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CARDIOLOGIA FORENSE 205 Cardiologia ambulatoriale 2006;4:205-207 Insufficienza mitralica cronica conseguente a cardiopatia ischemica: valutazione della gravità, prognosi e implicazioni medico-legali S. Castaldo, * D. Cullia, ** A. Cavalli, ° F. Vergari, § M. Piccioni * Coordinatore Sanitario Regionale INPS, Campania ** Dirigente Medico di I livello, Servizio di Fisiopatologia Cardiovascolare, Sede Regionale INPS, Campania ° Dirigente Medico di I livello, Coordinamento Generale Medico legale INPS, Roma § Facoltà di Medicina e Chirurgia Università degli Studi di Bologna Coordinatore Generale Medico legale INPS Il lavoro sapientemente esposto sull’insufficienza mitralica ischemica mette in luce le possibilità di diagnosi differenziale tra questa nosologia particolare e più comune di quanto ci si possa immaginare e le altre cause di insufficienza mitralica. Gli Autori eviden- ziano l’iter accertativo e i parametri da valutare ecocardiograficamente, essendo spesso l’obiettività semeiologica negativa.Tale impostazione presenta risvolti interessanti nel momento accertativo medico-legalmente inteso e proiettato verso la valutazione della capacità lavorativa del singolo soggetto che ne è affetto. Ma non solo. L’individuazione di questa nosologia pone importanti problemi sulla terapia da adottare, non più rivolta alla sostituzione valvolare, quanto, piuttosto, alla correzione dell’ischemia che ne è causa. S. Cocuzza Abstract L’insufficienza mitralica cronica conseguente a cardiopatia ischemica differisce da quella organica causata da alterazioni dei lembi valvolari per l’eziopatogenesi, i parametri di gravità, la prognosi e i risultati della terapia. Nel presente lavoro vengono discussi questi aspetti e le implicazioni medico-legali in tema di responsabilità professionale e di invalidità pensionabile INPS. Parole chiave: Insufficienza mitralica; Cardiopatia ischemica; Colpa professionale; Invalidità pensionabile INTRODUZIONE Nell’insufficienza mitralica cronica, l’ecocardiogra- fia, a seguito dei progressi registrati sia nel campo delle apparecchiature sia in quello delle metodiche appli- cative, è attualmente in grado di ottenere informazioni in maniera riproducibile e non invasiva su: 1,2 Eziologia (in particolare se su base anatomica o fun- zionale) Gravità ed evolutività (in particolare entità del rigur- gito, volumetria e funzione sistolica del ventricolo sinistro) Opzioni terapeutiche (in particolare timing e tipolo- gia dell’intervento chirurgico) Accanto alle forme organiche da alterazioni strut- turali dei lembi valvolari sono state individuate insuf- ficienze mitraliche funzionali su base ischemica cau-

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CARDIOLOGIA FORENSE

205Cardiologia ambulatoriale 2006;4:205-207

Insufficienza mitralica cronica conseguente acardiopatia ischemica: valutazione della gravità,

prognosi e implicazioni medico-legali

S. Castaldo,* D. Cullia,** A. Cavalli,° F. Vergari,§ M. Piccioni†

*Coordinatore Sanitario Regionale INPS, Campania**Dirigente Medico di I livello, Servizio di Fisiopatologia Cardiovascolare, Sede Regionale INPS, Campania

°Dirigente Medico di I livello, Coordinamento Generale Medico legale INPS, Roma§Facoltà di Medicina e Chirurgia Università degli Studi di Bologna

†Coordinatore Generale Medico legale INPS

Il lavoro sapientemente esposto sull’insufficienza mitralica ischemica mette in luce le possibilità di diagnosi differenziale tra questanosologia particolare e più comune di quanto ci si possa immaginare e le altre cause di insufficienza mitralica. Gli Autori eviden-ziano l’iter accertativo e i parametri da valutare ecocardiograficamente, essendo spesso l’obiettività semeiologica negativa. Taleimpostazione presenta risvolti interessanti nel momento accertativo medico-legalmente inteso e proiettato verso la valutazionedella capacità lavorativa del singolo soggetto che ne è affetto. Ma non solo. L’individuazione di questa nosologia pone importantiproblemi sulla terapia da adottare, non più rivolta alla sostituzione valvolare, quanto, piuttosto, alla correzione dell’ischemia che neè causa.

S. Cocuzza

AbstractL’insufficienza mitralica cronica conseguente a cardiopatia ischemica differisce da quella organica causata da alterazioni deilembi valvolari per l’eziopatogenesi, i parametri di gravità, la prognosi e i risultati della terapia. Nel presente lavoro vengonodiscussi questi aspetti e le implicazioni medico-legali in tema di responsabilità professionale e di invalidità pensionabile INPS.

Parole chiave: Insufficienza mitralica; Cardiopatia ischemica; Colpa professionale; Invalidità pensionabile

INTRODUZIONE

Nell’insufficienza mitralica cronica, l’ecocardiogra-fia, a seguito dei progressi registrati sia nel campo delleapparecchiature sia in quello delle metodiche appli-cative, è attualmente in grado di ottenere informazioniin maniera riproducibile e non invasiva su:1,2

• Eziologia (in particolare se su base anatomica o fun-zionale)

• Gravità ed evolutività (in particolare entità del rigur-gito, volumetria e funzione sistolica del ventricolosinistro)

• Opzioni terapeutiche (in particolare timing e tipolo-gia dell’intervento chirurgico)

Accanto alle forme organiche da alterazioni strut-turali dei lembi valvolari sono state individuate insuf-ficienze mitraliche funzionali su base ischemica cau-

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Insufficienza mitralica cronica conseguente a cardiopatia ischemica:valutazione della gravità, prognosi e implicazioni medico-legali

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rere sistematicamente all’esame ecocardiografico perindividuare questa complicanza, che, come vedremo,assume particolare valenza sul piano funzionale eprognostico e richiede un’attenta calibrazione delleopzioni terapeutiche.

La valutazione della gravità dell’insufficienza mitra-lica postischemica si basa su parametri differenti dal-l’insufficienza mitralica organica. La sola determina-zione dell’area del jet rigurgitante al color Doppler for-nisce solo una stima della gravità dell’insufficienzamitralica, mentre più attendibile appare il calcolo del-l’orificio rigurgitante effettivo (ORE) attraverso il cal-colo della PISA(Proximal Isovelocity Surface Area) oppurela determinazione della vena contracta (VC)5-7 (Tabella1). I parametri di gravità per l’insufficienza mitralicapostischemica differiscono da quelli dell’insufficienzamitralica su base organica riportati nella Tabella 1.6,7

Un rigurgito importante si ha già per valori di ORE≥20 mm2. Pazienti infartuati con insufficienza mitra-lica postischemica e ORE ≥20 mm2 presentavano un’in-cidenza di insufficienza cardiaca congestizia a 5 annisuperiore al 60% e, sempre a 5 anni, una sopravvivenzainferiore al 40%.8,9

Un’altra differenza tra l’insufficienza mitralica orga-nica e quella funzionale postischemica riguarda i risul-tati della terapia chirurgica. Mentre, infatti, nell’in-sufficienza mitralica organica, se non è già intervenutoun deterioramento della funzione di pompa del ven-tricolo sinistro, l’intervento di valvuloplastica o di sosti-tuzione valvolare si associa a un miglioramento apprez-zabile della sopravvivenza e della qualità della vita,10

la situazione è diversa nell’insufficienza mitralicapostischemica. In questo caso, la sola correzione chi-rurgica del rigurgito valvolare non modifica signifi-cativamente la storia naturale del paziente, a meno chenon si associ a rivascolarizzazione miocardica volta aripristinare un adeguato flusso coronario in aree ische-miche, se presenti. La correzione dell’ischemia deter-mina il ripristino di una soddisfacente funzione con-trattile, premessa per la riduzione o l’eliminazione diun rigurgito che è appunto di tipo funzionale.3

Quali sono le implicazioni di questi aspetti pro-gnostico-funzionali nella valutazione dell’invaliditàpensionabile INPS? La valutazione dell’insufficienza

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sate da dislocamento dei muscoli papillari a seguitodi alterazioni della geometria del ventricolo sinistro.L’insufficienza mitralica si determina a seguito dellavariabile combinazione di acinesia che coinvolge la basedi impianto di un muscolo papillare (come conseguenzadi necrosi infartuale) e di dilatazione del ventricolosinistro. La trazione esercitata sui muscoli papillariimpedisce la coaptazione dei lembi mitralici in sistole,creando un rigurgito mitralico progressivamente ingra-vescente.3

Attraverso l’ecocardiografia, proprio con riferi-mento a questa forma di insufficienza mitralica (insuf-ficienza mitralica cronica postischemica), sono peral-tro emersi alcuni aspetti che assumono un indubbiointeresse sul piano medico-legale, sia ai fini dellaresponsabilità professionale sia ai fini della valutazionedella invalidità nei vari ambiti di legge (in particolarel’invalidità INPS).

Anzitutto, e questo vale per tutti i tipi di insuffi-cienza mitralica, la correlazione tra quadro clinico egravità della valvulopatia è scarsa: pazienti con insuf-ficienza di grado severo possono essere asintomaticio paucisintomatici.1 Inoltre, è stato segnalato che, nel-l’insufficienza mitralica postischemica, in oltre la metàdei pazienti con valvulopatia di grado lieve e in unterzo di quelli con valvulopatia di grado medio o severonon si rileva alcun soffio sistolico all’auscultazione.4

Questo è ancora più evidente nell’insufficienza mitra-lica postischemica, per la presenza di disfunzione con-trattile. Sul piano medico-legale non si può dunqueascrivere a responsabilità professionale del medico dimedicina generale la mancata individuazione all’esameobiettivo di un soffio da rigurgito prodotto da insuf-ficienza mitralica, soprattutto se mancano altri riscon-tri anamnestici e/o clinico-strumentali ovvero speci-fiche finalità della visita che facciano sospettare unacardiopatia e richiedano un motivato ricorso all’esameecocardiografico. Tuttavia, esiste anche il “rovescio dellamedaglia”. Se in un determinato paziente la storia cli-nica fa sospettare la presenza di un’insufficienza mitra-lica, a prescindere dall’obiettività negativa, si imponeil ricorso all’esame ecocardiografico. È questo il casodell’insufficienza mitralica postischemica in un pazientecon recente infarto miocardico, in cui è importante ricor-

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mitralica postischemica deve essere diversa rispetto aun’insufficienza mitralica organica sia per quantoriguarda l’impegno funzionale sia per le possibilità direcupero. È evidente che, in un paziente infartuato,un’insufficienza mitralica postischemica di gradomedio-severo (con un ORE quindi ≥20 mm2) per l’im-pegno emodinamico e l’evolutività rendono incom-patibili lavori pesanti o medi: restano compatibili sololavori a carattere prevalentemente sedentario. Invece,l’associazione di un’insufficienza mitralica postische-mica di grado medio-severo che perduri nel tempo asso-ciandosi a una disfunzione sistolica importante (FEVS30-35% circa) o a una disfunzione diastolica di gradoIII-IV del ventricolo sinistro orienta per un giudiziodi inabilità e, per questo soprattutto, non è indicataper assenza di miocardio vitale una rivascolarizzazionemiocardica che potrebbe portare a un miglioramentosignificativo della funzione di pompa.

INDIRIZZO PER LA CORRISPONDENZADott. Stefano CastaldoINPS, Sede Regionale per la Campaniavia Medina, 6180133 NapoliTel. 081-7948177Fax 091-7948064E-mail: [email protected]

Tabella 1. Valutazione della gravità dell’insufficienza mitralica al color Doppler

Gravità dell’IM Frazione rigurgitante (%) ORE (mm2) VC*

Lieve < 30 <20 <0,3

Media 30-50 20-40 0,3-0,5

Severa >50 >40 >0,5

*Massima ampiezza in cm misurabile usando proiezioni multiple. IM, insufficienza mitralica. Riferimento bibliografico 7, modificato.

Bibliografia

1. Otto CM. Mitral regurgitation. In: Otto CM (ed). Valvular heart dis-ease. Philadelphia, PA: WB Saunders, 1999:296-322

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3. Iung B.Management of ischaemic mitral regurgitation.Heart 2003;89:459-464

4. Bursi F, Enriquez-Sarano M, Nkomo VT, et al. Heart Failure and DeathAfter Myocardial Infarction in the Community.Circulation 2005;111:295-301

5. Vandervoort PM,Thomas JD. New approaches to quantitation of val-vular regurgitation. In: Otto CM (ed).The practice of clinical echocar-diography. Phildalephia, PA: WB Saunders, 1997:307-324

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7. Irvine T, Li XK, Sahn DJ, et al. Assessment of mitral regurgitation. Heart2002;88(suppl IV):iv11-iv19

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9. Grigioni F, Detaint D,Avierinos J-F, et al. Contribution of ischemic mitralregurgitation to congestive heart failure after myocardial infarction. JAm Coll Cardiol 2005;45(2):260-267

10. Enriquez-Sarano M, Avierinos J-F, et al. Quantitative determinants ofthe outcome of asymptomatic mitral regurgitation. N Engl J Med2005;352:875-883

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CARDIOLOGIA FORENSE

208Cardiologia ambulatoriale 2006;4:208-226

*Relazione presentata al VII Congresso Nazionale ARCA, Pisa, 14-17 giugno 2006.

Rilevanza medico-legale della visita cardiologica ed ECG: semplice formalità o momento

fondamentale per la valutazione del paziente da sottoporre a intervento chirurgico?

Un caso paradigmatico*

S. Cocuzza,° M. Barillaro§

°Vicepresidente AICAF (Associazione Italiana Cardiologia Forense); Consigliere regionale ARCA Sicilia§Giudice Tribunale di Firenze; Componente Comitato Scientifico Osservatorio Permanente sulla Criminalità Organizzata;

Vicepresidente Comitato Scientifico Istituto Internazionale Scienze Criminali

Si tratta di un caso di morte avvenuta dopo un banale intervento chirurgico di tonsillectomia in un giovane che, però, in teneraetà era stato sottoposto a un intervento di trasposizione dei grossi vasi secondo tecnica di Mustard.Prima dell’intervento era stata richiesta dall’anestesista allo specialista cardiologo una consulenza preoperatoria, attività che assorbeormai molte energie del cardiologo e che, purtroppo, in qualche caso, come questo, non è stata sufficientemente approfondita; ilcardiologo si è limitato a una breve anamnesi, all’esecuzione-lettura di un ECG, che è risultato normale, e alla constatazione diassenza di sintomi di cardiopatia in atto.Purtroppo, nel postoperatorio il paziente è deceduto come appurato dall’esame autoptico, per una probabile aritmia maligna inportatore di importante ipertrofia ventricolare destra cardiaca, evento che si verifica nel 2-8% di questi pazienti.Sia il cardiologo sia l’anestesista, che peraltro si rimpallavano il compito di attivarsi nell’accertamento del rischio operatorio, sonostati condannati per omicidio colposo.Al cardiologo sono state imputate negligenza e imperizia per non aver affrontato il caso: pur esulando dalla normale routine quo-tidiana, aveva il dovere di documentarsi, approfondire le indagini e quindi applicare le linee guida dell’ANMCO sul follow-up delcardiopatico congenito operato.All’anestesista è stata imputata, oltre alla negligenza nel seguire il postoperatorio, la mancata cooperazione con lo specialista car-diologo, cooperazione multidisciplinare che impone a ogni sanitario di conoscere e valutare l’attività precedente di altro sanitario,ponendo rimedio a eventuali errori od omissioni.L’accertamento della colpa medica nella consulenza specialistica cardiologica è discussa con molta sapienza medica e giuridica e faemergere con chiarezza le responsabilità del cardiologo insite nella consulenza cardiologica che, nonostante il carico routinariodello specialista, non può e non deve limitarsi a “un’inerte e ripetitiva anamnesi che non serve allo scopo”.

S. Fontana

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Rilevanza medico-legale della visita cardiologica ed ECGUn caso paradigmatico

209Cardiologia ambulatoriale 2006;4:208-226

AbstractIl lavoro riporta un caso clinico venuto all’osservazione degli Autori e conclusosi con il decesso del paziente. Quest’ultimo,sottoposto in tenera età a intervento di Mustard per trasposizione corretta dei grossi vasi, necessita di essere sottoposto, all’etàdi 18 anni, a intervento di tonsillectomia. Lo specialista cardiologo e l’anestesista gestiscono in maniera non corretta il pazientee vengono condannati per omicidio colposo.Il caso è l’occasione per riflettere sui compiti e sui doveri dello specialista cardiologo, a cui molto spesso è richiesta una con-sulenza preoperatoria, e per fugare l’errata convinzione che è solo l’anestesista a rispondere, in caso di decesso del paziente,dei danni conseguenti a intervento chirurgico.Il caso, inoltre, paradigmatico nel suo genere, porta a riflettere sull’importanza della collaborazione multidisciplinare e dellavoro in équipe in medicina e sui profili di responsabilità di ciascun sanitario coinvolto nell’atto chirurgico, analizzandosoprattutto i criteri di individuazione della colpa professionale e l’accertamento del nesso di causalità materiale tra l’eventolesivo e il comportamento antigiuridico dei sanitari preposti a preservare la salute del paziente.

Parole chiave: Trasposizione dei grossi vasi arteriosi; Visita cardiologica per intervento chirurgico; Responsabilità medica incaso di morte del paziente

quanto consentono di delineare con esattezza e pre-cisione la metodologia operativa che deve essere sot-tesa a qualsiasi atto medico in tutti gli ambiti. Esse,infatti, nel raccomandare al medico di agire semprecon prudenza, perizia, diligenza e osservanza di Leggi,regolamenti, ordini e discipline, sottolineano la fon-damentale rilevanza di due requisiti basilari per ilmedico che certifica, ma che a nostro avviso devonosempre uniformare l’attività di tutti gli esercenti la pro-fessione sanitaria operanti a qualsiasi titolo:• Precipua conoscenza delle finalità cui l’atto medico

che si sta compiendo va a riferirsi: lo specialistacardiologo, come qualunque sanitario, non può nonconoscere le finalità dell’atto certificativo e i risvoltiche esso avrà sia sulla salute sia sugli eventuali bene-fici che al paziente verranno riconosciuti, nonchéentro quale ambito sarà fatta valere la certificazione(giuridico, clinico, previdenziale, sociale, sportivo,ecc.)

• Rigorismo obiettivo: la certificazione deve esserelo specchio fedele della realtà biologica, della veritàoggettiva.

Il certificato dovrà dunque contenere dati obiettivi,fatti certi tecnicamente apprezzabili e valutabili allostesso modo anche da terzi. Sono proprio questi i daticlinici obiettivi di univoca rilevazione, che conferisconoai certificati il loro valore giuridico.

Né la sintomatologia accusata dal paziente né il sologiudizio diagnostico e prognostico possono avere

INTRODUZIONE

Al V Congresso Nazionale ARCA di Porto Cervo siè avuto modo di trattare del falso ideologico nell’at-tività cardiologica ambulatoriale, evidenziando dauna parte le figure giuridiche dello specialista corre-late all’ambito a cui il certificato è destinato e dall’al-tra le varie tipologie certificative, distinguibili fonda-mentalmente in due grossi ambiti: le certificazioni desti-nate ad appurare una realtà patologica finalizzatageneralmente alla diagnosi e alla cura del paziente ele certificazioni tese ad appurare l’idoneità a determinateattività come quella sportiva, lavorativa e comunquequelle in cui un soggetto deve sostenere un compito,un’attività, uno stress. Per quanto concerne il primocaso, inoltre, si è detto che l’eventuale falsità certifi-cativa poteva derivare da una “bugia scritta” finaliz-zata a favorire il paziente, mentre per quanto attieneil secondo caso si è affermato che la falsità certifica-tiva poteva derivare da una “verità non scritta” fina-lizzata a celare la verità stessa e, in ultima analisi, afavorire ugualmente il paziente, nel caso in cui l’atte-stazione della verità patologica stessa fosse stata causadi mancati vantaggi per lo stesso.

In ogni caso, si è ribadito che lo specialista cardio-logo, come qualunque specialista, deve seguire alcunenorme a lui imposte dalle Leggi e dalle norme deon-tologiche (art. 30) che rappresentano una guida per labuona pratica medica e che, con la loro precipua qua-lificazione, appaiono estremamente illuminanti in

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significato e valore di prova se non sono basati su unacorretta semeiotica e quindi su dati obiettivi che con-fermino o giustifichino i giudizi di diagnosi e prognosiformulati.

Se non è possibile formulare un preciso giudizio dia-gnostico e prognostico, se non è possibile trovare unriscontro obiettivo alla sintomatologia accusata dalpaziente conviene astenersi dal formulare una diagnosipiuttosto che rischiare di certificare qualcosa che nonsi conosce, soprattutto se culturalmente risulti lacu-nosa la preparazione scientifica del sanitario.

Delle parti che costituiscono un certificato (anam-nesi, sintomatologia accusata dal paziente, obiettivitàclinica e giudizio diagnostico e prognostico), l’obiet-tività clinica costituisce, come si è detto, la parte dimaggiore rilevanza giuridica, sulla quale non è pos-sibile astenersi o tacere.

Dovrà rispondere egualmente al principio del rigo-rismo obiettivo del metodo il successivo passaggio dallaraccolta analitica dei dati clinici alla sintesi degli stessinella diagnosi e nella prognosi. Non va dimenticatoche l’apprezzabilità e la dinamicità (o evolutività) deldisordine funzionale sono i presupposti fondamentaliperché sussista la malattia e dunque perché possa essereformata una certificazione.

In conclusione:• Il medico deve informarsi sul perché quel certifi-

cato gli viene richiesto e annotarlo per iscritto• Sono necessari e fondamentali la raccolta dell’a-

namnesi e lo studio della documentazione sanita-ria in possesso del paziente

• Il paziente deve essere visitato: ciò significa cheoccorre espletare un esame obiettivo

• Il certificato deve riportare i dati salienti dell’esameobiettivo, della diagnosi, ove sia possibile formu-larla, e della prognosi

• Se ciò non è possibile, è assoluto dovere dello spe-cialista sottoporre a esami supplementari il pazienteal fine di pervenire a una precisa diagnosi, da cuideriverà molto spesso un trattamento terapeutico,e a formulare una prognosi sia in termini biologicisia al fine di un giudizio di idoneità fisica

• La parte più importante della certificazione è l’o-biettività rilevata dal medico, integrata dai dati

anamnestici e strumentali. Essa giustifica la diagnosie motiva la prognosi

• Ciò che si scrive deve essere assolutamente conformea quanto obiettivato

• Il certificato compiacente è un certificato falso cheespone il medico all’imputazione di falso ideolo-gico a mente degli artt. 479, 480 e 481 CP

• Il certificato costituisce un’affermazione di verità,che può essere fatta valere nei confronti di chiun-que

• L’attività certificativa del medico è fondamentale inquanto quest’ultimo opera sia per conto e nell’in-teresse della pubblica Amministrazione, nel realiz-zare le finalità proprie dell’Ente pubblico in mate-ria di pubblica assistenza sanitaria, sia, soprattutto,nell’interesse del singolo che richiede una presta-zione

L’argomento che verrà trattato in questo lavoro, vuoleverificare un aspetto particolare della certificazione,la più comune delle certificazioni che uno specialistacardiologo si trova a redigere quotidianamente nellasua attività e per tutta la durata della sua attività pro-fessionale.

LA CONSULENZACARDIOLOGICA

Nella maggior parte dei casi, allo specialista sonorichieste una valutazione cardiologica e l’esecuzione diun semplice ECG, finalizzate a conoscere le condizionicardiologiche del paziente e a instaurare una terapia.

Coloro che richiedono tale prestazione sono gene-ralmente i medici di base che, nella loro attività,avendo “in carico” il proprio assistito, necessitano diuna consulenza specialistica, in ultima analisi permigliorare qualitativamente l’assistenza fornita.

Partendo dal principio che la certificazione è un attoscritto destinato a conoscere la verità (in questo casoclinica), anche la visita cardiologica riveste questepeculiarità in quanto rappresenta una “risposta” ai que-siti formulati da altro sanitario o dal paziente stesso.

Dall’esito della diagnosi, fondata, come accennato

Rilevanza medico-legale della visita cardiologica ed ECGUn caso paradigmatico

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Rilevanza medico-legale della visita cardiologica ed ECGUn caso paradigmatico

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sopra, sull’osservanza di un percorso metodologico checomporta la conoscenza delle finalità a cui è destinato,lo specialista trarrà le proprie conclusioni cliniche, pro-ponendo una terapia e regole di comportamento cli-nico. Sarà compito dello stesso, inoltre, in caso di visitafinalizzata alla semplice emendabilità di un’eventualepatologia, proporre al paziente o al sanitario che lo hainviato regole e stili di vita utili a contrastare la pato-logia stessa. Non di rado tale attività certificativa èrichiesta allo specialista da altri sanitari o da strutturesanitarie affinché si accerti la reale situazione cardio-logica di un soggetto che dovrà essere sottoposto aintervento chirurgico.

In questo caso, la certificazione ha il significato di“consulto”, cioè di richiesta di parere clinico circa lecondizioni dell’apparato cardiovascolare. I sanitariche più di tutti ricorrono a siffatta consulenza sonogli anestesisti, a cui è demandato il compito di seguiree guidare il paziente prima, durante e dopo l’inter-vento stesso.

Si premette che molto spesso, purtroppo, la richie-sta di visita cardiologica ed ECG rappresenta un “attodovuto” da parte dell’anestesista e altrettanto spessouna “formalità” da parte dello specialista cardiologo.Del resto, oggigiorno le tecniche anestesiologiche sisono evolute, si lavora in ambienti più attrezzati e confarmaci più sicuri, motivo per cui è raro che il pazienteincorra in spiacevoli inconvenienti perioperatori opostoperatori, soprattutto se l’intervento chirurgico èrelativamente esente da rischi.

Eppure, negli ultimi 10 anni si è sentita la necessitàdi stabilire regole, molto spesso non scritte, talvoltasuggerite, altre volte sottintese, che abbiano la preci-pua finalità soprattutto di evitare complicanze, maanche, in definitiva, di stabilire il confine della respon-sabilità medica dei vari operatori sanitari coinvolti nel-l’atto chirurgico e in particolare quando il paziente èaffetto già da una cardiopatia. Paradossalmente, unarisposta la si può trovare considerando che la mag-gior parte del contenzioso si riscontra a seguito di inter-venti relativamente poco rischiosi in cui si apprezzamaggiormente il contrasto tra l’esiguità dello stress ope-ratorio in sé e per sé e l’inaspettata (o non attesa) cascatadi eventi avversi a cui può andare incontro il paziente.

Vediamo di analizzare in dettaglio tutte le deter-minanti della “filiera” operatoria onde stabilire se equando dal semplice consulto cardiologico può essereravvisata colpa professionale da parte dello speciali-sta cardiologo e se e quando, viceversa, debba essereaddebitata ad altri operatori sanitari, in particolare all’a-nestesista.

Lo specialista cardiologo incaricato di un consultoha fondamentalmente il compito di “... definire l’at-tuale status clinico del paziente, fornire un profilo delsuo rischio cardiaco in rapporto alla gravità della car-diopatia e al tipo di procedura chirurgica e suggerirestrategie che possano consentire la gestione di even-tuali problemi cardiaci nel periodo perioperatorio”.Tuttavia, tale valutazione non avrebbe alcun senso senon si conoscesse il reale motivo del consulto.Qualunque visita medica ha una propria finalità.Anche il semplice accesso di un paziente in ambula-torio è motivato dalla necessità dello stesso di chia-rire ed eventualmente curare i disturbi da cui è affetto.

“Contrattualmente”, il rapporto medico-paziente sibasa su un patto giuridico che, da una parte, vede ilpaziente bisognoso di prestazione e, dall’altra, ilmedico che è legittimato a gestire il bene-salute affi-datogli. Come ogni contratto che si rispetti, il medicodeve portare a termine con diligenza il proprio com-pito, se può, ma ovviamente è necessario che sappiapreventivamente qual è il suo compito. Stesso ragio-namento vale se la richiesta perviene da altro sanita-rio sotto forma di consulto. Anche in questo caso, ilmedico non può disconoscere le finalità del consulto,per dare risposta oculata al collega, ma, soprattutto,per fornire la migliore prestazione possibile al pazienteche beneficerà come utente finale del complesso delleprestazioni.

Non rappresenta, invece, un consulto la semplicerichiesta di esame strumentale che qualunque specia-lista esegue su richiesta di altro sanitario il quale, asua volta, sarà “l’utilizzatore” delle conclusioni con-tenute nel referto per la prosecuzione della terapia odell’intervento programmato.

Ovviamente, il consulto prevede che lo specialistacardiologo indaghi sull’anamnesi del paziente e prendavisione di eventuali altre visite o esami strumentali

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cui il paziente si è sottoposto. Questo è spesso un pas-saggio “difficile” del consulto specialistico, in quanto,sia a causa della preparazione culturale del pazientesia a causa della frettolosità dello specialista, non siattribuiscono il giusto peso e la giusta importanza aquesta parte dell’esame clinico. Si è visto, infatti, cheun’anamnesi accurata e comprensiva dello studio delladocumentazione sanitaria riduce enormemente (del 50%circa) l’errore in medicina. Pervenire a una diagnosi(spesso errata) per un’errata considerazione anamne-stica del caso espone il paziente a gravi rischi per lasua salute e il medico a procedimenti per malpractice.

Ciò trova una spiegazione nel fatto che, da premesseerrate, non capite o non conosciute (anamnesi incom-pleta), è facile arrivare a un errore nella diagnosi. Daqui il passo è facile per impostare una terapia erratae un’errata prognosi.

Nella stragrande maggioranza dei casi, l’erroremedico è basato su una diagnosi errata e questadipende da una non completa o errata raccolta dei daticlinici.

Ovviamente, l’obiettività clinica desunta dalla visitamedica accurata è il passo successivo per perveniresia alla diagnosi, sia alla terapia, sia alla prognosi.L’obiettività clinica è, però, molto spesso priva dieffetti positivi per il paziente e ciò fondamentalmenteper diversi ordini di motivi:• La limitata preparazione semeiologica del medico, che

non sempre possiede il bagaglio di esperienza richie-sto. Tale evenienza, se causa di errore, è moltospesso dovuta a imperizia che, se di particolare gra-vità (inescusabile), potrà essere causa di procedi-mento giudiziario per colpa professionale con con-seguente condanna

• Effettiva negatività dell’esame obiettivo in determinatepatologie cardiache, soprattutto di origine ischemica

• Obiettività rilevata a riposo. Il cuore è un organo chesi adatta alle necessità dell’organismo ed è in gradodi variare le proprie performance se sottoposto astress, a fatica o a influssi ambientali come il caldo,il freddo, ecc.

Da queste brevi osservazioni si evince come non sem-pre sia facile, a una “rapida occhiata”, giungere alla

verità clinica. In questi casi, lo specialista ha la facoltà,ma soprattutto il dovere, di richiedere l’esecuzione diesami strumentali mirati a dissipare i dubbi.

Anche su questo punto si potrebbe ribattere sotto-lineando il fatto che non esiste alcun esame cardiolo-gico in grado di valutare tutte le funzioni cardiache,motivo per cui ha senso richiedere un esame stru-mentale solo dopo un’accurata anamnesi e un altret-tanto accurato esame obiettivo. Nell’“era strumentale”,nell’immaginario collettivo, ma talvolta anche nel-l’immaginario del medico, ci si affida molto al responsodi un esame strumentale: ciò è errato concettualmentee clinicamente. La macchina non potrà mai sostituirsiall’uomo e il clinico non potrà mai essere sostituito dauna macchina. Se non si parte da premesse clinicherazionali, l’esame strumentale non è “efficace”. Eccoperché è sempre più attuale il concetto che una buonaanamnesi e un buon esame obiettivo siano fondamentaliper la ricerca della verità.

Infine, si perviene alla diagnosi, che è frutto del“riepilogo” dei passaggi precedenti. Essa dovrebbe rap-presentare la “verità scientifica” del consulto specia-listico, ma solo se basata e derivata dalle altre fasi.

Un accenno alla terapia che, per forza di cose, è underivato della diagnosi. Essa rappresenta, infatti, nellagrande maggioranza dei casi, l’obiettivo a cui mira ilpaziente (la cura) e il risultato che il medico si aspettadalla metodologia clinica applicata.

Infine, la prognosi. Secondo il Churchill’s MedicalDictionary, per “prognosi” si intende un “giudizioavveduto del decorso e del possibile esito di unamalattia basato sulla conoscenza dei fatti del caso spe-cifico”. La definizione racchiude in sé una grande veritàche è quella di poter prevedere, in base alle conoscenzesul caso in questione, quale sarà l’evoluzione della pato-logia in rapporto a ciò per cui è richiesto il consulto.È quindi basilare pervenire a una diagnosi, che a suavolta deriva dall’obiettività e dall’anamnesi, ma èaltrettanto importante “confrontare” la patologia conquello che è lo scopo della consulenza. Se detto scopoè la cura del paziente, la consulenza dovrà di volta involta prevedere l’evoluzione della patologia alla lucedella terapia prescritta. Se, invece, lo scopo della con-sulenza è di stabilire la situazione clinica del paziente

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che dovrà sottoporsi, ad esempio, ad attività fisica, astress o per conseguire un’idoneità specifica, allora ilgiudizio prognostico (decorso e possibile esito dellamalattia) verterà a individuare la relazione tra malat-tia e idoneità e viceversa.

Ecco, allora, come la conoscenza dei motivi dellaconsulenza richiesta e il giudizio prognostico, riguar-dante in questo caso la compatibilità a effettuare unadeterminata attività (idoneità), siano fattori inscindi-bili all’interno di quella metodologia, più sopra ripor-tata, che rende la consulenza non un mero atto clinicoformale, ma, piuttosto, una valutazione del rischio insitonell’atto, attività o quant’altro il paziente andrà a com-piere.

Per fare qualche esempio banale, si potrebbe ipo-tizzare di sottoporre a consulenza un soggetto che rife-risce di essere andato incontro, 3 mesi prima, a infartodel miocardio. Il tracciato ECG e la visita cardiologicamostrano i segni dell’infarto pregresso, ma ciò non èsufficiente per esprimere un giudizio prognostico sul-l’idoneità a compiere un’attività sportiva. Sarà com-pito dello specialista a cui è richiesta la consulenzaconoscere i motivi della consulenza stessa e pronun-ciarsi non tanto sulla compatibilità a compiere l’atti-vità sportiva, quanto, piuttosto, segnalare quei dati emo-dinamici, quindi funzionali, che saranno di aiuto adaltro operatore sanitario per concedere o meno l’ido-neità. Non si può, in definitiva, pretendere che il sani-tario che ha richiesto la consulenza abbia cognizionedelle conseguenze che la patologia del paziente puòcomportare.

Pertanto, a differenza del mero esame strumentale,la consulenza specificamente richiesta allo specialistaè non solo un atto di scienza, ma anche momento divalutazione del rischio o delle conseguenze dellamalattia cardiaca in determinati ambiti di attività.

La circostanza più sopra descritta ricorre moltospesso nella pratica clinica, soprattutto quando lo spe-cialista consultato si accorge di una patologia poten-zialmente pericolosa per la salute o la vita del pazientee una di queste circostanze è di comune riscontrodurante la richiesta di consulenza cardiologica primadi un atto operatorio. Quest’ultimo può essere fontedi particolare stress per il paziente e generalmente è

l’anestesista che, conscio della presenza di una pato-logia cardiaca anamnesticamente o clinicamente rile-vata, ritiene necessario integrare i propri dati con unaconsulenza cardiologica. Ne deriva che l’anestesistanon richiede la consulenza per conoscere quello cheprobabilmente sa già, ma per conoscere eventualivariabili che innalzino il rischio operatorio. Tale rischionel paziente cardiopatico, secondo la Task ForceACC/AHA, può essere valutato tenendo in conto dauna parte i fattori di rischio perioperatorio strettamentecardiovascolari (maggiori, intermedi e minori) e dal-l’altra quelli strettamente connessi allo specifico tipodi intervento operatorio che dovrà essere eseguito (alto,intermedio e basso). Per ciò che riguarda i fattori dirischio cardiovascolare, gli interventi di chirurgia noncardiaca sono sicuri se la capacità funzionale è di almeno4 mets. È chiaro quindi che lo specialista cardiologo,lungi dal sottoporre, se non in casi selezionati, tutti ipazienti che presentino una patologia cardiovascolarea test da sforzo, deve stabilire, facendo riferimento allatolleranza allo sforzo nelle comuni attività quotidiane(salire le scale, eseguire una corsa, sollevare pesi, ecc.),quale sia la capacità funzionale del singolo, inda-gando sulla sintomatologia riferita, sull’anamnesi e sul-l’evidenza di eventuali esami strumentali a cui si è sot-toposto il paziente e, in casi dubbi, procedere alla richie-sta di nuovi. Per quanto riguarda, invece, il rischiolegato al tipo di intervento, è necessario che lo spe-cialista cardiologo conosca il grado di stress emodi-namico indotto dall’intervento, che può condizionarein maniera pesante il rischio operatorio.

Dall’intersecarsi di questi due gruppi di fattori dirischio (legati alla patologia cardiovascolare e al tipodi intervento), le due associazioni cardiologiche ame-ricane sopra citate sono dell’opinione che si possa per-venire a un giudizio di operabilità a basso, medio oalto rischio. Ciò, in definitiva, in caso di rischio ope-ratorio alto o intermedio, comporterà l’approntamentodi quei presidi necessari a evitare complicanze.

Se la valutazione basata sull’anamnesi soggettiva oanamnestica non è sufficiente, lo specialista cardiologopuò richiedere ulteriori accertamenti che, in definitiva,si riducono ad accertare la realtà della funzione ven-tricolare sinistra, e quindi la capacità funzionale, e la

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presenza di ischemia miocardica sospetta. Gli esamifondamentali sono l’ecocardiogramma e la prova dasforzo, non risultando fondamentali o dirimenti altriesami strumentali.

L’ECG da sforzo, in particolare, ha un altissimo valorepredittivo negativo, cioè è abbastanza attendibile perescludere una patologia ischemica ed è parimenti affi-dabile per una stima oggettiva della capacità funzio-nale cardiaca e per escludere la presenza di aritmieminacciose in relazione allo stress operatorio. Lo stessoesame ecocardiografico definisce la contrattilità ven-tricolare ed è di grande ausilio quando, clinicamenteo anamnesticamente, vi siano forti evidenze clinico-anamnestiche che essa possa essere compromessa.

Altri indici per la stima del rischio chirurgico (mul-tifattoriale) sono stati introdotti in clinica, in partico-lare quelli definiti da Goldman e quelli di Lee. Sonomolto pratici nella loro utilizzazione e vengono impie-gati integrandoli al rischio di base ricavato con le lineeguida dell’ACC/AHA.

La spiegazione di questo particolare interesse perla valutazione del rischio deriva dal fatto che esso èlegato agli adattamenti dell’organismo alle mutatecondizioni cardiocircolatorie correlate sia all’anestesiasia all’intervento chirurgico vero e proprio. Nel corsodi quest’ultimo, si assiste spesso a depressione dellarespirazione, della contrattilità cardiaca e della pres-sione di riempimento ventricolare, del volume pla-smatico e del sistema nervoso autonomo. Come si accen-nava più sopra, lo stato di compenso cardiaco rilevatoa riposo nel cardiopatico deve essere sempre consi-derato “labile” durante intervento chirurgico, deviandoverso lo scompenso e l’insorgenza di aritmie minac-ciose a causa dell’ischemia o del rallentamento dellaconduzione elettrica.

Lo specialista cardiologo, dopo aver individuatoun’eventuale cardiopatia, è obbligato a “... indivi-duare quei fattori che possono far aumentare il rischiodell’intervento... Il consulente cardiologo deve rap-portarsi con il chirurgo e con l’anestesista e, se neces-sario, rinviare l’intervento in attesa di chiarire se e qualerischio sussista durante l’intervento o nel postopera-torio”.

La consulenza cardiologica, quindi, non deve appa-

rire un atto “statico” cristallizzato a fotografare unasituazione a riposo e senza stress, quanto, viceversa,essere l’occasione di un timing clinico finalizzato a “pre-vedere” gli eventuali adattamenti dell’apparato car-diovascolare in previsione di uno stress a cui il pazienteverrà sottoposto. Ciò comporta tutta una serie di prov-vedimenti farmacologici e strumentali da approntareprima, durante e dopo l’atto operatorio finalizzati aprevenire complicanze anche di piccola entità, ma moltospesso causa di gravi lesioni o morte.

IL RUOLO DELL’ANESTESISTA

Altra figura importante nello svolgimento dell’attooperatorio è quella dell’anestesista, a cui competetotalmente la gestione del paziente chirurgico prima,durante e dopo l’intervento operatorio.

È la figura che ha il dovere di valutare da una partela difficoltà operatoria, intesa come impegno psicofi-sico da parte del paziente, e dall’altra le difficoltà equindi le realtà patologiche peculiari di quel deter-minato paziente. Egli si trova a dover decidere, postoche l’intervento chirurgico sia necessario e indicato,se quel determinato paziente sia nelle condizioni diaffrontare un intervento, quali siano i presidi migliorida approntare per affrontarlo (dovere connesso allasua posizione di garanzia) conoscendo le caratteristi-che patologiche del paziente e se esse siano compati-bili per affrontare un determinato intervento chirur-gico. È l’anestesista che decide il tipo di anestesia, l’e-ventuale terapia preoperatoria e, soprattutto, l’ap-prontamento di presidi, farmaci e personale nel post-operatorio onde evitare i rischi connessi all’intervento.La stratificazione del rischio operatorio da parte del-l’anestesista si conclude con “... un giudizio di fatti-bilità della procedura e l’assegnazione del paziente auna classe di rischio operatorio quale la classificazioneASA...”. Essa ha lo scopo, fin dalla sua elaborazionenel 1941, “…di descrivere le condizioni preoperatoriedel paziente ed esprimere un oculato giudizio predittivodel rischio operatorio globale”.

Le 4 classi comprese nella classificazione ASA defi-niscono i pazienti in salute “buona” (I), “modesta” (II),

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“seria” (III) o “grave (IV) malattia sistemica”.L’assegnazione del paziente a una delle quattro classideriva fondamentalmente dall’applicazione di un per-corso metodologico e clinico che prevede l’attentavisita del paziente, secondo i canoni metodologici giàdescritti per la consulenza cardiologica, l’oculata richie-sta di accertamenti strumentali e consulenze speciali-stiche e la minuziosa conoscenza del tipo di interventochirurgico a cui il paziente verrà sottoposto. Ciò signi-fica che l’anestesista deve essere a conoscenza delletecniche operatorie, della loro durata e, soprattutto,del tipo di stress e complicanze insiti sia nell’atto ope-ratorio stesso sia nel tipo di anestesia da praticare.

I sistemi di rilevamento classificativi sul rischiooperatorio nei pazienti cardiopatici, oggetto del pre-sente lavoro, non si discostano da quelli adottati perlo specialista cardiologo e fanno integralmente riferi-mento alle linee guida ACC/AHA menzionate in pre-cedenza.

È, tuttavia, fondamentale notare come, nell’appro-fondimento della conoscenza del rischio, l’anestesistapossa e debba consultarsi, molto spesso, con speciali-sti di altra branca per il rilevamento di potenziali pato-logie sfuggite alla sua personale osservazione o per laconoscenza di potenziali rischi connessi all’intervento,onde poter approntare preventivamente e attivare lenecessarie contromisure in caso di complicanze.

L’anestesista, come ogni sanitario competente in unadeterminata branca della medicina, non può essere aconoscenza, quanto meno approfonditamente, di tuttele patologie e delle loro conseguenti evoluzioni. Si serve(e si deve servire), in caso di dubbio, delle competenzedi altri specialisti consultandoli e facendo poi propriele loro conclusioni “prognostiche”. Tuttavia, ciò nonesime lo specialista, che possiede le capacità culturalispecifiche per essere edotto della situazione clinica,da una parte dal documentarsi sul reale “peso” dellasituazione patologica e, secondariamente, dal vali-dare, confermando o non confermando, l’operato delprecedente specialista in altra branca. In pratica, la“filiera” medica, finalizzata al recupero della salutedel paziente, non può essere rappresentata a com-partimenti, ma con la doverosa interconnessione“attiva” tra le diverse figure professionali.

Giova ricordare che molto spesso, nella praticamedica, il danno alla salute penalmente rilevante nonderiva dall’operato di un singolo sanitario, quanto piut-tosto dal concorso di diverse figure che, concatenatedal punto di vista operativo le une alle altre, deter-minano il verificarsi del danno stesso.

Nella determinazione della causazione del dannonon esiste un criterio cronologico in senso stretto chepreveda una maggiore o esclusiva colpa da imputareall’ultimo sanitario che ha avuto in cura il paziente,quanto piuttosto un criterio di condicio sine qua non diderivazione causale diretta o concausale che condiziona,qualora l’errore si sia realizzato a monte della “filiera”,un maggiore o minore coinvolgimento di tutte lefigure impegnate nell’atto medico.

A proposito della consulenza, è opportuno riflet-tere sul fatto (come nel caso in questione) che il man-cato allarme sulla presenza di un rischio operatorioin soggetti che presentano determinate patologie chepossono, benché in perfetto compenso a riposo, esserecausa di complicanze operatorie, può, nel programmaprocedurale operatorio stesso dell’anestesista, ridurreo addirittura annullare il peso del rischio operatorio,non consentendo all’anestesista di approntare tutti ipresidi perioperatori o postoperatori utili a evitare com-plicanze. È il caso di accennare a una sentenza delTribunale di Palermo, 16.7.02 (giur. merito, 2003,327),in cui si afferma che “... anche in campo medico, a causadella divisione dei compiti e della specializzazione delleattività, vige la regola dei c.d. ‘doveri divisi’, per cuiciascun operatore è tenuto a rispettare i doveri di dili-genza e di perizia che gli sono specificamente deman-dati e deve poter fare affidamento sulla responsabi-lità degli altri e sull’altrui attenzione, secondo le rispet-tive competenze, anche al fine di potersi convenien-temente concentrare sulle proprie funzioni e specia-lizzazioni, con la conseguenza che il singolo opera-tore non può essere chiamato a rispondere degli errorialtrui, salvo che non abbia concorso a causarli, ovverosia mancato un doveroso compito di garanzia e di inter-vento per prevenirli”.

Risalta, quindi, in maniera abbastanza chiara, chele premesse (errate od omesse) della consulenza car-diologica possono aver minimizzato i rischi (sottova-

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lutandoli) da parte dell’anestesista che, in ogni caso,si sarebbe dovuto attivare per conoscere e approfon-dire la natura della patologia e il rischio globale ope-ratorio da essa derivante.

In definitiva, l’anestesista deve conoscere sia lasituazione patologica cardiaca sia la sua eventuale evo-luzione in rapporto a un evento stressante rappresentatodall’atto chirurgico, che è nel contempo occasione distress chirurgico in senso stretto e di stress anestesio-logico. Un altro compito demandato all’anestesista èla sorveglianza postanestesiologica che, ovviamente,deriva dall’impostazione valutativa preoperatoria equindi da tutte le procedure valutative già attivate evalidate prima dell’intervento. Questa sorveglianzadeve prevedere l’approntamento di farmaci, strumentie personale che potranno, di volta in volta, fronteg-giare la complicanza paventata. Solo quando il paziente,nel postintervento, avrà assunto una situazione di sta-bilità emodinamica con il ritorno alla normalità deiparametri vitali, potrà essere affidato alle cure delreparto chirurgico di elezione.

TRASPOSIZIONE COMPLETA DEI GROSSI VASI

La trasposizione completa dei grossi vasi è un’a-nomalia congenita che comprende diverse varianti, mache in quella classica (come il caso che si descriverà)prevede che l’arteria aorta abbia origine dal ventricolodestro, mentre l’arteria polmonare origini dal ventri-colo sinistro (la cosiddetta discordanza ventricolo-arteriosa).

Negli USA, le cardiopatie congenite ricorrono nello0,8% dei nati vivi e la trasposizione dei grossi vasi rap-presenta il 3-4% di tutte le cardiopatie congenite. Latrasposizione corretta, a sua volta, rappresenta il 25%di questi casi.

In questa anomalia, alla nascita il ventricolo destrosi trova a dover pompare sangue in aorta dotata dialte resistenze, mentre il ventricolo sinistro pomperàsangue in arteria polmonare dotata di basse resistenze.Le conseguenze sono in definitiva le seguenti:• Il sangue non ossigenato presente in ventricolo

destro e proveniente dal circolo venoso sistemicoviene pompato nel circolo arterioso tramite l’aorta.Ciò comporta una scarsa ossigenazione dei tessuti,cioè ipossia, che, se non corretta tramite interventocardiochirurgico entro i primi mesi di vita, è incom-patibile con la vita stessa

• Il sangue ossigenato proveniente dai polmoni eriversatosi nel ventricolo sinistro viene pompato inarteria polmonare e da qui di nuovo ai polmoni. Inpratica, in questo modo il sangue ossigenato, vistal’impossibilità di comunicazioni tra le sezioni didestra e di sinistra del cuore, non ha mai la possi-bilità di pervenire al circolo arterioso e ai tessuti,ma circola tra cuore sinistro e polmoni inutilmente.Di fatto, mentre nel soggetto normale le due sezionilavorano in serie, nel soggetto con trasposizione deigrossi vasi lavorano in parallelo. Come a dire chesono ambedue inefficienti alle funzioni cui è pre-posto il sistema cardiocircolatorio

• Altra conseguenza della trasposizione è quella disottoporre a carico eccessivo (pressorio) il ventri-colo destro, mentre il sinistro lavora normalmenteed è sottoutilizzato. Tale situazione comporta, a lungotermine, una disfunzione ventricolare destra, cioèun’alterata funzione, in senso patologico

Per i meccanismi più sopra descritti, l’anomalia èincompatibile con la vita oltre il primo anno dalla nascitase non si procede precocemente a un intervento di cor-rezione chirurgica. La malattia è caratterizzata da cia-nosi, grave ipossia e grave disfunzione del ventricolodestro che, sostituendosi funzionalmente al sinistro(vera pompa cardiaca), acquista le caratteristiche diventricolo “sistemico”. Le pressioni vigenti all’internodello stesso sono quelle presenti in aorta e l’ipertrofiadel tessuto muscolare è precoce.

Operativamente, entro alcune settimane dalla nascitasi interviene tramite un primo intervento palliativo diatriostomia, che consiste nel creare artificialmente unaconnessione tra sezioni destre e sinistre del cuore incorrispondenza degli atri. Ciò comporta, per una dif-ferenza di pressioni (sn > dx), un passaggio di sanguedalla sezione sinistra alla sezione destra, riducendocosì, almeno parzialmente, l’ipossia e la cianosi siste-

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miche. Entro le prime settimane di vita si procede poiall’intervento cardiochirurgico definitivo.

Uno degli interventi in auge fino agli anni ‘80-90era quello secondo Mustard, a cui è stato sottopostoil paziente del nostro caso clinico. Esso consiste nelrimodellamento degli atri affinché il sangue prove-niente, rispettivamente, dal circolo venoso e dai pol-moni, sia incanalato e deviato rispettivamente al ven-tricolo sinistro e al ventricolo destro. In pratica, l’in-tervento cardiochirurgico “inverte” la camera di “rice-zione” del sangue delle due sezioni, provocando, fun-zionalmente, un’inversione del tragitto del sanguestesso e ristabilendo il meccanismo “in serie” delle duesezioni. In definitiva, l’intervento sostituisce il condottodi provenienza del sangue (invertendolo), lasciandoperò immutata la disposizione invertita dei ventricoli.Infatti, sarà sempre il ventricolo destro quello cheimmetterà in aorta il sangue arterioso e il ventricolosinistro in arteria polmonare. Trattando più sopradelle conseguenze fisiopatologiche, si assisterà a unasufficiente correzione dell’ipossia, ma l’intervento saràinefficace per evitare che il ventricolo destro rimangail ventricolo sistemico con conseguente disfunzione.

Le conseguenze negative di questo intervento, tantoin auge fino a 15-20 anni fa e ora sostituito con quellodi switch arterioso, sono legate sia all’intervento stessosia alla disfunzione ventricolare destra trattata. Dai datipresenti in letteratura e riguardanti il follow-up adiversi anni di distanza dall’intervento, sembra che lamorte, per meccanismi diversi, possa avvenire sia pre-cocemente sia tardivamente in una percentuale signi-ficativa di casi. Lo studio di Toronto ha seguito dal1962 534 soggetti sottoposti a tale intervento, rilevando52 morti precoci (9,7%), una sopravvivenza a 5 annidell’89% e una sopravvivenza a 20 anni del 76%. Unaltro studio, in Nuova Zelanda, su 113 pazienti hapotuto accertare una sopravvivenza a 10 anni del 90%e a 20 anni e a 28 anni dell’80%. Infine, un altro stu-dio italiano ha potuto constatare una sopravvivenzaa 10 anni del 90%.

Il tipo di intervento, infatti, per la complessità chelo contraddistingue, è in grado di causare anomalieanatomiche “residue” che si manifestano nel corso deglianni e, tra queste, stenosi della polmonare, vasculo-

patia polmonare ostruttiva, nonché lesioni del nodoseno-atriale, del nodo atrioventricolare e delle arterienutritizie del tessuto di conduzione cardiaco. Ne derivache, nei sopravvissuti a questo intervento, non è raroassistere a morte cardiaca improvvisa (2-8% degli ope-rati), episodi di malattia del NSA, bradiaritmie, tachi-aritmie sopraventricolari, come il flutter atriale, eblocco cardiaco completo, che sembra essere una ricor-renza tardiva non infrequente 20 anni dopo l’intervento.

In pratica, il sistema di conduzione di questi sog-getti, sia per l’anomalia congenita sia per le compli-canze tardive dell’intervento di correzione, è alta-mente compromesso e la sua regolazione non è cosìprecisa come nel soggetto normale, mentre è più fre-quente osservare una sua mancata regolazione perdifetto anatomico-funzionale del tessuto di conduzionestesso. Altra complicanza dell’intervento è la disfun-zione del ventricolo destro, che per tutta la vita dovràcompiere il lavoro del ventricolo sinistro. Tale “neces-sità” porta a conseguenze che, da una parte, sono cor-relate all’insufficienza reale del ventricolo destro, e chequindi possono limitare le attività fisiche o ludiche delsoggetto che ne è affetto, e dall’altra sono in relazionealle conseguenze dello sforzo operato dal ventricolonel tempo. Nel primo caso, il soggetto con ventricolodestro sistemico è incapace di avere performance fisi-che adeguate alla sua età, motivo per cui lo sforzo fisicoviene autolimitato per l’insorgenza di affaticabilità edispnea da sforzo, mentre nell’altro, con il tempo, ilventricolo destro, sottoposto continuamente a solleci-tazioni, si ipertrofizza. L’ipertrofia, in un primo tempomeccanismo di compenso, con il passare degli annidiventa una realtà patologica in grado di rendere (perprogressiva dilatazione) il ventricolo sempre più insuf-ficiente ed essere causa di aritmie ventricolari respon-sabili di morte cardiaca improvvisa.

Il meccanismo istopatologico coinvolto prevede laprogressiva trasformazione volumetrica delle cellulemuscolari (ipertrofia) e la neoformazione di tessutofibroso posto tra le cellule muscolari. Questo disar-rangiamento (disarray) istologico è la premessa indi-spensabile sia dell’alterata funzione (contrattilità) sia,soprattutto, della disomogeneità elettrica nella con-duzione dell’impulso elettrico o nell’aumentata ecci-

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tabilità “spontanea” conseguenza della maggiore pos-sibilità di realizzare una fibrillazione ventricolare (FV)e quindi arresto cardiaco.

Infine, le sequele dell’intervento rendono il cuore ele sue strutture più soggetti all’insorgenza di un’en-docardite batterica, che ha come preciso bersaglio lestrutture lese chirurgicamente, con conseguenze deva-stanti per chi ne è colpito, molto spesso causa di mortee necessitante di terapia preventiva per tutta la vita.I punti di ingresso dei germi causa di endocardite sonoi più vari. Nel complesso, alla luce di quanto più soprariferito e delle più recenti informazioni tratte dalla let-teratura scientifica, i pazienti sottoposti a interventodi Mustard presentano una tolleranza allo sforzo mar-catamente ridotta legata alla presenza di ventricolo siste-mico e una discreta percentuale di decessi per insuf-ficienza del ventricolo destro, ma soprattutto permorte cardiaca improvvisa secondaria all’instaura-zione di un’aritmia tra quelle descritte in precedenza.È convinzione dei cardiologi esperti che anche il partoin soggetti già operati debba essere eseguito con l’as-sistenza di medici esperti della materia e che almenoannualmente i pazienti stabili debbano essere sotto-posti a un controllo completo della tolleranza allo sforzo(test da sforzo e cardiopolmonare), della morfologiae della funzionalità cardiaca (esame ecocardiocolor-Doppler) e della presenza di eventi aritmici (ECG dina-mico e test ergometrico). Le linee guida del COCIS(Comitato per l’idoneità all’attività sportiva non ago-nistica) proibiscono in maniera assoluta qualunque tipodi attività sportiva agonistica in questi soggetti, anchese in ottimo compenso a riposo. Lo sforzo fisico,infatti, potrebbe influire sia sulle riserve funzionali delventricolo destro sia nel favorire lo scatenamento diuna crisi aritmica.

Le linee guida ANMCO (Associazione NazionaleMedici Cardiologi Ospedalieri) sul follow-up del car-diopatico congenito operato, oltre a confermare gliorientamenti delle linee guida del COCIS, ribadisconodi monitorare l’evoluzione clinica di questi soggetticon frequenti controlli e in strutture competenti e, inrelazione ai rischi operatori per chirurgia non cardiaca,impongono “...un’attenta e approfondita valutazionecardiologica che preveda l’esecuzione anche di un eco-

cardiogramma e di un ECG dinamico... In ogni caso,la chirurgia extracardiaca di questi pazienti, alla lucedel grado di compromissione funzionale del ventri-colo destro e dell’aumentato rischio di morte cardiacaimprovvisa, deve essere eseguita in ambienti protettiin cui vi sia la possibilità di ricorrere a tutti quei pre-sidi terapeutici atti a trattare qualsiasi urgenza-emer-genza cardiologica”.

IL CASO GIUDIZIARIO

Il caso riguarda un giovane di circa 18 anni che, acausa di frequenti tonsilliti febbrili, deve essere sot-toposto a tonsillectomia. L’intervento si rende neces-sario al fine di prevenire complicanze endocarditiche,avendo egli subito, all’età di 7 mesi, un intervento ditrasposizione semplice dei grossi vasi arteriosi tramitetecnica di Mustard.

Un mese prima dell’intervento l’anestesista delreparto ORL, presso cui verrà eseguita la tonsillecto-mia, prescrive e predispone l’esecuzione di esami diroutine preoperatori, quali Rx del torace, esami bio-umorali, visita cardiologica ed ECG. I primi risultanonella norma.

Durante la visita cardiologica, lo specialista apprendedal paziente il motivo del controllo e il rilievo anam-nestico del pregresso intervento cardiochirurgico pertrasposizione dei grossi vasi (TGA). Apprende, inol-tre, che il paziente si è sottoposto, annualmente, a con-trolli cardiologici presso la struttura cardiochirurgicapresso cui era stato eseguito l’intervento, risultati, daquanto riferito, sempre normali, per cui non ritieneopportuno prenderne visione né richiederne di nuovi.Inoltre, il giovane, nel lungo periodo intercorso dal-l’intervento, non aveva mai accusato disturbi poten-dosi dedicare tranquillamente alle normali attivitàdella vita quotidiana e ad attività sportiva non ago-nistica.

Le conclusioni della visita cardiologica sono di“obiettività cardiaca nei limiti in paziente operato ditrasposizione dei grossi vasi a 7 mesi. In atto asinto-matico. Profilassi antibiotica” e all’ECG “Ritmo sinu-sale. Fc 75/min. Conduzione AV nei limiti. Blocco com-

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pleto di branca destra, emiblocco posteriore sinistro.Non turbe del tratto ST”.

Dopo circa un mese, il giovane viene sottoposto avisita preanestesiologica e immediatamente dopo con-dotto in sala operatoria. L’intervento chirurgico, delladurata di circa mezz’ora, si svolge senza complicanzee dopo il risveglio il giovane viene condotto in unasaletta perioperatoria ove staziona per circa 2 ore. Inquesto periodo, è assistito solo dalla madre che, dopocirca 1 ora, si accorge come il figlio accusi forte dolorealla gola, fame d’aria, caldo, assopimento, pallore esudorazione. Malgrado le insistenze di quest’ultima,nessun sanitario si accerta delle reali condizioni di salutedel giovane che, alla fine, viene condotto in ambulanzapresso il reparto ORL di degenza. Al suo arrivo, le con-dizioni si fanno critiche, insorgono cianosi, obnubila-mento del sensorio, collasso circolatorio e, malgradogli interventi di rianimazione, avviene il decesso.

All’esame autoptico disposto dal PM, tutti gli organirisultano normali, ma l’esame del cuore evidenzia unaspetto globoso dell’organo che si presenta di volumeaumentato con un peso di circa 680 g, con ipertrofiaconcentrica ventricolare destra ed eccentrica (settale)ventricolare sinistra. Il diametro longitudinale misuracm 10, il diametro trasversale cm 10,5, lo spessore dellaparete libera anteriore del ventricolo sinistro cm 1,7della parete libera laterale cm 1,5, della parete liberadel ventricolo destro cm 1,3, e del setto interventrico-lare cm 1,8. È presente una marcata ipertrofia con-centrica ventricolare destra (ventricolo sistemico).All’indagine istopatologica si evidenzia una discretaipertrofia delle miofibre ventricolari destre associataad aspetti focali di disarray e irregolari aree di fibrosiinterstiziale e sostitutiva biventricolari. I periti escussiconcludono attribuendo la causa della morte a morteimprovvisa sostenuta da aritmie maligne (che in que-sta patologia ricorrono in ragione del 2-8% dei casi) equindi all’assoluta imprevedibilità nella sua insor-genza, escludendo profili di colpa professionale in capoai sanitari che avevano avuto in cura il giovane.

Il GIP adito dispone, in sede di incidente probato-rio, un’ulteriore perizia medico-legale sugli atti, inca-ricando un collegio peritale composto da uno specia-lista in medicina legale, da un cardiologo e da un ane-

stesista. Questi, analizzato il rischio aritmico dei sog-getti operati per TGA, concludono affermando che lospecialista cardiologo avrebbe dovuto approfondire lasituazione clinica mediante altri esami strumentali, qualil’esame ecocardiografico e l’ECG dinamico, e segna-lare all’anestesista il rischio aritmico in cui incorrevail paziente, onde attivare quelle strutture rianimato-rie idonee a evitare una sindrome da bassa portatapostulata come causa della morte. Per il collegio diperiti, risulta censurabile anche l’operato dell’aneste-sista per non avere vigilato nel postoperatorio.

Individuati profili di colpa professionale, il GIP rin-via a giudizio i due sanitari.

Nel corso del processo si ha occasione di disquisiresul caso tramite l’escussione dei periti delle Parti cheevidenziano, ognuno partendo da punti di vista diversi,come l’eventuale predisposizione di presidi rianima-tori e cardiologici prima dell’intervento o l’esecuzionedell’intervento in ambiente “protetto” con l’assiduocontrollo dei parametri vitali, anche nel postoperato-rio, avrebbe consentito, almeno nell’80-90% dei casi,di salvare il paziente.

Il cardiologo e l’anestesista sostengono ognuno chefosse compito dell’altro sanitario attivarsi nell’accer-tamento del rischio operatorio, sostenendo il primoche dovesse essere l’anestesista a predisporre l’even-tuale esecuzione di accertamenti supplementari e ilsecondo che dovesse essere il cardiologo a segnalareil rischio di aritmie insito nella patologia da cui eraaffetto il paziente. Paradossalmente, l’anestesista arrivaad affermare che prima dell’intervento non conoscevané la fisiopatologia dei soggetti operati di TGA né, tantomeno, le conseguenze di tale patologia.

Di converso, lo specialista cardiologo afferma cheera suo dovere relazionare solo sullo stato attuale dellasituazione cardiologica lasciando all’anestesista il com-pito di un eventuale approfondimento diagnostico.

In sede dibattimentale, all’attenta analisi degli ECGdinamici effettuati negli ultimi due anni dal paziente,viene evidenziata la presenza di episodi di blocco seno-atriale e di run subentranti di tachicardia sopraven-tricolare.

Più precisamente, negli ECG dinamici seriati dal 1997al 1999 (e quindi pochi mesi prima dell’intervento) erano

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stati evidenziati episodi di tachicardia giunzionale, epi-sodi di blocco seno-atriale di II grado tipo 1 seguiti daperiodismi di scappamento giunzionale.

Le conclusioni, sul piano clinico e medico-legale,hanno portato ad affermare che la morte del giovanefosse stata causata da una sindrome da bassa portatasecondaria a bradiaritmia o a tachiaritmia.

Il Giudicante, alla fine del dibattimento, concludeanalizzando il comportamento del cardiologo e del-l’anestesista improntato a grave negligenza e a impe-rizia. Per il primo, ha ravvisato una scarsa conoscenzadel problema clinico che, pur esulando dalla normaleroutine quotidiana, dal punto di vista sia etico sia giu-ridico era necessario conoscere anche documentandosie approfondendo il caso, avendo egli la necessaria pre-parazione culturale per pervenire a una valutazionedel rischio. Ne è derivata, dunque, omissione di ulte-riore approfondimento diagnostico da una parte e man-cata esecuzione dell’intervento presso struttura ido-nea che desse garanzia di un attento monitoraggio intra-e postoperatorio e l’impiego di strumentazione ido-nea a contrastare sindromi da bassa portata, come sug-gerito anche dalle linee guida ANMCO sul follow-updel cardiopatico congenito operato.

Per il secondo professionista, sono state ravvisate,parimenti, imperizia e negligenza, in quanto da unaparte l’operato dello stesso non è stato determinatodall’esclusivo errore del cardiologo, vigendo la fatti-specie della cooperazione multidisciplinare che imponea ogni sanitario di “conoscere e valutare l’attività pre-cedente o contestuale svolta da altro collega sia purespecialista in altra disciplina... ponendo eventual-mente rimedio a errori rilevabili ed emendabili conl’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del pro-fessionista medio”.

Dall’altra, e consequenzialmente, l’anestesista hatenuto un comportamento negligente non appron-tando quel minimo di controllo e monitoraggio nelpostoperatorio che il caso imponeva.

Nello stabilire, infine, il nesso di causalità tra la con-dotta dei sanitari e l’evento mortale, il Giudice non hapotuto non tenere conto della quasi certezza, emersanel dibattimento, che l’approntamento di mezzi e stru-menti, nonché il monitoraggio del caso in un reparto

attrezzato, avrebbero potuto contrastare una sindromeda bassa portata con successo, salvando la vita alpaziente. Il Giudice ha concluso quindi con la dichia-razione di colpevolezza di entrambi i sanitari “perchécon condotte colpose indipendenti hanno certamentedeterminato la morte della persona offesa”, commi-nando agli stessi, data l’entità rilevante del gradodella colpa di entrambi, una pena, di entità superioreal minimo edittale, di un anno e sei mesi ciascuno direclusione, non ritenendo, inoltre, di concedere loro ilbeneficio delle circostanze attenuanti generiche.

L’ACCERTAMENTO DELLACOLPA MEDICA NELLACONSULENZA SPECIALISTICACARDIOLOGICA

Premessa

Nell’affrontare qualunque tema che implichi valu-tazioni sulla responsabilità penale, in particolare delmedico, è indispensabile muovere da un presuppo-sto: il paradosso che tali valutazioni comportano.

L’evento morte, così come l’evento lesione o meno-mazione o perdita di un senso o di una funzione, sonotutti eventi naturalisticamente orientati che, di regola,non vengono presi in considerazione dalle scienze giu-ridiche e da quelle penalistiche in particolare poichéritenuti di valenza ordinaria e connessi al fisiologicosvolgimento della vita. Tuttavia, tali eventi assumono(e sta proprio qui il primo paradosso) una rilevanzagiuridica e penale in particolare quando si innesta,prima dell’evento medesimo, l’opera dell’uomo. Manon di un uomo “qualunque” si tratta (ed ecco ilsecondo paradosso), quanto piuttosto di un profes-sionista della scienza medica, di uno specialista tal-volta, di qualcuno che, in sostanza, interviene sempree comunque al fine di ritardare l’evento morte o impe-dire l’evento patologico.

Il codice di Hammurabi (Babilonia 1792-1750 a.C.)definiva “il medico un sacerdote che doveva scacciare l’unoo l’altro dei sette demoni delle malattie”; il chirurgo,invece, era un artigiano la cui perizia era finalizzata

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a ripristinare la situazione del soggetto leso medianteun intervento, appunto di chirurgia; con la conseguenzache il mancato raggiungimento dell’obiettivo produ-ceva una pena: il taglio delle mani se il paziente eraun uomo libero, una sanzione più lieve se schiavo.

Da quei tempi, se la medicina ha compiuto progressiforse impensabili, non altrettanti ne hanno compiutila considerazione e l’equa valutazione dell’operato delmedico nella società dove egli è chiamato a rispon-dere, e a caro prezzo, quasi per una sorta di rivalsasociale, delle incredibili fortune economiche realizzateda pochi suoi rappresentanti e, per altro verso, delleincredibili superficialità di altri suoi rappresentanti.

In sostanza, però, l’attività medica rimane que-stione piuttosto semplice da esaminare (come la mag-gior parte delle questioni che concernono l’attivitàumana) a dispetto di milioni e milioni di pagine scrittesull’argomento, di centinaia di migliaia di congressicelebrati, di innumerevoli autorevolissimi pareri ver-sati: si badi, la semplificazione non è strumento perevitare i problemi quanto, nella nostra personale con-siderazione almeno, per risolverli più rapidamentesfrondandoli da inutili fronzoli.

La prova di questo risiede innanzitutto nell’im-pianto normativo dell’intero sistema giuridico delnostro Paese che riguarda l’attività medica direttamenteo indirettamente. In sostanza, tutto ruota intorno a unasola norma essenziale, l’art. 32 della Costituzione* suldiritto alla salute e ad alcune altre norme non espres-samente dedicate alla materia, ma utilizzate “in pre-stito” per tentare di disciplinarla, prime fra tutte le causedi giustificazione (cosiddette scriminanti codificate) alloscopo di salvaguardare i principi di tassatività e cer-tezza del diritto (nullum crimen sine lege).

L’errore di fondo sta proprio in questa applicazionepoiché la causa di giustificazione si definisce come laragione sostanziale individuata e delimitata dall’or-dinamento giuridico per giustificare un comporta-

mento formalmente illecito che coincide con una fat-tispecie penalmente rilevante. Si tratta, quindi, di unautentico “escamotage” per salvaguardare l’operatosostanziale dell’agente (il medico) a fronte dell’azioneformale, in considerazione del contemperamento degliinteressi in gioco e della relativa prevalenza dell’unosull’altro.

Sarebbe dunque opportuno tentare uno studio siste-matico in diritto sostanziale, che muovesse dal pre-supposto essenziale che individua l’attività medicacome attività rischiosa per sua natura e spesso inevi-tabile: da qui, il non facile compito riservato al Giudicedi decidere sulla colpevolezza o meno del personalesanitario dovendo contemperare l’obbligo del medicodi fare il possibile per evitare l’evento dannoso con ilsuo dovere di intervenire per tentare di salvare il malato,anche quando le probabilità di guarigione o di salvezzasiano minime. Così facendo, si invertirebbero i terminidella prospettiva spostando il punto di partenza, onto-logicamente sbagliato, di un’attività che cagiona comun-que una lesione eccezionalmente ritenuta lecita per lefinalità che persegue.

Il sistema causale

La responsabilità medica è fondata, come noto, sudue cardini imprescindibili: l’accertamento della con-dotta colposa e la sussistenza del nesso di causalità.

Escludendo di occuparci della prima questione e ditutte le “complicanze” che ne derivano nell’accerta-mento e nella delimitazione delle condotte colpose, dob-biamo invece affrontare tutte le problematiche relativeall’individuazione del nesso causale. Sia chiaro a tuttiche questa può ben definirsi la cesoia della responsa-bilità penale del sanitario, laddove, se numerosi com-portamenti possono piuttosto facilmente definirsi con-trari alle regole di diligenza, prudenza e perizia, è invecesull’eziologia tra quella stessa condotta e l’evento dan-noso che si gioca l’autentica partita.

Partiamo, dunque, ancora una volta dalle norme erapidamente sottolineiamo come il sistema vigente siaancorato a due articoli del CP sui quali si fonda il cosid-detto principio di causalità:

* La Repubblica tutela la salute come fondamentale dirittodell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gra-tuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un deter-minato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dalrispetto della persona umana.

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• Art. 40 CP, primo comma“Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dallalegge come reato se l’evento dannoso o pericoloso da cuidipende l’esistenza del reato non è conseguenza della suaazione od omissione”.

• Art. 40 CP, secondo comma“Non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico diimpedire equivale a cagionarlo”.

• Art. 41 CP“Il concorso di cause (preesistenti, concomitanti o soprav-venute) non esclude il rapporto di causalità”.

È il modello di causalità omissiva fondato sul prin-cipio della condicio sine qua non e sulla “posizione digaranzia” del medico che diviene custode della salutedel paziente e ne risponde se omette di intervenire.

Criteri di accertamento del nessodi causalità

È molto importante stabilire i criteri dell’accerta-mento del nesso di causalità che la giurisprudenza hatentato di utilizzare negli ultimi decenni. Innanzituttovi è quello della certezza. È il criterio basilare, “da aderiva b”, ma risulta di fatto inapplicabile anche perpluralità di condotte, fattori in gioco e incerte diagnosieziologiche ed è di rarissima applicabilità.

Vi è poi il criterio della probabilità, su cui la giu-risprudenza si è attestata non senza problemi peranni, che necessita, però, di essere graduato e integrato.Avremo, pertanto, una probabilità alta, media o nor-male. Evidentissimi, tuttavia, risultano i problemi didifficoltà di estensione delle categorie linguistiche diuso comune (ad es., alta probabilità) alla scienzamedica. Numerose quanto poco nitide sono risultateformule giurisprudenziali quali “probabilità confi-nante con certezza” o “alta probabilità razionale”.Spesso è giunto in soccorso a tale criterio il cosiddettometodo individualizzante, ovvero fondato sul “libero con-vincimento” del Giudice.

Il tentativo più serio di temperamento del criterioprobabilistico è fondato sull’applicazione delle “leggistatistiche” secondo il cosiddetto accertamento nomo-

logico deduttivo, a carattere, però, formale e vincolante.Di pari valore è l’applicazione del principio di cau-

salità scientifica fondato sulla miglior scienza ed espe-rienza. Le problematiche di tale strumento sono legatealle diversità di patologie e di trattamenti come all’i-nesistenza di un trattamento “ideale” come soprattuttoalla scarsa attendibilità giuridica dei protocolli e dellelinee guida di modesto valore giuridico pubblico eaventi contenuto esclusivamente clinico nonché sostan-zialmente prive di conseguenze sul piano legale e nonsempre condivise scientificamente, ma che rappre-sentano, comunque, un’applicazione della migliore pra-tica clinica “media”.

Altri criteri usati senza maggior successo sono statiquello della prevedibilità e imprevedibilità dell’e-vento, ovvero le categorie introdotte dalla sentenza364/88 in affiancamento al criterio della probabilità,quello della cosiddetta “regola generale statistica”,secondo l’id quod plerumque accidit, e, infine, quello delcosiddetto “aumento del rischio” (mancata diminu-zione del rischio che costituisce sostanzialmente ilmodello causale probabilistico in uso pur cozzandocon i principi di legalità, tassatività e valutazione dellaprova).

I nuovi criteri

Un’autentica rivoluzione copernicana, peraltro datempo largamente invocata (e non solo dai medici),ha costituito l’orientamento giurisprudenziale di legit-timità nato con la sentenza della Cassazione a SezioniUnite del 10-7/11-9/2002 n. 30328 (imputato FranzeseEstensore Canzio, Pubblico Ministero Iadecola), cui hafatto eco quella della Sezione IV della Corte diCassazione del 23-1/10-6/2002.

Le pronunce indicate prescindono, nell’accerta-mento del nesso causale, dai criteri probabilistici e sta-tistici di cui si è detto, facendo invece leva su un prin-cipio di probabilità logica frutto di diversi e conco-mitanti elementi quali:

Probabilità statistica +Leggi di copertura universali +

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Rilevanza medico-legale della visita cardiologica ed ECGUn caso paradigmatico

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Leggi statistiche +Massime di comune esperienza +Fattori presenti +Fattori interagenti =

Il risultato finale di questa equazione consiste in ungiudizio complessivo di elevata credibilità razionaleche si colloca dunque al di là di ogni ragionevole dubbio.

Commento alla sentenza

Esaminiamo ora i principi di diritto enunciati nellasentenza inerenti il caso clinico.

Il nesso causale può essere ravvisato quando allastregua del giudizio controfattuale condotto sulla basedi una generalizzata regola di esperienza o di una leggescientifica (universale o statistica) si accerti che, ipo-tizzandosi come realizzata dal medico la condottadoverosa impeditiva dell’evento hic et nunc, questo nonsi sarebbe realizzato, ovvero si sarebbe verificato inepoca significativamente posteriore o con minoreintensità lesiva. Non è consentito dedurre automati-camente dal coefficiente di probabilità espresso dallalegge statistica la conferma o meno dell’ipotesi accu-satoria sull’esistenza del nesso causale poiché il giu-dice deve verificare la validità nel caso concreto sullabase delle circostanze del fatto e dell’evidenza dispo-nibile, cosicché, all’esito del ragionamento probatorioche abbia altresì escluso l’interferenza di fattori alter-nativi, risulti giustificata e processualmente certa laconclusione che la condotta omissiva del medico è statacondizione necessaria dell’evento lesivo con “alto oelevato grado di credibilità razionale” o “probabilitàlogica”.

Infine, l’insufficienza, la contraddittorietà e l’incer-tezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione delnesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in baseall’evidenza disponibile, sulla reale efficacia condi-zionante della condotta omissiva del medico rispettoad altri fattori interagenti nella produzione dell’e-vento lesivo, comportano la neutralizzazione dell’ipotesiprospettata dall’accusa e l’esito assolutorio del giudi-zio.

Da questo momento, quasi con un moto liberato-rio di tutti i Tribunali di merito, ancorati e soffocatida asfittiche e superate categorie, inizia un susse-guirsi di pronunce giurisprudenziali improntate al“nuovo verbo” ovvero alla sentenza “Franzese”.*

Il nesso e la cooperazione colposanel lavoro in équipe

Il primo scalino interpretativo sul nesso di causa-lità è quello relativo ai casi di cooperazione nei delitticolposi, ovvero nei casi di responsabilità di équipe.

Prendiamo le mosse, anche in questo caso, dallenorme contenute nel nostro sistema. L’art. 113 CP

*Ne costituiscono esempi acclarati le massime quali quelledi seguito citate.

• Per stabilire se sussista un valido nesso causale tra la con-dotta del medico e la morte del paziente, occorre stabilire(mediante un’astrazione concettuale) se un diverso comporta-mento del medico avrebbe, con elevata credibilità razionale,potuto impedire l’evento letale; tale elevata credibilità razio-nale deve essere tuttavia accertata in base a deduzioni logi-che fondate sulle prove raccolte e non in base a criteri proba-bilistici.

Cassazione penale, sez. IV, 28 maggio 2003, n. 35603 Palladino;G Dir e Giust 2003, f. 35, 11 nota (Iadecola)

• Per stabilire se sussista un valido nesso causale tra la con-dotta del medico e la morte del paziente, occorre stabilire(mediante un’astrazione concettuale) se un diverso comporta-mento del medico avrebbe, con elevata credibilità razionale,potuto impedire l’evento letale; tale elevata credibilità razionaledeve essere tuttavia accertata in base a deduzioni logiche fon-date sulle prove raccolte e non in base a criteri probabilistici.

Cassazione penale, sez. IV, 28 maggio 2003, n. 35603. P Riv ItMedicina Legale 2003, 1179 nota (Iadecola)

• In materia di responsabilità del sanitario per morte delpaziente, sussiste nesso causale tra evento e omissione delmedico se si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dalmedico la condotta doverosa impeditiva dell’evento hic et nunc,questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato inepoca significativamente posteriore o con minore intensitàlesiva; e ciò in forza di un giudizio controfattuale eseguito inapplicazione di una generalizzata regola di esperienza o di unalegge scientifica, universale o statistica, integrata dalla verificain concreto della validità del grado di probabilità espresso inastratto dalla legge statistica, condotta sulla base delle circo-stanze del fatto e dell’evidenza disponibile, cosicché, all’esitodel ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l’interfe-renza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmentecerta la conclusione che la condotta omissiva del medico è statacondizione necessaria dell’evento lesivo con alto o elevatogrado di credibilità razionale o di probabilità logica.

Tribunale Palermo, 5 novembre 2002 Giur. merito 2004, 762(s.m.)

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recita: “Nel delitto colposo, quando l’evento è stato cagio-nato dalla cooperazione di più persone, ciascuna di questesoggiace alle pene stabilite per il delitto stesso”. L’art. 43dello stesso Codice, che distingue i reati in base all’e-lemento psicologico, definisce colposo l’evento “con-tro l’intenzione” che, “anche se preveduto, non è volutodall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenzao imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti,ordini o discipline”.

La legge punisce [art. 113 CP], dunque, l’evento chesia:• Frutto di più condotte• In cooperazione• Preveduto• Non voluto• Negligenza • Imprudenza • Imperizia• Inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e disci-

pline• Azione• Omissione

Vediamo ora la posizione delle diverse responsabi-lità secondo gli orientamenti giurisprudenziali più con-solidati. Non vi è dubbio che la posizione di riferi-mento all’interno di un’équipe sia quella del soggettoin apice, ovvero colui che ha responsabilità di vertice:il Primario.

Il PrimarioL’art. 7 del DPR 27 marzo 1969 n. 128 (ordinamento

interno dei servizi ospedalieri) attribuisce al primariola “responsabilità dei malati” che lo rende “titolaredi una specifica posizione di garanzia nei confrontidei suoi pazienti” alla quale non può sottrarsi addu-cendo che ai reparti sono assegnati altri medici o cheil suo intervento è dovuto solo in casi di particolaridifficoltà o di complicanze. Secondo giurisprudenza,in due momenti si condensa essenzialmente la respon-sabilità del primario:• culpa in vigilando (come ad esempio abbandono

di un ferro chirurgico)Cons. Stato Sez. V 16.11.1998, n. 1617

• culpa in eligendo (presenza di un solo medico diguardia nel postoperatorio)Cass. pen. sez. IV 11.03.2005, n. 9739

I collaboratori in équipe Diversi sono stati anche in questo settore gli orien-

tamenti della giurisprudenza, in origine “lanciata” versouna responsabilità “parziaria” di tutti i collaboratorie finanche degli specializzandi, in seguito più accen-tratrice, nelle mani del Primario, di ogni responsabi-lità, anche di quelle informative.

La Cassazione ha sancito chiaramente un obbligodi informazione a carico del Primario verso i collabo-ratori, avendo ritenuto responsabile anche il chirurgo,insieme con l’anestesista, per non essersi premuratodi informarlo delle condizioni cardiologiche delpaziente:

“Il chirurgo capo-équipe, fatta salva l’autonomia pro-fessionale dei singoli operatori, ha il dovere di portare a cono-scenza di questi ultimi tutto ciò che è venuto a sapere sullepatologie del paziente e che, se comunicato, potrebbe inci-dere sull’orientamento degli altri”(Cass. Pen. Sez. IV, sent. n. 3456 del 08.04.1993)

Una recente sentenza di merito estende anche all’a-nestesista le responsabilità del capo-équipe.

Entrambi hanno:• Posizione di preminenza e di coordinamento• Dovere di assumere tutte le necessarie informazioni

preventive• Dovere di comunicarle agli altri operatori

L’anestesista ha (tra l’altro) il ruolo di gestore del-l’emergenza, che deve portarlo a individuare i pro-blemi specifici del paziente e ad attivare le necessarieconsulenze e interventi specialistici prima di predisporrel’atto operatorio in senso stretto.

Se tali doverose condotte siano state omesse, l’im-perizia del cardiologo intervenuto al verificarsi del-l’emergenza, non assume valenza di causa sopravve-nuta da sola produttiva dell’evento. (Trib. Rovereto04-04-2002)

Rilevanza medico-legale della visita cardiologica ed ECGUn caso paradigmatico

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Rilevanza medico-legale della visita cardiologica ed ECGUn caso paradigmatico

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Il cardiologo A questo punto, essendo arrivati al soggetto che più

ci interessa, è indispensabile un passo indietro, finoall’art. 40 CP.

Per poter imputare un evento bisogna accertare l’e-sistenza di un rapporto consequenziale tra un com-portamento e un risultato: il soggetto, però, per essereritenuto responsabile, deve essere “giuridicamenteobbligato”. Vediamo dunque quando il cardiologo ègiuridicamente obbligato.

Secondo una recente sentenza (Cass. pen. sez. III22.09.2004, n. 40618), l’obbligo e la posizione di garan-zia derivano solo in presenza di:• Fonte legale (norma extrapenale)• Fonte contrattuale (qualsiasi accordo o contratto)

Tuttavia, la sentenza citata può applicarsi a qual-siasi categoria con esclusione del sanitario: sono glistessi giudici a lasciarlo intendere e sarebbe ben tristeridurre la professione medica soltanto a questo.

La stessa Cassazione (altra sezione) un mese dopoprecisa:

“... è sufficiente che si sia instaurato un rapporto sul pianoterapeutico tra paziente e medico per attribuire a quest’ul-timo la posizione di garanzia ai fini della causalità omis-siva e comunque quella funzione di garante della vita e dellasalute del paziente che lo rende responsabile delle condottecolpose che abbiano cagionato una lesione di questi beni”(Cass. pen. sez. IV 28-10-2004, n. 46586).

Dunque, non più un rapporto contrattuale o for-male, ma anche solo un rapporto terapeutico: quellomedico-paziente.

Pare che quest’ultima affermazione non sia lontanadal vero a patto che le venga applicato un robusto tem-peramento.

Il medico cardiologo (e lo specialista in genere) èdunque giuridicamente obbligato a rispettare certa-mente il rapporto terapeutico instauratosi, ma conaltrettanta forza il proprio mandato di medico e dispecialista. Ovvero, il cardiologo ambulatoriale ha laresponsabilità e il dovere di portare a fondo ogniaspetto della visita cardiologica “fotografando” e cer-tificando ogni aspetto clinico che concerne il pazienteche assume in carico individuandone il pre e il post

della visita, approfondendo ogni aspetto e non limi-tandosi a un’inerte e ripetitiva anamnesi che non serveallo scopo.

La conclusione è dunque rigorosa, ma obbligata.Il cardiologo ha l’onere di sottoporre il paziente a

visita specialistica, è un onere semplicemente e chia-ramente delimitato e il venir meno a questo mandatoanche solo parzialmente è causa di responsabilità acarico dello specialista, a prescindere da ogni criteriodi probabilità logica.

Non è indispensabile infatti fare ricorso ai criteridella sentenza Franzese e delle successive pronunceper una semplice ragione così articolata:• La visita specialistica cardiologica non presenta

margini particolarmente ampi di discrezionalità• Non comporta attività che può incidere sul paziente

a seconda di come viene effettuata e quindi non pre-tende una valutazione caso per caso e un giudiziocontrofattuale

• La visita cardiologica va soltanto effettuata nella suacompletezza

Per concludere, dunque, correttamente rispondepenalmente per la propria condotta omissiva astrat-tamente riconducibile all’evento dannoso il cardiologoche:1. Omette di certificare2. Certifica erroneamente o parzialmente3. Assume anamnesi parziale4. Non assume dati relativi alle finalità della visita5. Non assume dati sui farmaci assunti6. Non richiede documentazione clinica preesistente7. Non indica approfondimenti diagnostici necessari8. Non indica al chirurgo il supporto pre- e post-

operatorio

INDIRIZZO PER LA CORRISPONDENZADr Salvatore Cocuzzavia Cesare Vivante, 6995123 CataniaTel. 338-9831357E-mail: [email protected]

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Letture consigliate

ACC/AHA Guidelines Update for Perioperative Cardiovascular Evaluationfor Noncardiac Surgery. A report of the ACC/AHA Task Force onPractice Guidelines. Circulation 2002;105:1257-1267

ASA American Society of Anesthesiologists. Standards for postanesthesiacare. (Approved by House of Delegates on October 12, 1988 and lastamended on October 23, 1990)

Biagioli B, Catena G, Clementi G, et al. Raccomandazioni per la gestionepreoperatoria del cardiopatico da sottoporre a chirurgia non cardiaca.Linee guida SIAARTI. Minerva Anestesiol 2000;66(3):85-104

Braunwald E, Zipes DP, Libby P. Heart disease. A textbook of cardiovascu-lar medicine, 6th edition. Philadelphia: WB Saunders, 2001

Carlino G, Coppola G, Indovina G, et al. Il rischio della chirurgia non car-diaca in pazienti cardiopatici: un’ipotesi di lavoro per una corretta valu-tazione preoperatoria. Ital Heart J Suppl 2004;5(8):653-660

Fuster V, Alexander RW, O’Pounde RA, et al. Hurst’s The Heart. New York:McGraw-Hill, 2004

Mori F, Zuppiroli A.Valutazione cardiovascolare preoperatoria nella chirur-gia non cardiaca: il ruolo delle indagini strumentali. Ital Heart J Suppl2003;4(1):19-27

Task Force Società Italiana di Cardiologia pediatrica. Ital Heart J Suppl2001;2(1):46-77

Rilevanza medico-legale della visita cardiologica ed ECGUn caso paradigmatico

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