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376 © 2012 Elsevier Srl. Tutti i diritti riservati. 30 Controllo della glicemia e trattamento farmacologico del diabete mellito ASPETTI GENERALI In questo capitolo viene descritto il controllo endocrino della glicemia (glucosio ematico) da parte degli ormoni pancreatici, in particolare dell’insulina ma anche del glucagone, della somatostatina e dell’amilina, e da parte degli ormoni intestinali (incretine) come il peptide glucago- ne simile-1 (GLP-1) e il peptide inibitorio gastrico (GIP, noto anche come peptide insulinotropico glucosio-dipendente). La seconda parte è incentrata sul diabete mellito, sui trattamenti a base di preparazioni insuliniche (inclusi gli analoghi dell’insulina) e su altri farmaci ipoglicemizzan- ti – metformina, sulfaniluree, inibitori dell’a-glucosilasi, glitazoni, incretino-mimetici a lunga durata di azione come l’exenatide e la gliptina che potenziano l’azione delle in- cretine bloccandone la degradazione. INTRODUZIONE L’insulina è l’ormone principale che controlla il metabolismo intermedio. Il suo effetto acuto più evidente consiste nell’abbas- samento dei livelli glicemici. La secrezione ridotta (o assente) di insulina, spesso accompagnata da una ridotta sensibilità alla sua azione (resistenza insulinica, strettamente correlata all’obe- sità), causa il diabete mellito. La patologia, nota sin dai tempi antichi, è chiamata in questo modo per l’abbondante produzio- ne di urine contenenti zuccheri. L’incidenza del diabete è in rapido aumento e sta per assumere le dimensioni di un’epidemia (come l’obesità; si veda il Capitolo 31) e le sue conseguenze sono molto pesanti, in particolare per quanto riguarda l’atero- sclerosi (infarto miocardico, ictus cerebrale, amputazione), l’insufficienza renale e la cecità. Il capitolo descrive inizialmente il controllo della glicemia. Dopodiché, nella seconda parte, illustra il diabete mellito e i relativi trattamenti farmacologici. CONTROLLO DELLA GLICEMIA Il glucosio è la fonte obbligata di energia per il cervello adulto e il controllo fisiologico della glicemia riflette la necessità di mantenere un’adeguata fornitura energetica, sebbene ci si nutra in maniera discontinua e il fabbisogno metabolico sia variabile. La quantità di energia disponibile dopo un pasto è maggiore di quella richiesta in quel momento e le calorie in eccesso vengono immagazzinate come glicogeno o grasso. Durante il digiuno, questi accumuli di energia devono essere mobilizzati in maniera controllata. L’ormone regolatorio più importante è l’insulina, le cui azioni saranno descritte in seguito. Un aumento della glicemia stimola la secrezione di insulina (Figura 30.1), mentre una sua diminuzione la riduce. Gli effetti del glucosio sulla secrezione insulinica variano a seconda che venga somministrato per via orale o endovenosa. Il glucosio somministrato per via orale è più efficace nell’incrementare l’insulina, poiché stimola il rilascio degli ormoni incretinici dall’intestino che a loro volta promuo- vono la secrezione di insulina (si veda la Figura 30.1). Nei pa- zienti diabetici, il glucosio esercita degli effetti anomali sulla secrezione di insulina (Figura 30.2). L’ipoglicemia, causata da un eccesso di insulina, non solo riduce la secrezione di insulina, ma stimola anche la secrezione di una serie di ormoni “contro- regolatori”, che comprendono il glucagone (si veda il Capitolo 14), l’adrenalina, i glucocorticoidi (si veda il Capitolo 32) e l’ormone della crescita (si veda il Capitolo 32), i quali aumen- tano i livelli glicemici. I loro effetti principali sulla captazione del glucosio e il metabolismo dei carboidrati sono riassunti e messi a confronto con quelli dell’insulina nella Tabella 30.1. ORMONI DELLE ISOLE PANCREATICHE Le isole di Langerhans, la parte endocrina del pancreas, conten- gono quattro principali tipi di cellule, ognuna delle quali secerne un ormone peptidico: le cellule B (o b) che secernono insulina, le cellule A che secernono glucagone, le cellule D che secernono somatostatina e le cellule PP che secernono il polipeptide pan- creatico (la cui funzione è ancora sconosciuta). La parte più in- terna di ciascuna isola è costituita principalmente da cellule B circondate da un involucro di cellule A tra le quali sono sparse le cellule D e PP (si veda la Figura 30.1). Le cellule B, oltre all’in- sulina, secernono il peptide C (si veda oltre) e un ormone noto come polipeptide amiloide delle isole o amilina, che ritarda lo svuotamento gastrico e si oppone all’azione dell’insulina, stimo- lando la degradazione del glicogeno nel muscolo striato. Il gluca- gone si oppone all’azione dell’insulina, aumentando la concen- trazione plasmatica di glucosio e stimolando il catabolismo proteico nel muscolo. La somatostatina inibisce la secrezione di insulina e di glucagone. È ampiamente distribuita al di fuori del pancreas ed è rilasciata anche dall’ipotalamo, inibendo il rilascio dell’ormone della crescita dall’ipofisi (si veda il Capitolo 32). INSULINA L’insulina è la prima proteina di cui è stata determinata la se- quenza aminoacidica (dal gruppo di Sanger a Cambridge nel 1955) ed è formata da due catene peptidiche (rispettivamente di 21 e 30 residui aminoacidici) unite da legami disolfuro.

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© 2012 Elsevier Srl. Tutti i diritti riservati.

30 Controllo della glicemia e trattamento farmacologico del diabete mellito

Aspetti GenerAli

In questo capitolo viene descritto il controllo endocrino della glicemia (glucosio ematico) da parte degli ormoni pancreatici, in particolare dell’insulina ma anche del glucagone, della somatostatina e dell’amilina, e da parte degli ormoni intestinali (incretine) come il peptide glucago-ne simile-1 (GLP-1) e il peptide inibitorio gastrico (GIP, noto anche come peptide insulinotropico glucosio-dipendente). La seconda parte è incentrata sul diabete mellito, sui trattamenti a base di preparazioni insuliniche (inclusi gli analoghi dell’insulina) e su altri farmaci ipoglicemizzan-ti – metformina, sulfaniluree, inibitori dell’a-glucosilasi, glitazoni, incretino-mimetici a lunga durata di azione come l’exenatide e la gliptina che potenziano l’azione delle in-cretine bloccandone la degradazione.

introduzione

L’insulina è l’ormone principale che controlla il metabolismo intermedio. Il suo effetto acuto più evidente consiste nell’abbas-samento dei livelli glicemici. La secrezione ridotta (o assente) di insulina, spesso accompagnata da una ridotta sensibilità alla sua azione (resistenza insulinica, strettamente correlata all’obe-sità), causa il diabete mellito. La patologia, nota sin dai tempi antichi, è chiamata in questo modo per l’abbondante produzio-ne di urine contenenti zuccheri. L’incidenza del diabete è in rapido aumento e sta per assumere le dimensioni di un’epidemia (come l’obesità; si veda il Capitolo 31) e le sue conseguenze sono molto pesanti, in particolare per quanto riguarda l’atero-sclerosi (infarto miocardico, ictus cerebrale, amputazione), l’insufficienza renale e la cecità.

Il capitolo descrive inizialmente il controllo della glicemia. Dopodiché, nella seconda parte, illustra il diabete mellito e i relativi trattamenti farmacologici.

Controllo dellA GliCemiA

Il glucosio è la fonte obbligata di energia per il cervello adulto e il controllo fisiologico della glicemia riflette la necessità di mantenere un’adeguata fornitura energetica, sebbene ci si nutra in maniera discontinua e il fabbisogno metabolico sia variabile. La quantità di energia disponibile dopo un pasto è maggiore di quella richiesta in quel momento e le calorie in eccesso vengono immagazzinate come glicogeno o grasso. Durante il digiuno, questi accumuli di energia devono essere mobilizzati in maniera

controllata. L’ormone regolatorio più importante è l’insulina, le cui azioni saranno descritte in seguito. Un aumento della glicemia stimola la secrezione di insulina (Figura 30.1), mentre una sua diminuzione la riduce. Gli effetti del glucosio sulla secrezione insulinica variano a seconda che venga somministrato per via orale o endovenosa. Il glucosio somministrato per via orale è più efficace nell’incrementare l’insulina, poiché stimola il rilascio degli ormoni incretinici dall’intestino che a loro volta promuo-vono la secrezione di insulina (si veda la Figura 30.1). Nei pa-zienti diabetici, il glucosio esercita degli effetti anomali sulla secrezione di insulina (Figura 30.2). L’ipoglicemia, causata da un eccesso di insulina, non solo riduce la secrezione di insulina, ma stimola anche la secrezione di una serie di ormoni “contro-regolatori”, che comprendono il glucagone (si veda il Capitolo 14), l’adrenalina, i glucocorticoidi (si veda il Capitolo 32) e l’ormone della crescita (si veda il Capitolo 32), i quali aumen-tano i livelli glicemici. I loro effetti principali sulla captazione del glucosio e il metabolismo dei carboidrati sono riassunti e messi a confronto con quelli dell’insulina nella Tabella 30.1.

ormoni delle isole pAnCreAtiChe

Le isole di Langerhans, la parte endocrina del pancreas, conten-gono quattro principali tipi di cellule, ognuna delle quali secerne un ormone peptidico: le cellule B (o b) che secernono insulina, le cellule A che secernono glucagone, le cellule D che secernono somatostatina e le cellule PP che secernono il polipeptide pan-creatico (la cui funzione è ancora sconosciuta). La parte più in-terna di ciascuna isola è costituita principalmente da cellule B circondate da un involucro di cellule A tra le quali sono sparse le cellule D e PP (si veda la Figura 30.1). Le cellule B, oltre all’in-sulina, secernono il peptide C (si veda oltre) e un ormone noto come polipeptide amiloide delle isole o amilina, che ritarda lo svuotamento gastrico e si oppone all’azione dell’insulina, stimo-lando la degradazione del glicogeno nel muscolo striato. Il gluca-gone si oppone all’azione dell’insulina, aumentando la concen-trazione plasmatica di glucosio e stimolando il catabolismo proteico nel muscolo. La somatostatina inibisce la secrezione di insulina e di glucagone. È ampiamente distribuita al di fuori del pancreas ed è rilasciata anche dall’ipotalamo, inibendo il rilascio dell’ormone della crescita dall’ipofisi (si veda il Capitolo 32).

insulinAL’insulina è la prima proteina di cui è stata determinata la se-quenza aminoacidica (dal gruppo di Sanger a Cambridge nel 1955) ed è formata da due catene peptidiche (rispettivamente di 21 e 30 residui aminoacidici) unite da legami disolfuro.

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Sintesi e secrezioneCome altri ormoni peptidici (si veda il Capitolo 19), l’insulina viene sintetizzata sotto forma di precursore (preproinsulina) nel reticolo endoplasmatico ruvido. La preproinsulina viene trasportata nell’apparato di Golgi, dove subisce dei tagli pro-teolitici che danno origine prima alla proinsulina e, poi, all’in-sulina definitiva più il frammento di congiunzione chiamato peptide C e la cui funzione non è nota.1 L’insulina e il peptide C vengono accumulati nei granuli delle cellule B, e normalmen-te sono cosecreti per esocitosi in quantità equimolari insieme a quantità minori e variabili di proinsulina.

Tabella 30.1 Effetto degli ormoni sul glucosio plasmatico

Ormone Principali azioni Principali stimoli alla secrezione Principali effetti

Principale ormone regolatore

Insulina ↑ Captazione del glucosio↑ Sintesi del glicogeno↓ Glicogenolisi↓ Gluconeogenesi

Aumento acuto della glicemiaIncretine (GIP e GLP-1)

↓ Glicemia

Principali ormoni controregolatori

Glucagone ↑ Glicogenolisi↑ Gluconeogenesi

Adrenalina (epinefrina) ↑ Glicogenolisi

Glucocorticoidi ↓ Assorbimento del glucosio↑ Gluconeogenesi↓ Captazione e utilizzo

del glucosio

Ipoglicemia (ossia, glicemia <3 mmol/L; per esempio, con esercizio fisico, stress, pasti ad alto contenuto proteico) ecc.

↑ Glicemia

Ormone della crescita ↓ Captazione del glucosio

Figura 30.1 Fattori che regolano la secrezione di insulina. La glicemia è il fattore più importante. I farmaci utilizzati per stimolare la secrezione di insulina sono mostrati nei riquadri con contorno rosso. Il glucagone potenzia il rilascio dell’insulina, ma si oppone ad alcuni dei suoi effetti periferici e aumenta il glucosio plasmatico.GIP = peptide inibitorio gastrico; GIT = tratto gastrointestinale; GLP-1 = peptide glucagone simile-1.

Figura 30.2 Diagramma schematico delle due fasi di secrezione dell’insulina in risposta a un’infusione costante di glucosio. La prima fase è assente nel diabete mellito di tipo 2 (non insulino-dipendente) ed entrambe mancano nel diabete mellito di tipo 1 (insulino-dipendente). La prima fase può anche venire stimolata da aminoacidi, sulfaniluree, glucagone e ormoni del tratto gastrointestinale. (Da: Pfeifer et al., 1981, Am J Med 70: 579-588.)

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Il principale fattore che controlla la sintesi e la secrezione dell’insulina è la concentrazione ematica del glucosio (si veda la Figura 30.1). Le cellule B rispondono sia alla concentrazio-ne assoluta di glucosio sia al grado di variazione della concen-trazione ematica. Altri stimoli fisiologici che promuovono il rilascio dell’insulina sono alcuni aminoacidi (in particolare arginina e leucina), gli acidi grassi, il sistema nervoso parasim-patico e le incretine (si veda oltre). Le principali incretine sono GLP-1 e GIP. A livello farmacologico, le sulfaniluree (si veda oltre) agiscono rilasciando l’insulina.

L’insulina viene rilasciata in modo costante e questo costi-tuisce il livello basale, ma soprattutto in risposta all’aumento della glicemia. Questa risposta si può suddividere in due fasi: una fase iniziale rapida, che riflette il rilascio dell’ormone accumulato nelle vicinanze dei siti di secrezione delle cellule B, e una fase più lenta e ritardata, che rispecchia sia il prose-guimento della secrezione dell’ormone accumulato sia il rilascio di quello neosintetizzato (si veda la Figura 30.2). Come si vedrà in seguito, la risposta nel diabete mellito è anomala.

I canali del potassio sensibili all’ATP (KATP; si veda il Capi-tolo 4) determinano il potenziale di riposo della membrana delle cellule B. Il glucosio entra nelle cellule B mediante un trasportatore di membrana, detto Glut-2, dove inizialmente viene trasformato in glucosio-6-fosfato dalla glucochinasi (l’attività di questo enzima permette di stabilire un gradiente di concentrazione del glucosio tra esterno e interno della cel-lula che ne regola la velocità di captazione e che fa di questo enzima un “sensore del glucosio”) e poi la glicolisi causa un aumento dell’ATP intracellulare. Ciò porta al blocco dei cana-li KATP, con la conseguente depolarizzazione della membrana e l’apertura dei canali del calcio voltaggio-dipendenti, per-mettendo l’ingresso di Ca2+. Il risultante aumento di Ca2+ nel citoplasma stimola la secrezione di insulina, che diventa im-portante soltanto in presenza di altri messaggeri in grado di amplificare il segnale come il diacilglicerolo, l’acido arachi-donico non esterificato (che facilita ulteriormente l’ingresso del Ca2+) e i prodotti della 12-lipossigenasi dell’acido arachi-donico (soprattutto l’acido 12-S-idrossieicosatetranoico o 12-S-HETE; si veda il Capitolo 17). Le fosfolipasi sono normal-mente attivate dal Ca2+, ma nelle cellule B l’acido arachidonico libero viene rilasciato da una fosfolipasi A2 sensibile all’ATP e

insensibile al Ca2+ (ASCI). Quindi, nelle cellule B l’ingresso di Ca2+ e la produzione dell’acido arachidonico sono entrambi guidati dall’ATP, collegando lo stato energetico della cellula alla secrezione di insulina.

Il rilascio di insulina viene inibito dal sistema nervoso simpatico (si veda la Figura 30.1). L’adrenalina (epinefrina) aumenta i livelli ematici di glucosio inibendo il rilascio di insulina (attraverso i recettori a2-adrenergici) e promuovendo la glicogenolisi attraverso i recettori b2-adrenergici nel mu-scolo striato e nel fegato. Anche molti peptidi, tra cui la soma-tostatina, la galanina (un attivatore endogeno del canale KATP) e l’amilina, sono in grado di inibire il rilascio di insulina.

Ogni giorno viene secreto circa un quinto dell’insulina accu-mulata nel pancreas di un soggetto adulto. L’insulina circolan-te viene misurata mediante dosaggio immunologico, ma questo può portare a una sua sovrastima, perché molti anticorpi che riconoscono l’insulina legano sia la proinsulina sia i propri prodotti di degradazione meno attivi. Dopo una notte a digiuno la concentrazione plasmatica dell’insulina è di 20-50 pmol/L. La concentrazione plasmatica dell’insulina è ridotta nei pazien-ti con diabete mellito di tipo 1 (insulino-dipendente) (si veda oltre) e aumenta in modo marcato nei pazienti affetti da insu-linoma (un raro tumore funzionale delle cellule B); questo effetto si osserva anche per il peptide C, che viene cosecreto con l’insulina.2 La concentrazione plasmatica di insulina aumenta anche nell’obesità e in altri stati normoglicemici insulino- resistenti.

EffettiL’insulina è l’ormone più importante per il controllo del me-tabolismo intermedio, in quanto agisce su fegato, tessuto adiposo e muscoli (Tabella 30.2). È un ormone anabolico: il suo effetto complessivo è di conservare l’energia agevolando la captazione e il deposito di glucosio, di aminoacidi e di lipi-di dopo un pasto. Acutamente, l’insulina riduce la glicemia. Di conseguenza, un calo di insulina nel plasma aumenta la

Tabella 30.2 Effetti dell’insulina sul metabolismo di carboidrati, grassi e proteine

Tipo di metabolismo Cellule epatiche Cellule adipose Muscolo

Metabolismo dei carboidrati ↓ Gluconeogenesi↓ Glicogenolisi↑ Glicolisi↑ Glicogenesi

↑ Captazione del glucosio↑ Sintesi del glicerolo

↑ Captazione del glucosio↑ Glicolisi↑ Glicogenesi

Metabolismo dei grassi ↑ Lipogenesi↓ Lipolisi

↑ Sintesi dei trigliceridi↑ Sintesi degli acidi grassi↓ Lipolisi

Metabolismo delle proteine ↓ Degradazione delle proteine – ↑ Captazione degli aminoacidi↑ Sintesi delle proteine

1Da non confondere con il peptide C-reattivo, un componente della fase acuta utilizzato clinicamente come marker dell’infiammazione (si veda il Capitolo 6).

2L’insulina iniettabile non contiene il peptide C e questo fornisce un modo per distinguere la stima dell’insulina endogena da quella esogena. Questo viene utilizzato per differenziare l’insulinoma (un tumore secernente l’insulina con alti livelli circolanti di insulina e con alti livelli di peptide C) da un’iniezione fittizia di insulina (alta insulina, normale o basso peptide C). L’induzione deliberata di ipoglicemia da autoiniezione di insulina è una nota, anche se inusuale, manifestazione di disordine psichiatrico, specialmente a livello dei professionisti – è stata anche utilizzata con scopi omicidi.

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glicemia. Le vie biochimiche attraverso cui l’insulina esercita i suoi effetti sono riassunte nella Figura 30.3, e gli aspetti molecolari del suo meccanismo di azione sono trattati nel para-grafo successivo.

L’insulina influenza il metabolismo del glucosio nella mag-gior parte dei tessuti, soprattutto nel fegato, dove inibisce la glicogenolisi (la degradazione del glicogeno) e la gluconeoge-nesi (sintesi del glucosio da fonti diverse dai carboidrati), mentre stimola la sintesi di glicogeno. L’insulina aumenta anche

l’utilizzo del glucosio (glicolisi), ma il suo effetto complessivo è di incrementare i livelli epatici di glicogeno accumulato.

Nel muscolo, a differenza del fegato, la captazione del gluco-sio è lenta ed è il fattore limitante nel metabolismo dei carboi-drati. Gli effetti principali dell’insulina sono di incrementare il trasporto facilitato di glucosio per mezzo di un trasportatore, detto Glut-4, e di stimolare la sintesi di glicogeno e la glicolisi.

L’insulina aumenta la captazione di glucosio mediante Glut-4 nel tessuto adiposo, analogamente a quanto avviene nel muscolo,

Figura 30.3 Vie della trasmissione del segnale dell’insulina. I = insulina; Glut-4 = trasportatore del glucosio sensibile all’insulina presente nelle cellule muscolari e adipose; IRS = substrato del recettore dell’insulina (parecchie forme: 1-4).

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aumentando il metabolismo del glucosio. Uno dei principali prodotti finali del metabolismo del glucosio nel tessuto adiposo è il glicerolo, che viene esterificato con gli acidi grassi per forma-re i trigliceridi, influenzando in questo modo il metabolismo dei grassi (si veda oltre; si veda anche la Tabella 30.2).

L’insulina aumenta la sintesi degli acidi grassi e dei triglice-ridi nel tessuto adiposo e nel fegato. Inibisce la lipolisi, in parte attraverso la defosforilazione – e quindi l’inattivazione – delle lipasi (si veda la Tabella 30.2). Inoltre, inibisce l’azione lipo-litica dell’adrenalina, dell’ormone della crescita e del glucago-ne, contrastando la loro azione sull’adenilato ciclasi.

L’insulina stimola la captazione degli aminoacidi nel mu-scolo e aumenta la sintesi proteica. Inoltre, diminuisce il cata-bolismo proteico e inibisce l’ossidazione degli aminoacidi nel fegato.

Gli altri effetti metabolici dell’insulina comprendono il tra-sporto di K+, Ca2+, nucleosidi e fosfati inorganici all’interno delle cellule.3

Effetti a lungo termine dell’insulinaIn aggiunta agli effetti rapidi sul metabolismo, esercitati at-traverso la modificazione dell’attività di enzimi e di proteine di trasporto, l’insulina promuove azioni a lungo termine, mo-dificando la sintesi di alcuni enzimi. L’insulina è un importan-te ormone anabolico durante lo sviluppo fetale, stimola la proliferazione cellulare e viene coinvolta nella crescita e nello sviluppo somatico e viscerale.

Gli effetti mitogeni dell’insulina generano una grande pre-occupazione per lo sviluppo dei suoi analoghi poiché questi dovrebbero essere usati in terapie a lungo termine; l’insulina glargina (un analogo ampiamente utilizzato; si veda oltre) ha un effetto mitogeno 6-8 volte superiore rispetto all’insulina umana; in vitro, in risposta a concentrazioni quasi terapeutiche di que-sto analogo, vi è un effetto stimolatorio sulla proliferazione di cellule del cancro della mammella in coltura, ma non è chiaro se vi sia un’analogia clinicamente significativa in vivo. I ratti trattati con l’analogo dell’insulina a lunga durata di azione hanno sviluppato tumori mammari.

Meccanismo di azioneL’insulina si lega a un recettore specifico posto sulla mem-brana cellulare delle cellule bersaglio. Il recettore è un grande complesso glicoproteico transmembrana appartenente alla superfamiglia dei recettori tirosin-chinasici di tipo 3 (si veda il Capitolo 3) ed è costituito da due subunità a e da due subu-nità b (si veda la Figura 30.3). I recettori occupati dall’insuli-na si raggruppano formando degli aggregati, che vengono poi internalizzati per mezzo di vescicole. Questo provoca la dimi-nuzione del numero di recettori disponibili. L’insulina interna-lizzata con il recettore viene degradata nei lisosomi, mentre i recettori vengono riciclati verso la membrana plasmatica.

▼ I meccanismi di trasduzione che collegano il legame con il recettore agli effetti biologici dell’insulina sono complessi. L’autofosforilazione dei recettori – il primo passo nella trasduzione del segnale – è una conseguen-za della dimerizzazione, che permette ai due recettori di fosforilarsi reci-procamente, come descritto nel Capitolo 3.

Le proteine del substrato del recettore dell’insulina (IRS) vengono rapidamente fosforilate su una tirosina come risposta specifica all’insulina

e al fattore di crescita insulino-simile (IGF-I), ma non ad altri fattori di crescita. Il substrato meglio caratterizzato è l’IRS-1, che contiene 22 resi-dui di tirosina, i quali sono potenziali siti di fosforilazione. Le IRS intera-giscono con delle proteine contenenti un dominio chiamato SH2 (si veda la Figura 3.15), consentendo così la trasmissione del segnale dell’insulina. I topi knockout privi di IRS-1 presentano una risposta ridotta all’insulina (insulino-resistenti), ma non diventano diabetici per la robusta compensa-zione delle cellule B che aumentano la secrezione di insulina. Al contrario, i topi privi di IRS-2 non sono in grado di compensare e sviluppano il diabete: questo fenomeno collega il gene IRS-2 ai geni candidati per il diabete umano di tipo 2 (le proteine IRS sono descritte in Lee e White, 2004). L’attivazione della fosfatidilinositolo 3-chinasi per interazione del suo dominio SH2 con le IRS fosforilate determina numerosi effetti impor-tanti, come, per esempio, il reclutamento dei trasportatori del glucosio sensibili all’insulina (Glut-4), che dall’apparato di Golgi si spostano nella membrana plasmatica del muscolo e delle cellule adipose.

Gli effetti a lungo termine dell’insulina implicano interazioni con DNA e RNA, mediati almeno parzialmente dal complesso di trasduzione del segnale Ras. Ras è una proteina che regola la crescita e i cicli cellulari con una forma attiva che lega il GTP e una forma inattiva che lega il GDP (si vedano i Capitoli 3 e 55). L’insulina sposta l’equilibrio in favore della forma attiva e origina una cascata di fosforilazioni che porta all’attivazione della proteina chinasi attivata da mitogeni (MAP chinasi), che a sua volta attiva molti fattori di trascrizione nucleari, portando all’espressione di geni implicati sia nella crescita cellulare sia nel metabolismo intermedio. La regolazione della velocità di trascrizione di mRNA da parte dell’insulina fornisce un importante mezzo di modulazione dell’attività enzimatica.

Il trattamento con insulina del diabete mellito viene discusso in seguito.

GluCAGoneSintesi e secrezioneIl glucagone è un polipeptide a catena singola di 21 residui aminoacidici sintetizzato principalmente nelle cellule A delle isole, ma anche nella prima parte del tratto gastrointestinale. La sua struttura è molto simile a quella di altri ormoni ga-strointestinali come la secretina, il peptide intestinale vasoat-tivo (VIP) e il GIP (si veda il Capitolo 29).

La concentrazione plasmatica degli aminoacidi, in partico-lare quella della l-arginina, è tra i principali stimoli fisiologici coinvolti nella secrezione del glucagone. Quindi, la secrezione di glucagone aumenta in seguito all’ingestione di un pasto a base di proteine, ma, rispetto all’insulina, i livelli plasmatici di glucagone variano relativamente poco durante la giornata. La secrezione di glucagone viene stimolata dalle basse concen-trazioni plasmatiche di glucosio e di acidi grassi, mentre viene inibita da entrambi quando sono presenti nel sangue a concen-trazioni alte. L’attività dell’innervazione simpatica e l’adrena-lina presente nel sangue stimolano la liberazione di glucagone mediante l’attivazione dei recettori b-adrenergici. Anche l’attività dei nervi parasimpatici aumenta la secrezione del glucagone, che viene invece inibita dalla somatostatina, rila-sciata dalle cellule D poste in prossimità delle cellule A nella porzione più periferica delle isole.

EffettiIl glucagone aumenta la concentrazione del glucosio nel sangue e causa la degradazione di grassi e proteine. I suoi recettori specifici sono accoppiati a proteine G e stimolano l’adenilato ciclasi; di conseguenza i suoi effetti sono in qualche modo paragonabili a quelli dell’adrenalina e mediati dai recettori b-adrenergici. Diversamente dall’adrenalina, comunque, i suoi

3Questa azione viene sfruttata nel trattamento di emergenze dell’iperkaliemia attraverso l’iniezione endovenosa di glucosio con insulina (si veda il Capitolo 28).

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effetti metabolici sono più pronunciati rispetto a quelli cardio-vascolari. Il glucagone è più attivo sul fegato, mentre gli effet-ti metabolici dell’adrenalina sono più rilevanti sul muscolo e sul tessuto adiposo. Il glucagone stimola la degradazione del glicogeno e la gluconeogenesi, e inibisce la sintesi del glico-geno e l’ossidazione del glucosio. Le sue azioni metaboliche sui tessuti bersaglio, quindi, sono opposte a quelle dell’insuli-na. Il glucagone aumenta la frequenza e la forza di contrazione del cuore, sebbene l’azione sia meno potente rispetto a quella dell’adrenalina.

L’uso clinico del glucagone è riassunto nel box apposito.

somAtostAtinALa somatostatina viene secreta dalle cellule di tipo D delle isole. Viene prodotta anche dall’ipotalamo, dove agisce come inibitore della liberazione dell’ormone della crescita (si veda

il Capitolo 32). Nelle isole inibisce la secrezione di insulina e di glucagone. L’octreotide è un analogo della somatostatina dotato di lunga attività; inibisce il rilascio di numerosi ormoni e viene utilizzata clinicamente per dare sollievo ai sintomi di diversi e rari tumori endocrini gastroenteropancreatici e per il trattamento dell’acromegalia4 (un disturbo endocrino causato da un tumore funzionale delle cellule che secernono l’ormone della crescita dall’ipofisi anteriore; si veda il Capitolo 32).

AmilinA (polipeptide Amiloide delle isole)

▼ Il termine amiloide si riferisce a depositi proteici amorfi che si riscon-trano in vari tessuti e in diverse patologie, tra le quali vi sono parecchie malattie neurodegenerative (si veda il Capitolo 39). I depositi amiloidi si formano anche nel pancreas dei pazienti con diabete mellito e, tuttavia, non è chiaro se questo fenomeno sia importante dal punto di vista funzio-nale. Il componente principale dell’amiloide pancreatica è un peptide di 37 aminoacidi, noto come polipeptide amiloide delle isole o amilina. Viene accumulata con l’insulina nei granuli secretori delle cellule B e cosecreta con l’insulina stessa. L’amilina ritarda lo svuotamento gastrico. A concentrazioni superiori a quelle fisiologiche stimola la degradazione del glicogeno in lattato nel muscolo striato. L’amilina inibisce anche la secrezione di insulina (si veda la Figura 30.1). È strutturalmente correlata alla calcitonina (si veda il Capitolo 35) e mostra una modesta azione calcitonina-simile sul metabolismo del calcio e sull’attività degli osteocla-sti. Per circa il 50% è anche strutturalmente identica alla proteina correla-ta al gene della calcitonina (CGRP; si veda il Capitolo 19) e ad alti dosag-gi forniti per via endovenosa causa vasodilatazione, presumibilmente mediante l’attivazione dei recettori della CGRP. Il ruolo dell’amilina nel controllo fisiologico del metabolismo è ancora piuttosto controverso, tut-tavia esiste un certo interesse per il potenziale terapeutico degli agonisti dell’amilina (come, per esempio, la pramlintide, un analogo con tre so-stituzioni proliniche che ne riducono la tendenza ad aggregarsi in fibrille insolubili) – si veda la rassegna di Schmitz et al. (2004).

inCretineNegli anni Trenta, La Barre suggerì che la secretina impura contenesse due principi attivi: l’escretina, che stimola il pan-creas esocrino, e l’incretina che stimola il rilascio di insulina. Lo studioso propose l’utilizzo dell’incretina come opzione di trattamento del diabete. L’escretina non trovò particolare diffu-sione (probabilmente per l’associazione fonetica del termine con altre funzioni corporee), mentre l’uso dell’incretina prese sempre più piede e ora, dopo circa ottant’anni, molti farmaci incretinici sono autorizzati per l’uso clinico (si veda oltre). Le incretine sono ormoni peptidici di origine intestinale e si distinguono principalmente in peptide inibitorio gastrico (GIP) e peptide glucagone simile-1 (GLP-1). Entrambi appartengono alla super-famiglia dei glucagoni (si veda il Capitolo 19). Il GIP è un peptide costituito da 42 aminoacidi immagazzinato nelle cellule K enteroendocrine da cui è secreto nel duodeno e nella porzione prossimale del digiuno. Il GLP-1 è secreto dalle cellule L, pre-valentemente distribuite nell’intestino, compresi l’ileo e il colon e le porzioni più prossimali. Dopo un pasto vengono secrete due forme di GLP-1: GLP-1(7-37) e GLP-1(7-36) amide, con poten-za simile. L’attività in circolo è principalmente legata al GLP-1(7-36) amide. Il rilascio di GIP e GLP-1, stimolato dall’ingestione di cibo, promuove la secrezione di insulina prima che il glucosio assorbito o altri prodotti della digestione raggiungano le isole nel

Uso clinico del glucagone

j Il glucagone può essere somministrato per via intramuscolare o sottocutanea e anche per via endovenosa.

j Trattamento dell’ipoglicemia in pazienti in stato di incoscienza (che non possono bere): al contrario del glucosio endovenoso, il glucagone può essere somministrato da personale non medico (per esempio, dal compagno o dall’équipe di un’ambulanza). È anche indicato in caso di difficoltà a ottenere un accesso venoso.

j Trattamento dell’insufficienza cardiaca acuta precipitata dall’uso di antagonisti nel recettore b-adrenergico.

Pancreas endocrino e glicemia

j Le cellule B (o b), le A e le D delle isole di Langerhans secernono rispettivamente insulina, glucagone e somatostatina.

j Molti fattori stimolano la secrezione di insulina, ma il principale è la glicemia. Anche le incretine, soprattutto GIP e GLP-1 secrete nell’intestino rispettivamente dalle cellule K e L, sono importanti.

j L’insulina essenzialmente provoca effetti metabolici agendo come ormone che accumula riserve di energia e influisce anche sulla crescita e sul differenziamento cellulare. Diminuisce i livelli glicemici:j aumentando la captazione di glucosio nel muscolo

e nel tessuto adiposo attraverso Glut-4j aumentando la sintesi di glicogenoj diminuendo la gluconeogenesij diminuendo la degradazione del glicogeno.

j Il glucagone è un ormone che mobilita le riserve di energia, stimolando la gluconeogenesi, la glicogenolisi, la lipolisi e la proteolisi. Aumenta i livelli plasmatici di glucosio, così come la forza di contrazione del cuore.

j Il diabete mellito è una malattia metabolica cronica caratterizzata dall’iperglicemia. Esistono due forme principali:j diabete di tipo 1 (insulino-dipendente), con una mancanza

assoluta di insulinaj diabete di tipo 2 (non insulino-dipendente),

con una carenza relativa di insulina associata a una ridotta sensibilità alla sua azione (resistenza all’insulina).

4L’octreotide viene utilizzata sia per brevi periodi prima di un intervento chirurgico su un tumore ipofisario, sia mentre si attende che la radioterapia abbia effetto sul tumore, o nel caso in cui altri trattamenti si siano rivelati inefficaci.

pArte iii farmaCologia dei prinCipali sistemi d’organo

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sangue portale (si veda la Figura 30.1). Inoltre, entrambi gli ormoni inibiscono la secrezione pancreatica di glucagone e rallentano la velocità di assorbimento degli alimenti digeriti ri-ducendo lo svuotamento gastrico. Sono anche coinvolti nel controllo dell’assunzione di cibo mediante la regolazione del senso di appetito o di sazietà (si veda il Capitolo 31). Gli effetti del GIP e del GLP-1 sono soppressi rapidamente dalla dipepti-dil peptidasi-4 (DPP-4). Questo enzima è una glicoproteina di membrana con una specificità piuttosto ampia per i substrati e sembra che sia coinvolto nella soppressione dei tumori (si veda, per esempio, Wesley et al., 2005).

diAbete mellito

Il diabete mellito è una malattia metabolica cronica caratteriz-zata da un’alta concentrazione glicemica – iperglicemia (livel-li di glucosio plasmatico a digiuno >7 mmol/L, o glucosio plasmatico a 2 ore dai pasti >11,1 mmol/L) – che è causata da carenza di insulina spesso associata alla resistenza all’insulina stessa. L’iperglicemia si instaura per la produzione incontrol-lata di glucosio a livello epatico, che è accompagnata dalla sua ridotta captazione da parte del muscolo scheletrico con ridu-zione della sintesi del glicogeno. Quando la capacità renale di riassorbire il glucosio viene superata, questo si accumula nelle urine (glicosuria) e promuove un’abbondante diuresi osmotica (poliuria) che, successivamente, porta a disidratazione, aumen-to della sete e dell’assunzione di liquidi (polidipsia). La caren-za di insulina determina un deperimento organico a causa dell’aumentata degradazione delle proteine e della riduzione della loro sintesi. La chetoacidosi diabetica è una complicanza acuta che richiede un intervento in emergenza. Si sviluppa in assenza di insulina, a causa dell’aumento della degradazione dei grassi con formazione di acetil-CoA, che, in assenza del metabolismo aerobico dei carboidrati, viene convertito progres-sivamente in aceto-acetato, b-idrossibutirrato (che causa aci-dosi) e, infine, in acetone (un chetone).

Spesso, nel corso degli anni, si sviluppano delle complican-ze che rappresentano una diretta conseguenza delle alterazioni metaboliche presenti nel diabete. Molte di queste sono il risul-tato di malattie vascolari, che affliggono sia i vasi grandi (malattia macrovascolare) sia quelli piccoli (microangiopatia). Un evento precoce e di importanza basilare nello sviluppo delle complicanze vascolari è rappresentato dalle alterazioni funzionali che si instaurano nell’endotelio vasale (si veda il Capitolo 22). Questa condizione deriva dalla produzione di radicali liberi derivati dall’ossigeno, dalla proteina chinasi C (PKC) e dai derivati non enzimatici del glucosio e dell’albu-mina, chiamati prodotti finali dalla glicazione avanzata (AGE). La malattia macrovascolare è dovuta alla formazione accele-rata di ateromi (si veda il Capitolo 23) e alle loro complicazio-ni trombotiche (si veda il Capitolo 24), che sono più frequenti e di maggior severità nel paziente diabetico. La microangiopa-tia è una caratteristica tipica del diabete mellito e interessa particolarmente la retina, i reni e i nervi periferici. Il diabete mellito è la causa più frequente alla base dell’insufficienza renale cronica, che da sola rappresenta un enorme problema in rapido aumento e i cui costi per la società e per il paziente stesso sono in rapida ascesa. La coesistente ipertensione arte-riosa danneggia progressivamente i reni, per cui il trattamento dell’ipertensione ritarda la progressione della nefropatia dia-betica e riduce il rischio di infarto miocardico. Gli inibitori

dell’enzima di conversione dell’angiotensina o gli antagonisti del recettore dell’angiotensina (si veda il Capitolo 22) sono più efficaci degli altri farmaci antipertensivi nel prevenire la ne-fropatia diabetica, forse perché prevengono le azioni fibro-proliferative dell’angiotensina II e dell’aldosterone.

La neuropatia diabetica5 è associata all’accumulo di meta-boliti del glucosio osmoticamente attivi, che sono prodotti dall’azione dell’aldoso reduttasi; tuttavia, lo sviluppo terapeu-tico nel diabete mellito degli inibitori dell’aldoso reduttasi è risultato fallimentare. (Dal punto di vista sia scientifico sia economico, visti gli enormi costi sostenuti da alcune industrie farmaceutiche per svilupparli; NdC.) (si veda la rassegna di Chung e Chung, 2005).

Due sono le principali forme di diabete mellito:

1. diabete di tipo 1 (già noto come diabete mellito insulino-dipendente – IDDM – o diabete a insorgenza giovanile)

2. diabete di tipo 2 (già noto come diabete mellito non insu-lino-dipendente – NIDDM – o diabete a insorgenza in età adulta).

Nel diabete di tipo 1 vi è una carenza assoluta di insulina do-vuta alla distruzione autoimmune delle cellule pancreatiche B. In assenza di trattamento con insulina, i pazienti muoiono per chetoacidosi diabetica.

▼ I pazienti diabetici di tipo 1 sono generalmente soggetti giovani (bambini o adolescenti) e non obesi al momento dello sviluppo dei primi sintomi. C’è una predisposizione ereditaria, con un aumento di 10 volte nell’incidenza tra i parenti di primo grado di un caso-tipo, e una forte as-sociazione con la presenza di particolari antigeni di istocompatibilità (tipi HLA). Studi su gemelli identici hanno mostrato che gli individui predi-sposti geneticamente devono anche essere esposti a fattori ambientali supplementari come, per esempio, un’infezione virale (virus coxsackie o virus echo). L’infezione virale può danneggiare le cellule pancreatiche B ed esporre gli antigeni che attivano un processo autoimmune autoperpe-tuante. Il paziente diventa diabetico in maniera manifesta solo quando più del 90% delle cellule B è stato distrutto. Questo decorso naturale fornisce possibili prospettive di intervento durante lo stadio prediabetico. Sono state prese in considerazione molte strategie tra cui l’immunosoppressione, il trattamento precoce con insulina, gli antiossidanti, la nicotinamide e molte altre; finora i risultati non sono, però, stati soddisfacenti, ma la ricerca è estremamente attiva in questa direzione.

Il diabete di tipo 2 è caratterizzato dalla resistenza all’insulina (che precede la malattia conclamata) e dalla riduzione della sua secrezione; entrambi i fattori hanno un ruolo rilevante nella sua patogenesi. Questi pazienti sono di norma obesi e in età adulta, l’incidenza aumenta progressivamente con l’avanzare dell’età e con la progressiva perdita di funzionalità delle cellule B. Il trattamento è inizialmente di tipo dietetico, sebbene poi diven-ti necessaria la terapia farmacologica a base di ipoglicemizzan-ti orali, e circa un terzo di questi pazienti, alla fine, richiede la somministrazione di insulina. Studi prospettici hanno dimo-strato che nel corso degli anni vi è un inesorabile deterioramen-to nel controllo del diabete.6

5La neuropatia periferica (affezione a carico del sistema nervoso periferico) causa una disfunzione delle fibre nervose periferiche di tipo motorio, sensoriale e autonomo. La neuropatia diabetica spesso determina una ridotta capacità di percepire e rispondere agli stimoli con una distribuzione a “calza” dovuta a un danneggiamento a carico delle fibre sensoriali, l’ipotensione posturale e la disfunzione erettile causata dalla componente autonoma.6Il controllo diabetico non è facilmente stimabile dalla misurazione della glicemia, poiché questa è piuttosto variabile. Si misura invece l’emoglobina glicata (emoglobina A1C). Ciò fornisce una misurazione integrata del controllo durante la vita dell’eritrocita, che è di circa 120 giorni.

30

383

Controllo della gliCemia e trattamento farmaCologiCo del diabete mellito

La secrezione di insulina nelle due forme principali di diabe-te viene illustrata schematicamente nella Figura 30.2 ed è para-gonata a quelle osservate nelle condizioni non patologiche.

Oltre alle due forme principali descritte sopra, esistono molte altre forme meno comuni ma clinicamente rilevabili di diabete mellito, e l’iperglicemia può anche essere un effetto indesidera-to e clinicamente rilevante di molti farmaci come i glucocorti-coidi (si veda il Capitolo 32), i diuretici tiazidici ad alte dosi (si veda il Capitolo 28) e vari inibitori delle proteasi utilizzati nel trattamento dell’infezione da HIV (si veda il Capitolo 51).

trAttAmento del diAbete mellitoL’insulina è fondamentale per il trattamento del diabete di tipo 1 ed è molto importante anche per il trattamento di molti pazien-ti affetti da diabete di tipo 2.

▼ Per molti anni si è ritenuto, quasi come un atto di fede, che la norma-lizzazione dei livelli plasmatici di glucosio potesse prevenire le compli-canze del diabete. Il Diabetes and Complications Trial dell’American Diabetes Association (1993) aveva confermato questa ipotesi: i pazienti affetti da diabete di tipo 1 sono stati suddivisi in modo randomizzato tra un gruppo sottoposto a trattamento intensivo e uno sottoposto a trattamen-to convenzionale. I valori glicemici a digiuno sono risultati inferiori di 2,8 mmol/L nel gruppo dei pazienti trattati in maniera intensiva, che hanno mostrato anche una riduzione sostanziale nell’incidenza e nella progressione di retinopatia, nefropatia e neuropatia in un periodo di 4-9 anni. Questi benefici erano stati considerati di maggiore rilevanza rispetto al problema legato all’aumento di frequenza degli attacchi ipoglicemici gravi, che era di tre volte superiore alla norma, e di un modesto aumento ponderale.

Lo UK Prospective Diabetes Study aveva mostrato che la riduzione dell’ipertensione arteriosa migliora in modo marcato la prognosi del diabete di tipo 2. La normalizzazione dei valori glicemici non era però stata raggiunta nemmeno nei pazienti trattati in maniera più intensiva. Il controllo metabolico ha migliorato la prognosi, ma (al contrario della ri-duzione della pressione sanguigna) l’entità dei benefici è stata scarsa e statisticamente significativa solo per le complicanze microvascolari. Nel follow-up a lungo termine, i pazienti del gruppo di trattamento intensivo hanno continuato a mostrare prognosi migliori rispetto ai pazienti trattati solo con la dieta (nonostante il controllo del diabete fosse simile per en-trambi i gruppi dopo che la fase in cieco dello studio si era conclusa), dato che suggerisce l’importanza di un controllo tempestivo del diabete (entro i primi 12 mesi dalla diagnosi; si veda Holman et al., 2008). Al contrario, da studi sul controllo intensivo della malattia in stato più avanzato non sono emersi risultati particolarmente positivi; infatti, le complicanze lega-te all’ipoglicemia hanno avuto un peso superiore a quello dei benefici derivati dal trattamento intensivo.

Gli obiettivi realistici per i pazienti con diabete di tipo 2 sono, in gene-re, meno ambiziosi di quelli dei pazienti giovani con diabete di tipo 1. La dieta (sebbene sia difficile mantenerla) costituisce il trattamento fonda-mentale soprattutto se associata a una maggiore attività fisica. Gli ipogli-cemizzanti orali sono usati per controllare i sintomi derivanti dall’iper-glicemia e per limitare le complicanze microvascolari. Il regime dietetico e le statine sono molto importanti per prevenire le patologie ateromatose (si veda il Capitolo 24). La descrizione dettagliata sia del trattamento per complicanze specifiche del diabete sia della gestione della dieta vanno oltre lo scopo di questo volume. Si è osservato che i farmaci più recenti (glitazoni, incretino-mimetici e farmaci che potenziano le incretine) ridu-cono l’emoglobina glicata (in genere dello 0,5-1%) ma i loro effetti (se presenti) sulla prognosi clinica e sulle complicanze del diabete non sono comprovati dai risultati degli studi clinici.

Trattamento con insulinaGli effetti dell’insulina e il suo meccanismo di azione sono stati descritti nei paragrafi precedenti. Qui di seguito verranno tratta-

ti gli aspetti farmacocinetici e quelli avversi, entrambi di fonda-mentale importanza per il suo uso in terapia. Un tempo l’insulina per uso clinico era di origine suina o bovina, mentre ora è praticamente quella umana che viene sintetizzata mediante la tecnica del DNA ricombinante. L’insulina di origine animale può scatenare una risposta di tipo immunitario, un problema che si evita con l’uso dell’insulina umana ricombinante. Seb-bene l’insulina ricombinante sia di qualità migliore delle insu-line estratte dai pancreas di animali appena macellati, le dosi vengono ancora quantificate in termini di unità di attività, perché sia i medici sia i pazienti hanno una migliore familiari-tà con queste unità di misura, piuttosto che con il peso.

Aspetti farmacocinetici e preparati a base di insulinaL’insulina viene degradata nel tratto gastrointestinale e, perciò, deve essere somministrata per via parenterale – la via sottocu-tanea, ma nei casi di emergenza anche per via endovenosa e, in casi particolari, per via intramuscolare. La somministrazio-ne intraperitoneale di insulina viene utilizzata solo nei pazien-ti diabetici con insufficienza renale allo stadio terminale e che vengono trattati ambulatorialmente con dialisi peritoneale. L’insulina è assorbibile anche attraverso i polmoni, ma l’uso della formulazione in aerosol è stato abolito. Altri potenziali approcci comprendono l’incorporazione dell’insulina in micro-sfere polimeriche biodegradabili come formulazione a rilascio lento e la sua incapsulazione insieme a una lectina in un pre-parato avvolto in una membrana permeabile al glucosio.7 Una volta assorbita, l’insulina ha un’emivita di eliminazione di circa 10 minuti. Viene inattivata enzimaticamente nel fegato e nei reni, e il 10% viene escreto nelle urine. L’insufficienza renale riduce le quantità richieste di insulina.

Uno dei problemi principali dell’utilizzo dell’insulina è quello di evitare fluttuazioni troppo ampie della sua concen-trazione plasmatica e, quindi, anche della glicemia. Le varie formulazioni si differenziano tra loro per la durata dell’azione e l’entità dell’effetto massimo. L’insulina solubile produce un effetto rapido e breve. Le preparazioni a lunga durata di azione sono assemblate precipitando l’insulina con protamina o con zinco, formando quindi dei solidi finemente suddivisi dalla struttura amorfa o cristallina e poco solubili, che vengono iniettati come sospensione dalla quale l’insulina viene assor-bita lentamente. I preparati più comuni sono l’insulina isofano e le sospensioni amorfe o cristalline di insulina con zinco. Sono disponibili miscele delle varie forme in proporzioni definite. L’insulina lispro è un analogo dell’insulina in cui un residuo lisinico e uno prolinico sono stati scambiati tra di loro; agisce molto più rapidamente e per un tempo inferiore rispetto all’in-sulina naturale, permettendo così ai pazienti di iniettarsi il farmaco subito prima di iniziare un pasto. L’insulina glargina è un altro analogo modificato dell’insulina sviluppato, però, con l’intento opposto, cioè fornire costantemente un livello basale di insulina e mimare così la secrezione basale fisiologi-ca presente nei periodi interprandiali.

L’insulina glargina, che si presenta come una soluzione chiara, forma un microprecipitato al pH fisiologico del tessuto sottocutaneo, per cui l’assorbimento dal sito sottocutaneo di iniezione risulta prolungato; essa viene utilizzata in associazione

7Ciò potrebbe, in teoria, fornire un rilascio variabile di insulina controllato dalla concentrazione prevalente di glucosio, poiché il glucosio e l’insulina glicata competono per i siti di legame sulla lectina.

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all’insulina ad azione breve e abbassa i livelli interprandiali del glucosio plasmatico.

Esistono diversi schemi terapeutici. Alcuni pazienti con diabete di tipo 1 si iniettano una combinazione di insulina ad azione breve e intermedia due volte al giorno, prima di cola-zione e prima del pasto serale. Un miglioramento del controllo della glicemia può essere raggiunto con iniezioni giornaliere multiple di insulina ad azione breve al momento dei pasti e di insulina a lunga azione per la notte. Le pompe per iniettare insulina sono utilizzate negli ospedali e talvolta, da specialisti, anche in pazienti ambulatoriali. Le forme più sofisticate di pompa regolano la dose attraverso sensori che misurano con-tinuamente i livelli glicemici, ma queste non sono di utilizzo comune.

Effetti indesideratiIl principale effetto indesiderato dell’insulina è l’ipoglicemia. Questo evento è piuttosto frequente e, se molto grave, può causare gravi danni cerebrali. In un ampio studio clinico, la terapia intensiva con insulina ha triplicato l’aumento dell’in-cidenza dell’ipoglicemia grave rispetto a quanto osservato con la terapia usuale. Il trattamento dell’ipoglicemia consiste nel-l’assumere una bevanda dolce o uno spuntino oppure, se il paziente è privo di conoscenza, nel somministrare glucosio per via endovenosa o glucagone per via intramuscolare (si veda sopra). L’iperglicemia di rimbalzo (“effetto Somogyi”) può far seguito all’ipoglicemia indotta da insulina ed è dovuta alla li-berazione di ormoni controregolatori (si veda sopra). Ciò può causare l’insorgere dell’iperglicemia ancor prima della cola-zione come conseguenza di un’ipoglicemia notturna verifica-tasi durante il sonno nelle prime ore del mattino e dovuta a eccesso di insulina o farmaco ipoglicemizzante. In situazioni simili è essenziale riconoscere questa possibilità in modo da

evitare l’errore di aumentare (piuttosto che ridurre) la dose serale di insulina.

L’allergia all’insulina umana è piuttosto rara, ma può veri-ficarsi, e può assumere le caratteristiche di una reazione locale o sistemica. La resistenza all’insulina come conseguenza di una formazione di anticorpi è rara. Le preoccupazioni teoriche concernenti gli analoghi dell’insulina sono state accennate in precedenza.

Altri farmaci ipoglicemizzantiBiguanidiLa metformina è l’unico farmaco della classe delle biguanidi (in origine riscontrata nella pianta Galega officinalis) utilizza-to nella pratica clinica.

effetti e meccanismo di azioneLe biguanidi svolgono diverse azioni biochimiche:

j riducono la produzione epatica di glucosio (gluconeogenesi), notevolmente aumentata nel diabete di tipo 2

j aumentano la captazione del glucosio e il suo utilizzo nei muscoli scheletrici (riducendo la resistenza insulinica)

j riducono l’assorbimento dei carboidratij aumentano l’ossidazione degli acidi grassij riducono le lipoproteine a bassa densità (LDL) e a bassis-

sima densità (VLDL) in circolo (si veda il Capitolo 23).

La riduzione della gluconeogenesi epatica è di particolare importanza. Il suo meccanismo prevede l’attivazione negli epatociti della proteina chinasi attivata da MAP (MAPK), un importante enzima coinvolto nel controllo metabolico (si veda Towler e Hardie, 2007). L’attivazione della MAPK aumenta l’espressione di un recettore nucleare che inibisce l’espres-sione di geni fondamentali per la gluconeogenesi nel fegato (per ulteriori dettagli si veda Kim et al., 2008).

La metformina presenta un’emivita di circa tre ore e viene escreta immodificata nelle urine.

effetti indesideratiNella prevenzione dell’iperglicemia, la metformina non causa ipoglicemia, e gli effetti indesiderati più comuni sono i di-sturbi gastrointestinali legati alla dose (per esempio, anoressia, diarrea, nausea), che possono essere transitori. L’acidosi latti-ca è un effetto raro ma potenzialmente tossico, pertanto la metformina non dovrebbe essere somministrata di routine a pazienti con malattie renali o epatiche, malattia polmonare ipossica o shock. Questi pazienti sono predisposti all’acidosi lattica, a causa della ridotta eliminazione del farmaco o della ridotta ossigenazione tissutale. L’insufficienza cardiaca com-pensata non è una controindicazione, e infatti la metformina è associata a una prognosi migliore nei pazienti diabetici con insufficienza cardiaca (si veda Eurich et al., 2007). Deve es-sere, invece, evitata in altri quadri clinici di predisposizione all’acidosi lattica o ad alcune forme di miopatia mitocondriale associate al diabete. I trattamenti a lungo termine possono in-terferire con l’assorbimento della vitamina B12.

uso clinicoLa metformina trova impiego nel trattamento dei pazienti af-fetti da diabete di tipo 2. Non stimola l’appetito (lo inibisce; si veda sopra) e, pertanto, è il farmaco di elezione nella maggior parte dei pazienti con diabete di tipo 2 obesi, a meno che non

Uso clinico dell’insulina e di altri farmaci ipoglicemizzanti per via iniettiva

j I pazienti con diabete di tipo 1 richiedono un trattamento di mantenimento a lungo termine con insulina.j Gli analoghi dell’insulina ad azione intermedia

(per esempio, l’insulina isofano) o a lunga attività (per esempio, la glargina) sono spesso combinati con l’insulina solubile o analoghi ad azione breve (per esempio, lispro) che vengono assunti prima dei pasti.

j L’insulina solubile è usata (per via endovenosa) nel trattamento di emergenza dell’iperglicemia grave (come nella chetoacidosi diabetica).

j Circa un terzo dei pazienti con diabete di tipo 2 trae beneficio dall’insulina.

j Trattamento a breve termine con insulina per i pazienti con diabete di tipo 2 o diminuita tolleranza al glucosio, durante eventi intercorrenti (operazioni chirurgiche, infezioni, infarto miocardico).

j In gravidanza, nel diabete gestazionale non controllato adeguatamente con la sola dieta.

j Trattamento di emergenza dell’iperkaliemia: l’insulina viene somministrata con glucosio per abbassare il K+ extracellulare promuovendone la ridistribuzione all’interno delle cellule.

j Exenatide nei pazienti con diabete di tipo 2 in combinazione a farmaci orali per il miglioramento del controllo glicemico e della perdita di peso.

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Controllo della gliCemia e trattamento farmaCologiCo del diabete mellito

vi sia una compromissione della funzionalità epatica e renale. Può essere somministrata in combinazione con le sulfaniluree, i glitazoni o l’insulina. Oltre che per il diabete, può essere uti-lizzata per il trattamento di sindromi accompagnate da resi-stenza insulinica, come la sindrome dell’ovaio policistico, la steatosi epatica non alcolica e alcune forme di pubertà precoce; tuttavia, queste indicazioni sono ancora in via sperimentale.

SulfanilureeLe sulfaniluree sono state sviluppate in seguito alla scoperta che un derivato sulfonamidico (usato per trattare il tifo) cau-sava ipoglicemia. Esistono diversi tipi di sulfaniluree. Le prime a essere utilizzate terapeuticamente sono state la tolbu-tamide e la clorpropamide. La clorpropamide ha una lunga durata di azione e in buona parte viene escreta nelle urine. Di conseguenza, può causare gravi ipoglicemie, specialmente nei pazienti anziani nei quali la funzione renale declina in manie-ra inevitabile e insidiosa (si veda il Capitolo 28). Causa arros-samenti dopo ingestione di alcol per un effetto simile a quello del disulfiram (si veda il Capitolo 48) e ha un’azione simile a quella dell’ormone antidiuretico sul nefrone distale, aumen-tando l’iponatriemia e l’intossicazione da acqua. Williams (1994) afferma che “l’idiosincratica clorpropamide ha onora-to il proprio compito ma ora il suo uso dovrebbe essere abban-donato” – un parere che condividiamo. La tolbutamide, comunque, è ancora considerata un farmaco utile. Le sulfani-luree di seconda generazione (per esempio, glibenclamide, glipizide; Tabella 30.3) sono più potenti (nell’ordine dei milligrammi), ma il loro massimo effetto ipoglicemico non è superiore e il controllo della glicemia non è migliore di quello ottenuto con la tolbutamide. Tutti questi farmaci con-tengono il gruppo della sulfanilurea e agiscono nello stesso modo, ma le diverse sostituzioni nella molecola portano a differenze nella farmacocinetica e, quindi, nella durata di azione (si veda la Tabella 30.3).

meccanismo di azioneL’effetto principale delle sulfaniluree viene esercitato sulle cellule B (si veda la Figura 30.1), stimolando la secrezione di insulina e riducendo, così, la concentrazione plasmatica di glu-cosio. Recettori ad alta affinità per le sulfaniluree sono presenti sui canali KATP (si veda il Capitolo 4) delle membrane plasmati-che delle cellule B, e l’affinità di legame delle varie sulfaniluree è proporzionale alla loro potenza nello stimolare il rilascio di insulina. Il blocco provocato dalle sulfaniluree dei canali KATP causa la depolarizzazione, l’ingresso di Ca2+ e la secrezione di insulina (si confronti questo meccanismo con il controllo fisio-logico della secrezione di insulina; si veda sopra).

Aspetti farmacocineticiLe sulfaniluree vengono assorbite molto bene dopo sommini-strazione orale e la maggior parte raggiunge la concentrazione plasmatica massima entro 2-4 ore. La durata di azione varia con i diversi farmaci (si veda la Tabella 30.3). Tutte si legano forte-mente all’albumina plasmatica e sono coinvolte nell’interazio-ne con altri farmaci (per esempio, salicilati e sulfamidici) che competono per gli stessi siti di legame (si veda oltre; si veda anche il Capitolo 56). La maggior parte delle sulfaniluree (o dei loro metaboliti attivi) viene escreta nelle urine, per cui la loro azione è aumentata nei pazienti anziani e in quelli con malattie renali.

La maggior parte delle sulfaniluree attraversa la placenta ed entra nel latte materno; da ciò deriva la sua controindicazione durante la gravidanza e l’allattamento al seno.

effetti indesideratiLe sulfaniluree sono solitamente ben tollerate. Gli effetti inde-siderati sono riportati nella Tabella 30.3. L’effetto collaterale più comune è l’ipoglicemia, che può essere di grave entità e di lunga durata. La sua incidenza è correlata alla potenza e alla durata di azione del farmaco; l’incidenza più alta si ha con

Tabella 30.3 Farmaci ipoglicemizzanti orali: sulfaniluree

Farmaco Potenza relativaa Durata di azione ed emivita (ore)

Aspetti farmacocineticib Commenti generali

Tolbutamide 1 6-12 (4) In parte convertita nel fegato nella idrossitolbutamide, che è moderatamente attiva; in parte carbossilata a composto inattivoEscrezione renale

Farmaco sicuro; è il meno propenso a causare ipoglicemiaPuò diminuire la captazione di iodio da parte della tiroideControindicato nell’insufficienza epatica

Glibenclamidec 150 18-24 (10) Un suo metabolita moderatamente attivo viene prodotto per ossidazione epatica ed eliminato nelle urine; il 50% viene escreto immodificato nelle feci

Può causare ipoglicemiaHa azione diureticaIl metabolita attivo viene accumulato nell’insufficienza renale

Glipizide 100 16-24 (7) Il picco plasmatico viene raggiunto in 1 oraGran parte viene metabolizzata nel fegato a prodotto inattivo e viene escreta nelle urine; il 12% viene escreto nelle feci

Può causare ipoglicemiaHa azione diureticaSolo i prodotti inattivi sono accumulati nell’insufficienza renale

aIn relazione a tolbutamide.bSono tutte altamente legate alle proteine (90-95%).cChiamata gliburide negli Stati Uniti.

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la clorpropamide e la glibenclamide a lunga durata di azione e la più bassa con la tolbutamide. Le sulfaniluree a lunga durata di azione non devono essere somministrate nei pazienti anzia-ni e nei soggetti che presentano forme anche lievi di insuffi-cienza renale, in modo da contenere il rischio di ipoglicemia. Le sulfaniluree stimolano l’appetito e spesso causano un aumento del peso corporeo. Questo è il problema principale nei pazienti diabetici obesi. Circa il 3% dei pazienti accusa disturbi ga-strointestinali. Si possono verificare reazioni cutanee di tipo al-lergico e una tossicità al midollo osseo anche severa, sebbene si verifichi in casi veramente rari (si veda il Capitolo 57).

Durante e per alcuni giorni dopo un infarto acuto del mio-cardio, l’insulina deve sostituire il trattamento con sulfaniluree. Ciò si associa a una sostanziale riduzione nella mortalità a breve termine, sebbene rimanga poco chiaro se sia dovuta a un effetto benefico specifico dell’insulina o a un’azione negativa delle sulfaniluree, o magari a entrambi. Un’altra questione molto dibattuta riguarda l’insorgere di effetti indesiderati a livello dell’apparato cardiovascolare in seguito a una terapia prolungata con ipoglicemizzanti orali. Uno studio condotto negli Stati Uniti negli anni Settanta ha mostrato che dopo 4-5 anni di trattamento si aveva un aumento delle morti per danno cardiovascolare nel gruppo trattato con agenti ipoglicemizzan-ti orali rispetto ai gruppi trattati con insulina o con placebo. In effetti, teoricamente il blocco dei canali KATP nel cuore e nel tessuto vascolare potrebbe causare effetti indesiderati, ma i dati disponibili sono piuttosto inconcludenti.

interazione tra i farmaciMolti farmaci aumentano l’effetto ipoglicemizzante delle sulfaniluree. I farmaci antinfiammatori non steroidei, le cuma-rine, alcuni farmaci uricosurici (per esempio, il sulfinpirazone), l’alcol, gli inibitori delle monoamino ossidasi, alcuni antibat-terici (tra cui i sulfamidici, il trimetoprim e il cloramfenicolo), e alcuni farmaci antifungini contenenti imidazolo promuovono l’insorgere di ipoglicemie severe quando vengono sommini-strati insieme alle sulfaniluree. Alla base di queste interazioni è probabile che ci sia una competizione per gli enzimi del metabolismo, ma potrebbe avere un ruolo importante anche un’interferenza con il legame alle proteine plasmatiche o con i meccanismi di trasporto che ne facilitano l’escrezione.

I diuretici tiazidici ad alte dosi e i corticosteroidi riducono l’azione delle sulfaniluree sulla glicemia.

uso clinicoLe sulfaniluree trovano impiego negli stadi precoci del diabe-te di tipo 2; tuttavia, poiché richiedono cellule B funzionanti, non sono utili nel diabete di tipo 1 o nelle fasi successive del diabete di tipo 2. Possono essere utilizzate con la metformina o i tiazolidinedioni.

Altri farmaci che stimolano la secrezione di insulinaRecentemente, sono stati sviluppati diversi farmaci che agi-scono come le sulfaniluree, ossia bloccando il recettore delle sulfaniluree presente sui canali KATP delle cellule B pancreati-che, ma che mancano del gruppo sulfanilurea. Sono la repa-glinide e la nateglinide che, nonostante siano meno potenti della maggior parte delle sulfaniluree, presentano cinetiche di inizio e fine dell’azione piuttosto rapide, determinando una durata di azione piuttosto breve e un basso rischio di ipoglice-

mia.8 Questi farmaci sono somministrati poco prima del pranzo, per ridurre l’aumento della glicemia postprandiale nei pazienti diabetici di tipo 2 non controllati adeguatamente dalla dieta e dall’attività fisica. Possono causare un minore aumento di peso rispetto alle sulfaniluree convenzionali. Negli stadi successivi della malattia possono venire associati alla metformina o ai tiazolidinedioni. Diversamente dalla gliben-clamide, questi farmaci sono relativamente selettivi per i canali KATP delle cellule B rispetto a quelli presenti nelle cellule mu-scolari lisce dei vasi.

Tiazolidinedioni (glitazoni)I tiazolidinedioni (o glitazoni) furono sviluppati in seguito all’osservazione occasionale che un analogo del clofibrato, il ciglitazone, che veniva studiato per i suoi effetti sui lipidi, inaspettatamente abbassava i livelli ematici di glucosio. Il ci-glitazone, come il troglitazone, non è in commercio a causa della tossicità epatica, mentre i casi di epatotossicità riportati con rosiglitazone e pioglitazone (l’unico farmaco di questa classe utilizzato nella pratica clinica) sono meno frequenti. (Il rosiglitazone però può causare seri problemi di tossicità cardiovascolare; NdC.)

effettiL’effetto dei tiazolidinedioni sui livelli ematici di glucosio si instaura lentamente; infatti, l’effetto massimo viene raggiunto solo dopo 1-2 mesi di trattamento. I tiazolidinedioni:

j riducono la produzione di glucosio epaticoj aumentano la captazione del glucosio nei muscoli, incremen-

tando l’efficacia dell’insulina endogena.

Riducono la quantità di insulina esogena necessaria a mante-nere buoni livelli glicemici di circa il 30%. La riduzione della concentrazione ematica di glucosio è accompagnata dalla ri-duzione delle concentrazioni di insulina e degli acidi grassi liberi. I trigliceridi possono diminuire, mentre le LDL e le lipo-proteine ad alta densità (HDL) rimangono invariate o legger-mente aumentate. La proporzione di LDL a bassa densità (la componente ritenuta più aterogenica; si veda il Capitolo 23) sembra decrescere. È comune un aumento di peso di 1-4 kg, che solitamente si stabilizza in 6-12 mesi. Una parte di questo è attribuibile alla ritenzione di liquidi: si verifica un aumento del volume plasmatico fino a 500 mL, con una concomitante riduzione della concentrazione di emoglobina causata dall’emo-diluizione; vi è anche un aumento nei liquidi extravascolari e un aumento nella deposizione di grasso extracutaneo (che si contrappone a quella viscerale).

meccanismo di azioneI tiazolidinedioni si legano a un recettore nucleare chiamato recettore g di proliferazione dei perossisomi (PPARg), che si trova in un complesso con il recettore X dei retinoidi (RXR; si veda il Capitolo 3).9 Il PPARg è presente soprattutto nel tes-suto adiposo, ma anche in quello muscolare ed epatico. Induce

8È ironico che questi farmaci aggressivamente proposti sul mercato condividano molte proprietà della tolbutamide, la sulfanilurea più vecchia, meno costosa e meno “attraente”. Forse i diabetologi dovrebbero portare una parte dei loro sforzi investigativi nello studio dell’ottimizzazione dell’uso di questo farmaco “cenerentola”.9Si paragoni con i fibrati (con i quali i tiazolidinedioni sono strutturalmente correlati), che si legano ai PPARa (si veda il Capitolo 23).

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Controllo della gliCemia e trattamento farmaCologiCo del diabete mellito

il differenziamento degli adipociti (contribuendo all’effetto non desiderato dell’aumento di peso), aumenta la lipogenesi e promuove la captazione degli acidi grassi e del glucosio. Promuove anche il riassorbimento amiloride-sensibile degli ioni sodio a livello dei dotti collettori renali, conseguenza che spiega l’effetto avverso di ritenzione dei liquidi (si veda Guan et al., 2005). Tra gli agonisti endogeni dei PPARg sono noti gli acidi grassi insaturi e vari loro derivati, come la prostaglandi-na J2. I tiazolidinedioni sono agonisti esogeni che promuovono il legame del complesso PPARg-RXR al DNA e causano la trascrizione di vari geni con formazione di prodotti che sono importanti per la via di trasduzione del segnale dell’insulina. Tra questi geni si riscontrano quelli che codificano per la lipa-si lipoproteica, la proteina trasportatrice degli acidi grassi, la proteina che lega gli acidi grassi negli adipociti, Glut-4, la carbossichinasi del fosfoenolpiruvato, l’enzima malico ecc. Non vi è ancora chiarezza su come l’omeostasi del glucosio debba rispondere a farmaci che si legano a recettori presenti principalmente nelle cellule adipose; è stato suggerito che la spiegazione possa risiedere nel riaggiustamento del ciclo glucosio-acidi grassi (Randle) in seguito alla riduzione dei li-velli circolanti di acidi grassi liberi.

Aspetti farmacocineticiIl pioglitazone viene rapidamente e quasi completamente as-sorbito, con il raggiungimento del picco plasmatico della concentrazione in meno di 2 ore. È fortemente legato (>99%) alle proteine plasmatiche, il metabolismo è epatico e ha un’emivita di eliminazione (<7 ore) non eccessivamente lunga come lo è per i suoi metaboliti (sino a 24 ore). Il pioglitazone viene metabolizzato dall’isoenzima CYP2C e da CYP3A4 a formare i metaboliti attivi, che sono eliminati principalmente attraverso la bile.

effetti indesideratiNegli studi clinici sul pioglitazone, non sono stati riscontrati casi di grave epatotossicità come quelli osservati negli studi su ciglitazone e troglitazone, e i casi di disfunzioni epatiche sono stati abbastanza infrequenti da quando il farmaco è stato messo in commercio. Viene però raccomandato un controllo sistematico della funzionalità epatica attraverso i tradizionali test ematici. Un’ipotesi (non comprovata) è che l’epatotossici-tà del troglitazone sia causata dai metaboliti chinonici della sua catena laterale contenente a-tocoferolo. Gli effetti indesidera-ti più comuni del pioglitazone sono l’aumento di peso e la ri-tenzione dei liquidi (si veda sopra). La ritenzione di liquidi è un problema sostanziale, poiché può aggravare l’insufficienza cardiaca, controindicandone quindi l’uso in queste condizioni. Oltre a un serio rischio cardiovascolare, sia gli studi osserva-zionali sia le metanalisi di studi controllati e randomizzati (si veda Loke et al., 2009) hanno evidenziato un aumento del rischio (quasi raddoppiato) di fratture con l’uso cronico del farmaco. Sono stati riportati anche sintomi di origine incerta, tra cui emicrania, affaticamento e disturbi gastrointestinali. I tiazolidinedioni sono controindicati nelle donne gravide o che allattano e nei bambini. È teoricamente possibile che questi farmaci possano promuovere il ritorno all’ovulazione a quelle donne che in seguito alla resistenza all’insulina hanno dei cicli anovulatori (per esempio, nella sindrome dell’ovaio polici-stico). Di recente, anche l’altro glitazone (rosiglitazone) in commercio è stato ritirato per il timore di eccessivi rischi cardiovascolari.

uso clinicoIl fondamento logico su cui si basa l’uso del pioglitazone nel diabete di tipo 2 deriva dal fatto che la resistenza all’insulina è una delle componenti più importanti della patogenesi del diabete di tipo 2 ed è stata coinvolta nell’alta mortalità cardio-vascolare che accompagna la “sindrome metabolica” comune (obesità viscerale, ipertensione, dislipidemia, resistenza insu-linica ecc.). Però non esistono ancora delle evidenze di mi-glioramento delle prognosi cliniche che giustifichino questo ottimismo (si veda, per esempio, Gale, 2001) – si è in attesa di studi clinici che possano confutare questa tesi. Il pioglitazone in associazione con altri farmaci ipoglicemizzanti orali è effi-cace nel controllo della glicemia e brevi studi clinici suppor-tano il loro uso in combinazione con la metformina o una sulfanilurea nei pazienti con glicemia non adeguatamente con-trollata da uno solo di questi farmaci e a cui non possono es-sere aggiunti altri farmaci.

Inibitori dell’a-glucosidasiL’acarbosio, un inibitore dell’a-glucosidasi intestinale, viene utilizzato per il trattamento di pazienti di tipo 2 il cui diabete non è controllato adeguatamente dalla dieta, con o senza altri farmaci. Questo farmaco ritarda l’assorbimento dei carboi-drati, riducendo l’aumento postprandiale dei livelli glicemici. I suoi effetti indesiderati più comuni sono in relazione al suo effetto principale e comprendono flatulenza, feci morbide o diarrea, dolori addominali e rigonfiamenti. Come la metformina, l’acarbosio potrebbe essere particolarmente utile nei pazienti obesi affetti da diabete di tipo 2 e può essere cosomministrato con essa.

Incretino-mimetici e farmaci correlatiL’exenatide è la versione sintetica dell’exendina-4, un peptide derivato dalla saliva del mostro di Gila (Heloderma suspectum, una lucertola che forse ha sviluppato questa sostanza come mezzo per rendere inermi le sue prede attraverso l’ipoglicemia).

L’exenatide mima gli effetti del GLP-1 (si veda sopra), ma ha una maggiore durata di azione. Dopo un pasto, riduce i li-velli glicemici aumentando la secrezione di insulina, soppri-mendo quella del glucagone e rallentando lo svuotamento gastrico (si veda sopra). Inoltre, riduce l’assunzione di cibo (poiché diminuisce l’appetito e aumenta il senso di sazietà) ed è associata a un modesto calo ponderale. Riduce l’accumulo epatico di grassi.

Questo farmaco non è assorbito dall’intestino e viene som-ministrato per via sottocutanea. È molto più stabile del GLP-1 e viene somministrato due volte al giorno prima del primo e dell’ultimo pasto della giornata. Al momento, è in corso di sperimentazione una preparazione a lunga durata di azione, che richiede una singola somministrazione settimanale (si veda Drucker et al., 2008). Può causare ipoglicemia e diversi effet-ti gastrointestinali. La pancreatite è una complicanza rara ma grave.

L’exenatide trova impiego nei pazienti con diabete di tipo 2 in combinazione con la metformina con o senza una sulfanilu-rea, nei casi in cui queste non si siano rivelate adeguate.

GliptineLe gliptine (per esempio, sitagliptin, vildagliptin) sono far-maci sintetici che inibiscono competitivamente la dipepti-dil peptidasi-4 (DPP-4), potenziando così le incretine endogene

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(GLP-1 e GIP; si veda sopra) e riducendo in questo modo i livelli glicemici. Il sitagliptin non determina né un calo, né un aumento ponderale ed è ben assorbito dall’intestino; viene somministrato per via orale una volta al giorno. La sua eliminazione avviene principalmente attraverso l’escrezione renale e il metabolismo con gli enzimi epatici CYP. È ben tollerato e in diversi studi clinici ha mostrato un profilo di effetti collaterali simili al placebo, nonché un’analoga fre-quenza degli eventi ipoglicemici. Il vildagliptin non è di-sponibile negli Stati Uniti e la Food and Drug Administration ha richiesto ulteriori indagini volte a escludere tossicità rena-li e cutanee.

Il sitagliptin è utilizzato per il trattamento del diabete di tipo 2, in genere in combinazione con altri ipoglicemizzanti orali (si veda il box relativo all’uso clinico degli ipoglicemizzanti orali).

nuovi potenziAli FArmACi AntidiAbetiCiDiversi farmaci sono attualmente in fase di studio, fra questi gli antagonisti del recettore a2-adrenergico, gli inibitori dell’ossi-dazione degli acidi grassi e gli attivatori della glucochinasi. La lipolisi nelle cellule adipose è controllata dai recettori adrener-gici del sottotipo b3 (si veda il Capitolo 14). La possibilità di utilizzare agonisti selettivi per il recettore b3 nel trattamento dei pazienti obesi con diabete di tipo 2 è in fase di studio clinico (si veda il Capitolo 31). Esiste un interesse per gli inibitori della proteina chinasi C, per esempio per la rubossistaurina, un ini-bitore specifico dell’isoforma b della proteina chinasi C, poiché è stato riportato che nello sviluppo delle complicanze vascolari diabetiche vi possa essere un coinvolgimento di questa via (si veda Aiello, 2005) – è in corso uno studio clinico in merito.

Uso clinico degli ipoglicemizzanti orali

Farmaci utilizzati nel diabete mellito

Insulina e altri farmaci iniettabilij L’insulina umana viene prodotta per mezzo della tecnologia

del DNA ricombinante. L’insulina viene solitamente somministrata per via sottocutanea (in caso di emergenza, si assume per via endovenosa).

j Le diverse formulazioni di insulina differiscono per la loro durata di azione:j insulina solubile ad azione rapida e breve. L’effetto

massimo si osserva entro 2-4 ore, la durata è di 6-8 ore. È l’unica formulazione che può essere somministrata per via endovenosa

j insulina ad azione intermedia (per esempio, l’insulina isofano)j insulina a lunga azione (per esempio, sospensioni di insulina

con zinco).j Il principale effetto indesiderato è l’ipoglicemia.j La modificazione della sequenza aminoacidica (insuline

con modifiche ad hoc, per esempio, lispro o glargina) può cambiare in maniera utile la farmacocinetica dell’insulina.

j L’insulina è utilizzata in tutti i pazienti con diabete di tipo 1 e in circa un terzo dei pazienti con diabete di tipo 2.

j L’exenatide è un incretino-mimetico iniettato due volte al giorno in alcuni pazienti affetti da diabete di tipo 2 non adeguatamente controllato con farmaci orali. Diversamente dall’insulina, determina un calo ponderale.

Farmaci ipoglicemizzanti oralij Sono utilizzati nel diabete di tipo 2.j Biguanidi (per esempio, metformina):

j presentano azioni periferiche complesse in presenza di insulina residua, aumentando la captazione di glucosio nel muscolo e inibendo la produzione di glucosio epatico e l’assorbimento intestinale di glucosio

j provocano anoressia e anche perdita di pesoj vengono utilizzate con le sulfaniluree.

j Sulfaniluree e altri farmaci che stimolano la secrezione di insulina (per esempio, tolbutamide, glibenclamide, nateglinide)j possono causare ipoglicemia (che stimola l’appetito

e porta ad aumento di peso)j sono efficaci soltanto se le cellule B sono funzionalij l’azione implica il blocco dei canali del potassio sensibili

all’ATP nelle cellule Bj sono ben tollerate, ma inducono un aumento di peso.

j Tiazolidinedioni (per esempio, pioglitazone):j aumentano la sensibilità all’insulina e diminuiscono

la glicemia nel diabete di tipo 2j possono causare un aumento di peso ed edemaj aumentano le fratture osteoporotichej sono agonisti di PPARg (un recettore nucleare).

j Gliptine (per esempio, sitagliptin):j potenziano le incretine endogene bloccando la DPP-4j sono somministrate in combinazione ad altri farmaci orali

attivi per un migliore controllo del diabete di tipo 2j sono ben tollerate e ininfluenti sulle variazioni ponderali.

j Inibitori della a-glucosidasi, acarbosio:j riduce l’assorbimento dei carboidratij causa flatulenza e diarrea.

j Nel diabete mellito di tipo 2, come supplemento alla dieta e all’esercizio fisico per ridurre i sintomi da iperglicemia (quali sete ed eccessiva orinazione). Uno stretto controllo della glicemia ha soltanto effetti limitati sulle complicanze vascolari.

j La metformina viene preferita per i pazienti obesi, a meno che non sia controindicata per la presenza di fattori che predispongono all’acidosi lattica (insufficienza renale o epatica, insufficienza cardiaca, ipossiemia).

j L’acarbosio (inibitore dell’a-glucosidasi) riduce l’assorbimento dei carboidrati e causa flatulenza e diarrea.

j I farmaci che agiscono sui recettori delle sulfaniluree (come la tolbutamide, la glibenclamide) sono ben tollerati, ma spesso provocano un aumento di peso.

j I glitazoni (per esempio, pioglitazone) migliorano il controllo glicemico (riducono l’emoglobina A1C) ma aumentano il peso corporeo, causano la ritenzione di liquidi e aumentano il rischio di fratture.

j Le gliptine (per esempio, sitagliptin) migliorano il controllo glicemico e sono ben tollerate e ininfluenti sulle variazioni ponderali, ma non vi sono evidenze circa il loro uso a lungo termine.