Architettura comunicativa di un genere televisivo. Il talk show tra ... · programma televisivo in...

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1 Dipartimento di Scienze Politiche Corso di Laurea Magistrale in “Governo e Politiche” Indirizzo “Comunicazione e Nuovi Media” Cattedra di “Campaigning e Organizzazione del consenso” Architettura comunicativa di un genere televisivo. Il talk show tra infotainment politico e l’issue dell’immigrazione. Relatore: Prof. Massimiliano PANARARI Correlatore: Prof. Emiliana DE BLASIO Studentessa: Ludovica SAVINA Matricola 629422 Anno Accademico 2016/2017 INDICE

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Dipartimento di Scienze Politiche

Corso di Laurea Magistrale in “Governo e Politiche”

Indirizzo “Comunicazione e Nuovi Media”

Cattedra di “Campaigning e Organizzazione del consenso”

Architettura comunicativa di un genere

televisivo.

Il talk show tra infotainment politico e l’issue

dell’immigrazione.

Relatore:

Prof. Massimiliano PANARARI

Correlatore:

Prof. Emiliana DE BLASIO

Studentessa:

Ludovica SAVINA

Matricola 629422

Anno Accademico 2016/2017

INDICE

2

SITOGRAFIA……………………………………………………...……………………….4

PARTE I

POLITICA & INTRATTENIMENTO: UN BIONOMIO CARDINE DELLA

COMUNICAZIONE POLITICA

1.1 Il clima culturale della politca pop……………………………………………………...6

1.2 Il leader pop……………………………………………………………………………16

1.3 Il talk show………………………………………………………...…………………..22

1.4 Lo spettatore – cittadino…………………………………………...…………………..28

1.5 Agenda setting e notiziabilità…………………………………...……………………..35

1.6 Il dibattito contemporaneo……………………………………………………………..38

PARTE II

L’OFFERTA POLITICA DELLA TELEVISIONE ITALIANA

2.1 Contesto………………………………………………………………………………..42

2.1.1. Rai………………………………………………………………………...…....44

2.1.2 Mediaset……………………………………………………………...……..…..50

2.1.3. La 7……………………………………………………………………….…….53

2.1.4. Sky…………………………………………………………………….………..56

2.2 L’evoluzione del panorama politico attraverso il talk show……………..…….…..….57

2.2.1 Storia di un format di successo………………………….……………………...58

2.2.2 Tribuna elettorale...……………………………………………….…………….63

2.2.3 Mixer…………………………………………………………………….……...66

2.2.4 Samarcanda……………………………………………….…………………….68

2.2.5 Porta a Porta…………………………………………………….………………70

2.2.6 Matrix……………………………………………………….…………………..73

2.2.7 Servizio Pubblico…………………………………………….…………………74

2.2.8 Il confronto………………………………………….…………………………..76

2.2.9 Crisi o adeguatamento?…………………………………...…………………….78

3

PARTE III

CASE STUDY: LA RAPPRESENTAZIONE MEDIALE DEL FENOMENO

MIGRATORIO

3.1 L’immigrazione come oggetto mediatico……………………………………………...81

3.2 Il ritratto criminale dell’immigrazione…………………………………...…………....84

3.3 Il racconto dell’immigrazione…………………………………………...…………….90

3.4 Linguaggio emotivo …………………………………………………...……….........100

3.5 Storia dell’immigrazione della televisione Italiana……………………………..……104

3.6 Il telespettatore straniero………………………………………...…………...………106

PARTE IV

L’IMMIGRAZIONE NELLA STRUTTURA NARRATIVA DEL TALK

4.1 L’architettura del talk…………………………………………………………...……111

4.1.1 Il set………………….…………………………………………………...……112

4.1.2 Struttura testuale……….…………………………….………………...……....113

4.1.3 Dibattito………………….…………………………….…………...………….115

4.1.4 Ruoli………………….……………………………………………...………...116

4.2 Immigrazione e talk show: una proposta d’analisi……………………...……………121

CONCLUSIONE……………………………………………....…………………………129

BIBLIOGRAFIA………………………………………...……………………………….132

SITOGRAFIA……………………………………………………...…………………….135

4

INTRODUZIONE

In questo elaborato si è deciso, principalmente, di realizzare un percorso che potesse

collegare due tematiche caratterizzanti il nostro tempo: il politainment e l’immigrazione.

Il contesto da cui partiamo è determinato dalla complessità dell’attuale scenario

comunicativo, dove il moltiplicarsi degli strumenti di informazione e la centralità del ruolo

che oggi ricoprono, in quanto principali agenti di socializzazione, hanno comportato

un’importante ridefinizione dei meccanismi di produzione e circolazione dell’informazione

politica.

Ma il mondo dei media è vasto e in continua evoluzione. Per tale motivo, in questo progetto,

si è deciso di porre l’attenzione su un medium in particolare che, nonostante le sfide

tecnologiche, continua a ricoprire una posizione determinante nel sistema mediale, ossia la

televisione.

Partendo quindi da un’ampia riflessione sul rapporto tra media e politica, si cercherà di

fornire una panoramica del contesto contemporaneo, sempre sorretta da considerazioni

teoriche che costituiscono le fondamenta del nostro percorso, per giungere ad un delicato e

centrale tema la cui sorte dipenderà da come viene oggi veicolato e raccontato dal sistema

dei media e della politica.

La svolta verso il sensazionalismo e la personalizzazione dell’informazione politica, centrale

in questo elaborato, verrà trattata soprattutto in relazione ad un genere televisivo che è il talk

show, arena mediale in cui l’attore politico è sottoposto ad un’importante opera di

spettacolarizzazione.

Le riflessioni teoriche di questo progetto saranno principalmente riportate nella prima parte,

dove poniamo le basi di quel “matrimonio” tra politica e intrattenimento ormai consolidato

nel panorama contemporaneo. Infotainment, politainment, sensazionalismo e

personalizzazione sono i concetti chiave intorno a cui ruota tutta questa prima parte, con

un’analisi che tocca la politica pop e il leader pop, il telespettatore e il talk show.

Nella seconda parte forniremo un’analisi storica ed attuale del panorama televisivo che

andiamo ad indagare, non un’analisi di contesto ma una sezione determinante alla luce del

sentiero che intende percorrere quest’elaborato. Obiettivo primario in questo caso sarà

dimostrare come la televisione e i suoi talk show non solo abbiano rispecchiato decennio

dopo decennio il sistema politico e sociale in cui si inserivano, ma abbiano contribuito a

plasmarlo ed ridefinirlo.

5

Nella seconda parte di questo capitolo analizzeremo invece l’architettura del talk, intesa

come le sue componenti essenziali ed universali, in vista di quella che sarà la parte

conclusiva di questa tesi.

Nel terzo capitolo introdurremo invece il focus di questo lavoro, che abbiamo individuato

nel tema dell’immigrazione. La costruzione mediale dei social problems può essere

particolarmente complessa e delicata, ma sicuramente determinante nella percezione

collettiva che si va a creare intorno a quel tema e, quindi, delle azioni e soluzioni che

vengono proposte dalla classe politica.

Infine, la parte conclusiva sarà occupata da un’appendice che, alla luce di quanto

precedentemente esposto, in via teorica si pone l’obiettivo di analizzare concretamente le

modalità con cui il tema dell’immigrazione viene trattato nei talk show a carattere politico.

Il periodo che si prenderà in considerazione corrisponde a va dal 26 aprile 2017 al 3 maggio

2017 e Porta a porta, Matrix e DiMartedì saranno i talk su cui si è soffermerà la nostra

attenzione. Per tale analisi si è scelto di adottare un approccio sociosemiotico, perché in

grado di fornire una panoramica di carattere qualitativo sull’oggetto in esame, i grado di

“superare una visione semplicistica e ingenua dei prodotti mediali”.

6

PARTE 1

POLITICA & INTRATTENIMENTO: UN BINOMIO

CARDINE DELLA COMUNICAZIONE POLITICA

1.1 IL CLIMA CULTURALE DELLA POLITICA POP

“Una volta chi si sentiva abbandonato dal resto dell’umanità trovava consolazione nel fatto

che l’Onnipotente, almeno lui, era ogni giorno testimone dei suoi affanni. Oggi quella

funzione divina è decisamente sostituita dall’apparire in televisione”, scrive Umberto Eco

nell’articolo Dio non c’è più, la tv invece sì, su L’Espresso il 23 dicembre 20101.

Oggi il rapporto tra politica e comunicazione ha raggiunto livelli di interdipendenza

impensabili sino a un secolo fa. Partiamo in questo caso da un assunto fondamentale, ossia

che la comunicazione politica sconfina in più territori, dalla psicologia alla sociologia,

dall’antropologia alla pubblicità. Siamo quindi di fronte a una branca fortemente

multidisciplinare che proprio per questo consente di leggere ed approcciarsi alla complessa

realtà politica.

Un veloce, ma doveroso, accenno va alla storia secolare della comunicazione politica il cui

inizio si fa risalire ad Aristotele e Platone e più in generale alla filosofia greca, che per prima

si è cimentata nell’analisi dei rapporti politici tra i membri di una comunità e, in particolare,

il potere della retorica sui cittadini. La storia della comunicazione politica, naturalmente,

tocca anche il mondo romano e la sua fase repubblicana, con le celebri campagne elettorali

organizzate presso le province periferiche.

Aspettiamo comunque l’arrivo dei mezzi di comunicazione di massa per poter parlare per la

prima volta di comunicazione politica in senso stretto. Ecco quindi che “la comunicazione e

le sue forme di espressione costituiscono elementi fondamentali della qualità e dei caratteri

1 http://espresso.repubblica.it/opinioni/la-bustina-di-minerva/2010/12/23/news/dio-non-c-e-piu-la-tv-invece-

si-br-1.26905

7

della democrazia”2, contribuendo al mutamento delle forme di partecipazione alla vita

pubblica, di organizzazione dei soggetti politici, di selezione della classe dirigente. Se

nell’antica Grecia la polis costituiva l’arena, nella Roma repubblicana avevamo il foro,

nell’Inghilterra del ‘700 club e gazzette, i pamphlet e i caffè a Parigi, e ancora i parlamenti

e i giornali nelle democrazie parlamentari o le piazze e i mezzi di propaganda nei regimi

totalitari. Ed ora nelle moderne democrazie la Televisione ed è arrivato il momento, forse,

di aggiungere la Rete.

Ma il punto di svolta, per questo innalzato a pilastro di questo elaborato, è la comparsa negli

anni ’50 – ’60 della televisione.

La politica è entrata in televisione e ne è diventata la protagonista. “Il resto è storia di oggi:

dai grandi dibattiti Kennedy-Nixon a quelli più nostrani Prodi-Berlusconi; dalle pittoresche

conventions americane alla raffinata costruzione dell’immagine mitterrandiana di Jacques

Séguéla; dai grandi reportages del Vietnam di Walter Cronkite ai grandi eventi mediatici

della caduta del muro di Berlino e alla fine dell’Unione Sovietica; dalle piazze elettroniche

di Santoro alle telecronache della campagna elettorale di Obama”3.

Oggi si possiede piena consapevolezza di come i media e la loro rapida affermazione e

diffusione abbiano in poco tempo imposto alla politica una trasformazione del proprio

linguaggio, spesso calibrato anche in base al mezzo o format con cui si interfacciava.

Trasformazione che ha investito lo stesso attore politico che oggi sfrutta a sua volta i media

come principale strumento di propaganda.

C’è stato un momento quindi in cui il sistema politico ha dovuto fronteggiare nuovi attori in

grado anch’essi di indirizzare e condizionare il pubblico, non a caso nelle grandi dittature i

media continuarono ad avere quel celebre ruolo determinante nell’influenzare le masse,

questa volta piegati completamente al servizio della classe politica, privati della loro

autonomia e libertà.

Abbiamo assistito all’affermazione dei mass media nella società moderna, all’evolversi e

allo svilupparsi della società della comunicazione arrivando oggi ad affermare che la sfera

pubblica e i fondamenti stessi della democrazia rappresentativa subiscono completamente i

mutamenti della scena mediale. Parliamo dell’intervista a un noto politico in un noto

2 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la

politica, l’Italia, Carocci, 2016, p.10.

3 Mazzoleni Gianpietro, La comunicazione politica, il Mulino, Bologna, nuova, 1998, p.19.

8

programma televisivo in grado di influenzare direttamente l’agenda politica, e non solo, del

giorno dopo, o la partecipazione di un politico ormai in declino ad un programma condotto

da un suo oppositore in grado di rilanciare completamente il politico sulla scena

contemporanea o confronti tra politici progettati in accurate scenografie teatrali.

Trasformazioni “qualitative” e nel corso degli anni sempre più “quantitative” data

l’egemonia della televisione sull’intero sistema mediale. “Un tempo la copertura mediatica

era la conseguenza dell’azione politica. Oggi è il presupposto”.4

Questo elaborato si concentra sul rapporto tra televisione, in particolare talk show, e politica,

ma possiamo comunque evidenziare come anche altri rappresentanti della società

contemporanea hanno negli anni instaurato uno stretto legame con i media, non ultima la

Chiesa Cattolica, che ormai da tempo ha affermato la sua presenza sui moderni strumenti di

comunicazione. Possiamo riportare un esempio tra tutti: l’ultimo atto da pontefice di

Benedetto XVI e il suo volo verso Caste Gandolfo “un indiscutibile capolavoro

mediatico…la scenografia e i dettagli hanno trasformato un grande evento storico in un

grande evento mediatico, cosa che di per se non era per niente scontata”. 5

Mazzoleni introduce l’idea della comunicazione politica intesa come prodotto

dell’interazione fra tre attori: sistema politico (istituzioni, partiti, politici), sistema dei media

(imprese di comunicazione, giornalisti), cittadino-elettore. Di questi analizza i vari flussi di

interazione, su cui in questo caso non ci soffermeremo, ma è necessario sottolineare che tali

interazioni avvengono nelle società postindustriali soprattutto tramite i canali della

comunicazione di massa, ecco perché il ruolo dei media diventa sempre più preponderante

ed ecco perché oggi la comunità scientifica parla di “mediatizzazione” della politica.

Ci si riferisce quindi al “processo che riguarda l’arena pubblica nella quale vengono

importate e adottate dagli attori politici logiche mediatiche che possono venire a conflitto

con le logiche proprie dell’agire politico, ma che hanno finito per condizionare la scena e

spesso anche il retroscena della vita pubblica.”6

Ma questa mediatizzazione della politica sappiamo bene non limitarsi all’industria

dell’informazione e ormai dominare anche l’industria dell’intrattenimento.

4 http://www.mangialibri.com/interviste/intervista-francesco-giorgino

5 Morelli Dario, E Dio Creò i Media, Baldini&Castoldi, Milano, 2014, p.14.

6 Mazzoleni Gianpietro, La comunicazione politica, il Mulino. Bologna, nuova, 1998, p.54.

9

Parliamo della cosiddetta Politica Pop che Mazzoleni definisce come: “trasformazione del

sistema politico e della comunicazione politica verso forme di spettacolarizzazione e

personalizzazione, di cui i media sono i motori, ma di cui i politici sono attori entusiasti”.7

“Spettacolarizzazione” e “sensazionalismo” sono oggi i concetti chiave per identificare

l’approccio dei media alla scena politica contemporanea e del passato. Media che rispondono

alle logiche di mercato, alla fame di gossip e invadenza del pubblico, prevale quindi

l’approccio dell’infotainment, di cui Mazzoleni e Sfardini (2009) individuano 3 declinazioni:

Infotainment 1.0: sottogenere dell’informazione dedito al gossip e al sensazionalismo.

Infotainment 2.0: centralità del dibattito, inteso come confronto/scontro che facilmente

sfocia in spettacolo. In bilico quindi tra informazione e intrattenimento (Ballarò, Anno zero,

Porta a Porta, Matrix).

Infotainment 3.0: indossa la veste del giornalismo puro, dell’informazione vera e cruda ma

il fine è sempre lo spettacolo, quindi i programmi con i comici ne sono l’espressione più

comune (Striscia la notizia, Le Iene, Crozza a Ballarò, Rock Politic).

Al fenomeno dell’infotainment si accompagna quello del politainment, in cui la politica non

è sfruttata dai media per fare intrattenimento ma è essa stessa a produrre spettacolo. Quella

che Mazzoleni e Sfardini definiscono “politica pop”.

Prima di procedere è necessario fornire un rapido chiarimento su tali concetti accennati e

che nel corso di questo elaborato prederanno sempre più forma: Infotainment politico/ Soft

News politiche/ Politainment. Fenomeni complessi e trasversali con cui si tenta di inquadrare

in confini più o meno labili di diversi generi e diverse modalità di fare informazione.

Infotainment: con cui indichiamo l’affermazione di una nuova modalità di fare

informazione, ossia un ibrido tra politica e intrattenimento.

Mazzoleni in questo caso distingue due aspetti:

1. Assistiamo all’infotainment quando l’informazione politica cerca di essere anche

piacevole, di avere appeal sullo spettatore. Quando la notizia politica viene

confezionata al pari di qualunque altra, con elementi di gossip, curiosità o ironia.

2. Quando è il programma di intrattenimento inizia a trattare di politica, è l’emblema

della mediatizzazione, programmi dediti all’intrattenimento piegano il loro format e

il loro linguaggio alla sfera politica che si popolarizza totalmente. Quindi comici che

7 Ilvio Diamanti in Mazzoleni Gianpietro e Anna Sfardini, Politica pop. Da Porta a porta a'L'isola dei

famosi, Il mulino, 2009, p.7.

10

intervistano politici o programmi di satira che deridono leader, partiti e commentano

notizie. Sulla cui presenza Freccero afferma: “Ma la presenza del comico non ne

depotenzia l’importanza, anzi, in alcuni casi conferisce alla notizia un’aurea di

maggiore autenticità”8.

Soft news: richiamiamo i tentativi di rendere le notizie politiche “leggere”, “piacevoli”, con

i vari riferimenti alla spettacolarizzazione e alla drammatizzazione.

Politainment: con cui indichiamo l’abbandono completo al giornalismo e alle news per un

contatto diretto tra politica e spettacolo. Anche in questo caso Mazzoleni distingue tra:

1. politica divertente;

2. intrattenimento politico.

Quindi da un lato l’utilizzo di elementi di spettacolo in campagna elettorale o partecipazione

di un leader a un programma di varietà, dall’altro l’accesso dei politici nell’industria

culturale popolare, quindi partecipazione a serie tv- programmi sportivi, spettacoli teatrali

ecc.

Focalizziamo ora l’attenzione sull’infotainment e sulle strategie elaborate per rendere

attraenti le notizie politiche. Partiamo col definire il contesto italiano in cui questo fenomeno

è sorto e le sue peculiarità.

Mazzoleni distingue 3 fattori grazie a cui la TV ha condizionato la politica:

1. Fattore culturale: la tv tramite i suoi programmi è riuscita ad imporre modelli sociali

e morali comunemente accettati. Ciò tramite:

- l’esaltazione della quotidianità, la tv si presenta come la casa degli italiani, e di

conseguenza ospita la politica a casa degli italiani.

- l’autoreferenzialità, l’autocelebrazione del suo star system.

Una tendenza all’intimità con il pubblico, a un contatto reale e concreto (es: reality)

2. Fattore economico-istituzionale: in riferimento alle logiche di mercato. L’obiettivo è

uno: fare ascolti.

3. Fattore sociale: quindi una serie di variabili sociali che caratterizzano il pubblico

italiano. Si abbandona lo status di “cittadino” destinatario delle informazioni culturali

pensate dalla televisione, per ottenere il ruolo di “consumatore” di fronte a un

“prodotto” confezionato ad hoc.

8 Freccero Carlo, Televisione, Bollati Boringhieri, 2013, p 90.

11

Infotainment quindi inteso come commistione, contaminazione di linguaggio politico con

gossip, scandali, curiosità, non a caso i primi esempi mergono nei TV-magazine (Verissimo

o La vita indiretta).

Tale schema proposto da Mazzoleni nel suo volume esprime sicuramente un’interpretazione

critica della deriva dell’informazione, analizzata tramite la variabile della retorica

impegnata. Dalla TV notizia che tramite inchieste e approfondimenti restituisce al piccolo

schermo la sua mission più alta (es: Report), passando al noto dibattito televisivo dove la

spettacolarizzazione inizia ad emergere (es: Maurizio Costanzo Show), per concludere la Tv

del dolore e del gossip. “Oggi la televisione è ossessionata dal problema della realtà”9. Un

posto intermedio tra la seconda e la terza posizione è offerto invece dall’ “utility TV”, quei

prodotti a servizio dei cittadini, che intervengo attivamente per la sua difesa e tutela (es: Chi

l’ha visto, Mi manda Rai Tre, Elisir).

Parliamo quindi di una storia scritta a due mani da politica e media, di interdipendenza

reciproca e influenza costante. Il termine adeguato è mediatizzazione politica, fenomeno

come già detto comune a molti paesi ma che nella forma italiana raggiunge probabilmente

contraddizioni e livelli che rendono la nostra penisola un caso sui generis.

9 Ivi. 91

12

Il primo segnale di questa mediatizzazione emerge dalla deriva dei vari programmi televisivi

verso l’infotainment (Matrix, Ballarò, Le invasioni barbariche) e il politainment (Le Iene,

l’Isola dei famosi, Unomattina).

Due sono i celebri effetti sui cui è doveroso soffermarsi in questo contesto. Partiamo dalla

personalizzazione della leadership, che come sappiamo contraddistingueva anche i forti

leader del passato ma che dalla seconda repubblica acquista una forma del tutto nuovo, il

passaggio è quello dal politico all’uomo. I profondi cambiamenti di quegli anni, l’evoluzione

del modo di fare politica e la fine dell’appartenenza partitica hanno consentito all’elettorato

di aprirsi a nuovi approcci e a una nuova comunicazione politica. Si afferma quindi il leader

super omnes, che ha un partito a sua disposizione e che in lui si indentifica ed è esattamente

in questa trasformazione che i media hanno costruito una nuova modalità comunicativa. Si

è affermato il gossip, lo scandalo, le manie e le debolezze, “è il trionfo della logica dei media

sulla logica della politica”10. Dove per “media logic” si intende: “una «prospettiva», un

«modo di vedere» gli avvenimenti e quindi una visione del mondo che dà «forma» (prima

ancora del contenuto) alle rappresentazioni di realtà offerte al pubblico.”11

Il secondo effetto è naturalmente la spettacolarizzazione della rappresentanza politica e in

questo caso programmi come Cipria o Italia Parla ne sono stati un esempio eclatante, ma lo

strumento probabilmente più emblematico di questa tendenza è stata la capillare diffusione

degli spot elettorali sulle televisioni private, progettati e venduti come un qualunque prodotto

commerciale (ciò naturalmente fino alla legge del 2000 sulla par condicio).

Ma abbiamo parlato anche di contraddizioni che caratterizzano l’esperienza italiana, il media

power esiste e ha portata globale ma naturalmente assume declinazioni diverse a seconda dei

vari contesti nazionali, non a caso nel 2004 è stata elaborata una profonda distinzione da

Hallin e Mancini:

• Il modello pluralista-polarizzato (o mediterraneo). Con cui ci si riferisce al controllo

della politica e delle logiche partitiche sull’industria culturale dei media.

10 Gianpietro Mazzoleni, Anna Sfardini, Politica pop. Da Porta a porta a'L'isola dei famosi, Il mulino, 2009,

p.60.

11 Marini Rolando, Potere dei media, interdipendenza tra poteri e pluralismo dell'informazione, in “Problemi

dell'informazione” 42.1, 2017, p.6.

13

• Il modello democratico-corporativo (o dell’Europa centro-settentrionale). È il

modello della professionalizzazione del lavoro del giornalista, rispettoso e ferreo nel

rispetto delle regole del mestiere.

• Il modello liberale (o nord Altantico). In questo assistiamo a un bilanciamento dei

due poteri, con una sorta di controllo che i media svolgono sul sistema politico.

Naturalmente il caso italiano di colloca nel primo modello in nome di quella dipendenza che

da sempre caratterizza il giornalismo italiano dal sistema politico, richiamiamo ad esempio

le vicende della Rai e le battaglie in parlamento, gli ostacoli al pluralismo delle reti e i

vantaggi ai monopolisti commerciali.

In altre parole media al servizio della politica, utilizzati e manovrati a seconda della causa,

con il sostegno più o meno dichiarato di giornali, telegiornali o reti per una determinata

fazione politica.

Abbiamo definito peculiare l’esperienza italiana, questo soprattutto per l’ascesa alla politica

di un proprietario dei media, che grazie ai media ha raggiunto la scena politica. Un uomo

che incarna l’idolo pop per eccellenza, per estrazione sociale, per atteggiamento, per quel

famoso “carisma” che lo contraddistingue, ha creato un partito personale a sua immagine ed

è arrivato ad esprime a pieno quei caratteri di personalizzazione e spettacolarizzazione che

sono stati precedentemente citati.

Possiamo concludere che il matrimonio tra politica e tv sia avvenuto e si sia ormai

consolidato a livello internazionale e che il nostro paese abbia seguito l’onda della

spettacolarizzazione e della personalizzazione così come altrove, seppur con le peculiarità

dell’ ”anomalia italiana” che hanno portato al potere un personaggio televisivo e gestore dei

media.

La discussione fin dalle origini si è incentrata quindi sostanzialmente intorno a due grandi

macro temi che sono la logica dei media e la logica della politica, sostenendo l’affermazione

della prima sulla seconda, ossia la trasformazione che la politica assume quando entra in

contatto con i media, l’adattamento che subisce in virtù della logica di produzione dei media.

Diverse ricerche si sono susseguite negli anni sull’argomento, in questo elaborato scegliamo

di riportarne una in particolare, condotta nel 2014 da Sergio Splendore e Guido Legnante,

circa la mediatizzazione politica durante le campagne elettorali.

14

“La mediatizzazione va intesa come una prospettiva teorica che prende avvio dalla

constatazione dell’importanza dei media nella produzione e distribuzione di informazioni

sulla politica.”12

Tale ricerca non riguarda i talk show ma si concentra esclusivamente sui telegiornali

partendo da un assunto: il concetto di mediatizzazione della politica viene sempre collegato

ai concetti di infotaianmen e politainment, in format in cui siamo completamente

consapevoli che l’attore politico si adegua alla logica dei media. In questo caso si è deciso

invece di analizzare la relazione che si instaura con un format tradizionale e formale come

quello del telegiornale.

Riportiamo di seguito qualche dato, seppur non in modo approfondito per evitare di divagare

da quello che è il focus di questo elaborato, perché si ritiene sia comunque interessante

inquadrare tutto il contesto televisivo in cui la politica si inserisce.

Sono stati utilizzati i dati dell’Osservatorio di Pavia-Cares sulla presenza dei politici nei

telegiornali italiani e l’elaborazione di ricerche Itanes sulle recenti campagne elettorali.

I principali telegiornali italiani presi in considerazione sono: Tg1,Tg2.Tg3, Tg4, Tg5, Studio

Aperto nel mese precedente le tornate elettorali del 2001, 2006, 2008, 2013.

Nella Figura 1 troviamo il numero medio di minuti in cui si è trattato di politica nei seguenti

anni, con un evidente picco nel 2013 (a causa delle diverse coalizioni presenti nella

competizione).

12 Splendore Sergio e Guido Legnante, Le campagne elettorali italiane in televisione: cercando la logica

politica in un contesto di mediatizzazione, in Comunicazione politica 3, 2014, p. 464

15

Ma Splendore e Legnante si chiedono anche quanto sia il tempo di parola concesso ai politici

in questa fase nei telegiornali.

Ciò che interessa in questo caso è la crescita del tempo dedicato alla politica che da Legnante

e Splendore viene interpretato come un rafforzamento della mediatizzazione, per cui i

telegiornali, così come i talk show, non possono non dedicargli sempre più spazio.

Ciò che la ricerca a questo punto si chiede è: “la politica è diventata talmente capace di

esprimersi nei formati legati alla logica dei media da poter occuparne gli spazi con

dimestichezza, o i professionisti dei media hanno in parte abdicato al ruolo di mediatori?.13”

Dalla ricostruzione dei principali temi emersi durante le campagne elettorali ciò che risulta

è che non sono i media ad imporre le tematiche nel dibattito pubblico, ma i politici o eventi

esterni lanciano i temi di “policy”.

I media dunque ripropongono e danno grande amplificazione a tematiche sorte altrove e i

politici si adattano al linguaggio televisivo e al suo stile ma mantengono il ruolo di agenda

setter.

13 Ivi p. 474

16

1.2 IL LEADER POP

La mediatizzazione della politica ha rafforzato naturalmente il contemporaneo dibattitto

sulla leadership politica. In Italia vari sono stati i leader carismatici del passato ma è con il

segretario del Partito Socialista Italiano (1976-1993) Bettino Craxi che per la prima volta il

fenomeno della leaderizzazione viene affrontato in Italia.

Emiliana De Blasio evidenzia le 4 dimensioni dei rituali politici:

1. La dimensione della solidarietà fra i membri di un gruppo o schieramento, funzionale

alla costruzione di aggregati socialmente coesi e integrati;

2. La dimensione del potere, espresso attraverso un immaginario simbolico che fa

riferimento alla forza (soprattutto nel caso di leadership fortemente personalizzate),

allo status di rappresentanza e all’esposizione pubblica della legittimità che deriva

dal popolo (si pensi all’uso dei sondaggi come strumento di autolegittimazione

sociale oltre che come veicolo di propaganda);

3. La dimensione della condivisione di eventi e soprattutto attività performative

(l’azione politica) come elemento che contraddistingue policy ed è anche in grado di

definire i confini dell’appartenenza (si pensi a espressioni come “politica del fare”

semanticamente opposta alla “politica delle chiacchiere” attribuita agli avversari

politici);

4. La dimensione della negativizzazione dell’avversario, spesso rubricato come

“nemico”, comunque ridefinito sempre come responsabile di problemi insoluti o di

pericoli in agguato.14

Un breve excursus su il potere politico e il ruolo del leader diventa in questo caso necessario

e un autore determinante sull’evoluzione degli studi sulla leadership politica è sicuramente

Max Weber.

Egli elabora una tipologia di potere che è possibile riassumere in questo modo:

• Potere tradizionale: è quello che si basa sulla sua presunta sacralità. Il sovrano ha

potere poiché esso gli deriva da Dio o ne è sua emanazione o, ancora, è connesso a

meccanismi egemonici che non richiedono alcuna legittimazione sociale (…).

14 Emiliana De Blasio, Dalla sfera pubblica allo spazio pubblico mediatizzato: il leader nel web 2.0, in

Emiliana De Blasio, Matthew Hibberd, Michael Higgins, Michele Sorice, La leadership politica. Media e

costruzione del consenso, Carocci, Roma, 2012, p.150.

17

• Potere carismatico: è quello che si basa sull’autorevolezza di soggetti socialmente

riconosciuti come superiori o comunque capaci di operare in maniera “eccezionale”

all’interno delle comunità umane. (…) si tratta quindi del potere che possono avere

gli eroi laici e/o religiosi (…) esso è di natura performativa, poiché l’eroe è tale

perché ha compiuta gesta straordinarie e può quindi ancora compierle per la

collettività.

• Potere razionale-legale: è quello di tipo impersonale (…) che negli Stati moderni è

gestito dalle burocrazie che sono gerarchizzate, specializzate e appunto

impersonali.15

La conseguente teoria sulla leadership di Weber parte proprio dal concetto di “carisma”: il

popolo è completamente devoto ad un’autorità carismatica che dimostra superiorità rispetto

alla massa. Naturalmente l’applicazione di tale modello non si attua solo su figure positive

ma anche negative e quindi personaggi come Hitler e Mussolini possiedono elementi

significativi del leader carismatico.

Tali riflessioni si collegano al processo di personalizzazione della politica e quindi al ruolo

dei media nella costruzione del leader.

Michele Sorice in “La Leadership Politica” riporta gli elementi cruciali nell’affermazione e

rafforzamento del leader, che sono i concetti già ampiamente citati di spettacolarizzazione e

personalizzazione della strategia politica del “leader pop”. In particolare con riferimento alla

personalizzazione Sorice evidenzia 3 processi sociali:

a) lo sviluppo della cultura di massa, la cui massima espressione è quella che si evince dalla

sua rappresentazione mediale: è nella cornice rappresentata dai media, infatti, che la cultura

popolare subisce un processo di "messa in discorso" e di legittimazione sociale;

b) la tendenza alla sovrapposizione delle funzioni pubbliche dell'attore politico con le sue

caratteristiche personali; in realtà non è un fenomeno nato coi media (contrariamente a

quanto si pensa), perché è già presente in molti sistemi politici del passato: si pensi al mondo

romano dove le caratteristiche personali dell'attore politico sono quasi sempre fuse (e

confuse) con le sue competenze politiche. Ciononostante, è evidente che tale processo si è

15 Michele Sorice, Leader, potere e controllo democratico, in Emiliana De Blasio, Matthew Hibberd,

Michael Higgins, Michele Sorice, La leadership politica. Media e costruzione del consenso, Carocci, Roma,

2012, p.72.

18

fortemente accentuato con i media moderni che hanno prodotto una sorta di moltiplicazione

e accelerazione di tali tendenze;

c) il processo di individualizzazione: si tratta del fenomeno che si è intrecciato con lo

sviluppo dei media e del polling, in cui i soggetti individuali sono diventati preminenti a

fronte dell'indebolimento della "forma partito"16.

La convergenza di spettacolarizzazione e personalizzazione ha prodotto un notevole

cambiamento sul processo di visibilità degli attori politici. Si entra in contatto con la

quotidianità del leader, con la sua famiglia, con il suo staff (con quell’apparato che lo

circonda che fino a qualche tempo fa restava assolutamente al di fuori dello sguardo

pubblico). Si mette in modo un processo di intimità con l’attore politico che è completamente

frutto del processo di mediatizzazione della poltica “in questo modo la stessa affidabilità del

leader dipende dalla sua vita personale, dalla sua simpatia e, finanche, dal suo “carisma”17.

Da diversi anni in Italia si affronta il tema della cosiddetta celebrity politics in riferimento

sia al processo di costruzione dell’immagine pubblica di un attore politico sia all’entra in

politica di soggetti già noti ai media.

Sorice individua 5 tipi di “celebrità” nella politica:

• “Political newsworthies: attori politici e soggetti in qualche modo connessi alle

istituzioni politiche che attivano circuiti virtuosi di comunicazione e svolgono attività

di autopromozione: si tratta di soggetti più facilmente rintracciabili nella tradizione

politica statunitense ma appaiono anche in Europa, spesso come figure autorevoli di

riferimento;

• Legacies: in questo caso si fa riferimento ai coniugi e ai figli dei politici ma anche

alle “dinastie” politiche; quest’ultimo fenomeno (molto presente negli USA -i

Kennedy, i Bush, i Gore, i Rockfeller ecc.) si è affermato anche in Italia, sebbene

spesso seguendo meccanismi più vicini alla tradizione del “nepotismo”;

• Celebrità mediali: soggetti che non appartengono direttamente al mondo della

politica ma concorrono per cariche elettive, spesso sfruttando la notorietà ricevuta

dalle loro attività pregresse (attori, cantanti, conduttori televisivi, calciatori,

16 Ivi. p. 80

17 Ivi. p.82

19

soubrette, ma anche scienziati, scrittori famosi, registi noti, leader spirituali, altri

ufficiali militari ecc.)

• Celebrità lobbisti: soggetti che svolgono attività di lobbying a favore di candidati e/o

partiti (di solito si tratta di attore, cantanti, imprenditori, atleti: comunque soggetti

che hanno un forte seguito mediatico, per lo più televisivo);

• Eventi Celebrities: persone che hanno raggiunto la notorietà attraverso specifici fatti

di cronaca o tragedie che hanno colpito l’attenzione dell’opinione pubblica (superstiti

di un attentato, autori di atti eroici, vittime di ingiustizie ecc.).”18

La trasformazione degli attori politici in celebrità è profondamente legata alla ridefinizione

di partiti intesi come brands, questo perché la credibilità di un leader è fortemente legata al

contesto politico in cui si inserisce e al suo universo valoriale di riferimento.

“Si pensi ad esempio alla grande attenzione riposta finanche nella scelta del nome dei partiti.

In Italia, ad esempio, all’evoluzione diacronica che ha accompagnato lo sviluppo del nome

“Partito Democratico” si affiancano le scelte strategiche nella denominazione del partito di

Silvio Berlusconi: “Forza Italia” prima, “Popolo della libertà” poi, in cui, per esempio, è

assente proprio la parola “partito”19.

Definiamo in questo elaborato un fenomeno che sicuramente non si limita ai confini del

nostro paese ma trova negli USA il più grande palcoscenico.

Mazzoleni parla quindi di “competenza mediatica” come requisito essenziale della politica

e non a caso l’esempio di personaggi come Reagan e Schwarzenegger è sicuramente

emblematico, ma naturalmente la lista di politici che hanno saputo usare egregiamente il

mezzo televisivo è assai ampia da John F. Kenned a Tony Blair giusto per citarne un paio.

Attori politici quindi intesi come comunicatori e in un’epoca in cui i media hanno quasi del

tutto cancellato la distanza tra sfera pubblica e sfera privata i leader politici diventano oggetto

di gossip e intrattenimento sulle riviste e nei programmi televisivi.

Ma il leader politico per eccellenza è il presidente degli Stati Uniti, comunicazione e

costruzione dell’immagine sono naturalmente decisivi per questa carica e quindi decisivo è

l’uso che fa dei media e l’uso che i media, a loro volta, gli riservano.

Come approfondito da Mazzoleni, due sono le strategie di comunicazione presidenziale volte

a stabilire un contatto con il pubblico: aggiramento e imbonimento dei media.

18 Ivi p. 91 19 Ivi. p.92

20

Il filtro imposto dai media comporta una serie limiti e deviazioni ai messaggi che il

presidente intende veicolare e qualche esempio di reazione presidenziale a questo

trattamento è riportato sempre da Mazzoleni.

Emblematica è la citazione del presidente Nixon riportata da Seymor-Ure 1982 secondo cui

i presidenti: “Devono saper padroneggiare l’arte di manipolare i media non solo per vincere,

ma anche per promuovere le cause in cui credono ma devono al contempo evitare a tutti i

costi di essere accusati di manipolare i media”20.

In riferimento a Clinton Diamond e Silverman 1995 affermano: “preferì aggirare i giornalisti

di Washington per raggiungere i cittadini-elettori direttamente-senza filtri, senza analisi,

senza contraddittorio”21.

Con imbonimento invece ci riferiamo ai vari tentativi operati dallo spin presidenziale di

instaurare una relazione amichevole e complice, per cui ogni intervento, evento o intervista

nasconde un’ampia costruzione scenografica alle spalle che i media si limitano a riportare.

La comunicazione politica è un fenomeno continuo che al giorno d’oggi non si esaurisce nel

momento elettorale ma caratterizza tutta l’azione di governo in quello che si definisce un

clima di campagna permanente, ecco perché la costruzione di una “narrazione”, di una

retorica comunicativa che definisce un candidato, la sua immagine e la sua campagna e che

avviene principalmente attraverso i media non è marginale all’attività politica in senso stretto

quanto invece centrale ed insita all’azione politica.

Rivoluzionaria, negli ultimi anni, sappiamo essere stata la grande opera di comunicazione

messa in atto da Barack Obama e dal suo staff, una costruzione dettagliata che ha toccato

tutti gli strumenti che la nostra epoca offre a un candidato. Restando in tema con il focus di

quest’elaborato è opportuno citare un elemento che ha contraddistinto la strategia

comunicativa di Obama ed è l’effetto di “amatorialità” 22.

Con una politica filtrata dai media di fronte a un pubblico sempre più consapevole

dell’artificiosità che vi è dietro ogni immagine trasmessa in uno studio televisivo o dietro

uno spot lanciato in campagna elettorale, quello che poi diventerà il futuro presidente degli

Stati Uniti privilegia l’effetto di amatorialità, intesa come “spontaneità”, “bassi costi”.

20 Mazzoleni Gianpietro, La comunicazione politica, il Mulino, Bologna, nuova, 1998, p.114

21 Ibidem.

22 Federico Montanari, Politica 2.0: nuove tecnologie e nuove forme di comunicazione, Roma, Carocci, 2010,

p. 102.

21

Questo appare dai suoi spot, questo è il motivo perché si sceglie la tecnica del documentario

nelle riprese, del perché il candidato non è mai solo perché quando compare, e se compare,

è sempre circondato dalla gente. Parliamo naturalmente di un’amatorialità “costruita”, che

nasconde dietro l’opera di esperti del settore.

Centrale è quindi la costruzione dell’immagine e le strategie di immagine, non a caso

Mazzoleni elabora una distinzione tra immagine proiettata e immagine percepita. Con la

prima ci riferiamo al prodotto costruito da un politico e dal suo staff che viene veicolato

tramite i media, mentre con la seconda si riferisce al risultato finale che viene percepito dal

pubblico e quindi al prodotto filtrato dal mezzo di comunicazione, dalle strategie adottate,

dai livelli di conoscenza dell’utente.

“Perché il primo target sono i media e solo secondariamente l’elettorato”23.

23 Mazzoleni Gianpietro, La comunicazione politica, il Mulino, Bologna, nuova, 1998, p.63.

22

1.3 IL TALK SHOW

“La mediatizzazione della scena pubblica ha nella televisione la principale protagonista e

nel talk show il suo principale strumento operativo”.24

I mezzi di informazione sono variegati, stampa, radio, web, ma la televisione resta ancora

oggi il teatro prediletto dell’attore politico soprattutto a fini di legittimazione. Ottenere

popolarità, consenso, collocamento in una certa cerchia di personaggi celebri senza i giusti

interventi televisivi oggi sembra più difficile….

Televisione all’origine di molti cambiamenti e alcuni sconvolgimenti sistemici, culturali e

politici registrati un po' dovunque in tutti i regimi negli ultimi 50 anni. Essa è di volta in

volta25:

• co-protagonista insieme ai grandi attori che l’hanno usata (o strumentalizzata);

• testimone, a volte suo malgrado, di drammi spaventosi o di eventi eccezionali;

• agente essa stessa dei grandi e piccoli cambiamenti che hanno modificato gli scenari

politici nazionali e anche mondiali.

E gli esempi sono innumerevoli: dai funerali di Lady Diana alla vittoria elettorale di

Berlusconi o all’attacco aereo su Baghdad.

“La Televisione ha cambiato profondamente la politica e la leadership politica a tal punto

che non è esagerato affermare che l’invenzione della televisione è stata una delle pietre

miliari della storia della politica e della democrazia, alla pari di eventi quali la Rivoluzione

francese e la caduta del muro di Berlino.”26

La comunicazione politica nella tv italiana inizia la sua trasformazione negli anni 80 con il

declino della DC e l’affermazione di Craxi, ma è nel 94 che assistiamo alla politicizzazione

delle tv con la campagna elettorale delle reti Fininvest. È nella fine degli anni 90 che

Christian Ruggeri27 evidenzia la fase della “normalizzazione” grazie alla regolamentazione

24 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la

politica, l’Italia, Carocci, 2016, p. 25.

25 Mazzoleni Gianpietro, La comunicazione politica, il Mulino, Bologna, nuova, 1998, p.163.

26 Ivi. p.164.

27 Ruggiero Christian, Le sorti della videocrazia. Tv e politica nell’Italia del Mediaevo, Mondadori, 2014,

p.30.

23

degli spazi e dei tempi di propaganda politica. Sono inoltre gli anni di affermazione di

diverse tipologie di talk show politici Porta a Porta, Linea 3 e Mixer.

Gli anni 80 sono stati gli anni della corsa al benessere e del consumismo, dell’ascesa di Craxi

e della comunicazione pubblicitaria per cui il mezzo televisivo diventa lo strumento

prediletto.

Gradualmente dal secondo dopo guerra il ruolo dei media si rafforza parallelamente

all’affermazione del voto d’opinione, si avvia la personalizzazione della politica e i contenuti

vengono riconfenzionati per essere fruiti da una platea più ampia possibile (avviando il

processo di de-ideologizzazione).

Per cui “Informazione e comunicazione sono il campo di battaglia”28 .

E con Tangentopoli però che i media scendono in campo e assistiamo all’affermarsi della

“giustizia spettacolo”, mentre nei tribunali procedono le inchieste, il mondo dei media si

scaglia contro la classe politica. Naturalmente con la campagna elettorale di Silvio

Berlusconi il coinvolgimento media-politica raggiunge il suo picco e un ruolo non

secondario inizia ad essere svolto proprio dagli esponenti della tv (e non della politica) che

si trasformano in supporter del candidato (Mike Bongiorno, Ambra Angiolini, Iva Zanicchi).

“Il talk ha saputo capitalizzare negli anni l’esigenza di vedere raccontata e rappresentata la

politica con le sue contrapposizioni e i suoi scontri”29. È negli studi televisivi che si lanciano

slogan, si annunciano candidature, si avviano rotture e si stringono alleanze, si afferma

quell’ibridazione di intrattenimento e informazione che abbiamo chiamato infotainment.

“L' irruzione in diretta di Valeria Marini nel dibattito sulle riforme, l'altra sera da Bruno

Vespa, ha segnato uno dei momenti più alti dell'informazione politica di questi mesi. In una

immagine, la Marini che sguaina le gambe e attacca a discutere con Fini dei problemi dello

Stato, la televisione ha disvelato il carattere eminentemente cabarettistica della discussione

politica in atto. E' stato come il crollo d' un sipario”30.

Vi è stato un momento in cui politica e televisione hanno quindi sancito il loro matrimonio

e da quel rapporto si è gradualmente affermata quella che definiamo politica pop. Per

28 Ivi p.32

29 Barra Luca eMassimo Scaglioni, Di necessità virtù. Talk show politici e logiche televisive, in Problemi

dell’Informazione 3, 2016, p. 543.

30 http://www.repubblica.it/politica/1996/02/01/news/la_politica_in_versione_bagaglino-24581806/

24

illustrare chiaramente il fenomeno Mazzoleni propone una serie di esempi emblematici degli

ultimi vent’anni, ma in questo elaborato si è deciso di rimportarne 3 in particolare:

• 2004 Stati Uniti e un reality chiamato American Candidate in cui 10 candidati si

sfidano/ giocano a fare i candidati per delle campagne elettorali, con tanto di esperti

della comunicazione, prove settimanali, spot e misure antiterrorismo.

• 2005 Regno Unito e un altro reality, il Vote for me, con la stessa logica statunitense

se non fosse che in questo caso il vincitore poteva realmente partecipare a delle

elezioni.

• 2008 Italia e L’Isola dei famosi, nel nostro caso l’esempio è di un politico Vladimir

Luxuria che partecipa e vince un reality prodotto dal servizio pubblico, che in merito

disse: “Un reality l’ho già fatto: quando sono stata eletta e per la prima volta sono

entrata a Montecitorio. Mi sono seduta al mio scranno e sopra di me c’erano i

fotografi con i teleobiettivi pronti a cogliere un mio sbadiglio o a immortalarmi se

mi fossi messa le dita nel naso”. 31

Ma era il 1960 quando la politica entra per la prima nella televisione degli italiani e “Tribuna

Elettorale” era il nome del primo talk show tutto all’italiana. Sono gli anni dei partiti di

massa, del “voto di appartenenza”, della mobilitazione dei militanti, della campagna

elettorale nelle piazze che per la prima volta entrano in uno studio televisivo e “l’arena

pubblica e le arene fisiche del paese coincidono”.32

Tra i formati dell’informazione politica in televisione, il talk show si è ormai consolidato

come lo spazio d’opinione istituzionale delle principali forze politiche e sociali (governo,

partiti, sindacati, magistratura, stampa ecc.)33.

Il talk show nasce negli anni ’50 in America e Broadway Open House e The Tonight Show

ne sono gli antesignani.

Riccardo Novelli nel suo libro “La Democrazia del Talk Show” ricostruisce un complesso

percorso storico che il format ha vissuto nel nostro paese. Troviamo elementi del talk in

31 http://www.affaritaliani.it/entertainment/isola-dei-famosi-dopo-vladimir-luxuria-anche-belen-rodriguez-

dice-si260708.html

32 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la

politica, l’Italia, Carocci, 2016, p23.

33 Parodi Marco, Variations in the melodrama of political TV talk shows. The aggression to Berlusconi and

the endless soap of Italian politics, in Comunicazione politica 12.3, 2011, p.387.

25

alcuni programmi della Rai degli anni ’60, come Faccia a Faccia, ma dobbiamo aspettare

la riforma della Rai del 1975 per la vera trasformazione del servizio pubblico.

Il primo talk italiano probabilmente risale al 1975 su Rete 1 L’Ospite delle due seguito dal

più celebre Bontà Loro del 1976.

Celebre è lo studio dedicato ai talk show del 1994 del panorama televisivo americano e

inglese di Livingstone e Lunt. Gli autori identificano alcuni tratti caratterizzanti questo

genere prestando attenzione soprattutto alla centralità dell’uomo comune, coinvolgimento

quindi della “piazza”, di persone qualsiasi, assoluta parità di trattamento tra pubblico e ospiti

con il conduttore che svolge il ruolo di arbitro, venendo quindi al secondo fondamentale

elemento ossia il conflitto, la contrapposizione di opinioni divergenti sul tema prescelto.

Sono programmi tendenzialmente a basso costo, non trasmessi in prima serata, in diretta o

registrati con pochi interventi di post-produzione. Questi sono alcuni dei tratti caratterizzanti

identificati nel 1994 e che, più di 20 anni dopo, tornano sicuramente nell’offerta televisiva

del nostro paese, ricordando la longevità di questo genere televisivo (il The Tonight Show

viene trasmesso senza interruzioni dal 1954).

Oggi l’acquisizione da parte del mezzo televisivo di un ruolo attivo nella rappresentazione e

nella costruzione dell’arena pubblica, con l’intervento sulle forme, sui linguaggi, sugli stili

del dibattito e sui suoi protagonisti è un dato di fatto.

A tal proposito risale al 2013 la ricerca34 di Edoardo Novelli sulla rappresentazione delle

principali tematiche politiche e sociali, attraverso la quotidiana trasmissione, durante l’intero

arco della giornata, di una pluralità di programmi appartenenti a generi differenti,

dimostrando come le diverse emittenti giocano ruoli molto differenti nella costruzione

dell’arena pubblica.

La ricerca ha comportato il monitoraggio della programmazione televisiva trasmessa dalle

sette principali reti televisive nazionali italiane dalle ore 6 del mattino e alle ore 02 di notte

fra sabato 17 e venerdì 23 marzo 2012. L’agenda italiana si è in quei giorni concentrata sul

dibattito sulla riforma del lavoro e dell’articolo 18, ma non è stata segnata da eventi eclatanti

né sul panorama nazionale tantomeno su quello internazionale.

34 Edoardo Novelli, L’arena pubblica televisiva: numeri, generi, tendenze, XXVI Convegno della Società

Italiana di Scienza Politica Roma, Università Roma Tre – 13,14,15 settembre 2012.

26

Il criterio scelto per la selezione dei programmi è stato la presenza in trasmissione di almeno

un “soggetto pubblico”, inteso come: politico, rappresentante delle istituzioni, esponente

dell’associazionismo, etc.

Le trasmissioni televisive che nel corso della settimana campione hanno ospitato almeno un

esponente pubblico sono in totale 50 con un risultato di 94 puntante.

Interessante è però la distribuzione tra le reti, La 7 è sicuramente la rete con più programmi

con personaggi pubblici (27) seguita da Rai Tre (26). Seguno Canale 5 (17 programmi), Rai

Uno (14 programmi), Rai Due (9 programmi) e Italia Uno (1 programma). Notevole il dato

di Rete 4 che non ha ospitato nei suoi programmi nessun “personaggio pubblico”.

Interessante il dato relativo anche alla fascia oraria di programmazione che si rivela

particolarmente concentrata nella mattinata. Dei 94 programmi che compongono il

campione, 24 vanno in onda fra le 9.00 e le 11,59 e 21 programmi fra le 6.00 e le 8,59.

Quindi il 47% viene trasmesso di mattina a dimostrazione di come la presenza di certi

personaggi pubblici sia importante nella programmazione italiana anche al di fuori dei

classici orari tradizionalmente dedicati all’approfondimento giornalistico.

I programmi invece trasmessi fra le 20,30 e le 23,29, sono in realtà 20, mentre 15 quelli fra

le 23,30 e le 02,00.

In generale la giornata con la maggior presenza di programmi risulta il giovedì (20),

tradizionalmente il giorno dedicato da alcune reti al talk politico, seguito dal lunedì (17).

Il tempo complessivo dei programmi del campione è di 141 ore e 53 minuti (6 giorni

ininterrotti di programmazione), mentre il tempo di presenza dei personaggi pubblici in

televisione nell’arco della settimana, pari a 70 ore e 41 minuti. “Senza considerare la

sovrapposizione oraria di molti dei programmi, si può dire che un telespettatore potrebbe

passare tre giorni interi di una settimana a guardare ed ascoltare personaggi pubblici e politici

in televisione.”35

Per quanto concerne, infine, i protagonisti di queste ore emerge come i soggetti pubblici che

in una settimana la televisione chiama a popolare e mettere in scena l’arena pubblica sono

433, evidenziando come i partiti rappresentano senza alcun dubbio gli interlocutori

privilegiati, seguono giornalisti, rappresentanti sindacali, associazioni ecc.

Riportando solo alcune delle conclusioni tratte dalla ricerca emerge un’arena pubblica

discorsiva:

35 Ivi p. 4

27

- presente anche al di fuori dei notiziari e dei telegiornali;

- particolarmente estesa, in termini di programmi ed ore di trasmissione;

- altamente popolata per quanto riguarda le presenze di esponenti pubblici

- alimentata attraverso una molteplicità di generi e tipologie di programmi, che si distaccano

dal tradizionale genere giornalistico;

- influenzata nella sua rappresentazione da esigenze spettacolari proprie dello strumento

televisivo, che rispondono ad esigenze intrattenitive oltre che informative.

Venendo ora all’al fruitore, a colui che sta dall’altra parte dell’apparecchio televisivo

scopriamo che il faccia a faccia tra Silvio Berlusconi e Romano Prodi del marzo 2006 su Rai

Uno è stato visto da 16.120.000 milioni di spettator, la puntata televisiva di Servizio Pubblico

trasmessa il 10 gennaio 2013 su La 7 è stata seguita da oltre 8.700.000 di telespettatori,

superando il 50% di share, mentre il confronto tra Pier Luigi Berleh e Matteo Renzi su Rai

Uno del 27 novembre 2012 è stata seguita da oltre 6.500.000 telespettatori.

Rilevanti sono anche i dati raccolti da Novelli sull’ascolto dei talk show negli ultimi 4 mesi

del 2013, in cui emerge che: Ballarò, L’Arena, Che Tempo che fa, sono stati visti

mediamente da oltre 3.000.000 di spettatori, siamo sopra 2.000.000 per Servizio Pubblico e

La vita in diretta e mediamente sopra un milione per Quinta Colonna, In ½, Porta a Porta,

Piazzapulita.

Mancando il potere del partito come entità a sé stante, come macchina organizzativa, come

coagulante del voto popolare, quel che rimane è uno spazio aperto nel quale il potere del

video e la video-politica hanno agio di dilagare senza imbattersi in contro-poteri.36

36 Giovanni Sartori, Videopolitica, in Rivista Italiana 01 Scienza Politica / a. XIX, n. 2, agosto 1989

p. 186.

28

1.4 LO SPETTATORE - CITTADINO

”La pervasività dei media nella vita quotidiana porta i soggetti a percepire se stessi

incessantemente come un pubblico e ad avere una visione della realtà sempre più

mediatizzata”.37

Affrontiamo adesso il ruolo del terzo attore all’interno del rapporto tra media e politica.

• Il pubblico televisivo viene tradizionalmente interpretato tramite due diverse

accezioni:38

• Pubblico inteso come insieme di cittadini che guardano la tv per informarsi e

partecipare alla vita del paese.

Pubblico intesto come audience analizzato scientificamente.

Ciò su cui ci si concentra a questo punto è sul peso della politica pop nella dieta informativa

degli italiani, in particolare riportiamo la ricerca nazionale PRIN 2006 che analizza una fase

particolarmente intensa per la vita politica del paese:

“Campagne elettorali e cittadino informato: l’influenza dei media e dei modelli di consumo

mediale nelle scelte politiche degli elettori” che introduce un’analisi qualitativa sul pubblico

televisivo. Nello specifico, con un accento sull’infotainment e sul politanment, sono stati

analizzati 12 focus groups in due periodi differenti della campagna elettorale. Ciò che

emerge è una piena consapevolezza dello spettatore italiano delle diverse tipologie di

programmi a cui si approccia e dell’utilizzo che essi fanno dell’informazione politica,

riconosce i diversi stili e registri discorsivi non andando alla ricerca del mero

sensazionalismo ma cercando una tipologia di informazione variegata, credibile e spesso

soft.

Dalle interviste è stato possibile distinguere 6 grandi aree per la collocazione di programmi

di info/politainment:

1. La prima area ricopre quei programmi di watchdog (Report, Le Iene e Striscia la

notizia).

37 Ammaturo, Il consumo culturale dei giovani. Una ricerca a Napoli e Salerno, FrancoAngeli, Milano,

2009.

38 Gianpietro Mazzoleni, Anna Sfardini, Politica pop. Da Porta a porta a'L'isola dei famosi, Il mulino, 2009,

p.106

29

2. La seconda si riferisce alla tv-verità, quei programmi che portano in scena la

rappresentazione della realtà, del quotidiano (Ballarò, ma anche Report, Le Iene e

Steiscia la notizia).

3. La terza comprende i programmi dediti a dibattiti, confronti e servizi di

approfondimento (Porta a Porta, Martix, Ballarò, Annozero).

4. La quarta area richiama la tv dissacrante, satira e ironia sono gli strumenti più

utilizzati (Markette, Che tempo che fa, Parla con me).

5. La quinta porta in scena il lato umano e gli aspetti più personali di certi ospiti (Che

tempo che fa, Il senso della vita, Le invasioni barbariche).

6. L’ultima area è quella del contenitore-varietà che offre un’informazione soft (Uno

mattina, Italia sul Due, Tutte le mattine).

Sempre dalla ricerca sono stati estrapolati i punti di forza dell’attuale linguaggio politico:

- Una comunicazione più leggera e immediata.

- Si riconosce la capacità di semplificare le hard news riuscendo comunque a porre

l’accento sugli avvenimenti più importanti del momento.

- La denuncia super partes.

Infine i dati hanno consentito di tracciare una tipologia di spettatori:

- L’impegnato: colui che va alla ricerca di un’informazione “seria” (Ballarò, Porta a

Porta),10,6% della popolazione.

- L’onnivoro: colui che approccia sia alle hard news che alle soft news, è il 71,1%

della popolazione.

- Il leggero: colui che va sempre alla ricerca dell’entertainment, 13,4% della

popolazione.

- L’indifferente: non è un estimatore dell’infotainment serio tantomeno di quello

leggero, 4,9% della popolazione.

Naturalmente il dato più rilevante è quello dell’onnivoro e del suo 71,1%, corrisponde allo

spettatore medio italiano che si informa costantemente in una grande varietà di format ed è

sicuramente aggiornato sugli avvenimenti principali, riuscendo tramite i mezzi di

comunicazione (principalmente la tv) a monitorare la realtà circostante. A questo dato

corrisponde il tipico cittadino italiano, in grado forse di spiegare il successo di programmi

di infotainment e politainment.

30

Approfittiamo della ricerca per leggere alcune peculiarità dello spettatore italiano, sempre

in riferimento alla distinzione “onnivoro”/”leggero”:

Emerge sicuramente un maggiore distacco da parte del leggero, sia per quanto riguarda le

risposte “mai” su temi di partecipazione politica sia per le strategie attuate per raggiungere

una decisione di voto.

31

Anche il tasso di indecisione è sicuramente più elevato e, come evidenziato da Sfardini e

Mazzoleni, ciò lascia intendere che i leggeri restano anche più tempo sottoposti alle

influenze mediali e che le loro caratteristiche li rendano più suggestionabili.

L’ultimo dato è quello del collocamento sull’asse sinistra-destra. Gli onnivori sono più

rappresentati dal centro-sinistra mente i leggeri dal centro-destra.

Naturalmente non tutti gli strumenti di comunicazione garantiscono lo stesso livello di

influenza sui comportamenti politici dei cittadini, riportiamo quindi una ricerca condotta

dall’Agicom nel 2015 sulla dieta informativa degli italiani durante la fase di campagna

elettorale: “Il consumo di informazione e la comunicazione politica in campagna

elettorale”39. La ricerca, che pone un focus sull’informazione politica, è stata realizzata da

una Società di rilevazione SWG s.r.l., tramite la somministrazione di un questionario di 50

domande a un campione statisticamente rappresentativo di 11.000 individui.

Riportiamo di seguito qualche dato esplicativo sul ruolo che oggi ricopre il mezzo televisivo

per il consumo di informazione degli italiani, necessario in vista del tema principale di

quest’elaborato ossia la posizione determinante che la tv svolge nella percezione di temi di

grande rilevanza contemporanea come l’immigrazione.

Da un confronto con dati raccolti nel 2010 emerge come la tv mantiene il suo primato come

prima scelta tra i mezzi di comunicazione da parte degli italiani con il 96,8%.

39 https://www.agcom.it/documents/10179/4025280/Documento+generico+23-02-2016/a8a5a511-254b-

4440-9881-48a5d0b4612f?version=1.0

32

Entrando più nello specifico della composizione della domanda rivolta ai mezzi di

comunicazione emerge che:

La televisione conferma il primato anche come principale fonte di informazione, registrando

i dati più altri sia per fatti internazionali, nazionali e locali.

La ricerca si è però concentrata sull’informazione in fase di campagna elettorale rilevando

anche in questo caso il primato della televisione (nonostante il continuo avvicinamento di

internet).

In particolare per ascoltare dibattiti, interventi e comunicazioni politiche tra i vari candidati

il piccolo schermo aumenta la sua superiorità rispetto agli altri mezzi, andando quindi ad

33

indicare come sia ancora lo strumento che più si presta alle varie modalità e strategie attuate

dalla comunicazione politica e dal marketing elettorale.

Restando in tema Giacomo Sani e Guido Legnante sostengono che in riferimento

all’influenza della comunicazione sulle scelte elettorali emergano queste proposizioni:

1. Fonti di informazione schierate. Gli strumenti attraverso i quali i cittadini si informano

sulle vicende elettorali diffondono messaggi almeno in parte differenziati a favore

dell’una o dell’altra delle forze in campo;

2. Esposizione selettiva. Gli elettori non utilizzano indifferentemente tutti i canali di

comunibacazione loro disponibili, ma ne privilegiano alcuni e ne trascurano altri, col

risultato di ricevere solo una parte dei flussi della comunicazione provenienti dalle

diverse fonti;

3. Sintonia tra fonti di informazione ed elettori. Esiste una stretta relazione tra

l’orientamento politico delle fonti e le preferenze politiche dei cittadini;

4. Influenza della fonte sugli orientamenti. In questa relazione la variabile indipendente è

il canale di comunicazione (o meglio i messaggi da esso diffusi) mentre le scelte di voto

degli elettori costituiscono la variabile dipendente o l’effetto dell’esposizione selettiva a

fonti partigiane di informazione. […] La comunicazione politica durante le campagne

elettorali penetra in maniera massiccia nel corpo elettorale. Ma questa penetrazione è

assai diseguale. Vi sono infatti marcate differenze nel grado di inserimento degli elettori

nei diversi reticoli attraverso i quali passano i messaggi politicamente rilevanti. Accanto

a cittadini che usufruiscono contemporaneamente di più canali, troviamo altri segmenti

dell’elettorato caratterizzati da una esposizione più limitata ai messaggi politici ed altri

ancora che si trovano in posizione più o meno periferica, o addirittura del tutto marginale,

rispetto alle strutture della comunicazione politica. Come è noto, la stima delle

dimensioni di questi segmenti varia in funzione dei particolari indicatori utilizzati e delle

tecniche utilizzate nella suddivisione del campione e pertanto i risultati sono in una certa

misura arbitrari. Tuttavia, possiamo dire senza far troppo torto alla realtà che

nell’elettorato sono chiaramente identificabili almeno tre grandi gruppi di cittadini. Un

primo segmento che costituisce quella che potremo chiamare l’opinione pubblica

“attenta” (circa un quinto del campione), un gruppo di cittadini con un grado di

inserimento vicino alla media (poco meno del 50%) e, infine, una quota di persone che

34

secondo i nostri indicatori risultano essere molto marginali o periferiche rispetto ai flussi

della comunicazione (intorno al 30% degli elettori). […]

Spesso la tesi dell’influenza viene declinata nel senso di un effetto «a pioggia» per cui gli

eventuali effetti della comunicazione si manifestano indistintamente su tutti gli elettori. Ma

se una parte dell’elettorato è molto esposta ai flussi della comunicazione mentre altri

segmenti sono solo parzialmente inseriti, questa opinione va certamente riconsiderata40.

Concentriamoci quindi su una serie di eventi politici di larga portata per cui il pubblico ha

trascorso molte ore di fronte la televisione, in particolare prendiamo in riferimento un’analisi

delle “maratone” di La741. Queste si collocano in una posizione intermedia tra quelli che

vengono definiti media events nel linguaggio anglosassone (eventi che irrompono nella

routine mediale) e il concetto di breaking news. La maratona di Mentana viene costruita

come un media event che irrompe nell’ordinaria programmazione e prende tutto il tempo

necessario affinché la notizia venga veicolata in modo completo, quasi in pieno disaccordo

con le riflessioni precedenti sulla semplificazione della notizia, sull’immediatezza dello

slogan ecc. Sono stati 3 gli eventi a cui La7 ha dedicato il suo nuovo format: il referendum

sulla Brexit; le elezioni presidenziali americane e il referendum Costituzionale. Lo speciale

sulla Brexit andrà in onda dalle 22.57 per oltre 3 ore, il tema è quello della politica estera

che in quanto tale è seguito da un determinato tipo di pubblico: maschile per più della metà

(56,6%), di età adulta o anziana ( i 55-64enni compongono il 23,45% della platea, mentre

gli ultra 65enni il 42,2%). Alto il livello di istruzione: diplomati 46,41%, laureati 19,28%.

Leggermente più ampio il dato complessivo degli ascolti per le elezioni USA, con delle

differenze anche sul piano qualitativo: uomini (48,3%), donne (51,7%), ma soprattutto un

pubblico più giovane, il peso dei 25-34enni ottiene un +4 rispetto all’evento Brexit. Venendo

adesso al grande evento italiano iniziato alle 22.22 del 4 dicembre per oltre 4 ore, gli

spettatori raggiungono il picco di 1.709.000, i 65enni e i 55enni rappresentano il 50% del

pubblico. Risulta quindi vincente una strategia che va in direzione totalmente opposta a

quella che siamo abituati a vedere, che predilige tempi lenti per dare alla notizia tutto il

tempo di costruirsi, e soprattutto che punta su un determinato target.

40 Giacomo Sani e Guido Legnante, Quanto ha contato la comunicazione politica?, in Rivista italiana di

scienza politica”, Il Mulino, Anno XXXI, Fascicolo 3, dicembre 2001, pp. 483-484.

41 Il pubblico delle «maratone» di La7, in Comunicazione politica 1/2017, pp. 141-144.

35

1.5 AGENDA SETTING E NOTIZIABILITA’

Vediamo ora come si costruiscono i temi che entrano nel dibattito pubblico e il ruolo dei vari

attori. In base alla teoria dell’agenda setting ciò che i cittadini ritengono importante dipende

dall’attenzione che i media dedicano a certe tematiche, assumendo quindi un ruolo

determinante nella percezione e negli orientamenti del pubblico. L’agenda setting indica

quindi “l’ordine del giorno” che i mezzi di informazione trasferiscono al pubblico.

Nel 1963 Bernard Cohen diede la prima formulazione di Agenda Setting: “La stampa può

nella maggior parte dei casi non essere capace di suggerire alle persone cosa pensare, ma

essa ha un potere sorprendente nel suggerire ai propri lettori intorno a cosa pensare. [...] Il

mondo apparirà diverso a persone diverse in relazione alla mappa disegnata dai giornalisti,

dai direttori e dagli editori dei giornali che loro leggono” (Cohen, 1963, p.13).

L’idea di Cohen sarà teorizzata compiutamente nel corso degli anni ‟70 da McCombs e

Shaw: “L’ipotesi dell’agenda setting non sostiene che i media cercano di persuadere […]; i

media descrivendo e precisando la realtà esterna presentano al pubblico una lista di ciò

intorno a cui avere un’opinione e discutere. L’assunto fondamentale dell’agenda setting è

che la comprensione che la gente ha di gran parte della realtà sociale è mutuata dai media.”

(Shaw, 1976).

Le fasi determinanti sono quindi selezione e gerarchizzazione, che possiamo definire grazie

alla classica distinzione42:

- il postulato della selezione: per cui “la gente tende a includere o escludere dalle

proprie conoscenze ciò che i media includono o escludono dal proprio contenuto”

(Shaw, 1979, p.96).

- il postulato della gerarchizzazione secondo cui “il pubblico inoltre tende ad assegnare

a ciò che esso include un’importanza che riflette da vicino l’enfasi attribuita dai mass

media, agli eventi, alle persone”.

Ai temi a cui i media riconoscono un elevato grado di notiziabilità, naturalmente, si accosta

un’importante lavoro di costruzione di notizie parallele in grado di conferirgli maggiore

rilevanza.

42 Marini Rolando,Mass media e discussione pubblica: le teorie dell'agenda setting,Gius.Laterza & Figli Spa,

2015, p. 7

36

“Se l’immigrazione, in un dato momento, si afferma come un tema importante, a partire –

facciamo l’ipotesi- da un omicidio compiuto da uno straniero irregolare, allora molti degli

accadimenti riconducibili a questo tema verranno inclusi nei notiziari e nei quotidiani:

sbarchi di clandestini, prese di posizione sul problema da parte degli esponenti dei partiti dei

rappresentanti delle associazioni di volontariato operanti nel settore, scoperta di laboratori

pieni di operai stranieri privi del permesso di soggiorno e ridotto in schiavitù ecc. fino a

includere episodi minori, come incidenti stradali in cui sono coinvolti immigrati.”43

La teoria dell'agenda setting si inscrive nel contesto storico-sociale in cui ha assunto

crescente importanza quello spazio intermedio tra cittadini e istituzioni detto sfera pubblica,

o meglio quel particolare tipo di sfera pubblica che viene definito sfera pubblica

mediatizzata. I media possono esercitare un'influenza molto debole in ordine all'intensità e

alla direzione degli atteggiamenti (che cosa pensare), ma possono invece influenzare

significativamente l'ordine d'importanza che il pubblico attribuisce alle issues (riguardo a

che cosa pensare). Interessante è prendere in considerazione il contesto socio-culturale che

ha costituito la base da cui sono sorte e si sono sviluppate le teorie dell’agenda setting. Tale

contesto è sicuramente quello delle grandi trasformazioni politiche e culturali degli Stati

Uniti negli anni 60-70.

Leonardo Marini identifica 3 macro-aree di riferimento:

1. la de-ideologgizzazione e le nuove issues

2. l’affermazione dell’elettorato mobile

3. maggiore autonomia dei media

Gli anni 60 rappresentano una fase di profondo cambiamento culturale, sociale e politico.

Entrano nel dibattito pubblico questioni come pace, diritti civili, razzismo, droga, scandali

politici che comportano una necessaria rivisitazione delle tradizionali tecniche di

comunicazione politica. Le ideologie iniziano a lasciare il posto a questioni concrete e

riforme in settori cruciali. In un contesto in così grande fermento il ruolo dei media

naturalmente diviene determinante, sia in quanto voce autorevole e costante sulle grandi

trasformazioni dell’epoca sia come interprete di una pluralità di questioni complesse.

Tutto ciò comporta novità sul voto e sul modo di concepire il momento elettorale, le classiche

fratture basate sui vincoli di appartenenza perdono rilevanza e si afferma un elettorato

indipendente che cerca una guida nei mezzi d’informazione. Con il decadimento delle

43 Ivi p.8

37

preferenze di partito sono le singole tematiche ad assumere un ruolo cruciale nella decisione

di voto, quindi importanti diventano le strategie comunicative messe in atto dagli staff di

consulenti e naturalmente il grado di attenzione che i media dedicano alle issues del

momento. Il grado di influenza non può essere determinato in modo assoluto e non possiamo

identificare con assoluta certezza quale sia l’attore più influente perché le variabili di

contesto e di sistema delle specifiche sfere nazionali costituiscono l’elemento determinante.

Detto ciò alla domanda “Chi determina l’agenda?” Leonardo Marini risponde: “Forse

l’attore più decisivo, piuttosto che il più influente, è l’opinione pubblica (intesa come

opinione di massa): il suo giudizio appare come il risultato ultimo e la sanzione definitiva

del processo che avviene nell’agenda pubblica”.44 Un indicatore significativo del rapporto

tra informazione e potere è classifica annuale di Reporters Sans Frontiéres sul livello di

libertà di stampa e su questo punto il nostro paese ha ancora dei passi in avanti da dover

compiere. In base all’ultimo Rapporto 2017 di Reporters Sans Frontieres (RSF)45 l’Italia è

al 52esimo posto (guadagnando 21 posizioni rispetto al 2015).

Tra i problemi emergono: "Intimidazioni verbali o fisiche, provocazioni e

minacce…pressioni di gruppi mafiosi e organizzazioni criminali", ma anche il ruolo di

alcuni politici come Beppe Grillo che comunicano pubblicamente l'identità dei giornalisti

che danno loro fastidio.

44 Ivi p. 401

45 https://rsf.org/en/2017-world-press-freedom-index-tipping-point

38

1.6 IL DIBATTITO CONTEMPORANEO

Mihaela Gavrilla durante il seminario “Dove sta andando il neogiornalismo?” svolto

Mercoledì 26 aprile 2017 presso l’Università Sapienza di Roma invita ad interpretare i media

non solo come produttori di contenuti intesi come società per azioni ma in quanto società

per azioni sociali, perché i media vivono questo paradosso di essere produttori e diffusori di

temi culturali o comunque in grado di generare impatto sulla cultura, ma devono fare

attenzione anche al riscontro dal punto di vista degli utili-ascolti: un paradosso non sempre

facile da gestire.

Come ci ricorda Aldo Grassoo “la televisione non ha mai goduto di buona letteratura”46 ma

sicuramente vi è piena consapevolezza del ruolo che questo strumento ha svolto nella

costruzione della società contemporanea. Nel panorama italiano 3 sono gli esempi innalzati

da Grasso a tappe significative della trasformazione che la tv ha comportato nel nostro paese.

3 “miti d’oggi”47 caratterizzati da:

- Un importante successo di pubblico

- Essere considerati programmi di “serie B” rispetto alle linee editoriali definite

- Hanno avuto un notevole impatto sul medium in Italia.

LASCIA O RADDOPPIA:

Trasmissione del giovedì sera con Mike Bongiorno in onda dal 1954 al 1959. 191 puntate

che rappresentano la versione italiana del francese Quitte ou double?, che a sua volta

riprendere lo show americano The $ 64,000 Question. Il primo programma che dava

l’opportunità di vincere 5.125.00 lire, che strumentalizza la cultura a fini ludici, che

introduce il concetto di culturale popolare.

PORTOBELLO:

In onda dal 1977 al 1983, con concorrenti che dovevano fa dire a un pappagallo il nome della

trasmissione e inserzionisti vari che presentavano le loro invenzioni. Un programma di

grande successo con punte di 25 milioni di telespettatori tra il 1978 e il 1979, ma soprattutto

meritevole di avere portato in tv e quindi nel panorama nazionale la “provincia” e la sua

quotidianità, con le sue realtà ironiche, genuine e a volte strappalacrime.

46 Grasso Aldo, Storie e culture della televisione italiana, 2013, p. 5 47 Ivi p. 14

39

GRANDE FRATELLO:

L’esempio per eccellenza della tv spazzatura, oggetto di critiche costanti, all’insegna della

banalità e della volgarità. Ma come sottolinea Grasso il programma rappresenta anche scende

di vita quotidiana e cambiamenti sociali che hanno caratterizzato la società, e lo fa con una

struttura ibrida del tutto nuova, sommando generi, stili, linguaggi del tutto diversi (con

parodie, notizie, confessioni, servizi e altro ancora).

La presenza e il peso che i media svolgono nella società contemporanea è un dato di fatto

ma non è possibile ancora identificare una posizione comunemente condivisa sugli effetti

positivi o negativi di tale peso. Gli studi che negli anni si sono susseguiti sono innumerevoli

e la contrapposizione tra “apocalittici” e “integrati” (Umberto Eco, 1964) è ancora viva.

L’impatto maggiore nel panorama internazionale sicuramente proviene dalla Scuola di

Francoforte e nel contesto italiano possiamo trovare negli intellettuali di sinistra e nei

conservatori cattolici i più grandi oppositori allo strumento considerato l’artefice del degrado

culturale. Disimpegno politico, crisi della partecipazione, declino della qualità

dell’informazione sono i pericoli su cui in molti hanno messo in guardia. Ma le critiche

partono da un assunto ossia il ruolo di responsabilità che viene attribuito ai media nella

formazione delle coscienze civiche, sociali, politiche e culturali del pubblico. L’opinione di

Giovanni Sartori sull’argomento è: “secondo me, dipende dal contenuto, dal messaggio, non

dal medium, non dallo strumento. Se la TV fa vedere bambini morenti di fame, ci

responsabilizziamo per salvarli. Ma se la mettiamo in mano a un discendente di Hitler o a

un Ayatollay Khomeini scatena istinti di guerra, di strage e di odio-. Sulla

«responsabilizzazione» avrei dunque molti dubbi.”48 Ma “l’infotainment e il politainment

possono essere visti come palestre di civismo di dubbia qualità, ed è quindi scontato che

alcuni ambienti alzino la guardia sulla politica pop per timore che allontani dalla politica i

cittadini postmoderni.”49. Ma il dibattito tocca anche il tema della “popolarizzazione” che

abbiamo definito una delle sfaccettature della politica contemporanea. Se “alcuni studiosi

individuano nella popolarizzazione del dibattito civile un elemento di democratizzazione

48 Giovanni Sartori, Videopolitica, in Rivista Italiana 01 Scienza Politica / a. XIX, n. 2, agosto 1989

p. 188.

49 Mazzoleni Gianpietro e Anna Sfardini, Politica pop. Da Porta a porta a'L'isola dei famosi, Il mulino,

2009, p. 96.

40

della vita politica”,50 in riferimento all’aumento della partecipazione alla vita politica del

paese anche delle fasce in passato escluse per motivi culturali e sociali, altri si dimostrano

più allarmati in riferimento alla deriva populista che ne può scaturire e a fenomeni come il

dumbing down: la tendenza ad affiancare a temi politici dinamiche della cultura popolare di

massa con esplicito riferimento al degrado culturale. Semplificazione delle notizie è l’esito

più scontato ed è quello contro cui una vasta schiera di studiosi mettono in guardia. Il

fenomeno prende il nome di soundbite effect, la costruzione quindi di un’uniformazione di

effetto, che generi interesse immediato, che possa raggiungere una platea più vasta possibile

e per questo soggetta a frammentazione per slogan. Posizioni pessimiste, che Mazzoleni ci

dice condivise tendenzialmente tra pensatori e scienziati politici, in contrapposizione agli

ottimisti ricercatori di comunicazione politica.

La domanda è: “il cittadino postmoderno, bombardato da stimoli mediali di ogni genere, che

ha innumerevoli opportunità di relazione e di informazione, è davvero più informato o

sufficientemente informato sulla politica per partecipare consapevolmente alla vita

pubblica?”51. Le posizioni ottimiste si basano sul presupposto che in un sistema democratico

auspicare ad una maggioranza di cittadini interessati e sufficientemente ben informati sulla

politica è di fatto irrealistico, per cui un modello definito di “democrazia pragmatica” (Delli

Carpini e Keeter 1996) è invece in grado di assicurare un vasto numero di cittadini informati,

seppur non con livelli sempre adeguati, ma comunque interessati. “La scarsa esposizione al

flusso delle hard news non significa totale ignoranza della politica”52, questo perché l?

“onnivoro”, precedentemente citato, è lo spettatore che monitora e vigilia su ciò accade

intorno a lui riuscendo ad assicurare una sufficiente competenza politica.

“La visione ottimista, o <relativista>, è condivisa da molti altri studiosi di comunicazione

politica, tra i quali possiamo annoverare Delli Carpini e Williams (2001), Baum (2003), Van

Zoonen (2005) e Herbst (2006), tutti d’accordo nel rivalutare la funzione civica di

un’informazione politica minimale per il cittadino, che gli arriva sia dall’infotainment, sia

dalle soft news, sia dal politainment, che si configurano come vere e proprie <scorciatoie

50 Emiliana De Blasio, Matthew Hibberd, Michael Higgins, Michele Sorice, La leadership politica. Media e

costruzione del consenso, Carocci, Roma, 2012, p. 82.

51 Mazzoleni Gianpietro e Anna Sfardini, Politica pop. Da Porta a porta a'L'isola dei famosi, Il mulino,

2009, p. 97.

52 Ivi p. 99

41

informative> in grado di assicurare l’esercizio di una <cittadinanza sottile>.53 Ma la visione

aspramente critica da parte di una larga fetta di studiosi verso mezzo televisivo continua con

gli anni e si fa forte del cambiamento più recente della comunicazione politica in tv e

dell’affermazione della politica pop. Il rischio è di una pericolosa disaffezione del cittadino-

spettatore dalla politica e dall’impegno civico, a causa del consolidarsi di un atteggiamento

passivo ed evasivo non in grado di trasformarsi in azioni di coinvolgimento e partecipazione.

Ma ciò che emerge da quest’analisi è che la politica pop non si possa definire come un

fenomeno circoscritto ad alcuni programmi o personaggi, ma che sia l’esito della

trasformazione che oggi ha compiuto la comunicazione politica, che ha abbandonato l’idea

di dover essere necessariamente seria ed elitaria. Durante un’intervista Gianpietro Mazzoleni

alla domanda se la strategia del “politico pop” fosse una garanzia si successo o dipendesse

dalle sfaccettature dei contesti nazionali, risponde: “Entrambe le cose. Non tutto ciò che

appare pop(olare) in America ha successo in Cina, e quello che è pop(olare) in Giappone

difficilmente potrebbe essere apprezzato come metodo in Francia o in Cile. Possiamo dire

che ogni paese, con le proprie culture, tradizioni, e architetture istituzionali, percorre la

propria strada verso il pop politico. Ma è oggi inevitabile che tutti esperimentino un alto

grado di popolarizzazione della politica. Perché siamo immersi in un mondo

mediatizzato”54.

La politica pop è il volto attuale della comunicazione politica, è il “format” principale

utilizzato dai media che trattano di politica e dei personaggi politici che approcciano ai

media. Ma se tale trasformazione conduca a un disimpegno e ad una disaffezione è ancora

da scoprire, sicuramente in risposta contraria abbiamo l’esempio di Barack Obama, guru

della comunicazione politica odierna, colui che più di chiunque altro ha saputo sfruttare le

trasformazioni in atto del linguaggio politico e dell’approccio ai media riuscendo

sicuramente a generare un grande senso di appartenenza che si è poi trasformato in attivismo

per i suoi elettori.

53 Ibidem

54 http://beerderberg.es/intervista-a-gianpietro-mazzoleni/

42

PARTE II

L’OFFERTA POLITICA DELLA TELEVISIONE ITALIANA

2.1 CONTESTO

Negli anni Cinquanta la televisione entra nelle case degli italiani accolta a volte da

meraviglia e stupore, altre volte da diffidenza e sospetto, e l’intrattenimento di solito

percepito all’esterno, nei teatri e nei cinema, entra nelle mura domestiche e ne stravolge la

quotidianità. Il servizio televisivo iniziò in regime di monopolio pubblico e sotto controllo

governativo nel 1954 ad opera della RAI, caratterizzato da un’offerta limitata, su un solo

canale e solo durante alcune ore del giorno.

Negli anni il mercato televisivo italiano ha assistito a mutamenti radicali nel contesto sociale,

culturale, politico ed economico del nostro Paese che naturalmente hanno provocato

ripercussioni immense sulla sua struttura. Il percorso storico che questo mezzo ha seguito in

Italia non è naturalmente lineare ma tortuose e complesse sono spesso state le sue fasi di

transizione. “è stato un viaggio senza precedenti nella storia dei media, sia per rapidità con

cui si è svolto sia per la sua intensità ma non è stato certo un tragitto privo di negoziazioni,

resistenze, mediazioni e reciproci adattamenti tra il medium e i suoi fruitori”55. Sono 3 le

fasi che Cecilia Penati identifica come tappe significative della storia culturale e sociale della

televisione italiana56:

• La prima fase è quella del periodo “archeologico” del medium.

Va dal 1954 fino all’inizio degli anni ’60. La diffusione della televisione in Italia negli anni

Cinquanta è sicuramente caratterizzata dalle contraddizioni del dopoguerra e l’entusiasmo

verso il progresso di quel periodo: “è un dato di fatto - mai evidenziato abbastanza – che, nei

primi anni di esistenza del medium, l’esperienza di guardare la televisione ha coinciso per

la gran parte dei suoi spettatori con quella di andare alla televisione”57. La dimensione

55 Cecilia Penati, Tutto il mondo in casa. Tv e culture di visione in Grasso Aldo, Storie e culture della

televisione italiana, 2013, p. 53

56 Ivi p. 51

57 Ivi p. 53

43

collettiva della televisione era all’epoca naturalmente associata alle barriere economiche che

caratterizzavano quel periodo, non solo in riferimento all’acquisto dell’apparecchio ma

anche per il costo del canone di abbonamento alla Rai.

• La seconda fase coincide con l’ingresso delle tv commerciali.

Successivamente grazie all’opera di due grandi attori, Rai e marchi di elettronica, la tv

sancisce la sua trasformazione verso un medium domestico e questo grazie a campagne

promozionali, programmi televisivi, opuscoli informativi e discorsi dei dirigenti Rai.

Nei primi anni Sessanta la tv inizia realmente ad entrare nelle case degli italiani e si svuotano

i bar: “Il proprietario del locale (un bar di Via Vitruvio a Milano), dietro la cassa, raramente

allunga il collo per lanciare una sbirciatina al video. Poi ci dichiara:” Ai tempi di Lascia o

raddoppia? La gente arrivava fin qua alla cassa. C’era chi veniva un’ora prima della

trasmissione, per trovar posto”58.

Trasformazioni che Penati collega a 3 diversi livelli: quello dell’offerta (1961 e la nascita di

un secondo canale Rai), quello della tecnologia (con i nuovi ricevitori) e quello del consumo

(con l’affermazione della visione domestica). È in questa fase che il pubblico televisivo si

espande fino a raggiungere l’intera popolazione nazionale.

• La terza fase è quella contemporanea.

La fase della digitalizzazione e della convergenza tecnologica, le barriere che

tradizionalmente caratterizzavano il mercato televisivo sono state abbattute permettendo

l’ingresso di nuovi attori. Gli eventi storici sono certamente molti, dal 1977 con la

trasmissione a colori alla fine di Carosello, dalla prima televisione a pagamento Telepiù al

2012 e il definitivo passaggio al digitale terrestre. Negli ultimi anni il mercato ha subito

sempre più trasformazioni, l’evoluzione del mezzo e del suo utilizzo hanno comportato la

rottura delle routine produttive, delle professionalità e delle competenze rendendo necessario

un continuo aggiornamento per stare al passo con un scenario in costante evoluzione.

58 Piace o non piace ”Campanile sera?” Vi diciamo come gli italiani giudicano la trasmissione, in Grazia,

1960 in Grasso Aldo, Storie e culture della televisione italiana, 2013, p. 63

44

2.1.1. RAI

Marco Damilano in “Storie e culture della televisione italiana” riporta i saluti di Carlo

Jemolo a Giuseppe Spataro che lo sta sostituendo alla guida della Rai: “Sono dolente che per

il modo con cui si svolgono le cose non mi sia possibile porgerle di persona il mio saluto

augurale: voglia credere che per l’affetto che ho preso alla Rai in 15 mesi di Presidenza mi

dà una sincera soddisfazione di sapere che passa nelle sue mani aperte..”59, era il 2 agosto

1946. Jemolo, cattolico-liberale, forte sostenitore di una Rai indipendente lasciava il posto

Spataro, uomo politico e fondatore della Dc che segnerà il futuro dell’ente.

Il 3 gennaio 1954 iniziano le trasmissioni ufficiali della Rai, ma sono già due anni che a

Torino e Milano si trasmettono programmi sperimentali ed inizia quell’opera di unificazione

nazionale compiuta dalla tv che in poco tempo assume portata storica. Nel 1954 gli

abbonamenti erano 88.118, mentre nel 1960 si arriverà a due milioni.

Naturalmente all’inizio la diffusione dell’apparecchio era assai limitata e l’Italia era un Paese

ancora rurale, così la televisione si fece carico di quell’unificazione culturale e linguistica

da molto ricercata.

La Chiesa di Pio XII colse immediatamente la portata rivoluzionaria del mezzo e il 4 gennaio

1954 il pontefice invia ai vescovi italiani una lettera dove parla della televisione come

“meraviglioso mezzo offerto dalla scienza e dalla tecnica all’umanità”60, mentre il 6 giugno

in occasione della costituzione dell’Ente «Televisione Europa» che comprende le

Radiotelevisioni di Italia, Francia, Germania, Belgio, Olanda, Danimarca e Gran Bretagna,

gioisce nelle diverse lingue dell’accadimento61.

Dal 1954 al 1956 l’azienda è segnata da Filiberto Guala, amministratore delegato e fervente

religioso, fu sua l’introduzione del “Codice di autocensura” con l’elenco delle situazioni

vietate in tv: dal divorzio alle “nudità immodeste”.

Ma il 1956 è anche l’anno di Lascia o raddoppia?, ogni giovedì sera l’Italia si fermava e

inizia lo storico quiz di Mike Bongiorno.

59 Marco Damilano, I partiti all’assalto di Viale Mazzini, in Aldo Grasso Storie e culture della televisione

italiana, 2013, p.101

60 https://w2.vatican.va/content/pius-xii/it/biography/documents/hf_p-xii_bio_20070302_biography.html

61 https://w2.vatican.va/content/pius-xii/it/speeches/1954/documents/hf_p-xii_spe_19540606_e-forse.html

45

“I contenuti della programmazione sono in totale aderenza con i valori della Dc: il progresso

equilibrato, il ritrovato benessere dopo la guerra, l’anticomunismo, la moderazione, le

istituzioni sacralizzate (il capo dello Stato, il governo, i presidenti delle Camere) occupate

dai cattolici. Mamma Dc e Mamma Rai sono la stessa cosa.62”

La prima fase della storia della Rai è appunto segnata dalle ingerenze dei democristiani e dei

vertici della Chiesa da un lato mentre trova socialisti e comunisti tra i principali oppositori.

Il potere della Dc nella Rai diventa un caso politico solo nel 1958 quando il capogruppo del

Pci Pietro Ingrao chiede alla Camera perché Giulio Andreotti, all’epoca ministro delle

Finanze, avesse nominato un suo collaboratore nel Cda della Rai.

Ma all’epoca la politica non entrava realmente nella televisione e soprattutto non vi era una

disciplina legislativa in materia. Per una reale trasformazione dobbiamo attendere l’inizio

degli anni ’60, gli anni del boom economico e l’affermazione della società dei consumi.

Con la nomina di Fanfani e l’introduzione delle tribune politiche, seguono gli anni Bernabei

(Direttore Generale) e la “televisione diventerà uno dei motori della modernizzazione

italiana e strumento decisivo di lotta politica”63.

“Per la prima volta in Italia, la propaganda elettorale sarà svolta anche alla televisione.

Milioni di persone, e tra esse molte che non sono mai andate ai comizi, vedranno così sul

video gli esponenti dei partiti”, si legge l’11 ottobre 1960 su “La Stampa”.

“Erano emozionati, e anche lievemente impacciati, i vari Moro, Scelba, Togliatti, Malagodi,

Nenni alle loro prime apparizioni in video; nessuno volle nasconderlo”64. Entrano in

televisione grandi personalità politiche, uomini di cultura che da anni infiammano le piazze

e che però risultano spaesati di fronte questo nuovo strumento. Soprattutto li vedremo portare

sul piccolo schermo il loro linguaggio serio, istituzionale, lento simbolo di una classe politica

che ancora non ha colto quanto di lì a qualche tempo sarebbe diventato cruciale il binomio

politica-spettacolo.

62 Marco Damilano, I partiti all’assalto di Viale Mazzini, in Aldo Grasso Storie e culture della televisione

italiana, 2013, p.106

63 Ivi p. 107

64 Giulia Guazzaloca Tribune e Tribuni nella Rai degli anni Sessanta in Aldo Grasso, Storie e culture della

televisione italiana, 2013, p.117.

46

Intanto la Rai lancia Rt Rotocalco Televisivo, programma settimanale di approfondimento

che ottiene un ascolto medio giornaliero di dieci – dodici milioni di telespettatori, con cui

Bernabei inizia ad aggirare le ingerenze della politica nei telegiornali.

Determinanti in questa fase diventano le innovazioni tecnologiche, soprattutto la

registrazione videomagnetica del 1962 che consentì la messa in onda delle registrazioni.

Telecronache ed edizioni speciali ne giovarono fin da subito e si moltiplicarono i servizi

dall’estero. Inizia la fase di TV7 composto da sette-otto servizi di circa 15 minuti che trattano

di politica e costume. Per quanto riguarda invece l’informazione politica Tribune politiche

in onda dal 1961 rappresenta un successo assicurato. L’innovazione tocca anche il

giornalismo sportivo, sono gli anni di La domenica sportiva, Mercoledì sport e Novantesimo

minuto. Ma è anche l’epoca dei quiz e a Rischia tutto o La fiera dei sogni fanno seguito

Studio uno e Quelli della domenica, e dei programmi musicali Sanremo, Cantragiro e

Festivalbar.

Nel 1964 arriverà la grande accusa pubblica da parte di Indro Montanelli, Corriere della

Sera, dal titolo il “Teleschermo Avvelenato”: “Fateci caso, quando è in scena Togliatti viene

fuori, non si sa come, un imperatore romano. Quando è in scena Scelba viene fuori un

questurino65”, a cui segue la risposta della corrente Centrismo Popolare di Scelba che

presenta in parlamento una mozione di censura. Sono gli anni in cui la televisione diventa il

cuore della battaglia politica, si attacca la Rai per colpire il centrosinistra, Bernabei risponde

e resiste aumentando invece notevolmente le assunzioni e gli incarichi dirigenziali.

Ma già dai primi anni ’60 inizia la diffusione delle emittenti private e “Telebiella” nel 1971

fu la prima rete privata locale, avviando così la minaccia al monopolio televisivo della Rai.

Nel 1974 Bernabei e la sua visione pedagogica lasciano la Rai dopo quattordici anni e si

avvia la riforma del 1975 sulla lottizzazione, con il passaggio del controllo del servizio

pubblico dal governo al parlamento per garantire maggiore pluralismo di informazione.

La legge di riforma n.103 del 14 aprile 1975 determina un Cda di 16 membri (di cui 10 eletti

dalla Commissione parlamentare di vigilanza): 7 consiglieri Dc, 3 socialisti, 2 comunisti, 1

a Psdi, Pri e Pli.

Nel 1979 nasce Rai Tre con vocazione regionale e culturale e nel 1980 Telemilano 58 cambia

nome e logo, parte Canale 5 con lo slogan: “corri a casa in tutta fretta c’è un biscione che ti

65 Montanelli Indro, Il teleschermo avvelenato, in “Corriere della Sera”, 6 maggio, 1964, p. 3.

47

aspetta”66. Berlusconi riesce farsi strada grazie al sostegno di Craxi e alla sua capacità si

manager dello spettacolo portando a Canale 5 personaggi come Mike Bongiorno, la coppia

Vianello-Mondaini, Maurizio Costanzo, Lorella Cuccarini, Raffaella Carrà, Pippo Baudo.

Politica e televisione sono ormai intrecciati come non mai e nel 1986 arriva l’Auditel con la

possibilità di una misurazione quantitativa degli ascolti e per la prima volta è possibile

fotografare i rapporti di forza tra Rai e Fininvest. Vince la seconda e la Rai entra in crisi,

affrontare la concorrenza e affrontare le grandi trasformazioni socio-culturali di quell’epoca

la costringono a rivedere la sua programmazione.

Siamo nella seconda metà degli anni 80 quando assistiamo alla trasformazione di Rai Tre.

La rete che ha ricoperto per qualche anno un ruolo del tutto marginale nel panorama

televisivo nazionale, nel giro di qualche anno vede caratterizzarsi da una linea editoriale più

netta e coerente, che percorre il sentiero delle notizie di qualità, attuali, legate ai grandi

avvenimenti politici e sociali dell’epoca, senza dimenticare che sono indirizzate alla massa

quindi con una particolare attenzione alla realtà, al quotidiano, alla verità.

L’infotainment si intreccia con la tv-verità e nasce il docudrama (montaggio di scene di film,

serie tv, video ecc.), “si tratta di un genere nato in Gran Bretagna e all’origine caratterizzato

da un forte afflato pedagogico che aiutava lo spettatore a costruire il senso della realtà storica.

Allentandosi da questa fonte originaria, il docudrama fa perdere allo spettatore quanto

restava dei confini tra realtà e finzione, tra fatti e rappresentazione”67. Sono gli anni di Linea

Rovente di Giuliano Ferrara, Samarcanda di Michele Santoro, Profondo Nord e Milano,

Italia di Gad Lerner, ma anche di Chi l’ha visto? e Telefono Giallo. “Nasce così un modello

di tv, talvolta accusato di sfruttare il dolore o di fomentare lo scontro politico”68.

La televisione commerciale è ormai una realtà ma ciò che manca è un corpus organico di

norme inteso a stabilire garanzie in grado di salvaguardare il pluralismo nell’informazione.

Arriviamo quindi alla legge Mammì 223/90, “Disciplina del sistema radiotelevisivo

pubblico e privato” dal nome del ministro delle poste e

telecomunicazioni repubblicano Oscar Mammì, che riconosce il diritto dei privati ad

66 http://www.agenziacomunica.net/2016/09/30/30-settembre-1980-nasce-canale-5/

67 Sorrentino Carlo, Il giornalismo in Italia: aspetti, processi produttivi, tendenze. Vol. 415. Carocci, 2003, p.

8

68 Luca Barra “La verità attentamente messa in scena”, in Aldo Grasso, Storie e culture della televisione

italiana, 2013, p. 90

48

accedere alle frequenze su scala nazionale, previa concessione statale, vietando inoltre

pubblicità durante i cartoni animati e fissando il massimo numero di spot durante la

trasmissione di film.

È arrivata ormai Tangentopoli, i vecchi simboli lasceranno il posto ai nuovi due grandi partiti

nati sulle guerre mediatiche degli anni Ottanta e inizierà il vero scontro Rai-Fininvest.

“Perché la Seconda Repubblica è nata dalla tv”69.

In tema televisivo un profondo cambiamento sarà dato dalla legge 206 del 1993 quando al

governo s’insediò Carlo Azeglio Ciampi. L’intento era quello di risanare il deficit Rai

intraprendendo la strada del cosiddetto Decreto salva Rai, che porta a cinque il numero dei

componenti del Cda, il cosiddetto “Consiglio dei professori”, venne ridefinito l’assetto

organizzativo, ci furono importanti tagli e si ottenne l’allontanamento di importanti figure di

quegli anni.

Ma le elezioni del 1994 segnano il reale inizio della politica-spettacolo “cambiano le parole,

cambiano i riti. Abbandonati i comizi, i leader scelgono la tv e la politica invade il piccolo

schermo che si trasforma in piazza mediatica, in talk show, in spettacolo”70. Segue la vittoria

dell’Ulivo alle elezioni del 1996 e la legge Maccanico n. 249 del 31 luglio 1997 per

affrontare le tematiche dell’antitrust ed istituire l’Autorità per le garanzie delle

comunicazioni.

Durante le successive elezioni del 2001 abbiamo assistito a una televisione teatro di scontro

tra l’Ulivo e la Casa delle Libertà, nacque la questione di Santoro, oggetto di un esposto da

parte di Forza Italia all’Authority e la polemica che seguì l’intervento di Marco Travaglio a

Satyricon su Rai2 con le accuse in tema finanziario contro Berlusconi.

Vedremo di lì a poco la direzione generale di Cattaneo e il nuovo volto Rai, con il

ridimensionamento delle Reti a mere strutture esecutrici e i vari tentativi di

ammodernamento nell’offerta televisiva.

Intanto nel 2002 si ottiene la legge Gasparri sulle telecomunicazioni che comporta importanti

novità per nomine Rai con un nuovo aumento dei membri del Cda da cinque a nove.

69 Marco Damilano, I partiti all’assalto di Viale Mazzini, in Aldo Grasso Storie e culture della televisione

italiana, 2013, p.113

70 Giuseppe Gnagnarella, La Bella Preda, Rai tra politica e audience, Carabba, 2008, p. 30

49

Le campagne elettorali si svolgono sempre più in televisione e nel 2006 esplode la

discussione di domenica 12 marzo nel programma di Lucia Annunziata tra Berlusconi e la

conduttrice, riportata nei giorni seguenti da tutti i maggiori programmi.

Negli anni seguenti si è percorso il tragitto del rinnovamento accostando ai vecchi titoli un

grande quantità di nuovi programmi in grado di raggiungere un pubblico anche più giovane.

Viene portata a termine la riforma Rai con la legge n.220 del 28 dicembre 2015 che tra le

varie novità aumenta i poteri del direttore generale ora trasformato in amministratore

delegato.

50

2.1.2. MEDIASET

“Prima della televisione commerciale e dopo il monopolio della tv servizio pubblico, c’è

stato un periodo in cui le emittenti locali si moltiplicavano sul territorio. Erano televisioni

ruspanti, che riprendevano le feste di paese, il presentatore delle sagre, i cantanti amatoriali,

i ballerini dilettanti di balera”71.

Ben presto le reti commerciali vennero assorbite da un unico organismo: la televisione

commerciale. La piccola Telemilano in quella fase iniziò una scalata senza precedenti che la

portò nel 1980 a cambiare nome e logo in Canale 5. La nuova rete si fece strada

sponsorizzando temi che interessavano al pubblico italiano, ma spesso messi in disparte

dall’offerta Rai dedicata invece al suo progetto educativo, parliamo di calcio, cinema e serie

tv.

Una serie in particolare segnò il successo della rete: Dallas, scartata dalla Rai, la nuova rete

la seppe vendere e rendere uno dei programmi di punta (Freccero). Ma quiz, varietà e talk

show che si ispirano alla commedia all’italiana e all’America degli anni Sessanta sono

all’ordine del giorno. “La televisione commerciale condivideva i tratti del postmoderno

come insieme di alto e di basso, di kitsch e di citazione”72.

Così come per la Rai, anche per la nuova rete l’Auditel comportò una profonda

trasformazione: pubblicità e marketing diventano le parole d’ordine. Ma la tv privata era in

differita, all’epoca non poteva trasmettere in diretta, e al centro della programmazione

avevamo la pubblicità, in questa fase il riferimento al modello hollywoodiano e al sogno

americano è palese.

In questa che Freccero definisce infatti come “fase americana” il palinsesto è basato

sull’acquisizione di materiale internazionale, prettamente americano, e non

sull’autoproduzione, comportando “l’americanizzazione” e “l’internazionalizzazione” del

gusto. Dall’America si riprende quindi la controprogrammazione e a Dallas su Canale 5

risponde Dynasty sulla concorrente Rete4.

La fase successiva corrisponde invece all’affermazione dell’autoproduzione e al nazional-

popolare.

71 Freccero Carlo, Televisione, Bollati Boringhieri, 2013, p.46

72 Ivi p. 53

51

“Il punto di svolta si ha nel dicembre del 1981 con l’arrivo a Canale 5 di Mike Bongiorno:

il massimo dell’americanizzazione e insieme del provincialismo italiano, la saldatura con la

memoria storica della Rai e la formula vincente del nuovo show73”.

Gli anni Ottanta sono gli anni di affermazione di Canale 5 con la nascita di programmi che

segneranno la storia della rete come Nonosolomoda o Maurizio Costanzo Show, ma anche

Buona Domenica e Forum.

Ma è nel 1983 che la società si espande ed acquisisce Rete4 e Italia1. Siamo nel periodo del

pieno sostengo di Craxi a Berlusconi e quando nel 1984 la Rai presenta un esposto contro

Fininvest perché violava la legge sul monopolio televisivo (solo la Rai poteva trasmettere

sul territorio nazionale) e la nuova rete venne per questo oscurata, Craxi risolse il problema

con il cosiddetto decreto Berlusconi.

Nel 1990 si ottiene la legge Mammì che vieta la possibilità di possedere più di 3 canali,

fotografando quindi la situazione esistente e sancendo il duopolio Rai-Fininvest.

Facciamo quindi un salto fino al 1992 e a Mani Pulite, un anno e un’inchiesta determinanti

per la storia del paese per una pluralità di ragioni, tra cui la decisione di Silvio Berlusconi di

salire in politica e lasciare le cariche ricoperte nel gruppo Fininvest.

È dalla televisione che proviene Berlusconi, non a caso quello torna ad essere

immediatamente il suo teatro d’azione e ampio respiro in questa fase Canale 5 dà al

candidato e ai personaggi a lui vicini.

Programmi di successo in questi anni diventano Non è la RAI, La ruota della fortuna, Striscia

la notizia, Verissimo e molti altri.

Gli anni 2000 vedono poi l’affermazione di due format in particolare: il reality e il talent

show, Grande Fratello e Amici di Maria de Filippi saranno un successo per la rete.

Il 12 dicembre 2016 inizia la scalata di Vivendi, società francese operante nel campo dei

media e delle comunicazioni, che annuncia di detenere più del 3% del capitale di Mediaset

e di voler arrivare a possedere una quota tra il 10 e il 20%74.

73 Ivi p. 56

74 http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2016-12-20/mediaset-vivendi-e-257percento-cda-

esposto-all-agcom--230745.shtml?uuid=ADN5oWHC&refresh_ce=1

52

Ma a dicembre inizia la scalata della società e il 20 dicembre 2016 la partecipazione sale al

25,75%75.

Il 22 dicembre 2016, l'azienda raggiunge il 29,99% del capitale76.

75 http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2016-12-20/mediaset-vivendi-e-257percento-cda-

esposto-all-agcom--230745.shtml?uuid=ADN5oWHC&refresh_ce=1

76 http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2016/12/22/mediaset-vivendi-al-299-dei-voti_97265868-abe5-

4371-ba6b-0bf58dd00837.html

53

2.1.3 LA7

Il duopolio Rai - Mediaset in Italia ha ostacolato la diffusione di altre reti e, benché tutt’oggi

non si possa ancora parlare della fine del duopolio, sicuramente la sua crisi è iniziata e

procede inesorabile.

Siamo nel 2000 quando Telemontecarlo (TMC,) l’emittente televisiva di Vittorio Cecchi

Gori, viene venduta a Seat Pagine Gialle (del gruppo Telecom Italia)77. Il 24 giugno 2001 vi

sarà la completa trasformazione in La7, per il lancio del nuovo canale si organizzerà una

serata di gala a Milano presso la discoteca “Alcatraz” presentata dalla coppia Fazio –

Littizzetto, con ospiti come: Eros Ramazzotti, Pino Daniele, Francesco De Gregori, Gad

Lerner, Giuliano Ferrara, Sabina Guzzanti, Neri Marcorè, Geri Halliwell e Vincenzo

Montella78.

Un format su cui la rete punterà per il proprio lancio per entrare in concorrenza con Rai e

Mediaset è proprio il talk show, il programma avrebbe dovuto chiamarsi Fabshow condotto

da Fabio Fazio ma cancellato prima della messa in onda per alcune polemiche con i vertici

della rete.

Il primo periodo per la rete non è facile, i risultati in termini di auditel non sono soddisfacenti

e soprattutto non permettono di infrangere il duopolio. Risale al 2002 una prima

trasformazione ed è con l’arrivo di Marco Tronchetti Provera a Telecom Italia, a cambiare

non è solo il logo ma anche l’impostazione generale della rete, non più giovanile e allegra

ma tv di approfondimento, sono anche gli anni de L’Infedele, Omnibus, e Otto e mezzo.

Nel 2003 Daria Bignardi e Piero Chiambretti approdano a La7 con Markette e Le Invasioni

barbariche.

Nel 2006 arriva invece il licenziamento di Aldo Biscardi e la conseguente chiusura di

Processo Biscardi (che nella sua ultima puntata aveva raggiunto il 6,50% di share79) perché

coinvolto nel calcioscommesse.

77 http://www.repubblica.it/online/economia/seat2/fatto/fatto.html

78 https://www.youtube.com/watch?v=BcBAncJtqsk

79 http://www.corriere.it/Primo_Piano/Sport/2006/05_Maggio/16/biscardi.shtml?refresh_ce-cp

54

Risale a un anno dopo l’allontanamento dalla rete di un altro personaggio, Daniele Luttazzi,

che durante il suo Decameron aveva offeso Giuliano Ferrara, all’epoca conduttore di Otto e

mezzo80.

Nel 2012 Luttazzi vince la causa contro La781, secondo la sentenza non ci furono offese ma

solo satira e si condanna La7 al pagamento di 1 milione e 200 mila euro lordi. “Il tribunale

di Roma ha tutelato il diritto di fare satira sancito dalla Costituzione” ha dichiarato Luttazzi.

Lo stesso anno della crisi con Luttazzi Le Invasioni Barbariche di Daria Bignardi vincolo il

Telegatto, il primo per un programma di La782.

Gli anni successivi vendono profondi cambiamenti, con l’arrivo del nuovo direttore Quintilio

Tombolini, si susseguono tagli e abbandoni (come quello di Daria Bignardi e Piero

Chiambretti) e nuove assunzioni (Lilli Gruber).

L’anno di svolta è il 2010 segnato dall’arrivo di Enrico Mentana alla conduzione del Tg, al

cui proposito Gad Lerner dichiara: “Mi auguravo che venisse già nel 2009, ora la squadra

dell'informazione diventa fortissima. Insieme a Ilaria D'Amico, Lilli Gruber, Daria Bignardi,

Luca Telese, allo stesso Piroso che può dare un grande contributo da conduttore, la rete

guidata da Tombolini può crescere ancora”83.

Il 30 giugno 2010 Mentana esordisce alle 20,00 con la direzione del telegiornale e registra

uno share del 7,3%, quasi 1 milione e mezzo di telespettatori84.

Si susseguono in questi anni nuovi programmi di punta, nuovi acquisti ed allontanamenti per

la rete, arrivando al 2011 anno di svolta in sui rivoluziona logo e immagine.

Il 2012 segna tra le varie novità sull’organizzazione del palinsesto l’arrivo di Michele

Santoro e del suo Servizio Pubblico85, trattativa iniziata già l’anno precedente e poi sfumata

per l’intenzione, inseguito abbandonata, della rete di controllare i contenuti del programma

prima della messa in onda.

80 http://www.repubblica.it/2007/12/sezioni/spettacoli_e_cultura/luttazzi/luttazzi/luttazzi.html

81 http://www.corriere.it/spettacoli/12_marzo_10/satira-tv-luttazzi-vince-causa-contro-la-7-franco_69183226-

6a83-11e1-8b63-010bde402ef9.shtml

82 http://www.tvblog.it/post/4255/telegatti-2007-i-vincitori

83 http://www.repubblica.it/politica/2010/06/16/news/mentana_la7-4876133/

84 http://www.tvblog.it/post/21254/ascolti-tv-lunedi-30-agosto-2010-boom-per-per-il-tg-la7-con-enrico-

mentana-al-73-e-15-mln

85 http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/07/04/dalla-prossima-stagione-servizio-pubblico-di-michele-santoro-

in-onda-su-la7/284178/

55

Nel 2013 La7 viene venduta da TI Media a Cairo Communication86 e tra le varie novità di

Urbano Cairo ricordiamo l’arrivo in quell’ anno di Miss Italia trasmesso in una serata.

Nel 2015 Santoro lascia La7 e abbandona il genere del talk: “Il talk show in quanto tale è

vivo e vegeto. Renzi sarebbe nato senza il talk show? E Salvini, e Landini? La sua crisi

esistenziale è dovuta invece alla modestia di un piano industriale che ha scelto, per contenere

i costi, di rendere monotematica la giornata televisiva. Dal lunedì al giovedì, dalla mattina

alla sera, sempre e ovunque talk politici”87 .

Arrivano all’ultima stagione appena conclusa: “la Rete del Gruppo Cairo Communication

continua ad essere la tv generalista che cresce di più in termini di ascolti. La sola La7 ha

registrato il 3,19% nel totale giornata (7:00/2:00), in crescita del +6% (vs 2015/16) e +3%

(vs 2014/15), e il 3,91% in prime time con un milione di spettatori medi (20:30/22:30),

rispettivamente 3% e del +2%. Il Network La7 (La7 e La7d) conquista nel totale giornata il

3.70%, rispettivamente del +5% e del 4% in confronto alle due stagioni precedenti, facendo

segnare la migliore performance degli ultimi tre anni. L’informazione gioca un ruolo sempre

centrale, con le edizioni del TgLa7 di Enrico Mentana, a cui si aggiungono gli

approfondimenti di Bersaglio Mobile e le imperdibili #maratonamentana che seguiranno i

principali avvenimenti nazionali e internazionali”88.

86 http://www.corriere.it/economia/13_marzo_04/telecom-italia-media-la7-cairo_51ef2180-84d7-11e2-aa8d-

3398754b6ac0.shtml

87 http://www.huffingtonpost.it/2015/06/11/michele-santoro-fine-servizio-pubblico_n_7559100.html

88 http://www.la7.it/la7racconta/video/la7-una-certa-idea-di-tv-12-07-2017-218269

56

2.1.4. SKY

Il 31 luglio 2003 iniziano le trasmissioni Sky dopo l’autorizzazione della Commissione

Europea alla fusione Stream-Telepiù consentendo la nascita di un’unica pay-tv in Italia89.

La rete, verso la fine del 2011, raggiunge il traguardo dei 11 milioni di abbonati 90.

Sempre nel 2011 Sky oscura Mediaset Plus per inadempienze contrattuali. Il contratto infatti

stabiliva che Mediaset Plus avrebbe incluso nel palinsesto il meglio della programmazione

di Canale 5, Rete4 e Italia 1 (restarono invece esclusi programmi Chi vuol essere milionario,

Striscia la Notizia, Zelig ecc.).

L’Amministratore delegato di Sky Italia ha così commentato la decisione: “Sono molto

dispiaciuto che Mediaset non abbia onorato gli impegni contrattuali in merito alla

programmazione di Mediaset plus, privando così i nostri abbonati del meglio dei programmi

delle reti Mediaset. Il mancato rispetto degli impegni assunti in relazione alla

programmazione di Mediaset Plus ha reso purtroppo necessaria la decisione di interromperne

la distribuzione. Stupisce però che il gruppo Mediaset rinunci ad una platea televisiva di

oltre 13 milioni di italiani che accedono ai programmi Sky, dopo aver già rifiutato di

accogliere le nostre campagne pubblicitarie sulle proprie reti, rinunciando così ai relativi

proventi"91.

89 http://www.corriere.it/Primo_Piano/Economia/2003/03_Marzo/31/paytv.shtml

90 http://www.tvblog.it/post/28295/sky-raggiunge-i-5-milioni-di-abbonamenti-e-regala-due-weekend-free

91http://tg24.sky.it/economia/2011/07/02/mediaset_plus_non_e_piu_distribuito_dalla_piattaforma_sky.html

57

2.2 L’EVOLUZIONE DEL PANORAMA POLITICO ATTRAVERSO IL

TALK SHOW

I talk show che hanno fatto la storia della televisione ed hanno contributo all’evoluzione

della percezione della scena politica sono molti: in questo elaborato si è deciso di riportarne

alcuni ritenuti decisivi per il contesto socio-culturale in cui si sono inseriti.

La decisione è stata quella di utilizzare la storia dei maggiori talk italiani per ripercorrere le

fasi più significative dell’evoluzione della scena politica e della comunicazione politica dagli

anni Sessanta ad oggi. Un percorso che va dalla mission pedagogica della rai e dal controllo

dei partiti sulla comunicazione all’introduzione dei social network e l’affermazione della

“piazza” come vera protagonista.

Per la selezione dei programmi due sono stati principalmente i criteri utilizzati: 1) l’analisi

compiuta da Novelli (2016) in merito ai programmi che più di altri hanno rispecchiato il

panorama politico 2) una panoramica soddisfacente sui talk che hanno fatto la storia della

loro rete Rai, Mediaset, La7, Sky.

A tal proposito i programmi scelti sono:

• Tribuna elettorale

• Mixer

• Samarcanda

• Porta a Porta

• Matrix

• Servizio Pubblico

• Il Confronto

Successivamente verranno comunque prese in considerazione anche le performance di altri

talk in riferimento alle varie tematiche affrontate, dalla presunta crisi del genere alla struttura

dei vari programmi.

58

2.2.1 STORIA DI UN FORMAT DI SUCCESSO

Il genere talk nasce in America, inizialmente per uso esclusivo della radio, verso la fine degli

anni ’60 viene traghettato verso il mezzo televisivo.

Fino agli anni ’70 il talk risponde alla domanda di socializzazione che viene all’epoca rivolta

a tutta la televisione, con il raggiungimento del benessere per la maggioranza, il format

inizierà a rispecchiare la società contemporanea, la società dei consumi.

Con gli anni ’80 questo macro genere inizia la sua evoluzione verso le forme di

spettacolarizzazione e intrattenimento che prenderanno il sopravvento negli anni ’90.

Tra gli anni Novanta e Duemila sicuramente il talk politico diventa uno dei format di punta

dell’offerta televisiva italiana e nell’ultima fase ha certamente raggiunto una piena maturità,

frutto di notevoli trasformazioni da quel primo esperimento di video-politica che fu Tribune

Elettorali nel 1960.

Evoluzione significativa risale negli anni ’90 grazie all’imposizione del modello “neo-

assembleare”92 con programmi come Samarcanda, Milano, Il rosso e il nero, con il dibattito

che scende in piazza e le istanze sociali che entrano in televisione.

Anni in cui il ruolo dei media si accosta a quello della magistratura nelle accuse aperta a una

classe politica corrotta, contribuendo non solo a segnare una fase fondamentale per la storia

politica del Paese, ma anche ridefinendo il ruolo dello stesso format negli spazi della

comunicazione politica. Si è infatti affermato negli ultimi anni come il principale strumento

della comunicazione politica contemporanea, approfittando certamente degli anni di crisi ed

emergenza costante del sistema politico, “il talk ha saputo capitalizzare negli anni l’esigenza

di veder raccontata e rappresentata la politica con le sue contrapposizioni e i suoi scontri”93.

Due sono gli elementi a cui ricorrono Barra e Scaglioni per spiegare il successo degli anni

Duemila del format:

1. L’eventizzazione: il talk ha colto e raccontato sotto forma di eventi il ventennio

berlusconiano. Un esempio su tutti è lo scontro nella puntata pre-elettorale di Servizio

92 Parodi Marco, Variations in the melodrama of political TV talk shows. The aggression to Berlusconi and the

endless soap of Italian politics, in Comunicazione politica 12.3, 2011, p. 388

93 Barra, Luca eMassimo Scaglioni, Di necessità virtù. Talk show politici e logiche televisive, in Problemi

dell’Informazione 3, 2016, p. 543

59

Pubblico su La7 il 10 gennaio 2013, tra Marco Travaglio e Berlusconi. La puntata fu

un successo senza precedenti per il programma e per la rete in generale con uno share

del 33,58% e circa 9 milioni di telespettatori94.

2. L’altro elemento è la fidelizzazione dell’audience: divenendo programmi consolidati

nei palinsesti (nel decennio 2002-2013 Ballarò il talk si Raitre ha fidelizzato più di

3 milioni di telespettatori).

Riportiamo quindi di seguito qualche dato in grado di dimostrare il successo e quindi i

risultati in termini di fidelizzazioni che vantano i talk dei nostri giorni.

Partiamo da alcune trasmissioni rappresentative dell’info/politainment nel corso di 4

stagione televisive dal 2004 al 2008, cioè: Ballarò, Annozero, Porta a Porta, Matrix, Che

tempo che fa, Le Invasioni Barbariche, Striscia la notizia, Le Iene, Parla con me.

I grafici di seguito riportati, risultato da un’elaborazione di Mazzoleni e Sfardini95 sui dati

auditel/Geca Italia, permettono immediatamente di verificare quell’elemento di

fidelizzazione di cui parlano Barra e Scaglioni, tutti i programmi hanno un trend costante

negli anni simbolo di essere divenuti un appuntamento fisso per il loro target di riferimento.

94 http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/01/11/berlusconi-da-santoro-e-boom-di-ascolti-quasi-9-milioni-

davanti-alla-tv/467099/

95 Mazzoleni Gianpietro e Anna Sfardini, Politica pop. Da Porta a porta a'L'isola dei famosi, Il mulino,

2009, p.110

60

Venendo ora al profilo social demografico del pubblico di riferimento per tali programmi

rilevato nella stagione 2007-2008 emerge innanzitutto la massiccia presenza di un pubblico

adulto, infatti i programmi sono collocati tendenzialmente nel quadrante destro. Il pubblico

di Porta a Porta è tra i 55-64enni ed è in assoluto il più anziano, seguito da Ballarò con i 45-

64enni. La differenza principale delle due trasmissioni risiede però nel sesso dei

telespettatori, Porta a Porta femminile (20,81% di share) mente Ballarò maschile (17,41%).

I giovani compaiono invece per Matrix e Le Iene (il primo con una platea prettamente

maschile, il secondo invece femminile), entrambi riescono comunque ad intercettare le fasce

più dei 15-24enni.

Infine, venendo ai livelli di istruzione, si ribadisce la preminenza di un pubblico istruito più

attento all’informazione politica, concentrandoci sulle fasce giovani il pubblico de Le Iene è

laureato (16,40% di share) mentre quello di Matrix possiede il diploma di media inferiore o

superiore.

61

Riprendendo invece la seconda parte della ricerca, illustrata nel primo capitolo, PRIN 2006

“Campagne elettorali e cittadino informato: l’influenza dei media e dei modelli di consumo

mediale nelle scelte politiche degli elettori” che ha portato alla distinzione tra 4 tipologie di

spettatori/cittadini. In riferimento quindi alla fidelizzazione dell’audience vediamo la

tipologia di spettatore per approccio al talk, concentrandosi sulle due principali: l’onnivoro

e il leggero. Entrambi si interessano a generi hard e soft, il primo emerge come una sorta di

“cittadino monitorante” del panorama politico che lo circonda con un occhio comunque

distaccato e disincantato, il secondo anche dedito all’informazione, privilegiando però quella

leggera.

I programmi più seguiti dagli onnivori sono Che tempo che fa (6,3%), Ballarò (4,8%),

mentre per i leggeri Zelig (12%) e Le Iene (7,5%), dati che rispecchiano in linea generale i

caratteri dei modelli di riferimento.

Un ultimo dato è quello che riguarda invece la domanda: “nei programmi di intrattenimento

che vede più spesso quanto gradisce che vengono trattati temi politici?”. Gradimento elevato

per gli onnivori (44,6%) al contrario dei leggeri (16,9%).

Un ultimo aspetto che prendiamo in considerazione riguarda il rapporto fra talk show e

internet, una relazione ormai profonda e sempre più in costante evoluzione. L’utilizzo del

web assolve molteplici funzioni tra cui96:

• Archivio

• Approfondimento tematico

• Partecipazione

Possiamo individuare diversi utilizzi di Internet da parte dei programmi tv97:

1. Siti internet che esistono grazie alla tv, in particolare rimandano ai contenuti veicolati

direttamente dal programma televisivo.

2. Siti internet legati al talk di riferimento che producono contenuti originali e quindi

sono essi stessi fornitori di servizi per la televisione.

3. Pagine online, assimilabili ai media tradizionali, che forniscono un terreno di

confronto e commenti sulla tv.

96 Peverini Paolo, I media: strumenti di analisi semiotica, Carocci, 2012, p. 111 97 Bagnasco Matteo, Rapporti in evoluzione fra Tv e Internet: il caso dei talk show, in Problemi

dell'informazione 24.4,1998, p. 612

62

Ma se parliamo di engagement online fondamentale è il ruolo dei social network che

consentono un notevole grado di interazione tra pubblico e programma, riportiamo quindi

qualche dato esplicato della presenza dei talk su Twitter nel 2016, presenza sicuramente non

ancora massiccia ma in crescita98.

Il record di tweet va a Piazza Pulita (La7) che registra uno share del 3,4%, seguito da

DiMartedì (La7) con uno share del 6%. La trasmissione che registra maggiori ascolti è

invece Report (Rai3) benché i tweet siano inferiori rispetto agli altri talk, “segno che i

reportage stimolano meno le conversazioni online rispetto al dibattito con ospiti in studio”.

98 http://www.mrasspciati.it/lanalisi-di-cinque-talk-show-quanto-pesa-il-second-screen-piazza-pulita-e-

quello-che-genera-piu-tweet/

63

2.2.2 TRIBUNA ELETTORALE

Tribuna Elettorale nasce nel 1960 ed è il primo talk show tutto all’italiana.

Partiamo innanzitutto da un’analisi del contesto italiano in cui il programma si inserisce e di

cui riflette i caratteri predominanti. Sono gli anni in cui il sistema dei media è ancora agli

esordi e sono i partiti i veri artefici della comunicazione, è la fase del voto ideologico, della

militanza partitica, di una scarsa mobilità elettorale e di un ferreo controllo del governo sulla

televisione, siamo in piena “democrazia dei partiti”, in quella che Pippa Norris (2000)

definisce “era premoderna”. Questo è in contesto quando per la prima volta televisione e

propaganda politica si incontrano, gli anni Cinquanta sono ormai trascorsi e le richieste di

accesso al mezzo televisivo da parte sia della destra che della sinistra aumentano quando

Fanfani, esponente della sinistra democristiana, riesce nell’impresa. Tribuna Elettorale è

quindi l’antenato del format che stiamo analizzando che poi assumerà una miriade di

sfaccettature prima di arrivare alla forma che conosciamo oggi. Erano gli anni della funzione

pedagogica ed educativa della tv e dell’austerità dei partiti, riconosciuti come unici

protagonisti della scena politica, ma anche l’inizio del cambiamento del nuovo decennio, del

boom economico e della protesta, quindi gli scontri di Valle Giulia a Roma e lo sciopero alla

Pirelli di Milano sono alcuni esempi un quadro politico altamente instabile. La scena politica

entra naturalmente in televisione, ma lo fa con pacatezza e distacco e in aperta opposizione

e accusa contro il movimento studentesco (Novelli, 1995). La prima puntata di Tribuna

Elettorale va in onda l’11 ottobre 1960 in virtù della campagna elettorale per le

amministrative del 6 novembre, dando vita al primo al primo teatro di discussione politica

all’interno del piccolo schermo. Granzotto definì così che l’intento del programma è dare:

“attraverso i successivi interventi dei rappresentati più qualificati dei differenti partiti,

nessuno escluso, la conoscenza più ampia e più diretta delle alternative fra le quali con il

vostro voto sarete chiamati a scegliere”99. Si qualifica quindi come il perfetto strumento per

perseguire la mission educativa dello Stato grazie al servizio pubblico radiotelevisivo che

mette a disposizione delle forze partitiche un teatro per la propaganda. Ciò trova conferma

anche nelle parole di Fanfani per cui: “la politica in tv doveva servire a raccogliere attorno

99 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la

politica, l’Italia, Carocci, 2016, p. 43

64

al focolare dei tempi moderni – gli schermi televisivi – babbi, mamme e figlioli, a discorrere

delle cose d’Italia”100. Per quanto riguarda la struttura prescelta si ricorrono ali classici

elementi della comunicazione televisiva già conosciuti dalla classe politica (conferenza

stampa e appello) riducendo al minimo la spettacolarità, l’innovazione e l’artificiosità del

mezzo che così avrebbe sminuito il ruolo degli ospiti. “Tutto quello che direttamente o

indirettamente richiama la dimensione spettacolare propria dello strumento televisivo viene

attenuato e, quando ciò non è possibile, crea imbarazzo”101. Il confronto con il giornalista,

quando c’è, è ridotto al minimo, il ruolo del conduttore è meramente quello di un padrone di

casa che gestisce le tempistiche e la scenografia è ovviamente austera.

Siamo quindi di fronte da un lato alla piena subordinazione della televisione alla politica,

all’affermazione della “democrazia dei partiti” che caratterizza quell’epoca, ma

contemporaneamente a un primo grande esperimento di innovazione televisiva e confronto

democratico. Il programma verrà confermato fino al 1965 cambiando il nome in Tribuna

politica, abbandonando il momento elettorale diventa necessario sperimentare nuovi format

e si inseriscono i dibatti a cinque, importati dalla rubrica radiofonica “Il convegno dei

cinque”. Il nuovo format cambia completamente l’impianto scenografico precedente, si

riduce il distacco tra ospiti e moderatore e l’arredamento è studiato nel dettaglio, altolocato,

elegante, borghese, “si tratta di luoghi non neutri e culturalmente e socialmente lontani dalla

maggioranza degli italiani che assistono al programma”102.

Venendo ora al conduttore, egli si qualifica come unico ponte con il pubblico da casa che

altrimenti non viene mai incluso nella scena, Granzotto ricorre da un lato a un linguaggio

semplice in grado di coinvolgere lo spettatore dall’altro conferisce anch’egli serietà ed

autorevolezza al programma. Concludendo con le tematiche affrontate, esse sono

completamente in mano agli attori politici, il livello di interferenza del medium è ridotto

zero, si propongo questioni e concetti elaborati altrove, spesso lontani dalla quotidianità e

dalla cronaca. Il registro comunicativo continua quindi a non riflettere quello delle piazze e

dei comizi dove la propaganda esplodeva ma restava pacato e sottotono.

100 Giulia Guazzaloca, Tribune e tribuni nella rai degli anni Sessanta, in Aldo Grasso Storie e culture della

televisione italiana, 2013, p.119

101 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la

politica, l’Italia, Carocci, 2016, p. 44

102 Ivi. 47

65

Varie tipologie negli anni verranno sperimentare in risposta ai momenti della scena politica

attuale, le tribune sindacali del 1968, la tribuna popolare del 1970 e le tribune del referendum

del 1974. Nonostante tutto, i primi elementi di spettacolarizzazione iniziarono a manifestarsi

addirittura con questo primo talk e il primo contatto tra politica e intrattenimento non tardò

ad arrivare. Parliamo quindi delle imitazioni di Alighiero Noschese o la parodia del

programma di Mina e del Quartetto Cetra a “Studio Uno”: “prime forme di ibridazione tra

generi diversi: politica, satira, giornalismo, intrattenimento, spettacolo”103. “Le Tribune

cominciarono a modificare le forme e i modelli della propaganda, rappresentarono il primo

passo verso il pluralismo del sistema informativo, avvicinarono i cittadini alla grande

cerimonia della politica, smorzarono un po' delle antiche diffidenze dei comunisti verso i

media audiovisivi, spinsero tutti i partiti a selezionare il proprio personale sulla base di un

nuovo criterio: la capacità di comunicare in video”104.

Da sinistra, Massimo Caprara, Palmiro Togliatti e Gianni Granzotto in una Tribuna

Elettorale del 1960 (fonte: La Stampa).

103 Giulia Guazzaloca, Tribune e tribuni nella rai degli anni Sessanta, in Aldo Grasso Storie e culture della

televisione italiana, 2013, p. 121

104 Ivi p. 123

66

2.2.3 MIXER

Inizia la trasformazione degli anni Settanta, la società inizia a maturare una profonda

evoluzione e il sistema partico inizia sgretolarsi in vista delle trasformazioni radicali del

decennio successivo.

A crescere notevolmente è la presenza dell’apparecchio televisivo nelle case degli italiani e

con essi le ore di programmazione e la varietà di programmi offerti, ma sono anche gli anni

in cui il binomio televisione-Rai cessa di esistere di fronte all’affacciarsi sul mercato delle

emittenti private.

“Dalla seconda metà del decennio Settanta prende avvio in Italia un progressivo

trasferimento della politica dalle piazze e dalle istituzioni agli studi televisivi, con il

conseguente passaggio alla televisione della gestione della disposizione delle strutture

teatrali e spaziali”105.

Vi è la riforma del 1975, inizia una fase di sperimentazione di nuovi format e linguaggi,

arriva il colore e si afferma la centralità dell’intrattenimento in televisione e programmi come

Rischiatutto, 90° minuto e il Tuca Tuca ne sono un esempio.

Di sfondo a tutto ciò si manifesta la profonda trasformazione della scena politica

contemporanea, nasce il fenomeno della personalizzazione della leadership, aumentano le

relazioni tra politica – media – informazione e aumenta la disponibilità della classe politica

ad entrare ed interfacciarsi con lo strumento televisivo (Novelli 2016). “L’immagine e la

seduzione diventano caratteristiche importanti per una politica che fa propria la nuova

dimensione spettacolare, promossa e diffusa dalla neotelevisione”106.

Mixer rappresenta un nuovo modo di fare informazione dove per la prima volta politica e

spettacolo iniziano la loro contaminazione.

Il programma fa il proprio esordio il 21 aprile 1980 su Rai 2, dove resterà fino al 1996 quando

approderà su Rai 3 fino al 1997 registrano 18 anni di attività.

Il programma è organizzato in rubriche e servizi, alla base vi è il modello di un programma

contenitore che propone intrattenimento, informazione e di nuovo intrattenimento, ciò

emerge da una scaletta variegata che tocca musica, sport, politica e cronaca. Eterogeneità è

105 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la

politica, l’Italia, Carocci, 2016, p. 71

106 Ivi p. 68

67

la parola chiave per descrivere questo nuovo modello di programma tv che segnerà

l’evoluzione del format e dei successi programmi degli anni Ottanta.

“All’interno di questa nuova dimensione del consumo, la politica, i suoi rappresentanti e la

discussione di temi di interesse pubblico non godono più di un’area esclusiva e riservata, ma

vengono intervallati e contaminati con contenuti di altro genere, in particolare

intrattenitivi”107.

La trasformazione rispetto Tribuna Elettorale è palese, è terminata la celebrazione della

politica che d’ora in poi è inserita in uno spazio non più esclusivo ma trattata insieme ad una

miriade di altre tematiche.

Lo spettacolo e la politica si incontrano a Mixer e gli strumenti utilizzati sono

prevalentemente due: i sondaggi e l’intervista faccia a faccia.

Cambia il ruolo del giornalista (che già con Faccia a Faccia aveva iniziato la sua

affermazione) non più moderatore in dispare ma attore protagonista che con toni e domande

incalzanti introduce un elemento determinate del talk, ossia lo scontro. Ma lo spettacolo si

raggiunge anche con un altro elemento: la vita privata del politico, informazioni personali

fanno capolino nella scheda biografica con cui il conduttore introduce l’ospite.

Altro elemento decisivo è rappresentato quindi dai sondaggi, servizi, inchieste con dati e

grafici, la tv inizia ad analizzare e studiare la società italiana e con autorevolezza si impone

come suo interprete.

107 Ivi p. 79

68

2.2.4 SAMARCANDA

“A causa dell’autorevolezza di cui gode la tv e della pervasività e della forza del suo

racconto, Samarcanda non è solo un modo, fra molti possibili, di mostrare il paese,

d’informare, di fare politica, ma incide sui tratti e sulla percezione dell’arena pubblica,

ridefinendola nelle sue modalità di accesso, nelle sue titolarità, nelle due logiche, nelle sue

forme discorsive, in base alle regole della televisione. In una parola, su aspetti centrali della

democrazia rappresentativa”108.

Sono gli anni Ottanta, anni di profonda trasformazione a livello nazionale e internazionale,

avvenimenti come la caduta del muro di Berlino, Mani Pulite, l’inizio di un processo di

globalizzazione stanno per stravolgere gli equilibri del paese, è “la fine delle grandi

narrazioni” di Lyotard (1981), l’erosione dei vecchi legami ideologici e sociali. “Con una

rapidità superiore ad ogni previsione, nell’arco di pochi anni, il medium sostituisce la politica

nel ruolo di principale agenzia di aggregazione e rappresentanza delle istanze sociali”109.

È la fase di abbondanza dell’offerta televisiva, della ricerca di nuovi format, nuove

contaminazioni, nuovi registri espressivi. Cambia la gestione del dibattito, cambia la

selezione degli ospiti, entra definitivamente il pubblico nel piccolo schermo in quando

soggetto competente e si afferma definitivamente il ruolo carismatico del conduttore e in

questo Samarcanda con Michele Santoro ha segnato una profonda evoluzione.

Samarcanda nasce come rubrica di approfondimento il 4 aprile 1987, il nome si distingue

dagli altri talk e richiama una città dell’Uzbekistan simbolo di storia e leggenda.

Il programma segna uno scarto con i programmi precedenti: se nella prima fase è un classico

talk di confronto con servizi, inchieste e la classica ambientazione da salotto televisivo

successivamente inizia la sua emancipazione in talk sui generis. Il conduttore abbandona il

salotto e si muove nello studio, modifica costantemente il punto di vista e soprattutto

introduce il vidiwall iniziando il dialogo con l’esterno. La gente comune entra

definitivamente in televisione, vari sono gli schermi disposti lungo lo studio che consentono

i collegamenti con l’esterno, i politici vengono surclassati e la piazza che diventa la vera

protagonista.

108 Ivi p. 107 109 Ivi p. 91

69

Il programma è, tra l’altro, uno dei primi talk di informazione ad essere trasmesso in prima

serata e per la prima volta si smette di raccontare fatti sorti altrove e scelti altrove, ma è in

tv che avviene l’evento e in diretta viene trasmesso. Non a caso, arrivati negli anni Novanta,

Samarcanda esce dallo studio televisivo e scende in piazza, lo fa il 13 giugno 1991 per

festeggiare il referendum per l’abolizione delle preferenze nell’elezione della Camere dei

Deputati. Samarcanda festeggia l’esito di un referendum per cui si era battuto in studio il suo

conduttore e lo fa in piazza alla pari di una qualunque altra forza politica del Paese, ma

soprattutto “comportandosi come un protagonista della scena pubblica e politica”110.

Altro avvenimento centrale nella storia del programma risale al 26 settembre 1991 con la

trasmissione in contemporanea con il Maurizio Costanzo Show su Canale 5 per una serata

dedicata a Libero Grassi. Due simboli del talk politico si contaminano per una sera

monopolizzando per giorni l’informazione, e “il quadro che merge dalla rappresentazione

televisiva delle vicende politiche e giudiziarie che scuotono il paese è quello di partiti, di

una classe politica e di soggetti istituzionali, non più in grado di rappresentare la società

italiana, né di interpretarne l’opinione pubblica. Titolarità alle quali si autocandida ora lo

strumento televisivo”111.

110 Ivi p.104 111 Ivi p. 106

70

2.2.5 PORTA A PORTA

Arrivati agli anni Novanta la televisione assume un ruolo sempre più preponderante anche

nel confronto politico, quindi conflitto di interessi, regolamentazione della propaganda,

controllo degli spot elettorali ed indipendenza dei programmi tv entrano a pieno nel dibattito.

Siamo nel pieno della politicizzazione della “questione televisiva”.

Le trasformazioni in materia di comunicazione politica sono notevoli, si afferma l’emotività,

l’elemento passionale a discapito del ragionamento, si apre l’era del confronto/ scontro;

emerge il ruolo del cittadino-spettatore titolato ad intervenire nel dibattito (Novelli 2016), si

procede verso la “democrazia del pubblico” (Manin 2010). A cambiare profondamente in

questa fase è la visione ed il rapporto che il telespettatore instaura con il leader politico,

portando a maturazione quel processo di personalizzazione già iniziato negli anni precedenti.

L’immagine e il linguaggio del corpo diventano una variabile determinante per consacrare

il rapporto di fedeltà che si instaura con lo spettatore, diventando simbolo di competenza e

professionalità.

Nasce in questa fase il “salotto televisivo della Seconda Repubblica” Porta a porta il 22

gennaio 1996.

Si afferma un nuovo racconto della scena pubblica in quello che si definisce un talk politico

impuro “un programma di parola non dedicato esclusivamente alla politica che affronta

anche temi relativi alla cronaca, al costume, allo spettacolo”112.

Due sono le formule messe in atto dalla trasmissione: 1) l’intervista-dialogo con un attore

politico su temi di attualità politica alla presenza di un altro ospite; 2) il confronto tra due

leader sempre accompagnati da altri ospiti. Si abbandona del tutto il clima conflittuale degli

anni precedenti, la classe politica è ospitata e messa a proprio agio da un conduttore che non

incalza e non crea conflitto, si instaura un rapporto di dare avere tra i due, non c’è politico

di rilievo che non partecipi a una puntata di Porta a porta e non c’è programma che

garantisca all’attore politico un rapporto fiduciario e sereno come quello di Bruno Vespa. “Il

programma pensato come approfondimento di attualità ha l’intento di avvicinare il grande

112 Ivi p.140

71

pubblico al <Palazzo>, facendolo diventare <vicino di casa>”113. Non a caso da Berlusconi

a Renzi, da Letta a Grillo tutti i maggiori leader italiani continuano ad entrare nel programma

che Andreotti definì “la terza Camera del Parlamento italiano”.

Si afferma in questo contesto una rappresentazione della politica profondamente

semplificata e soft, pacata, composta, non ostacolata da scontri con altre forze della scena

pubblica come movimenti, sindacati ecc, “dove la chiacchierata ha preso il posto del

confronto politico”114. Ma dove soprattutto il pubblico torna ad essere un fruitore passivo

senza alcuna possibilità di intervenire nello svolgimento del racconto. “Il pubblico posto

sull’ipotetica cavea semicircolare del teatro greco rimanda immediatamente alla posizione

uditoria del pubblico a casa, seduto sul divano avanti alla televisione. Il telespettatore – così

come lo spettatore in sala – ricopre essenzialmente il ruolo di distaccato osservatore, simile

del resto a quel pubblico che Aristotele descriveva nella sua Poetica”115.

Diventa quindi il teatro dei grandi annunci, si è parlato precedentemente di una tv non più

spettatrice di fatti nati altrove ma artefice diretta di momenti storici per il paese, ecco quindi

che a Porta a porta la classe politica si rivolge direttamente alla cittadinanza.

Evento principale è stato l’8 maggio 2001 quando il programma con Silvio Berlusconi

intervistato da Bruno Vespa si consacra a palcoscenico della politica. L’impianto

scenografico è completamente caratterizzato da telecamere, fotografi, inquadrature dell’altro

in un contesto in cui spettacolo e intrattenimento prendono il sopravvento. Durante la puntata

Berlusconi firma il “contratto con gli italiani” e l’interesse primario della trasmissione e del

conduttore è riconoscere enfasi a quell’evento a discapito dell’intervista giornalistica e di

qualunque forza di contraddittorio.

113 Mazzoleni Gianpietro e Anna Sfardini, Politica pop. Da Porta a porta a'L'isola dei famosi, Il Mulino,

2009. p.158

114 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la

politica, l’Italia, Carocci, 2016, p. 143

115 Denicolai, L. Parole & Media. Talk show, social network e dintorni, 2011, p. 64

72

Il modello narrativo perseguito da Porta a porta assume connotati specifici in alcune puntate

di carattere politico tra cui riportiamo l’analisi di un particolare periodo (metà dicembre-fine

dicembre 2009)116 in cui scandali ed attacchi a Berlusconi sono stati ridimensionati e

ricontestualizzati dal conduttore riuscendo a ribaltare interamente l’immagine dell’ospite. A

conferma di ciò Francesco Marchianò cita gli studi sull’agenda setting (Marini 2006) ed

evidenzia come nel programma di Vespa si tenda a concentrarsi sulla dimensione personale

e specifica del singolo caso evitando una più approfondita analisi, perché “l’obiettivo è

sempre quello di alleggerire i contenuti informativi, accentuandone gli aspetti

sensazionalistici e coinvolgenti”117.

“Per ascolti, rete di trasmissione e numero di puntate, Porta a porta è il talk show politico

più importante degli ultimi vent’anni e, dunque, quello che più di ogni altro ha contribuito a

definire i caratteri della moderna messa in scena televisiva della politica e a promuovere

l’idea di spazio pubblico che fa da sfondo alla seconda Repubblica”118.

116 Marinelli, Alberto, and Elisabetta Cioni, Public screens: La politica tra narrazioni mediali e agire

partecipativo. Volume Completo. Media and Heritage1.1, 2014, 1-278.

117 Ivi p. 164

118 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la

politica, l’Italia, Carocci, 2016, p. 149

73

2.2.6 MATRIX

Matrix è un programma di Canale 5 in onda dal 2005 alla cui conduzione si sono susseguiti

Enrico Mentana, Alessio Vinci, Luca Telese e Nicola Porro. Il talk si caratterizza per un

essere una miscela di tematiche diverse in cui il dibattito politico si inserisce al pari di

qualunque altra tematica, insieme quindi a cronaca, spettacolo, moda e costume. Gli ospiti,

così come abbiamo visto per Porta a porta, sono variegati e provengono dagli ambienti più

disparati contribuendo alla creazione di una messa in scena pop. Rispetto al suo avversario

Porta a Porta, il programma di Canale 5 introduce un elemento dinamico che ritroviamo

nella sigla, nella prospettiva scenica nel ritmo del dialogo. Poco spazio si lascia alle lunghe

chiacchierate, la ricerca costante nel raggiunger il nocciolo della questione emerge in ogni

intervista. Il mix tra hard news e soft news è completo, “gli argomenti della cultura popolare,

oltre ad essere mescolati con quelli di stretta attualità politica, economica e sociale, vengono

anche innalzati di livello, equiparati, in qualche modo, a questioni di più elevata importanza;

viceversa, le hard news riguardanti la politica nazionale e internazionale subiscono un

intervento di popolarizzazione finalizzato a renderle più semplici e comprensibili per un

pubblico più ampio e vario”119. Ma le differenze con Porta a porta ci sono ed emergono

principalmente nel ruolo del conduttore, distaccato e super partes, non incalza l’ospite ma

indaga e con moderazione ottiene “una sua momentanea nudità”120. L’immagine richiamata

da Denicolai è quella del film investigativo, del cinema di spionaggio e la luca che illumina

a cono l’ospite non è altro che la lampada sulla scrivania di un commissario. Il contrasto con

Porta a porta è palese: un’indagine soffusa da una parte contro la rappresentazione di un

dialogo dall’altra.

119 Marinelli, Alberto, and Elisabetta Cioni, Public screens: La politica tra narrazioni mediali e agire

partecipativo. Volume Completo. Media and Heritage1.1, 2014, p. 167

120 Denicolai, L. Parole & Media. Talk show, social network e dintorni, 2011, p. 66

74

2.2.7 SERVIZIO PUBBLICO

L’evoluzione del contesto comunicativo mediatico odierno prosegue ed assume forme

sempre più “ibride”. Oggi la commistione tra televisione e nuovi media ha raggiunto un

altissimo grado di interdipendenza e il predominio che la televisione ha esercitato per oltre

cinquant’anni nella percezione della scena pubblica vede l’avvento della rete porre un

necessario ripensamento dei ruoli.

“La democrazia ibrida che stiamo attraversando dunque denuncia la crisi della democrazia

rappresentativa apertamente sfidata dalla democrazia diretta”, questo afferma Ilvio Diamanti

in riferimento alle trasformazioni della “democrazia del pubblico” condizionata da sfiducia,

populismo e diffidenza, ciò porta a una nuova tipologia di cittadino cioè il “cittadino ibrido”,

perché “diventare ibridi: non è un vizio, ma una virtù e una necessità” democratica”121.

Nonostante ciò in Italia resta la televisione il medium principale e, benché profonde

trasformazioni avvengano online, non è ancora su internet che si decide l’esito di una

competizione elettorale. Questo per più ragioni, come il ritardo che presenta il Paese nella

diffusione e l’uso di internet a cui si associa il device generazionale, ma anche per il ruolo

prioritario che continua la tv a svolgere come principale strumento di comunicazione. Ma il

contatto tra i due strumenti c’è ed è sempre più intenso, la maggior parte delle trasmissioni

hanno inglobato i social network nella propria struttura riuscendo così ad aumentare il grado

di spettacolarizzazione e coinvolgimento che li caratterizza, quindi la possibilità di rivedere

online le puntate o di vederle direttamente online, la comparsa di tweet in diretta , l’utilizzo

delle app sono strumenti di programmi “per sottolinearne l’apertura e l’orizzontalità, nonché

di inserire nella trasmissione la voce del pubblico, arricchendo il programma di un ulteriore

piano comunicativo”122.

Venendo adesso al programma in questione, Servizio Pubblico, lo show viene trasmesso

inizialmente su una multipiattaforma di televisioni satellitari, emittenti locali e siti internet

finanziandolo con una donazione di 10 euro da parte di 100.000 spettatori e il contributo del

121 Diamanti Ilvo, Democrazia ibrida, Editori Laterza GLF, 2014. p. 59

122 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la

politica, l’Italia, Carocci, 2016, p. 182

75

“Fatto Quotidiano”123. Questo per la stagione 2011 – 2012 dopo la quale il talk approda su

La7 evidenziando subito la profonda differenza con il precedente programma preso in

considerazione (Porta a porta) e il ritorno dello scontro nella costruzione della puntata.

La puntata forse più famosa è l’intervista a Silvio Berlusconi dell’11 gennaio 2013,

nell’annunciare con gran clamore il confronto tra il politico e il giornalista è sicuramente la

dimensione dell’entertainment che prende il sopravvento. Berlusconi in questa fase, come

gli è di consueto, compare con massiccia frequenza in tutti i programmi possibili almeno

fino al periodo di par condicio e così nei giorni precedenti era stato ospitato da Porta a porta,

Otto e mezzo, Mattino 5, Studio Aperto, TG4 e Telelombardia (Novelli, 2016). La puntata è

segnata da due momenti ben distinti, nella prima parte emerge il registro politico-

spettacolare di entrambi che con fermezza gestiscono l’incontro e nella seconda il clamoroso

scontro con Travaglio, il colpo di scena e lo scambio di posti che verrà per giorni ripreso

dagli programmi. Una puntata che garantisce un’importante successo a entrambe le parti, gli

ascolti per La7 sono sopra le aspettative con 8.670.000 di telespettatori (33, 58% di share)124

e Berlusconi ha riottenuto centralità e visibilità politica.

123 http://video.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/videoappello-di-santoro-sul-web--dateci-10-

euro/77803/76193

124 http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-01-11/boom-ascolti-show-berlusconi-101312.shtml

76

2.2.8. IL CONFRONTO

Il dibattito televisivo costituisce una modalità già messa in campo da Sky nei suoi programmi

anche prima del 29 novembre 2013 con l’esordio de Il Confronto, la puntata è dedicata elle

elezioni primarie per la segreteria del Partito Democratico tra Matteo Renzi, Pippo Civati e

Gianni Cuperlo.

Lo studio, come per Il Confronto del 2011 tra i leader del centrosinistra in vista delle elezioni

politiche del 2012, resta quello del più noto talent show della rete X Factor.

Il Confronto rispecchia la trasformazione vissuta negli ultimi anni sia dalla politica che dalla

televisione. Da una parte la ricerca costante di nuove modalità innovative di

rappresentazione del dibattito pubblico, dall’altra i profondi cambiamenti che della cultura

politica italiana. Ci si riferisce il particolare all’introduzione delle primarie per lo

schieramento di centrosinistra, una soluzione politica di risposta al calo e alla disaffezione

della cittadinanza nella partecipazione alla vita pubblica in grado di ottenere consenso e

partecipazione. Ma anche uno spettacolare strumento comunicativo in grado di assicurare

un’importante copertura mediatica alla classe politica attuale. “Le elezioni primarie si

scoprono congeniali alle esigenze dei media perché inclini alla personalizzazione della

politica e alla popolarizzazione e spettacolarizzazione della sua trattazione”125.

Riportiamo in particolare l’edizione del 2013 per la sua notevole evoluzione social in grado

di assicurare innovativi strumenti partecipazione.

La spettacolarizzazione è al centro dell’impianto scenografico, l’ingresso degli ospiti tra

musica, luci e applausi è alla pari dell’entrata dei cantanti del talent, è la celebrazione dello

spettacolo e dell’immagine. Ma a questa teatralità corrisponde una struttura di regole fisse e

inderogabili che il presentatore esige: ogni candidato ha a disposizione 3 tipologie di

risposte: 30 secondi, 1 minuto e 1 minuto e 30 secondi; 4 repliche e 4 controrepliche. In

questa costruzione emerge poi il pubblico da casa, lo spettatore-cittadino, che può vedere in

streaming sul sito la puntata, partecipare interattivamente al dibattito con il voting, cioè

rispondendo alla domanda “Chi ti sta convincendo di più?” con il tasto verde del

telecomando, sul sito o sull’app e sfruttare l’applausometro, anche questo accessibile tramite

125 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la

politica, l’Italia, Carocci, 2016, p. 202

77

app o sito. Strumenti con cui Sky apre “l’idea di una nuova forma di partecipazione politica

diretta e una rivoluzionaria funzione democratica della rete”126.

Benché nell’ultimo confronto del 26 aprile 2017 con i tre candidati per la segreteria del PD

lo studio è cambiato e non si è ricorso al voting ancora presente è un altro elemento su cui è

importante infine soffermarci il fact checking, ossia il ricorso a un gruppo di esperti che in

contemporanea con lo svolgersi del dibattito, controlla la veridicità delle affermazioni e dei

dati proposti dai candidati.

Una classe politica monitorata e sfiduciata in varie forme sempre più lontano da quel riserbo

e reverenza di cui vantava nelle tribune della Rai.

126 Ivi p. 206

78

2.2.9. CRISI O ADEGUAMENTO?

Abbiamo visto come l’evoluzione del talk show negli anni abbia rispecchiato a pieno il

contesto di riferimento, riflettendone i caratteri attuali oppure riuscendo ad intercettare le

trasformazioni circostanti mettendo in atto nuove modalità comunicative.

Dagli anni Sessanta caratterizzati da una rappresentazione del sistema partitico autorevole

ed elitario nelle tribune della Rai siamo giunti ad un rovesciamento dei rapporti di forza,

all’affermazione di una scena pubblica orizzontale attiva, ostile alle figure di mediazione e

soprattutto diffidente dell’attuale panorama politico.

“Più la politica, la sua funzione e le sue istituzioni sono andate indebolendosi, più la

televisione ha acquisito un ruolo attivo nell’interpretazione e messa in scena del confronto,

rivendicando anche un ruolo di rappresentanza dell’opinione pubblica un tempo non

concessole”127.

Ma da qualche anno si parla della crisi del talk show, cali degli ascolti, ripetitività dei temi

trattati e degli ospiti invitati sono denunciati ovunque.

“Trame, segreti, finti scoop, balle spaziali e retropensieri: basta una sera alla Tv e finalmente

capisci la crisi del talk show in Italia”128. Scrive su twitter Matteo Renzi il 25 gennaio 2015

commentando una puntata di Piazza Pulita su La7.

La crisi del talk è quindi al centro di dibattiti ormai da tempo, in particolare dalla stagione

2013-2014, in una fase in cui il contesto politico è caratterizzato da una parte dall’uscita di

scena di Berlusconi dall’altra dai governi di coalizione (Monti e Letta).

In riferimento invece alle logiche mediali siamo in un periodo di intense forme di contro-

programmazione, cambi di conduzione e nuovi format che si aggiungono ad un uso

eccessivo e ripetitivo del genere (Barra, Scaglioni, 2016; Novelli, 2016; Mazzoleni, 2016;

Gnagnarella, 2008).

127 Ivi p. 211

128 http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01/27/tv-renzi-trame-finti-scoop-balle-spaziali-capisco-crisi-talk-

show/1373121/

79

Elaborazione su dati Auditel. (Fonte: Barra-Scaglioni, 2016).

Il problema principale riguarda ovviamente gli ascolti e quindi la questione più volte

sollevata (Barra-Scaglioni 2016) è quella dell’autoreferenzialità di un genere che continua a

rivolgersi ad una fetta di pubblico delimitata e fidelizzata negli anni senza riuscire a

raggiungere fette più ampie. Nonostante ciò Barra-Scaglioni nel saggio “Di necessità virtù.

Talk show politici e logiche televisive” affermano l’importanza di contestualizzare il genere

alla luce del particolare contesto politico che stiamo vivendo e delle novità strutturali che il

talk show è costretto ad affrontare. Questo perché le reti nonostante tutto continuano ad

assicurare un uso massiccio del format e ciò perché più che di “crisi del talk” sembra giusto

ipotizzare un suo graduale adattamento al nuovo clima politico. I dati registrati dai talk non

possono essere mai sorprendenti e questo per svariate ragioni, il mezzo televisivo è

comunque orientato all’entertainment e l’informazione politica ne costituisce soltanto una

piccola parte, abbiamo già inoltre ripetutamente visto quanto sia ridotto anche il target dei

talk politici (sia per istruzione che per età) ed è importante sottolineare che per un’analisi

adeguata i risultati di ogni singolo programma vanno inseriti nel macrogenere del talk e nei

numeri complessivi raggiunti dal format.

I dati infatti raccolti nella stagione televisiva 2015-2016 invitano verso una riflessione in tal

senso, basta notare che la differenza in termini di ascolti tra due stagioni differenti è

sicuramente minima.

80

Elaborazione su dati Auditel. (Fonte: Barra-Scaglioni, 2016).

Ecco infatti che anche l’elaborazione di dati quantitativi relativi all’offerta e agli ascolti

attuali del macrogenere condotta da Edoardo Novelli in “La democrazia del talk show”

conferma la tendenza di un genere non in crisi ma in ridefinizione. I 32 talk politici analizzati

nel novembre 2015 hanno garantito all’offerta televisiva ben 524 puntate. “Nel complesso

si può parlare di un genere solido, ben definito e strutturato nell’offerta, all’interno del quale

è in corso un processo di rinnovamento e sperimentazione e talmente istituzionalizzato da

sostenere anche un’azione di celebrazione storica”129. Non si può ignorare, come sostiene

Gianpietro Mazzoleni130, l’importanza e l’eco televisivo raggiunto questo inverno di fronte

lo scontro su La7 tra Renzi e Zagrebelsky, un dibattito che ha assicurato alla rete l’8% di

share131, un risultato che non fa trasparire la fine del format. “Il talk show politico non è in

crisi. O, quanto meno, non più di una politica che, anziché telespettatori, perde ormai da

molto tempo e con un trend crescente elettori. D’altronde in Italia televisione e politica sono

sempre state legate da destini intrecciati e fasi comuni”132.

129 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la

politica, l’Italia, Carocci, 2016, p. 215.

130 Mazzoleni Gianpietro, Un unico, insostenibile talk show, il Mulino 65.6, 2016, p. 947

131 http://www.corriere.it/politica/16_ottobre_01/ascolti-boom-il-duello-la7-il-premier-professore-bd4d9c1a-

87ba-11e6-bf16-41bc56635276.shtml

132 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la

politica, l’Italia, Carocci, 2016, p. 219

81

PARTE III

CASE STUDY: LA RAPPRESENTAZIONE MEDIALE DEL

FENOMENO MIGRATORIO

“L’immigrazione ormai accompagna la nostra vita, le nostre giornate. È un capitolo

importante e ricorrente dello “spettacolo della vita”, che scorre sugli schermi e sulle pagine

dei media”(Ilvio Diamanti)133.

3.1 L’IMMIGRAZIONE COME OGGETTO MEDIATICO

Il ruolo svolto dagli strumenti di comunicazione sulla percezione che il pubblico ha di certe

tematiche è determinante e, di conseguenza, le policies a loro volta vengono influenzate dal

discorso pubblico che si articola intorno un certo tema.

La sfera dei media rappresenta il campo (Binotto, Bruno, Lai, 2016) dove i temi sociali si

esprimono, si costruiscono e dove si trovano soluzioni. In questo contesto determinante

diventa il peso esercitato da vari fattori come aspetti linguistici, metaforici, la selezione e

gerarchizzazione delle issues e, infine, le immagini mediali.

Quando si parla di social problems il panorama diventa più complesso e anche la costruzione

mediale delle tematiche assume diverse sfaccettature, a partire dalla stessa definizione di

“problema sociale”.

“La definizione dei problemi sociali (e ciò è tanto più significativo nella cosiddetta società

dell’incertezza o del rischio) è pertanto un processo saldamente ancorato ai sistemi valoriali,

all’identità collettiva, alle norme condivise. I media svolgono così una funzione ideologica

di controllo sociale, affermando e ribadendo la norma e definendo deviante ogni

comportamento o soggetto che sembra perturbare un ordine sociale presentato di per sé come

desiderabile: la focalizzazione su eventi e singoli “casi da prima pagina”, oppure l’utilizzo

dei dati statistici relativi alla criminalità diventano fondamentali per la costruzione di un

133 Associazione Carta di Roma and Osservatorio di Pavia. "Notizie di oltre i muri." Quarto rapporto Carta di

Roma (2016).

82

consenso verso misure eccezionali ed emergenziali (Altheide 2007) oppure, nel caso qui

presentato, di “difesa” simbolica di uno spazio “nostro” rappresentato come sotto

assedio”134. La percezione di certe tematiche è strettamente connessa alla rappresentazione

stereotipata e negativa diffusa dai mezzi di comunicazione di massa: “Il potere dei mezzi di

comunicazione di massa risiede nella capacità di modellare una determinata realtà sociale.

Gli spettatori, anche i meno attenti, in qualche misura sono investiti da questo potere,

trasferiscono le informazioni mediatiche nella percezione del loro mondo reale (Bandura,

2001). Secondo la Teoria della Coltivazione (Gerbner, Gross, Morgan, Signorielli, &

Shanahan, 2002), i mezzi di comunicazione tendono a sovra-rappresentare alcuni fenomeni

sociali rispetto alla loro reale incidenza, operando in questo modo una distorsione della

realtà. Un’elevata esposizione a tali distorsioni mediatiche si traduce nella percezione che il

fenomeno”135. Ma gli studi sull’argomento sono svariati anche se molti sono ancora gli spunti

di riflessione per continue analisi:

“Le ricerche in psicologia sociale che hanno indagato l’impatto dei mass-media nel

modellare gli atteggiamenti inter-gruppo spesso si sono limitate a descrivere come i membri

di alcuni gruppi sociali fossero rappresentati dai media, arrivando a volte anche a risultati

contrastanti. Esistono invece pochi studi che mettano in evidenza quali siano gli specifici

contenuti mediatici e quali siano i processi su cui i media fanno leva così da aumentare o

diminuire l’espressione di pregiudizio nei confronti di alcuni gruppi sociali (si veda, per una

revisione sull’argomento, Mutz & Goldman, 2010). Inoltre, nella letteratura psico-sociale

rimane aperta la questione del rapporto di causalità tra esposizione mediatica e pregiudizio:

ovvero se siano le persone con maggiore pregiudizio a seguire in misura maggiore un certo

tipo di informazioni mediatiche; o viceversa se siano determinate modalità dei media di fare

informazione responsabili di elicitare o diminuire il pregiudizio. Come suggerito da Mutz e

Goldman (2010), per ovviare a questi limiti, le ricerche future dovrebbero focalizzarsi su

due aspetti: indagare quali siano le specifiche modalità di fare informazione che influenzano

il pregiudizio; quali siano i processi psico-sociali attraverso cui i media agiscono nel

134 Binotto Marco, Marco Bruno e Valeria Lai, eds. Tracciare confini. L'immigrazione nei media italiani:

L'immigrazione nei media italiani. FrancoAngeli, 2016, p.17

135 Latrofa, Marcella e Jeroen Vaes. Potere mediatico e pregiudizio: I mass-media influenzano la nostra

percezione sociale?.In-Mind Italia p.18

83

modificare gli atteggiamenti inter-gruppo”136. Carlo Marletti, in riferimento al tema del

razzismo, ha sottolineato il ruolo esercitato dai media nel sottoporlo all'attenzione del

pubblico e nell'accrescerne la visibilità: "i media concentrano in maniera molto variabile

l'attenzione del pubblico, su questo o quel problema, indipendentemente dalla sua urgenza

reale e dalle effettive condizioni del suo superamento, in base ad eventi per lo più accidentali,

i media fanno esplodere l'interesse di una collettività su taluni problemi, drammatizzandoli

per un breve periodo e creando intorno ad essi attese ed inquietudini di vari gruppi sociali,

per poi lasciarli cadere in stato di latenza, inseguendo altri problemi, e così via, secondo un

ciclo in genere perverso di drammatizzazione e di elusione"137. La tematizzazione

dell’immigrazione all’interno dei media, riportata da Marletti, avviene quindi seguendo un

ciclo di 3 fasi: la prima fase è detta di “latenza” ed è la fase di formazione – costruzione del

tema; la seconda è la “fase di emergenza” che segue un particolare momento-evento

eccezionale, mentre l’ultima è quella “autoreferenziale”, ossia quando il tema inizia ad

essere trattato dai media in base alle dinamiche giornalistiche-mediali. I mezzi di

comunicazione non svolgono solo il ruolo di mera informazione e accanto ad una funzione

“denotativa” emerge quella “connotativa” e “simbolica”138. Il primo elemento evidenziato

da D’Amore è l’inadeguata rappresentazione dei soggetti sociali operata dai media

contemporanei, immagine infantile e rappresentazione femminile in primis. Le motivazioni

di questo “difetto di comunicazione” sono riconducibili ad aspetti già messi in luce nei

capitoli precedenti:

– la tendenza alla drammatizzazione dell’informazione e alla spettacolarizzazione del

quotidiano;

– la tendenza all’uso di un linguaggio che privilegia la dimensione emotiva piuttosto che

quella razionale;

– la superficialità nella verifica delle fonti a favore di un messaggio a effetto;

– la carenza di funzione e fruizione critica dei prodotti di comunicazione (Musarò,

Parmiggiani, 2004).

136 Ivi p.19

137 Carlo Marletti, Mass media e razzismo in Italia, in Democrazia e diritto, 1989, p. 114.

138 http://www.nuovefrontierediritto.it/media-comunicazione-immigrazione/

84

3.2 IL RITRATTO CRIMINALE DELL’IMMIGRAZIONE

Sono 4 i diversi contesti storici della più recente immigrazione europea identificati da Marta

De Philipps139:

• “Tra gli anni Sessanta e Settanta, il modello del lavoro temporaneo (in Svizzera,

Germania, Austria e Lussemburgo) ha attirato soprattutto lavoratori non o semi

specializzati, generalmente dall’Europa meridionale, dall'ex Yugoslavia e dalla

Turchia.

• Il secondo modello, ha avuto origine grazie alla libera circolazione dei lavoratori tra

i paesi nordici, che negli anni Ottanta hanno attirato un gran numero di immigrati,

soprattutto rifugiati, da altri paesi.

• Il terzo modello di immigrazione è il risultato di legami coloniali: in Inghilterra,

Francia, Olanda, Belgio e Portogallo ove gli immigrati sono solitamente in grado di

parlare la lingua del paese di destinazione ma vengono marginalizzati a causa delle

loro diverse origini etniche e del basso livello di educazione.

• Infine, i paesi di nuova immigrazione, soprattutto in Europa meridionale, sono paesi

tradizionalmente di emigrazione che hanno iniziato ad attrarre stranieri solo

recentemente: hanno quindi, generalmente, politiche migratorie e di integrazione

poco sviluppate”.

La tendenza alla criminalizzazione dell’immigrazione è comune a molti paesi e media

internazionali, siamo di fronte ad una visione dell’immigrazione profondamente

radicalizzata nell’immaginario collettivo e che poco risente degli sviluppi in tema di

contenimento e degli stessi dati che ne dimostrano una riduzione. La diffusa ostilità verso

“l’altro”, verso il “diverso” si manifesta come il ritratto di un ritardo culturale (Binotto,

Bruno, Lai, 2016) .

“C’è una difficoltà nel raccontare e dominare il cambiamento socioculturale che riguarda

anche i media: l’ostinata centralità delle notizie riguardanti i crimini degli immigrati appare

sia come un meccanismo di controllo sociale anticipatorio nei confronti degli immigrati sia

come una forma displacement simbolo, un tentativo di spostare l’asse della discussione dalla

139 http://briguglio.asgi.it/immigrazione-e-asilo/2010/marzo/art-de-philippis-percez.html#_ftn5

85

faticosa dialettica conflitto-integrazione a quella, per molti versi molto più rassicurante

dell’Altro-come-minaccia”140.

“Il nesso media – crimine – immigrazione – ansia collettiva tende così a strutturarsi in modo

omogeneo in paesi con diversa storia e cultura”141.

Questa debolezza del nesso tra realtà statistica e realtà costruita in “Tracciare Confini.

L’immigrazione nei media italiani” viene ripresa tramite una serie di studi, che hanno per

oggetto Belgio, Danimarca, Germania, Slovenia e molti altri paesi sulla correlazione tra

l’aumento di attenzione dei media sulla criminalizzazione dell’immigrazione e la diffusione

di movimenti xenofobi e populisti. “Per effetto di questo displacement, in cui i media

assumono un ruolo di assoluta centralità, la semplice presenza dei migranti finisce per

diventare un sinonimo di malessere e disordini, che non solo alimenta l’allarme sociale, ma

è spesso all’origine di veri e propri fenomeni di panico morale”142.

L’allarmismo in tema di immigrazione caratterizza l’informazione italiana dagli anni

Novanta e non sorprende che da un’indagine Eurispes (“Italiani, brava gente?” del Rapporto

Italia 2010 dell’Eurispes) emerga che secondo quasi la metà degli italiani (46,1%) un

atteggiamento di diffidenza nei confronti dei migranti è giustificabile.

La percezione del problema è stata al centro di numerose ricerche negli anni e riteniamo

fondamentale riportarne alcune effettuate in periodi diversi tra loro a dimostrazione della

radicalizzazione del binomio criminalità-immigrazione che prescinde dall’attuale contesto.

La prima ricerca è quella del centro studi della Banca di Italia sul tasso di criminalità nelle

province italiane tra il 1900 e il 2003143, da cui emerge è una diffusa opinione sul nesso

immigrazione - criminalità a fronte in realtà di una percentuale di immigrati non

significativa.

Tutto ciò trova conferma nel progetto di ricerca ricerca «Tuning into Diversity», realizzato

dal Censis144 in collaborazione con l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, e

140 Binotto Marco, Marco Bruno e Valeria Lai, eds. Tracciare confini. L'immigrazione nei media italiani:

L'immigrazione nei media italiani. FrancoAngeli, 2016, p.18

141 Ivi p. 19

142 Ivi p.21

143 M. Bianchi, P. Pinotti e P. Buonanno, Immigration and crime: an empirical analysis, Economic working

paper 2008, n. 698, Dipartimento di ricerca economica della Banca d'Italia.

144 http://www.censis.it/7?shadow_comunicato_stampa=4635

86

finanziato dalla DGV dell'Unione Europea e cofinanziato dal Ministero dell'Interno, per cui

dall’analisi di 72 serie televisive in onda sui palinsesti italiani il 63,8% degli immigrati viene

rappresentato il modo semplificato e facilmente riconoscibile sulla base del “senso comune”.

I fatti di cronaca degli ultimi anni naturalmente non hanno fatto altro che acuire il sentimento

generale e nel rapporto immigrazione-criminalità è subentrato anche il terrorismo. È quanto

emerge da un sondaggio realizzato da Ipsos per Rai NewsIspi con 997 interviste tra il 23 e

il 24 giugno 2015, per il 38% degli intervistati l’immigrazione è una grave minaccia che può

essere connessa al terrorismo145.

Riportiamo di seguito il Rapporto sulla sicurezza in Italia e in Europa realizzato da Demos

& Pi, Osservatorio di Pavia e Fondazione Unipolis, in ottica comparata. Vediamo prima

quindi i dati analizzati nel 2010 e in un secondo momento quelli ricavati dall’ultima edizione

del 2017.

Il primo rapporto è basato su due distinte ricerche condotte nel 2010, una realizzata da

Demos & PI che ricostruisce gli atteggiamenti degli italiani sulla sicurezza (inquadrandoli

nel panorama continentale) e una realizzata dall’Osservatorio di Pavia, riporta l’analisi sulla

“notiziabilità” del tema in base all’indicizzazione dei telegiornali e alla conseguente

rilevazione delle notizie ansiogene. I dati della prima ricerca sono frutto di un sondaggio

condotto su un campione di 1.046 casi, rappresentativo per caratteri socio-demografici e su

distribuzione territoriale della popolazione italiana maggiorenne. Per la seconda si sono

analizzate le edizioni del prime time di tg di Rai 1, mentre per il confronto europeo France

2 (Francia), Tve (Spagna), Ard (Germania) e Bbc One (Gran Bretagna).

Ciò che emerge è che dopo lo scoppio della crisi economica la paura legata alla

disoccupazione ha preso il sopravvento sulle altre emergenze da tempo al centro

dell’informazione (prima tra tutte l’immigrazione) e che con essa la paura della criminalità

è profondamente diminuita rispetto al passato. Dati questi riscontrati a livello europeo ma

che trovano in Italia un’eccezione sui generis, se il telegiornale spagnolo dedica il 40% delle

notizie che generano insicurezza alla crisi, quello francese il 26%, quello inglese io 15% e

quello tedesco l’11%, il TG 1 il 4%. Nonostante la questione economica fosse in quella fase

allarmante sono criminalità e immigrazione ad essere considerate i problemi più gravi dal

51% delle persone.

145 http://www.ispionline.it/DOC/sondaggio.corriere.online.pdf

87

88

Arrivati invece alla decima edizione il rapporto sulla sicurezza146 viene realizzato tra il 24

gennaio e il 3 febbraio 2017 dalla società Demetra di Venezia. Il campione di riferimento ha

superato i 15 anni ed è: italiano, francese, tedesco, polacco, inglese, spagnolo e ungherese.

La seconda parte si concentra sempre sui maggiori telegiornali dal 2010 al 2017 e sempre

sui temi di “notiziabilità” e “notizie ansiogene”. Ciò che emerge è che nonostante lievi

differenze il quadro è tendenzialmente lo stesso rilevato nel precedente rapporto, il 39%

degli intervistati vede l’immigrato come una insidia per l’ordine pubblico e la sicurezza delle

persone, il 36% come minaccia per l’occupazione. Contemporaneamente la preoccupazione

per il terrorismo si è intensifica dopo gli attentati avvenuti negli altri paesi (29% nel 2010,

37% nel 2015 e 44% nel 2017).

Concentrandoci invece sugli eventi ansiogeni presentati nei telegiornali italiani di prima

serata notiamo che dopo dieci anni il trend cala di 8 punti (dal 28% al 20%), ma a cambiare

soprattutto è la composizione interna. Nel 2017 si afferma l’allarmismo rispetto

immigrazione, globalizzazione e minaccia dell’identità (17%). “Essa si colloca al terzo posto

delle insicurezze ed è incentrata quasi esclusivamente sulle criticità – e il rifiuto – della

accoglienza (rivolte e disordini nei centri di accoglienza), la permanenza di migranti e

profughi (che causa degrado nelle città) e gli sbarchi. Nel 2007 l’immigrazione era in cima

alla rappresentazione ansiogena per la – presunta – propensione a delinquere (e

residualmente in connessione all’accoglienza), dieci anni dopo migranti, profughi e rifugiati

in quanto numerosi e “stranieri”, preoccupano anche “solo” per il passaggio nel nostro

territorio”.

In base al rapporto sulla sicurezza l’informazione televisiva italiana ha imposto la

rappresentazione della criminalità come seconda/terza voce dell’agenda tematica

complessiva dei notiziari. Dall’analisi dei maggiori telegiornali italiani emerge la scelta della

televisione italiani di “prendere le distanze dalla realtà”, dando visibilità ad eventi in costante

calo. Nel 2016 sono 3.231 le notizie su migranti, profughi e rifugiati, una media di 9 notizie

al giorno. “Come avvenuto nel 2007 con il binomio immigrazione-criminalità, dieci anni, gli

“imprenditori della paura” lavorano per suscitare preoccupazioni. Nel 2017 sono i rischi di

infiltrazioni terroristiche sui barconi in arrivo le presunte colonizzazioni culturali. Le parole

e le immagini associate allo sgombero della giungla di Calais, alle proteste nei centri di

146 http://www.fondazioneunipolis.org/wp-content/uploads/2017/02/Fondazione-Unipolis-X-Rapporto-sulla-

sicurezza-e-insicurezza-sociale-2017_light.pdf

89

accoglienza, alle barricate di Goro, alle divisioni in Europa nella ripartizione delle quote

possono dunque suscitare – in alcune fasce della popolazione, soprattutto quelle

maggiormente esposte al fenomeno – un aumento della preoccupazione nei confronti di

migranti e profughi”.

90

L’Italia nel 2014 ha vinto il The Ignorance Index147, un sondaggio Ipsos Mori condotto in

14 Paesi dove battiamo Australia, Belgio, Canada, Corea del Sud, Francia, Germania,

Giappone, Gran Bretagna, Polonia, Spagna, Stati Uniti, Svezia e Ungheria. In Italia si

riteneva che il 30% della popolazione fosse composta da immigrati (in realtà era tra l’8 e il

9%) e che il 20% dei residenti fossero musulmani (erano tra il 2 e il 3%). Ricordiamo quindi

che immigrazione e terrorismo restano le sfide più importanti che deve affrontare l’Unione

Europea secondo il recente sondaggio Eurobarometro standard148. Il 45% degli intervistati

identifica quindi l’immigrazione come il maggiore problema europeo (-3 punti percentuali

rispetto la primavera 2016). In ambito italiano la questione immigrazione (26, -2) è seconda

solo alla disoccupazione (31%, -2).

“L’informazione italiana ha scelto (sull’immigrazione, ma non solo) di ridurre fin quasi ad

azzerare la complessità, di semplificare all’accesso, di restituire immagini semplicistiche e

statistiche (…) mostrando l’incapacità dei media di offrire chiavi di lettura per decodificare

l’insopportabile carattere caotico e sfaccettato della realtà contemporanea”149.

Questa è la critica maggiore che viene rivolta ai media italiani da Marco Binotto, Marco

Bruno e Valeria Lai.

147 Associazione Carta di Roma "Notizie alla deriva. Secondo rapporto annuale." Ponte Sisto, Roma (2014).

148 https://ec.europa.eu/italy/news/20161222_eurobarometro_it

149 Binotto, Marco, Marco Bruno, and Valeria Lai, eds. Tracciare confini. L'immigrazione nei media italiani:

L'immigrazione nei media italiani. FrancoAngeli, 2016, p.21

91

3.3 IL RACCONTO DELL’IMMIGRAZIONE

“La gigantografia è un processo fotografico, l’alterazione delle forme e delle dimensioni di

una stessa immagine per enfatizzarne un aspetto. È quanto avviene alla rappresentazione

dell’immigrazione. Intanto, per larga parte, si tratta di una fotografia, un fotogramma fermo

ormai da quasi quaranta anni su un fenomeno in perenne movimento. I media sembrano

accontentarsi di questa immagine statica e apparentemente immutabile. Hanno scelto un

particolare, una parte da ingrandire ed esaltare. È quella nera, la parte oscura e tenebrosa

presente in ogni fenomeno umano. È quella problematica; quella legata al vocabolario del

delitto, alle sue emozioni e ai suoi dolori; alle paure, al terrore di essere invasi e al timore

dell’ignoto, della povertà e del degrado”150.

L’attenzione dei media alle bad news è sempre prioritario, così come il ruolo che essi

assumono nella diffusione di un clima generalizzato di allarme e sospetto che si instaura

intorno a certe tematiche, prima tra tutte l’immigrazione. Una tendenza generale che è

possibile riscontrare (Binotto, Bruno, Lai, 2016) è l’etnicizzazione delle notizie, tipizzazione

quindi dell’evento in base alla provenienza etnica del individuo. Tendenza contemporanea

ma sicuramente non nuova, caratteristica del mondo della comunicazione già dal passato.

Non a caso Binotto, Bruno, Lai evidenziano come in epoca vittoriana fossero sempre gli

irlandesi, nomadi e artisti di strada ad essere identificati come criminali, oppure come a

Londra tra il XIX e il XX secolo fossero invece ebrei russi e polacchi ad essere attaccati da

media e politica suscitando sentimenti xenofobi e discriminatori. Ma la storia di questa

tendenza è ampia e internazionale e le motivazioni raccolte dagli autori si orientano intorno

a 3 ipotesi interpretative:

- Si richiama la dipendenza dei media dalle fonti giudiziarie e quindi l’effetto delle

routine produttive interne al campo giornalistico (Mansoubi 1990; Corte 2002;

Cerase 2004);

- Effetto di cristallizzazione degli stereotipi determinata dall’imporsi della criminalità

nel discorso pubblico italiana e dell’immagine criminale dell’immigrato (Dal Lago

1999);

150 Binotto Marco, Marco Bruno e Valeria Lai, eds. Tracciare confini. L'immigrazione nei media italiani:

L'immigrazione nei media italiani. FrancoAngeli, 2016, p. 33

92

- Affermazione dei media come interpreti del consenso politico – elettorale che ruota

intorno a movimenti populisti.

È possibile rilevare che in Italia l’attenzione al fenomeno migratorio è di fatto minima fino

alla seconda metà degli anni Ottanta quando l’aumento degli ingressi ha iniziato ad avere un

picco e i mezzi di comunicazione hanno aumentato progressivamente la loro attenzione.

La ricerca condotta tra le principali testate di informazione italiana tra il 2008 e il 2012151

può fornire importanti spunti di riflessione a proposito di quanto e in che misura i media

siano realmente uno specchio fedele dei fenomeni sociali.

Partendo dalla consapevolezza che l’attenzione sui fatti di cronaca nera è maggiore rispetto

ad altri tipi di notizie ciò che emerge è che la centralità aumenta in base alla nazionalità delle

persone sospettate/colpevoli, “quando quest’ultime sono straniere si trovano, in media, più

vicine alla prima pagina e quindi in una posizione ben più visibile delle altre”.

Contemporaneamente però emerge una scarsa propensione all’approfondimento delle

tematiche e alla diffusa semplificazione, “la continua ripetizione di immagini (sbarchi,

gommoni carichi fino all’inverosimile,…) e di espressioni (“emergenza immigrazione”,

“ennesimo sbarco di clandestini”,…) stereotipate, oltre ad avere un effetto “ansiogeno” e a

contribuire, dunque, alla diffusione del panico e alla “sindrome dell’invasione”, ne ha,

paradossalmente, anche uno, per così dire, “abitudinario”152.

Risale al 2013 l’evento evidenziato nel Rapporto annuale Carta di Roma153 che avrebbe

definitivamente portato alla luce i difetti dell’informazione italiana in materia di

immigrazione: il naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013. Utilizzo di stereotipi e cliché,

uso ridondante di immagini di naufraghi e “tendenza a trasferire nella valutazione delle

notizie gli schemi dello scontro politico in atto” sono palesi. Drammatizzazione e

spettacolarizzazione sono al centro del trattamento della tragedia e venendo allo strumento

oggetto di questo elaborato, il talk show, emerge sia lo “stile drammatizzante” della

terminologia (“poveretti”, “disperati”, “profughi”), sia la tendenza ad affiancare all’evento

la polemica politica. Si imposta quel dualismo “drammatizzazione - dibattito” che continuerà

a caratterizzare la rappresentazione mediale del fenomeno.

151 Ivi p. 98

152 http://www.nuovefrontierediritto.it/media-comunicazione-immigrazione/

153 Associazione Carta di Roma. "Notizie alla deriva. Secondo rapporto annuale." Ponte Sisto, Roma (2014).

93

In termini di notiziabilità nel 2015 gli eventi a livello internazionale legati al terrorismo

hanno naturalmente comportato l’incremento di attenzione sul fenomeno, 3 eventi in

particolare sono stati caratterizzati da tutti i criteri di notiziabilità: quello quantitativo

(numero dei morti), emotivo e relativo agli interessi del paese e sono: aumento degli sbarchi,

attacco terroristico, naufragio nel Mediterraneo con relativo scoop fotografico. Riportiamo

di seguito in ottica comparata soltanto alcuni spunti fondamentali emersi dagli ultimi due

Rapporti annuali della Carta di Roma in grado di evidenziare la cornice di riferimento in cui

il fenomeno migratorio viene raccontato dai media italiani.

Secondo il Rapporto Carta di Roma 2015154 la presenza del fenomeno migratorio in questa

fase è aumentata nei notiziari italiani del 250%. In base all’analisi condotta dal rapporto sulle

edizioni serali del prime time delle 7 reti (Tg1, Tg2, Tg3, Tg4, Tg5, Studio Aperto, TgLa7)

emerge il ricorso a toni allarmistici e sensazionalistici e la presenza della politica nel 31%

dei servizi mentre migranti e profughi il 7%, in particolare Renzi il 55%, Salvini il 27% e

Alfano il 19%. Ciò che emerge dall’analisi è che “non esiste una correlazione tra il numero

delle notizie e l’aumento della paura verso gli immigrati: un’elevata esposizione del

fenomeno – come nel 2015 o in misura minore nel 2013 – non corrisponde a un incremento

dell’insicurezza nei confronti degli immigrati. esiste invece una correlazione tra la cornice

in cui il fenomeno è raccontato e la percezione dei cittadini. nel 2007 si registra un picco di

insicurezza nei confronti degli immigrati, in assenza di un incremento significativo della

visibilità mediatica. Le notizie sull’immigrazione tra il 2007 e il 2008 stabiliscono un

binomio tra immigrazione e criminalità. È una narrazione di tipo ansiogeno che suggerisce

una relazione tra la condizione di immigrato e la propensione a delinquere”.

Per quanto riguarda i temi trattati il primo tema dell’agenda è comunque quello

dell’accoglienza (55%) seguito dalla cronaca degli sbarchi (24%) e dalla criminalità e

sicurezza (23%).

154 Associazione Carta di Roma, and Osservatorio di Pavia. "Notizie di confine." Terzo rapporto Carta di

Roma (2015).

94

La differenza principale che viene presa in considerazione si riferisce alla narrazione degli

eventi migratori. “Se c’è una sostanziale uniformità tra i network nella trattazione della

cronaca dei flussi migratori, del terrorismo e delle questioni sociali ed economiche (la voce

“Altro”), c’è uno scarto significativo nella trattazione della criminalità e della sicurezza.

Quando si parla di immigrazione, nei telegiornali Mediaset nel 37% dei casi si parla di

criminalità e sicurezza; 3 volte in più che nei telegiornali Rai e nel TgLa7”.

Ricerche e statistiche sul tema procedono senza interruzioni e arrivando a quelle più recenti,

si è iniziato a sostenere che benché il fenomeno sia sempre al centro della dieta informativa

degli italiani abbia contemporaneamente subito un processo di “normalizzazione”,

“metabolizzazione” del fenomeno (Binotto, Bruno, Lai, 2016; Berretta, Milazzo, 2017).

In base all’ultimo Rapporto Carta di Roma155 il fenomeno migratorio fino a poco fa trattato

con toni emergenziali ed allarmistici è ormai entrato nella ruotine quotidiana del sistema

informativo e soprattutto ha visto l’affermazione di “toni liquidatori e sarcastici”156 simbolo

di un argomento entrato nel terreno dello scontro politico alla pari di molti altri. Un

fenomeno quindi “metabolizzato”, perennemente al centro dell’informazione e soprattutto

155Associazione Carta di Roma and Osservatorio di Pavia. "Notizie di oltre i muri." Quarto rapporto Carta di

Roma (2016).

156 Berretta, Paolo e Giuseppe Milazzo. Notizie oltre i muri: il racconto del fenomeno migratorio nei media,

in Problemi dell'informazione, 42.1, 2017, p. 185.

95

sempre accompagnato dalla politica, in base alla più recente analisi dei tg in 1 servizio su 2

sono presenti politici italiani (33%) o europei (23).

Inoltre: "Non esiste una correlazione tra il numero delle notizie e l’aumento della paura verso

gli immigrati: una elevata esposizione del fenomeno – come nel 2015 o, in misura minore

nel 2013 – non corrisponde a un incremento dell’insicurezza nei confronti degli immigrati,

anzi si assiste a un incremento della paura nei confronti dei migranti in ragione delle

associazioni con il terrorismo di matrice jihadista, da un lato, e con le difficoltà

dell’accoglienza e dell’integrazione. Il 40% dei cittadini (7 punti percentuali in più rispetto

al 2015) ritiene che gli immigrati costituiscano una minaccia per la sicurezza e l’ordine

pubblico.”

Venendo invece alle tematiche invece i 3 temi dell’agenda restano gli stessi: accoglienza

(36%) seguito dalla cronaca degli sbarchi (27%) e dalla criminalità e sicurezza (24%).

96

È inoltre confermata la differenza nella narrazione: “i temi dei crimini e della sicurezza sono

il 37% sulle reti Mediaset, quasi 3 volte in meno sulle reti Rai (13%) e su La7 (12%). Il

consolidamento di questa differenza nella trattazione conferma una presa di distanza delle

redazioni dei telegiornali di alcuni reti dalla trattazione della cronaca nera in chiave “etnica”

e da una narrazione emergenziale incentrata sugli effetti nelle città di presunte invasioni di

rifugiati e migranti”.

Vediamo adesso in particolare il format oggetto di quest’elaborato e la sua rappresentazione

del fenomeno migratorio, “ogni puntata di un talk show rappresenta una sorta di episodio

autoconcluso di narrazione giornalistica”157. La puntata tradizionalmente si apre con

l’annuncio del tema scelto presentato dal conduttore, da un servizio o dal collegamento con

un inviato. La classica struttura del talk prevede poi lo scambio di opinioni tra il parterre di

ospiti selezionali e la conclusione spesso caratterizzata da un appello al pubblico da parte

del conduttore.

Riportiamo quindi l’analisi (“Lampedusa 2013. Discorsi e frame nella rappresentazione del

naufragio di Lampedusa nei talk italiani”), svolta, nell’ambito del progetto Carta di Roma,

della trattazione della tragedia nel 2013 da parte delle trasmissioni Rai, Mediaset e La7.

Nello specifico sono state analizzate 22 trasmissioni che hanno affrontato il tema tra il 3 o

23 ottobre. Nell’analisi emerge lo schema tipico della trattazione giornalistica delle notizie

di emergenza di Marletti, le già citate fasi di “latenza”, “emergenza” ed “autoreferenziale”.

157 Associazione Carta di Roma, and Osservatorio di Pavia. "Notizie di confine." Terzo rapporto Carta di

Roma (2015).

97

Iniziando dalla titolazione delle varie puntate emerge l’inquadramento dell’evento compiuta

dalle redazioni. Si sottolinea il richiamo al lutto e al cordoglio (“Un mare di morti”, “Ancora

morte”, “I vivi e i morti”, “Mare mortuum”, “Verrà la morte e avrà i nostri occhi”, “Senza

parole”) e il collegamento con la polemica politica (“Mai più”, “Lacrime e rabbia”,

“Lampedusa ha cambiato l’agenda politica”, “La politica litiga anche su Lampedusa”).

Dall’analisi svolta contemporaneamente ad altri eventi di attualità politica, come la

decadenza da senatore di Berlusconi, emerge un dato fondamentale in linea con le

considerazioni fatte nei primi due capitoli di questo elaborato cioè la medesima

composizione degli ospiti. Il parterre chiamato a discutere della strage è tendenzialmente lo

stesso proposto per affrontare il caso Berlusconi simbolo della indifferenza di professionalità

e competenze nella selezione degli ospiti.

98

Elementi comuni ai talk sono i richiami alle posizione di apertura di Papa Francesco e al

maggiore aiuto chiesto all’Europa: “ l’Europa va investita, va riformata la convenzione di

Dublino, fare la voce grossa su questo» (Fratoianni - Sel, Agorà 4 ottobre), «le politiche

europee sono disumane» e «l’Europa e il nostro paese non possono più permettersi di

ricevere morti» (Nicolini - sindaco Lampedusa, Agorà 4 ottobre e Matrix 11 ottobre);

«l’Europa non può far finta di nulla» (Rampelli - dirigente Fratelli d’Italia, Matrix 11

ottobre); «è un fenomeno epocale che richiederebbe misure eccezionali, ma l’Europa è

restia» (Mauro - ministro della Difesa, Servizio Pubblico 4 ottobre), «a noi l’Europa non

può dare lezioni, dovrebbe dare sostegno e aiuto» (Alfano - Ministro dell’Interno, Servizio

Pubblico 4 ottobre); «l’Europa intervenga seriamente o c’è il rischio di antieuropeismo,

populismo, demagogia» (Casini, Porta a Porta speciale 3 ottobre); «Frontex è controllo di

confine, serve il controllo del Mediterraneo, perché sia un canale sicuro e navigabile,

l’Europa è chiamata in causa» (Perego - direttore generale fondazione Migrantes, Porta a

Porta speciale 3 ottobre); «l’Europa era silente, ci volevano 300 morti per far sì che si

accorgesse della tragedia che si sta vivendo dalle nostre parti» (Vespa, Porta a Porta 7

ottobre)”. Di rilievo è la puntata di Agorà del 4/10/13 che nel processo di tematizzazione

della tragedia nel più ampio frame del tema immigrazione arriva a sostenere

un’interpretazione globale del fenomeno nonché toni moderati e meno scandalistici:

“Polverini - PdL: «l’immigrazione è un processo globale», «la Bossi-Fini non va cancellata,

ma cambiata; il reato di clandestinità è una vergogna». Pini - Lega Nord: «la Bossi-Fini va

modificata in modo non ideologico”. Un ruolo a parte è quello svolto dai protagonisti di

queste storie e la ricerca pone l’accento su una testimonianza in particolare riportata da Otto

e mezzo il 3/10/13. L’intervento è di Tareke Brhane, mediatore culturale, l’uomo con le sue

frasi sottolinea ed evidenzia l’immensa tragedia umanitaria che soltanto nella fase conclusiva

dello sbarco arriva ai media italiani e non solo solleva questioni meno trattate, come la

violenza sulle donne. “La puntata in questione termina poi con un intervento in particolare:

“Il meccanismo della storia personale, particolarmente funzionale alla chiave narrativa e di

storytelling del talk, viene utilizzato (tra i vari casi) anche in un frammento di Agorà del 4

ottobre. L’allora ministra dell’Integrazione Cécile Kyenge viene chiamata a chiudere la

puntata con la sua storia personale, come se rappresentasse un caso empirico dei migranti

che sbarcano, anche se non è giunta in Italia irregolarmente o come rifugiata, anche se è

cittadina italiana da molti anni; l’associazione stereotipa tra lei e le persone che arrivano a

99

Lampedusa, pur sottointesa, resta intatta”. Rilevato dall’indagine ed in linea lo spirito di

quest’elaborato è l’attenzione riservata ai sottotemi del talk a volte sostenuti dagli stessi

conduttori tramite turni di parola, servizi, sondaggi ecc. e altre volte frutto della capacità

oratoria degli ospiti di orientare i frame della conversazione su temi di loro interesse.

L’indagine svolta evidenzia in ottica comparata come ad Agorà la struttura della discussione

rispetti quella stabilita dalla redazione, a differenza del caso Porta a porta dove in particolare

nella puntata del 3/10/14 benché il tema fosse la Bossi-Fini gli ospiti riescono a spostare il

dibattito su altri aspetti, dalle politiche europee al valore dell’accoglienza. Emerge invece il

ruolo di Miche Santoro a Servizio Pubblico il 4/10/13 nel incidere sulla tematizzazione del

fenomeno. “Il conduttore esplicita alcuni nodi tematici, marcando in modo evidente la linea

editoriale della trasmissione e inserendone il punto di vista direttamente nella discussione e

senza mediazioni di sorta10; basti citare alcune frasi del consueto “editoriale” di apertura o

delle domande-intervento durante il dibattito: «cosa sono state queste persone per tanti

governi in questi anni? Soltanto un nemico e basta, un problema da scaricare sulla gente di

Lampedusa e basta»; «come poteva chiedere aiuto all’Europa il Paese di Bossi?»; «ma non

c’è sproporzione enorme tra come vengono trattati i cosiddetti clandestini in Italia, con la

mancanza di strutture adeguate, e l’impotenza nei confronti dei trafficanti? Siamo molto più

severi verso la povera gente che con i responsabili del traffico di esseri umani, che fanno

mercato della morte». È evidente che questa “supremazia” argomentativa del conduttore si

rifletta nelle risposte e nelle posizioni dei partecipanti al dibattito, i quali sono in qualche

modo obbligati a restare all’interno del frame da lui costruito”158.Differenti talk ma

soprattutto differenti conduttori, vediamo in conclusione le osservazioni riportare su un

personaggio in particolare, ossia Gerardo Greco. Il conduttore cercherà più volte di separare

i temi della puntata (immigrazione e berlusconi) ma soprattutto cercherà di ridurre il ricorso

alle ideologie e alle polemiche del dibattito, dice: “oggi non facciamo ideologie”, né

“polemiche esagerate in un momento come questo, “non oggi, demagogia non oggi”; “Se

fosse stata una giornata diversa avremmo parlato della decadenza di Berlusconi”. “Dal punto

di vista del tono e del lessico, Greco sottolinea la chiave empatica, ad esempio parlando dei

morti di Lampedusa come dei “nostri” morti, che avranno i “nostri” occhi e sono la “nostra

vergogna”159.

158 Ivi p.88 159 Ivi p.89

100

3.4 LINGUAGGIO EMOTIVO

“L’immagine dei migranti come “piaga” è costruita e diffusa dai media attraverso la

titolazione delle notizie e le scelte stilistiche, troppo spesso responsabili di dar vita a

un’equazione implicita di immigrazione e disordine (…) è infatti mediante il contenuto dei

messaggi veicolati, il linguaggio e il metodo di scelta delle notizie che la maggior parte dei

mezzi di informazione contribuisce ad alimentare la paura dello sconosciuto (Dal Lago,

1999.)”160.

Emerge come lo stile linguistico che si è imposto nei media tradizionali abbia perso

l’autorevolezza che lo caratterizzava in passato, assumendo i toni sempre più colloquiali del

parlato è diventato normale anche ricorrere a frasi fatte e metafore che più si prestano a

sensazionalismi, stereotipi e semplificazioni (Binotto, Bruno, Lai 2016).

La tendenza sicuramente comune nell’informazione italiana che sia stampa o televisione è il

riferimento a 2 elementi standard nella trattazione dell’immigrazione, che sono: nazionalità

e status giuridico.

Da una rapida e casuale rassegna effettuata dei titoli dei maggiori quotidiani e notiziari

italiani in “Tracciare i confini. L’immigrazione nei media italiani” emerge il consolidamento

della tendenza ad utilizzare sempre un certo lessico in riferimento a qualunque tipo di notizia

in cui sia coinvolto un immigrato a prescindere dal contesto. Diventa impossibile collocare

temporalmente i titoli riportati ma è possibile evidenziare quindi la caratteristica comune a

tutti che è il riferimento alla nazionalità: “Arrestati due marocchini e un tunisino” (La

Stampa), “Fermato un clandestino” (Corriere), “banda di nigeriani” (Tg4 del 15/1), “Rumeni

in manette” (Tg3 del 24/4). Una grande quantità di titoli completamente interscambiabili

sintomo di una pratica contro cui gli autori mettono in guardia, i rischi sono quelli di uno

scadimento del lessico utilizzato per definire le minoranze (e il frequente uso del termine vu

cumprà né un esempio) e l’abbandono dell’attenzione deontologica nella selezione e

definizione dei fenomeni.

Nel caso dell’informazione televisiva naturalmente è l’immagine a farla da padrona, in grado

di generare empatia, invidia, disgusto e pietà, sommata a toni e annunci emergenziali riesce

160 Binotto Marco, Marco Bruno e Valeria Lai, eds. Tracciare confini. L'immigrazione nei media italiani:

L'immigrazione nei media italiani. FrancoAngeli, 2016, p.66

101

a creare una cornice in cui la “coloritura emotiva” è notevole. Senza scendere nei dettagli

questa tendenza viene confermata dalla ricerca condotta sui telegiornali nel 2008161 dove si

evidenzia come (a differenza della carta stampata) i tg offrano una rappresentazione sopra le

righe su temi di sicurezza e cronaca nera e immigrazione, con un forte utilizzo di toni di

scandalo/ denuncia/ allarme/ ironia/ mistero. Parlare di hate speech e dangerous speech vuol

dire interfacciarsi con concetti complessi che assumono connotati ancora più particolare

nell’ambito della informazione giornalistica, non a caso nella Carta di Roma 2015 sono state

elaborate le linee guida per evitare di imbattersi in dangerous speech. “Gli elementi che il

giornalista dovrebbe valutare prima di diffondere esternazioni potenzialmente incendiarie

sono: la posizione di chi parla, l’audience, le caratteristiche del discorso, il contesto storico-

sociale e i media che lo veicolano”.

Lo stile linguistico adottato dai media assume quindi un ruolo determinante nella percezione

del fenomeno e che dalle fonti prese in considerazione emerga una critica generale a tale

stile sembra essere un dato di fatto. Ma raggiungendo i talk show, i veri protagonisti di questo

elaborato, la questione può diventare ancora più grave, proprio in virtù di quei fenomeni di

spettacolarizzazione e drammatizzazione che abbiamo già precedentemente trattato. Se si

possa parlare di razzismo nel linguaggio politico nei talk show se lo chiede Giuseppina

Bonerba che innanzitutto ci introduce la distinzione tra due logiche: “autorazzizazione” e

“eterorazzizazione” (Taguieff 2001)162, dove la prima riguarda la costruzione della propria

identità tramite l’appartenenza a un gruppo raziale, mentre la seconda richiama la

costruzione di differenze raziali e l’affermazione di superiorità di alcune razza su altre. In

epoca moderna è certamente la seconda ad essersi imposta con una certa classe politica che

si fa sostenitrice di uno scenario ideologico caratterizzato dal “noi” contro “loro” e “il

discorso così prodotto da un certo potere si diffonde nei media e nelle istituzioni e diventa

discorso pubblico, acquisisce autorevolezza, si radica nel senso comune e nel linguaggio

quotidiano”163. Bonerba innanzitutto sottolinea come nella percezione di un problema

sociale determinante sia il ruolo dei claim-makers (politici, giornalisti, esperti) nella

costruzione della tematica all’interno di un frame coerente ed autorevole ma soprattutto etico

ed oggettivo. Bonerba quindi mette in luce come nell’arena mediatica dei talk si noti la

161 Ivi p. 68

162 Voci. Annuale di Scienze Umane XIII ANNO 2016, p. 33

163 Ivi p. 34

102

tendenza ad identificare il fenomeno migratorio come un problema sociale e quindi anche

connotarlo di elementi razzisti ma dietro un velo di oggettività e benevolenza da parte del

leader politico. È il caso di Jole Santelli, Forza Italia, che ad Agorà afferma:

“…posso dire che devo contenere l’immigrazione e non avere nessun tipo di problema o

comunque ritenere assolutamente normale che ci sia chi vive in Italia da vent’anni, è

perfettamente integrato, poi magari ha la fortuna di non doversi truccare come noi, e quindi

è più fortunato di noi, punto” (…) utilizzare il termine razzismo significa iprocritamente

un’inibizione all’altra parte per portarla sulle proprie tesi”164.

Un riferimento a parte in questo contesto è ovviamente per Matteo Salvini, il leader della

Lega ha uno stile comunicativo caratterizzato da una serie di elementi standard: ampio

utilizzo di dati e statistiche (simbolo di quel discorso oggettivo ed autorevole

precedentemente citato), scarso approfondimento delle tematiche e ampio utilizzo di slogan,

ripetizioni, climax ed espressioni dialettali165. “Da politico però pretendo di poter dire che

siccome ci son già tanti delinquenti italiani – purtroppo – non ho bisogno di portare qua altre

migliaia di delinquenti stranieri senza sentirmi dare del razzista (Pomeriggio Cinque)166;

oppure “Noi in Italia siamo numeri, siamo nomi solo quando dobbiamo pagare. Invece gli

extracomunitari, a quelli è tutto dovuto” (Servizio Pubblico)167. L’attenzione va posta in

questo caso tra l’associazione che il politico fa tra il fenomeno migratorio e l’esperienza

quotidiana delle tasse, incorniciando i temi nel frame “noi paghiamo e loro no” lo spettatore

trae un quadro errato e melodrammatico.

Nel talk show non è soltanto il frame e il ruolo dei claim–makers ad essere centrale ma anche

l’elemento dello scontro che abbiamo già ampiamente citato nei capitoli precedenti.

Selezione dei partecipanti, disposizione spaziale, dibattito tra opinioni contrapposte

costituiscono il cuore del talk (Novelli, 2016). Bonerba, citando George Lakoff e le

conclusioni sull’identificazione del frame con specifiche terminologie (es: l’uso del lessico

di guerra nelle conversazioni – ha demolito la sua tesi ), sottolinea come per il fenomeno

migratorio si sia affermato invece il lessico dell’invasione. Riportiamo di seguito l’analisi

164 http://video.ilgazzettino.it/primopiano/gaffe_della_santelli_i_neri_fortunati_non_devono_truccarsi-

21910.shtml

165 Ivi p. 37

166 https://www.youtube.com/watch?v=15NyjocFsHU

167 https://www.youtube.com/watch?v=MQsAzxmfiOs

103

che Bonerba compie della già citata puntata di Pomeriggio Cinque con ospite Matteo Salvini

dove ritroviamo tutti gli elementi centrali di quest’analisi: talk show, confronto, linguaggio

populista, abilità dell’attore politico di imporre i propri frame tramite toni scandalistici.

Il tema della puntata è il perdono cristiano, il fatto l’omicidio di una dottoressa che stava

aiutando un indiano ferito in una rissa quando una macchina con a bordo il fratello del

ragazzo l’ha investita. Salvini, chiamato ad esprimersi sul perdono che la figlia della vittima

ha rivolto all’assassino, riesce a non esprimersi sul tema e ad imporre lui il frame della

conversazione. Dichiara “rispetto” e aggiunge “che la questione è un’altra: perché la donna

è morta”, richiama la “rissa” che c’è stata citando le “spranghe” e la “strada” e

improvvisamente introduce la cronaca di un altro omicidio compiuto 3 anni prima da un

marocchino. La risposta di Salvini, che si è immediatamente distaccata dal tema della

puntata, ha subito un’escalation significativa dal rispetto per la donna al disgusto per un reato

commesso da un’altra persona. È lui che impone il tema della conversazione e ripropone i

propri frame mentre anche gli altri ospiti si fanno trasportare e si sorvola il tema del perdono.

104

3.5 STORIA DELL’IMMIGRAZIONE NELLA TELEVISIONE ITALIANA

Il mondo del giornalismo quando tratta di immigrazione si trova di fronte a un tema

particolarmente complesso non a caso il dibattito in materia è vivo e svariati sono i passi

avanti che sono stati compiuti per una trattazione il più possibile informata ed oggettiva del

fenomeno.

Per offrire una panoramica il più esaustiva possibile dell’argomento è stato elaborato il

manuale Comunicare l’immigrazione. Guida pratica per gli operatori dell’informazione,

realizzato dalla società cooperativa Lai-momo e dal Centro Studi e Ricerche Idos nell’ambito

del progetto “Co-in - Comunicare l’integrazione”, promosso dal Ministero del Lavoro e delle

Politiche Sociali, Direzione Generale dell’Immigrazione e delle Politiche di Integrazione, e

finanziato con il Fondo Europeo per l’Integrazione di cittadini di Paesi Terzi168.

Il manuale tra le varie informazioni è in grado di riproporre un veloce riepilogo dei momenti

salienti dell’incontro tra televisione generalista e fenomeno immigratorio, che ci permettono

anche un rapido sguardo sulla struttura che si decide di riservare ai programmi che trattano

questo tema.

Il primo contatto risale al 1989 con la rubrica del Tg2 Nonsolonero, centrata su immigrazione

e razzismo condotta dalla giornalista di origine capoverdiana Maria De Lourdes Jesus.

Sempre la Rai, più specificatamente Rai Educational, manda in onda Un mondo a colori (che

nel 2009 prende il nome di Crash. Contatto, impatto, convivenza) “dedicato al fenomeno

dell’immigrazione e ai processi di integrazione sociale in Italia” condotto prima dal

giornalista congolese Jean-Léonard Touadi e poi da Valeria Coiante. “Stiamo parlando di un

programma di 15 minuti in un orario non particolarmente favorevole (ma è significativo il

gradimento delle repliche nei giorni festivi)”.

Così la Rai presenta il programma: “propone reportage sulla realtà multietnica delle nostre

città e sulle leggi che regolano l’inserimento degli immigrati, ma anche servizi giornalistici

su problematiche come l’emigrazione degli italiani nel Nord Italia o all’estero. Un mondo a

colori trasmette inoltre documentari su altri paesi del mondo, alla scoperta di culture e

condizioni di vita diverse dalle nostre”.

168 Ministero del Lavoro delle Politiche Sociali-Direzione Generale dell’Immigrazione, Comunicare

l’immigrazione. Guida pratica per gli operatori dell’informazione. 2012

105

Abbiamo avuto inoltre il settimanale Shukran andato in onda dal 1999 per 12 anni e sempre

stato in grado di ottenere un buon indice d’ascolto. La redazione nella stagione 2009-2010

Shukran ha abbandonato lo studio ed è sceso in strada.

La presenza del fenomeno migratorio naturalmente è riscontrabile anche nelle televisioni

private anche se con minore continuità, è nel 2007 che su La7 va in onda la puntata pilota di

un nuovo programma Barbari, la trasmissione registrò anche un buon indice di gradimento

ma venne comunque cancellata.

Ma non mancano naturalmente le esperienze a livello locale volte a fornire informazioni sul

fenomeno migratorio, come lo spazio dedicato nella trasmissione Buongiorno Reggio, su

Telereggio, sul progetto europeo F.RA.T.T. (Fight Racism Through Theatre, “Combattere il

razzismo con il teatro”). La trasmissione si struttura tramite interventi di “migranti, donne,

studenti, cittadini” ma ttraverso le telefonate in diretta del pubblico.

106

3.6 IL TELESPETTATORE STRANIERO

Risale all’estate 2013 l’inclusione degli immigrati nel campione analizzato dall’Auditel.

L’assenza di questo dato fino a quel momento ha per molto tempo intaccato la

rappresentatività dei risultati esposti e questo perché gli immigrati guardano molta tv,

soprattutto quella delle tv generaliste che sono tra i soci dell’Auditel (ha dichiarato Giovanni

Gangemi, direttore area comunicazioni di I-Com, l’istituto per la Competitività169).

“In altri Paesi europei la rilevazione degli ascolti si fa anche tra gli immigrati, in Italia

dovremmo muoverci. Si tratta di una fetta importante di consumatori – sottolinea Gangemi

- e anche se possono avere una capacità di spesa ridotta sono più giovani e più dinamici

degli italiani e mediamente più sensibili al messaggio pubblicitario. Se lo scopo di Auditel è

dare numeri agli inserzionisti, questo dovrebbe essere uno stimolo per far entrare gli

immigrati nel panel”.

La questione viene sollevata dall’Antitrust inseguito ad un ricorso presentato da Sky contro

l’Auditel che viene accusata di fornire dati poco trasparenti e soprattutto di favorire i due

grandi poli televisivi Rai e Mediaset.

“Il campione su cui sono effettuate le rilevazioni non rappresenta i comportamenti di ascolto

di circa cinque milioni di stranieri residenti in Italia. Ma i risultati rilevati nel campione

vengono espansi in modo da essere riferiti alla totalità della popolazione residente in Italia,

compresi gli stranieri” denuncia Sky. Secondo Sky, questa è “un’ evidente distorsione dei

risultati. Il pubblico televisivo riportato infatti ha caratteristiche socio-demografiche diverse

da quelle del pubblico televisivo reale e, considerando che la popolazione degli immigrati è

composta tipicamente da soggetti che lavorano fuori casa un elevato numero di ore al giorno,

c’è una sovra-rappresentazione degli ascolti televisivi e quindi del valore dei relativi spazi

pubblicitari”170.

169 http://www.i-com.it/wp-content/uploads/2011/03/la_misurazione_degli_ascolti_nella_tv_che_cambia-

gangemi_analisi_03-2011.pdf

170 http://www.stranieriinitalia.it/attualita/attualita/attualita-sp-754/tv-auditel-senza-immigrati-indaga-

lantitrust.html

107

Ma l’Auditel viene però assolto171 in quanto riesce a dimostrare che per nonostante i tentativi

inserire gli immigrati nel campione d’analisi può essere particolarmente complesso, partendo

proprio dall’impossibilità di accedere agli elenchi anagrafici, anziché a quelli elettorali, per

questioni legate alla tutela della privacy.

Ma nell’estate 2013 si riesce però a fare il passo in avanti e “Da agosto, nella rilevazione

degli ascolti entreranno anche i telespettatori immigrati” aveva annunciato Walter Pancini,

direttore generale di Auditel172, e ciò è stato possibile grazie all’Ipsos, istituto di ricerca che

collabora con l’Auditel al fine di fornire una corretta rappresentazione degli immigrati in

Italia.

Già i primi dati raccolti nel 2013 ha evidenziato un consumo televisivo non molto diverso

da quello degli italiani, sottolineando comunque, soprattutto tra i giovani, un notevole lasso

di tempo dedicato alla televisione.

Parliamo di dati che non si possono sottovalutare che prendiamo in considerazione le

previsioni elaborate dall’Istat nel 2011 secondo cui nel 2065 la popolazione residente

straniera in Italia sarà di 14,1 milioni (con una forbice compresa tra il 12,6 e i 15,5

milioni)173.

Vediamo ora cosa guardano gli immigrati nella televisione italiana, riportando quindi i dati

della Fondazione Leone Moressa174. Sono stati intervistati telefonicamente 600 immigrati,

171 http://www.stranieriinitalia.it/attualita/attualita/attualita-sp-754/su-immigrati-e-tv-l-antitrust-assolve-

auditel.html

172 http://www.stranieriinitalia.it/attualita/attualita/attualita-sp-754/tv-gli-immigrati-entrano-nellauditel.html

173 Ministero del Lavoro delle Politiche Sociali-Direzione Generale dell’Immigrazione, Comunicare

l’immigrazione. Guida pratica per gli operatori dell’informazione. 2012

174 Moressa, Fondazione Leone. "Studi e ricerche sull’economia dell’immigrazione." Dalla fiction ai TG: la

TV che piace agli immigrati. Indagine sui consumi televisivi degli stranieri in Italia”. 2015.

108

non solo al fine di scoprirne i gusti televisivi ma anche “per comprendere un aspetto

importante delle abitudini dei cittadini stranieri e promuovere un’immagine meno

stereotipata”.

Per quanto riguarda il campione preso in esame abbiamo:

Composizione del campione per genere, classe di età e area geografica

Elaborazioni Fondazione Leone Moressa su interviste Panel Data

Composizione del campione per area di Provenienza

Area di Provenienza Distribuzione %

Est Europa 43,9%

Asia 27,6%

Nord Africa 15,3%

Africa Nera 9,2%

Sud America 4,1%

Totale 100,0%

Elaborazioni Fondazione Leone Moressa su interviste Panel Data

Più della metà degli immigrati guarda la tv 1-2 ore al giorno ( il 90% del campione almeno

un’ora), tendenzialmente la sera, ma sono ancora i canali del paese di provenienza a

registrare i risultati più alti (19,3%).

Genere Classe di età Area geografica

Uomini 48,2% Meno di 40 anni 53,6% Nord 61,8%

Donne 51,8% 40-59 anni 37,3% Centro 30,0%

60 anni e oltre 9,1% Sud e isole 8,2%

109

Quante ore al giorno guarda la televisione?

Elaborazioni Fondazione Leone Moressa su interviste Panel Data

Della televisione italiana i canali Mediaset sono i più seguiti (39,6%), seguiti da Rai, Real

Time, Dmax e solo infine La7. Per quanto riguarda i generi televisivi “l’informazione”

risulta vincente grazie ai telegiornali (25,5%), seguiti da film (17,7%) e intrattenimento/

varietà (12%). La predominanza di programmi di infotainment è sottolineata dai notevoli

risultati registrati da programmi come: Tg5, Tg1, Tgla7, Tf3, seguiti da Le Iene (8,8%),

Ballarò (5,7%), Report (4,8%) e Striscia la notizia (4,4%).

Quali sono i generi televisivi italiani che guarda di più?

Elaborazioni Fondazione Leone Moressa su interviste Panel Data

10,9%

50,9%

26,4%

11,8%

Mai/Raramente 1-2 ore al giorno 3-4 ore al giorno Oltre 4 ore algiorno

Il 90% del campione guarda la TV almeno 1 ora al giorno e quasi il

12% oltre le 4 ore al giorno

25,5%

17,7%

12,1%

7,8%

7,4%

6,9%

5,6%

4,8%

3,9%

3,5%

2,6%

2,2%

Telegiornali

Film

Intrattenimento / Varietà

Documentari

Programmi di cucina

Politica e Talk Show

Programmi sportivi

Serie TV

Approfondimenti informativi

Telenovela

Reality

Programmi comici

110

In conclusione la ricerca mostra anche i personaggi televisivi più seguiti dagli immigrati,

partendo da Gerry Scotti (18,9%) a Maria de Filippi (12, 1%), compresi Bonolis (19,6),

Maurizio Crozza (8,3%) e Fabio Fazio (6,8%).

I programmi/trasmissioni: I personaggi televisivi:

Elaborazioni Fondazione Leone Moressa su interviste Panel Data

111

PARTE IV

L’IMMIGRAZIONE NELLA STRUTTURA NARRATIVA

DEL TALK

4.1 L’ARCHITTETTURA DEL TALK

“Avvicinare il panorama dei media significa scegliere di osservare un mondo complesso e

in continua evoluzione cercando di cogliere dietro la molteplicità di linguaggi format e

formati una serie di logiche di fondo, dei meccanismi interni che assicurano il funzionamento

del sistema della comunicazione declinato nelle sue numerose forme espressive”175.

Il talk rappresenta un genere caratterizzato da contenuti e forme espressive altamente

strutturate e riconoscibili, parliamo di programmi essenzialmente caratterizzati da due

elementi, che sono l’attualità delle tematiche trattate e l’affermazione del dibattito come

modello di interazione dominante, tendente poi allo scontro, confronto o intervista a seconda

dei contesti.

“I talk diventano teatri (televisivi) dove la vita politica viene raccontata con maggior gusto

per il pubblico, perché direttamente messa in scena: vi si distinguono personaggi principali

e secondari, trame, luoghi, rituali, colpi di scena, ascese e cadute, alleanze e vendette, un

materiale narrativo eccezionalmente vario – come varia è la realtà politica – che nella

trasposizione televisiva risponde a precise norme estetiche”176.

Un aspetto condiviso generalmente da tutti i talk, su cui ci soffermiamo prima di procedere

con un’analisi dettagliata delle singole componenti, è “il gusto per il melodrammatico”

(Parodi, 2011) che emerge nella scenografia, nell’enunciazione televisiva, nella regia ecc.

Non a caso l’utilizzo del linguaggio teatrale per questo tipo di analisi è assai diffuso (Parodi,

2011; Denicolai, 2011) e ciò in virtù di quella spettacolarizzazione dell’informazione

politica più volte accennata. Imposizione quindi di un immaginario melodrammatico tra il

175 Peverini Paolo, I media: strumenti di analisi semiotica, Carocci, 2012, p. 9

176 Parodi, Marco, Variations in the melodrama of political TV talk shows. The aggression to Berlusconi and

the endless soap of Italian politics, in Comunicazione politica 12.3, 2011, p. 390

112

bene e il male, i buoni e i cattivi, enfatizzando spesso gli aspetti emotivi del racconto per

suscitare sorpresa e coinvolgimento. Marco Parodi (2011) richiama infatti un evento su tutti

simbolo del melodramma, ossia l’aggressione a Berlusconi il 13 dicembre 2009 con una

statuetta del Duomo di Milano. L’immagine della violenza e la violazione del corpo,

suscitano sentimenti di denuncia, compassione e sconforto. Per questo scopo quei talk più

inclini all’entertainment sono ottimi strumenti di spettacolarizzazione con la loro fusione di

tematiche soft ed hard, di ospiti politici e mediatici: “la famiglia e i vicini di casa

dell’aggressore (Matrix), il medico personale di Berlusconi (prima Porta a Porta poi

Matrix), il testimone oculare (Porta a Porta), l’esperto di difesa personale (Matrix)”,

(Parodi, 2011, p.393). È l’eccesso a farla da padrone e “quando Bruno Vespa apre la puntata

di Porta a Porta, tiene fra le mani una statuetta del Duomo simile a quella scagliata

dall’aggressore di Berlusconi; con tono contrito la presenta al pubblico, ne saggia il peso la

forma, la telecamera coglie i particolari della mano del conduttore che scorrono l’oggetto e

la sua pericolosità, mentre alle sue spalle campeggia come titolo della puntata un semplice

interrogativo: Perché?”177 si ottiene il compimento della rappresentazione teatrale.

Proseguiamo cercando di prendere in considerazione i caratteri identificativi del talk show,

sfruttando in parte la divisione elaborata da Paolo Peverini in “I Media: strumenti di analisi

semiotica”.

4.1.1 IL SET

La caratteristica principale e comune a tutti i talk nella gestione degli spazi sia interni che

esterni è la riproposizione di un’arena mediale, in cui il pubblico partecipa in modalità più

o meno attiva, a seconda dei contesti, interfacciandosi con conduttori, politici e giornalisti.

Due sono le alternative che è possibile adottare il set di uno studio televisivo: simulare un

luogo reale (salotto) o riproporre in pieno l’apparato televisivo (Peverini 2012). La seconda

opzione è senza dubbio quella più ricorrente nella struttura dei talk italiani e un esempio su

tutti è stato l’ambiente creato per Servizio Pubblico. Per il programma in questione

telecamere, luci, fotografi e tecnici erano ben visibili durante tutto l’arco della puntata,

l’arena mediale era sottoposta ad una notevole opera di spettacolarizzazione, partendo

dall’entrata in studio del conduttore ripresa dal backstage fino al posizionamento degli ospiti

177 Ivi p. 395

113

secondo una contrapposizione spaziale in grado di marcare lo scontro ideologico che si

preannunciava.

Un perimento separava il teatro in cui agivano conduttore e ospiti con lo spazio dedicato al

pubblico, non sempre semplice spettatore, spesso accompagnato dagli stessi ospiti.

L’arena mediatica di cui parliamo risponde di fatto a una serie di criteri178:

• Valorizza la logica del dibattito a partire dalle posizioni contrapposte degli ospiti che

possono essere disposti sui due lati in maniera simmetrica:

• Assegna al conduttore una posizione centrale all’interno di questo spazio dialettico

che gli consente di controllare le reazioni degli invitati e del pubblico e al tempo

stesso di personalizzare lo stile della conduzione;

• Consente al pubblico in studio di disporsi senza soluzione di continuità intorno a

tutto il perimetro dello spazio riservato al dibattito, restituendo all’audience

l’impressione di una vasta partecipazione di soggetti diversi per identità, interessi e

opinioni.

Ma è naturalmente oggetto di una serie di variazioni determinanti nella struttura di ogni

programma179:

1. Il numero e la disposizione dei posti assegnati a ospiti e pubblico;

2. La distribuzione degli ospiti tra il pubblico o la netta separazione tra la zona del

dibattito e quella riservata all’ascolto;

3. La presenza e la collocazione degli schemi lungo tutto il perimetro dello spazio o in

alcune zone strategiche come ad esempio alle spalle e ai lati della posizione assegnata

al conduttore.

Nell’evoluzione della scenografia notevole è stato il ruolo svolto da Faccia a faccia in segno

di discontinuità con la precedente struttura delle tribune politiche. Con il nuovo talk la

televisione smette di riproporre/nascondersi dietro salotti, tende, teatri ed entra in scena con

i propri spazi bianchi, ampi e artefatti. Lo sfondo in questo caso viene occupato da 3 grandi

monitor fissati su un’impalcatura di tralicci e circondati da apparecchiature tecniche. Una

rudimentale scenografia “intrinsecamente democratica” (Novelli, 2016) grazie al

178 Peverini Paolo, I media: strumenti di analisi semiotica, Carocci, 2012, p. 99

179 Ivi p. 100

114

semicerchio proposto tramite una struttura a ferro di cavallo che richiama quell’agorà, piazza

di discussione e quel parlamento a cui molto si ispira.

4.1.2 STRUTTURA TESTUALE

Per l’analisi della struttura testuale è necessario seguire una serie di step graduali partendo

dalla sigla di apertura e chiusura di un talk180:

• Collocazione

• Durata

• Immagini

• Colonna sonora

• Titoli

• Grafica

La sigla sia con le immagini che con la musica contribuisce fortemente al rafforzamento

dell’elemento drammaturgico precedentemente citato, non stupiscono quindi i riferimenti a

film o canzoni celebri che aprono le puntante dei talk più famosi.

Ma la sigla è sempre più spesso posticipata rispetto all’inizio della puntata, la precede di

norma una breve introduzione da parte del conduttore delle principali tematiche che si

andranno a trattare e questo in virtù di una sempre maggiore identificazione del programma

con il conduttore.

La videografia diventa in questo caso fondamentale per sottolineare il rapporto fiduciario

che il programma instaura con l’audience, ribadito nel caso di Servizio Pubblico dalla frase

di apertura: “Michele Santoro e altri 100 mila presentano Servizio Pubblico”.

Sigla, introduzione e conclusione si qualificano come elementi strutturali nella costruzione

di un programma, a cui fanno seguito un’altra serie di elementi che insieme compongono la

struttura del testo mediale181:

• Introduzione/conclusione

• Copertina

180 Ivi p. 101

181 Ivi p. 103

115

• Presentazione degli ospiti da parte del conduttore

• Dibattito e moderazione

• Editoriale

• Rubriche

• Interviste

• Inchieste

• Sondaggi

• Ricostruzioni di temi e avvenimenti

4.1.3. DIBATTITO

“Spettacolo di parola è senza dubbio la sua traduzione più adeguata. Si tratta di una parola

che diventa illustrazione, descrizione, conversazione, dibattito, scontro, dialettica, sintesi di

posizioni contrapposte, conoscenza inserita in un contenitore pensato per accogliere questo

schematismo espressivo, in cui tutto è periferico alla sua esibizione. C’è poi il ribaltamento

della situazione, cioè l’inserimento da parte della macchina produttiva e autoriale di elementi

di pura spettacolarità all’interno di sequenze dialettiche, con lo scopo di rafforzare i concetti

espressi dal dibattito, ottenendone una sottolineatura, spesso anche come filtro di commento

o distorsione. Dunque un rapporto circolare tra parola e spettacolo”182.

Partiamo innanzitutto dal tipo di interazione messo in atto, necessario per individuare le

specificità di ogni talk. In particolare il programma può essere affidato183:

1. A un unico ospite coinvolto in un dibattito con il conduttore e/o il pubblico in

studio o in casa;

2. A formule di dibattito televisivo costruite su due posizioni contrapposte in cui gli

ospiti si fronteggiando apertamente su un tema tramite la mediazione del

conduttore;

3. Alla presenza di due presentatori che esprimono opinioni contrapposte

dibattendo con gli ospiti in studio.

182 Denicolai, L. Parole & Media. Talk show, social network e dintorni, 2011, p. 10

183 Peverini Paolo, I media: strumenti di analisi semiotica, Carocci, 2012, p. 95

116

Il dibattito rappresenta il cuore di un talk show e per questo tipo di analisi diventa

fondamentale partire dai “turni del discorso”, intesi come gestione della conversazione.

Determinante è quindi l’”ordine che regola la presa della parola” (e quindi il ruolo delle

“interruzioni” che attribuiscono al presentatore un costante lavoro di rinegoziazione dei ruoli

comunicativi), ma anche la “struttura delle interazioni verbali” (intese come numero e ruolo

dei soggetti coinvolti).

In entrambi i casi siamo di fronte ad elementi determinanti che influenzano il ritmo della

conversazione, quindi “alternanza di fasi di tensione e di distensione (Peverini, 2012).

4.1.4 I RUOLI

CONDUTTORE

Venendo al ruolo del conduttore-giornalista ciò che emerge innanzitutto è l’asimmetria dei

ruoli comunicativi messa in atto sia nei confronti degli ospiti che del pubblico.

Elementi a cui ricorrere per un’analisi di questo tipo sono quindi:

• L’uso della cinetica sotto forma di sguardi, mimica e gestualità;

• Il livello di esplicitazione, all’interno del discorso, del proprio punto di vista nei

confronti del dibattito;

• Le forme dirette di interpellazione e coinvolgimento del pubblico in studio e, in via

mediata, dell’audience.

• Il livello di rigore e fermezza nella gestione dei turni di parola;

• Gli interventi diretti nell’andamento del dibattito, con particolare attenzione alle

precisazioni, alle formule di adesione o di presa di distanza avanzate nei confronti

delle dichiarazioni degli ospiti;

• Gli sguardi diretti in camera.

Per quando riguarda lo “stile della conduzione” solitamente si predilige per i caratteri di un

protagonista carismatico arbitro e garante della trasmissione, tutto ciò si accompagna,

naturalmente, alla personalizzazione della conduzione che accumuna la maggior parte dei

conduttori.

Evoluzione del ruolo del conduttore che si distacca profondamente dai primi anni della Rai

e dalla visione pedagogica di Bernabei e che probabilmente vede con Faccia A Faccia

117

l’inizio della sua trasformazione. Si impone un giornalista autonomo e indipendente, non più

semplice arbitro del regolamento ma artefice in prima persona dello svolgimento della

puntata. Novelli (2016) indentifica nel “Telegiornale” di Ugo Zatterin il primo esempio di

affermazione della figura del giornalista, seguito dall’esperienza nel 1962 di Rotocalco

Televisivo di Enzo Biagi. Ma è con Faccia a Faccia che si riconosce al giornalista la

possibilità di “provocare” (Novelli, 2016, p. 52), simbolo del passaggio da una tv pedagogica

delle tribune elettorali che aveva educato alla democrazia parlamentare a un programma che

porta in scena la democrazia partecipativa e quindi introduce il confronto.

In particolare è dopo Tangentopoli che si avvia il processo di personalizzazione e

teatralizzazione del conduttore, con riferimento a personaggi come Maurizio Costanzo,

Michele Santoro e Bruno Vespa (Mazzoleni, Sfardini, 2009).

È quindi possibile inquadrare la personalizzazione del conduttore dentro quel più ampio

concetto di “divismo televisivo” (Grasso, 2013, p.131) che negli anni ha preso il

sopravvento. Leader di opinione in grado di instaurare un profondo rapporto fiduciario con

il loro pubblico di riferimento, in virtù di opinioni, idee e posizioni condivise con il loro

target. Ma il divismo che ha caratterizzato in passato il mondo del cinema è oggi comunque

sostituito da “divismi in scala ridotta”184, da Hollywood al piccolo schermo assistiamo a quel

passaggio verso il “divismo di prossimità”185, rafforzato poi dall’occasione di incontrare

anche per strada i conduttori televisivi. Il divismo che si afferma nel piccolo schermo e nel

panorama italiano assume diversi caratteri, è un divismo a volte “modesto”, “rassicurante”,

“acqua e sapone”, “proletario”, un “divo per caso”186 che si negli anni si è affermato con

Fiorello, Baudo, Carrà e trova sicuramente in Mike Bongiorno la sua prima espressione. Un

divo, tornando al talk, che si riconosce nei conduttori televisivi e vede in Michele Santoro o

Enrico Mentana dei degni rappresentanti.

È possibile addirittura identificare una serie di “poteri” che il talk assicura al giornalista-

conduttore187:

184 Massimiliano Panarari, La divo-tv in Aldo Grasso, Storie e culture della televisione italiana, 2013, p. 239

185 Ibidem

186 Ivi p.2 46

187 Prandstraller Gian Paolo, Il potere dei giornalisti. Note sul Talk show come maieutica sociale, in Problemi

dell'informazione 36.1, 2011, p. 48

118

- Potere di “invito” o “convocazione”, grazie la discrezionalità spesso riconosciuta al

giornalista nella scelta di chi avere in trasmissione.

- Potere di evocazione storica grazie il vario materiale di archivio che può sfruttare per

orientare la percezione di certe tematiche.

- Potere di coinvolgimento di personalità artistiche in grado di creare spettacolo ed

attrarre pubblico.

- Potere di pubblicizzazione di opere (libri, canzoni, spettacoli ecc.).

- Facoltà di accesso al sistema editoriale (è un personaggio le cui opere sono

facilmente vendibili).

- Potere di influenza politica.

OSPITI

A. Il ruolo degli ospiti nella costruzione del programma può diventare centrale e questo sia in

virtù della performance compiuta, che contribuisce a segnare lo sviluppo narrativo delle

puntante, sia nel processo di selezione di quali personalità avere in trasmissione e quindi

quale narrazione si vuole mettere in scena. Ospite e schema narrativo (Marchianò, 2014)

diventano così profondamente legati e vincolati l’uno all’altro. Questo perché l’ospite

interviene in un contesto pre-strutturato, orientato su un tema ed arricchito da altri elementi

(conduttore, altri ospiti, servizi ecc.), ma a sua volta ha capacità di intervento e ridefinizione

della narrazione. L’identità quindi un programma tv è profondamente legata alle personalità

che vengono chiamate ad arricchirla, scelta che tiene conto di188:

1. La competenza a parlare di un tema;

2. Il grado di coinvolgimento rispetto al tema del dibattito;

3. La notorietà.

PUBBLICO

Il pubblico in trasmissione riveste una duplice funzione: presenza e partecipazione delegata

(Peverini, 2012, p.107), ricoprendo un ruolo mai indifferente.

188 Peverini Paolo, I media: strumenti di analisi semiotica, Carocci, 2012, p. 100

119

Per un’analisi di questo tipo si prende in considerazione lo “spazio di parola” e il “numero

dei soggetti coinvolti nello scambio”, determinante in questo caso è evidenziare il tipo di

intervento permesso al pubblico: applaudire, intervenire, gestualità ed espressioni del volto,

inquadrature scelte ecc. Quest’ultimo aspetto è determinante in termini di

spettacolarizzazione: movimenti, espressioni, reazioni che si sceglie di inquadrare e mandare

in onda rappresentano vicinanza, opposizioni, consenso alle tesi appena espresse in studio.

Ma così come gli altri elementi anche il pubblico ha subito importanti trasformazioni nel

corso degli anni e dalle tribune della Rai in cui il pubblico non è ammesso a “Il Confronto”

in cui viene chiamato all’interazione in ogni modo possibile, troviamo altri svariati usi, il

pubblico “passivo” di Porta a Porta o quello “attivo” di Milano, Italia e Samarcanda.

Abbiamo già parlato della capacità dei talk di creare un pubblico fidelizzato con specifiche

caratteristiche socio-demografiche vediamo quindi ora l’analisi dei pubblici di alcuni talk

della passata stagione189.

In particolare evidenziamo i risultati dei programmi, Ballarò e diMartedì, che si sono divisi

il pubblico del martedì sera da settembre 2015 a giugno 2016 e che hanno raggiunto il

risultato maggiore in termini di share (5,6%). Il pubblico di Ballarò ha più di 65 anni di età,

un livello di istruzione più basso ed è equilibrato, mentre quello di diMartedì ha un livello

di istruzione più alto, con una maggiore componente maschile, ma sempre di età adulto-

anziana.

189 Barra, Luca e Massimo Scaglioni, Di necessità virtù. Talk show politici e logiche televisive, in Problemi

dell’Informazione 3, 2016, p. 548

120

Naturalmente è possibile identificare soltanto i caratteri generali di un’audience ampiamente

variegata a seconda del programma in questione. Si ritiene quindi che il pubblico di Rete 4

sia pubblico tendenzialmente conservatore e questa è la linea che si è deciso di seguire per i

due talk della rete Quinta Colonna e Dalla Vostra Parte. “È noto che il profilo dello

spettatore tipico del talk è maschio, ultracinquantenne, di classe socio-economica medio-

alta, di cultura medio-alta.”190 Categorizzazione in cui rientrano Piazza Pulita, Ballarò, Otto

e mezzo ma con notevoli eccezioni come Porta a Porta, Che fuori tempo che fa, Quinta

Colonna, Dalla vostra parte programmi con un target tendenzialmente femminile, anche con

livelli più bassi di istruzioni, classe economica alta ma sociale bassa.

PARTE IV

190 Mazzoleni Gianpietro, Un unico, insostenibile talk show, Il Mulino 65.6, 2016, p.950

121

4.2 IMMIGRAZIONE E TALK SHOW: Una proposta d’analisi

“Le forme testuali dei media non funzionano semplicemente come recipienti dove le

informazioni e i messaggi si raccolgono e vengono trasmessi all’esterno; quest’idea

decisamente meccanicistica è del tutto insoddisfacente perché riduce i fenomeni mediali a

semplici artefatti, contenitori di processi comunicativi più o meno complessi”191.

Si è deciso a questo punto di concludere l’elaborato con un’analisi di 3 puntate di 3 talk show

in cui si è trattato il tema dell’immigrazione. I programmi scelti sono stati: Porta a porta,

Matrix e DiMartedì, 3 programmi rappresentativi delle reti Rai, Mediaset e La7 che, nel

corso del periodo preso in esame, hanno trattato il tema ed ospitato in studio alcuni tra i

principali attori politici del momento. Il periodo preso in considerazione va dal 26 aprile

2017 al 3 maggio 2017, si è deciso di far riferimento a questa settimana in particolare perché

al centro dell’agenda in quei giorni avevamo le dichiarazioni del procuratore di Catania,

Carmelo Zuccaro, sui presunti contatti Ong - scafisti.

Talk Show Conduttore Data

Porta a porta Bruno Vespa 3 maggio 2017

Matrix Nicola Porro 26 aprile 2017

DiMartedì Giovanni Floris 2 maggio 2017

Per quanto riguarda la metodologia utilizzata si è deciso di ispirarsi alla semiotica e

riproporre la griglia di analisi elaborata da Paolo Peverini.

“Uno degli obiettivi che muovono l’approccio sociosemiotico allo studio dei fenomeni

comunicativi è dunque quello di superare una visione semplicistica e ingenua dei prodotti

mediali, proponendo uno studio approfondito dei meccanismi che determinano il consumo

e la circolazione sociale di “oggetti” solo apparentemente scontati, privi di complessità”192

.

191 Peverini Paolo, I media: strumenti di analisi semiotica, Carocci, 2012, p.12

192 Ivi p.7.

122

Scheda di analisi del talk show a contenuto informativo

FORMATO E COLLOCAZIONE

Durata.

Fascia oraria e disposizione nel palinsesto.

IL SET TELEVISIVO

Com'è articolato il set? Lo spazio simula un luogo reale o si caratterizza

esplicitamente come un luogo televisivo?

Descrivere come si relazionano i vari soggetti (conduttore, collaboratori, ospiti,

pubblico) all'interno dello spazio.

I PARTECIPANTI. CARATTERISTICHE E RUOLO

Quanti sono i partecipanti? Caratteristiche (sesso, età, appartenenza etnica), sociali

(professioni, titoli), psicologiche (caratteri)?

Quali partiti politici, istituzioni, movimenti, associazioni sono rappresentati?

L'orientamento politico dei partecipanti e/o l'orientamento nei confronti del tema

dibattuto sono esplicitati? Che genere di corrispondenza sussiste tra le opinioni dei

partecipanti e la loro collocazione fisica nello studio televisivo?

LA STRUTTURA

Descrivere le caratteristiche del paratesto: sigla di apertura/chiusura.

La puntata è inquadrata in una cornice enunciativa composta da

un'introduzione/conclusione? Quali sono i soggetti responsabili di questo spazio

mediale? Il genere discorsivo è omogeneo rispetto al programma o viene fatto uso

della satira?

Come si articola la struttura del programma? La puntata è monotematica o

pluritematica?

123

Quante sequenze sono presenti, come si raccordano tra di loro? Ci sono servizi di

approfondimento? Come si relazionano con lo svolgimento del dibattito in studio?

Infografica: sono presenti tabelle, grafici, schemi? In quale momento, dove e come

vengono introdotti?

IL DIBATTITO

Quale ordine regola la presa della parola?

Il discorso del parlante è completo o sono presenti interruzioni?

Quali e quanti sono i soggetti coinvolti nel dibattito?

Che stile assume il conduttore nei confronti del dibattito?

IL QUADRO PARTECIPATIVO

Il pubblico in studio partecipa in modo attivo al dibattito? Come viene regolato il

suo intervento?

ENUNCIAZIONE TELEVISIVA

Dove sono situate le telecamere? Individuare lo stile della regia esaminando la

tipologia di inquadrature, la successione dei piani di ripresa, la durata dei campi

dedicati agli ospiti, al conduttore, al pubblico.

Innesti e disinnesti. Individuare i momenti di passaggio sul piano spaziale e

temporale: collegamenti in diretta dallo studio all'esterno, lancio di servizi di

approfondimento, telefonate.

Convergenza mediale. Quali media sono utilizzati nel programma? Qual è il ruolo

del Web nella costruzione del programma?

124

Porta a porta

La puntata analizzata di Porta a porta risale al 3 maggio193, va in onda in seconda serata e

la durata è di 1 ora e 40 minuti mentre il tempo dedicato alla tematica ong è di 34 minuti.

Non ci soffermiamo sul set televisivo, in quanto già analizzato nel precedente capitolo,

ripetiamo soltanto che rappresenta il “salotto televisivo” per eccellenza, con l’utilizzo delle

porte nella scenografia e il campanello all’entrata degli ospiti che sono diventati elementi

caratterizzanti questo talk. Per quanto concerne la disposizione dei personaggi all’interno

dello spazio ci troviamo di fronte ad una classica arena mediale con struttura semi-circolare

che prevede il ruolo centrale del conduttore dietro una scrivania e il pubblico di fronte.

I personaggi chiamati a trattare il tema sono: Nicola Latorre (Presidente della commissione

difesa del Senato del Pd) Matteo Salvini (Segretario generale Lega Nord) Marco Bertotto

(Medici senza frontiere) e Francesca Ronchin (giornalista Rai 1).

La puntata viene strutturata lungo 3 tematiche: immigrazione/ Brigitte Macron/ un caso di

stalking-omicidio

Il soggetto responsabile dello spazio mediale è il conduttore e il genere discorsivo risulta

omogeneo, privo di satira.

Sono presenti servizi di approfondimento lanciati dal conduttore per introdurre spunti di

riflessione e nella mezz’ora dedicata alla tematica dell’immigrazione in tutto sono stati

lanciati 4 servizi, di cui il primo ha introdotto il tema della puntata con due minuti di servizio

sulle dichiarazioni del procuratore di Catania.

Per quanto riguarda invece l’infografica, benché manchi in questo caso l’utilizzo di un

plastico (elemento comunemente usato a Porta a porta), troviamo l’uso comunque di cartina

e dati da parte di Matteo Salvini e soprattutto l’utilizzo di una cartina online per mostrare la

posizione delle navi delle ong spiegata da Francesca Ronchin.

In riferimento al dibattito, l’ordine di parola viene completamente gestito dal conduttore e

segue l’alternanza Latorre - Salvini - Bertotto - Latorre - Salvini – Latorre - Salvini. Il ruolo

del conduttore è quello dell’arbitro che concede lo spazio ad ogni ospite per esporre il proprio

pensiero, ogni intervento è completo senza interruzioni né da parte del conduttore né degli

altri ospiti.

193 http://www.raiplay.it/video/2017/04/Porta-a-Porta-8a8d2ddc-f61b-4eee-b77a-a693215a5ebf.html

125

Il ruolo del pubblico è completamente ridotto al momento di apertura e chiusura del

programma con un’inquadratura di spalle, non è chiamato ad intervenire tantomeno ad

applaudire nel corso della trasmissione.

Per quanto riguarda lo stile della regia sembra riflettere lo stile del programma, così come il

pubblico non è chiamato ad intervenire, infatti non viene mai neanche ripreso e, così come

il discorso di ogni ospite è completo e ininterrotto, così anche la sua inquadratura è ferma

sul mezzo busto e con rapide riprese sullo studio e sul conduttore (ma mai sui volti del

pubblico o degli ospiti).

Per quanto riguarda il contatto con l’esterno è presente soltanto con il collegamento con

Bertotto mentre la presenza del web è ridotta all’intervento di Ronchin.

In conclusione, alla luce delle considerazioni fatte nei precedenti capitoli, ciò che emerge in

questa puntata sono una serie di considerazioni in linea con quanto precedentemente

riportato. Al di là della giornalista, a cui viene riservato un posto tra il pubblico, gli ospiti

ufficiali a trattare la tematica sono quindi 3, due provenienti dal mondo della politica e uno

dalle ong, tutti e 3 uomini. Il dibattito è completamente riservato alla scena politica e non

solo perché Bertotto è in collegamento e quindi i due ospiti in studio sono in primo piano

uno di fronte all’altro, ma anche per l’ordine di parola concesso dal conduttore che prevede

3 interventi per Salvini e Latorre e uno per Bertotto.

Emerge inoltre lo stile comunicativo di Salvini coerente con le conclusioni riportate da

Giuseppina Bonerba194, il politico è l’unico a fare un ampio utilizzo di dati e statistiche e

non soltanto esponendo i suoi fogli ma anche alzandosi e riscrivendoli lui stesso alla lavagna

riuscendo per alcuni minuti a dirottare completamente l’attenzione sulle sue considerazioni.

La capacità di imporre i propri frame da parte del politico emerge anche nelle supposizioni

più volte ripetute su come tra gli immigrati non registrati potrebbero esserci terroristi, nonché

i riferimenti alle comodità che il governo garantisce agli immigrati e non alle popolazioni

colpite dal terremoto.

194 Voci. Annuale di Scienze Umane XIII ANNO 2016.

126

Matrix

La puntata analizzata di Matrix risale al 26 aprile195, va in onda in seconda serata e la durata

è di 2 ore mentre il tempo dedicato alla tematica ong è di 25 minuti.

Anche in questo caso il set è stato analizzato nel secondo capitolo, siamo comunque di fronte

all’abbandono del “salotto” e all’affermazione dello studio televisivo in quanto tale. La

disposizione degli ospiti – conduttore – schermi è la stessa di Porta a porta (con l’eccezione

della scrivania del conduttore).

I personaggi chiamati a trattare l’argomento sono: Luigi Di Maio (Movimento 5 Stelle)

Riccardo Bonacina (giornalista - direttore “Vita”), Maurizio Molinari (direttore La Stampa),

Carmelo Zuccaro (Procuratore capo di Catania).

La puntata è pluritematica e affronta 3 argomenti principali: immigrazione – Alitalia - caso

stamina.

Anche in questo caso il conduttore è l’arbitro dello spazio mediale e il genere discorsivo

risulta completo e privo di satira, i servizi di approfondimento ci sono e, come per Porta a

porta, si delega al servizio, quindi all’immagine più emotiva e passionale, il compito di

lanciare il tema da trattare.

In riferimento all’infografica non c’è utilizzo di tabelle e grafici, mentre l’ordine di parola è

Di Maio – Molinari – Bonacina - Di Maio – Zuccaro - Di Maio – Molinari - Di Maio –

Zuccaro - Di Maio - Bonacina.

Anche in questo caso i toni sono calmi e pacati, senza interruzioni, il conduttore è arbitro

che concede la parola e lancia spunti di riflessione (come le dichiarazioni di Saviano su Di

Maio o quelle di Frontex). Non ci sono scontri e discussioni ma lo scambio può essere

definito come più dinamico rispetto Porta a porta, gli ospiti intervengono più liberamente e

riescono a guadagnare i loro spazi autonomamente.

Il pubblico non viene mai inquadrato, ma è nascosto per tutta la trasmissione, di conseguenza

non è prevista nessuna forma di intervento al di là degli applausi.

Infine per quanto riguarda lo stile della regia è possibile fare un paragone con Porta a porta,

nel talk di Mediaset è frequente durante l’intervento di un personaggio la ripresa dei volti

degli altri ospiti, è quindi prevista la possibilità di trasmettere dissenso con l’espressione

facciale, non prevista nel talk della Rai.

195 http://www.video.mediaset.it/video/matrix/full/puntata-del-26-aprile_714998.html

127

Il contatto con l’esterno vi è in questo caso con due collegamenti (Molinari e Zuccaro) e

convergenza mediale è ridotta all’intervento di Greta Mauro (il cui ruolo in studio è proprio

il contatto con la rete) che lancia un video pubblicato sulla pagina web de La Stampa.

Possiamo concludere che lo stile del dibattito e del conduttore non dista eccessivamente da

Porta a porta e Bruno Vespa ma emerge comunque una maggiore dinamismo nella gestione

della cornice enunciativa (“La polemica è diventata anche politica ma noi cercheremo come

sempre di capire cosa è successo" cit. Nicola Porro), mentre per quanto riguarda gli ospiti la

selezione ha previsto sia posizioni contrapposte che competenza in materia ma per numero

degli interventi l’attore politico è sempre il protagonista (5 interventi per Di Maio, 2 per

Zuccari, 2 per Molinari, 2 per Bonacina). Ultimo aspetto emerso è l’esposizione di una

tabella con il numero degli sbarchi da parte di Di Maio all’inizio della puntata, scelta in linea

con le considerazioni precedenti su Matteo Salvini e quindi il riconoscimento da parte della

classe politica dell’importanza di dati e statistiche, in grado di trasmettere autorevolezza,

competenza e generare impatto e stupore.

DiMartedì

La puntata analizzata di DiMartedì risale al 2 maggio196, va in onda in prima serata e la

durata è di 2 ore mentre il tempo dedicato alla tematica ong è di 7 minuti.

Siamo di fronte a un classico studio televisivo in cui viene meno definitivamente l’idea del

salotto, non a caso scompaiono le classiche poltrone, gli ospiti sono seduti su delle casse di

legno e circondati quasi interamente da un pubblico disposto anche su delle impalcature,

l’immagine è quella di “un’inquisizione” a cui viene sottoposto il personaggio.

La particolarità in questo caso è che il tema ong verrà trattato durante l’intervista fatta ad

Alessandro Di Battista e non introdotto dal conduttore ma dal giornalista Massimo Giannini.

Durante l’intervista è infatti previsto l’ingresso dei giornalisti Giannini e Massimo Franco

che posizionati in cerchio tra il conduttore e l’ospite accentuano ancora di più la metafora

dell’interrogatorio.

Anche questa è una puntata pluritematica che al di là delle interviste a Di Battista e D’Alema,

tratta anche i temi autovelox, salute e alimentazione e primarie Partito Democratico.

196 http://www.la7.it/dimartedi/rivedila7/dimarted%C3%AC-puntata-02052017-03-05-2017-211869

128

Il soggetto responsabile dello spazio mediale resta il conduttore e il genere discorsivo in

questo caso è invece fortemente caratterizzato dall’uso della satira con i vari collegamenti

con i comici Luca e Paolo nel corso della trasmissione. Assente è sia l’utilizzo di servizi di

approfondimento che il ricorso a grafici, tabelle e dati. Lo stile del conduttore appare

sicuramente più invasivo e dinamico rispetto a quello adottato da Vespa e Porro, sicuramente

pacato e amichevole ma anche disposto ad intervenire e correggere le dichiarazioni

dell’ospite. Il ruolo del pubblico, anche in questo caso ridotto all’applauso e privo di riprese

frontali, è sicuramente però funzionale all’architettura scenografica dello studio,

circondando quasi interamente l’ospite sia dal basso che dall’alto.

Per quanto riguarda lo stile della regia, più che a Matrix, vi è la ripresa costante di altri volti

(e quindi espressioni) mentre parla un altro personaggio e non solo nelle doppie

inquadrature, ma anche riprendendo le espressioni degli ospiti nel backstage. Il contatto con

l’esterno in questo caso è assente così come è assente il collegamento con il web. La

considerazione principale che possiamo trarre su questo talk è la decisione di relegare il tema

immigrazione in uno spazio molto ridotto della puntata e comunque sempre in relazione alla

scena politica, senza dedicargli una sezione apposita ma lasciandolo alle domande dei

giornalisti (decisione che verrà ribadita anche nella puntata successiva 9 maggio 2017197:

tema ong trattato durante le domande di Giannini a Di Maio). Contemporaneamente emerge

comunque il tratto principale del talk cioè lo stile incalzante sia del conduttore che dei

giornalisti che anche se in pochi minuti dedicati alle ong contraddicono ripetutamente

l’ospite.

197 http://www.la7.it/dimartedi/rivedila7/dimartedì-puntata-09052017-10-05-2017-212638

129

CONCLUSIONE

Partendo dall’assunto che il rapporto tra politica e intrattenimento ha raggiunto livelli di

interdipendenza impensabili fino a un secolo fa, l’obiettivo iniziale di quest’elaborato è stato

analizzare tale binomio alla luce delle sfumature e delle molteplici modalità espressive che

lo caratterizzano.

I media, la televisione e il talk show hanno imposto alla politica una trasformazione del

proprio linguaggio e questo è il passaggio cardine che tale progetto ha provato ad illustrare.

Ci siamo concentrati su quella che Mazzoleni e Sfardini definiscono politica pop, quindi

spettacolarizzazione e personalizzazione sono concetti caratterizzanti l’intero percorso che

tale elaborato ha deciso di perseguire. Abbiamo inizialmente cercato di fornire gli strumenti

teorici adeguati ed in grado di ampliare il dibattito sia sulle moderne modalità di fare

informazione che sulle sue conseguenze ed implicazioni. Quindi mediatizzazione ed

infotainment ma anche personalizzazione della leadership, perché gossip scandali e privacy

diventano cruciali nella rappresentazione dell’attore politico e quindi nel superamento delle

vecchie modalità di rappresentazione della politica. È per questo motivo che si è deciso di

dedicare spazio al fenomeno della leaderizzazione, sia in riferimento alla letteratura, che

tanto su temi come il “potere” e il “carisma” si è espressa, sia sul ruolo determinante dei

media che ci ha portato all’affermazione del cosiddetto “leader pop”.

Abbiamo definito la televisione come co-protagonista, testimone ed agente dei grandi

sconvolgimenti sistemici, culturali e politici registrati negli ultimi 60 anni, ma è il talk show

il format su cui abbiamo deciso di concentrarci e questo perché è in quest’arena che più che

altrove emerge la “competenza mediatica” oggi requisito essenziale della politica.

L’esigenza di raccontare la politica è stata colta dalla televisione che nel giro di poco tempo

ha sostituito i partiti in quanto agenti di socializzazione e il talk si è imposto come format

dove informazione, comunicazione, intrattenimento e spettacolo hanno iniziato la loro

fusione. Sono numerose le ricerche che si è deciso di riportare, analisi sui talk e i loro ospiti

ma anche riflessioni su telegiornali e carta stampata, tutto a dimostrazione che con

l’indebolimento dei partiti, intesi come macchina organizzativa, ciò che si è creato è uno

spazio aperto in cui il potere dei media, e principalmente del video, hanno iniziato a dilagare

incontrastati.

130

Attenzione è stata poi data al fruitore dell’informazione politica, il telespettatore e ciò grazie

ai numerosi studi che negli ultimi anni si sono concentrati sulle diverse tipologie di spettatori

e sul peso della politica pop nella dieta informativa degli italiani.

Abbiamo concluso questa prima parte con un excursus doveroso sul dibattito mai cessato sul

ruolo di responsabilità che viene attribuito ai media nella formazione delle coscienze civiche,

sociali, politiche e culturali del pubblico. Posizioni contrastanti continuano a dominare tutte

le riflessioni su questa tematica, pessimisti contro ottimisti, apocalittici contro integrati, la

paura del disimpegno e della disaffezione resta forte e un accordo ancora lontano.

Nella seconda parte di quest’elaborato, in cui si è deciso di fornitore un panoramica generale

della storia della televisione italiana, l’attenzione si è concentrata sul ruolo svolto dalle

emittenti televisive nel processo di trasformazione del modo di fare politica. Dopo

all’affermazione del “matrimonio” tra politica e televisione quest’ultima è diventata

testimone dei grandi avvenimenti politici degli ultimi 60 anni ed è su questo aspetto che si è

focalizzata la nostra attenzione. Ma dato che il protagonista di questo progetto resta il talk

show è su questo format che si è deciso di fornire una panoramica completa, non un percorso

storico ma il riconoscimento del suo ruolo a volte di specchio altre di artefice verso

l’affermazione della politica pop. Nella scelta dei programmi da prendere in considerazione

si sono utilizzati due criteri: l’analisi compiuta da Edoardo Novelli (2016) e la volontà di

riportare una panoramica soddisfacente dei talk che hanno fatto la storia delle loro reti.

Si è deciso inoltre di affrontare la tematica della cosiddetta “crisi dei talk”, in cui cali degli

ascolti, ripetitività dei temi trattati e degli ospiti invitati sono denunciati ovunque. Ma alla

luce del fonti trattate (Mazzoleni 2016, Novelli 2016, Barra – Scaglioni 2016), ci sentiamo

di affermare che più di crisi sia giusto parlare di “adeguamento” e “ridefinizione” del format.

Infine l’attenzione si è concentrata su quella che abbiamo chiamato “l’architettura del talk”,

per cui presa consapevolezza del fatto che il genere è caratterizzato da contenuti e forme

espressive altamente strutturale e riconoscibili abbiamo concluso con un’analisi dei caratteri

identificativi del talk show, sfruttando come parametro principale le riflessioni di Paolo

Peverini in “I Media: strumenti di analisi semiotica”.

In terzo capitolo introduce il focus di quest’elaborato, ossia il fenomeno dell’immigrazione

e le modalità con cui viene trattato in televisione e nei talk alla luce delle affermazioni

precedentemente riportate. La rappresentazione mediale di tale fenomeno naturalmente

risente a pieno delle considerazioni fatte sullo spettacolo della politica, la vittoria

131

dell’entertainment, e soprattutto in questo caso della “semplificazione” delle grandi

tematiche. Per questo la rappresentazione stereotipata e negativa sicuramente domina le

modalità con cui tema viene affrontato, ma non solo, emerge anche un’inadeguata

rappresentazione dei soggetti sociali (immagine infantile e rappresentazione femminile in

primis). Sono quei “difetti di informazione” riconducibili alla tendenza alla

drammatizzazione, spettacolarizzazione, linguaggio emotivo e carenza di funzione critica

dei prodotti di informazione.

Il quarto e ultimo capitolo ha avuto ovviamente l’intento di verificare praticamente quanto

le considerazioni fatte sulla politica, l’entertainment e la rappresentazione dell’immigrazione

fossero realmente riscontrabili nel talk show. 3 puntate di 3 talk rappresentativi delle tre

maggiori emittenti televisive italiane sono state analizzate durante una settimana in cui

notizie sul fenomeno erano al centro dell’agenda mediatica. Si è usato come riferimento la

griglia di analisi di Paolo Peverini e quindi un approccio sociosemiotico alla tematica.

L’intento è stato naturalmente quello di superare una visione semplicistica del prodotto

mediale proponendo uno studio di quella che abbiamo chiamato l’architettura del talk. Più

aspetti hanno trovato conferma nella nostra analisi, linguaggio, strumenti, rappresentazione

semplicistica sembrano combaciare con tutti gli elementi caratterizzanti la politica dello

spettacolo.

132

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211869

http://www.la7.it/dimartedi/rivedila7/dimartedì-puntata-09052017-10-05-2017-212638

http://www.censis.it/7?shadow_comunicato_stampa=4690

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RIASSUNTO DELLA TESI

Architettura comunicativa di un genere televisivo.

Il talk show tra infotainment politico e l’issue dell’immigrazione.

Relatore: Prof. Massimiliano PANARARI

Correlatore: Prof. ssa Emiliana DE BLASIO

Studentessa Ludovica Savina – Matricola 629422

Anno Accademico 2016/2017

Partendo dall’assunto che il rapporto tra politica e intrattenimento ha raggiunto livelli di

interdipendenza impensabili fino a un secolo fa, l’obiettivo iniziale di quest’elaborato è stato

analizzare tale binomio alla luce delle sfumature e delle molteplici modalità espressive che

lo caratterizzano. Ecco quindi che “la comunicazione e le sue forme di espressione

costituiscono elementi fondamentali della qualità e dei caratteri della democrazia”198,

contribuendo al mutamento delle forme di partecipazione alla vita pubblica, di

organizzazione dei soggetti politici, di selezione della classe dirigente. C’è stato un momento

quindi in cui il sistema politico ha dovuto fronteggiare nuovi attori in grado anch’essi di

indirizzare e condizionare il pubblico, abbiamo così assistito all’affermazione dei mass

media nella società moderna, all’evolversi e allo svilupparsi della società della

comunicazione arrivando oggi ad affermare che la sfera pubblica e i fondamenti stessi della

democrazia rappresentativa subiscono completamente i mutamenti della scena mediale.

Parliamo dell’intervista a un noto politico in un noto programma televisivo in grado di

influenzare direttamente l’agenda politica, e non solo, del giorno dopo, o la partecipazione

di un politico ormai in declino ad un programma condotto da un suo oppositore in grado di

198 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la

politica, l’Italia, Carocci, 2016, p.10.

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rilanciare completamente il politico sulla scena contemporanea o confronti tra politici

progettati in accurate scenografie teatrali. Siamo di fronte alla cosiddetta politica pop che

Mazzoleni definisce come: “trasformazione del sistema politico e della comunicazione

politica verso forme di spettacolarizzazione e personalizzazione, di cui i media sono i motori,

ma di cui i politici sono attori entusiasti”.199

“Spettacolarizzazione” e “sensazionalismo” sono oggi i concetti chiave per identificare

l’approccio dei media alla scena politica contemporanea e del passato. Media che rispondono

alle logiche di mercato, alla fame di gossip e invadenza del pubblico, prevale quindi

l’approccio dell’infotainment, di cui nell’elaborato definiamo più attentamente le varie

declinazioni. Ma anche politainment e soft news sono altri concetti che si è affrontato,

fenomeni complessi e trasversali con cui si tenta di inquadrare in confini più o meno labili

di diversi generi e diverse modalità di fare informazione.

Parliamo quindi di una storia scritta a due mani da politica e media, di interdipendenza

reciproca e influenza costante. Nel processo di mediatizzazione che ha caratterizzato la storia

del nostro paese l’attenzione va posta su due effetti preponderanti: “personalizzazione” e

“spettacolarizzazione”.

Da un lato quindi la spettacolarizzazione della rappresentanza politica che nei vari talk show

si è gradualmente imposta, dall’altra la personalizzazione della leadership, che come

sappiamo contraddistingueva anche i forti leader del passato ma che dalla seconda

repubblica acquista una forma del tutto nuova, il passaggio è quello “dal politico all’uomo”.

Si afferma quindi il leader super omnes, con un partito a sua disposizione e che in lui si

indentifica ed è esattamente su questa trasformazione che i media hanno costruito una nuova

modalità comunicativa.

La convergenza di spettacolarizzazione e personalizzazione ha prodotto un notevole

cambiamento sul processo di visibilità degli attori politici, si entra in contatto con la

quotidianità del leader, con la sua famiglia, con il suo staff (con quell’apparato che lo

circonda che fino a qualche tempo fa restava assolutamente al di fuori dello sguardo

pubblico).

Si è deciso a questo punto di fornire una panoramica della comunicazione politica nella

televisione italiana dall’ingresso trionfale nell’arena di Tribuna politica negli anni ’60, agli

199 Ilvio Diamanti in Mazzoleni Gianpietro e Anna Sfardini, Politica pop. Da Porta a porta a'L'isola dei

famosi, Il mulino, 2009, p.7.

140

scandali degli anni ’90 fino ai giorni nostri. È negli studi televisivi che si lanciano slogan, si

annunciano candidature, si avviano rotture e si stringono alleanze, si afferma

quell’ibridazione di intrattenimento e informazione che abbiamo chiamato infotainment.

Ma era il 1960 quando la politica entra per la prima nella televisione degli italiani e Tribuna

Elettorale era il nome del primo talk show tutto all’italiana. Sono gli anni dei partiti di massa,

del “voto di appartenenza”, della mobilitazione dei militanti, della campagna elettorale nelle

piazze che per la prima volta entrano in uno studio televisivo.

Oggi l’acquisizione da parte del mezzo televisivo di un ruolo attivo nella rappresentazione e

nella costruzione dell’arena pubblica, con l’intervento sulle forme, sui linguaggi, sugli stili

del dibattito e sui suoi protagonisti è un dato di fatto.

L’attenzione si è concentrata su un’ampia gamma di ricerche e studi in grado di evidenziare

diverse tipologie di spettatori e programmi di informazione per fornire una panoramica

quanto più esaustiva della dieta informativa degli italiani e dei processi di trasformazione a

cui la politica si sottopone quando entra in contatto con l’arena televisiva.

Abbiamo concluso questa prima parte con un excursus doveroso sul dibattito mai cessato sul

ruolo di responsabilità che viene attribuito ai media nella formazione delle coscienze civiche,

sociali, politiche e culturali del pubblico. Posizioni contrastanti continuano a dominare tutte

le riflessioni su questa tematica, pessimisti contro ottimisti, apocalittici contro integrati.

Disimpegno politico, crisi della partecipazione, declino della qualità dell’informazione sono

i pericoli su cui in molti hanno messo in guardia e popolarizzazione, dumbing down,

soundbite effect, sono le tematiche su cui ci si è soffermati in questa fase.

La politica pop è il volto attuale della comunicazione politica, è il “format” principale

utilizzato dai media che trattano di politica e dei personaggi politici che approcciano ai

media, ma se tale trasformazione conduca a un disimpegno e ad una disaffezione è ancora

da scoprire.

Nella seconda parte di quest’elaborato, in cui si è deciso di fornitore un panoramica generale

della storia della televisione italiana, l’attenzione si è concentrata sul ruolo svolto dalle

emittenti televisive nel processo di trasformazione del modo di fare politica.

Dopo all’affermazione del “matrimonio” tra politica e televisione quest’ultima è diventata

testimone dei grandi avvenimenti politici degli ultimi 60 anni ed è su questo aspetto che si è

focalizzata la nostra attenzione. Negli anni Cinquanta la televisione entra nelle case degli

italiani accolta a volte da meraviglia e stupore, altre volte da diffidenza e sospetto, e

141

l’intrattenimento di solito percepito all’esterno, nei teatri e nei cinema, entra nelle mura

domestiche e ne stravolge la quotidianità. Gli eventi storici sono certamente molti, dal 1977

con la trasmissione a colori alla fine di Carosello, dalla prima televisione a pagamento

Telepiù al 2012 e il definitivo passaggio al digitale terrestre. Dal ruolo della Chiesa alla DC,

da Lascia o raddoppia? alle tribune politiche e l’ingresso della politica nel piccolo schermo,

entrano in televisione le grandi personalità dell’epoca, uomini di cultura che da anni

infiammano le piazze e che spesso risultano però spaesati di fronte questo nuovo strumento.

Soprattutto li vedremo portare sul piccolo schermo il loro linguaggio serio, istituzionale,

simbolo di una classe politica che ancora non ha colto quanto di lì a qualche tempo sarebbe

diventato cruciale il binomio politica-spettacolo. Negli ultimi anni il mercato ha subito

sempre più trasformazioni, l’evoluzione del mezzo e del suo utilizzo ha comportato la rottura

delle routine produttive, delle professionalità, delle competenze rendendo necessario un

continuo aggiornamento per stare al passo con un scenario in costante evoluzione.

Ma dato che il protagonista di questo progetto resta il talk show è su questo format che si è

deciso di fornire una panoramica completa, non un percorso storico ma il riconoscimento

del suo ruolo a volte di specchio altre di artefice verso l’affermazione della politica pop.

Parliamo in questa fase di “eventizzazione” e “fidelizzazione dell’audience”, concetti che

andiamo a definire grazie l’aiuto di numerose ricerche e studi contemporanei sui talk che più

caratterizzano l’offerta televisiva italiana.

Il genere talk nasce in America, inizialmente per uso esclusivo della radio, verso la fine degli

anni ’60 viene traghettato verso il mezzo televisivo. Fino agli anni ’70 il talk risponde alla

domanda di socializzazione che viene all’epoca rivolta a tutta la televisione e con il

raggiungimento del benessere per la maggioranza il format inizierà a rispecchiare la società

contemporanea, la società dei consumi.

Con gli anni ’80 questo macro genere inizia la sua evoluzione verso le forme di

spettacolarizzazione e intrattenimento che prenderanno il sopravvento negli anni ’90.

Tra gli anni Novanta e Duemila sicuramente il talk politico diventa uno dei format di punta

dell’offerta televisiva italiana e nell’ultima fase ha certamente raggiunto una piena maturità,

frutto di notevoli trasformazioni da quel primo esperimento di video-politica che furono

Tribune Elettorali nel 1960.

142

Evoluzione significativa risale negli anni ’90 grazie all’imposizione del modello “neo-

assembleare”200 con programmi come Samarcanda, Milano, Il rosso e il nero, con il dibattito

che scende in piazza e le istanze sociali che entrano in televisione.

Anni in cui il ruolo dei media si accosta a quello della magistratura nelle accuse aperte a una

classe politica corrotta, contribuendo non solo a segnare una fase fondamentale per la storia

politica del Paese, ma anche ridefinendo il ruolo dello stesso format negli spazi della

comunicazione politica.

La decisione è stata quella di utilizzare la storia dei maggiori talk italiani per ripercorrere le

fasi più significative dell’evoluzione della scena politica, un percorso che va dalla mission

pedagogica della rai e dal controllo dei partiti sulla comunicazione all’introduzione dei social

network e l’affermazione della “piazza” come vera protagonista.

Per la selezione dei programmi due sono stati principalmente i criteri utilizzati: 1) l’analisi

compiuta da Novelli (2016) in merito ai programmi che più di altri hanno rispecchiato il

panorama politico 2) una panoramica soddisfacente sui talk che hanno fatto la storia della

loro rete Rai, Mediaset, La7, Sky. A tal proposito i programmi scelti sono:

Tribuna elettorale / Mixer / Samarcanda / Porta a Porta / Matrix / Servizio Pubblico / Il

Confronto.

Con Tribuna Elettorale ci troviamo di fronte al primo talk show tutto all’italiana. Sono gli

anni in cui il sistema dei media è ancora agli esordi e sono i partiti i veri artefici della

comunicazione, è la fase del voto ideologico, della militanza partitica, di una scarsa mobilità

elettorale e di un ferreo controllo del governo sulla televisione, siamo in piena “democrazia

dei partiti”, in quella che Pippa Norris (2000) definisce “era premoderna”.

Si assiste alla funzione pedagogica ed educativa della tv e all’austerità dei partiti,

riconosciuti come unici protagonisti della scena politica, ma anche l’inizio del cambiamento

del nuovo decennio, del boom economico e della protesta.

Il talk si qualifica quindi come il perfetto strumento per perseguire la mission educativa dello

Stato, ciò trova conferma anche nelle parole di Fanfani per cui: “la politica in tv doveva

200 Parodi Marco, Variations in the melodrama of political TV talk shows. The aggression to Berlusconi and

the endless soap of Italian politics, in Comunicazione politica 12.3, 2011, p. 388

143

servire a raccogliere attorno al focolare dei tempi moderni – gli schermi televisivi – babbi,

mamme e figlioli, a discorrere delle cose d’Italia”201.

Per quanto riguarda la struttura prescelta ricorrono i classici elementi della comunicazione

televisiva già conosciuti dalla classe politica (conferenza stampa e appello) riducendo al

minimo la spettacolarità, l’innovazione e l’artificiosità del mezzo che così avrebbe sminuito

il ruolo degli ospiti. “Tutto quello che direttamente o indirettamente richiama la dimensione

spettacolare propria dello strumento televisivo viene attenuato e, quando ciò non è possibile,

crea imbarazzo”202.

Nonostante tutto, i primi elementi di spettacolarizzazione iniziarono a manifestarsi

addirittura con questo primo talk e il primo contatto tra politica e intrattenimento non tardò

ad arrivare. Parliamo quindi delle imitazioni di Alighiero Noschese o la parodia del

programma di Mina e del Quartetto Cetra a “Studio Uno”: “prime forme di ibridazione tra

generi diversi: politica, satira, giornalismo, intrattenimento, spettacolo”203.

Ma è Mixer che rappresenterà un nuovo modo di fare informazione dove per la prima volta

politica e spettacolo iniziano la loro contaminazione, la celebrazione della politica che d’ora

in poi è inserita in uno spazio non più esclusivo ma trattata insieme ad una miriade di altre

tematiche.

Con Samarcanda siamo negli anni Ottanta, anni di profonda trasformazione a livello

nazionale e internazionale, assistiamo alla fase di abbondanza dell’offerta televisiva, della

ricerca di nuovi format, nuove contaminazioni, nuovi registri espressivi. Cambia la gestione

del dibattito, cambia la selezione degli ospiti, entra definitivamente il pubblico nel piccolo

schermo in quanto soggetto competente e si afferma definitivamente il ruolo carismatico del

conduttore e in questo Samarcanda con Michele Santoro ha segnato una profonda

evoluzione.

Arrivati agli anni Novanta le trasformazioni in materia di comunicazione politica sono

notevoli, si afferma l’emotività, l’elemento passionale a discapito del ragionamento, si apre

201 Giulia Guazzaloca, Tribune e tribuni nella rai degli anni Sessanta, in Aldo Grasso Storie e culture della

televisione italiana, 2013, p.119

202 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la

politica, l’Italia, Carocci, 2016, p. 44

203 Giulia Guazzaloca, Tribune e tribuni nella rai degli anni Sessanta, in Aldo Grasso Storie e culture della

televisione italiana, 2013, p. 121

144

l’era del confronto/ scontro; emerge il ruolo del cittadino-spettatore titolato ad intervenire

nel dibattito (Novelli 2016), si procede verso la “democrazia del pubblico” (Manin 2010). A

cambiare profondamente in questa fase è la visione ed il rapporto che il telespettatore

instaura con il leader politico, portando a maturazione quel processo di personalizzazione

già iniziato negli anni precedenti. L’immagine e il linguaggio del corpo diventano una

variabile determinante per consacrare il rapporto di fedeltà che si instaura con lo spettatore,

diventando simbolo di competenza e professionalità. Nasce in questa fase il “salotto

televisivo della Seconda Repubblica” Porta a porta il 22 gennaio 1996.

“Il programma pensato come approfondimento di attualità ha l’intento di avvicinare il

grande pubblico al <Palazzo>, facendolo diventare <vicino di casa>”204. Non a caso da

Berlusconi a Renzi, da Letta a Grillo tutti i maggiori leader italiani continuano ad entrare nel

programma che Andreotti definì “la terza Camera del Parlamento italiano”.

Si afferma in questo contesto una rappresentazione della politica profondamente

semplificata e soft, pacata, composta, non ostacolata da scontri con altre forze della scena

pubblica come movimenti, sindacati ecc, “dove la chiacchierata ha preso il posto del

confronto politico”205. Ma dove soprattutto il pubblico torna ad essere un fruitore passivo

senza alcuna possibilità di intervenire nello svolgimento del racconto. “Il pubblico posto

sull’ipotetica cavea semicircolare del teatro greco rimanda immediatamente alla posizione

uditoria del pubblico a casa, seduto sul divano avanti alla televisione. Il telespettatore – così

come lo spettatore in sala – ricopre essenzialmente il ruolo di distaccato osservatore, simile

del resto a quel pubblico che Aristotele descriveva nella sua Poetica”206.

Diventa quindi il teatro dei grandi annunci, si è parlato precedentemente di una tv non più

spettatrice di fatti nati altrove ma artefice diretta di momenti storici per il paese, ecco quindi

che a Porta a porta la classe politica si rivolge direttamente alla cittadinanza.

La risposta di Mediaset è Matrix che, rispetto al suo avversario, introduce un elemento

dinamico che ritroviamo nella sigla, nella prospettiva scenica, nel ritmo del dialogo. Poco

204 Mazzoleni Gianpietro e Anna Sfardini, Politica pop. Da Porta a porta a'L'isola dei famosi, Il Mulino,

2009. p.158

205 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la

politica, l’Italia, Carocci, 2016, p. 143

206 Denicolai, L. Parole & Media. Talk show, social network e dintorni, 2011, p. 64

145

spazio si lascia alle lunghe chiacchierate, la ricerca costante nel raggiungere il nocciolo della

questione emerge in ogni intervista.

Il mix tra hard news e soft news è completo, “gli argomenti della cultura popolare, oltre ad

essere mescolati con quelli di stretta attualità politica, economica e sociale, vengono anche

innalzati di livello, equiparati, in qualche modo, a questioni di più elevata importanza;

viceversa, le hard news riguardanti la politica nazionale e internazionale subiscono un

intervento di popolarizzazione finalizzato a renderle più semplici e comprensibili per un

pubblico più ampio e vario”207. Ma le differenze con Porta a porta ci sono ed emergono

principalmente nel ruolo del conduttore, distaccato e super partes, non incalza l’ospite ma

indaga e con moderazione ottiene “una sua momentanea nudità”208. L’immagine richiamata

da Denicolai è quella del film investigativo, del cinema di spionaggio e la luce che illumina

a cono l’ospite non è altro che la lampada sulla scrivania di un commissario.

Ma l’evoluzione del contesto comunicativo mediatico odierno prosegue ed assume forme

sempre più “ibride”. Oggi la commistione tra televisione e nuovi media ha raggiunto un

altissimo grado di interdipendenza e il predominio che la televisione ha esercitato per oltre

cinquant’anni nella percezione della scena pubblica vede l’avvento della rete porre un

necessario ripensamento dei ruoli.

La maggior parte delle trasmissioni hanno inglobato i social network nella propria struttura

riuscendo così ad aumentare il grado di spettacolarizzazione e coinvolgimento che li

caratterizza, quindi la possibilità di rivedere online le puntate o di vederle direttamente

online, la comparsa di tweet in diretta , l’utilizzo delle app sono strumenti “per sottolinearne

l’apertura e l’orizzontalità, nonché di inserire nella trasmissione la voce del pubblico,

arricchendo il programma di un ulteriore piano comunicativo”209. Abbiamo quindi Servizio

Pubblico, show trasmesso inizialmente su una multipiattaforma di televisioni satellitari,

emittenti locali e siti internet finanziandolo con una donazione di 10 euro da parte di 100.000

spettatori e il contributo del Fatto Quotidiano. Ma soprattutto vediamo l’esempio di un

207 Marinelli, Alberto, and Elisabetta Cioni, Public screens: La politica tra narrazioni mediali e agire

partecipativo. Volume Completo. Media and Heritage1.1, 2014, p. 167

208 Denicolai, L. Parole & Media. Talk show, social network e dintorni, 2011, p. 66

209 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la

politica, l’Italia, Carocci, 2016, p. 182

146

programma in particolare: Il Confronto, dove emerge la decisione di riproporre lo studio del

più noto talent show della rete X Factor.

Il Confronto rispecchia la trasformazione vissuta negli ultimi anni sia dalla politica che dalla

televisione, da una parte la ricerca costante di nuove modalità innovative di rappresentazione

del dibattito pubblico, dall’altra i profondi cambiamenti della cultura politica italiana.

Abbiamo visto come l’evoluzione del talk show negli anni abbia rispecchiato a pieno il

contesto di riferimento, riflettendone i caratteri attuali oppure riuscendo ad intercettare le

trasformazioni circostanti mettendo in atto nuove modalità comunicative.

Dagli anni Sessanta caratterizzati da una rappresentazione del sistema partitico autorevole

ed elitario nelle tribune della Rai siamo giunti ad un rovesciamento dei rapporti di forza,

all’affermazione di una scena pubblica orizzontale attiva, ostile alle figure di mediazione e

soprattutto diffidente dell’attuale panorama politico. Ma da qualche anno si parla della crisi

del talk show, cali degli ascolti, ripetitività dei temi trattati e degli ospiti invitati sono

denunciati ovunque. Ma le reti nonostante tutto continuano ad assicurare un uso massiccio

del format e ciò perché più che di “crisi del talk” sembra giusto ipotizzare un suo graduale

adattamento al nuovo clima politico. I dati registrati dai talk non possono essere mai

sorprendenti e questo per svariate ragioni, il mezzo televisivo è comunque orientato

all’entertainment e l’informazione politica ne costituisce soltanto una piccola parte, abbiamo

inoltre ripetutamente riportato quanto sia ridotto anche il target dei talk politici (sia per

istruzione che per età) ed è importante sottolineare che per un’analisi adeguata i risultati di

ogni singolo programma vanno inseriti nel macrogenere del talk e nei numeri complessivi

raggiunti dal format.

In base agli studi proposti nell’elaborato possiamo affermare che “Nel complesso si può

parlare di un genere solido, ben definito e strutturato nell’offerta, all’interno del quale è in

corso un processo di rinnovamento e sperimentazione e talmente istituzionalizzato da

sostenere anche un’azione di celebrazione storica”210.

In terzo capitolo introduce il focus di quest’elaborato, ossia il fenomeno dell’immigrazione

e le modalità con cui viene trattato in televisione e nei talk alla luce delle affermazioni

precedentemente riportate. “L’immigrazione ormai accompagna la nostra vita, le nostre

giornate. È un capitolo importante e ricorrente dello “spettacolo della vita”, che scorre sugli

210 Novelli Edoardo, La democrazia del talk-show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la

politica, l’Italia, Carocci, 2016, p. 215.

147

schermi e sulle pagine dei media”(Ilvio Diamanti)211. Il ruolo svolto dagli strumenti di

comunicazione sulla percezione che il pubblico ha di certe tematiche è determinante e, di

conseguenza, le policies a loro volta vengono influenzate dal discorso pubblico che si

articola intorno un certo tema.

La sfera dei media rappresenta il campo (Binotto, Bruno, Lai, 2016) dove i temi sociali si

esprimono, si costruiscono e dove si trovano soluzioni. In questo contesto determinante

diventa il peso esercitato da vari fattori come aspetti linguistici, metaforici, la selezione e

gerarchizzazione delle issues e, infine, le immagini mediali.

Quando si parla di social problems il panorama diventa più complesso e anche la costruzione

mediale delle tematiche assume diverse sfaccettature, a partire dalla stessa definizione di

“problema sociale”.

“La definizione dei problemi sociali (e ciò è tanto più significativo nella cosiddetta società

dell’incertezza o del rischio) è pertanto un processo saldamente ancorato ai sistemi valoriali,

all’identità collettiva, alle norme condivise. I media svolgono così una funzione ideologica

di controllo sociale, affermando e ribadendo la norma e definendo deviante ogni

comportamento o soggetto che sembra perturbare un ordine sociale presentato di per sé come

desiderabile: la focalizzazione su eventi e singoli “casi da prima pagina”, oppure l’utilizzo

dei dati statistici relativi alla criminalità diventano fondamentali per la costruzione di un

consenso verso misure eccezionali ed emergenziali (Altheide 2007) oppure, nel caso qui

presentato, di “difesa” simbolica di uno spazio “nostro” rappresentato come sotto

assedio”212.

La percezione di certe tematiche è strettamente connessa alla rappresentazione stereotipata

e negativa diffusa dai mezzi di informazione: “Il potere dei mezzi di comunicazione di massa

risiede nella capacità di modellare una determinata realtà sociale. Gli spettatori, anche i meno

attenti, in qualche misura sono investiti da questo potere, trasferiscono le informazioni

mediatiche nella percezione del loro mondo reale (Bandura, 2001).”213. La percezione del

211 Associazione Carta di Roma and Osservatorio di Pavia. "Notizie di oltre i muri." Quarto rapporto Carta di

Roma (2016).

212 Binotto Marco, Marco Bruno e Valeria Lai, eds. Tracciare confini. L'immigrazione nei media italiani:

L'immigrazione nei media italiani. FrancoAngeli, 2016, p.17

213 Latrofa, Marcella e Jeroen Vaes. Potere mediatico e pregiudizio: I mass-media influenzano la nostra

percezione sociale?.In-Mind Italia p.18

148

problema è stata al centro di numerose ricerche negli anni e si è ritenuto fondamentale

riportarne alcune effettuate in periodi diversi tra loro a dimostrazione della radicalizzazione

del binomio criminalità - immigrazione che prescinde dall’attuale contesto.

“La gigantografia è un processo fotografico, l’alterazione delle forme e delle dimensioni di

una stessa immagine per enfatizzarne un aspetto. È quanto avviene alla rappresentazione

dell’immigrazione. Intanto, per larga parte, si tratta di una fotografia, un fotogramma fermo

ormai da quasi quaranta anni su un fenomeno in perenne movimento. I media sembrano

accontentarsi di questa immagine statica e apparentemente immutabile. Hanno scelto un

particolare, una parte da ingrandire ed esaltare. È quella nera, la parte oscura e tenebrosa

presente in ogni fenomeno umano. È quella problematica; quella legata al vocabolario del

delitto, alle sue emozioni e ai suoi dolori; alle paure, al terrore di essere invasi e al timore

dell’ignoto, della povertà e del degrado”214.

Partendo dalla consapevolezza che l’attenzione sui fatti di cronaca nera è maggiore rispetto

ad altri tipi di notizie ciò che emerge è che la centralità aumenta in base alla nazionalità delle

persone sospettate/colpevoli, “quando quest’ultime sono straniere si trovano, in media, più

vicine alla prima pagina e quindi in una posizione ben più visibile delle altre”215.

Contemporaneamente però emerge una scarsa propensione all’approfondimento delle

tematiche e alla diffusa semplificazione, “la continua ripetizione di immagini (sbarchi,

gommoni carichi fino all’inverosimile,…) e di espressioni (“emergenza immigrazione”,

“ennesimo sbarco di clandestini”,…) stereotipate, oltre ad avere un effetto “ansiogeno” e a

contribuire, dunque, alla diffusione del panico e alla “sindrome dell’invasione”, ne ha,

paradossalmente, anche uno, per così dire, “abitudinario”216.

Su queste riflessioni si basano anche gli studi e le considerazioni che abbiamo riportato sulla

rappresentazione della tematica in vari talk show italiani e in contesti differenti. Quindi turni

di parola, servizi, sondaggi, capacità oratoria degli ospiti di orientare i frame della

conversazione su temi di loro interesse sono gli aspetti centrali in questa fase dell’elaborato.

Ma anche titolazione delle notizie, scelte stilistiche sono concetti a cui si è dedicato ampio

214 Binotto Marco, Marco Bruno e Valeria Lai, eds. Tracciare confini. L'immigrazione nei media italiani:

L'immigrazione nei media italiani. FrancoAngeli, 2016, p. 33

215 Ivi p. 88.

216 http://www.nuovefrontierediritto.it/media-comunicazione-immigrazione/

149

spazio al fine di evidenziare gli elementi standard nella trattazione dell’immigrazione, che

sono: nazionalità e status giuridico.

Diventa impossibile collocare temporalmente i titoli riportati ma è possibile evidenziare

quindi la caratteristica comune a tutti che è il riferimento alla nazionalità: “Arrestati due

marocchini e un tunisino” (La Stampa), “Fermato un clandestino” (Corriere), “banda di

nigeriani” (Tg4 del 15/1), “Rumeni in manette” (Tg3 del 24/4), una grande quantità di titoli

completamente interscambiabili217.

Nel caso dell’informazione televisiva naturalmente è l’immagine a farla da padrona, in grado

di generare empatia, invidia, disgusto e pietà, sommata a toni e annunci emergenziali riesce

a creare una cornice in cui la “coloritura emotiva” è notevole. Ma raggiungendo i talk show,

i veri protagonisti di questo elaborato, la questione può diventare ancora più grave, proprio

in virtù di quei fenomeni di spettacolarizzazione e drammatizzazione che abbiamo già

precedentemente trattato. Se si possa parlare di razzismo nel linguaggio politico nei talk

show se lo chiede Giuseppina Bonerba che innanzitutto sottolinea come nella percezione di

un problema sociale determinante sia il ruolo dei claim-makers (politici, giornalisti, esperti)

nella costruzione della tematica all’interno di un frame coerente ed autorevole ma soprattutto

etico ed oggettivo. Bonerba quindi mette in luce come nell’arena mediatica dei talk si noti

la tendenza ad identificare il fenomeno migratorio come un problema sociale e quindi anche

connotarlo di elementi razzisti ma dietro un velo di oggettività e benevolenza da parte del

leader politico. Il quarto e ultimo capitolo ha avuto ovviamente l’intento di verificare

praticamente quanto le considerazioni fatte sulla politica, l’entertainment e la

rappresentazione dell’immigrazione fossero realmente riscontrabili nel talk show.

“Avvicinare il panorama dei media significa scegliere di osservare un mondo complesso e

in continua evoluzione cercando di cogliere dietro la molteplicità di linguaggi format e

formati una serie di logiche di fondo, dei meccanismi interni che assicurano il funzionamento

del sistema della comunicazione declinato nelle sue numerose forme espressive”218. Il talk

rappresenta un genere caratterizzato da contenuti e forme espressive altamente strutturate e

riconoscibili, parliamo di programmi essenzialmente caratterizzati da due elementi, che sono

217217 Binotto Marco, Marco Bruno e Valeria Lai, eds. Tracciare confini. L'immigrazione nei media italiani:

L'immigrazione nei media italiani. FrancoAngeli, 2016, p.67

218 Peverini Paolo, I media: strumenti di analisi semiotica, Carocci, 2012, p. 9

150

l’attualità delle tematiche trattate e l’affermazione del dibattito come modello di interazione

dominante, tendente poi allo scontro, confronto o intervista a seconda dei contesti.

In questa ultima parte dell’elaborato l’attenzione si è concentrata sull’architettura del teatro

televisivo “I talk diventano teatri (televisivi) dove la vita politica viene raccontata con

maggior gusto per il pubblico, perché direttamente messa in scena: vi si distinguono

personaggi principali e secondari, trame, luoghi, rituali, colpi di scena, ascese e cadute,

alleanze e vendette, un materiale narrativo eccezionalmente vario – come varia è la realtà

politica – che nella trasposizione televisiva risponde a precise norme estetiche”219.

Proseguiamo cercando di prendere in considerazione i caratteri identificativi del talk show,

sfruttando in parte la divisione elaborata da Paolo Peverini in “I Media: strumenti di analisi

semiotica”: Set – Struttura testuale – Dibattito – Ruoli ( Conduttore/ Ospiti/ Pubblico).

In conclusione troviamo un’appendice con un’analisi di 3 puntate di 3 talk show in cui si è

trattato il tema dell’immigrazione. I programmi scelti sono stati: Porta a porta, Matrix e

DiMartedì, 3 programmi rappresentativi delle reti Rai, Mediaset e La7 che, nel corso del

periodo preso in esame, hanno trattato il tema ed ospitato in studio alcuni tra i principali

attori politici del momento. Il periodo preso in considerazione va dal 26 aprile 2017 al 3

maggio 2017, si è deciso di far riferimento a questa settimana in particolare perché al centro

dell’agenda in quei giorni avevamo le dichiarazioni del procuratore di Catania, Carmelo

Zuccaro, sui presunti contatti Ong - scafisti.

Per quanto riguarda la metodologia utilizzata si è deciso di ispirarsi alla semiotica e

riproporre la griglia di analisi elaborata da Paolo Peverini, per cui : Formato e collocazione;

Set Televisivo; Partecipanti; Struttura; Dibattito; Quadro partecipativo; Enunciazione

televisiva sono i macro parametri presi in considerazione.

In conclusione più aspetti hanno trovato conferma nella nostra analisi, linguaggio, strumenti,

rappresentazione semplicistica sembrano combaciare con tutti gli elementi caratterizzanti la

politica dello spettacolo.

219 Parodi, Marco, Variations in the melodrama of political TV talk shows. The aggression to Berlusconi and

the endless soap of Italian politics, in Comunicazione politica 12.3, 2011, p. 390