Aprile 2018 - Anno 20 (n° 233) Mensile della Comunità...

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Aprile 2018 - Anno 20 (n° 233) Mensile della Comunità Parrocchiale di Torri del Benaco Carissimi quest’anno iniziamo il mese di aprile con la grande festa di Pasqua, in questi giorni ci facciamo gli auguri con un “buona Pasqua”, ma forse non tutti e non sempre siamo coscienti di che cosa vuole significare questo saluto. Come ci può essere un augurio di “Buon Natale” senza Gesù Cristo, così ci può essere anche un “Buona Pasqua” senza di Lui! La Pasqua è la festa liturgica più importante per il cristianesimo. Sentimentalmente, e purtroppo commercialmente, soppiantata dal Natale e da alcune tradizioni pagane più allettanti per la società moderna, la Pasqua rappresenta e celebra i tre momenti fondamentali del cristianesimo: la Passione, la Morte e la Resurrezione di Cristo. Essa si pone come nucleo del patrimonio liturgico e teologico del cristianesimo. La Pasqua è il punto centrale della nostra fede e Paolo lo afferma categoricamente: “se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede” (1 Cor 15,17). La Pasqua ci rivela l’amore di un Dio che si è inserito nella nostra vita e, attraverso la “pasqua” del suo Figlio, ha ridato all’umanità la fiducia, la speranza, la consapevolezza della propria figliolanza e dignità, l’ha liberata dal peccato, ha squarciato il velo oscuro della storia e l’ha proiettata verso un “futuro pieno di speranza” (Ger 29,11). La Pasqua è la festa della vita! L’umanità non è in balìa del caso, del dubbio, del buio, della sofferenza, della morte, ma è guidata da un progetto d’amore, talora misterioso, incomprensibile, che passa anche attraverso la fatica e il dolore, ma che tuttavia, proprio alla luce della risurrezione di Gesù, spalanca le porte alla vita, alla gioia vera, alla felicità piena e duratura. Noi non siamo soli, non siamo abbandonati ed ancora Paolo che ce lo ricorda: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? ... Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?... Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono, infatti, persuaso che morte vita, angeli principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rom 8,31-39). La Pasqua è il culmine di questo amore. Ai giovani, agli sposi, agli anziani e agli ammalati, a tutti bisogna annunciare la Pasqua, la vita, la speranza; bisogna annunciare Gesù risorto. A voi tutti, nella pienezza del suo significato cristiano, “Buona Pasqua in Cristo”. Don Giuseppe CRISTO NOSTRA PASQUA È RISORTO!

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Aprile 2018 - Anno 20 (n° 233)

Mensile della Comunità Parrocchiale di Torri del Benaco

Carissimi quest’anno iniziamo il mese di aprile con la grande festa di Pasqua, in questi giorni ci facciamo gli auguri con un “buona Pasqua”, ma forse non tutti e non sempre siamo coscienti di che cosa vuole significare questo saluto. Come ci può essere un augurio di “Buon Natale” senza Gesù Cristo, così ci può essere anche un “Buona Pasqua” senza di Lui! La Pasqua è la festa liturgica più importante per il cristianesimo. Sentimentalmente, e purtroppo commercialmente, soppiantata dal Natale e da alcune tradizioni pagane più allettanti per la società moderna, la Pasqua rappresenta e celebra i tre momenti fondamentali del cristianesimo: la Passione, la Morte e la Resurrezione di Cristo. Essa si pone come nucleo del patrimonio liturgico e teologico del cristianesimo. La Pasqua è il punto centrale della nostra fede e Paolo lo afferma categoricamente: “se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede” (1 Cor 15,17). La Pasqua ci rivela l’amore di un Dio che si è inserito nella nostra vita e, attraverso la “pasqua” del suo Figlio, ha ridato all’umanità la fiducia, la speranza, la consapevolezza della propria figliolanza e dignità, l’ha liberata dal peccato, ha squarciato il velo oscuro della storia e l’ha proiettata verso un “futuro pieno di speranza” (Ger 29,11). La Pasqua è la festa della vita! L’umanità non è in balìa del caso, del dubbio, del buio, della

sofferenza, della morte, ma è guidata da un progetto d’amore, talora misterioso, incomprensibile, che passa anche attraverso la fatica e il dolore, ma che tuttavia, proprio alla luce della risurrezione di Gesù, spalanca le porte alla vita, alla gioia vera, alla felicità piena e duratura. Noi non siamo soli, non siamo abbandonati ed ancora Paolo che ce lo ricorda: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? ... Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?... Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono, infatti, persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rom 8,31-39). La Pasqua è il culmine di questo amore. Ai giovani, agli sposi, agli anziani e agli ammalati, a tutti bisogna annunciare la Pasqua, la vita, la speranza; bisogna annunciare Gesù risorto. A voi tutti, nella pienezza del suo significato cristiano, “Buona Pasqua in Cristo”.

Don Giuseppe

CR IS T O N OS TR A PA S QUA È R IS OR T O!

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COS'È E COME È NATA

LA FESTA DELLA

DIVINA MISERICORDIA

La festa della Divina Misericordia è stata istituita ufficialmente da Giovanni Paolo II nel 1992 che la fissò per tutta la Chiesa nella prima domenica dopo Pasqua, la cosiddetta “Domenica in albis” quest’anno domenica 8 aprile.

Dove è stata celebrata per la prima volta questa ricorrenza?

Il card. Franciszek Macharski con la Lettera Pastorale per la Quaresima (1985) ha introdotto la festa nella diocesi di Cracovia e seguendo il suo esempio, negli anni successivi, lo hanno fatto i vescovi di altre diocesi in Polonia. Il culto della Divina Misericordia nella prima domenica dopo Pasqua nel santuario di Cracovia - Lagiewniki era già presente nel 1944. Dalle pagine del Diario sappiamo che suor Faustina Kowalska fu la prima a celebrare individualmente questa festa con il permesso del confessore.

Quali sono le origini della festa?

Gesù, secondo le visioni avute da suor Faustina, parlò per la prima volta del desiderio di istituire questa festa a suor Faustina a Płock nel 1931, quando le trasmetteva la sua volontà per quanto riguardava il quadro: "Io desidero che vi sia una festa della Misericordia. Voglio che l'immagine, che dipingerai con il pennello, venga solennemente benedetta nella prima domenica dopo Pasqua; questa domenica deve essere la festa della Misericordia". Negli anni successivi Gesù è ritornato a fare questa richiesta definendo con precisione il giorno della festa nel calendario liturgico della Chiesa, la causa e lo scopo della sua istituzione.

Perché è stata scelta la prima domenica dopo pasqua?

La scelta della prima domenica dopo Pasqua ha un suo profondo senso teologico: indica lo stretto legame tra il mistero pasquale della Redenzione e la festa della Misericordia, cosa che ha notato anche suor Faustina: "Ora vedo che l'opera della Redenzione è collegata con l'opera della Misericordia richiesta dal Signore". Questo legame è sottolineato ulteriormente dalla novena che precede la festa e che inizia il Venerdì Santo. La preparazione alla festa deve essere una novena, che consiste nella recita, cominciando dal Venerdì Santo, della coroncina alla Divina Misericordia.

Come si festeggia?

Per quanto riguarda il modo di celebrare la festa Gesù ha espresso due desideri:

- che il quadro della Misericordia sia quel giorno solennemente benedetto e

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L'icona di Gesù misericordioso

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pubblicamente, cioè liturgicamente, venerato;

- che i sacerdoti parlino alle anime di questa grande e insondabile misericordia Divina e in tal modo risveglino nei fedeli la fiducia.

Chi era suor Faustina Kowalska?

Nata in un villaggio polacco e battezzata col nome di Elena, è la terza dei 10 figli di Marianna e Stanislao Kowalski, che sono contadini poveri, nella Polonia divisa tra gli imperi russo, tedesco e austriaco. Lei fa tre anni di scuola, poi va a servizio. Pensava di farsi suora già da piccola, ma realizza il progetto solo nell’agosto 1925: a Varsavia – ora capitale della Polonia indipendente – entra nella comunità della Vergine della Misericordia, prendendo i nomi di Maria Faustina. E fa la cuoca, la giardiniera, la portinaia, passando poi per varie case della Congregazione (tra cui, quelle di Varsavia, Vilnius e Cracovia). Ma al tempo stesso è destinataria di visioni e rivelazioni che i suoi confessori le suggeriscono di annotare in un diario (poi tradotto e pubblicato in molte lingue). E tuttavia non crede che questi fatti straordinari siano un marchio di santità. Lei scrive che alla perfezione si arriva attraverso l’unione intima dell’anima con Dio, non per mezzo di “grazie, rivelazioni, estasi”. Queste sono piuttosto veicoli dell’invito divino a lei, perché richiami l’attenzione su ciò che è stato già detto, ossia sui testi della Scrittura che parlano della misericordia divina e poi perché stimoli fra i credenti la fiducia nel Signore (espressa con la formula: "Gesù, confido in te") e la volontà di farsi personalmente misericordiosi. Muore a 33 anni in Cracovia. Beatificata nel 1993, è proclamata santa nel 2000 da Giovanni Paolo II. Le reliquie si trovano a Cracovia-Lagiewniki, nel santuario della Divina Misericordia. La sua festa ricorre il 5 ottobre.

Gianni

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LA CORONCINA

DELLA

DIVINA MISERICORDIA

si recita con la corona del Rosario seguendo questo schema:

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

Padre Nostro…,

Ave Maria…, Credo…

Sui grani del Padre Nostro si dice:

Eterno Padre, io Ti offro il Corpo

e il Sangue, l'Anima e la Divinità

del Tuo dilettissimo Figlio,

Nostro Signore Gesù Cristo,

in espiazione dei nostri peccati

e di quelli del mondo intero.

Sui grani dell'Ave Maria si dice:

Per la Sua dolorosa Passione,

abbi misericordia di noi

e del mondo intero.

Alla fine si dice tre volte:

Santo Dio, Santo Forte,

Santo Immortale, abbi pietà

di noi e del mondo intero.

si termina con l'invocazione:

O Sangue e Acqua, che scaturisti

dal Cuore di Gesù come sorgente

di misericordia per noi,

confido in Te.

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

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5 APRILE

SAN VINCENZO FERRER

Il 5 aprile, si celebra San Vincenzo Ferrer, protettore di vignaioli e muratori, particolarmente onorato nella nostra Parrocchia di Torri. In suo onore venne eretto un meraviglioso altare. Il 5 aprile, secondo il calendario liturgico della religione cattolica cristiana, si festeggia San Vincenzo Ferrer, conosciuto anche come Ferreri. È stato un uomo e poi un santo molto venerato soprattutto nelle nazioni del Sudamerica come Brasile, Cile, Venezuela e Colombia, mentre in Italia il suo culto è sentito in modo particolare nel sud. Ha avuto nobili origini: suo padre era un famoso conte della città di Valencia, infatti san Vincenzo è nato proprio in questa città il 23 gennaio del 1350. Inoltre suo fratello Bonifacio divenne anche lui monaco però certosino e lavorò presso il re Martino D'Aragona. San Vincenzo fin da giovane sentì in lui la forte vocazione e prese subito i voti entrando nell'ordine dei domenicani e studiò per parecchi anni anche a Barcellona e Tolosa. Intorno a metà dell'anno 1300, ebbe modo di conoscere il cardinale Pietro de Luna che lo fece entrare all'interno del gruppo dei sostenitori del papa di Avignone, durante la nota vicenda definita e passata alla storia come Cattività Avignonese. Lo scopo era di eliminare dal trono il papa di Roma, Urbano VI. Subito dopo fu lo stesso cardinale De Luna a diventare nuovo papa di Avignone e prese il nome di Benedetto XIII, e chiese a san Vincenzo di diventare cardinale e suo segretario personale, ma egli non accettò. San Vincenzo iniziò una grande opera di divulgazione della parola del Signore in tutta la penisola iberica, convertendo milioni di persone di fede musulmana ed ebraica. San Vincenzo Ferrer morì il 5 aprile del 1419 a Vannes, un paesino della Bretagna e fu seppellito nella cattedrale della stessa città. Sono

numerose le citazioni e i documenti scritti pervenutici sulle sue gesta e le sue opere tra cui molti miracoli che operò in vita e tanto che fu prima canonizzato e poi santificato nel 1455 grazie al papa Callisto III. A Napoli, San Vincenzo è molto venerato soprattutto nel rione Sanità dove svolse un grande miracolo, ed è conosciuto con il termine benevolo “O'Munacone”. Viene festeggiato sia il 5 aprile, sia la seconda domenica del mese di luglio in onore del miracolo che il santo fece a Napoli.

Vincenzo

Entrando nella nostra Chiesa Parrocchiale si può ammirare il primo altare a destra, l’altare dei Santi, una vera opera d’arte, eretto da Felice Morelli di Albisano, in collaborazione con Pietro Maderna e Ambrogio Pagani (1764 – 1769). Le statue laterali di San Giovanni Nepomuceno, San Luigi Gonzaga e la pala con i Santi Giuseppe, Antonio Abate, Vincenzo Ferrer e Luigi Gonzaga, del veronese Felice Boscaratti, vennero offerti alla chiesa da Almerico Gonzaga dei principi di Castiglione delle Stiviere, allora residente nell’eremo dei Camaldolesi di Garda.

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L’ESPERIENZA VISSUTA DEI

CENTRI DI ASCOLTO

“Dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro, dice Gesù” ( Mt 18,20 ) “Riuniti nel tuo nome” indica che la persona di Gesù, la sua vita e la sua carità diventano lo spazio nel quale ogni comunità parrocchiale, e quindi anche la nostra, prende la stessa “forma” di Gesù, il suo modo di essere in mezzo a noi. Nei quattro incontri vissuti in questa quaresima nella nostra comunità si è verificato qualcosa di molto bello, provare quella gioia, che Dio dona a coloro che fanno dell’amore reciproco il senso del loro stare insieme. I centri di ascolto sono una esperienza da tenere viva, anzi da incoraggiare perché sono già una piccola forma di Chiesa, una presenza che vivifica, ed allarga la fraternità consolidandoci a vicenda. Questi incontri di ascolto della Parola di Dio hanno avuto lo scopo di introdurre ciascuno di noi ad una maggior capacità di leggere la Bibbia “il Vangelo” con profondità, aiutati da schede bibliche proposte dalla nostra Diocesi le quali ci sono state di guida e di formazione. Sappiamo che il maestro interiore è lo Spirito Santo il quale ha guidato ognuno di noi con la sua luce e forza. Nella preghiera e nell’augurio di bene. La tua Parola è lampada ai miei passi. (Sal. 118)

Una partecipante

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Anche questa Quaresima ha permesso a tante persone di accostarsi alla Parola e al mistero che essa racchiude. Possibilità di incontrarsi per riflettere insieme e soprattutto per formarsi ad un ascolto profondo capace di portare ciascuno a leggere la storia quotidiana con uno sguardo “Alto e Altro”.

Per noi Piccole Suore della Sacra Famiglia che viviamo qui nella casa natale del beato Giuseppe Nascimbeni è stata un'occasione per aprire le porte ai veri “padroni” della casa, cioè tutti i paesani, che con noi, sentono il “Bepi” presente e vicino.

È stato molto bello vedere ripopolarsi il “cucinone” nel quale con Amedea e Antonio il piccolo Giuseppe è cresciuto pregando e ascoltando la Parola di Dio. Ed è stato proprio in questo clima familiare che si sono svolti i quattro incontri che hanno permesso di rileggere e comprendere la liturgia domenicale così da poterla sentire aderente alla realtà che viviamo “qui ed ora”.

L'impegno e la passione con i quali ogni partecipante ha vissuto questi incontri è stato per noi motivo di ringraziamento e lode al Signore della vita, e allo stesso tempo un'occasione per lasciarci affascinare dalla dedizione e costanza di molti fratelli e sorelle laici che desiderano e cercano l'unione vera con Dio e la sua Parola, l'unica capace di creare in noi un cuore nuovo.

Grazie nuovamente a tutti e ricordate le porte della casa del Nascimbeni sono sempre aperte!

Le sorelle della fraternità delle pssf di Torri

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“Porrò la mia legge dentro di loro e la scriverò sul loro cuore”. Ger 31,33 La comunità parrocchiale di Torri, grazie allo zelo costante del Parroco don Giuseppe e la disponibilità di alcune famiglie ha offerto ai fedeli, anche in questa Quaresima la possibilità di frequentare i centri di ascolto della Parola. La prima lettura delle Domeniche dell’anno B è stato il tema scelto dalla Diocesi di Verona per la catechesi degli adulti nella Quaresima 2018. È il Signore che passa, che si fa presente con la sua Parola, che non si stanca del suo popolo spesso incostante e infedele.

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Salde e coerenti, nonostante tutto, le figure di Noè, Abramo, Mosè e le varie riflessioni che hanno accompagnato il nostro percorso quaresimale. Il quinto incontro si è concluso nella Chiesa parrocchiale con la Celebrazione dell’Eucaristia, alla quale eravamo tutti invitati a concludere questo itinerario in preparazione alla Pasqua.

L’esperienza è stata positiva, la frequenza dei partecipanti ottima, il luogo nel clima famigliare, sempre accogliente. Un grazie a tutti i partecipanti.

La pasqua che ci prepariamo a celebrare sia per tutti segno di speranza e di vita nuova in Cristo Gesù che per amore ci ha salvati e ci ha donato vita in pienezza con la sua morte e Risurrezione. Buona e Santa Pasqua a tutti.

Una partecipante del Centro Ascolto località Loncrino

RICORDO DI

DON GIOVANNI Don Giovanni è ancora tra noi e la conferma l’ho avuta domenica 4 marzo, in chiesa a Pai in occasione del sedicesimo anniversario dalla sua morte.

Eravamo in molti e la cerimonia commemorativa è stata molto partecipata, alla presenza delle autorità cittadine, di una nutrita rappresentanza del corpo degli alpini, lo era stato anche don Giovanni, inoltre ad animare la celebrazione c’era il coro di Pai, bravi tutti i coristi ben diretti dal maestro Bonoldi, mentre a presiedere la cerimonia vi erano tre sacerdoti che, in momenti diversi, avevano conosciuto e apprezzato le qualità umane di don Giovanni, assente giustificato don Giuseppe, parroco di Torri, per la concomitanza della messa domenicale in parrocchia.

Anche l’omelia si è incentrata su quella che era una, ma non la sola, delle

qualità di don Giovanni cioè la sua capacità di ascoltare e di accogliere tutti, a qualunque ora, solamente con lo scopo di aiutare che si trovava nella necessità, lui era e lo sarà sempre per tutti quelli che lo hanno conosciuto e che a lui si sono rivolti per aiuto il vangelo fatto persona.

Quel motto che campeggia sopra la porta all’interno della chiesa di Pai e che recita “si entra per amare Dio e si esce per amare il prossimo” racchiude in toto l’essenza di don Giovanni.

Lui ha certamente amato Dio, basta rileggere alcune delle sue omelie, questo per coloro che non l’hanno sentito predicare personalmente, per capirlo e certamente da quell’amore ha attinto la forza e l’energia per soccorrere il bisognoso che a lui si rivolgeva, aiuto non solo morale ma anche economico tanto da divenire lui stesso povero tra i poveri.

Per tutti noi lui è già santo e solo le lungaggini burocratiche non l’hanno ancora confermato tale, ma ancora adesso sono convinta che chi si rivolga a lui per aiuto trova un attento e sollecito auditore, che fa da tramite delle nostre istanze al Padre celeste perché ci aiuti nel momento del bisogno.

Alla conclusione della messa il presidente dell’associazione “Amici di don Giovanni”, Giorgio Bertelli, ha rivolto un breve saluto e un ringraziamento a tutti quelli che, a vario titolo, avevano presenziato alla cerimonia, ricordando che al termine della stessa vi sarebbe stato un momento conviviale seguito dal pranzo e rinnovando l’invito a partecipare alla messa di suffragio che ogni mese, alla prima domenica, viene officiata nella chiesa di Pai.

Grazie don Giovanni per il tanto che hai fatto da vivo ed anche per quello che anche oggi a sedici anni dalla tua morte continui in cielo a fare per tutti noi.

Marita

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MESSAGGIO DEL

SANTO PADRE FRANCESCO PER LA 55ª GIORNATA

MONDIALE DI PREGHIERA PER LE VOCAZIONI

Ascoltare, discernere,

vivere la chiamata del Signore Cari fratelli e sorelle, nell’ottobre prossimo si svolgerà la XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che sarà dedicata ai giovani, in particolare al rapporto tra giovani, fede e vocazione. In quell’occasione avremo modo di approfondire come, al centro della nostra vita, ci sia la chiamata alla gioia che Dio ci rivolge e come questo sia «il progetto di Dio per gli uomini e le donne di ogni tempo» (Sinodo dei Vescovi, XV Assemblea Generale Ordinaria, I giovani, la fede e il discernimento vocazionale, Introduzione). Si tratta di una buona notizia che ci viene riannunciata con forza dalla 55ª Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni: non siamo immersi nel caso, né trascinati da una serie di eventi disordinati, ma, al contrario, la nostra vita e la nostra presenza nel mondo sono frutto di una vocazione divina! Anche in questi nostri tempi inquieti, il Mistero dell’Incarnazione ci ricorda che Dio sempre ci viene incontro ed è il Dio-con-noi, che passa lungo le strade talvolta polverose della nostra vita e, cogliendo la nostra struggente nostalgia di amore e di felicità, ci chiama alla gioia. Nella diversità e nella specificità di ogni vocazione, personale ed ecclesiale, si tratta di ascoltare, discernere e vivere questa Parola che ci chiama dall’alto e che, mentre ci permette di far fruttare i nostri talenti, ci rende anche strumenti di salvezza nel mondo e ci orienta alla pienezza della felicità. Questi tre aspetti – ascolto, discernimento e vita – fanno anche da

cornice all’inizio della missione di Gesù, il quale, dopo i giorni di preghiera e di lotta nel deserto, visita la sua sinagoga di Nazareth, e qui si mette in ascolto della Parola, discerne il contenuto della missione affidatagli dal Padre e annuncia di essere venuto a realizzarla “oggi” (cfr Lc 4,16-21).

Ascoltare

La chiamata del Signore – va detto subito – non ha l’evidenza di una delle tante cose che possiamo sentire, vedere o toccare nella nostra esperienza quotidiana. Dio viene in modo silenzioso e discreto, senza imporsi alla nostra libertà. Così può capitare che la sua voce rimanga soffocata dalle molte preoccupazioni e sollecitazioni che occupano la nostra mente e il nostro cuore. Occorre allora predisporsi a un ascolto profondo della sua Parola e della vita, prestare attenzione anche ai dettagli della nostra quotidianità, imparare a leggere gli eventi con gli occhi della fede, e mantenersi aperti alle sorprese dello Spirito. Non potremo scoprire la chiamata speciale e personale che Dio ha pensato per noi, se restiamo chiusi in noi stessi, nelle nostre abitudini e nell’apatia di chi spreca la propria vita nel cerchio ristretto del proprio io, perdendo l’opportunità di sognare in grande e di diventare protagonista di quella storia unica e originale, che Dio vuole scrivere con noi. Anche Gesù è stato chiamato e mandato; per questo ha avuto bisogno di raccogliersi nel silenzio, ha ascoltato e letto la Parola nella Sinagoga e, con la

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luce e la forza dello Spirito Santo, ne ha svelato in pienezza il significato, riferito alla sua stessa persona e alla storia del popolo di Israele. Quest’attitudine oggi diventa sempre più difficile, immersi come siamo in una società rumorosa, nella frenesia dell’abbondanza di stimoli e di informazioni che affollano le nostre giornate. Al chiasso esteriore, che talvolta domina le nostre città e i nostri quartieri, corrisponde spesso una dispersione e confusione interiore, che non ci permette di fermarci, di assaporare il gusto della contemplazione, di riflettere con serenità sugli eventi della nostra vita e di operare, fiduciosi nel premuroso disegno di Dio per noi, di operare un fecondo discernimento. Ma, come sappiamo, il Regno di Dio viene senza fare rumore e senza attirare l’attenzione (cfr Lc 17,21), ed è possibile coglierne i germi solo quando, come il profeta Elia, sappiamo entrare nelle profondità del nostro spirito, lasciando che esso si apra all’impercettibile soffio della brezza divina (cfr 1 Re 19,11-13).

Discernere

Leggendo, nella sinagoga di Nazareth, il passo del profeta Isaia, Gesù discerne il contenuto della missione per cui è stato inviato e lo presenta a coloro che attendevano il Messia: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19). Allo stesso modo, ognuno di noi può scoprire la propria vocazione solo attraverso il discernimento spirituale, un «processo con cui la persona arriva a compiere, in dialogo con il Signore e in ascolto della voce dello Spirito, le scelte

fondamentali, a partire da quella sullo stato di vita» (Sinodo dei Vescovi, XV Assemblea Generale Ordinaria, I giovani, la fede e il discernimento vocazionale, II, 2). Scopriamo, in particolare, che la vocazione cristiana ha sempre una dimensione profetica. Come ci testimonia la Scrittura, i profeti sono inviati al popolo in situazioni di grande precarietà materiale e di crisi spirituale e morale, per rivolgere a nome di Dio parole di conversione, di speranza e di consolazione. Come un vento che solleva la polvere, il profeta disturba la falsa tranquillità della coscienza che ha dimenticato la Parola del Signore, discerne gli eventi alla luce della promessa di Dio e aiuta il popolo a scorgere segnali di aurora nelle tenebre della storia. Anche oggi abbiamo tanto bisogno del discernimento e della profezia; di superare le tentazioni dell’ideologia e del fatalismo e di scoprire, nella relazione con il Signore, i luoghi, gli strumenti e le situazioni attraverso cui Egli ci chiama. Ogni cristiano dovrebbe poter sviluppare la capacità di “leggere dentro” la vita e di cogliere dove e a che cosa il Signore lo sta chiamando per essere continuatore della sua missione.

Vivere

Infine, Gesù annuncia la novità dell’ora presente, che entusiasmerà molti e irrigidirà altri: il tempo è compiuto ed è Lui il Messia annunciato da Isaia, unto per liberare i prigionieri, ridare la vista ai ciechi e proclamare l’amore misericordioso di Dio ad ogni creatura. Proprio «oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Lc 4,20), afferma Gesù. La gioia del Vangelo, che ci apre all’incontro con Dio e con i fratelli, non può attendere le nostre lentezze e pigrizie; non ci tocca se restiamo affacciati alla finestra, con la scusa di aspettare sempre un tempo propizio; né si compie per noi se non ci assumiamo oggi stesso il rischio di una scelta. La vocazione è oggi! La missione cristiana è per il presente! E ciascuno di noi è

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HA RICEVUTO IL BATTESIMO

GAIA

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chiamato – alla vita laicale nel matrimonio, a quella sacerdotale nel ministero ordinato, o a quella di speciale consacrazione – per diventare testimone del Signore, qui e ora. Questo “oggi” proclamato da Gesù, infatti, ci assicura che Dio continua a “scendere” per salvare questa nostra umanità e farci partecipi della sua missione. Il Signore chiama ancora a vivere con Lui e andare dietro a Lui in una relazione di speciale vicinanza, al suo diretto servizio. E se ci fa capire che ci chiama a consacrarci totalmente al suo Regno, non dobbiamo avere paura! È bello – ed è una grande grazia – essere interamente e per sempre consacrati a Dio e al servizio dei fratelli. Il Signore continua oggi a chiamare a seguirlo. Non dobbiamo aspettare di essere perfetti per rispondere il nostro generoso “eccomi”, né spaventarci dei nostri limiti e dei nostri peccati, ma accogliere con cuore aperto la voce del Signore. Ascoltarla, discernere la nostra missione personale nella Chiesa e nel mondo, e infine viverla nell’oggi che Dio ci dona. Maria Santissima, la giovane fanciulla di periferia, che ha ascoltato, accolto e vissuto la Parola di Dio fatta carne, ci custodisca e ci accompagni sempre nel nostro cammino.

Dal Vaticano, 3 dicembre 2017 Prima Domenica di Avvento

23 FEBBRAIO – 2 MARZO

PELLEGRINAGGIO IN

TERRA SANTA

sulle orme di Cristo

Con un folto gruppo di pellegrini di Torri e di altre provenienze, abbiamo camminato ove camminò Gesù nella sua vita terrena. Un’esperienza indimenticabile, sia per chi già c’era stato, sia per chi è stata la prima volta. Emozioni dopo emozioni i giorni sono volati in un clima di profonda commozione, amicizia, condivisione, fraternità. Sentendo, vedendo, contemplando, rivivendo il Vangelo passo dopo passo. Oso dire che si sentiva la viva voce di Gesù quando il Sacerdote che ci accompagnava, leggeva e meditava il passo del Vangelo del luogo che si stava visitando: Nazareth, la casa di Maria, il Basilica dell’Annunciazione, il Tabor, Cafarnao, il lago di Tiberiade, il Calvario, il sepolcro vuoto… L’esperienza della Via Crucis, lungo la via dolorosa, tra il vociare di una folla multietnica, tra passanti frettolosi, tra venditori ammiccanti, è stata molto toccante. Così passò Gesù su quella via con la croce sulle spalle per giungere al calvario dove versò tutto il suo sangue per la nostra salvezza. Pure significativo il rinnovo delle promesse battesimali al Giordano, come il rinnovo, per le coppie di sposi presenti, delle promesse matrimoniali a Cana di Galilea. Concludo: il pellegrinaggio in Terrasanta incomincia quando finisce, quando torni a casa. Là fai una scorpacciata di emozioni, immagini, impressioni, idee, notizie. Si è quasi storditi dalle tante cose viste e udite. A casa poi, è come scendere dal Tabor come Giacomo, Giovanni e

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Pietro, dopo la Trasfigurazione di Gesù, tutto è come prima intorno a te, niente è come prima dentro di te!

Aldina

PS. Andate, se potete, in Terrasanta!

◊◊◊ ◊◊◊ ◊◊◊

Da qualche giorno il nostro pellegrinaggio è terminato, ma le emozioni sono tuttora molto forti e con questo stato d'animo voglio raccontare la mia esperienza. La Terra Santa ti accoglie in maniera molto distratta all'inizio, poi capisci che il tuo approccio deve essere intimo, è un viaggio interiore e i posti che visitiamo trasmettono esperienze molto diverse. Ognuno di noi ha reagito in maniera personale a secondo del luogo in cui eravamo; tutto era spontaneo e le emozioni si manifestavano improvvise. Bastava un piccolo gesto perché le nostre sicurezze venissero meno; alla presentazione del Bambino Gesù ho visto persone piangere, cantare con gli occhi lucidi, attaccarsi ad una roccia e faticare ad abbandonarla. Sicuramente questo viaggio aiuta molto un cristiano, rafforza la sua fede e l'amore per il nostro Signore; ti fa capire quanto Gesù ha sofferto e soprattutto che lo ha fatto per noi. Personalmente ho capito che questa terra ha molti problemi e contrasti, ma credo che proprio da qui si possa iniziare ad imparare a convivere, nonostante le differenze che sembra ci dividano.

Le mie ultime parole sono per ringraziare il nostro gruppo, soprattutto i miei paesani, per la grande cordialità che c'è stata tra noi; per l'ottima organizzazione di Saxum; per le significative omelie del nostro accompagnatore spirituale dell'Opus Dei Don Domenico e per il nostro Signore che ci ha permesso che tutto andasse bene.

Massimo

◊◊◊ ◊◊◊ ◊◊◊

Dal 23 febbraio al 2 marzo siamo andati in Terra Santa. Una bellissima esperienza sotto tutti i punti di vista. La seconda sera che eravamo a Nazareth a due passi dal nostro albergo, sul Sagrato della Chiesa dell’Annunciazione, la Diocesi organizza come ogni venerdì una fiaccolata con la recita del Rosario coinvolgendo un mare di persone per lo più giovani da ogni parte del mondo e pieni di entusiasmo. Il Rosario veniva recitato a turno da una nazione diversa ed era commovente sentir rispondere ognuno nella propria lingua. Quella sera mi sono reso conto della potenza della preghiera comunitaria che non conosce ostacoli e unisce popoli, paesi e culture diversi coinvolgendoli tutti sotto l'unico comune denominatore: l'amore.

Mario

◊◊◊ ◊◊◊ ◊◊◊

Una delle tante emozioni vissuta in quei giorni è stata l’esperienza del deserto di Giuda.

Seduta in solitudine, guardavo l’orizzonte e pensavo: sto vedendo quello che tu Gesù hai visto per 40 giorni, solo, in preghiera!

Mi sono commossa profondamente e mi ha preso il desiderio di fermare il tempo, di restare lì in preghiera fino all’alba.

Oggi però, riflettendo, mi rendo conto che la grazia più grande che ho avuto non è stata vedere cose, paesaggi, etc. ma vederli con lo stesso sguardo di Gesù.

Così gli orizzonti sono diversi, cambiati, ma soprattutto “Tu” sei cambiato e la vita ha una ragione diversa, più vera!

Agnese

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A 25 ANNI DALLA MORTE

DI DON TONINO BELLO

DON TONINO BELLO,

IL PASTORE SCOMODO CHE

MARCIÒ CONTRO LA GUERRA

Un vescovo dalle scelte forti e coraggiose

Un prete, un parroco, un pastore

scomodo. Monsignor Antonio Bello, per

tutti “don Tonino” è stato un vescovo

dalle scelte forti e coraggiose, ma

profondamente innamorato di Gesù e

della Chiesa. Sua l’espressione Chiesa del

grembiule, a testimoniare il dovere, la

bellezza, di stare sempre dalla parte degli

ultimi. Sempre sua la plastica immagine

di convivialità delle differenze, definire lo

stile del dialogo, fatto di ascolto e

condivisione. Teologo e scrittore

sensibilissimo, lo si ricorda anche per le

bellissime pagine dedicate a Maria e per la

forza con cui ha ribadito più volte il

proprio no alla guerra e alla corsa agli

armamenti.

Nato ad Alessano, nel Leccese, il 18 marzo

1935, figlio di un maresciallo dei carabinieri

e di una casalinga dalla fede semplice e

grande, don Tonino frequenta il Seminario

prima a Ugento, poi a Molfetta ricevendo

l’ordinazione sacerdotale l’8 dicembre

1957. Nella sua prima stagione da giovane

prete della diocesi di Ugento-Santa Maria

di Leuca gli fu affidata la formazione dei

giovani del Seminario diocesano di cui fu

per 22 anni vice-rettore. Nel 1978 fu

nominato amministratore della parrocchia

del Sacro Cuore di Ugento, e l’anno

successivo parroco della Chiesa Matrice di

Tricase. Un incarico pastorale nel quale si

mostrò particolarmente attento ai temi

della povertà e del disagio.

Il 10 agosto 1982 fu nominato vescovo di

Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi e, il 30

settembre dello stesso anno, della diocesi

di Ruvo diventando al momento

dell’unificazione delle quattro Chiese locali

il primo pastore di Molfetta-Giovinazzo-

Ruvo-Terlizzi. L’ordinazione episcopale

porta la data del 30 ottobre 1982. Tre anni

più tardi è chiamato alla presidenza di Pax

Christi.

La rinuncia ai segni esteriori del potere

Sin dall’inizio il suo ministero episcopale fu

caratterizzato dalla rinuncia ai segni

esteriori del potere. Comunione,

evangelizzazione e scelta degli ultimi sono i

perni su cui svilupperà la sua idea

testimonianza di fede al servizio di una

Chiesa davvero in uscita, per utilizzare

un’immagine cara a papa Francesco. Non a

caso promosse la costituzione di gruppi

Caritas in tutte le parrocchie della diocesi,

fondò una comunità per la cura delle

tossicodipendenze, lasciò sempre aperti gli

uffici dell’episcopio.

Le campagne per il disarmo e l'obiezione

di coscienza

Ma fecero scalpore anche sue prese di

posizioni pubbliche come la vicinanza agli

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Don Tonino Bello, vescovo di

Molfetta Ruvo Giovinazzo Terlizzi

operai delle acciaierie di Giovinazzo in lotta

per il lavoro, la partecipazione alla marcia

di Comiso per dire no ai missili,

l’opposizione all’installazione degli F16 a

Crotone e degli Jupiter a Gioia del Colle. E

poi le campagne per il disarmo, per

l’obiezione fiscale alle spese militari,

soprattutto la marcia pacifica a Sarajevo, di

cui fu ispiratore e guida malgrado la

malattia che lo consumava. Partito da

Ancona insieme a 500 volontari il 7

dicembre 1992 si fece promotore di quella

che definiva un’altra Onu, fatta dai popoli,

dalla base. Celebre il discorso tenuto a

Sarajevo, città sotto assedio: ”Noi siamo

qui - disse - allineati su questa grande idea,

quella della nonviolenza attiva (…).Noi qui

siamo venuti a portare un germe: un

giorno fiorirà (…). Gli eserciti di domani

saranno questi: uomini disarmati”. Pochi

mesi dopo, il 20 aprile 1993 morì ucciso dal

cancro.

Scrittore e poeta molto amato, Bello è

stato anche fondatore della rivista

"Mosaico di pace". Dopo il via libera della

Congregazione delle cause dei santi, il 30

aprile 2010 nella Cattedrale di Molfetta si è

aperta la fase diocesana della sua causa di

beatificazione.

Adriana

IL LENZUOLO PIÙ MISTERIOSO DEL MONDO

LA SINDONE

Proponiamo la lettura del famoso

discorso di San Giovanni Paolo II, tenuto durante il pellegrinaggio alla

Sindone di Torino.

Carissimi Fratelli e Sorelle! Con lo sguardo rivolto alla Sindone, desidero salutare cordialmente tutti voi, fedeli della Chiesa torinese. Saluto i pellegrini che durante il periodo di questa ostensione vengono da ogni parte del mondo per contemplare uno dei segni più sconvolgenti dell'amore sofferente del Redentore. Entrando nel Duomo, che mostra ancora le ferite prodotte dal terribile incendio di un anno fa, mi sono fermato in adorazione davanti all'Eucaristia, il Sacramento che sta al centro delle attenzioni della Chiesa e che, sotto apparenze umili, custodisce la presenza vera, reale e sostanziale di Cristo. Alla luce della presenza di Cristo in mezzo a noi, ho sostato poi davanti alla Sindone, il prezioso Lino che può esserci di aiuto per meglio capire il mistero dell'amore del Figlio di Dio per noi. Davanti alla Sindone, immagine intensa e struggente di uno strazio inenarrabile, desidero rendere grazie al Signore per questo dono singolare, che domanda al credente attenzione amorosa e disponibilità piena alla sequela del Signore. La Sindone è provocazione all'intelligenza. Essa richiede innanzitutto l'impegno di ogni uomo, in particolare del ricercatore, per cogliere con umiltà il messaggio profondo inviato alla sua ragione ed alla sua vita. Il fascino misterioso esercitato dalla Sindone spinge a formulare domande sul rapporto tra il sacro Lino e la vicenda storica di Gesù. Non trattandosi di una materia di fede, la Chiesa non ha competenza specifica per pronunciarsi su

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tali questioni. Essa affida agli scienziati il compito di continuare ad indagare per giungere a trovare risposte adeguate agli interrogativi connessi con questo Lenzuolo che, secondo la tradizione, avrebbe avvolto il corpo del nostro Redentore quando fu deposto dalla croce. La Chiesa esorta ad affrontare lo studio della Sindone senza posizioni precostituite, che diano per scontati risultati che tali non sono; li invita ad agire con libertà interiore e premuroso rispetto sia della metodologia scientifica sia della sensibilità dei credenti. Ciò che soprattutto conta per il credente è che la Sindone è specchio del Vangelo. In effetti, se si riflette sul sacro Lino, non si può prescindere dalla considerazione che l'immagine in esso presente ha un rapporto così profondo con quanto i Vangeli raccontano della passione e morte di Gesù che ogni uomo sensibile si sente interiormente toccato e commosso nel contemplarla. Chi ad essa si avvicina è, altresì, consapevole che la Sindone non arresta in sé il cuore della gente, ma rimanda a Colui al cui servizio la Provvidenza amorosa del Padre l'ha posta. Pertanto, è giusto nutrire la consapevolezza della preziosità di questa immagine, che tutti vedono e nessuno per ora può spiegare. Per ogni persona pensosa essa è motivo di riflessioni profonde, che possono giungere a coinvolgere la vita. La Sindone costituisce così un segno veramente singolare che rimanda a Gesù, la Parola vera del Padre, ed invita a modellare la propria esistenza su quella di Colui che ha dato sé stesso per noi. Nella Sindone si riflette l'immagine della sofferenza umana. Essa ricorda all'uomo moderno, spesso distratto dal benessere e dalle conquiste tecnologiche, il dramma di tanti fratelli, e lo invita ad interrogarsi sul mistero del dolore per approfondirne le cause. L'impronta del corpo martoriato del Crocifisso, testimoniando la tremenda capacità dell'uomo di procurare dolore e morte ai suoi simili, si pone come l'icona della sofferenza dell'innocente di tutti i tempi: delle innumerevoli tragedie che

hanno segnato la storia passata, e dei drammi che continuano a consumarsi nel mondo. Davanti alla Sindone, come non pensare ai milioni di uomini che muoiono di fame, agli orrori perpetrati nelle tante guerre che insanguinano le Nazioni, allo sfruttamento brutale di donne e bambini, ai milioni di esseri umani che vivono di stenti e di umiliazioni ai margini delle metropoli, specialmente nei Paesi in via di sviluppo? Come non ricordare con smarrimento e pietà quanti non possono godere degli elementari diritti civili, le vittime della tortura e del terrorismo, gli schiavi di organizzazioni criminali? Evocando tali drammatiche situazioni, la Sindone non solo ci spinge ad uscire dal nostro egoismo, ma ci porta a scoprire il mistero del dolore che, santificato dal sacrificio di Cristo, genera salvezza per l'intera umanità. La Sindone è anche immagine dell'amore di Dio, oltre che del peccato dell'uomo. Essa invita a riscoprire la causa ultima della morte redentrice di Gesù. Nell'incommensurabile sofferenza da essa documentata, l'amore di Colui che "ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (Gv 3,16) si rende quasi palpabile e manifesta le sue sorprendenti dimensioni. Dinanzi ad essa i credenti non possono non esclamare in tutta verità: "Signore, non mi potevi amare di più!", e rendersi subito conto che responsabile di quella sofferenza è il peccato: sono i peccati di ogni essere umano.

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Parlandoci di amore e di peccato, la Sindone invita tutti noi ad imprimere nel nostro spirito il volto dell'amore di Dio, per escluderne la tremenda realtà del peccato. La contemplazione di quel Corpo martoriato aiuta l'uomo contemporaneo a liberarsi dalla superficialità e dall'egoismo con cui molto spesso tratta dell'amore e del peccato. Facendo eco alla parola di Dio ed a secoli di consapevolezza cristiana, la Sindone sussurra: credi nell'amore di Dio, il più grande tesoro donato all'umanità, e fuggi il peccato, la più grande disgrazia della storia. La Sindone è anche immagine di impotenza: impotenza della morte, in cui si rivela la conseguenza estrema del mistero dell'Incarnazione. Il telo sindonico ci spinge a misurarci con l'aspetto più conturbante del mistero dell'Incarnazione, che è anche quello in cui si mostra con quanta verità Dio si sia fatto veramente uomo, assumendo la nostra condizione in tutto, fuorché nel peccato. Ognuno è scosso dal pensiero che nemmeno il Figlio di Dio abbia resistito alla forza della morte, ma tutti ci commuoviamo al pensiero che egli ha talmente partecipato alla nostra condizione umana da volersi sottoporre all'impotenza totale del momento in cui la vita si spegne. È l'esperienza del Sabato Santo, passaggio importante del cammino di Gesù verso la Gloria, da cui si sprigiona un raggio di luce che investe il dolore e la morte di ogni uomo. La fede, ricordandoci la vittoria di Cristo, ci comunica la certezza che il sepolcro non è il traguardo ultimo dell'esistenza. Dio ci chiama alla risurrezione ed alla vita immortale. La Sindone è immagine del silenzio. C'è un silenzio tragico dell'incomunicabilità, che ha nella morte la sua massima espressione, e c'è il silenzio della fecondità, che è proprio di chi rinuncia a farsi sentire all'esterno per raggiungere nel profondo le radici della verità e della vita. La Sindone esprime non solo il silenzio della morte, ma anche il silenzio coraggioso e fecondo del superamento dell'effimero, grazie all'immersione totale

nell'eterno presente di Dio. Essa offre così la commovente conferma del fatto che l'onnipotenza misericordiosa del nostro Dio non è arrestata da nessuna forza del male, ma sa anzi far concorrere al bene la stessa forza del male. Il nostro tempo ha bisogno di riscoprire la fecondità del silenzio, per superare la dissipazione dei suoni, delle immagini, delle chiacchiere che troppo spesso impediscono di sentire la voce di Dio. Carissimi Fratelli e Sorelle! … il motto di questa Ostensione solenne recita queste parole: "Tutti gli uomini vedranno la tua salvezza". Sì, il pellegrinaggio che folle numerose vanno compiendo verso questa Città è proprio un "venire a vedere" questo segno tragico ed illuminante della Passione, che annuncia l'amore del Redentore. Questa icona del Cristo abbandonato nella condizione drammatica e solenne della morte, che da secoli è oggetto di significative raffigurazioni e che da cento anni, grazie alla fotografia, è diffusa in moltissime riproduzioni, esorta ad andare al cuore del mistero della vita e della morte per scoprire il messaggio grande e consolante che ci è in essa consegnato. La Sindone ci presenta Gesù al momento della sua massima impotenza, e ci ricorda che nell'annullamento di quella morte sta la salvezza del mondo intero. La Sindone diventa così un invito a vivere ogni esperienza, compresa quella della sofferenza e della suprema impotenza, nell'atteggiamento di chi crede che l'amore misericordioso di Dio vince ogni povertà, ogni condizionamento, ogni tentazione di disperazione. Lo Spirito di Dio, che abita nei nostri cuori, susciti in ciascuno il desiderio e la generosità necessari per accogliere il messaggio della Sindone e per farne il criterio ispiratore dell'esistenza. Con questi auspici, imparto a tutti voi, ai pellegrini che visiteranno la Sindone ed a quanti sono spiritualmente ed idealmente uniti intorno a questo segno sorprendente dell'amore del Cristo, una speciale Benedizione Apostolica.

Domenica, 24 maggio 1998

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A P P U N T A M E N T I A P R I L E 2 0 1 8

OGNI DOMENICA ore 10.00: S. MESSA DELLE FAMIGLIE. ore 17.00: VESPERO e ADORAZIONE EUCARISTICA

OGNI LUNEDÌ ore 9.00 - 11.00: CONFESSIONI.

ore 11.00 – 12.00: ADORAZIONE EUCARISTICA.

OGNI MARTEDÌ ore 15.30: CATECHESI I MEDIA - ore 16.30: CATECHESI CRESIMANDI.

OGNI GIOVEDÌ ore 15.00: CATECHISMO SCUOLA ELEMENTARE - ore 16.30: CATECHESI CRESIMANDI. ore 17.00: ADORAZIONE EUCARISTICA.

OGNI SABATO ore 15.00 - 18.00: TEMPO PER LE CONFESSIONI.

DOMENICA 1 SOLENNITÀ - PASQUA DI RISURREZIONE

LUNEDÌ 2 LUNEDÌ DELL’ANGELO

S. Messe ore 10.00 – 18.00

DOMENICA 8 DOMENICA DELLA DIVINA MISERICORDIA

MERCOLEDÌ 11 ore 20.00: Incontro di preghiera in onore di S. Antonio

MERCOLEDÌ 25

SAN MARCO EVANGELISTA - FESTA PATRONALE A PAI ore 10.00 S. MESSA SOLENNE, PROCESSIONE E

BENEDIZIONE DI AUTO E MOTO.

Bol le t t ino d i in f ormazione Parrocch ia l e s tampato in p rop r io

La Redaz ione: Don Giuseppe Cacc ia tor i – Dan ie la P ippa – Anna Menapace – Rosanna Zano l l i - Col laboraz ione fotograf i ca: Mar io Gi ra rd i - Impaginato e stampato da: Dan ie la P ippa