Maggio 2011 - Anno 13 (n° 150) - PARROCCHIA DI TORRI DEL...

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E’ la festa della vita nuova. La Pasqua ci riconduce alle sorgenti della nostra fede. Tutto nel cristianesimo è pasquale: il dogma, la morale, il culto. Il dogma è l’annuncio della risurrezione: la morale è la vita dei risorti con Cristo: il culto è la ritualizzazione del mistero pasquale. Pasqua è la festa della fede: la pietra scartata dai costruttori è diventata la pietra angolare: il fondamento della nostra fede: Cristo vive oggi con noi. All’origine c’è un fatto storico, preciso, documentato. Anche se eccezionale. Gesù di Nazaret, il figlio di Maria, è stato crocifisso, ed è morto: il suo cadavere, avvolto nella sindone, è stato posto nel sepolcro, sbarrato da un macigno, sigillato ufficialmente e custodito dalla guardia dei soldati romani. Sembra tutto finito, è stato sconfitto dalla morte; è stato tolto da tutti quelli che lo amavano e che credevano in lui. Un vuoto desolante era succeduto allo splendore della sua presenza; una immensa delusione li aveva colpiti. Ma ecco il rovesciamento della situazione ; questo Gesù, morto e sepolto, il terzo giorno è uscito dal sepolcro, si è mostrato ai suoi discepoli, ha parlato e mangiato con loro, ha compiuto il prodigio più inaudito e ha dimostrato di essere il Messia, il Signore, il Figlio di Dio, il primogenito della nuova umanità. Fatto inaudito, ma quanto storicamente provato! Per cui Paolo, nell’anno 54, appena vent’anni dopo l’avvenimento, poteva scrivere alla comunità di Corinto, senza paura di essere smentito: “vi ho trasmesso quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati… fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno, secondo le Scritture, e che apparve a Cefa (Pietro) e quindi anche ai dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora…”. Del resto, come è stupendamente semplice, eppure profondamente efficace, nella sua sobrietà, il racconto degli avvenimenti del mattino di Pasqua. Maria di Magdala va al sepolcro di primo mattino, vede la tomba aperta, le guardie scomparse, il sepolcro vuoto: corre a riferirlo a Pietro e a Giovanni: I due si precipitano al sepolcro: il cadavere non c’è più, ma non è stato trafugato. Difatti il lenzuolo e le bende che l’avvolgevano sono piegate in un angolo in disparte. Pietro si meraviglia Giovanni vede e crede. Poi il racconto continua. Le altre donne che erano andate al sepolcro con gli aromi, vedono la pietra rovesciata e hanno dagli angeli l’annuncio. “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto, come aveva predetto”. La loro testimonianza è giunta fino a noi. Noi cristiani del 2000 siamo gli eredi di quell’annunzio di vita e di vittoria: lo raccogliamo e lo ripetiamo per la speranza del mondo. Cristo, il Risorto, vive oggi con noi. Per questo Pasqua è festa di vita nuova, vita di gioia. Don Giuseppe Maggio 2011 - Anno 13 (n° 150) Mensile della Comunità Parrocchiale di Torri del Benaco

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E’ la festa della vita nuova. La Pasqua ci riconduce alle sorgenti della nostra fede. Tutto nel cristianesimo è pasquale: il dogma, la morale, il culto. Il dogma è l’annuncio della risurrezione: la morale è la vita dei risorti con Cristo: il culto è la ritualizzazione del mistero pasquale. Pasqua è la festa della fede: la pietra scartata dai costruttori è diventata la pietra angolare: il fondamento della nostra fede: Cristo vive oggi con noi. All’origine c’è un fatto storico, preciso, documentato. Anche se eccezionale. Gesù di Nazaret, il figlio di Maria, è stato crocifisso, ed è morto: il suo cadavere, avvolto nella sindone, è stato posto nel sepolcro, sbarrato da un macigno, sigillato ufficialmente e custodito dalla guardia dei soldati romani. Sembra tutto finito, è stato sconfitto dalla morte; è stato tolto da tutti quelli che lo amavano e che credevano in lui. Un vuoto desolante era succeduto allo splendore della sua presenza; una immensa delusione li aveva colpiti. Ma ecco il rovesciamento della situazione ; questo Gesù, morto e sepolto, il terzo giorno è uscito dal sepolcro, si è mostrato ai suoi discepoli, ha parlato e mangiato con loro, ha compiuto il prodigio più inaudito e ha dimostrato di essere il Messia, il Signore, il Figlio di Dio, il primogenito della nuova umanità. Fatto inaudito, ma quanto storicamente provato! Per cui Paolo, nell’anno 54, appena vent’anni dopo l’avvenimento, poteva scrivere alla comunità di Corinto,

senza paura di essere smentito: “vi ho trasmesso quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati… fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno, secondo le Scritture, e che apparve a Cefa (Pietro) e quindi anche ai dodici. In seguito apparve a più di cinquecento

fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora…”. Del resto, come è stupendamente semplice, eppure profondamente

efficace, nella sua sobrietà, il racconto degli avvenimenti del

mattino di Pasqua. Maria di Magdala va al sepolcro di primo

mattino, vede la tomba aperta, le guardie scomparse, il sepolcro vuoto: corre a riferirlo a Pietro e

a Giovanni: I due si precipitano al sepolcro: il cadavere non c’è più, ma non è stato trafugato. Difatti il lenzuolo e le bende che l’avvolgevano sono

piegate in un angolo in disparte. Pietro si meraviglia Giovanni vede e crede. Poi il racconto continua.

Le altre donne che erano andate al sepolcro con gli aromi, vedono la pietra rovesciata e hanno dagli angeli l’annuncio. “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto, come aveva predetto”. La loro testimonianza è giunta fino a noi. Noi cristiani del 2000 siamo gli eredi di quell’annunzio di vita e di vittoria: lo raccogliamo e lo ripetiamo per la speranza del mondo. Cristo, il Risorto, vive oggi con noi. Per questo Pasqua è festa di vita nuova, vita di gioia.

Don Giuseppe

Maggio 2011 - Anno 13 (n° 150)

Mensile della Comunità Parrocchiale di Torri del Benaco

Cristo è Risorto

Al tempo della propaganda antireligiosa, in Russia, un commissario del popolo aveva presentato brillantemente le ragioni del successo definitivo della scienza. Si celebrava il primo viaggio spaziale. Era il momento di gloria del primo cosmonauta, Gagarin. Ritornato sulla terra, aveva affermato che aveva avuto un bel cercare, in cielo: Dio proprio non l’aveva visto. Il commissario tirò la conclusione proclamando la sconfitta definitiva della religione. Il salone era gremito di gente. La riunione era ormai alla fine. “Ci sono delle domande?”.

Dal fondo della sala un vecchietto che aveva seguito il discorso con molta attenzione disse sommessamente: “Christòs ànesti”, “Cristo è risorto”. Il suo vicino ripeté, un po’ più forte: “Christòs ànesti”. Un altro si alzò e lo gridò; poi un altro e un altro ancora. Infine tutti si alzarono gridando: “Christòs ànesti”, “Cristo è risorto”. Il commissario si ritirò confuso e sconfitto. Al di là di tutte le dottrine e di tutte le discussioni, c’è un fatto. Per la sua descrizione basterà sempre un francobollo: Christòs ànesti. Tutto il cristianesimo vi è condensato. Un fatto: non si può niente contro di esso. I filosofi possono disinteressarsi del fatto. Ma non esistono altre parole capaci di dar slancio all’umanità:

Gesù è risorto

Buona Pasqua nel Signore!

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Domenica 10 Aprile noi bambini della classe terza abbiamo ricevuto il Sacramento della Riconciliazione. Il cammino di preparazione per avvicinarci alla prima confessione è stato lungo ed interessante: ha coinvolto noi è le nostre famiglie che hanno partecipato agli incontri, tenuti dal nostro parroco Don Giuseppe, al giovedì pomeriggio. Non è stato facile per noi capire subito cosa significa commettere dei peccati ma,grazie ,alla nostra catechista e a Don Giuseppe abbiamo capito che peccare significa commettere una trasgressione, un’offesa contro Dio che è Amore. Questa disobbedienza ci allontana dalla legge dall’Amore indicata da Dio attraverso i 10 Comandamenti. Quando domenica siamo entrati in chiesa, accompagnati dalle nostre famiglie, molti di noi erano agitati, impauriti, temevano di non ricordare ciò che ci era stato detto di

fare, o peggio, di non saper cosa dire. Ma quando siamo saliti sull’altare e ci siamo inginocchiati, davanti a Don Giuseppe o davanti a Don Tiziano, la paura è passata e le parole sono uscite tranquillamente dal nostro cuore. È stato emozionante, finita la confessione, scendere dall’altare accendere il lume e vedere che tutti i nostri cari erano lì a vederci e a pregare per noi. È stato un bel giorno di Festa per noi, per le nostre famiglie e per tutta la comunità di Torri. Ora abbiamo ottenuto il Perdono di Dio ma è necessario ricordare sempre che bisogna essere pentiti del peccato e dobbiamo impegnarci a non farlo più.

Tommaso, Gaia, Davide, Sara, Sofia, Valentino, Celeste, Giulia, Andrea,

Andrea Nicole, Emanuele, Rebecca, Marta, Lorenzo, Angela, Alessandra

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Per Pasqua è arrivato questo augurio alla nostra Comunità Parrocchiale, in

particolare è rivolto a tutti gli Adolescenti e giovani di Torri.  In questa settimana ci giochiamo l’eternità, con la speranza e la certezza che Lui ha vinto la morte, continuiamo a credere nel Suo amore infinito che vince anche quando c’è fallimento.

«Se nonostante tutto siamo ottimisti è perché Cristo è risorto!

Se spero in un mondo migliore è perché Cristo è risorto!

Se non mi spavento di me stesso è perché Cristo è risorto!

Un augurio a voi: sentite Cristo risorto

anche per ognuno di voi e per tutti i vostri cari».

(Un giovane prete, don Franco Delpiano, anche di fronte a una diagnosi che fissava il termine della sua vita, ha saputo scrivere)  Che sia una pasqua-festa di vita così anche per noi, e i nostri giovani.   

“Se nonostante tutto siamo ottimisti

è perché Cristo è risorto!”

Con tutto il bene, Suor Nazzarena

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LA VISITAZIONE La festa della visitazione, che il calendario liturgico pone nell’ultimo giorno di Maggio, vuole essere quasi un riepilogo degli insegnamenti che Maria ci ha offerto lungo tutto il mese a Lei dedicato. 1. Maria ci insegna la fede. Il cantico

profetico di Elisabetta. “piena di Spirito Santo”, si apre con una benedizione che anche noi ripetiamo nell’Ave Maria: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo”, e prosegue con una beatitudine, la prima del Vangelo: “Beata te che hai creduto”. Ha creduto al progetto di Dio che l’angelo le aveva annunziato. Maria non è beata perché la vita le ha risparmiato la croce: sappiamo quanto ha dovuto soffrire. Non è beata perché le è stat risparmiata la fatica del credere, anzi per lei credere è stato certamente più difficile che per noi. “ Maria ha creduto con una particolare fatica del cuore” , coì dice Giovanni Paolo II Nella Redemptoris Mater. Maria è beata perché ha creduto che era stata scelta per essere la Madre del Figlio di Dio incarnato per essere il Salvatore del mondo. Questa capacità di credere alle meraviglie di Dio, è una delle caratteristiche della vera fede. Noi siamo disponibili a credere quando le cose che Dio dispone superano ogni visione umana?

2. Maria ci insegna la carità fattiva, il

vero amore del prossimo, l’umile servizio per aiutare gli altri. Il racconto evangelico ci dice che, subito dopo l’annuncio dell’angelo, Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città della Giudea, dove abitava la sua anziana cugina Elisabetta, prossima a diventare madre. Riflettiamo: tutto quello che poteva sembrare importante per Maria, dopo l’annuncio dell’angelo, passa per lei in secondo piano, rispetto alla carità. Aveva appena detto” Eccomi , sono la serva del Signore”, ma sa che non si può separare il servizio a Dio da quello dei fratelli. Maria è tempestiva nel suo aiuto. Il Vangelo dice che “va in fretta”; era un

cammino né facile né breve: tra Nazret e Ain Karim, un paese tra i monti, dove abitava Elisabetta,ci sono più di 100 Km. Eppure Maria va in fretta: è impaziente di aiutare la sua parente e di portare a lei per prima l’annuncio che i tempi nuovi sono iniziati, impaziente di portare Gesù. Vedete che la fede di Maria si traduce nelle opere, ispira la vita, muove all’annuncio della buona notizia e porta al servizio del prossimo. Il viaggio di Maria ci insegna a metterci in cammino, ad uscire allo scoperto, fuori del nostro egoismo; ci insegna ad avere occhi per vedere le necessità dei fratelli e cuore per andare loro incontro.

Maria ci insegna a pregare. Noi preghiamo poco e male: noi preghiamo quasi unicamente per chiedere. La Vergine Maria, col suo Magnificat ci insegna che la preghiera è soprattutto lode, ammirazione, ringraziamento. Una preghiera legata alla vita: espressione che gli avvenimenti del giorno suscitano in noi. Una preghiera che impegna. Mettiamoci dunque alla scuola di Maria

Susanna

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ELOGIO DEL FIORETTO

“Papà, che cos’è un fioretto?”. La domanda è arrivata a bruciapelo a un mio amico quarantenne dal figlio che in classe (quarta elementare) ha sentito pronunciare quella parola dal suo compagno di banco, che gli aveva confidato di come – durante la Quaresima – si fosse impegnato con un fioretto non da poco: niente TV per tre giorni alla settimana. Sacrificio che sta costando fatica al bambino, e che ha incuriosito il figlio del mio amico, digiuno della materia in quanto cresciuto in una famiglia sostanzialmente agnostica. “Che cos’è un fioretto?”. Alla mente del mio amico si sono affacciati lontani ricordi d’infanzia, i piccoli-grandi impegni assunti solennemente durante le sue quaresime degli anni Settanta. A volte riusciva a onorarli, a volte no. Nati da una volontà e da uno spirito di sacrificio di cui va ancora fiero, ma di cui ha smarrito la ragione, come lui stesso ha amaramente ammesso quando me ne ha parlato: “Non so più perché ne valga la pena…” Un tempo (non secoli fa) erano piuttosto diffusi, i fioretti. Pratica abituale in Quaresima e non solo. Tra i piccoli, ma anche tra gli adulti. Oggi sono una rarità, guardati con sufficienza, con un sorriso di compatimento a stento trattenuto, considerati alla stregua di un ferrovecchio spirituale. Quasi spazzati via dalla secolarizzazione che ha relegato Dio a soprammobile nel salotto buono dei valori, qualcosa che c’è ma, in fondo, poi non conta così tanto nel giorno per giorno. Fare un sacrificio, perché? Per chi? In nome di cosa? Le domande bussano insistenti alla mente del mio amico quarantenne, provocato dalla domanda del figlio a trovare una risposta convincente. E diventano una sfida anche per me. C’è un modo di vivere il sacrificio come un “di meno”, un fattore ultimamente negativo, che nasce da una concezione riduttiva del cristianesimo inteso come una sorte di prontuario del “non fare”. Una concezione oggi piuttosto diffusa (anche tra certi cattolici). Nel libro-intervista con Peter

Seewald Luce nel mondo, Benedetto XVI dice: “Tutta la mia vita è sempre stata attraversata da un filo conduttore: il Cristianesimo dà gioia, allarga gli orizzonti. In definitiva, un’esistenza vissuta sempre e soltanto “contro” sarebbe insopportabile”.Ci sono vari modi per ridurre, anche involontariamente, la portata educativa del fioretto: concepirlo come una rinuncia fine a sé stessa o, al massimo, orientata a irrobustire la volontà personale. Oppure quasi all’opposto. Come qualcosa che si fa “per gli altri” (risparmio per dare un contributo ad un’opera meritoria, riduco gli sprechi di energia e di acqua per salvaguardare l’ambiente, ecc.). Tutti obiettivi che hanno una loro nobiltà, ma che ultimamente fanno leva sulla capacità di chi si cimenta nel fioretto, più che sull’attrattiva per Qualcosa di grande. Anzi di Qualcuno di grande. “Cristo me trae tutto, e tanto è bello”, scriveva Jacopone da Todi in una delle sue indimenticabili odi, che a distanza di secoli mantiene inalterata la sua potenza evocativa. E’ solo se viene mosso da un fascino, da un’attrattiva, che l’uomo può trovare l’energia necessaria al sacrificio. Al rendere sacro ciò che si fa. Il sacrificio diventa così la chiave di volta dell’esistenza. Per questo, digiuno ed elemosina (i gesti che più vengono richiamati durante la Quaresima) non sono una rinuncia, ma una affermazione: l’affermazione di un’attrattiva che muove il cuore dell’uomo, gli da la capacità di “fare a meno” di qualcosa che il mondo ritiene irrinunciabile per seguire Qualcosa di cui non si può fare a meno se si vuole la vera felicità. “Essere uomini è come una scalata di montagna, con rapide salite –dice ancora il Papa in Luce del mondo – ma è attraverso di esse che raggiungiamo le cime e possiamo sperimentare la bellezza dell’essere”. E’ solo per ammirare la bellezza di quelle cime, è solo per il fascino che l’Amore infinito esercita sui nostri cuori, che vale la pena fare un fioretto. Anche oggi, anche in quest’epoca che dimentica Il Dio Amore insieme ne avverte la struggente nostalgia.

Giorgio

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Karol Józef Wojtyła, divenuto Giovanni Paolo II con la sua elezione alla Sede Apostolica il 16 ottobre 1978, nacque a Wadowice, città a 50 km da Kraków (Polonia), il 18 maggio 1920. Era l’ultimo dei tre figli di Karol Wojtyła e di Emilia Kaczorowska, che morì nel 1929. Suo fratello maggiore Edmund, medico, morì nel 1932 e suo padre, sottufficiale dell’esercito, nel 1941. La sorella, Olga, era morta prima che lui nascesse. Fu battezzato il 20 giugno 1920 nella Chiesa parrocchiale di Wadowice dal sacerdote Franciszek Zak; a 9 anni ricevette la Prima Comunione e a 18 anni il sacramento della Cresima. Terminati gli studi nella scuola superiore Marcin Wadowita di Wadowice, nel 1938 si iscrisse all’Università Jagellónica di Cracovia.

Quando le forze di occupazione naziste chiusero l’Università nel 1939, il giovane Karol lavorò (1940-1944) in una cava ed, in seguito, nella fabbrica chimica Solvay per potersi guadagnare da vivere ed evitare la deportazione in Germania. A partire dal 1942, sentendosi chiamato al sacerdozio, frequentò i corsi di formazione del seminario maggiore clandestino di Cracovia, diretto dall’Arcivescovo di Cracovia, il Cardinale Adam Stefan Sapieha. Nel contempo, fu uno dei promotori del "Teatro Rapsodico", anch’esso clandestino. Dopo la guerra, continuò i suoi studi nel seminario maggiore di Cracovia, nuovamente aperto, e nella Facoltà di Teologia dell’Università Jagellónica, fino alla sua ordinazione sacerdotale avvenuta a Cracovia il 1° novembre 1946, per le mani dell’Arcivescovo Sapieha. Successivamente fu inviato a Roma, dove, sotto la guida del domenicano francese P. Garrigou-Lagrange, conseguì nel 1948 il dottorato in teologia, con una tesi sul tema della fede nelle opere di San Giovanni della Croce (Doctrina de fide apud Sanctum Ioannem a Cruce). In quel periodo, durante le sue vacanze, esercitò il ministero pastorale tra gli emigranti polacchi in Francia, Belgio e Olanda. Nel 1948 ritornò in Polonia e fu coadiutore dapprima nella parrocchia di Niegowić, vicino a Cracovia, e poi in quella di San Floriano, in città. Fu cappellano degli universitari fino al 1951, quando riprese i suoi studi filosofici e teologici. Nel 1953 presentò all’Università cattolica di Lublino la tesi: "Valutazione della possibilità di fondare un'etica cristiana a partire dal sistema etico di Max Scheler". Più tardi, divenne professore di Teologia Morale ed Etica nel seminario maggiore di Cracovia e nella Facoltà di Teologia di Lublino. Il 4 luglio 1958, il Papa Pio XII lo nominò Vescovo titolare di Ombi e Ausiliare di Cracovia. Ricevette l’ordinazione episcopale il 28 settembre 1958 nella cattedrale del Wawel (Cracovia), dalle mani dell’Arcivescovo Eugeniusz Baziak. Il 13 gennaio 1964 fu nominato Arcivescovo di Cracovia da Papa Paolo VI, che lo creò e pubblicò Cardinale nel Concistoro del 26 giugno 1967, del Titolo

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di S. Cesareo in Palatio, Diaconia elevata pro illa vice a Titolo Presbiterale. Partecipò al Concilio Vaticano II (1962-1965) con un contributo importante nell’elaborazione della costituzione Gaudium et spes. Il Cardinale Wojtyła prese parte anche alle 5 assemblee del Sinodo dei Vescovi anteriori al suo Pontificato. I Cardinali, riuniti in Conclave, lo elessero Papa il 16 ottobre 1978. Prese il nome di Giovanni Paolo II e il 22 ottobre iniziò solennemente il ministero Petrino, quale 263° successore dell’Apostolo. Il suo pontificato è stato uno dei più lunghi della storia della Chiesa ed è durato quasi 27 anni. Giovanni Paolo II ha esercitato il suo ministero con instancabile spirito missionario, dedicando tutte le sue energie sospinto dalla sollecitudine pastorale per tutte le Chiese e dalla carità aperta all’umanità intera. I suoi viaggi apostolici nel mondo sono stati 104. In Italia ha compiuto 146 visite pastorali. Come Vescovo di Roma, ha visitato 317 parrocchie (su un totale di 333). Più di ogni Predecessore ha incontrato il Popolo di Dio e i Responsabili delle Nazioni: alle Udienze Generali del

mercoledì (1166 nel corso del Pontificato) hanno partecipato più di 17 milioni e 600 mila pellegrini, senza contare tutte le altre udienze speciali e le cerimonie religiose [più di 8 milioni di pellegrini solo nel corso del Grande Giubileo dell’anno 2000], nonché i milioni di fedeli incontrati nel corso delle visite pastorali in Italia e nel mondo. Numerose anche le personalità governative ricevute in udienza: basti ricordare le 38 visite ufficiali e le altre 738 udienze o incontri con Capi di Stato, come pure le 246 udienze e incontri con Primi Ministri. Il suo amore per i giovani lo ha spinto ad iniziare, nel 1985, le Giornate Mondiali della Gioventù. Le 19 edizioni della GMG che si sono tenute nel corso del suo Pontificato hanno visto riuniti milioni di giovani in varie parti del mondo. Allo stesso modo la sua attenzione per la famiglia si è espressa con gli Incontri mondiali delle Famiglie da lui iniziati a partire dal 1994. Giovanni Paolo II ha promosso con successo il dialogo con gli ebrei e con i rappresentati delle altre religioni, convocandoli in diversi Incontri di Preghiera per la Pace, specialmente in Assisi. Sotto la sua guida la Chiesa si è avvicinata al terzo millennio e ha celebrato il Grande Giubileo del 2000, secondo le linee indicate con la Lettera apostolica Tertio millennio adveniente. Essa poi si è affacciata al nuovo evo, ricevendone indicazioni nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte, nella quale si mostrava ai fedeli il cammino del tempo futuro. Con l’Anno della Redenzione, l’Anno Mariano e l’Anno dell’Eucaristia, Giovanni Paolo II ha promosso il rinnovamento spirituale della Chiesa. Ha dato un impulso straordinario alle canonizzazioni e beatificazioni, per mostrare innumerevoli esempi della santità di oggi, che fossero di incitamento agli uomini del nostro tempo: ha celebrato 147 cerimonie di beatificazione - nelle quali ha proclamato 1338 beati - e 51 canonizzazioni, per un totale di 482 santi. Ha proclamato Dottore della Chiesa santa

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Teresa di Gesù Bambino. Ha notevolmente allargato il Collegio dei Cardinali, creandone 231 in 9 Concistori (più 1 in pectore, che però non è stato pubblicato prima della sua morte). Ha convocato anche 6 riunioni plenarie del Collegio Cardinalizio. Ha presieduto 15 assemblee del Sinodo dei Vescovi: 6 generali ordinarie (1980, 1983, 1987, 1990; 1994 e 2001), 1 assemblea generale straordinaria (1985) e 8 assemblee speciali (1980, 1991, 1994, 1995, 1997, 1998 [2] e 1999). Tra i suoi documenti principali si annoverano 14 Lettere encicliche, 15 Esortazioni apostoliche, 11 Costituzioni apostoliche e 45 Lettere apostoliche . Ha promulgato il Catechismo della Chiesa cattolica, alla luce della Tradizione, autorevolmente interpretata dal Concilio Vaticano II. Ha riformato i Codici di diritto Canonico Occidentale e Orientale, ha creato nuove Istituzioni e riordinato la Curia Romana. A Papa Giovanni Paolo II, come privato Dottore, si ascrivono anche 5 libri: “Varcare la soglia della speranza” (ottobre 1994); "Dono e mistero: nel cinquantesimo anniversario del mio sacerdozio" (novembre 1996); “Trittico romano”, meditazioni in forma di poesia (marzo 2003); “Alzatevi, andiamo!” (maggio 2004) e “Memoria e Identità” (febbraio 2005). Giovanni Paolo II è morto in Vaticano il 2 aprile 2005, alle ore 21.37, mentre volgeva al termine il sabato e si era già entrati nel giorno del Signore, Ottava di Pasqua e Domenica della Divina Misericordia. Da quella sera e fino all’8 aprile, quando hanno avuto luogo le Esequie del defunto Pontefice, più di tre milioni di pellegrini sono confluiti a Roma per rendere omaggio alla salma del Papa, attendendo in fila anche fino a 24 ore per poter accedere alla Basilica di San Pietro. Il 28 aprile successivo, il Santo Padre Benedetto XVI ha concesso la dispensa dal tempo di cinque anni di attesa dopo la morte, per l’inizio della Causa di beatificazione e canonizzazione di Giovanni Paolo II. La Causa è stata aperta

ufficialmente il 28 giugno 2005 dal Cardinale Camillo Ruini, Vicario Generale per la diocesi di Roma. Domenica 1° Maggio 2011 Giovanni Paolo II viene proclamato Beato. Sarà il 22 ottobre la festa del beato Giovanni Paolo II. Lo stabilisce un decreto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti.

LA FESTA È stato dunque scelto per la festa liturgica il giorno in cui Giovanni Paolo II iniziò ufficialmente il suo ministero petrino (22 ottobre 1978), sei giorni dopo l’elezione avvenuta il 16 ottobre. In questo caso, dunque, si è derogato alla regola secondo cui la festa liturgica di santi e beati si fa di solito coincidere con il dies natalis, cioè il giorno della morte. La festa viene iscritta nel Calendario proprio della diocesi di Roma e delle diocesi della Polonia e celebrata ogni anno come memoria. Quanto agli altri Calendari, dispone il decreto, «la richiesta di iscrizione della memoria facoltativa del Beato Giovanni Paolo II potrà essere presentata a questa Congregazione dalle conferenze dei vescovi per il loro territorio, dal vescovo diocesano per la sua diocesi, dal superiore generale per la sua famiglia religiosa». Nella celebrazione della messa del giorno di festa verrà usata una Colletta propria: «O Dio, ricco di misericordia – recita il testo – che hai chiamato il beato Giovanni Paolo II, Papa, a guidare l’intera tua Chiesa, concedi a noi, forti del tuo insegnamento, di aprire con fiducia i nostri cuori alla grazia salvifica di Cristo, unico Redentore dell’uomo».

E SUOR MARIE GUARÌ

DAL PARKINSON Ha partecipato naturalmente anche lei, alla cerimonia della beatificazione di Giovanni Paolo II. Anzi , era in prima fila. Suor Marie Simon-Pierre Normand, oggi cinquantenne, è la religiosa francese miracolata da Dio grazie all’intercessione di papa Wojtyla. La suora, appartenente alla Congregazione delle Piccole Suore

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delle Maternità Cattoliche, ha raccontato con semplicità di quando nel 2001 le fu diagnosticato il morbo di Parkinson e la forza che le dava vedere la fede e il coraggio con cui Giovanni Paolo II affrontava la sua stessa malattia. Poi nella notte tra il 2 e il 3 giugno 2005 la guarigione e il nome del papa polacco, lei che non riusciva più a scrivere, indicato con chiarezza sul foglio che sentì il bisogno di usare. “ Oggi, spiega Suor Marie Simon-Pierre, non posso udire Giovanni Paolo II, ma lo prego. Tra noi la relazione spirituale continua a crescere”. Naturalmente non solo suor Marie , ma il mondo intero ha aspettato con affetto la beatificazione di papa Wojtyla che invitava tutti a non avere paura, amava i bambini e parlava di speranza ai giovani, arrivando al cuore di tutti, credenti e no.

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GIOVANNI PAOLO II E I GIOVANI

Cari amici, se imparerete a scoprire Gesù nell’Eucarestia, lo saprete scoprire anche nei vostri fratelli e sorelle, in particolare nei più poveri. L’Eucarestia ricevuta con amore e adorata con fervore diventa scuola di libertà e di carità per realizzare il comandamento dell’amore. Gesù ci parla il linguaggio meraviglioso del dono di sé e dell’amore fino al sacrificio della propria vita. È un discorso facile? No, voi lo sapete! L’oblio di sé non è facile; esso distoglie dall’amore possessivo e narcisista per aprire l’uomo alla gioia dell’amore che si dona. Questa scuola eucaristica di libertà e di carità insegna a superare le emozioni superficiali per radicarsi fermamente in ciò che è vero e buono; libera dal ripiegamento su di sé per disporre ad aprirsi agli altri, insegna a passare da un amore affettivo ad un amore effettivo. Perché amare non è soltanto un sentimento; è un atto di volontà che consiste nel preferire in maniera costante, al proprio, il bene altrui: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. (Gv 15,13).

È con tale libertà interiore e tale bruciante carità che Gesù ci educa ad incontrarlo negli altri, in primo luogo nel volto sfigurato del povero. La Beata Teresa di Calcutta amava distribuire il suo “biglietto da visita” sul quale stava scritto: “Frutto del silenzio è la preghiera; frutto della preghiera la fede, frutto della fede l’amore, frutto dell’amore il servizio, frutto del servizio la pace”. Ecco il cammino dell’incontro con Gesù. Andate incontro a tutte le sofferenze umane con lo slancio della vostra generosità e con l’amore che Dio infonde nei vostri cuori per mezzo dello Spirito Santo: “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40). Il mondo ha bisogno urgente del grande segno profetico della carità fraterna! Non basta, infatti, “parlare” di Gesù; bisogna anche farlo in qualche modo “vedere” con la testimonianza eloquente della propria vita (cfr Novo millennio ineunte, 16).

Giacomo

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LA FESTA DELLE ROSE

Rita ha il titolo di “santa dei casi impossibili”, cioè di quei casi clinici o di vita, per cui non ci sono più speranze e che con la sua intercessione, tante volte miracolosamente si sono risolti. Nacque intorno al 1381 a Roccaporena, un villaggio montano a 710 metri s. m. nel Comune di Cascia, in provincia di Perugia; i suoi genitori Antonio Lottius e Amata Ferri erano già in età matura quando si sposarono e solo dopo dodici anni di vane attese, nacque Rita, accolta come un dono della Provvidenza. La tradizione ci racconta che, portata alla vita religiosa, fu data in sposa ad un uomo brutale e violento che, convertito da lei, venne in seguito ucciso per una vendetta. I due figli giurano di vendicarlo e Rita, non riuscendo a dissuaderli, pregò Dio di farli piuttosto morire. Dopo la morte dei figli, ormai libera da vincoli familiari, si rivolse alle Suore Agostiniane del monastero di S. Maria Maddalena di Cascia per essere accolta fra loro; ma fu respinta per tre volte, nonostante le sue suppliche. I motivi non sono chiari, ma sembra che le Suore temessero di essere coinvolte nella faida tra famiglie del luogo e solo dopo una riappacificazione, avvenuta pubblicamente fra i fratelli del marito ed i suoi uccisori, essa venne accettata nel monastero. Rita entrò nel monastero di Cascia, intitolato a S. Maddalena (che oggi si chiama Santa Rita). “Nel monastero visse per quarant’anni alternando la preghiera e la contemplazione a visite a malati e lebbrosi, e cercando spesso di pacificare le fazioni che si combattevano nella cittadina umbra. Il cuore della sua giornata erano la preghiera e la contemplazione della Passione di Cristo. Finché un giorno, mentre era in contemplazione estatica davanti al Crocefisso, sentì una spina della corona del Cristo conficcarsi nella fronte e produrle una profonda piaga purulenta e fetida, costringendola ad una perenne segregazione: era il 1432. Soltanto in occasione di un pellegrinaggio a Roma per

perorare l canonizzazione di S. Nicola da Tolentino ottenne che la ferita si rimarginasse temporaneamente. Ormai l’immedesimazione alla Croce di Cristo era totale, e in croce visse gli ultimi 15 anni, logorata dalle fatiche e dalle sofferenze, ma anche dai digiuni e dalla pratica dei flagelli… “Tucta allui se dette”. Il 22 maggio 1447 Rita si spense, mentre le campane da sole suonavano a festa, annunciando la sua ‘nascita’ al cielo. Si narra che il giorno dei funerali, quando ormai si era sparsa la voce dei miracoli attorno al suo corpo, comparvero delle api nere, che si annidarono nelle mura del convento e ancora oggi sono lì, sono api che non hanno un alveare, non fanno miele e da cinque secoli si riproducono fra quelle mura. Alla santa di Cascia viene associato un fiore in particolare: la rosa. E’ il simbolo della devozione a lei. Perché? Si narra che una cugina le fece visita, e Rita ormai morente, espresse un ultimo desiderio: una rosa dal giardino che aveva lasciato. Si Era d’inverno. La parente obbedì, andò e trovò nell’orto coperto di neve una rosa fiorita. Gliela portò e Rita tutta felice la regalò al suo Crocefisso. La santa di Cascia appartiene alla grande schiera delle donne cristiane che hanno avuto significativa incidenza sulla vita della Chiesa, come anche su quella della società. Rita ha bene interpretato il genio femminile. Il cuore del culto comunque resta il Santuario ed il monastero di Cascia, che con Assisi, Norcia, Cortona, costituiscono le culle della grande santità umbra.

Silvana

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RICORDO di Don PIETRO TERRAROLI

Don Pietro è nato il 18/02/1928 a Pozzolengo in provincia di Brescia. Fin da ragazzo entrò in Seminario a Verona e fu ordinato Sacerdote il 26/06/1955: Subito fu inviato dal Vescovo come Vicario parrocchiale a Zevio dove rimase fino al 1958, successivamente giunse a Legnago nella parrocchia del Duomo sempre come Vicario Parrocchiale fino al 1965. Quindi fu incaricato come Vicario Economo a Colombare dal 1965 al 1967, poi ne divenne Parroco dal 1968 al 2003. Durante questo periodo si impegnò con tutte le sue forze alla formazione

della nuova Parrocchia intitolata a San Francesco. Oltre alla formazione della Parrocchia provvide alla costruzione della nuova Chiesa, che tra tutte quelle costruite nel dopo Concilio è una delle meglio riuscite. Infine al settantacinquesimo anno di età rinunciò alla Parrocchia e fu incaricato dal Vescovo a svolgere l’ufficio di Amministratore Parrocchiale nella nostra Parrocchia di Pai dal 2003 al 2008. Durante questi anni si è dedicato con cura al servizio pastorale nella nostra Comunità, di lui piace ricordare la dedizione alla comunità, l’incontro cordiale con la gente, la preghiera soprattutto liturgica e la schiettezza nei rapporti. Nel 2008 per motivi di salute si ritirò nella Casa Perez di Negrar istituita per ospitare i sacerdoti anziani o malati. Don Pietro è deceduto il 13 Aprile 2011, le sue esequie furono celebrate nella Chiesa parrocchiale di Colombare - Sirmione, era presente e presiedeva il rito il nostro Vescovo di Verona S. E. Mons. Giuseppe Zenti, con lui concelebravano 35 Sacerdoti, e una folla considerevole di fedeli, era presente e partecipe anche una delegazione di Pai. La tumulazione, per espresso desiderio dei suoi familiari, fu fatta nel locale Cimitero di Pozzolengo. Il 16 Aprile, giorno settimo della morte di don Pietro, fu celebrata una Messa di suffragio nella Parrocchiale di Pai. Il suo ricordo rimane in benedizione in tutti noi.

Don Giuseppe

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I Fava sono l’altra famiglia citata nella Transazione del 1452 e un esponente di tale casato (Bertono del Fava) faceva parte – nel 1532 - del comitato, formato da tre persone, incaricato di amministrare il cosiddetto Ospedale – intitolato ai santi “Peregrino et Anna” -, una casa situata nei pressi dell’attuale vicolo Cieco, dove venivano ospitati i poveri del paese e i viandanti di passaggio. Tre componenti di questa famiglia (“Giacom, Toniel e Pero”) li troviamo nell’estimo del 1485 con ben 5 grossi nuclei famigliari. I Fava, al pari di alcune famiglie dei Marai, degli Zucchetti e di poche altre, costituivano la cosiddetta aristocrazia peschereccia, dedita alla pesca in modo esclusivo, con le grandi reti a strascico o da tratta. Interessante, nella chiesa di San Giovanni al cimitero, un affresco votivo raffigurante la Vergine in trono con il Bambino fra i santi Rocco e Sebastiano, datato 1516 (o 1518) e commissionato da Antonio e Domenico Fava.

Dei Novelli – famiglia estinta verso la fine dell’Ottocento -, ricordiamo Alfonso, che nel 1906 ideò la versione attuale del matròs, una pesca al traino formata da un unico filo di rame, con ramificazioni di nylon, avvolto su un rullo di legno. I Novelli compaiono anche nell’estimo del 1485.

Gli Zucchetti erano pescatori e a loro spettava l’onore di portare in processione, già nel Settecento, la quattrocentesca statua di San Pietro che ora si trova custodita in canonica. Questa famiglia, sotto il nome però di “Zocheta” compare già nell’estimo del 1485.

I Consolini, concentrati nella contrada di Crér – cinque famiglie su sei, nel 1710 -, sono già presenti a Torri nella prima metà del Cinquecento (estimo del 1553) e secondo la tradizione sono originari della Francia, che abbandonarono ancora in epoca medioevale per sfuggire alle persecuzioni contro i

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Catari. Il loro nome, al pari di quello dei Consolati, è fatto derivare dal “Consolamentum”, la cerimonia a cui questi eretici si sottoponevano prima di morire. Quando questi Catari vennero incalzati dalle truppe scaligere (nel XIII secolo), abbandonarono – si racconta – i centri del Basso lago in cui si erano insediati – Desenzano e Sirmione soprattutto – e cercarono rifugio nelle forre dell’Alto lago veronese. Il ricordo di loro è rimasto vivo, almeno fino a pochi anni fa, nell’epressione léngoa da Càtaro, a indicare una persona priva di remore nel parlare. A Crér, la contrada madre di questa famiglia, nel 1713, grazie all’iniziativa di Francesco Consolini venne eretto l’oratorio dedicato ai santi Siro e Libera, la cui festa si celebra il 9 dicembre. I Galetti - come sostiene Pier Paolo Brugnoli su Il Garda. L’ambiente, l’uomo, XIV misc., p.84 – dovrebbero discendere dai Saletti di Sant’Ambrogio di Valpolicella, lapicidi con interessi anche sulla sponda orientale del Garda, nota per l’attività di escavazione di marmi pregiati, come il famoso “giallo” di Torri; e dall’aggettivo gialetto o zaletto dovrebbe derivare il cognome. Nel registro dei battesimi dei primi anni del ‘600 troviamo però sia Galetti, sia Saletti. Una delle contrade più importanti era Coi, territorio dei Vedovelli, con tre grosse famiglie (nel 1692) per un totale di 31 elementi; vi era poi una famiglia di Bardolini. Un’altra famiglia di Bardolini risiedeva a Valmagra.

Il casato dei Vedovelli nel 1710 annoverava 12 nuclei famigliari di cui ben otto solo a Coi. Questa famiglia presenta la dizione attuale, anche se con varianti tipiche del tempo (Vedovèl, Vedovèi, Vedoèj), solo a partire dai primi anni del Seicento, quando a Torri ne sono registrate nove famiglie; prima di quegli anni erano conosciuti come de la Védoa, locuzione che ricorda la loro presunta origine, secondo la tradizione, da due bambini - i fiőj de la védoa -, tra i pochi sopravvissuti assieme alla madre dopo una delle numerose epidemia che allora funestarono le nostre contrade. In ogni caso, sfogliando i libri delle Vicinie (1520-1600 e 1600-1680) e gli estimi quattrocenteschi, si può risalire fino ad un certo Giacomo, vissuto a cavallo fra ‘300 e ‘400. Tra i notabili che nel 1530 accolsero a Torri il vescovo di Verona Giberti c’era anche Domenico de la Vedoa, che potrebbe corrispondere a uno dei due bambini con lo stesso nome, figli rispettivamente di Giacomo di Bartolomeo da Coi e di Francesco di Donato, sempre da Coi, che nel 1485 – data dell’estimo analizzato – avevano l’uno 11 e l’altro 4 anni. Probabilmente della stessa famiglia era Bartolomeo del fu Giacomo da Coi, che nel 1456 commissionò il dipinto raffigurante San Cristoforo e il Battesimo di Gesù che si trova nell’oratorio della chiesa della SS. Trinità al Porto. A Sevino nel 1692 c’erano i Peretti e i Vedovelli, mentre nel 1710 queste due famiglie vengono sostituite da quelle di Antonio Campetti, di Bartolomeo Bonetti e di Bartolomeo Fava.

Giorgio Vedovelli

LA PREGHIERA

DEL SANTO ROSARIO NEL MESE DI MAGGIO

Chiesa Parrocchiale ore 17.00

Oratorio Parrocchiale ore 20.30

Oratorio SS. Trinità ore 21.00

Oratorio S. Antonio ore 20.30

Oratorio S. Faustino ore 20.30

Capitello Rossone Anze ore 21.00

Capitello Le Sorte ore 20.00

PARROCCHIA DI PAI

Chiesa Parrocchiale ore 20.00

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Mercoledì 26 Maggio FESTA DI SAN FILIPPO

Ricorrenza Patronale della Comunità Torresana

ORE 10.00 SANTA MESSA

ORE 18.00 S. MESSA SOLENNE Presieduta dal Novello Sacerdote Vietnamita Nguyen Anh d. Thì,

ordinato Sacerdote il 14 Maggio 2011 in Cattedrale a Verona e

con la partecipazione del Novello Diacono Vietnamita Tommaso Tuan

Phan Quoc, ordinato il 1° Maggio 2011 in Cattedrale a Verona.

Con la partecipazione del Piccolo Coro

ORE 19.00 - BENEDIZIONE dei MOTOCICLISTI e dei loro MEZZI

Parrocchia di Torri: Giornate Particolari tenute nel 2010

• Giornata per la Carità del Papa: € 1.492,00

• Giornata Missionaria mondiale: € 2.300,00

• Giornata per il Seminario diocesano: € 1.103,90

• Raccolta pro Terremotati di Haiti: € 2.810,00

• Raccolta Quaresimale “1%”: € 1.479,00

• Giornata della Solidarietà diocesana: € 1.028,00

• Giornata pro Missioni Stimatine: € 2.300,00

• Raccolta pro Alluvionati Est Veronese: € 0.635,00

• Raccolta per la Missione di Marikina: € 0.385,00

RESOCONTO ECONOMICO

ANNO 2010

PARROCCHIA DI TORRI

• TOTALE ENTRATE € 113.592,82 • TOTALE USCITE € 107.386,70 • AVANZO DI CASSA € 6.202,12

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PARROCCHIA DI PAI

• TOTALE ENTRATE € 19.328,97 • TOTALE USCITE € 14.122,01 • AVANZO DI CASSA € 5.206,96

AAPPPPUUNNTTAAMMEENNTTII SSEETTTTIIMMAANNAALLII MMAAGGGGIIOO 22001111

OGNI DOMENICA ore 10.00: S. MESSA DELLE FAMIGLIE. ore 17.00: ADORAZIONE EUCARISTICA E CANTO DEL VESPERO.

OGNI LUNEDÌ ore 9.00-12.00: ADORAZIONE EUCARISTICA E CONFESSIONI.

OGNI MARTEDÌ ore 15.00: CATECHESI SCUOLA MEDIA.

OGNI GIOVEDÌ ore 15.00: CATECHISMO SCUOLA ELEMENTARE. ore 17.00: ADORAZIONE EUCARISTICA.

OGNI VENERDÌ ore 20.30: INCONTRO GRUPPO ADOLESCENTI.

OGNI SABATO ore 15.00 - 18.00: TEMPO PER LE CONFESSIONI.

CCAALLEENNDDAARRIIOO MMAAGGGGIIOO 22001111

DOMENICA 1

ore 11.15 S. MESSA DI PRIMA COMUNIONE. ore 21.00 S. ROSARIO IN PARROCCHIA PER L’INIZIO DEL

MESE DI MAGGIO

DOMENICA 8 ore 12.00 SUPPLICA ALLA MADONNA DEL ROSARIO. MERCOLEDÌ 11 ore 20.00 INCONTRO DI PREGHIERA IN ONORE DI S. ANTONIO. DOMENICA 22 S. RITA ore 12.00 BENEDIZIONE DELLE ROSE.

VENERDÌ 26

FFEESSTTAA DDII SS.. FFIILLIIPPPPOO

SANTE MESSE ORE 10.00 – 18.00

ore 19.00 BENEDIZIONE DEI MOTOCICLISTI E DEI LORO MEZZI. MARTEDÌ 31 ore 21.00 S. ROSARIO A CONCLUSIONE DEL MESE DI MAGGIO.

CONSACRAZIONE ALLA MADONNA.

PARROCCHIA DI TORRI

ORARIO FERIALE

ore 7.00 Lodi ore 17.00 Vespero ore 18.00 S. Messa

PARROCCHIA DI PAI

ORARIO FESTIVO

Sabato ore: 19.30

Domenica ore: 10.00

ORARIO FESTIVO

Sabato ore 17.00 Vespero ore 18.00 S. Messa

Domenica ore 7.00 S. Messa ore 8.30 S. Messa

ore 10.00 S. Messa ore 11.15 S. Messa ore 17.00 Vespero ore 18.00 S. Messa

Bollettino di informazione Parrocchiale stampato in proprio

La Redazione: Don Giuseppe Cacciatori - Daniela Pippa - Addea Cestari - Anna Menapace - Nuccia Renda - Rosanna Zanolli - William Baghini Collaborazione fotografica: Mario Girardi / Impaginato da: Francesco Greco / Stampato da: Roberto Borghi