indentifica nel “Telegiornale” di Ugo Zatterin il primo esempio di
affermazione della figura del giornalista, seguito dall’esperienza nel 1962 di Rotocalco
Televisivo di Enzo Biagi. Ma è con Faccia a Faccia che si riconosce al giornalista la
possibilità di “provocare” (Novelli, 2016, p. 52), simbolo del passaggio da una tv pedagogica
delle tribune elettorali che aveva educato alla democrazia parlamentare a un programma che
porta in scena la democrazia partecipativa e quindi introduce il confronto.
In particolare è dopo Tangentopoli che si avvia il processo di personalizzazione e
teatralizzazione del conduttore, con riferimento a personaggi come Maurizio Costanzo,
Michele Santoro e Bruno Vespa (Mazzoleni, Sfardini, 2009).
È quindi possibile inquadrare la personalizzazione del conduttore dentro quel più ampio
concetto di “divismo televisivo” (Grasso, 2013, p.131) che negli anni ha preso il
sopravvento. Leader di opinione in grado di instaurare un profondo rapporto fiduciario con
il loro pubblico di riferimento, in virtù di opinioni, idee e posizioni condivise con il loro
target. Ma il divismo che ha caratterizzato in passato il mondo del cinema è oggi comunque
sostituito da “divismi in scala ridotta”184, da Hollywood al piccolo schermo assistiamo a quel
passaggio verso il “divismo di prossimità”185, rafforzato poi dall’occasione di incontrare
anche per strada i conduttori televisivi. Il divismo che si afferma nel piccolo schermo e nel
panorama italiano assume diversi caratteri, è un divismo a volte “modesto”, “rassicurante”,
“acqua e sapone”, “proletario”, un “divo per caso”186 che si negli anni si è affermato con
Fiorello, Baudo, Carrà e trova sicuramente in Mike Bongiorno la sua prima espressione. Un
divo, tornando al talk, che si riconosce nei conduttori televisivi e vede in Michele Santoro o
Enrico Mentana dei degni rappresentanti.
È possibile addirittura identificare una serie di “poteri” che il talk assicura al giornalista-
conduttore187:
184 Massimiliano Panarari, La divo-tv in Aldo Grasso, Storie e culture della televisione italiana, 2013, p. 239
185 Ibidem
186 Ivi p.2 46
187 Prandstraller Gian Paolo, Il potere dei giornalisti. Note sul Talk show come maieutica sociale, in Problemi
dell'informazione 36.1, 2011, p. 48
118
- Potere di “invito” o “convocazione”, grazie la discrezionalità spesso riconosciuta al
giornalista nella scelta di chi avere in trasmissione.
- Potere di evocazione storica grazie il vario materiale di archivio che può sfruttare per
orientare la percezione di certe tematiche.
- Potere di coinvolgimento di personalità artistiche in grado di creare spettacolo ed
attrarre pubblico.
- Potere di pubblicizzazione di opere (libri, canzoni, spettacoli ecc.).
- Facoltà di accesso al sistema editoriale (è un personaggio le cui opere sono
facilmente vendibili).
- Potere di influenza politica.
OSPITI
A. Il ruolo degli ospiti nella costruzione del programma può diventare centrale e questo sia in
virtù della performance compiuta, che contribuisce a segnare lo sviluppo narrativo delle
puntante, sia nel processo di selezione di quali personalità avere in trasmissione e quindi
quale narrazione si vuole mettere in scena. Ospite e schema narrativo (Marchianò, 2014)
diventano così profondamente legati e vincolati l’uno all’altro. Questo perché l’ospite
interviene in un contesto pre-strutturato, orientato su un tema ed arricchito da altri elementi
(conduttore, altri ospiti, servizi ecc.), ma a sua volta ha capacità di intervento e ridefinizione
della narrazione. L’identità quindi un programma tv è profondamente legata alle personalità
che vengono chiamate ad arricchirla, scelta che tiene conto di188:
1. La competenza a parlare di un tema;
2. Il grado di coinvolgimento rispetto al tema del dibattito;
3. La notorietà.
PUBBLICO
Il pubblico in trasmissione riveste una duplice funzione: presenza e partecipazione delegata
(Peverini, 2012, p.107), ricoprendo un ruolo mai indifferente.
188 Peverini Paolo, I media: strumenti di analisi semiotica, Carocci, 2012, p. 100
119
Per un’analisi di questo tipo si prende in considerazione lo “spazio di parola” e il “numero
dei soggetti coinvolti nello scambio”, determinante in questo caso è evidenziare il tipo di
intervento permesso al pubblico: applaudire, intervenire, gestualità ed espressioni del volto,
inquadrature scelte ecc. Quest’ultimo aspetto è determinante in termini di
spettacolarizzazione: movimenti, espressioni, reazioni che si sceglie di inquadrare e mandare
in onda rappresentano vicinanza, opposizioni, consenso alle tesi appena espresse in studio.
Ma così come gli altri elementi anche il pubblico ha subito importanti trasformazioni nel
corso degli anni e dalle tribune della Rai in cui il pubblico non è ammesso a “Il Confronto”
in cui viene chiamato all’interazione in ogni modo possibile, troviamo altri svariati usi, il
pubblico “passivo” di Porta a Porta o quello “attivo” di Milano, Italia e Samarcanda.
Abbiamo già parlato della capacità dei talk di creare un pubblico fidelizzato con specifiche
caratteristiche socio-demografiche vediamo quindi ora l’analisi dei pubblici di alcuni talk
della passata stagione189.
In particolare evidenziamo i risultati dei programmi, Ballarò e diMartedì, che si sono divisi
il pubblico del martedì sera da settembre 2015 a giugno 2016 e che hanno raggiunto il
risultato maggiore in termini di share (5,6%). Il pubblico di Ballarò ha più di 65 anni di età,
un livello di istruzione più basso ed è equilibrato, mentre quello di diMartedì ha un livello
di istruzione più alto, con una maggiore componente maschile, ma sempre di età adulto-
anziana.
189 Barra, Luca e Massimo Scaglioni, Di necessità virtù. Talk show politici e logiche televisive, in Problemi
dell’Informazione 3, 2016, p. 548
120
Naturalmente è possibile identificare soltanto i caratteri generali di un’audience ampiamente
variegata a seconda del programma in questione. Si ritiene quindi che il pubblico di Rete 4
sia pubblico tendenzialmente conservatore e questa è la linea che si è deciso di seguire per i
due talk della rete Quinta Colonna e Dalla Vostra Parte. “È noto che il profilo dello
spettatore tipico del talk è maschio, ultracinquantenne, di classe socio-economica medio-
alta, di cultura medio-alta.”190 Categorizzazione in cui rientrano Piazza Pulita, Ballarò, Otto
e mezzo ma con notevoli eccezioni come Porta a Porta, Che fuori tempo che fa, Quinta
Colonna, Dalla vostra parte programmi con un target tendenzialmente femminile, anche con
livelli più bassi di istruzioni, classe economica alta ma sociale bassa.
PARTE IV
190 Mazzoleni Gianpietro, Un unico, insostenibile talk show, Il Mulino 65.6, 2016, p.950
121
4.2 IMMIGRAZIONE E TALK SHOW: Una proposta d’analisi
“Le forme testuali dei media non funzionano semplicemente come recipienti dove le
informazioni e i messaggi si raccolgono e vengono trasmessi all’esterno; quest’idea
decisamente meccanicistica è del tutto insoddisfacente perché riduce i fenomeni mediali a
semplici artefatti, contenitori di processi comunicativi più o meno complessi”191.
Si è deciso a questo punto di concludere l’elaborato con un’analisi di 3 puntate di 3 talk show
in cui si è trattato il tema dell’immigrazione. I programmi scelti sono stati: Porta a porta,
Matrix e DiMartedì, 3 programmi rappresentativi delle reti Rai, Mediaset e La7 che, nel
corso del periodo preso in esame, hanno trattato il tema ed ospitato in studio alcuni tra i
principali attori politici del momento. Il periodo preso in considerazione va dal 26 aprile
2017 al 3 maggio 2017, si è deciso di far riferimento a questa settimana in particolare perché
al centro dell’agenda in quei giorni avevamo le dichiarazioni del procuratore di Catania,
Carmelo Zuccaro, sui presunti contatti Ong - scafisti.
Talk Show Conduttore Data
Porta a porta Bruno Vespa 3 maggio 2017
Matrix Nicola Porro 26 aprile 2017
DiMartedì Giovanni Floris 2 maggio 2017
Per quanto riguarda la metodologia utilizzata si è deciso di ispirarsi alla semiotica e
riproporre la griglia di analisi elaborata da Paolo Peverini.
“Uno degli obiettivi che muovono l’approccio sociosemiotico allo studio dei fenomeni
comunicativi è dunque quello di superare una visione semplicistica e ingenua dei prodotti
mediali, proponendo uno studio approfondito dei meccanismi che determinano il consumo
e la circolazione sociale di “oggetti” solo apparentemente scontati, privi di complessità”192
.
191 Peverini Paolo, I media: strumenti di analisi semiotica, Carocci, 2012, p.12
192 Ivi p.7.
122
Scheda di analisi del talk show a contenuto informativo
FORMATO E COLLOCAZIONE
Durata.
Fascia oraria e disposizione nel palinsesto.
IL SET TELEVISIVO
Com'è articolato il set? Lo spazio simula un luogo reale o si caratterizza
esplicitamente come un luogo televisivo?
Descrivere come si relazionano i vari soggetti (conduttore, collaboratori, ospiti,
pubblico) all'interno dello spazio.
I PARTECIPANTI. CARATTERISTICHE E RUOLO
Quanti sono i partecipanti? Caratteristiche (sesso, età, appartenenza etnica), sociali
(professioni, titoli), psicologiche (caratteri)?
Quali partiti politici, istituzioni, movimenti, associazioni sono rappresentati?
L'orientamento politico dei partecipanti e/o l'orientamento nei confronti del tema
dibattuto sono esplicitati? Che genere di corrispondenza sussiste tra le opinioni dei
partecipanti e la loro collocazione fisica nello studio televisivo?
LA STRUTTURA
Descrivere le caratteristiche del paratesto: sigla di apertura/chiusura.
La puntata è inquadrata in una cornice enunciativa composta da
un'introduzione/conclusione? Quali sono i soggetti responsabili di questo spazio
mediale? Il genere discorsivo è omogeneo rispetto al programma o viene fatto uso
della satira?
Come si articola la struttura del programma? La puntata è monotematica o
pluritematica?
123
Quante sequenze sono presenti, come si raccordano tra di loro? Ci sono servizi di
approfondimento? Come si relazionano con lo svolgimento del dibattito in studio?
Infografica: sono presenti tabelle, grafici, schemi? In quale momento, dove e come
vengono introdotti?
IL DIBATTITO
Quale ordine regola la presa della parola?
Il discorso del parlante è completo o sono presenti interruzioni?
Quali e quanti sono i soggetti coinvolti nel dibattito?
Che stile assume il conduttore nei confronti del dibattito?
IL QUADRO PARTECIPATIVO
Il pubblico in studio partecipa in modo attivo al dibattito? Come viene regolato il
suo intervento?
ENUNCIAZIONE TELEVISIVA
Dove sono situate le telecamere? Individuare lo stile della regia esaminando la
tipologia di inquadrature, la successione dei piani di ripresa, la durata dei campi
dedicati agli ospiti, al conduttore, al pubblico.
Innesti e disinnesti. Individuare i momenti di passaggio sul piano spaziale e
temporale: collegamenti in diretta dallo studio all'esterno, lancio di servizi di
approfondimento, telefonate.
Convergenza mediale. Quali media sono utilizzati nel programma? Qual è il ruolo
del Web nella costruzione del programma?
124
Porta a porta
La puntata analizzata di Porta a porta risale al 3 maggio193, va in onda in seconda serata e
la durata è di 1 ora e 40 minuti mentre il tempo dedicato alla tematica ong è di 34 minuti.
Non ci soffermiamo sul set televisivo, in quanto già analizzato nel precedente capitolo,
ripetiamo soltanto che rappresenta il “salotto televisivo” per eccellenza, con l’utilizzo delle
porte nella scenografia e il campanello all’entrata degli ospiti che sono diventati elementi
caratterizzanti questo talk. Per quanto concerne la disposizione dei personaggi all’interno
dello spazio ci troviamo di fronte ad una classica arena mediale con struttura semi-circolare
che prevede il ruolo centrale del conduttore dietro una scrivania e il pubblico di fronte.
I personaggi chiamati a trattare il tema sono: Nicola Latorre (Presidente della commissione
difesa del Senato del Pd) Matteo Salvini (Segretario generale Lega Nord) Marco Bertotto
(Medici senza frontiere) e Francesca Ronchin (giornalista Rai 1).
La puntata viene strutturata lungo 3 tematiche: immigrazione/ Brigitte Macron/ un caso di
stalking-omicidio
Il soggetto responsabile dello spazio mediale è il conduttore e il genere discorsivo risulta
omogeneo, privo di satira.
Sono presenti servizi di approfondimento lanciati dal conduttore per introdurre spunti di
riflessione e nella mezz’ora dedicata alla tematica dell’immigrazione in tutto sono stati
lanciati 4 servizi, di cui il primo ha introdotto il tema della puntata con due minuti di servizio
sulle dichiarazioni del procuratore di Catania.
Per quanto riguarda invece l’infografica, benché manchi in questo caso l’utilizzo di un
plastico (elemento comunemente usato a Porta a porta), troviamo l’uso comunque di cartina
e dati da parte di Matteo Salvini e soprattutto l’utilizzo di una cartina online per mostrare la
posizione delle navi delle ong spiegata da Francesca Ronchin.
In riferimento al dibattito, l’ordine di parola viene completamente gestito dal conduttore e
segue l’alternanza Latorre - Salvini - Bertotto - Latorre - Salvini – Latorre - Salvini. Il ruolo
del conduttore è quello dell’arbitro che concede lo spazio ad ogni ospite per esporre il proprio
pensiero, ogni intervento è completo senza interruzioni né da parte del conduttore né degli
altri ospiti.
193 http://www.raiplay.it/video/2017/04/Porta-a-Porta-8a8d2ddc-f61b-4eee-b77a-a693215a5ebf.html
125
Il ruolo del pubblico è completamente ridotto al momento di apertura e chiusura del
programma con un’inquadratura di spalle, non è chiamato ad intervenire tantomeno ad
applaudire nel corso della trasmissione.
Per quanto riguarda lo stile della regia sembra riflettere lo stile del programma, così come il
pubblico non è chiamato ad intervenire, infatti non viene mai neanche ripreso e, così come
il discorso di ogni ospite è completo e ininterrotto, così anche la sua inquadratura è ferma
sul mezzo busto e con rapide riprese sullo studio e sul conduttore (ma mai sui volti del
pubblico o degli ospiti).
Per quanto riguarda il contatto con l’esterno è presente soltanto con il collegamento con
Bertotto mentre la presenza del web è ridotta all’intervento di Ronchin.
In conclusione, alla luce delle considerazioni fatte nei precedenti capitoli, ciò che emerge in
questa puntata sono una serie di considerazioni in linea con quanto precedentemente
riportato. Al di là della giornalista, a cui viene riservato un posto tra il pubblico, gli ospiti
ufficiali a trattare la tematica sono quindi 3, due provenienti dal mondo della politica e uno
dalle ong, tutti e 3 uomini. Il dibattito è completamente riservato alla scena politica e non
solo perché Bertotto è in collegamento e quindi i due ospiti in studio sono in primo piano
uno di fronte all’altro, ma anche per l’ordine di parola concesso dal conduttore che prevede
3 interventi per Salvini e Latorre e uno per Bertotto.
Emerge inoltre lo stile comunicativo di Salvini coerente con le conclusioni riportate da
Giuseppina Bonerba194, il politico è l’unico a fare un ampio utilizzo di dati e statistiche e
non soltanto esponendo i suoi fogli ma anche alzandosi e riscrivendoli lui stesso alla lavagna
riuscendo per alcuni minuti a dirottare completamente l’attenzione sulle sue considerazioni.
La capacità di imporre i propri frame da parte del politico emerge anche nelle supposizioni
più volte ripetute su come tra gli immigrati non registrati potrebbero esserci terroristi, nonché
i riferimenti alle comodità che il governo garantisce agli immigrati e non alle popolazioni
colpite dal terremoto.
194 Voci. Annuale di Scienze Umane XIII ANNO 2016.
126
Matrix
La puntata analizzata di Matrix risale al 26 aprile195, va in onda in seconda serata e la durata
è di 2 ore mentre il tempo dedicato alla tematica ong è di 25 minuti.
Anche in questo caso il set è stato analizzato nel secondo capitolo, siamo comunque di fronte
all’abbandono del “salotto” e all’affermazione dello studio televisivo in quanto tale. La
disposizione degli ospiti – conduttore – schermi è la stessa di Porta a porta (con l’eccezione
della scrivania del conduttore).
I personaggi chiamati a trattare l’argomento sono: Luigi Di Maio (Movimento 5 Stelle)
Riccardo Bonacina (giornalista - direttore “Vita”), Maurizio Molinari (direttore La Stampa),
Carmelo Zuccaro (Procuratore capo di Catania).
La puntata è pluritematica e affronta 3 argomenti principali: immigrazione – Alitalia - caso
stamina.
Anche in questo caso il conduttore è l’arbitro dello spazio mediale e il genere discorsivo
risulta completo e privo di satira, i servizi di approfondimento ci sono e, come per Porta a
porta, si delega al servizio, quindi all’immagine più emotiva e passionale, il compito di
lanciare il tema da trattare.
In riferimento all’infografica non c’è utilizzo di tabelle e grafici, mentre l’ordine di parola è
Di Maio – Molinari – Bonacina - Di Maio – Zuccaro - Di Maio – Molinari - Di Maio –
Zuccaro - Di Maio - Bonacina.
Anche in questo caso i toni sono calmi e pacati, senza interruzioni, il conduttore è arbitro
che concede la parola e lancia spunti di riflessione (come le dichiarazioni di Saviano su Di
Maio o quelle di Frontex). Non ci sono scontri e discussioni ma lo scambio può essere
definito come più dinamico rispetto Porta a porta, gli ospiti intervengono più liberamente e
riescono a guadagnare i loro spazi autonomamente.
Il pubblico non viene mai inquadrato, ma è nascosto per tutta la trasmissione, di conseguenza
non è prevista nessuna forma di intervento al di là degli applausi.
Infine per quanto riguarda lo stile della regia è possibile fare un paragone con Porta a porta,
nel talk di Mediaset è frequente durante l’intervento di un personaggio la ripresa dei volti
degli altri ospiti, è quindi prevista la possibilità di trasmettere dissenso con l’espressione
facciale, non prevista nel talk della Rai.
195 http://www.video.mediaset.it/video/matrix/full/puntata-del-26-aprile_714998.html
127
Il contatto con l’esterno vi è in questo caso con due collegamenti (Molinari e Zuccaro) e
convergenza mediale è ridotta all’intervento di Greta Mauro (il cui ruolo in studio è proprio
il contatto con la rete) che lancia un video pubblicato sulla pagina web de La Stampa.
Possiamo concludere che lo stile del dibattito e del conduttore non dista eccessivamente da
Porta a porta e Bruno Vespa ma emerge comunque una maggiore dinamismo nella gestione
della cornice enunciativa (“La polemica è diventata anche politica ma noi cercheremo come
sempre di capire cosa è successo" cit. Nicola Porro), mentre per quanto riguarda gli ospiti la
selezione ha previsto sia posizioni contrapposte che competenza in materia ma per numero
degli interventi l’attore politico è sempre il protagonista (5 interventi per Di Maio, 2 per
Zuccari, 2 per Molinari, 2 per Bonacina). Ultimo aspetto emerso è l’esposizione di una
tabella con il numero degli sbarchi da parte di Di Maio all’inizio della puntata, scelta in linea
con le considerazioni precedenti su Matteo Salvini e quindi il riconoscimento da parte della
classe politica dell’importanza di dati e statistiche, in grado di trasmettere autorevolezza,
competenza e generare impatto e stupore.
DiMartedì
La puntata analizzata di DiMartedì risale al 2 maggio196, va in onda in prima serata e la
durata è di 2 ore mentre il tempo dedicato alla tematica ong è di 7 minuti.
Siamo di fronte a un classico studio televisivo in cui viene meno definitivamente l’idea del
salotto, non a caso scompaiono le classiche poltrone, gli ospiti sono seduti su delle casse di
legno e circondati quasi interamente da un pubblico disposto anche su delle impalcature,
l’immagine è quella di “un’inquisizione” a cui viene sottoposto il personaggio.
La particolarità in questo caso è che il tema ong verrà trattato durante l’intervista fatta ad
Alessandro Di Battista e non introdotto dal conduttore ma dal giornalista Massimo Giannini.
Durante l’intervista è infatti previsto l’ingresso dei giornalisti Giannini e Massimo Franco
che posizionati in cerchio tra il conduttore e l’ospite accentuano ancora di più la metafora
dell’interrogatorio.
Anche questa è una puntata pluritematica che al di là delle interviste a Di Battista e D’Alema,
tratta anche i temi autovelox, salute e alimentazione e primarie Partito Democratico.
196 http://www.la7.it/dimartedi/rivedila7/dimarted%C3%AC-puntata-02052017-03-05-2017-211869
128
Il soggetto responsabile dello spazio mediale resta il conduttore e il genere discorsivo in
questo caso è invece fortemente caratterizzato dall’uso della satira con i vari collegamenti
con i comici Luca e Paolo nel corso della trasmissione. Assente è sia l’utilizzo di servizi di
approfondimento che il ricorso a grafici, tabelle e dati. Lo stile del conduttore appare
sicuramente più invasivo e dinamico rispetto a quello adottato da Vespa e Porro, sicuramente
pacato e amichevole ma anche disposto ad intervenire e correggere le dichiarazioni
dell’ospite. Il ruolo del pubblico, anche in questo caso ridotto all’applauso e privo di riprese
frontali, è sicuramente però funzionale all’architettura scenografica dello studio,
circondando quasi interamente l’ospite sia dal basso che dall’alto.
Per quanto riguarda lo stile della regia, più che a Matrix, vi è la ripresa costante di altri volti
(e quindi espressioni) mentre parla un altro personaggio e non solo nelle doppie
inquadrature, ma anche riprendendo le espressioni degli ospiti nel backstage. Il contatto con
l’esterno in questo caso è assente così come è assente il collegamento con il web. La
considerazione principale che possiamo trarre su questo talk è la decisione di relegare il tema
immigrazione in uno spazio molto ridotto della puntata e comunque sempre in relazione alla
scena politica, senza dedicargli una sezione apposita ma lasciandolo alle domande dei
giornalisti (decisione che verrà ribadita anche nella puntata successiva 9 maggio 2017197:
tema ong trattato durante le domande di Giannini a Di Maio). Contemporaneamente emerge
comunque il tratto principale del talk cioè lo stile incalzante sia del conduttore che dei
giornalisti che anche se in pochi minuti dedicati alle ong contraddicono ripetutamente
l’ospite.
197 http://www.la7.it/dimartedi/rivedila7/dimartedì-puntata-09052017-10-05-2017-212638
129
CONCLUSIONE
Partendo dall’assunto che il rapporto tra politica e intrattenimento ha raggiunto livelli di
interdipendenza impensabili fino a un secolo fa, l’obiettivo iniziale di quest’elaborato è stato
analizzare tale binomio alla luce delle sfumature e delle molteplici modalità espressive che
lo caratterizzano.
I media, la televisione e il talk show hanno imposto alla politica una trasformazione del
proprio linguaggio e questo è il passaggio cardine che tale progetto ha provato ad illustrare.
Ci siamo concentrati su quella che Mazzoleni e Sfardini definiscono politica pop, quindi
spettacolarizzazione e personalizzazione sono concetti caratterizzanti l’intero percorso che
tale elaborato ha deciso di perseguire. Abbiamo inizialmente cercato di fornire gli strumenti
teorici adeguati ed in grado di ampliare il dibattito sia sulle moderne modalità di fare
informazione che sulle sue conseguenze ed implicazioni. Quindi mediatizzazione ed
infotainment ma anche personalizzazione della leadership, perché gossip scandali e privacy
diventano cruciali nella rappresentazione dell’attore politico e quindi nel superamento delle
vecchie modalità di rappresentazione della politica. È per questo motivo che si è deciso di
dedicare spazio al fenomeno della leaderizzazione, sia in riferimento alla letteratura, che
tanto su temi come il “potere” e il “carisma” si è espressa, sia sul ruolo determinante dei
media che ci ha portato all’affermazione del cosiddetto “leader pop”.
Abbiamo definito la televisione come co-protagonista, testimone ed agente dei grandi
sconvolgimenti sistemici, culturali e politici registrati negli ultimi 60 anni, ma è il talk show
il format su cui abbiamo deciso di concentrarci e questo perché è in quest’arena che più che
altrove emerge la “competenza mediatica” oggi requisito essenziale della politica.
L’esigenza di raccontare la politica è stata colta dalla televisione che nel giro di poco tempo
ha sostituito i partiti in quanto agenti di socializzazione e il talk si è imposto come format
dove informazione, comunicazione, intrattenimento e spettacolo hanno iniziato la loro
fusione. Sono numerose le ricerche che si è deciso di riportare, analisi sui talk e i loro ospiti
ma anche riflessioni su telegiornali e carta stampata, tutto a dimostrazione che con
l’indebolimento dei partiti, intesi come macchina organizzativa, ciò che si è creato è uno
spazio aperto in cui il potere dei media, e principalmente del video, hanno iniziato a dilagare
incontrastati.
130
Attenzione è stata poi data al fruitore dell’informazione politica, il telespettatore e ciò grazie
ai numerosi studi che negli ultimi anni si sono concentrati sulle diverse tipologie di spettatori
e sul peso della politica pop nella dieta informativa degli italiani.
Abbiamo concluso questa prima parte con un excursus doveroso sul dibattito mai cessato sul
ruolo di responsabilità che viene attribuito ai media nella formazione delle coscienze civiche,
sociali, politiche e culturali del pubblico. Posizioni contrastanti continuano a dominare tutte
le riflessioni su questa tematica, pessimisti contro ottimisti, apocalittici contro integrati, la
paura del disimpegno e della disaffezione resta forte e un accordo ancora lontano.
Nella seconda parte di quest’elaborato, in cui si è deciso di fornitore un panoramica generale
della storia della televisione italiana, l’attenzione si è concentrata sul ruolo svolto dalle
emittenti televisive nel processo di trasformazione del modo di fare politica. Dopo
all’affermazione del “matrimonio” tra politica e televisione quest’ultima è diventata
testimone dei grandi avvenimenti politici degli ultimi 60 anni ed è su questo aspetto che si è
focalizzata la nostra attenzione. Ma dato che il protagonista di questo progetto resta il talk
show è su questo format che si è deciso di fornire una panoramica completa, non un percorso
storico ma il riconoscimento del suo ruolo a volte di specchio altre di artefice verso
l’affermazione della politica pop. Nella scelta dei programmi da prendere in considerazione
si sono utilizzati due criteri: l’analisi compiuta da Edoardo Novelli (2016) e la volontà di
riportare una panoramica soddisfacente dei talk che hanno fatto la storia delle loro reti.
Si è deciso inoltre di affrontare la tematica della cosiddetta “crisi dei talk”, in cui cali degli
ascolti, ripetitività dei temi trattati e degli ospiti invitati sono denunciati ovunque. Ma alla
luce del fonti trattate (Mazzoleni 2016, Novelli 2016, Barra – Scaglioni 2016), ci sentiamo
di affermare che più di crisi sia giusto parlare di “adeguamento” e “ridefinizione” del format.
Infine l’attenzione si è concentrata su quella che abbiamo chiamato “l’architettura del talk”,
per cui presa consapevolezza del fatto che il genere è caratterizzato da contenuti e forme
espressive altamente strutturale e riconoscibili abbiamo concluso con un’analisi dei caratteri
identificativi del talk show, sfruttando come parametro principale le riflessioni di Paolo
Peverini in “I Media: strumenti di analisi semiotica”.
In terzo capitolo introduce il focus di quest’elaborato, ossia il fenomeno dell’immigrazione
e le modalità con cui viene trattato in televisione e nei talk alla luce delle affermazioni
precedentemente riportate. La rappresentazione mediale di tale fenomeno naturalmente
risente a pieno delle considerazioni fatte sullo spettacolo della politica, la vittoria
131
dell’entertainment, e soprattutto in questo caso della “semplificazione” delle grandi
tematiche. Per questo la rappresentazione stereotipata e negativa sicuramente domina le
modalità con cui tema viene affrontato, ma non solo, emerge anche un’inadeguata
rappresentazione dei soggetti sociali (immagine infantile e rappresentazione femminile in
primis). Sono quei “difetti di informazione” riconducibili alla tendenza alla
drammatizzazione, spettacolarizzazione, linguaggio emotivo e carenza di funzione critica
dei prodotti di informazione.
Il quarto e ultimo capitolo ha avuto ovviamente l’intento di verificare praticamente quanto
le considerazioni fatte sulla politica, l’entertainment e la rappresentazione dell’immigrazione
fossero realmente riscontrabili nel talk show. 3 puntate di 3 talk rappresentativi delle tre
maggiori emittenti televisive italiane sono state analizzate durante una settimana in cui
notizie sul fenomeno erano al centro dell’agenda mediatica. Si è usato come riferimento la
griglia di analisi di Paolo Peverini e quindi un approccio sociosemiotico alla tematica.
L’intento è stato naturalmente quello di superare una visione semplicistica del prodotto
mediale proponendo uno studio di quella che abbiamo chiamato l’architettura del talk. Più
aspetti hanno trovato conferma nella nostra analisi, linguaggio, strumenti, rappresentazione
semplicistica sembrano combaciare con tutti gli elementi caratterizzanti la politica dello
spettacolo.
132
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RIASSUNTO DELLA TESI
Architettura comunicativa di un genere televisivo.
Il talk show tra infotainment politico e l’issue dell’immigrazione.
Relatore: Prof. Massimiliano PANARARI
Correlatore: Prof. ssa Emiliana DE BLASIO
Studentessa Ludovica Savina – Matricola 629422
Anno Accademico 2016/2017
Partendo dall’assunto che il rapporto tra politica e intrattenimento ha raggiunto livelli di
interdipendenza impensabili fino a un secolo fa, l’obiettivo iniziale di quest’elaborato è stato
analizzare tale binomio alla luce delle sfumature e delle molteplici modalità espressive che
lo caratterizzano. Ecco quindi che “la comunicazione e le sue forme di espressione
costituiscono elementi fondamentali della qualità e dei caratteri della democrazia”198,
contribuendo al mutamento delle forme di partecipazione alla vita pubblica, di
organizzazione dei soggetti politici, di selezione della classe dirigente. C’è stato un momento
quindi in cui il sistema politico ha dovuto fronteggiare nuovi attori in grado anch’essi di
indirizzare e condizionare il pubblico, abbiamo così assistito all’affermazione dei mass
media nella società moderna, all’evolversi e allo svilupparsi della società della
comunicazione arrivando oggi ad affermare che la sfera pubblica e i fondamenti stessi della
democrazia rappresentativa subiscono completamente i mutamenti della scena mediale.
Parliamo dell’intervista a un noto politico in un noto programma televisivo in grado di
influenzare direttamente l’agenda politica, e non solo, del giorno dopo, o la partecipazione
di un politico ormai in declino ad un programma condotto da un suo oppositore in grado di
198 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la
politica, l’Italia, Carocci, 2016, p.10.
139
rilanciare completamente il politico sulla scena contemporanea o confronti tra politici
progettati in accurate scenografie teatrali. Siamo di fronte alla cosiddetta politica pop che
Mazzoleni definisce come: “trasformazione del sistema politico e della comunicazione
politica verso forme di spettacolarizzazione e personalizzazione, di cui i media sono i motori,
ma di cui i politici sono attori entusiasti”.199
“Spettacolarizzazione” e “sensazionalismo” sono oggi i concetti chiave per identificare
l’approccio dei media alla scena politica contemporanea e del passato. Media che rispondono
alle logiche di mercato, alla fame di gossip e invadenza del pubblico, prevale quindi
l’approccio dell’infotainment, di cui nell’elaborato definiamo più attentamente le varie
declinazioni. Ma anche politainment e soft news sono altri concetti che si è affrontato,
fenomeni complessi e trasversali con cui si tenta di inquadrare in confini più o meno labili
di diversi generi e diverse modalità di fare informazione.
Parliamo quindi di una storia scritta a due mani da politica e media, di interdipendenza
reciproca e influenza costante. Nel processo di mediatizzazione che ha caratterizzato la storia
del nostro paese l’attenzione va posta su due effetti preponderanti: “personalizzazione” e
“spettacolarizzazione”.
Da un lato quindi la spettacolarizzazione della rappresentanza politica che nei vari talk show
si è gradualmente imposta, dall’altra la personalizzazione della leadership, che come
sappiamo contraddistingueva anche i forti leader del passato ma che dalla seconda
repubblica acquista una forma del tutto nuova, il passaggio è quello “dal politico all’uomo”.
Si afferma quindi il leader super omnes, con un partito a sua disposizione e che in lui si
indentifica ed è esattamente su questa trasformazione che i media hanno costruito una nuova
modalità comunicativa.
La convergenza di spettacolarizzazione e personalizzazione ha prodotto un notevole
cambiamento sul processo di visibilità degli attori politici, si entra in contatto con la
quotidianità del leader, con la sua famiglia, con il suo staff (con quell’apparato che lo
circonda che fino a qualche tempo fa restava assolutamente al di fuori dello sguardo
pubblico).
Si è deciso a questo punto di fornire una panoramica della comunicazione politica nella
televisione italiana dall’ingresso trionfale nell’arena di Tribuna politica negli anni ’60, agli
199 Ilvio Diamanti in Mazzoleni Gianpietro e Anna Sfardini, Politica pop. Da Porta a porta a'L'isola dei
famosi, Il mulino, 2009, p.7.
140
scandali degli anni ’90 fino ai giorni nostri. È negli studi televisivi che si lanciano slogan, si
annunciano candidature, si avviano rotture e si stringono alleanze, si afferma
quell’ibridazione di intrattenimento e informazione che abbiamo chiamato infotainment.
Ma era il 1960 quando la politica entra per la prima nella televisione degli italiani e Tribuna
Elettorale era il nome del primo talk show tutto all’italiana. Sono gli anni dei partiti di massa,
del “voto di appartenenza”, della mobilitazione dei militanti, della campagna elettorale nelle
piazze che per la prima volta entrano in uno studio televisivo.
Oggi l’acquisizione da parte del mezzo televisivo di un ruolo attivo nella rappresentazione e
nella costruzione dell’arena pubblica, con l’intervento sulle forme, sui linguaggi, sugli stili
del dibattito e sui suoi protagonisti è un dato di fatto.
L’attenzione si è concentrata su un’ampia gamma di ricerche e studi in grado di evidenziare
diverse tipologie di spettatori e programmi di informazione per fornire una panoramica
quanto più esaustiva della dieta informativa degli italiani e dei processi di trasformazione a
cui la politica si sottopone quando entra in contatto con l’arena televisiva.
Abbiamo concluso questa prima parte con un excursus doveroso sul dibattito mai cessato sul
ruolo di responsabilità che viene attribuito ai media nella formazione delle coscienze civiche,
sociali, politiche e culturali del pubblico. Posizioni contrastanti continuano a dominare tutte
le riflessioni su questa tematica, pessimisti contro ottimisti, apocalittici contro integrati.
Disimpegno politico, crisi della partecipazione, declino della qualità dell’informazione sono
i pericoli su cui in molti hanno messo in guardia e popolarizzazione, dumbing down,
soundbite effect, sono le tematiche su cui ci si è soffermati in questa fase.
La politica pop è il volto attuale della comunicazione politica, è il “format” principale
utilizzato dai media che trattano di politica e dei personaggi politici che approcciano ai
media, ma se tale trasformazione conduca a un disimpegno e ad una disaffezione è ancora
da scoprire.
Nella seconda parte di quest’elaborato, in cui si è deciso di fornitore un panoramica generale
della storia della televisione italiana, l’attenzione si è concentrata sul ruolo svolto dalle
emittenti televisive nel processo di trasformazione del modo di fare politica.
Dopo all’affermazione del “matrimonio” tra politica e televisione quest’ultima è diventata
testimone dei grandi avvenimenti politici degli ultimi 60 anni ed è su questo aspetto che si è
focalizzata la nostra attenzione. Negli anni Cinquanta la televisione entra nelle case degli
italiani accolta a volte da meraviglia e stupore, altre volte da diffidenza e sospetto, e
141
l’intrattenimento di solito percepito all’esterno, nei teatri e nei cinema, entra nelle mura
domestiche e ne stravolge la quotidianità. Gli eventi storici sono certamente molti, dal 1977
con la trasmissione a colori alla fine di Carosello, dalla prima televisione a pagamento
Telepiù al 2012 e il definitivo passaggio al digitale terrestre. Dal ruolo della Chiesa alla DC,
da Lascia o raddoppia? alle tribune politiche e l’ingresso della politica nel piccolo schermo,
entrano in televisione le grandi personalità dell’epoca, uomini di cultura che da anni
infiammano le piazze e che spesso risultano però spaesati di fronte questo nuovo strumento.
Soprattutto li vedremo portare sul piccolo schermo il loro linguaggio serio, istituzionale,
simbolo di una classe politica che ancora non ha colto quanto di lì a qualche tempo sarebbe
diventato cruciale il binomio politica-spettacolo. Negli ultimi anni il mercato ha subito
sempre più trasformazioni, l’evoluzione del mezzo e del suo utilizzo ha comportato la rottura
delle routine produttive, delle professionalità, delle competenze rendendo necessario un
continuo aggiornamento per stare al passo con un scenario in costante evoluzione.
Ma dato che il protagonista di questo progetto resta il talk show è su questo format che si è
deciso di fornire una panoramica completa, non un percorso storico ma il riconoscimento
del suo ruolo a volte di specchio altre di artefice verso l’affermazione della politica pop.
Parliamo in questa fase di “eventizzazione” e “fidelizzazione dell’audience”, concetti che
andiamo a definire grazie l’aiuto di numerose ricerche e studi contemporanei sui talk che più
caratterizzano l’offerta televisiva italiana.
Il genere talk nasce in America, inizialmente per uso esclusivo della radio, verso la fine degli
anni ’60 viene traghettato verso il mezzo televisivo. Fino agli anni ’70 il talk risponde alla
domanda di socializzazione che viene all’epoca rivolta a tutta la televisione e con il
raggiungimento del benessere per la maggioranza il format inizierà a rispecchiare la società
contemporanea, la società dei consumi.
Con gli anni ’80 questo macro genere inizia la sua evoluzione verso le forme di
spettacolarizzazione e intrattenimento che prenderanno il sopravvento negli anni ’90.
Tra gli anni Novanta e Duemila sicuramente il talk politico diventa uno dei format di punta
dell’offerta televisiva italiana e nell’ultima fase ha certamente raggiunto una piena maturità,
frutto di notevoli trasformazioni da quel primo esperimento di video-politica che furono
Tribune Elettorali nel 1960.
142
Evoluzione significativa risale negli anni ’90 grazie all’imposizione del modello “neo-
assembleare”200 con programmi come Samarcanda, Milano, Il rosso e il nero, con il dibattito
che scende in piazza e le istanze sociali che entrano in televisione.
Anni in cui il ruolo dei media si accosta a quello della magistratura nelle accuse aperte a una
classe politica corrotta, contribuendo non solo a segnare una fase fondamentale per la storia
politica del Paese, ma anche ridefinendo il ruolo dello stesso format negli spazi della
comunicazione politica.
La decisione è stata quella di utilizzare la storia dei maggiori talk italiani per ripercorrere le
fasi più significative dell’evoluzione della scena politica, un percorso che va dalla mission
pedagogica della rai e dal controllo dei partiti sulla comunicazione all’introduzione dei social
network e l’affermazione della “piazza” come vera protagonista.
Per la selezione dei programmi due sono stati principalmente i criteri utilizzati: 1) l’analisi
compiuta da Novelli (2016) in merito ai programmi che più di altri hanno rispecchiato il
panorama politico 2) una panoramica soddisfacente sui talk che hanno fatto la storia della
loro rete Rai, Mediaset, La7, Sky. A tal proposito i programmi scelti sono:
Tribuna elettorale / Mixer / Samarcanda / Porta a Porta / Matrix / Servizio Pubblico / Il
Confronto.
Con Tribuna Elettorale ci troviamo di fronte al primo talk show tutto all’italiana. Sono gli
anni in cui il sistema dei media è ancora agli esordi e sono i partiti i veri artefici della
comunicazione, è la fase del voto ideologico, della militanza partitica, di una scarsa mobilità
elettorale e di un ferreo controllo del governo sulla televisione, siamo in piena “democrazia
dei partiti”, in quella che Pippa Norris (2000) definisce “era premoderna”.
Si assiste alla funzione pedagogica ed educativa della tv e all’austerità dei partiti,
riconosciuti come unici protagonisti della scena politica, ma anche l’inizio del cambiamento
del nuovo decennio, del boom economico e della protesta.
Il talk si qualifica quindi come il perfetto strumento per perseguire la mission educativa dello
Stato, ciò trova conferma anche nelle parole di Fanfani per cui: “la politica in tv doveva
200 Parodi Marco, Variations in the melodrama of political TV talk shows. The aggression to Berlusconi and
the endless soap of Italian politics, in Comunicazione politica 12.3, 2011, p. 388
143
servire a raccogliere attorno al focolare dei tempi moderni – gli schermi televisivi – babbi,
mamme e figlioli, a discorrere delle cose d’Italia”201.
Per quanto riguarda la struttura prescelta ricorrono i classici elementi della comunicazione
televisiva già conosciuti dalla classe politica (conferenza stampa e appello) riducendo al
minimo la spettacolarità, l’innovazione e l’artificiosità del mezzo che così avrebbe sminuito
il ruolo degli ospiti. “Tutto quello che direttamente o indirettamente richiama la dimensione
spettacolare propria dello strumento televisivo viene attenuato e, quando ciò non è possibile,
crea imbarazzo”202.
Nonostante tutto, i primi elementi di spettacolarizzazione iniziarono a manifestarsi
addirittura con questo primo talk e il primo contatto tra politica e intrattenimento non tardò
ad arrivare. Parliamo quindi delle imitazioni di Alighiero Noschese o la parodia del
programma di Mina e del Quartetto Cetra a “Studio Uno”: “prime forme di ibridazione tra
generi diversi: politica, satira, giornalismo, intrattenimento, spettacolo”203.
Ma è Mixer che rappresenterà un nuovo modo di fare informazione dove per la prima volta
politica e spettacolo iniziano la loro contaminazione, la celebrazione della politica che d’ora
in poi è inserita in uno spazio non più esclusivo ma trattata insieme ad una miriade di altre
tematiche.
Con Samarcanda siamo negli anni Ottanta, anni di profonda trasformazione a livello
nazionale e internazionale, assistiamo alla fase di abbondanza dell’offerta televisiva, della
ricerca di nuovi format, nuove contaminazioni, nuovi registri espressivi. Cambia la gestione
del dibattito, cambia la selezione degli ospiti, entra definitivamente il pubblico nel piccolo
schermo in quanto soggetto competente e si afferma definitivamente il ruolo carismatico del
conduttore e in questo Samarcanda con Michele Santoro ha segnato una profonda
evoluzione.
Arrivati agli anni Novanta le trasformazioni in materia di comunicazione politica sono
notevoli, si afferma l’emotività, l’elemento passionale a discapito del ragionamento, si apre
201 Giulia Guazzaloca, Tribune e tribuni nella rai degli anni Sessanta, in Aldo Grasso Storie e culture della
televisione italiana, 2013, p.119
202 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la
politica, l’Italia, Carocci, 2016, p. 44
203 Giulia Guazzaloca, Tribune e tribuni nella rai degli anni Sessanta, in Aldo Grasso Storie e culture della
televisione italiana, 2013, p. 121
144
l’era del confronto/ scontro; emerge il ruolo del cittadino-spettatore titolato ad intervenire
nel dibattito (Novelli 2016), si procede verso la “democrazia del pubblico” (Manin 2010). A
cambiare profondamente in questa fase è la visione ed il rapporto che il telespettatore
instaura con il leader politico, portando a maturazione quel processo di personalizzazione
già iniziato negli anni precedenti. L’immagine e il linguaggio del corpo diventano una
variabile determinante per consacrare il rapporto di fedeltà che si instaura con lo spettatore,
diventando simbolo di competenza e professionalità. Nasce in questa fase il “salotto
televisivo della Seconda Repubblica” Porta a porta il 22 gennaio 1996.
“Il programma pensato come approfondimento di attualità ha l’intento di avvicinare il
grande pubblico al <Palazzo>, facendolo diventare <vicino di casa>”204. Non a caso da
Berlusconi a Renzi, da Letta a Grillo tutti i maggiori leader italiani continuano ad entrare nel
programma che Andreotti definì “la terza Camera del Parlamento italiano”.
Si afferma in questo contesto una rappresentazione della politica profondamente
semplificata e soft, pacata, composta, non ostacolata da scontri con altre forze della scena
pubblica come movimenti, sindacati ecc, “dove la chiacchierata ha preso il posto del
confronto politico”205. Ma dove soprattutto il pubblico torna ad essere un fruitore passivo
senza alcuna possibilità di intervenire nello svolgimento del racconto. “Il pubblico posto
sull’ipotetica cavea semicircolare del teatro greco rimanda immediatamente alla posizione
uditoria del pubblico a casa, seduto sul divano avanti alla televisione. Il telespettatore – così
come lo spettatore in sala – ricopre essenzialmente il ruolo di distaccato osservatore, simile
del resto a quel pubblico che Aristotele descriveva nella sua Poetica”206.
Diventa quindi il teatro dei grandi annunci, si è parlato precedentemente di una tv non più
spettatrice di fatti nati altrove ma artefice diretta di momenti storici per il paese, ecco quindi
che a Porta a porta la classe politica si rivolge direttamente alla cittadinanza.
La risposta di Mediaset è Matrix che, rispetto al suo avversario, introduce un elemento
dinamico che ritroviamo nella sigla, nella prospettiva scenica, nel ritmo del dialogo. Poco
204 Mazzoleni Gianpietro e Anna Sfardini, Politica pop. Da Porta a porta a'L'isola dei famosi, Il Mulino,
2009. p.158
205 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la
politica, l’Italia, Carocci, 2016, p. 143
206 Denicolai, L. Parole & Media. Talk show, social network e dintorni, 2011, p. 64
145
spazio si lascia alle lunghe chiacchierate, la ricerca costante nel raggiungere il nocciolo della
questione emerge in ogni intervista.
Il mix tra hard news e soft news è completo, “gli argomenti della cultura popolare, oltre ad
essere mescolati con quelli di stretta attualità politica, economica e sociale, vengono anche
innalzati di livello, equiparati, in qualche modo, a questioni di più elevata importanza;
viceversa, le hard news riguardanti la politica nazionale e internazionale subiscono un
intervento di popolarizzazione finalizzato a renderle più semplici e comprensibili per un
pubblico più ampio e vario”207. Ma le differenze con Porta a porta ci sono ed emergono
principalmente nel ruolo del conduttore, distaccato e super partes, non incalza l’ospite ma
indaga e con moderazione ottiene “una sua momentanea nudità”208. L’immagine richiamata
da Denicolai è quella del film investigativo, del cinema di spionaggio e la luce che illumina
a cono l’ospite non è altro che la lampada sulla scrivania di un commissario.
Ma l’evoluzione del contesto comunicativo mediatico odierno prosegue ed assume forme
sempre più “ibride”. Oggi la commistione tra televisione e nuovi media ha raggiunto un
altissimo grado di interdipendenza e il predominio che la televisione ha esercitato per oltre
cinquant’anni nella percezione della scena pubblica vede l’avvento della rete porre un
necessario ripensamento dei ruoli.
La maggior parte delle trasmissioni hanno inglobato i social network nella propria struttura
riuscendo così ad aumentare il grado di spettacolarizzazione e coinvolgimento che li
caratterizza, quindi la possibilità di rivedere online le puntate o di vederle direttamente
online, la comparsa di tweet in diretta , l’utilizzo delle app sono strumenti “per sottolinearne
l’apertura e l’orizzontalità, nonché di inserire nella trasmissione la voce del pubblico,
arricchendo il programma di un ulteriore piano comunicativo”209. Abbiamo quindi Servizio
Pubblico, show trasmesso inizialmente su una multipiattaforma di televisioni satellitari,
emittenti locali e siti internet finanziandolo con una donazione di 10 euro da parte di 100.000
spettatori e il contributo del Fatto Quotidiano. Ma soprattutto vediamo l’esempio di un
207 Marinelli, Alberto, and Elisabetta Cioni, Public screens: La politica tra narrazioni mediali e agire
partecipativo. Volume Completo. Media and Heritage1.1, 2014, p. 167
208 Denicolai, L. Parole & Media. Talk show, social network e dintorni, 2011, p. 66
209 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la
politica, l’Italia, Carocci, 2016, p. 182
146
programma in particolare: Il Confronto, dove emerge la decisione di riproporre lo studio del
più noto talent show della rete X Factor.
Il Confronto rispecchia la trasformazione vissuta negli ultimi anni sia dalla politica che dalla
televisione, da una parte la ricerca costante di nuove modalità innovative di rappresentazione
del dibattito pubblico, dall’altra i profondi cambiamenti della cultura politica italiana.
Abbiamo visto come l’evoluzione del talk show negli anni abbia rispecchiato a pieno il
contesto di riferimento, riflettendone i caratteri attuali oppure riuscendo ad intercettare le
trasformazioni circostanti mettendo in atto nuove modalità comunicative.
Dagli anni Sessanta caratterizzati da una rappresentazione del sistema partitico autorevole
ed elitario nelle tribune della Rai siamo giunti ad un rovesciamento dei rapporti di forza,
all’affermazione di una scena pubblica orizzontale attiva, ostile alle figure di mediazione e
soprattutto diffidente dell’attuale panorama politico. Ma da qualche anno si parla della crisi
del talk show, cali degli ascolti, ripetitività dei temi trattati e degli ospiti invitati sono
denunciati ovunque. Ma le reti nonostante tutto continuano ad assicurare un uso massiccio
del format e ciò perché più che di “crisi del talk” sembra giusto ipotizzare un suo graduale
adattamento al nuovo clima politico. I dati registrati dai talk non possono essere mai
sorprendenti e questo per svariate ragioni, il mezzo televisivo è comunque orientato
all’entertainment e l’informazione politica ne costituisce soltanto una piccola parte, abbiamo
inoltre ripetutamente riportato quanto sia ridotto anche il target dei talk politici (sia per
istruzione che per età) ed è importante sottolineare che per un’analisi adeguata i risultati di
ogni singolo programma vanno inseriti nel macrogenere del talk e nei numeri complessivi
raggiunti dal format.
In base agli studi proposti nell’elaborato possiamo affermare che “Nel complesso si può
parlare di un genere solido, ben definito e strutturato nell’offerta, all’interno del quale è in
corso un processo di rinnovamento e sperimentazione e talmente istituzionalizzato da
sostenere anche un’azione di celebrazione storica”210.
In terzo capitolo introduce il focus di quest’elaborato, ossia il fenomeno dell’immigrazione
e le modalità con cui viene trattato in televisione e nei talk alla luce delle affermazioni
precedentemente riportate. “L’immigrazione ormai accompagna la nostra vita, le nostre
giornate. È un capitolo importante e ricorrente dello “spettacolo della vita”, che scorre sugli
210 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la
politica, l’Italia, Carocci, 2016, p. 215.
147
schermi e sulle pagine dei media”(Ilvio Diamanti)211. Il ruolo svolto dagli strumenti di
comunicazione sulla percezione che il pubblico ha di certe tematiche è determinante e, di
conseguenza, le policies a loro volta vengono influenzate dal discorso pubblico che si
articola intorno un certo tema.
La sfera dei media rappresenta il campo (Binotto, Bruno, Lai, 2016) dove i temi sociali si
esprimono, si costruiscono e dove si trovano soluzioni. In questo contesto determinante
diventa il peso esercitato da vari fattori come aspetti linguistici, metaforici, la selezione e
gerarchizzazione delle issues e, infine, le immagini mediali.
Quando si parla di social problems il panorama diventa più complesso e anche la costruzione
mediale delle tematiche assume diverse sfaccettature, a partire dalla stessa definizione di
“problema sociale”.
“La definizione dei problemi sociali (e ciò è tanto più significativo nella cosiddetta società
dell’incertezza o del rischio) è pertanto un processo saldamente ancorato ai sistemi valoriali,
all’identità collettiva, alle norme condivise. I media svolgono così una funzione ideologica
di controllo sociale, affermando e ribadendo la norma e definendo deviante ogni
comportamento o soggetto che sembra perturbare un ordine sociale presentato di per sé come
desiderabile: la focalizzazione su eventi e singoli “casi da prima pagina”, oppure l’utilizzo
dei dati statistici relativi alla criminalità diventano fondamentali per la costruzione di un
consenso verso misure eccezionali ed emergenziali (Altheide 2007) oppure, nel caso qui
presentato, di “difesa” simbolica di uno spazio “nostro” rappresentato come sotto
assedio”212.
La percezione di certe tematiche è strettamente connessa alla rappresentazione stereotipata
e negativa diffusa dai mezzi di informazione: “Il potere dei mezzi di comunicazione di massa
risiede nella capacità di modellare una determinata realtà sociale. Gli spettatori, anche i meno
attenti, in qualche misura sono investiti da questo potere, trasferiscono le informazioni
mediatiche nella percezione del loro mondo reale (Bandura, 2001).”213. La percezione del
211 Associazione Carta di Roma and Osservatorio di Pavia. "Notizie di oltre i muri." Quarto rapporto Carta di
Roma (2016).
212 Binotto Marco, Marco Bruno e Valeria Lai, eds. Tracciare confini. L'immigrazione nei media italiani:
L'immigrazione nei media italiani. FrancoAngeli, 2016, p.17
213 Latrofa, Marcella e Jeroen Vaes. Potere mediatico e pregiudizio: I mass-media influenzano la nostra
percezione sociale?.In-Mind Italia p.18
148
problema è stata al centro di numerose ricerche negli anni e si è ritenuto fondamentale
riportarne alcune effettuate in periodi diversi tra loro a dimostrazione della radicalizzazione
del binomio criminalità - immigrazione che prescinde dall’attuale contesto.
“La gigantografia è un processo fotografico, l’alterazione delle forme e delle dimensioni di
una stessa immagine per enfatizzarne un aspetto. È quanto avviene alla rappresentazione
dell’immigrazione. Intanto, per larga parte, si tratta di una fotografia, un fotogramma fermo
ormai da quasi quaranta anni su un fenomeno in perenne movimento. I media sembrano
accontentarsi di questa immagine statica e apparentemente immutabile. Hanno scelto un
particolare, una parte da ingrandire ed esaltare. È quella nera, la parte oscura e tenebrosa
presente in ogni fenomeno umano. È quella problematica; quella legata al vocabolario del
delitto, alle sue emozioni e ai suoi dolori; alle paure, al terrore di essere invasi e al timore
dell’ignoto, della povertà e del degrado”214.
Partendo dalla consapevolezza che l’attenzione sui fatti di cronaca nera è maggiore rispetto
ad altri tipi di notizie ciò che emerge è che la centralità aumenta in base alla nazionalità delle
persone sospettate/colpevoli, “quando quest’ultime sono straniere si trovano, in media, più
vicine alla prima pagina e quindi in una posizione ben più visibile delle altre”215.
Contemporaneamente però emerge una scarsa propensione all’approfondimento delle
tematiche e alla diffusa semplificazione, “la continua ripetizione di immagini (sbarchi,
gommoni carichi fino all’inverosimile,…) e di espressioni (“emergenza immigrazione”,
“ennesimo sbarco di clandestini”,…) stereotipate, oltre ad avere un effetto “ansiogeno” e a
contribuire, dunque, alla diffusione del panico e alla “sindrome dell’invasione”, ne ha,
paradossalmente, anche uno, per così dire, “abitudinario”216.
Su queste riflessioni si basano anche gli studi e le considerazioni che abbiamo riportato sulla
rappresentazione della tematica in vari talk show italiani e in contesti differenti. Quindi turni
di parola, servizi, sondaggi, capacità oratoria degli ospiti di orientare i frame della
conversazione su temi di loro interesse sono gli aspetti centrali in questa fase dell’elaborato.
Ma anche titolazione delle notizie, scelte stilistiche sono concetti a cui si è dedicato ampio
214 Binotto Marco, Marco Bruno e Valeria Lai, eds. Tracciare confini. L'immigrazione nei media italiani:
L'immigrazione nei media italiani. FrancoAngeli, 2016, p. 33
215 Ivi p. 88.
216 http://www.nuovefrontierediritto.it/media-comunicazione-immigrazione/
149
spazio al fine di evidenziare gli elementi standard nella trattazione dell’immigrazione, che
sono: nazionalità e status giuridico.
Diventa impossibile collocare temporalmente i titoli riportati ma è possibile evidenziare
quindi la caratteristica comune a tutti che è il riferimento alla nazionalità: “Arrestati due
marocchini e un tunisino” (La Stampa), “Fermato un clandestino” (Corriere), “banda di
nigeriani” (Tg4 del 15/1), “Rumeni in manette” (Tg3 del 24/4), una grande quantità di titoli
completamente interscambiabili217.
Nel caso dell’informazione televisiva naturalmente è l’immagine a farla da padrona, in grado
di generare empatia, invidia, disgusto e pietà, sommata a toni e annunci emergenziali riesce
a creare una cornice in cui la “coloritura emotiva” è notevole. Ma raggiungendo i talk show,
i veri protagonisti di questo elaborato, la questione può diventare ancora più grave, proprio
in virtù di quei fenomeni di spettacolarizzazione e drammatizzazione che abbiamo già
precedentemente trattato. Se si possa parlare di razzismo nel linguaggio politico nei talk
show se lo chiede Giuseppina Bonerba che innanzitutto sottolinea come nella percezione di
un problema sociale determinante sia il ruolo dei claim-makers (politici, giornalisti, esperti)
nella costruzione della tematica all’interno di un frame coerente ed autorevole ma soprattutto
etico ed oggettivo. Bonerba quindi mette in luce come nell’arena mediatica dei talk si noti
la tendenza ad identificare il fenomeno migratorio come un problema sociale e quindi anche
connotarlo di elementi razzisti ma dietro un velo di oggettività e benevolenza da parte del
leader politico. Il quarto e ultimo capitolo ha avuto ovviamente l’intento di verificare
praticamente quanto le considerazioni fatte sulla politica, l’entertainment e la
rappresentazione dell’immigrazione fossero realmente riscontrabili nel talk show.
“Avvicinare il panorama dei media significa scegliere di osservare un mondo complesso e
in continua evoluzione cercando di cogliere dietro la molteplicità di linguaggi format e
formati una serie di logiche di fondo, dei meccanismi interni che assicurano il funzionamento
del sistema della comunicazione declinato nelle sue numerose forme espressive”218. Il talk
rappresenta un genere caratterizzato da contenuti e forme espressive altamente strutturate e
riconoscibili, parliamo di programmi essenzialmente caratterizzati da due elementi, che sono
217217 Binotto Marco, Marco Bruno e Valeria Lai, eds. Tracciare confini. L'immigrazione nei media italiani:
L'immigrazione nei media italiani. FrancoAngeli, 2016, p.67
218 Peverini Paolo, I media: strumenti di analisi semiotica, Carocci, 2012, p. 9
150
l’attualità delle tematiche trattate e l’affermazione del dibattito come modello di interazione
dominante, tendente poi allo scontro, confronto o intervista a seconda dei contesti.
In questa ultima parte dell’elaborato l’attenzione si è concentrata sull’architettura del teatro
televisivo “I talk diventano teatri (televisivi) dove la vita politica viene raccontata con
maggior gusto per il pubblico, perché direttamente messa in scena: vi si distinguono
personaggi principali e secondari, trame, luoghi, rituali, colpi di scena, ascese e cadute,
alleanze e vendette, un materiale narrativo eccezionalmente vario – come varia è la realtà
politica – che nella trasposizione televisiva risponde a precise norme estetiche”219.
Proseguiamo cercando di prendere in considerazione i caratteri identificativi del talk show,
sfruttando in parte la divisione elaborata da Paolo Peverini in “I Media: strumenti di analisi
semiotica”: Set – Struttura testuale – Dibattito – Ruoli ( Conduttore/ Ospiti/ Pubblico).
In conclusione troviamo un’appendice con un’analisi di 3 puntate di 3 talk show in cui si è
trattato il tema dell’immigrazione. I programmi scelti sono stati: Porta a porta, Matrix e
DiMartedì, 3 programmi rappresentativi delle reti Rai, Mediaset e La7 che, nel corso del
periodo preso in esame, hanno trattato il tema ed ospitato in studio alcuni tra i principali
attori politici del momento. Il periodo preso in considerazione va dal 26 aprile 2017 al 3
maggio 2017, si è deciso di far riferimento a questa settimana in particolare perché al centro
dell’agenda in quei giorni avevamo le dichiarazioni del procuratore di Catania, Carmelo
Zuccaro, sui presunti contatti Ong - scafisti.
Per quanto riguarda la metodologia utilizzata si è deciso di ispirarsi alla semiotica e
riproporre la griglia di analisi elaborata da Paolo Peverini, per cui : Formato e collocazione;
Set Televisivo; Partecipanti; Struttura; Dibattito; Quadro partecipativo; Enunciazione
televisiva sono i macro parametri presi in considerazione.
In conclusione più aspetti hanno trovato conferma nella nostra analisi, linguaggio, strumenti,
rappresentazione semplicistica sembrano combaciare con tutti gli elementi caratterizzanti la
politica dello spettacolo.
219 Parodi, Marco, Variations in the melodrama of political TV talk shows. The aggression to Berlusconi and
the endless soap of Italian politics, in Comunicazione politica 12.3, 2011, p. 390