Nazaret · 2020. 7. 3. · NAZARET 5 della vita, come curare le relazioni e l’ascolto se gran...

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Anno CXLX - N. 1 - Gennaio/Giugno 2020 Semestrale delle Suore della S. Famiglia di Spoleto Anno CXLX - N. 1 - Gennaio/Giugno 2020 Semestrale delle Suore della S. Famiglia di Spoleto Nazaret Poste Italiane s.p.a. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3, Aut. n. AC/RM/23/2011 - TAXE PERÇUE ROME ITALY La S. Famiglia di Nazaret: un ideale di vita!

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  • Anno CXLX - N. 1 - Gennaio/Giugno 2020Semestrale delle Suore della S. Famiglia di Spoleto

    Anno CXLX - N. 1 - Gennaio/Giugno 2020Semestrale delle Suore della S. Famiglia di Spoleto

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    La S. Famiglia di Nazaret: un ideale di vita!

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    “Le difficoltà degli uomini non possono lasciarci tranquilli

    NAZARETAnno CXLX - N. 1

    Gennaio/Giugno 2020

    Semestrale delle Suore della Sacra Famiglia di Spoleto

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    Nazaret

    3Editoriale“Le difficoltà degli uomini non possono lasciarci tranquilli

    12Vita di famigliaVerso una “carta d’ide ntità” dell’unico carisma Nazareno-Bonilliano

    18Approfondimento CarismaticoUna famiglia “Bonilliana” e il suo “sì” gioioso a chi è nel bisogno

    20Missioni ieri e oggi: Repubblica Democratica del CongoAfrica canta e cammina, tieni alta la speranza e insegnaci i segreti di un dolore da cui fiorisce vita e vita in abbondanza!

    36Dal punto di vista dei giovaniAvere 20/30 anni al tempo del COVID-19«Non sarà un virus a spegnere i nostri sogni»

    38Impronte Nazarene“Custode della memoria del Fondatore” Profilo di suor Ancilla PedrazziniPostino di Dovera (CR) 1926 – Spoleto (PG) 2016

    6Vita dell’IstitutoCoronavirus: un tempo che ha rafforzato i vincoli di comunione spirituale

    42 Decessi e ingressi

    14Approfondimento Biblico/SpiritualeSan Giuseppe e i sogni che ci avverano

    EDITORIALE

    A bbiamo vissuto un tempo inaspettato e inimmaginabile. Untempo di paura, di precarietà e di impotenza. Un tempo didolore e di lacrime, di sacrifici e di nuove povertà. Un tempodove tutti noi, cresciuti con una cultura che ha bandito la sofferenzae la morte, ci siamo confrontati all’improvviso con la fragilità causatada un nemico invisibile che ha piegato questo mondo che si credevainvincibile. Ma anche un tempo di riscoperta delle relazioni e dellasolidarietà, della prossimità e della condivisione. È stato, se vogliamodirla con Ivano Fossati, “un tempo perfetto per fare silenzio” (cfr, can-zone “C’è tempo”), un tempo per riflettere su quale utilità l’uomo ricava“da tutto l’affanno per cui fatica sotto il sole” (Qoèlet 1,2). È stato untempo nuovo anche per la Chiesa, che ha sperimentato come nonmai l’uso dei social media per le dirette delle Messe, per gli incontridi formazione e molto altro. La comunità cristiana, dunque, in questotempo di pandemia non ha fatto mancare la vicinanza alle persone.E nelle pagine che seguono ci sono interessanti approfondimenti inmerito. Per noi credenti, dunque, è stato un tempo di penitenza e di solitudi-

    ne che ci ha tenuto lontano dal-la Comunione eucaristica. Nonè stato però un tempo, comedetto da qualcuno, in cui Dioha punito l’umanità. Dio nonpunisce ma salva. E lo fa ancheattraverso momenti difficili e diprova come il Coronavirus. Bel-lo sottolineare come siano fiori-te tante preghiere alla Verginee ai Santi per chiedere l’inter-cessione del Padre per la finedella pandemia. È stato un tem-po fecondo di iniziative di ca-rità della Chiesa a favore dellepersone più colpite dalla crisieconomica, conseguenza dellapandemia.

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    della vita, come curare le relazioni e l’ascolto se gran parte del no-stro tempo sarà dedicato all’organizzazione di attività diverse; comemetteremo al centro la Parola di Dio se dovrà essere incastrata tra lecelebrazioni delle varie Messe; come potremo accompagnare le per-sone e le comunità nel disagio che ci travolgerà, dal punto di vistaeconomico, umano-psicologico, spirituale, relazionale. Come affron-teremo la paura di lasciare? Perché certamente dovremo scegliere dilasciare alcuni aspetti della nostra abituale vita ecclesiale. Saremo ingrado di compiere qualche scelta coraggiosa? Sentiamo la gioia dimetterci in gioco, di lasciarci inquietare, di non rassegnarci al quietovivere? Torniamo a risvegliare il desiderio, non deprimiamoci nelconsumo della gratificazione istantanea, non confondiamo la fedeltàcon la mediocrità. La fedeltà è sempre creativa. Dalle circostanze che

    È stato un tempo nuovo anche e soprattutto per le famiglie, “costret-te” a stare in casa marito, moglie e figli 24 ore su 24. Si è scopertoche i buoni sentimenti non vengono sempre spontanei e non duranoa lungo con la medesima intensità, ma hanno bisogno di essere ali-mentati di continuo, altrimenti muoio no. La casa in questo tempo haproposto a ognuno un’esperienza di vita sicuramente difficile; maper tutti è stata una formidabile scuola di umanità. E qui non possia-mo non pensare alle tante iniziative di preghiera nate nelle famiglie.Sarebbe bello continuare!E il tempo che si apre davanti a noi? Lo interpreta bene Papa Fran-cesco: «Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla», hadetto nell’omelia il giorno di Pentecoste. Ed è vero. Il rischio è quellodi voler raccogliere le cose belle e nuove nate o scoperte in questoperiodo “aggiungendole” a quelle che abbiamo sempre fatto. Sareb-be un modo di non ascoltare in profondità quello che ci sta accaden-do. L’arcivescovo di Spoleto-Norcia mons. Renato Boccardo nell’o-melia della Messa crismale (30 maggio 2020) ha detto: «Domandia-moci come investiremo energie sulla ricerca di prossimità, di elabo-razione della fede in casa e in famiglia se i locali parrocchiali saran-no sempre al centro delle nostre attività, dei nostri pensieri e dellenostre preoccupazioni economiche; come dedicarci all’accompagna-mento dei ragazzi nel momento in cui si pongono le grandi questioni

    Tanti anche gli aiuti che la San-ta Sede e le Conferenze episco-pali dei vari Paesi hanno elar-gito per far fronte all’emergen-za sanitaria e per rispondere aibisogni delle persone. Perchécome diceva il beato Pietro Bo-nilli, che si è preso cura a Can-naiola di Trevi di persone mala-te di malaria e di tisi, le diffi-coltà degli uomini non possonolasciarci tranquilli. «La sceltadei poveri – scriveva – deve es-sere la nota dominante dellaChiesa, perché è stata la sceltadi Gesù, il suo divin fondatore.Al termine della vita saremogiudicati sull’amore, esercitatoo rifiutato verso i prediletti diDio!». È quanto ha cercato difare, e ancora continua, laChiesa in questo tempo.

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    stiamo vivendo nasce l’invito acoltivare sogni in grande! Unsogno, se non è condiviso, siintristisce e dura lo spazio di unmattino; non regge alla provadel tempo. Un sogno richiedecoraggio, calore, fiducia, gene-rosità. Torniamo a desiderare,camminando insieme!».

    Francesco Carlini

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    VITA DELL’ISTITUTO

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    L a pandemia del Covid-19ha travolto anche la vitadel nostro Istituto: assem-blee, visite fraterne e viaggidella Madre generale, esercizispirituali, incontri di formazio-ne … tutto sospeso, annullato!E, soprattutto, anche noi Suoresiamo rimaste per lungo temposenza il nutrimento eucaristico!E poi, il costante aggiorna-mento sull’evoluzione dellapandemia, le vittime, i contagi,le misure di sicurezza ... tuttoè stato anche per noi occasio-ne di grande preghiera e ri-flessione, nella speranza e nel-la certezza che, come dice S.Paolo, “tutto concorre al benedi coloro che amano Dio” (Rm8, 28).Ma quale bene può nasceredal dramma di un’epidemia diquesta portata, con tutte leconseguenze che ha avuto su-gli affetti, sui nostri program-mi, sulle nostre quotidiane cer-tezze, sui nostri schemi fami-liari, pastorali, lavorativi? Cer-to non è immediato vedere ilbene, ma se ci pensiamo que-sto tempo ha rafforzato in tan-ti i vincoli di comunione spiri-tuale, il desiderio della comu-nione eucaristica e del sacra-mento della penitenza, la fan-tasia della carità, la cura pergli altri, prossimi e lontani, larinnovata scoperta che la

    Coronavirus: un tempo che ha rafforzato i vincoli di comunione spiritualeChiesa è tale quando tutti i fratelli si incontrano fisicamente attornoalla mensa della Parola e dell’Eucaristia, insieme ai propri pastori… senza è difficile andare avanti!In questo tempo di distanziamento abbiamo riscoperto il Santuariodel beato Pietro Bonilli come cuore propulsore della Famiglia Cari-smatica: ciò grazie all’infaticabile impegno delle nostre Sorelle del-la Comunità di Cannaiola, del Rettore don Sem Fioretti insieme aiseminaristi, dei cannaiolesi e di tutti i Laici bonilliani. Da lì sonopartite diverse iniziative che, tramite i social e il Sito, hanno coin-volto molte persone in Italia e all’estero, per le feste riguardanti ilBonilli e per i tempi liturgici più forti, come la Quaresima e la Pa-squa. Tra le varie iniziative ci piace ricordare in modo speciale sia il Tri-duo che la Messa del beato Pietro Bonilli, quest’ultima trasmessa indiretta su YouTube e Facebook il 24 aprile alle ore 17.00, a cuierano sintonizzate le Suore e i laici d’Italia, America Latina, Africae India. Una grande emozione, per la quale ringraziamo in parti-colar modo mons. Renato Boccardo, arcivescovo di Spoleto-Nor-cia, don Sem Fioretti, don Luis Vielman, il Coro di Cannaiola, laComunità delle Suore, il nostro direttore Francesco Carlini che hacurato le riprese e la diretta. Ma in quei giorni si sono susseguiti ivideo che giungevano da Collerisana, Trevi, Pozzuolo, Montepin-cio … ogni istituto ha solennizzato la festa e ha inviato un segno… non solo dall’Italia ma anche dai vari Paesi in cui siamo presen-ti.Anche l’equipe di pastorale giovanile delle SSFS ha utilizzato que-sti mezzi per animare la settimana vocazionale, così pure il Presi-dente dell’A.L.Bo., Enzo Evola, il primo Maggio per il rinnovodell’adesione dei laici Bonilliani: tutti in contemporanea, attraversol’ausilio di un video, visto alla stessa ora. Ugualmente il gruppoGio.Na. (Gioventù Nazarena) si è dato da fare con i social per es-sere lievito tra i giovani.Insomma, è innegabile il grande servizio svolto dai mezzi di comu-nicazione nei tempi del distanziamento e della quarantena, per-mettendo alla Chiesa e, in piccolo, alla nostra Famiglia Carismati-ca di continuare a camminare unita, malgrado tutto!

    Suor Provvidenza OrobelloCannaiola di Trevi

    Butembo (RDC). Fratelli Bonilliani

    Butembo (RDC)

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    Spoleto, Collerisana

    Videoconferenza Gio.Na. (Gioventù Nazarena)

    Cannaiola di Trevi

    Manaus (Brasile) Cannaiola di Trevi

    Corral (Cile)

    Guatemala. Fratelli Bonilliani

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    Spoleto, Montepincio

    Presidente dell'ALBo e consorteregistrano incontro per Laici Bonilliani

    Santiago (Cile) Pondicherry (India)

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    VITA DI FAMIGLIA

    N ella Lettera ApostolicaA tutti i Consacrati, del21 Novembre 2014, inoccasione dell’Anno della VitaConsacrata, papa Francesco sirivolge ai Laici con le seguentiparole: “Con questa mia lette-ra, oltre che alle persone con-sacrate, mi rivolgo ai laici che,

    Verso una “carta d’ide ntità” dell’unico carisma Naz areno-Bonilliano

    con esse, condividono ideali, spirito, missione. Alcuni Istituti religiosihanno un’antica tradizione al riguardo, altri un’esperienza più re-cente. Di fatto attorno ad ogni famiglia religiosa, come anche alleSocietà di vita apostolica e agli stessi Istituti secolari, è presente unafamiglia più grande, la “famiglia carismatica”, che comprende piùIstituti che si riconoscono nel medesimo carisma, e soprattutto cristia-ni laici che si sentono chiamati, proprio nella loro condizione laica-le, a partecipare della stessa realtà carismatica”.Mossa da questo significativo passaggio della Lettera, l’Associazio-

    da allora! Da quei germogli so-no nati i Missionari Bonilliani(attualmente ve ne sono unadecina in Guatemala e altret-tanti in Congo: uno dei primidue è già sacerdote, cioè donLuis Vielman) l’A.L.Bo. (Asso-ciazione Laici Bonilliani) pre-sente in Italia, in Cile, Guate-mala e India, e l’incipienteGio.Na. (Gioventù Nazarena).Oggi che la Chiesa è più aper-ta e spinge gli Istituti religiosi adischiudere le porte a questicammini, è arrivato anche pernoi il momento di avere una“Carta d’Identità” che accomu-ni Suore, A.L.Bo., MissionariBonilliani e Laici “simpatizzantie cooperatori” nell’unico Cari-sma che abbiamo ricevuto: ilcarisma nazareno-bonilliano! A tal fine, si è costituita unapiccola Commissione, rappre-sentativa dei tre rami principali,che sta già lavorando per stu-diare e scrivere una prima boz-za della Carta d’Identità. La S. Famiglia e il beato PietroBonilli accompagnino questonuovo percorso e lo rendanofecondo!

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    ne Membri Curie Generalizie (AMCG), che da anni si riunisce a Ro-ma, ha iniziato ad invitare anche i Responsabili Laici dei vari movi-menti/istituti/comunità ecc. che ruotano attorno agli Istituti di VitaConsacrata, formando con loro, appunto, le Famiglie Carismatiche. Anche noi Suore della S. Famiglia e Laici Bonilliani abbiamo presoparte a questi incontri che hanno lo scopo di aiutare le Famiglie Ca-rismatiche nascenti a definirsi e darsi una Carta d’Identità.Così il 25 gennaio 2020, a Collerisana di Spoleto, si è riunito ilConsiglio Nazionale dell’A.L.Bo. con la partecipazione ad una ses-sione dei lavori, in via straordinaria, di don Luis C. Vielman, in rap-presentanza dei Missionari Bonilliani della S. Famiglia e di unaConsigliera generale, per cominciare ad abbozzare la Carta d’Iden-tità della Famiglia Nazareno-Bonilliana. Per noi è un cammino“nuovo”, benché in realtà abbia radici antiche, già nel pensiero enell’esperienza del Padre Fondatore. Pietro Bonilli, infatti, nei suoiscritti, con l’espressione “l’Opera della S. Famiglia”, che lui sognavadi impiantare, intendeva l’insieme delle varie realtà che da Essa era-no nate: i Sacerdoti Missionari della S. Famiglia, i Laici Cooperatori,gli Zelatori, le Suore della S. Famiglia, le Famiglie associate. Dopo la sua morte, i Sacerdoti Missionari della S. Famiglia pianpiano sono scomparsi, così come tutto quel movimento laicale che siriconosceva sotto lo stendardo della S. Famiglia, … rimasero solo leSuore per vari anni! Tuttavia, non si è mai persa l’idea che dallo stesso Carisma derivas-sero più cammini, uniti da stessi ideali, spirito e missione. Infatti, nelperiodo della Beatificazione del Fondatore (fine anni ’80 – inizi’90), che ha portato alla ribalta non solo la sua storia, ma anche isuoi scritti e le sue opere, si è visto il rifiorire del Carisma all’internodell’Istituto delle Suore, ma più ancora tra i Laici, attratti dagli idealinazareno-bonilliani. E mentre in Guatemala, agli inizi degli anni’90, due ragazzi chiedevano di poter diventare i nuovi Missionaridella S. Famiglia, in Italia nascevano i Gruppi di Famiglie in Cam-mino sulle Orme di Nazaret (FCN). Quanto cammino è stato fatto

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    ma anche di trepidazionequando li perdono di vista. An-che Gesù si presenta come unragazzo normale, ben integratonella rete delle relazioni dellagente del suo paese. Come scri-ve papa Francesco al numero29 della lettera apostolica suigiovani Christus vivit: «NeppureGesù crebbe in una relazionechiusa ed esclusiva con Maria eGiuseppe, ma si muoveva conpiacere nella famiglia allargatain cui c’erano parenti e amici».Comprendiamo così perché, almomento di ritornare dal pelle-grinaggio a Gerusalemme, igenitori fossero tranquilli pen-sando che quel ragazzo di do-dici anni camminasse libera-

    APPROFONDIMENTO BIBLICO/SPIRITUALE

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    San Giuseppe e i sogni che ci avveranoparadigma di tutte le nostre storie. Si tratta del brano di Luca al ca-pitolo 2, 22-40 laddove si parla della presentazione e dello smarri-mento di Gesù preadolescente nel tempio di Gerusalemme in occa-sione della festa iniziatica del bar mitzvah. In questo brano siamoaiutati a scoprire in che modo i sogni di Dio si avverano nella vicen-da di Giuseppe. Esso ci racconta di un episodio in grado di illumina-re ed interpretare anche la nostra esperienza esistenziale in tempi diCoronavirus. Prima di tale incidente di percorso i due santi sposi sta-vano svolgendo una vita relativamente tranquilla. In seguito alla mor-te di Erode si erano finalmente sistemati a Nazaret, dopo tanto pere-grinare. A Nazareth conducevano la vita di tutti, con le solite rassicu-ranti incombenze quotidiane e, improvvisamente, proprio in un con-testo sereno e festoso com’era quello di un pellegrinaggio, perdonoGesù. I due tornano sui loro passi e lo cercano angosciati. Pure noiche magari stavamo coltivando e realizzando da lungo tempo deisogni, dei progetti importanti per la nostra esistenza e per quella deinostri cari, improvvisamente come a Maria e Giuseppe, è accadutoin questi tempi di vederci crollare il mondo addosso. In un colpo tutti inostri sogni si sono infranti. Abbiamo sperimentato e condiviso contutto il mondo un senso di angoscia, di confusione e di abbandono.Son venuti meno i nostri punti di riferimento importanti. Quanti dinoi, in una simile, drammatica circostanza non si sono posti, almenouna volta, la fatidica domanda “Ma Dio, dov’è?”. Mettendoci perònei panni di Maria e Giuseppe dovremmo chiederci più correttamen-te: “Ma dove e quando lo abbiamo perso?”. Quando pensiamo alla vita dei santi ce li immaginiamo spesso comepersone che viaggiano “a un metro da terra”. Il Vangelo invece ciracconta di due persone reali perché ci comunica i sentimenti uma-nissimi di Giuseppe e di Maria. Essi sono senz’altro due creature elet-te, sublimi ed eccezionali. Lui, Giuseppe, viene definito “Uomo giu-sto”, con tutta la sua valenza biblica. Maria, viene elogiata nel Van-gelo per la sua fede, come viene salutata dalla cugina Elisabetta conparole di grande effetto: “Beata Te che hai creduto”. Al di là di tutto ciò Giuseppe e Maria vivono l’esperienza comune diun papà e una mamma paragonabili a tutti i papà e le mamme delmondo. Come tutti, anche loro attraversano una quotidianità fatta disentimenti alternati di gioia, di comprensione e tenerezza verso i figli

    pregusta il successo della sua concretizzazione e questo acquieta unpo’ i sentimenti di ansia che possono emergere quando ci si mettealla prova in un sogno importante. La Bibbia ci parla di un terzo ti-po di sogni. Sono i sogni del Signore. Si tratta stavolta di sogni de-clinati sempre al presente. Essi si stanno già realizzando qui ed ora.Sono gli imperscrutabili disegni del suo amore per gli uomini e a lo-ro rivelati nelle notti stellate – come è accaduto ad Abramo (Gn 15,5)– o nelle interminabili notti di lotta con Dio – come è successo a Gia-cobbe (Gn 32,23-33). Il sopore nella Bibbia indica un’esperienza spirituale nella quale lefacoltà umane vengono come affievolite. Comunica simbolicamentela condizione dell’essere umano che non è in grado di opporre osta-coli ai progetti del Signore perché in lui la sapienza di questo mondo– che è stoltezza agli occhi di Dio – si è assopita. Giuseppe, lo sposo di Maria, rientra tra quanti, nelle pagine dellaBibbia, hanno vissuto tale esperienza. Egli è entrato in questo “sopo-re”. Distaccato da se stesso e dai propri progetti, in ogni momento èstato disponibile, come i patriarchi, ad accogliere la volontà del Si-gnore; per questo Dio lo ha reso partecipe dei suoi sogni misteriosied imperscrutabili. Giuseppe non ebbe visioni vere e proprie. Leg-gendo le pagine del Vangelo che lo riguardano si comprende comeegli accolse i sogni del Cielo attraverso la riflessione e un profondodialogo della sua coscienza con Dio. Fu attraverso questo genere disogni che egli si scoprì chiamato a svolgere una missione sublime:quella di trasmettere a Maria e al Figlio di Dio, che muoveva i primipassi in questo mondo, la volontà del Padre che sta nei cieli. Conl’accoglienza di questa volontà il sogno dato a Giuseppe si accordòpienamente con la missione di Maria. Nei racconti evangelici si intui-sce che i due giovani promessi sposi accoglievano con fiducia ciò chein fondo pur non comprendendo, amavano. Come per tutti i credenti,come per ciascuno di noi, l’intuizione iniziale della propria missionenel mondo, deve confrontarsi e purificarsi attraverso l’esperienzaconcreta che si dipana giorno dopo giorno, per far sì che il sogno di-venti realtà. Un episodio emblematico, tra i pochi racconti evangelici che coinvol-gono insieme le persone di Giuseppe e di Maria, ci svela appienoquesta dinamica del dipanarsi dei sogni di Dio nella loro vita come

    I l sonno di ogni essere uma-no è attraversato da sogni.Alcuni sono tranquilli e rassi-curanti. Ci permettono di allen-tare le tensioni della giornata odi realizzare desideri inappa-gati. Altri, meno belli, riportanoa galla esperienze negative delpassato o, attraverso gli incubi,liberano i processi inconsci irri-solti della nostra psiche. Capitaanche, come si dice a volte, di“sognare ad occhi aperti”:nell’iniziare un’impresa già si

    Nazaret, chiesa di S. Giuseppe

    Nazaret, chiesa di S. Giuseppe

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    Giuseppe ci aiuta in tutto ciò acustodire il sogno che questomistero è nella nostra vita. Ciòche non comprendiamo adessoci sarà luminoso nella prospetti-va di Cristo Crocifisso e Risorto,il Signore Gesù Vivente, che vi-ve anche nella storia, che ha unpercorso da farci fare nella sto-ria e attraverso la storia, la sto-ria dell’umanità e la nostra sto-ria personale. Nella fatica diquesto cammino che ci apre leporte del Regno di Dio nel mon-do, chiediamo l’intercessione disan Giuseppe che ci doni la sa-pienza che ha avuto lui: quelladi saper camminare in silenzio,senza farci mille pensieri, senzaperderci in mille costatazioni:“ma cosa ne sarà di noi delmondo? Cosa sta accadendo,cosa accadrà? Come farò arealizzare i miei desideri, i mieisogni sulla vita?” A San Giu-seppe, il giusto che testimoniacol suo silenzio il realizzarsi delprogetto della salvezza dell’u-manità, chiediamo di insegnarciad abbandonarci ai sogni diDio. Davvero allora anche laprova estrema e mortale di unaepidemia globale avrà la possi-bilità di trasfigurarci nella veritàdella vita nuova in Cristo Risor-to! I suoi sogni, se accolti, ci av-verano sempre!

    don Emanuele CuccarolloPresbitero

    della diocesi di Vicenza

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    mente tra la gente, benché nonlo vedessero per un giorno inte-ro: “credendo che egli fosse nel-la comitiva, fecero una giornatadi viaggio” (Lc 2,44). Di certo –pensavano – Gesù stava lì, an-dava e veniva in mezzo agli al-tri, scherzava con quelli dellasua età, ascoltava i racconti de-gli adulti e condivideva le gioiee le tristezze della carovana. Iltermine greco usato da Luca perla carovana dei pellegrini – sy-nodía – indica precisamentequesta “comunità in cammino”di cui la Santa Famiglia è par-te». Papa Francesco dice che

    questo brano ci racconta di un Gesù che non è timidamente chiusonella sua famiglia, in casa sua; non è quella di Nazareth una fami-glia che si chiude in se stessa. Il segreto di cui è depositaria non laesclude dal mondo rendendola staccata dal destino del resto della so-cietà e dell’umanità. La Famiglia di Gesù è santa e, proprio per que-sto, ben integrata nella vita, nella storia del popolo di Dio. Questo ci deve far riflettere perché, tante volte, siamo tentati di pen-sare che il Signore non possa starci vicino perché ci siamo allontanatida Lui, perché non abbiamo grande fervore verso di Lui, non lo rico-nosciamo. Raramente rammentiamo che Gesù per trent’anni ha vis-suto la sua dimensione umana nel nascondimento e in forma sempli-ce e dimessa. In questo momento di prova in cui a causa di tante privazioni che ciobbligano ad una maggior essenzialità abbiamo la grazia di poterrecuperare una relazione intima con Lui, ci è di conforto sapere cheil Signore non è lontano, ma è facilmente accessibile ad ognuno dinoi. Se gli apriamo anche solo una fessura del nostro cuore ne ve-

    dremmo delle belle, perché volentieri il Signore si mette in relazionecon chi gli offre accoglienza, ospitalità, affetto. Questo è un primoaspetto che San Giuseppe e, più in generale, l’esperienza della Sa-cra Famiglia, ci dona per sostenere la nostra vita in tempi di “sogniinfranti” per mostrarci come invece che il sogno di Dio, quello diabitare con noi, di essere sempre con noi, si realizza davvero. Lui èvicino. Ama dimorare con noi, nella nostra casa, nel nostro cuore. Ilsecondo aspetto importante in questo quadro ci svela la psicologiadi Maria e Giuseppe: essi, pur essendo la genitrice e il padre putati-vo del Figlio dell’Altissimo non sono esentati dal percorso di fedeche tutti noi dobbiamo “sudare” per realizzare i sogni di Dio. AncheMaria e Giuseppe hanno vissuto dei momenti in cui si son sentitismarriti, in cui hanno perso di vista Gesù, in cui non hanno più avu-to questo punto di riferimento che per loro era l’unico senso della vi-ta. Anche noi in tempi di pandemia abbiamo perso tanti punti di riferi-mento che ci davano sicurezza, che mettevano ordine alle nostregiornate, che ci facevano anche proiettare verso un futuro di speran-za. Tante sicurezze sono evaporate. In un simile scenario di provasiamo tutti chiamati a tornare alla Parola di Dio per fare esperienzache le cose non stanno proprio così. Il Signore non ci abbandonamai: lui ha deciso di vivere in una famiglia come tutte le nostre fami-glie, perché tutti potessimo sentirlo parte della nostra famiglia. Acco-gliamolo nella nostra famiglia e, in questi momenti in cui non com-prendiamo, non stupiamoci! Anche Maria e Giuseppe non compresero le parole del loro Figlio.Quando fu finalmente ritrovato fra i saggi del tempio, così rispose alrichiamo della Madre: “Perché mi cercavate? Non sapevate che devofare la volontà di Dio, del Padre mio?”. Anche Giuseppe e Maria, iprimi e i più prossimi a Gesù tra tutti i discepoli, allora non compre-sero! Non avevano fatto ancora tutto intero quel percorso di fede chepassa attraverso la Pasqua di Gesù. Anche i seguaci di Gesù, piùavanti, tante volte, non comprenderanno il Signore. Ecco dunquequal è la pedagogia di Dio, il percorso di vita che Giuseppe, Maria,Pietro e tutti gli altri che seguiranno il Signore dovranno fare per co-noscere e realizzare il sogno di Dio sull’umanità. Dio non ci tratta co-me dei burattini. Così molti purtroppo concepiscono la fede e perquesto motivo si allontanano da Lui. Lui in verità compie i nostri sogniquando realizza il suo di sogno e il suo sogno è quello di entrare nel-la nostra vita, nella nostra dimensione umana, per farsi uno di noi,per condividere con noi una vita di famiglia e per salvarci. Adessopossiamo riconoscere che il suo amore è accessibile e non è qualcosadi astratto, di ideale ma è davvero “carne della nostra carne”. San

    Nazaret, chiesa di S. Giuseppe

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    S iamo Maria e GiuseppeBuccheri una coppia disposi di Niscemi (CL): cisiamo uniti in matrimonio 35anni fa e dal nostro amore so-no nati tre splendidi figli: Gio-vanni, Rossella e Francesco;abbiamo anche tre nipotini chehanno reso la nostra vita anco-ra più bella: Rosario, Giada e ilpiccolo Leonardo. Questa è lanostra famiglia!Ma c’è un’altra grande fami-glia di cui facciamo parte daben 20 anni: è la famiglia Ca-rismatica Nazareno-Bonilliana,nella quale, sin da subito, cisiamo immersi anima e corpo.Attraverso questa “famiglia”,

    che ci ha introdottoin un cammino di fe-de, abbiamo scoper-to e amato gli idealidi don Pietro Bonilli,ideali che abbiamofatto nostri, o meglio,che cerchiamo di fa-re nostri e di viverenella quotidianità.Don Pietro, uomoumile e semplice,prendendoci per ma-no, da sempre ci aiu-ta a superare tutti quegli ostacoli che la nostra famiglia deve af-frontare giorno dopo giorno … e, credeteci, non sono stati pochi!La frase che ci accompagna, e che ormai è il nostro ideale di vita,è: “La vita non è bella se non è spesa nella carità”! Queste parole,dette e vissute da don Pietro, risuonano sempre dentro di noi e non

    possiamo fare altro che metterle inpratica offrendo le nostre braccia achi ne ha bisogno, dicendo sempre“sì” ad ogni richiesta di bene.Non possiamo nascondere il fattoche a volte dire “sì” sia difficile,però … come potevamo dire no adun bambino appena nato, la cuimamma non poteva accudirlo? Co-me dire no ad una donna con unamalattia terminale che aveva biso-gno di una mano in tanti servizi diaccudimento a lei e alla sua fami-

    APPROFONDIMENTO CARISMATICO

    poveri che vengono a chiederegeneri alimentari al Centro diAscolto …? Non potevamo ri-fiutare queste e altre chiamatee tutte quelle che verranno, per-ché dietro a queste persone c’èCristo che ci chiede aiuto eamore e noi abbiamo la gioiadi poter dire: “sì”.Se oggi siamo arrivati a que-sto punto del nostro cammino,dobbiamo dire grazie alle no-stre suore. La prima volta cheabbiamo messo piede nell’I-stituto “Palmira Artesi” di Ni-scemi, perché invitati a parte-cipare ad un incontro, abbia-mo trovato una suora che ciaccolse con un abbraccio eun gran sorriso, senza neppu-re conoscerci! Da allora, ilcalore di quell’accoglienza edi quella casa non ci abban-dona mai, e se dovessimo de-scrivere cosa sono per noi leSuore della Sacra Famigliadiremmo subito che sono unpilastro portante della nostravita!Ecco, noi siamo questi: una fa-miglia bonilliana in camminoverso il Mistero di Nazaret,sulle orme e con gli ideali divita del beato Pietro Bonilli.

    glia? E a tutti quei bambini nati, mentre le loro mamme si trovavanonella “Casa di Accoglienza” delle nostre Suore della S. Famiglia inNiscemi? Come dire no ai vicini di casa, alle attività parrocchiali, ai

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    Una famiglia “Bonilliana” e il suo “sì” gioioso a chi è nel bisogno

    di Giuseppe e Maria Buccheri

  • Santucci che diedero inizio al-la nostra presenza missionariain Congo, continuando a rea-lizzare così il sogno missiona-rio del nostro Fondatore. I sen-tieri di Dio passano spesso at-traverso le piccole vie degliuomini. E, infatti, proprio adun uomo, un sacerdote, l’AbbéMainhiro, va il merito dell’a-pertura missionaria in questaterra africana. Grazie alla suaopera di divulgazione dellaspiritualità Bonilliana in mezzoai giovani, attraverso depliante librettini, sei ragazze congo-lesi si innamorarono fortemen-te del Carisma, manifestandoil desiderio di entrare nell’Isti-tuto delle Suore della SacraFamiglia di Spoleto. E così av-venne! Ma andiamo in ordine!

    Qui gatta ci cova…Erano gli anni 2000-2003.Frequentavo un corso per con-sulenti di formazione in Scien-ze umane nella vita consacra-ta. Dopo aver finito gli esami,mi sarei dedicata alla tesi epoi un tempo di meritato ripo-so. Come volevasi dimostrare,tutti i miei progetti e program-mi sono saltati. Più di una vol-ta, a distanza di pochi giorni,madre Danila Santucci mi ave-

    NAZARET 2120 NAZARET

    MISSIONI IERI E OGGI: REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

    “Uscire da se stessi”: È lasfida che i veri credentidevono abbracciare ognigiorno per rispondere ad unpreciso bisogno di libertà e diverità. E di piena adesione alprogetto di Dio che nel quoti-diano si rinnova. Ma uscire dase stessi è anche un po’ comemorire: devi lasciarti alle spal-le l’uomo vecchio che è in te; è“fidarsi di Dio”, della sua ami-cizia, della sua paternità. Ecosì come Abramo, anche ilbeato Pietro Bonilli esce dallasua terra per mettersi in giocoe scommettere in quello spaziodi vita dove l’intelligenza sisposa all’amore per un ideale,che via via Dio illumina e ver-so cui guida. Il Bonilli avevasognato, fin da ragazzo, di re-carsi in terre lontane, di diven-tare missionario. Un sogno acui dovette rinunciare per “ob-bedienza” al padre spirituale.Il buon Dio ripagò questo suosacrificio facendo sì che siaprissero case in diverse partidel mondo, dove la presenzadelle Suore da lui fondate haofferto, e offre ancora, un’umi-le sponda alla carità.«Non possiamo dire di no!»:furono queste le parole dellamadre generale suor Danila

    Africa canta e cammina, tieni alta la speranza e insegnaci i segreti di un dolore da cui fiorisce vita e vita in abbondanza!di Suor Fida Lupo

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    iniziare questa nuova avventura, di spiccare il volo, ma prima diogni partenza c’è una preparazione a tutti i livelli. Frequentai uncorso di lingua francese in Belgio della durata di quattro mesi.Concluso il corso e rientrata in comunità, abbiamo accolto l’altrasorella chiamata a iniziare e vivere la stessa missione: suor ElsaEspinoza proveniente dal Cile. I giorni trascorsi insieme, primadella partenza, sono stati particolarmente preziosi, perché ci han-no permesso di sognare insieme la missione in Africa, abbiamoimparato a conoscerci, a confrontarci e trovare quella sintonia diintenti e di progetti che ci avrebbe poi aiutato a lavorare in siner-gia. In cuor nostro ci sentivamo già pronte a vivere il nostro sogno.Non restava altro che programmare la partenza che ormai sem-brava essere imminente. Ma non fu così, dal momento che, congrande dispiacere, su consiglio del Vescovo, fummo costrette a rin-viarla per ben tre volte, poiché una guerra violenta imperversavain Congo.

    La partenza per il CongoQuando la situazione in Congo si era placata, si stabilì la datadella partenza: 12 settembre 2003. Prima di partire, la Comunitàdella Curia generalizia in Roma organizzò un forte momento dipreghiera, durante il quale ci venne conferito il mandato e conse-gnato il Crocifisso del missionario. Tanta fu la gioia, l’emozione,unitamente a un grande senso di responsabilità di fronte a un cosìgrande dono di Dio! Con la certezza di essere state inviate, ci pre-parammo a partire in compagnia dell’Abbè Mahiniro. Il viaggio si

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    va telefonato per chiedermi quanti esami avessi dovuto ancora fareper completare gli studi. Ad ogni chiamata rispondevo sempre:“Madre, ancora due”. L’affare diventava divertente, capivo che leiavesse premura, ma non potevo immaginare il perché. Allora co-minciai a sospettare che sotto sotto c’era qualcosa di importante inballo ... “Qui gatta ci cova!”, ripetevo tra me e me. A settembredel 2002 madre Danila venne in visita nella comunità di Spello(PG) dove vivevo; dopo una familiare accoglienza e dopo i conve-nevoli, chiese di incontrarmi. Sentivo dentro di me un turbinio diemozioni. Mi raccontò tra l’altro del viaggio fatto in Congo insie-me a suor Scolastica Girardi, mi descrisse lo splendore della natu-ra incontaminata e superba, dell’accoglienza festosa, della povertàdignitosa, dei tanti bambini giocosi e curiosi, infreddoliti e denutri-ti. Alla fine, madre Danila disse che da tempo mi pensava comepersona adatta per partire per il Congo, Missione che l’Istituto ave-va intenzione di aprire per rispondere a quelle giovani che si dice-vano già nostre aspiranti. Mi chiese di prendere il tempo necessa-rio per riflettere e decidere. Istintivamente le riposi che non avevonessuna motivazione per dire di no.

    Una chiamata inderogabile: i poveri non possono attendereRinunciai a fare la tesi perché sentivo la missione come una pro-prietà senza rinvii. Era uno slancio di generosità? Non credo,piuttosto una chiamata inderogabile. La Madre accolse il mio sì e,senza perdere tempo, cominciai a sciogliere gli ormeggi e a pren-dere il largo. I poveri non possono attendere. Non vedevo l’ora di

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    grammatica e provammo aformulare frasi in swahili, bia-scicate in quella lingua che la-sciavano felici e divertiti tutticoloro che ci stavano ascoltan-do con piacere e simpatia. Lestrade polverose, assolate efangose di Butembo appariva-no come grandi formicai dovela gente, simile a formichinelaboriose e industriose, si gira-va per guardare incuriosite leAvasungu (le bianche): noi sa-lutavamo con sguardo lumino-so e festante. Ci addentrammonel cuore di Butembo e ci ren-demmo conto della sua realedimensione dopo averla per-corsa rigorosamente a piedi,sotto il sole cocente, in mezzoa nuvoloni di polvere, sollevatedalle numerose moto che sfrec-ciavano a folle velocità … lapolvere si appiccicava anchesui vestiti, complice il sudore.

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    svolse serenamente e senzanessun intoppo; arrivammo aKampala (Uganda) in perfettoorario; a Entebbe c’era unacomunità di suore autoctoneche ci ha accolto con tanto ca-lore. Il mattino successivo ci le-vammo molto presto e, dopoaver ringraziato le suore perla generosa ospitalità riserva-taci, ci muovemmo verso l’ae-roporto di Kampala da cui do-vevamo prendere un aereomolto piccolo e vecchio direttoin Congo. Dopo una sorvolatadi circa due ore, facemmoscalo a Bunia per il visto deipassaporti e per il disbrigo dialtre pratiche burocratiche.L’impatto climatico ci colse unpo’ impreparate, fummo inve-stite da un caldo umido e afo-so e avvolte da una fitta di nu-be di zanzare. Superato il problema dei visti

    Una vita da inventare e donare: la preghiera il nostro sostegnoL’indomani abbiamo aperto gli occhi a una nuova vita tutta da in-ventare, assaporare e donare; a una nuova realtà da conoscere escrutare; a un nuovo mondo da abbracciare e amare, a linguenuove da imparare e parlare; cibi vari d’apprezzare e gustare…all’inizio con fatica; tradizioni da rispettare e trasmettere, valori efede da testimoniare, diversità da cogliere e accettare, relazionida imbastire e cucire, dialoghi fraterni da tessere e approfondire.Con suor Elsa ci ponevamo tante domande circa le cose pratiche enecessarie da fare. L’acqua calda per lavarci, il catino in cui ver-sarla (riscaldata con fuoco a legna), il ferro per stirare e come sti-rare dato che era quello a carbone che usavano i nostri anziani, epoi la corrente elettrica non esistente sostituita dalla lampada apetrolio, la mancanza di cucina a gas sostituita da cucina a legna,il sole cocente al posto dell’asciuga capelli, il frigorifero rimpiaz-zato dal freddo della notte, per conservare e mantenere il cibonon consumato. La preghiera divenne il nostro sostegno, il nostrorendimento di grazie, la forza della perseveranza, la tenacia nellaprova, la grazia della fede. L’ascolto perseverante della Parola, laconsolazione nelle consuetudini. L’Abbé Mainhiro oltre a farci ilprogramma giornaliero si premurò di organizzare un corso per lostudio della lingua swahili, necessario al fine di poter dialogarecon la gente, per meglio conoscere la cultura, i costumi e le tradi-zioni di questa bellissima terra seminata di promessa e di frutti disperanza. Riuscimmo a studiare ed apprendere una parte della

    governativi, ci avviammo con un senso di maggiore tranquillità eottimismo verso la destinazione del nostro sogno: Butembo. Lì adaccoglierci trovammo il Vicario generale del Vescovo, insieme adaltri sacerdoti, nonché un folto numero di giovani aspiranti: ci ac-colsero con calorosa gioia. Il Vicario ci comunicò che anche il Ve-scovo avrebbe voluto manifestarci la sua gioia per il nostro arrivoe, pertanto, ci attendeva in vescovado dove era stato allestito ilpranzo di benvenuto, perciò, caricati i bagagli sull’auto ci avviam-mo verso la dimora del Vescovo. Il percorso in macchina ci aprìalla visione e alla contemplazione dello splendore della natura chesi esprimeva attraverso la maestosità delle montagne che si innal-zano verso il blu intenso del cielo e delle colline ammantate di gra-no, in un continuo susseguirsi e alternarsi dei paesaggi, dei colorie degli odori della natura. Qua e là un brulicare pittoresco e va-riopinto di gente, per lo più di donne con i loro vestiti dai colorisgargianti, curve sotto il peso di pesanti ceste contenenti quel pocoche erano riuscite a strappare col duro lavoro a un fazzoletto diterra e che, venduto al mercato, permetteva loro di racimolarequel tanto da poter comperare un po’ di petrolio per i lumi, oqualche paio di ciabattine per i figlioli, che il più delle volte cam-minano a piedi nudi sulla terra. Finalmente arrivammo a Kasson-gomi, un quartiere di Butembo, dove si trovava la casa di preghie-ra e di accoglienza delle Suore Oranti. Anche questa volta l’acco-glienza fu gioiosa e festante, attraverso i canti, le danze e i salutitipici del popolo congolese.

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    lo di questa città che fa girarericchezza, denaro e potere. Èanche il sostentamento dei po-veri che, fuori dal perimetrodel mercato, vendono i pochiprodotti strappati dalla terra,dal duro lavoro.

    Finalmente si parte per Magheria! Dopo otto mesi di permanenzaa Butembo presso le SuoreOranti, si parte con destinazio-ne Magheria: il nostro sogno,la nostra meta, la nostra mis-sione. Un viaggio che se per unverso ci affascinava, dall’altroci faceva paura perché anda-vamo verso l’incerto e l’ignoto.Il viaggio si fece tra fango, fra-ne, buche e soste, percorrendo52 chilometri in tre ore ... e ciòche chiamavamo ponti nonerano che due tavole appog-giate e quindi traballanti, scivo-lose e per giunta non inchioda-te; bisognava fare un corso daequilibriste coraggiose per riu-scire a passare sull’altra “spon-da”. Finalmente eravamo arri-vate a Magheria ed il primo adaccoglierci fu Ezechiel: un ra-gazzino colpito da una forte di-sagio fisico e mentale, dallosguardo solare, e sorriso largoe felice, amava imitare i volon-tari che facevano foto dapper-tutto e a tutti. Eravamo emozio-nate fino alle lacrime perché ciricordava il nostro Luigi Plini,primo orfano accolto da PietroBonilli. Ezechiel, dopo aver ri-cevuto un pugno di caramelle euna carezza, ci lasciò correndodi felicità come lo storpio delVangelo.

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    Tra ricchezza e povertà La città è veramente enorme e pure molto popolosa; ciò che cicolpì come un imprevisto pugno allo stomaco, furono le bellissimeresidenze private, edifici costituiti da diversi piani dove risiedonovarie compagnie telefoniche, internet-cafè, centri di telefonie ... ac-canto ai quali si trovano capanne tradizionali e povere, dove dor-mono ammucchiate famiglie numerose, adagiate per terra e coper-

    te da pezzi di pane laceri e lerci, o foglie di banane. Contrasto traricchezze e povertà, ingiustizia, sopraffazione e prepotenza, trachi può permettersi tutto e chi non può permettersi neanche dicomprare due manciate di fagioli, un secchiello di farina di ma-nioca, sombe e altre verdure tradizionali, teste di pesce cotte conun cucchiaio di conserva e acqua in quantità con l’illusione di po-tersi saziare a pasto consumato. Il commercio è il fiore all’occhiel-

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    Il 4 maggio 2004 la comunitàcostituita da suor ConsueloZarrella, suor Elsa e da me eraal completo. Tra un saluto el’altro avevamo sistemato i no-stri bagagli; il cantiere per lacostruzione della nostra casaera ancora aperto e a metàdell’opera. C’eravamo accam-pate in un piccolo ambientedella casa. Oltre alle nostrevaligie possedevamo un mate-rasso adagiato per terra conlenzuola e coperte. Facevafreddo e non eravamo attrez-zate per coprirci sufficiente-mente. Non avevamo ancora iletti ma soltanto le sedie e il ta-volo. Eravamo comunque felicied entusiaste e sempre dispo-nibili. La sera accendevamo lalampada a petrolio e per il re-sto ci arrangiavamo con le tor-ce. La Parrocchia era dedicataalla Sacra Famiglia, non era

    NAZARET 29

    Le prime novizie Il 10 maggio 2004 madre Da-nila Santucci e suor ScolasticaGirardi sono arrivate a Ma-gheria; i lavori di costruzioneerano quasi completati. LaMadre era felice di essere tor-nata, incantata dalla vegeta-zione lussureggiante. Abbia-mo vissuto in pienezza il tem-po che ci è stato dato. Ci èservito per poterci incontrare,dialogare, tracciare progettiper dare un’identità ben defi-nita in questa nuova missionee per essere costruttori di unanuova umanità e civiltà. Inquell’occasione, Madre Danilami consegnò la lettera di no-mina a Maestra delle Novizie.Rimasi di stucco e dopo unbreve silenzio risposi di Sì emi rifugiai in cappella davantial tabernacolo. Le giovani ar-rivarono a Magheria il 15 lu-

    un caso! Con suor Consuelo seguivamo i lavori di costruzione e ditanto in tanto scendevamo a Butembo per l’acquisto del materialenecessario.

    Magheria ci ha toccato il cuore ed è stato amore a prima vistaNe siamo rimaste affascinate, ma anche impressionate per lasofferenza che vi abbiamo visto. Eppure, sebbene la gente vivain condizioni di estrema povertà, possiede una profonda ric-chezza interiore, prova gratitudine per quel poco che ha, si di-stingue per l’accoglienza, per lo spirito di condivisione, la gene-rosità. In ogni loro discorso c’è una benedizione, un affidarsi a

    Dio, segno di una grande fede. A Magheria la gente mangiapasta di manioca appiccicosa intinta nell’acqua dei fagioli. Avolte si nutrono con banane bollite e raramente mangiano pata-te, rigorosamente contate nei piatti, perché le bocche da sfamaresono tante. Tutto questo provoca quello che in Kiswahili vienechiamato bwaki, cioè malnutrizione, fame. Uno dei problemipiù gravi è la mancanza di acqua. All’alba, donne e bambiniscendono nella vallata con i loro bidoni per attingere acqua dal-la sorgente. La salita è difficile e faticosa e non si può evitare,perché l’acqua è vita e serve per tutto, dall’alimentazione all’i-giene.

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    glio 2004 e dopo un periododi reciproca conoscenza e dipreparazione, entrarono inNoviziato il 19 settembre2004. Insieme alla Madre sti-lammo un programma appro-priato alla tappa e tenni contodei suoi preziosi consigli. L’an-no dopo, terminati i lavori, al-la sua presenza, venne inau-gurata a Magheria la primaComunità cui fu dato il nomedi “S. Giuseppe”, sede delNoviziato. Era il 19 marzo2005.

    Una comunità anche a Butembo Visto che il flusso delle giovaniche venivano a cercarci eracontinuo e insistente, fu neces-sario prendere in mano la si-tuazione per riunirle organiz-zando ritiri spirituali, momentiformativi sulla vita religiosa e

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    sero alle nostre giovani novi-zie e professe di sperimentarela bellezza della carità e ilservizio ai fratelli più biso-gnosi. Il 30 dicembre 2006 ilprimo gruppo di Novizie - Ki-zito, Imelda, Jeannette, Jea-ninne, Abetty, Estelle, Riziki -piene di entusiasmo, dopo 4anni di formazione, emiserola loro Prima Professione reli-giosa, nel giorno della SacraFamiglia. La Chiesa era gre-mita; al mattino presto arriva-rono dai villaggi molte perso-ne, scendevano dalle collinecon passo deciso. Colori, suo-ni di tam tam, danze,canti...tanta povertà ma tantaricchezza di fede. Tale parte-cipazione è stata l’espressionetangibile dell’accoglienza chela Chiesa e il popolo congole-se hanno verso la nostra fami-glia religiosa.

    il Vangelo. Da parte nostra sussisteva il problema della lingua,perciò l’Abbé Isanda ci consigliò di affiancarci a padre Efrem, re-ligioso Assunzionista, maestro dei novizi, che di fronte alla propo-sta non esitò ad accettarla.La collaborazione con p. Efrem favorì la nascita di un rapportofraterno, collaborativo e duraturo, basato sulla stima reciproca.Dopo essersi sparsa la notizia che il Vescovo Melchisedéch avevaaccolto nella sua Diocesi le Suore della Sacra Famiglia di Spoleto,le giovani vennero a trovarci da ogni angolo della Diocesi, pro-venienti da città e villaggi molto lontani, per ricevere informazionisul Carisma e sull’apostolato che svolgevamo. Oggi alcune di lorofanno già parte della nostra famiglia religiosa. Era commoventevedere che queste giovani, con grande spirito di sacrificio, corag-gio e determinazione, affrontavano un lungo viaggio fatto esclusi-vamente a piedi, su strade dissestate e impervie. Arrivavano stan-che, stremate, affamate, bisognose di lavarsi e di riposarsi. L’ac-coglienza gioiosa e affettuosa da parte della comunità, le mettevaa proprio agio tanto da sentirsi in famiglia. Individuammo ungruppo di aspiranti sufficientemente mature e responsabili, prontea iniziare l’accompagnamento vocazionale. Dopo un anno di di-scernimento e accompagnamento proponevamo alle 7 aspiranti difare un passo in avanti per iniziare la tappa del pre-postulato.Suor Annalisa Alba, missionaria in Costa d’Avorio, fu scelta perfare la formatrice delle postulanti. Pertanto suor Elsa Espinoza,che già si era ambientata in Congo, suor Annalisa Alba e suor Si-mone Sanou, provenienti dalla Costa D’Avorio, costituirono lanuova comunità che si aprì a Butembo il 15 novembre 2005. Le

    pre-postulanti iniziarono la loro tappa formativa il 21 novembrecon l’obiettivo di fare un’esperienza di vita comunitaria, di cresci-ta nella fede, nei valori cristiani e nella vita sacramentale. Fu co-stituita anche l’equipe vocazionale formata dalle due formatrici eda tre Sorelle giovani. Dopo una certa esperienza fatta nel tempocon perseveranza e passione, tracciavamo l’itinerario vocazionaleche abbracciava tutta la persona nelle varie dimensioni della vitadi ogni giovane che si accinge ad iniziare la tappa del discerni-mento, al fine di verificare l’autenticità della loro vocazione.

    La missione cresce … Intanto a Magheria, dopo aver impostato la formazione, la comu-nità si andava inserendo sempre più nel villaggio, nella conoscen-za della sua complessa realtà sociale ed economica. Abbiamo ini-ziato a conoscere la vita della Chiesa locale e la povertà che cicircondava: le famiglie, i bambini, i giovani e gli anziani. Conl’aiuto delle novizie e l’appoggio del Parroco e dei sacerdoti delluogo, iniziammo un lavoro di formazione e di promozione uma-na. Insieme a suor Consuelo Zarrella, infermiera al Centro di Ma-ternità, aiutavamo le donne che dovevano partorire, favorendo ilpiù possibile un minimo di condizioni igienico-sanitarie. Manca-vano gli strumenti fondamentali, le medicine, il materiale che ser-viva per medicare e per suturare le ferite inoltre mancava acqua eluce, la struttura stessa era fatiscente e in pessime condizioni igie-niche. In caso di pronto soccorso si trasportava il malato con unalettiga rudimentale percorrendo una lunga strada per arrivareall’ospedale più attrezzato. Numerose furono le attività che permi-

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    Oggi ... (di sr Annalisa Alba)La Missione ormai era fondatae vivace sia a Magheria che aButembo. Nel tempo semprepiù giovani si unirono alla no-stra Famiglia religiosa e, conla loro presenza, sia le Comu-nità che il servizio educativo epastorale si andarono consoli-dando. Nel 2013 la Missionedel Congo è divenuta una De-legazione nell’Istituto, con unassetto più organico. Semprein quell’anno abbiamo vissutoin forma privata la consacra-zione dei due fratelli Bonillia-ni, Jean De Dieu e Kizito, aiquali, negli anni, si aggiunse-

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    ro altri giovani desiderosi diessere Missionari Bonillianidella Sacra Famiglia. Attual-mente, la Delegazione delCongo è composta da 4 co-munità che si dedicano allaPastorale delle vocazioni, del-le famiglie, dei giovani e deibambini in parrocchia e nelleScuole.

    1. La Casa “S. Giuseppe” diMagheria è la prima co-munità, aperta il 4 maggio2004. È casa di Formazio-ne del pre-postulantato ecomunità apostolica. Si oc-cupa anche dell’insegna-

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    mento nelle Scuole. Il nostroCentro Beato Pietro Bonilli,inaugurato il 24 aprile2010 soprattutto per acco-gliere i bambini mal nutriti,assicurando un pasto algiorno e l’educazione allemamme. Nel 2019 è diven-tato Scuola Materna e con-tinua ad accogliere i bam-bini poveri. Una Scuolaelementare che ci è stataaffidata dalla Coordina-zione delle Scuole Cattoli-che. Per quanto si dica“scuola”, nella realtà è una

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    4. La Comunità S. Famiglia aKasindi, aperta nel 2015,al confine con l’Uganda, èuna comunità apostolicainserita nella pastorale del-le vocazioni e delle fami-glie in Parrocchia, nellascuola e nel Centro Sanita-rio del posto. È una bellapresenza delle Suore tra ilpopolo di Dio per accom-pagnare, sostenere e for-mare le famiglie e i giova-ni.

    costruzione fatiscente in cui ci sono solo 3 aule buie e mal ri-dotte, mentre le altre 3 sono prestate dalla Parrocchia. LeSuore non si scoraggiano, chiedendo aiuti quando è possibi-le, dicendo come il padre fondatore: “la Provvidenza nonmancherà”.

    2. La Comunità “Beato Pietro Bonilli” a Butembo, Sede della De-legazione, è la casa di Formazione delle Postulanti e comunitàapostolica, inserita nella Pastorale delle Vocazioni, dei giovanie delle famiglie, a livello parrocchiale e diocesano. Porta avantila visita alle famiglie, agli ammalati, l’animazione nei movi-menti e gruppi in parrocchia, l’accoglienza dei bambini ai qua-li si dona da mangiare ogni mattina. I malnutriti sono molti, co-me pure le famiglie povere alle quali si dona il necessario pervivere, grazie all’aiuto che ci arriva dalle nostre Sorelle e dagenerose famiglie italiane. Sono tante mani e tanti cuori che ci

    sostengono, ci incoraggiano e che ringraziamo di cuore! Dal2010, la Coordinazione delle Scuole Cattoliche ha affidato allanostra Famiglia Religiosa la direzione della Scuola Elementa-re «E.P. Lusuli» di Butembo con più di 1000 alunni. Un impe-gno arduo che le nostre Suore portano avanti con coraggio.Nel 2019, questa Scuola è stata messa sotto la protezione delnostro Beato Padre Pietro Bonilli.

    3. La Comunità del Noviziato “Beato Pietro Bonilli”, sempre a Bu-tembo. È formata dalla Formatrice, due Suore più giovani e leNovizie. Da anni si auspicava la realizzazione di questa casa efinalmente è stata fatta! Anche questa comunità, oltre alla For-mazione, porta avanti una piccola e preziosa missione: la pere-grinazione della statua della Sacra Famiglia presso le famiglie,pregando con loro il Rosario della Sacra Famiglia e parlandodel nostro Padre Fondatore e del nostro Carisma.

  • 36 NAZARET

    «Le nostre abitudini quindivanno cambiate. Vannocambiate ora. Dobbiamo

    rinunciare tutti a qualcosa, peril bene dell’Italia e quando par-lo dell’Italia, parlo dei nostri ca-ri, dei nostri genitori, dei nostrinonni. Lo dobbiamo fare subitoe ci riusciremo solo se tutti col-laboreremo e ci adatteremo su-bito a queste norme più strin-genti». Era il 9 marzo 2020.Tutti incollati davanti al televiso-

    re ad ascoltare le parole del Presidente delConsiglio Giuseppe Conte. Aveva inizio lachiusura totale dell’Italia.Nelle settimane immediatamente successivecominciavano a spuntare sui nostri balconistriscioni colorati con frasi di incitamento;sulle terrazze impazzavano flash mob e altricanti e balli a rimarcare e sottolineare unforte sentimento nazionale assopito da unpo’; video virali cominciavano a diffondersisul web, alternati da un bollettino quotidianodella Protezione Civile, una fake news e unarticolo che insegna come lavarsi le mani.Nel frattempo, tutti noi cominciavamo a rive-dere i nostri piani: quelli dell’immediato futu-ro e quelli a più lunga distanza. I matrimonisono stati rinviati a data da destinarsi; i da-tori di lavoro hanno messo i propri dipen-denti in cassa integrazione; gli operatori sa-

    nitari costretti a turni stremanti; i figli 24 ore al giorno, dal lunedì al-la domenica, chiusi in casa, lontani dall’asilo e dai parchetti sotto ca-sa; le vacanze estive restano ancora un’incognita.Cosa significa avere 20/30 anni ai tempi del COVID-19? Significaaccogliere questa enorme sfida e fare di tutto per vincerla: #Andrà-TuttoBene. L’abbiamo letto e sentito decine, centinaia, migliaia di vol-te. Forse talmente tante volte che sembra ormai banale, quasi unadagio dei tempi passati. E invece no. È proprio nell’indole dei gio-vani il sapersi riorganizzare, reinventarsi e lavorare sodo per torna-re più coraggiosi di prima.Scritto così sembra facile: non lo è affatto. È stata dura finora, è duratuttora, sarà ancora più dura. Abbiamo tutti un sogno da inseguire:noi giovani abbiamo tantissimi sogni. Alcuni restano riposti nel cas-

    DAL PUNTO DI VISTA DEI GIOVANI

    Avere 20/30 anni al tempo del COVID-19«Non sarà un virus a spegnere i nostri sogni»

    di Ulrico Cristini, Noemi Trabalza e Chiara Valentini

    orgoglio, potremo dire: ce l’hofatta nonostante il coronavirus.Maniche rimboccate: si riparte!

    PerseverareSe siamo convinti che non saràun virus a fermarci, dobbiamoessere ancora più convinti delnon demordere. Insistere e per-sistere. Perché poco più avantici sono i nostri sogni: sono tan-gibili. Siamo ancora proiettatial futuro.

    CrescereCome un bambino. Come unapianta sul terrazzino. Mentre inostri sogni e i nostri ideali cre-scono, noi cresciamo con loro. Dopotutto, siamo quelli a cui, inoccasione della XXXV GiornataMondiale della Gioventù, papaFrancesco ha detto: «Cari gio-vani, quali sono le vostre pas-sioni e i vostri sogni? Fateliemergere, e attraverso di essiproponete al mondo, alla Chie-sa, ad altri giovani, qualcosa dibello nel campo spirituale, arti-stico, sociale. Vi ripeto nellamia lingua materna: hagan lìo!Fatevi sentire!».

    NAZARET 37

    setto in attesa di un momento utile, su altri ci stavamo lavorando se-riamente, stavamo investendo tempo ed energie. Poi proprio comenei videogiochi che tanto amavamo da bambini: PAUSA.Il tempo si è fermato. Noi non ci siamo fermati. Come puoi fermarti?C’è troppo da fare. Troppe occasioni da sfruttare. Troppi progetti sucui lavorare. Troppi sogni da realizzare. Troppi ideali da alimentare.Noi non ci siamo fermati.

    SperimentareAbbiamo colto l’occasione di questo tempo di pausa per nutrire i no-stri sogni più di prima, provando a fare test su noi stessi: vedere checosa siamo in grado di fare, come lo facciamo e se possiamo prose-guire in questa maniera. Un collaudo quotidiano di noi stessi.

    FallireSolo chi non ha sperimentato può dire di non aver fallito. Il fallimen-to fa parte dei nostri progetti. Lo abbiamo sempre messo in conto. Edè qui che si vede la tenacia e la voglia di dominare che da dentro citravolge e ci sconvolge. Quella forza innata che ci permette di direche un fallimento è soltanto un trampolino di lancio.

    Avere pauraCi siamo dovuti confrontare e scontrare con noi stessi, con i nostri li-miti e con le nostre debolezze. Siamo dovuti scendere a patti. L’ansiadel futuro, la paura di quello che (non) ci attende. E se tutto ciò su cuistavamo lavorando fosse arrivato alla propria fine? Se non ci fossemodo per ricucire questo strappo doloroso? Come comportarsi? Co-me ripartire? A chi chiedere aiuto? Dove cercare aiuto?

    RiprovareIl coronavirus non sarà la nostra scusa per rimandare i nostri sogni;non sarà ciò che ci farà tradire i nostri ideali. Sarà invece motivo di

  • traslazione a Cannaiola ed anche suor Ancilla vi andò, proseguendoil suo prezioso servizio presso il nuovo Santuario per molti altri anni.Ma oltre ad essere “custode delle spoglie mortali” del Beato, mi pia-ce definire suor Ancilla come “custode della memoria” del PadreFondatore. Prima della Beatificazione infatti, come Superiora Provin-ciale delle Suore della S. Famiglia, residente nella Casa Madre aSpoleto seguì pedissequamente le tappe del lungo Processo di Beati-ficazione, avendo modo di entrare in contatto con i tanti manoscrittilasciati dal Fondatore. Letteralmente fu “rapita” dal suo pensiero, eindefessamente impegnò ogni sua energia e ritaglio di tempo non

    solo per studiarlo e approfondirlo personalmente, ma soprattutto perfarlo conoscere, per testimoniare l’attualità e la profezia del suo pen-siero. Nutriva un amore e una devozione molto profonda verso ilBeato e la Sacra Famiglia, andandosi, negli anni, sempre più aconformare a quell’idea di S. Famiglia che aveva il Bonilli: “Sentodunque e fortemente sento che questa sublimissima idea – Sacra Fa-miglia – non deve solo spingerci ad aprire il labbro a qualche ora-zioncella, ma deve suscitare in cuore propositi forti, deve muovere lamano ad opere valorose e grandi”. (La Sacra Famiglia n. 21, 1855). A leisi devono alcune trascrizione e sistemazioni organiche degli scrittidel Fondatore, ma soprattutto al suo “spirito vulcanico” si debbonotantissime iniziative che hanno favorito, non solo nell’Umbria ma an-che fuori, la conoscenza e la diffusione della figura, del pensiero edell’opera del Bonilli. suor Ancilla era una suora volitiva e determi-nata, ma anche in grado di coinvolgere tanti laici, a livello spirituale,emotivo e attivo nelle numerose iniziative a cui dava vita! Ad esem-pio, come non ricordare il “Raduno cicloturistico” in onore del Beatoche vedeva ogni anno la partecipazione di moltissimi ciclisti i quali,

    “Custode della memoriadel Fondatore”Profilo di suor Ancilla PedrazziniPostino di Dovera (CR) 1926 – Spoleto (PG) 2016

    NAZARET 39

    IMPRONTE NAZARENE

    C hi non ricorda suor An-cilla? Facendo un giroper la città di Spoleto,soprattutto nel centro storico, èbello scoprire come moltissimispoletini, hanno nel cuore il ri-cordo di questa nostra sorella!Si potrebbe dire che “chi dicesuor Ancilla non può non direbeato P. Bonilli”! Eh sì, anchenella mia esperienza personaleil nome e la memoria di suorAncilla sono legati a quello delPadre Fondatore.Dalla Beatificazione di don Pie-tro avvenuta nel 1988 e a se-guito della traslazione delle suespoglie mortali dalla Casa Ma-dre alla Chiesa di San Filippoin Spoleto, esposte per semprealla pubblica venerazione, suorAncilla è stata nominata Re-sponsabile della cura del San-tuario Beato Pietro Bonilli in S.Filippo. Nel 1997, a causa delterremoto in Umbria, il feretrodel Fondatore subì una nuova

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    in sella alla loro bici, partendodalla Chiesa di san Filippo Ne-ri, ripercorrevano i luoghi dellavita del Beato facendo una so-sta a Cannaiola, con un omag-gio floreale al Padre Fondatoree la preghiera il “Ringrazia-mento del ciclista”. Nella pre-parazione di questi eventi suorAncilla era letteralmente in fi-brillazione, mi sembra ancoradi rivederla: precisa, attenta adogni particolare! Senza dubbiotuttavia, questa creatività dellasuora, va ad innestarsi e a sca-turire da un profondo spirito dipreghiera, di contemplazione edi sacrificio. I Superiori seppero

  • venne un 24 aprile, giorno in cui si festeggiava l’anniversario dellaBeatificazione del Padre, come sempre in festa a Cannaiola, spezza-ta da un Ictus! A seguito di questo episodio la sua salute rimase a li-vello fisico seriamente compromessa, ma mantenne la piena luciditàdella mente. Il suo fervore e la sua vibrante emozione nel parlare delPadre Fondatore si fecero ancor più intensi quando, come lui, iniziò

    NAZARET 41

    scorgere in lei queste doti, finda subito, tanto che da moltegenerazioni di suore ella è ri-cordata, in particolare, comevice maestra e poi come mae-stra di noviziato. L’impegno aformare le suore di domani,era anzitutto per lei l’impegnoad essere personalmente, l’e-sempio e la testimonianza diun’autentica suora della SacraFamiglia. E questo effettiva-mente è stata per tutti coloroche hanno avuto modo di co-noscerla, una donna forte, madialogante, una donna giovialee accogliente, ma determinata,una donna vibrante nelle sueespressioni, ma di sacrificio. La sua fervente attività, che no-nostante l’età non proprio gio-vanile, continuava a sostenere,

    40 NAZARET

    a perdere la vista. Per lungotempo, anche lei soffrì la cecità,tuttavia nel letto del suo forzatoriposo, il suo amore per lo Spo-so Divino, per il Fondatore e l’I-stituto rimasero sempre vivi evivificanti.

    Suor Monica Cesaretti

  • LAICI NAZARENI

    Nei primi mesi dell’anno 2020, il Si-gnore ha visitato la nostra FamigliaCarismatica chiamando a Sé due stu-pendi laici, nazareni nel cuore e nelleopere: Pippo Valdesi di Palermo, dece-duto il 26 gennaio 2020, e GiovannaPierotti, deceduta il 19 febbraio 2020,presso l’Istituto Mons. Bonilli a Trevi(PG). Due persone di grande spessoreumano, professionale, spirituale!Pippo, insieme alla moglie Francesca, èstato uno dei fautori dell’iter associati-

    vo dei Laici Bonilliani ed il primo presidente. Per l’ALBo e per l’Istituto delle Suore della Sacra Fami-glia si è donato tanto, in modo intelligente, spesso provocatorio, stimolando sempre alla riflessione,all’approfondimento dell’identità carismatica e delle differenti funzioni vocazionali all’interno dellostesso Carisma. È deceduto all’età di 66, lasciando di sè un carissimo ricordo in tutti quelli che l’annoconosciuto, lasciando delle impronte nazarene indelebili, come alcuni suoi preziosi scritti e una rap-presentazione sulla vita di don Pietro Bonilli, realizzata postuma per la prima volta il 16 Febbraio2020, a Palermo nella sua Parrocchia “S. Cristina Vergine e Martire”.Di Giovanna, vissuta sin da piccola nel nostro istituto a Trevi, riportiamo il saluto di suor OttavinaBressanin rivoltole al suo funerale.Carissima Giovanna a nome della nostra Madre Generale e di tutte le sorelle della nostra Famigliareligiosa sono qui per esprimerti un grazie profondo.Grazie di cuore Giovanna per ciò che sei stata, per il tanto bene che hai fatto e per la grande gene-rosità con cui sempre ed ovunque ti sei donata.Si dice che: L’amore vero è amare senza misura, questo è stato il tuo vissuto.Tutti qui presenti possono testimoniarlo.Hai amato l’istituto con senso di vera appartenenza.Hai incarnato gli insegnamenti del nostro beato Padre, soprattutto nel servire i piccoli e i poveri e nehai diffuso la devozione.Per le ospiti di questa Comunità dell’Istituto Mons. Pietro Bonilli di Trevi (PG) sei stata una vera mamma , in-fatti le chiamavi “ le figlie “. Le hai trattate con tenerezza materna, eri per loro un punto di riferimento co-stante e loro ricorrevano a te in ogni necessità e tu le accoglievi e confortavi sempre.Anche nel territorio sei stata molto presente. Se le pietre di Trevi e d’intorni potessero parlare ti farebberoun grande elogio, ti hanno vista entrare in ogni famiglia, con delicatezza, rispetto e professionalità, do-nando sempre fiducia e conforto nelle varie situazioni e tutti ti ricordano come donna dal cuore grande …A te, cara Giovanna, si addice bene l’Inno alla Carità di San Paolo: La Carità è mite, paziente, be-nevola, non manca di rispetto … si dona senza sosta, con pace ed umiltà.Il tuo esempio, Giovanna, rimanga nei nostri cuori e tu dal cielo prega per il nostro Istituto e aiutacia seguire il tuo esempio.

    NELLA LUCE DEL SIGNORE

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    SUORE

    I l 24 apri le 2020, giorno di festa perl’anniversario di Beatificazione del nostrocaro beato Padre Fondatore, la nostraFamiglia religiosa è stata toccata anche dallasofferenza per la morte di due care Sorelle:suor Giovanna Cataldi e suor LeonardinaRamazzotti.

    Suor GIOVANNA CATALDI era nata il 14dicembre 1939 a Modica (RG) ed era venutanella nostra famiglia Religiosa il 7 marzo1962. In Istituto ha conseguito il diploma diinfermiera che le ha permesso di esseresempre a fianco degli ammalati e di servirlicon amore in vari ospedali a Trapani,Vicenza, Pavia, Pietrasanta. Dal 1979 al

    1986 ha svolto la sua professione in Cile, a Coyhaique, servendo con dedizione la missione e ilpopolo cileno. Rientrata in Italia è stata in diverse Comunità dalla Calabria alla Sicilia, continuandoil suo servizio di infermiera. Suor Giovanna è stata una suora buona, gentile, amante della natura,che ha vissuto la sua vita consacrata nella semplicità e nell’umiltà tipiche di Nazaret, senza clamori,ma nella fede e nella quotidianità nazareno-bonilliane. Dal febbraio 2017 si trovava nella Comunitàdi Piazza Armerina, per una malattia progressiva che l’ha condotta pian piano alla morte.

    Suor LEONARDINA RAMAZZOTTI era nata a Castelplanio (AN) il 26 febbraio 1926 ed era entratanell’Istituto l’11 marzo 1952. Dal 1953 al 1970 è stata a Trevi nella Comunità dell’Ospedale, e dal1970 al 2017 è stata a Casa Madre. Suor Leonardina è stata una Suora buona, mite, silenziosa. Èstata una donna di preghiera e di grande sacrificio. Chi non ricorda la serenità e la gioia con cuitrafficava tra i fornelli perché ogni Suora che viveva o passava da Casa madre potesse sentirsiaccolta e ristorata? In un servizio spesso pesante, preziosissimo e nascosto ha incarnato gli idealidella S. Famiglia di Nazaret, vissuti e proposti dal nostro beato Padre Fondatore. Dal 2017 suorLeonardina si trovava a S. Giuseppe per il meritato riposo e per l’avanzare degli anni. Si è spentaserenamente nel Signore ed ora sicuramente fa corona, insieme alle tantissime nostre Sorelle defunte,al nostro caro beato Pietro Bonilli.

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