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Introduzione al pensiero kantiano Kant nel 1790 segna l'atto di fondazione dell'estetica moderna come riflessione critica sul sentire (dal greco aistesis), che chiama sentimento di piacere e dispiacere, il sentire senza accezione sentimentalistica, che solo in via subordinata si pone come riflessione sull'arte; tuttavia l'estetica come disciplina comincia molto prima. Hegel dal 1817 al 1829 tenne alcuni corsi di estetica raccolti dai suoi allievi; per estetica (parola che tuttavia il filosofo non ama e non usa) intende filosofia dell'arte, cioè spiegazione del perché la filosofia sia tenuta a occuparsi di arte, ovvero del significato storico e sistematico che assume l'arte nella sua concezione di filosofia. Si tratta di pensare il movimento per cui lo spirito (ragione pensante) arriva a pensare se stesso ed essere autotrasparente. La filosofia è tenuta a occuparsi dell'arte, che è oggetto necessario della filosofia, per dargli significato storico e sistematico, in quanto primo momento del processo per cui lo spirito diventa autocosciente. Dunque con Kant siamo nell'ambito della riflessione critica sul sentire, con Hegel abbiamo invece una filosofia dell'arte. Kant si chiede qual è il rilievo dell'arte per una filosofia critica; se il rilievo c'è, allora la filosofia è tenuta occuparsene. Al contrario Hegel si domanda se l'arte sia ancora un'esperienza decisiva per i moderni, in cui ne vanno i valori fondamentali di una comunità storica, esperienza decisiva a cui vanno i valori spirituali più alti e più importanti; parla di un carattere di passato dell'arte, poiché per i moderni l'arte è qualcosa di passato e non più modo eminente di fare esperienza dei valori fondativi di una comunità storica. Quindi si chiede che cos’è e perché la filosofia se ne debba interessare. L'estetica non è una disciplina storica nata insieme alla filosofia, ma è una disciplina moderna che nasce nel 1735, quando il filosofo razionalista Alexander Baumgarten la battezza con questo nome nella sua tesi di dottorato. La concepisce come dottrina della conoscenza sensibile, la quale è un grado inferiore del conoscere, ma comunque importante. Non vale di meno, ma è inferiore topologicamente e temporalmente, nel senso che viene prima. Con terminologia leibniziana dice che la conoscenza sensibile dell'estetica è “con-fusa”, ovvero fonde e tiene insieme molti elementi che la conoscenza vera e propria deve raffinare.

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appunti lezioni di estetica, critica del giudizio di Kant

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Introduzione al pensiero kantiano

Kant nel 1790 segna l'atto di fondazione dell'estetica moderna come riflessione critica sul sentire (dal greco aistesis), che chiama sentimento di piacere e dispiacere, il sentire senza accezione sentimentalistica, che solo in via subordinata si pone come riflessione sull'arte; tuttavia l'estetica come disciplina comincia molto prima.Hegel dal 1817 al 1829 tenne alcuni corsi di estetica raccolti dai suoi allievi; per estetica (parola che tuttavia il filosofo non ama e non usa) intende filosofia dell'arte, cioè spiegazione del perché la filosofia sia tenuta a occuparsi di arte, ovvero del significato storico e sistematico che assume l'arte nella sua concezione di filosofia. Si tratta di pensare il movimento per cui lo spirito (ragione pensante) arriva a pensare se stesso ed essere autotrasparente. La filosofia è tenuta a occuparsi dell'arte, che è oggetto necessario della filosofia, per dargli significato storico e sistematico, in quanto primo momento del processo per cui lo spirito diventa autocosciente. Dunque con Kant siamo nell'ambito della riflessione critica sul sentire, con Hegel abbiamo invece una filosofia dell'arte.Kant si chiede qual è il rilievo dell'arte per una filosofia critica; se il rilievo c'è, allora la filosofia è tenuta occuparsene. Al contrario Hegel si domanda se l'arte sia ancora un'esperienza decisiva per i moderni, in cui ne vanno i valori fondamentali di una comunità storica, esperienza decisiva a cui vanno i valori spirituali più alti e più importanti; parla di un carattere di passato dell'arte, poiché per i moderni l'arte è qualcosa di passato e non più modo eminente di fare esperienza dei valori fondativi di una comunità storica. Quindi si chiede che cos’è e perché la filosofia se ne debba interessare.

L'estetica non è una disciplina storica nata insieme alla filosofia, ma è una disciplina moderna che nasce nel 1735, quando il filosofo razionalista Alexander Baumgarten la battezza con questo nome nella sua tesi di dottorato. La concepisce come dottrina della conoscenza sensibile, la quale è un grado inferiore del conoscere, ma comunque importante. Non vale di meno, ma è inferiore topologicamente e temporalmente, nel senso che viene prima. Con terminologia leibniziana dice che la conoscenza sensibile dell'estetica è “con-fusa”, ovvero fonde e tiene insieme molti elementi che la conoscenza vera e propria deve raffinare. Dare così importanza alla forma inferiore e sensibile della conoscenza significa che l'estetica nasce in un momento della storia del pensiero in cui viene messo in discussione il primato del paradigma razionalista, formatosi con Galileo e Cartesio e che raggiunge la pienezza con Leibniz. Il razionalismo nel 700 comincia ad autopercepirsi come insufficiente a se stesso; quindi la fondazione puramente logica del conoscere diventa qualcosa da mettere in discussione dall'interno; ragione e logica non bastano più a se stesse, mentre va preso in considerazione l'elemento estetico, il sentire per spiegare la conoscenza. Per Leibniz e Baumgarten il conoscere è un affinamento della conoscenza sensibile.Per Kant invece l'idea di conoscenza sensibile è un controsenso; la differenza tra Baumgarten e Kant è la differenza tra razionalismo e filosofia critica; per Kant le fonti della conoscenza sono due, diverse e irriducibili l’un l'altra; si tratta della sensibilità (ricevimento di stimoli dal mondo esterno) e intelletto; la conoscenza nasce dalla loro unione ed è solo intellettuale . La conoscenza consiste nell'organizzare i dati sensibili forniti dall'intuizione (sinonimo di ricettività di stimoli, ovvero sensibilità che si lascia modificare da ciò che viene dal mondo). Questi dati sensibili vengono organizzati secondo forme universali e necessarie che non provengono dai sensi, ma dall'intelletto, produttore spontaneo di forme logiche di organizzazione. La filosofia critica vuole capire come avvenga quest'unione che permette di raggiungere la conoscenza. Kant fa un'ipotesi che chiama schematismo, pensando a una capacità (che attribuisce ora all'immaginazione, ora all'intelletto) di costruire l'interfaccia tra sensibilità e intelletto. Quindi il filosofo oppone al razionalismo la filosofia critica, modo di pensare che chiama anche filosofia trascendentale; essa per Kant è molto importante, tanto che la considera una svolta copernicana

nella storia della filosofia, un rovesciamento delle posizioni della metafisica classica. È in questo ambito che assume senso il problema estetico. Filosofia critica vuol dire riflessione che non parte dagli oggetti della conoscenza, ma dai modi del conoscere. In questo modo il sapere relativo all'esperienza può aspirare al rigore dei principi a priori, necessari e universali, di cui non si può fare a meno. La filosofia critica si chiede a che condizioni si conosce e non pretende di raggiungere le cose in sé, ma chiarire in che modo le cose si costituiscono come fenomeni nel loro apparire come oggetto di esperienza e conoscenza. Infatti l'uomo incontra una varietà di cose che possono essere oggetto di conoscenza e deve mettere ordine.Inizialmente, Kant non scrive nulla per molto tempo, cercando di elaborare un suo pensiero, ovvero mettersi all'altezza di fronteggiare le cose che danno da pensare; in questo periodo pre-critico produce la svolta e comincia a scrivere in pochi mesi:

Critica della ragion pura, 1781

Si tratta dell'indagine sistematica sulle condizioni di possibilità della conoscenza della natura fondate su principi a priori, ovvero condizioni dell'intuizione. La sensibilità è organizzata dalle forme dell'intuizione dello spazio e del tempo e dai concetti puri o categorie. I concetti puri dell'intelletto sono dodici; si tratta di forme a priori di organizzazione del sensibile attraverso cui arrivano le cose oggetto di conoscenza. Tra esse abbiamo le categorie di quantità, pluralità, totalità, unità, relazione. Tra le categorie di relazione c’è la categoria della casualità, che è il paradigma della scienza moderna che cerca di capire la causa di un fenomeno e perché qualcosa accade. È la categoria del pensiero scientifico. La critica della ragion pura nasce per esporre le condizioni di possibilità di una conoscenza in genere, cioè come sia possibile in generale conoscere . È possibile conoscere a condizione che la sensibilità sia spazializzata e temporalizzata e che le cose giungano come fenomeni, organizzate categorialmente dai concetti che l'intelletto spontaneamente produce per incontrare e raccogliere il mondo.

Critica della ragion pratica, 1788

Indagine critica dei principi a priori estesa ai principi del concetto di libertà, il conoscere sensibile come ordine del conoscibile, mentre la ragion pura si occupa dei concetti della natura. Il concetto di libertà non riguarda il conoscere, ma la capacità di pensare, desiderare e volere, che possiede concetti trascendentali. Il concetto di questa condizione della prassi umana è la libertà, poiché l'agire dell'uomo è libero. La prassi umana dispone di concetti a priori che Kant chiama idee, ovvero concetti puri della ragion pratica. Ci sono solo due tipi di concetti a priori: concetti della natura, circoscritti al sensibile e che hanno a che fare col conoscere e concetti di libertà, che trascendono i sensi e sono soprasensibili, cioè non determinano nulla che può essere conosciuto, ma solo pensato. Mentre i concetti della natura, cioè le categorie del conoscere devono essere radicati nel sensibile, ovvero esibiti sensibilmente e radicati nel mondo, i concetti dell'intelletto, dominio della natura, vanno sensibilizzati, ovvero riempiti di sensibile. Le idee della ragione al contrario sono soprasensibili, cioè non possono essere sensibilizzate, ma solo pensate.Anche la filosofia va divisa in due parti: teoretica i cui concetti delimitano il dominio sensibile, la natura, di cui l'intelletto fornisce le leggi per poterla organizzare e pratica. Il concetto di libertà (che è un'idea) delimita il dominio soprasensibile in cui legifera la ragione pratica. Tra i due domini non c'è un rapporto diretto; il territorio in cui sono presenti e hanno rapporto è l'esperienza o empirico in cui la filosofia affonda le proprie radici e si autogiustifica. I due domini dispongono di idee e categorie (o concetti).

Critica della facoltà di giudizio, 1790

Kant si chiede se tra le due parti della filosofia (concetti della ragione, idee, libertà e natura, necessità, conoscenza) sia possibile istituire una relazione osservabile dal punto di vista della filosofia critica e se questa relazione sia una delle condizioni necessarie per spiegare la conoscenza dell'esperienza sotto il profilo critico. Si tratta della conoscenza come effetto, possibilità della conoscenza d'esperienza come determinata, in quanto si conoscono sempre singoli elementi. È il conoscere il cui modello è l'indagine scientifica; Kant si chiede come lo scienziato fa le sue ipotesi e a che condizioni si produce l'ipotesi scientifica.Il filosofo scrisse due introduzioni al testo; quella definitiva venne scritta alla fine ed è composta di nove paragrafi. I primi tre fanno il punto della filosofia critica al 1790 e trattano il problema del rapporto tra i domini. Nel quarto parte il problema della critica della facoltà di giudizio, che è un problema epistemologico, in cui Kant inventa una epistemologia non riduzionista.

2. La facoltà di giudizio determinante e la facoltà di giudizio riflettente

Nei primi tre paragrafi dell'introduzione definitiva Kant presenta i risultati della filosofia critica, ripensata daccapo in modo innovativo a quell'altezza della sua riflessione. Comincia a introdurre un problema già incontrato nella Critica della ragion pura che lo porta un ripensamento complessivo della filosofia trascendentale. Kant ribadisce che ci sono due tipi di concetti a priori:-Natura, sensibilità, conoscenza-Libertà, ragion pratica, trascendente i sensi, soprasensibile, che non si trova nel sensibile, né si può sensibilizzare.La filosofia deve restare divisa in teoretica e pratica; per Kant la Critica della facoltà di giudizio non è una dottrina o una nuova officina di concetti trascendentali, ma un modo nuovo di riflettere criticamente sul rapporto tra le due parti della filosofia. I concetti della teoretica delimitano il dominio sensibile in cui è legislativo l'intelletto con le categorie, mentre nel secondo si tratta del dominio soprasensibile dove legifera la ragione. I due tipi di concetti a priori sono necessari e cooperano nel territorio dell'esperienza, ma non c'è possibilità di passaggio dal dominio dell'uno al dominio dell'altro. A livello terminologico il filosofo distingue CAMPO (qualcosa di ampio e indeterminato) da TERRITORIO (dove gli oggetti e i concetti possono essere definiti) e da DOMINIO, in cui i concetti sono legislativi e determinano gli oggetti che vi compaiono. Tra i domini non ci sono rapporti diretti, ma è possibile stabilire solo rapporti analogici . Dunque compare una nuova esigenza, quella di chiedersi se tra le due parti della filosofia non ci possa essere una relazione che abbia rilievo critico e se questa pur non circoscrivendo un terzo dominio (la facoltà di giudizio non ha un dominio proprio, ma si muove liberamente nell'indeterminato territorio dell'esperienza) non debba presentarsi come qualcosa di necessario quando bisogna mettere in luce le condizioni in cui sia possibile produrre l'effettiva conoscenza (esperienza) che chiama conoscenza come effetto, conoscenza effettiva, il conoscere che trova manifestazione e modello eminente nella ricerca dell'indagine scientifica, ovvero nella ricerca di leggi empiriche.Il quarto paragrafo introduce il problema epistemologico; si tratta di un'epistemologia non riduzionista, cioè non fondata sul postulato dell'autosufficienza delle operazioni logiche alla produzione della conoscenza. Per produrre conoscenza effettiva non basta solo la logica, ma c'è bisogno anche dell'elemento estetico, di qualcosa che riguarda il sentimento e il sentire . Su questo fondo il filosofo introduce la distinzione tra facoltà determinante e facoltà riflettente del giudizio e pone il problema se ci sia un principio autonomo della facoltà riflettente di giudizio, che è quella che davvero lo interessa.

Nel quarto paragrafo si ricerca il principio a priori della facoltà di giudizio che però non porterà alla fondazione di una nuova dottrina, ma ha solo valore critico, poiché serve a mettere in contatto le due parti della filosofia in modo che possa risolvere una questione essenziale.Il giudizio in genere è la struttura sussuntiva del conoscere, ovvero predicare di un particolare qualcosa di universale; questo universale ha diverse forme (legge, regola, principio) ed è la regola, il principio sotto cui il particolare è sussunto e giudicato, sotto cui lo si prende, la classe in cui il particolare viene inserito (questo X è Y). Tale giudizio è determinante quando l'universale c'è già; l'universale c'è già nelle leggi a priori (categorie) senza le quali nulla si presenterebbe come oggetto dei sensi. Se si sussume sotto leggi universali già date a priori, necessarie per qualunque conoscenza in generale, se si sussume cioè sotto le leggi universali della natura, allora il giudizio determinante e il giudizio trascendentale (come possibilità della sussunzione in genere) sono la stessa cosa. Se si sussume sotto leggi trascendentali date a priori la sussunzione è automatica, è qualcosa che va da sé, poiché senza essa non si incontrerebbe nulla. La sussunzione è come se la stesse facendo in generale il principio trascendentale del giudizio, un principio che stabilisce in generale le condizioni sotto cui si sussume.Kant fa un esempio di giudizio che determina a partire da leggi trascendentali e che difficilmente è possibile desumere in modo empirico. Questo giudizio desume dal patrimonio delle forme a priori dell'intelletto che ognuno possiede come essere che fa esperienza. In questo caso si troverebbero delle determinazioni generali, presenti analiticamente già nel fenomeno stesso. L'esempio che ne risulta è così generale da non sembrare nemmeno una conoscenza, ma equivarrebbe alla percibilità del mondo così come si è dato. Il filosofo fa quest'esempio nel quinto paragrafo: l'intelletto dice che ogni mutamento ha una causa (ma questa è una legge universale della natura, cioè è una categoria applicata al sensibile). La facoltà trascendentale di giudizio, cioè l'attitudine sussuntiva a raccogliere sotto l'unità il diverso, deve solo indicare che nella modificazione la cosa non sia cambiata. Ad esempio se io dico questa modificazione ha una causa è innaturale perché si è inclini a trovare la causa determinante e non la causa in sé. Il particolare da sussumere assume valore di enunciato che empiricamente non corrisponde alle domande che ci si pone quando si ha a che fare con la conoscenza. Si tratta di leggi da trovare sul piano del giudizio riflettente. Questo tipo di sussunzione produce un enunciato che non corrisponde ai normali enunciati cognitivi. Ne risulta un giudizio molto generale e artificioso che corrisponde al presentarsi medesimo dei fenomeni in quanto tali.Il conoscere comincia dove le leggi non sono date, ma vanno trovate. Il giudizio determinante ha natura definita nella operazione sussuntiva sotto una legge che empiricamente o trascendentalmente è già data. Perciò questo giudizio non aggiunge nulla a quello che è contenuto analiticamente nel fenomeno stesso. Un enunciato come questa modificazione ha una causa non è qualcosa di cognitivo; per conoscenza si intende cercare la causa specifica della modificazione stessa, tale da sussumere il particolare sotto una causa specifica. Kant nota come ogni causa provoca effetti in maniera infinita. È tendenza naturale conoscere e ricercare le cause specifiche se qualcosa non è dato; va cercato facendo un'ipotesi. Il filosofo riflette come la scienza fa le sue ipotesi quando la legge non è data e la facoltà di giudizio deve cercarla. Essa deve cercare l'universale e la legge sotto cui sussumere; dunque si tratta di un universale empirico. A queste condizioni il giudizio è detto riflettente.Ci sono molte forme che per essere spiegate nella loro specificità implicano che anche i concetti vadano modalizzati e trasformati. Gli uomini incontrano la molteplicità delle forme e in questo ambito va portato ordine; al contrario nel trascendentale l'ordine c'è già. Portare ordine è qualcosa che siamo portati naturalmente a fare. Tuttavia non bastano le leggi trascendentali dell'intelletto, poiché attraverso esse si conosce ciò che i fenomeni hanno necessariamente in comune. Tutti i mutamenti hanno in comune una causa, però non si giunge alla differenziazione tramite le categorie. Ci sono molteplici forme e più modificazioni dei nostri concetti. Ne consegue che l'ordine del conoscibile si forma a metà strada tra soggetto e oggetto. Per portare ordine c'è bisogno di un principio (criterio con cui si cercano le leggi) di guida dell'attività riflettente di giudizio nella

sua ricerca di regolarità (leggi) e di relazioni tra leggi e regolarità. Ciò è l'esperire cognitivo e scientifico. Una legge è tale quando viene inserita in un sistema di connessione. Si tratta di ricerca di leggi empiriche e connessioni tra esse. Bisogna portarle sotto leggi superiori capaci di spiegare una gran quantità di fenomeni. È il conoscere nel senso rigoroso della scienza riportare le leggi particolari e molteplici sotto una legge generale. La ricerca di leggi empiriche dal punto di vista del lavoro dell'intelletto è qualcosa di contingente che contempla la trascendentalità delle leggi universali e necessarie. La ricerca di queste leggi non è dovuta, ma contingente. L'intelletto pensa in termini di pura trascendenza e dunque non le potrebbe fornire, ovvero garantirne quella stessa trascendenza, universalità e necessità. Per ricercare le leggi e la loro connessione c'è bisogno del principio che Kant chiama sconosciuto dell'unità del molteplice; sconosciuto in quanto fin qui la filosofia critica non se n'è ancora occupata. La ricerca di tale regolarità è contingente e presuppone all'opera un principio che c'è, ma di cui non si sa nulla.Non è un principio dell'intelletto o della ragione, ma un principio nuovo e autonomo, proprio della facoltà di giudizio riflettente. La facoltà di giudizio riflettente deve risalire dal particolare della natura all'universale empirico che non è dato, ma va trovato. Per il filosofo l'esperienza è il reperimento di leggi o regolarità e ordinamento generale di esse secondo un criterio che ha definito "subordinazione sistematica" dal singolare al generale; l'esperienza o conoscenza che affronta la molteplicità delle forme va spiegata usando un principio che deve essere non empirico (ricavabile dall'esperienza), ma trascendentale. In tal modo Kant nella sua filosofia critica prende le distanze dall'empirismo. Il giudizio puramente percettivo (e oggettivo) non è un giudizio d'esperienza se non è connesso con altre regolarità. Si fa esperienza stabilendo delle connessioni in cui un principio è già operante e gode di una natura a priori. Il giudizio può darlo solo a se stesso come legge. È SOGGETTIVO nel senso che non determina nulla degli oggetti, ma il modo in cui la facoltà di giudizio è tenuta a riflettere se aspira a produrre una conoscenza determinata; soggettivo nel senso di non oggettivo, che non dice nulla sulla natura, ma da solo il presupposto necessario, implicitamente assunto anche senza saperlo se si indaga alla ricerca di regolarità , ovvero come si è dentro un'attività. È un principio che determina solo il modo in cui ci si sente incontrando gli oggetti. La natura è conoscibile come fenomeno nella sua molteplicità a condizione che il giudizio riflettente faccia riferimento a un principio relativo al modo in cui siamo tenuti a indagarla per ricavare delle leggi. Questo principio non può prescriverlo alla natura, non è costitutivo di oggetti, poiché la riflessione sulla natura deve accordarsi con la natura stessa. La spiegazione dei fenomeni naturali deve essere adeguata al dato empirico e non va mai contraddetta l'oggettività della natura. In nessun modo si può attribuire a essa il presupposto o principio con cui la si indaga. La natura si regola nelle sue leggi formali (come oggetto dell'esperienza) secondo l'intelletto (con le leggi trascendentali è possibile incontrare la natura come oggetto dei sensi). La natura anche nelle sue leggi empiriche si regola con un certo ordine intelligibile. C'è un ordine anche nelle leggi empiriche e non solo nelle forme trascendentali con cui la natura ci è data.Kant parla poi di simulazione d'ordine di natura soggettiva che riguarda il postulato del giudizio, un criterio che questi dà a se stesso, analogico, che non dice nulla della natura. Il filosofo la definisce “conformità affini” della natura. Il presupposto del giudizio è quello di rappresentarla COME SE fosse conforme a scopi, come se un intelletto divino del demiurgo l'avesse progettata a vantaggio della nostra facoltà conoscitiva, come se pur nell'infinità delle leggi empiriche vi fosse un ordine che l'intelletto può cogliere e organizzare. Si tratta però di una presupposizione soggettiva, una simulazione necessaria.Non si può non presupporre che anche nelle sue leggi empiriche la natura disponga di un ordine intelleggibile e adatto alle nostre capacità conoscitive, come se (in analogia con) avrebbe fatto un intelletto che l'avesse progettata per noi, come se la natura avesse un senso e non fosse un aggregato caotico di leggi irrelate. Kant fa un'epistemologia del soggetto cognitivo, come se nella natura ci fosse un senso, qualcosa di intelleggibile, costruito da un intelletto.

È come se l'intelletto si fosse servito per analogia di un principio della ragione (esistenza di un senso) e lo stesse applicando analogicamente.

3. Conformità della natura a scopi ed estetica

La facoltà determinante di giudizio non ha bisogno di un principio, in quanto ha già la legge e la applica, sussume sotto una legge già data. Il principio non è empirico, poiché senza di esso nessuna esperienza sarebbe possibile; Kant pensa al conoscere della ricerca scientifica che trova regolarità e le collega con altre regolarità (esperire); il filosofo lo chiama criterio di subordinazione progressiva, che consiste nel trovare leggi empiriche superiori capaci di sussumere le leggi stesse. In quest'operazione il principio già c’è; non è oggettivo, non è una nuova legge trascendentale, perché non si può attribuire oggettivamente alla natura l'idea che nella molteplicità delle sue leggi empiriche ci sia un ordine intelleggibile (questa è una presupposizione che facciamo noi).La conformità della natura scopi è un principio per riflettere, non per determinare; deve essere soggettivo, il giudizio lo da a se stesso per la riflessione. Il giudizio riflette spostando analogicamente un principio della ragion pratica (conformità della natura scopi) nel dominio dell'intelletto. Si tratta di un trasporto analogico. Kant insiste molto su questo sottolineandolo con l'espressione COME SE; come se nell'aggregato e nella molteplicità della natura ci fosse un senso; la ragione rende inclini a pensare un senso che nella natura non c'è. Se viene pensata come organizzazione di leggi empiriche è perché stiamo facendo una presupposizione puramente analogica che dice qualcosa su come interroghiamo la natura e non sulla natura stessa. Quando lo scienziato interroga la natura nella molteplicità delle sue forme la sta già presentando in analogia con il concetto razionale di conformità a scopi, secondo la presupposizione di un ordine interno (subordinazione sistematica di leggi empiriche particolari sotto leggi generali, che è la definizione di Kant di ordine interno).Tuttavia questa presupposizione non ha nulla di oggettivo, non può essere esibita dagli oggetti come nel caso dei concetti: il filosofo la chiama IDEA, modo d'essere concettuale che ha che fare con la ragion pratica. È qualcosa usato come criterio soggettivo per riflettere e formulare ipotesi, non per determinare. Senza di esso il ragionamento ipotetico non sarebbe spiegabile. Già su questo piano Kant fa apparire la necessità di collegamento critico tra le due parti della filosofia, passaggio dal modo di pensare secondo i principi della natura al modo di pensare secondo i principi della libertà. Questo è un compito della facoltà riflettente di giudizio; nell'indagine scientifica si mira alla conformità a leggi. Il giudizio col principio soggettivo trasporta analogicamente qualcosa che ha a che fare con i fini pensati dalla ragione nel regno delle leggi, ovvero CONFORMITà A FINI DELLA NATURA.La facoltà di giudizio riflettente media analogicamente e inventa i sistemi di mediazione tra i due domini che però restano separati. Kant apre la strada all'autoconsapevolezza del sapere scientifico: anche la ricerca più rigorosa per essere spiegata nelle condizioni specifiche non può fare a meno di una simulazione preliminare di carattere analogico, ipotetico ed estetico . Nel conoscere l'intelletto da solo non basta con i suoi concetti, ma serve anche il principio che la facoltà riflettente di giudizio ricava per analogia dal dominio della ragione; per fare delle ipotesi va presupposto un ordine nelle leggi empiriche della natura; si tratta di una presupposizione soprasensibile che non potrà essere sensibilizzata, è qualcosa che trascende. Di conseguenza l'esperienza sensibile è intessuta di soprasensibile. Questa idea deve essere poi proiettata sul sensibile, sull'oggetto di conoscenza per conoscerlo nella sua diversità e differenziatezza specifica.Kant raggiunge la questione estetica nei paragrafi 5,6 e 7. Nel quinto paragrafo commenta gli stessi temi del quarto, soffermandosi sul carattere trascendentale del principio e sulla natura del suo

condizionato e la conoscenza empirica come molteplicità di forme e leggi. Viene introdotto il collegamento tra conoscere (intrinseco e non occasionale) ed emozioni.Per caso felice si intendono i casi in cui è come se la natura si mostrasse favorevole al desiderio di conoscerla secondo criteri di ordinamento appartenenti al nostro intelletto, come se nell'essere sensibile della natura si profilasse un senso intelleggibile. Vedendo confermata la supposizione si prova piacere, qui presentato come conseguenza di un atto cognitivo ben riuscito . Si tratta di un piacere simile alla liberazione da un bisogno (trovare ordine). Il tema diventa centrale nel sesto paragrafo, dove il filosofo dice che questo accordo della natura (nella molteplicità delle sue leggi) con il nostro intento di portare ordine è un accordo contingente, non fondato da garanzie a priori, ma avvertito come caso felice quando si realizza. Tuttavia deve essere anche indispensabile quando l'intelletto s'indirizza alla conoscenza empirica. Nell'applicazione delle leggi dell'intelletto non è presupposto nessun intento, ma si tratta di un automatismo per il quale le cose si incontrano e basta. Al contrario nella natura non si può dire che vi sia un ordine, anche nelle sue leggi particolari. È un presupposto che non gode di necessità oggettiva. Quindi il ritrovamento dell'ordine comporta un sentimento di piacere perché risponde a un intento da parte nostra.L'articolazione della natura in generi e specie (elementare classificazione del molteplice) viene avvertito come un dato di fatto e non come risultato di un intento; perciò non si presenta più unito al piacere, che però è stato avvertito a suo tempo. L'inerenza di questo piacere all'esperire nel suo manifestarsi effettivo è una condizione della possibilità delle più semplici esperienze empiriche. Nessuna esperienza per quanto semplice ne può fare a meno. A suo tempo (prime esperienze dall'umanità in origine) questo piacere ci sarà sicuramente provato. Il lavoro di classificazione e ordinamento è preambolo per la produzione di concetti empirici in età pre-linguistica; come adulti civilizzati non si prova più piacere, che però è stato provato originariamente dagli antenati. Il lavoro di ordinamento si collega a un sentimento di piacere che non è più solo conseguenza di un'esperienza cognitiva, ma qualcosa che si lega a questa operazione e fa parte degli elementi con cui questa si produce. La natura viene sentita favorevole quando la si incontra con scopi cognitivi secondo le sue leggi; in vista di un ordinamento possibile ci sentiamo in accordo favorevole con essa. Kant aggiunge che il disaccordo compare quando il disordine o il disparato prevalgono. In questo caso sentendo la natura come contro finale troveremo dispiacere. Non si può stabilire a priori fin dove estendere l'ordine, ma l'unificazione a cui si aspira può far resistenza alle nostre capacità. Nonostante ciò non si può fare a meno di ricercarla. Questa filosofia non può dire nulla su quanto sia esteso il campo in cui l'ordine può essere portato. Il campo riguarda il continuo riorganizzarsi dell'esperienza.Nel paragrafo sette Kant riconosce nel piacere non solo qualcosa di intimamente legato col principio della facoltà di giudizio, ma qualcosa che ne costituisce l'autentico fondamento, che lo determina secondo la sua più originaria e autonoma condizione di possibilità e ne mostra anche un certo dominio. Nella rappresentazione sensibile la qualità dello spazio in cui si collocano le cose come fenomeni è soggettivo e riguarda la ricettività e il modo in cui è organizzata. Tuttavia per conoscerlo quello spazio deve essere finalizzato, bisogna intenzionarlo verso la conoscenza. Kant definisce ciò come riferire all'oggetto. La sensazione pur nella sua soggettività viene usata per conoscere gli oggetti fuori di noi. Quando conosciamo l'aistesis va indirizzata verso l'oggetto, sebbene non si risolva in relativismo soggettivistico (che Kant chiama privato). L'estetico è finalizzabile al conoscere; c'è solo un elemento che non può diventare conoscenza, ovvero il piacere e il dispiacere legato alla rappresentazione. Kant parla di sentimento di piacere che deve PRECEDERE l'incontro con la natura come oggetto di conoscenza nella sua molteplicità e differenziatezza.L'estetico è non conoscitivo, non dice nulla sull'oggetto, ma è fondativo della condizione in cui si ritrova il soggetto quando incontra il differenziato. Nella conoscenza di un oggetto c'è aistesis finalizzata al conoscere, al riferimento della rappresentazione all'oggetto. L'unico aspetto che non si può riferire alla conoscenza è il sentimento di piacere e dispiacere. Con esso l'oggetto di rappresentazione viene sentito, ma non conosciuto. Si sente come conforme allo stato d'animo che

ha suscitato in me e di conseguenza mi sento in accordo con la rappresentazione. Kant chiama questo accordo libero gioco dell'immaginazione e dell'intelletto. Questa conformità che precede la conoscenza e non interferisce con il possibile uso conoscitivo della rappresentazione è l'elemento non oggettivo della rappresentazione stessa, qualcosa che non mi informa sull'oggetto, ma solo sullo stato d'animo con cui lo si incontra e si anticipa la venuta; è un'anticipazione dell'ordine possibile. Ci sono dei giudizi nei quali ne va solo il sentirsi in accordo con la rappresentazione di un oggetto; sono possibili cioè giudizi il cui fondamento di determinazione è il sentimento di piacere. Si tratta di quelli con cui si dichiara che qualcosa è bello e che dunque meritano la dedicazione della critica della facoltà di giudizio estetico.

4. L’analitica del giudizio estetico

Il principio che guida il giudizio riflettente nella sua riflessione (ricerca e coordinazione delle leggi secondo il criterio di subordinazione sistematica) nel quarto paragrafo viene chiamato da Kant "conformità a scopi della natura", ed è soggettivo, in quanto dice qualcosa sulla riflessione e non sulle cose su cui la riflessione si esercita, ipotetico e analogico, poiché proietta analogicamente nel dominio del sensibile della natura un'idea che ha il suo dominio nel soprasensibile (conformità a scopi)). Nel concetto stesso si crea un collegamento tra conoscenza, interessata alla conformità a leggi, ovvero a ciò che viene raccolto in un concetto e concetto soprasensibile della ragione che pensa i fini ultimi. Nella definizione del principio della facoltà di giudizio questi due elementi sono collegati, però il collegamento non descrive un nuovo dominio, ma un trasferimento analogico.Nel sesto paragrafo Kant dice che questo principio a priori non potrà mai dire fin dove può spingersi la nostra conoscenza empirica, visto che nel campo empirico non c'è nessun limite.Il settimo paragrafo stabilisce il fondamento del principio; fino a qui è comparso come esigenza imprescindibile nell'argomentazione relativa alla volontà di spiegazione delle cose (se si vuole spiegare qualcosa, non si può prescindere dal presupporre l'esistenza di quel principio); dunque adesso questo principio viene fondato nella sua soggettività.Ciò che è soggettivo nella rappresentazione di un oggetto (qualità dello spazio, grado della sensazione) deve essere finalizzato cognitivamente quando è in gioco una conoscenza. Dunque in essa anche gli aspetti soggettivi della rappresentazione entrano a far parte del dispositivo che produce la conoscenza oggettiva. L'unico aspetto soggettivo della rappresentazione, che non può essere un utilizzato per conoscere è il sentimento di piacere e dispiacere che diventa fondamento del principio del giudizio riflettente. Con il sentimento di piacere non si conosce nulla dell'oggetto della rappresentazione, ma sento questa rappresentazione senza alcuno scopo determinato . La si sente cioè conforme allo stato d'animo che Kant comincia a definire "libero gioco delle facoltà conoscitive". Lo si sente cioè senza alcuno scopo determinato, conforme allo stato d'animo che quella rappresentazione ha suscitato in me. Si sente la forma della finalità senza alcuno scopo determinato, in accordo con le facoltà conoscitive. Questa conformità a scopi che precede la conoscenza non interferisce con essa, perché è altra cosa e non fa altro che mantenere le facoltà in rapporto armonico ed è l'elemento soggettivo della rappresentazione stessa, non informa sull'oggetto, ma solo sullo stato d'animo con cui l'incontro. Allora si può dire che l'oggetto della rappresentazione di esso è soggettivamente finale nei miei confronti, mi viene incontro in modo favorevole e questa è una rappresentazione estetica della conformità a scopi della natura.I puri giudizi estetici sono giudizi di riflessione il cui unico fondamento è lo stato della rappresentazione estetica (o libero gioco, o forma della finalità o sentimento di piacere che si prova) nel quale non si predica nulla dell'oggetto se non il mio sentirmi in accordo con la sua rappresentazione. Tra questi c'è quello di gusto che riguarda solo il bello, il pronunciare un giudizio sulla bellezza mentre quello estetico riguarda il bello e il sublime.

Quando parla di formale conformità a scopi soggettiva dell'oggetto, è come se l'oggetto dicesse sono giudicabile nel momento in cui si sente con piacere; mi abilita all'uso empirico del giudizio in generale, come se fossi confortato dal fatto che il giudizio può aver luogo, cioè che quella ricerca di unità, di coordinamento e di regolarità può essere premiata. L'immaginazione pur nella sua raccolta dell'unità della forma come limite e sebbene libera e non vincolata a nessuna esibizione particolare nei confronti dell'intelletto da sola non basta; infatti nel processo cognitivo diventa serva dell'intelletto, trovandogli quei profili sui quali esso possa innestare la sua ricognizione cognitiva, facendoci vedere le cose secondo un profilo conoscibile. L'immaginazione libera invece fa ricognizioni possibili e inintenzionalmente riferisce all'istanza d'ordine del concetto, ma non in modo determinato. Di fronte alla rappresentazione, se l’immaginazione dovesse operare cognitivamente sarebbe costretta a selezionare molto severamente; qui invece schematizza tutto ciò che può essere unificato in una forma, ma nel fare questo non è libera, non si lascia andare arbitrariamente, ma è tenuta d'occhio dall'intelletto che a sua volta è presente come organo in generale della concettualità. Questo è il bello secondo l'interpretazione critica di Kant.Il principio della facoltà di giudizio non è costitutivo dell'oggettività degli oggetti, non dice nulla di essi, ma è costitutivo della soggettività del soggetto riflettente. Questo principio definisce il nostro sentirci in un'apertura di senso (come se la natura avesse un senso) nella quale gli si dà la pluralità degli oggetti della conoscenza, ovvero solo in essa è possibile che gli oggetti siano plurali.Questo principio rimette in discussione il paradigma razionalistico; non si tratta di soggetto cognitivo, ma soggetto che sente, in quanto esposto dalla ricettività (ma anche con-sente, sente con). Si raggiunge uno stato originario nel quale il sensibile viene incontrato in un orizzonte che ne anticipa la possibile sensatezza; quest'anticipazione ha un carattere estetico, è un sentire e un sentirsi e consentire.Questo piacere nel momento in cui viene provato va considerato tale da poter essere provato da chiunque; fa parte del piacere che io sento l'avvertire che può essere condiviso da chiunque altro singolo giudicante; dunque in questo piacere c'è anche un elemento di pluralità (comunità). Il sentire in gioco nei giudizi estetici non riguarda solo il bello, non è solo un sentirsi in accordo, ma anche il sublime (vi compare anche il dispiacere).Dunque in questa complessa indagine critica del sentimento di piacere e dispiacere deve rientrare anche l'informe.Attraverso la soluzione critica di un problema epistemologico (a che condizioni si sussume il dato sotto una legge ipotetica che sia capace di salvaguardare la specificità del dato, ovvero quello che ha di diverso rispetto agli altri fenomeni e riportare queste regolarità trovate sotto leggi ugualmente empiriche, ma più potenti) Kant mette in evidenza che esiste un principio estetico della facoltà riflettente di giudizio, ovvero un principio grazie al quale la facoltà di giudizio può muoversi nel territorio indeterminato dell'esperienza (di cui non si possono stabilire i limiti) facendo lavorare a analogicamente nel dominio del sensibile e della conoscenza un principio (la conformità a scopi) che ha il suo dominio nella legislazione della ragione (un concetto che proviene dal soprasensibile). Ma quest'operazione che la facoltà di giudizio effettua è analogica e si sostiene su un principio estetico (un sentire e non un concetto). Nel settimo paragrafo dunque il problema critico si estende fino a fondare un soggetto comprendente; se nel paragrafo quattro il soggetto tematizzato è lo scienziato, qui si parla del soggetto in generale, di chiunque, un soggetto comprendente che si ritrova in una comprensione, in un comprendere. Di questo soggetto il filosofo determina l'originario fondamento estetico, un sentire, sentirsi e consentire. Il soggetto moderno viene pensato come estetico, fuori dal paradigma razionalista, che viene contestato dimostrandone la non originarietà. Kant fa risalire il soggetto cartesiano verso una condizione originaria che criticamente consenta di comprendere di più e questa condizione è estetica, visto che mescola insieme un aspetto di dipendenza dal dato e dalla ricettività, da una passività che lo caratterizza. Al tempo stesso si tratta di un soggetto libero nella sua capacità di riflettere, anticipare e fare ipotesi. Kant cerca di mostrare che il processo conoscitivo non è originario del soggetto, ma è

qualcosa che dipende da condizioni diverse dal conoscere, però importanti per capire che tipo di enti siamo. L’analitica del giudizio comincia con l’analitica del bello e dunque con il gusto; l'analitica del bello viene divisa in quattro momenti, poiché Kant conforma la sua analisi (vedere come è fatto il giudizio) a partire dalle quattro funzioni logiche del giudizio: quantità, qualità, relazione e modalità; comincia con la qualità di ciò che sentiamo, in quanto è la prima a entrare in gioco nel giudizio di gusto. Comincia con la qualità del sentimento di piacere, poi si sposta sul problema della quantità, ovvero la pretesa che hanno i giudizi di gusto di valere per ciascun giudicante (pretesa di universalità), quindi si preoccupa di indagare la relazione che si stabilisce nei giudizi di gusto tra il sentimento di piacere e la conformità a scopi e qui cerca di rendere comprensibile il concetto di forma della finalità o finalità senza scopi e infine il momento della modalità; qui analizza la pretesa che i giudizi di gusto alla necessità (senso comune).Il primo momento riprende un argomento già trattato nel settimo paragrafo dell'introduzione; qui Kant dice che per distinguere se una cosa è bella o no la riferiamo al soggetto, al suo sentimento di piacere e dispiacere. Infatti molti aspetti soggettivi della rappresentazione (qualità dello spazio, grado della rappresentazione) devono essere usati per il conoscere, mentre non si possono usare il sentimento di piacere e dispiacere per la conoscenza. Passa a fare un esempio per far comprendere meglio la differenza: se si pensa al genere di operazioni che si compiono quando si riferisce la rappresentazione all'oggetto, se ne deduce che sono di tipo cognitivo; ad esempio se mi trovo in una città che non conosco e vedo un palazzo, rifletto in rapporto alla presupposizione di un'adeguatezza di esso a degli scopi; per cui formulo una serie di concetti che rientrano nella definizione cognitiva dell'edificio incontrato in rapporto a degli scopi. Riferire la rappresentazione all'oggetto vuol dire questo. Il caso opposto è quello che io conosca già l'edificio, allora lo colgo in una sola rappresentazione (forma, limite) e questo provoca in me piacere. Perciò il riflettere cognitivo e il cogliere estetico sono principi diversi. Poi per mettere in chiaro l'autonomia estetica che il giudizio di gusto esibisce, Kant differenzia la qualità del sentimento di piacere che si prova nell'incontro con la bella forma dal piacere del giudizio su altre occasioni (il piacevole o gradevole e il buono). Bisogna differenziare il giudizio di gusto in quanto autonomo come puro giudizio di riflessione; il piacere che si ricava dal giudizio di gusto è un piacere di riflessione. Kant definisce la differenza introducendo il concetto di disinteresse. Il compiacimento su cui si fonda il giudizio estetico dovrà poter essere suscitato dalla pura riflessione, dal sentirsi in pura relazione armonica con l'oggetto che lo ha provocato. I giudizi di piacevole e di buono si oppongono al piacere del bello, della pura riflessione, poiché entrambi sono fondati su un interesse per la cosa che ha occasionato il giudizio . Il giudizio di gusto invece mostra che il giudicante è completamente libero e disinteressato nel formularlo; nel caso del piacevole e del buono invece si fa esperienza di un compiacimento in cui il soggetto non è libero, laddove al contrario la libertà della riflessione caratterizza la qualità del piacere per il bello. Da questo punto di vista libertà e riflessione fanno tutt'uno col piacere della pura riflessione e con la contingenza che lo occasiona. In questi paragrafi Kant introduce una distinzione terminologica tra sensazione (materiale, in cui ne va la materia del sentire) e sentimento (relativo alla forma). Se nel piacere è tematica la dipendenza dal sensibile e quindi è in gioco la sensibilità come sensazione, nel buono è tematica la dipendenza da un concetto razionale; in tutti e due i casi subiamo una dipendenza, una passività. Il bello sembra collocarsi tra sensibile e razionale in forma di libertà. Nel piacere del bello la dipendenza dal sensibile non è cancellata, ma qualcosa di sensibile deve venirmi incontro, anche se poi ne giudico solo la forma, ovvero l'ordinato racchiudersi in un'unità, in un limite; questo sensibile è distanziato, mentre il riferimento all'ordine del razionale compare in modo formale come scopo privo di finalità, come forma della finalità, il venire incontro favorevole ed armonico consequenziale all'incontro con la bellezza. Il piacere di questa lo si deve poter incontrare, non può essere procurato, è del tutto contingente.

Nel quinto paragrafo del primo momento Kant esprime che l'uomo è l'ente naturale in cui il sensibile sconfina nel razionale e viceversa; poi introduce in parte il tema della quantità del giudizio; nel giudizio di gusto si predica di una singolarità un sentire che deve essere però condiviso da ciascuno dei giudicanti; introduce perciò il tema della peculiare universalità del giudizio di gusto, che è un universalità soggettiva. Il filosofo si concentra sulla singolarità dei giudicanti, per questo non usa il termine tutti.

5.L’universale soggettivo

Si può definire il giudizio estetico puro giudizio di riflessione, attività della facoltà riflettente di giudizio colta allo stato puro. Ha come fondamento il sentimento o sentire (gheiful) che non dice nulla sull'oggetto (in mezzo all'indifferenziato e alla molteplicità delle forme, l'oggetto venendomi incontro esibisce la sua indifferenziatezza e a partire da tale aspetto vuole essere conosciuto) che si incontra, ma sul modo in cui lo sento e lo incontro; così mi sento in accordo con la possibilità di un'esperienza empirica in generale. Il giudizio estetico esibisce il principio autentico, più originario della facoltà riflettente di giudizio, che non essendo un concetto non può essere addotto come regola svincolata dall'esperienza in cui accade. Questo è il carattere anomalo e deviante del giudizio che fa da vero problema . Questo principio si esplica, si manifesta e agisce nel bel mezzo dell'esperienza, lo devo sentire, per questo è un principio anomalo e deviante, poiché non si può dissociare un sentire dal su accadere. Se il giudizio estetico è il rappresentante empirico esemplare di tale principio (di un giudizio che non si può addurre o formalizzare in regole), in cui ne vade il giudicare e la fondazione della scienza, di un principio che non va scorporato dalla contingenza del suo accadere, allora richiede una critica a partire da un'analitica (vedere come una cosa fatta). Questa analitica è divisa in quattro momenti che analizzano il giudizio; Kant porta a compimento l'impresa di una filosofia trascendentale svincolandola da ogni garanzia di fondazione. Nel primo momento il filosofo non definisce mai direttamente la qualità del piacere fondativo del giudizio estetico, ma dice cosa non è; non ha a che fare con la sensazione (qualcosa di patologico che produce una dipendenza, un interesse insuperabile per l'esistenza dell'oggetto, non si è liberi dal condizionamento sensibile del piacevole). Il piacere del giudizio di gusto si deve differenziare dal buono, poiché anche in esso non si è liberi perché il piacere del buono è concettualizzato ed è dovuto (si può agire contro la morale, ma non in sua assenza) e inoltre c'è un concetto che definisce l'azione buona o utile (se vedo il buono dal punto di vista del suo rango più basso). Nei due casi si è vincolati all'esistenza dell'oggetto, perché ho un interesse per l'esistenza dell'oggetto. Il piacere del giudizio di gusto entra in gioco con il disinteresse, con l'assenza di interesse, quando si è a metà tra il piacere che sussume l'uomo agli animali e quello che lo sussume tra gli enti puramente spirituali (l'uomo è sia animale che spirituale). Si vede come Kant pur non nominando esplicitamente Platone riprende l’intermedietà del bello all'interno di una fondazione della soggettività in cui l'aspetto estetico è più decisivo di quello logico in quanto più originario; quello logico ne dipende, ma non alla maniera di Baumgarten in cui la dipendenza è temporale nell'ambito del continuismo, ma è il modo di un'altra condizione dell'esperire, affinché la conoscenza logica e scientifica sia possibile.Il secondo momento è introdotto da un passaggio in cui Kant dice che la definizione del bello del primo momento è di per sé giustificativa della pretesa che il giudizio di gusto ha di essere valido per

ciascun giudicante. Quando sono consapevole che il piacere che provo per un oggetto non è nè determinato concettualmente, né strettamente privato, sono in una condizione per la quale trovandosi ciascun altro in quella stessa condizione, deve poter essere possibile che giudichi come me, deve essere fondata la possibilità che accada. Inclinazione vuol dire che ha a che fare col piacere dei sensi, col piacevole.Kant non dice mai tutti, ma ha in mente il singolo che lo dice a qualcun altro (non pensa), ha in mente lo spazio pubblico. Non è una validità secondo concetti, altrimenti tutti indicherebbe un fondamento concettuale raggiunto per altre vie, ecco perché parla di ciascuno. Si tratta di un universalità non logica in cui il sentire viene esteso alla comunità dei giudicanti, un piacere sentito da ciascuno in quelle medesime condizioni dove io mi trovo. È un universalità soggettiva nella quale Kant fa valere un criterio di comparazione. Se il giudizio solo piacevole (basato sulla sensazione) è privato, cioè riguarda il soggetto nelle sue particolarità non generalizzabili, il giudizio sul buono è oggettivamente universale, riguarda un compiacimento necessario per l'uomo in genere, definisce l'essere uomo dell'uomo. Il piacere del bello in virtù del carattere disinteressato, libero e contingente è puro piacere di riflessione. L'uomo prova piacere nel riflettere, prendendo le distanze dall'oppressione della contingenza, ripensandola, organizzandola e progettandola. Il piacere del bello implica l'universalità che Kant chiama con diverse formulazioni ; in prima istanza validità comune ossia idea di un convenire di ciascun singolo soggetto in uno spazio del sentire e del giudicare che si contrappone alla sfera privata e all'orizzonte universale della conoscenza come concettualità. Questo è uno spazio pubblico, qualcosa che ha che fare con la pluralità degli uomini, è uno spazio politico. Il filosofo fonda il carattere pubblico del giudizio di gusto secondo la qualità.I paragrafi dal sesto all'ottavo determinano l'apertura critica di una filosofia critica di questo spazio come spazio della pluralità, della condivisione e del pubblico, una fondazione che Kant compie solo nel paragrafo 9 per essere sicuro della stabilità della fondazione di qualcosa legata a un sentire che riporta nell'ambito della conoscenza e che poi tratterà di nuovo nei paragrafi 21 e 22.Nel paragrafo 8 parla di universalità soggettiva, ossia ciò che sento è l'accordo delle facoltà conoscitive con l'oggetto; tuttavia questo accordo deve essere condivisibile; questa condivisibilità (che chiama validità comune o voce universale) da parte di ciascun giudicante fa parte del piacere stesso. Questa analisi porta alla luce la proprietà della nostra facoltà conoscitiva che vi deve essere per spiegare le condizioni di possibilità della conoscenza ed esperienza: ovvero accanto a condizioni logiche, una condizione estetica; il filosofo trascendentale scopre questo lavorando su questi margini, nel suo interesse verso l'universalità soggettiva.Nel giudizio di gusto non c'è regola costrittiva o concetto; se non c'è obbligo concettuale che vincola o dipendenza materiale, mi sento in una condizione di libero giudizio che sento che può (questa condizione, non il giudizio) essere condivisibile da ciascuno che si deve poter trovare in quella medesima condizione.Ciascuno ci si deve trovare in questa condizione disinteressata e libera. Tuttavia singolo giudizio si può anche essere prodotto in una situazione che non rispetta questa condizione (ad esempio inconsapevole dipendenza dalle sensazioni nel formularlo); allora qualcuno può dire non mi piace.Kant pensa a una parola pronunciata: questa cosa è bella, non c'è un giudizio di gusto trovandomi nella condizione di disinteresse in cui si può riorganizzare la comunità dei giudicanti sulla base del puro convenire nella pubblicità dello spazio; questa è la condizione del giudizio politico disinteressato ed equanime, nel quale c'è la possibilità di raggiungere una sufficiente distanza dalle motivazioni che ti premono quando devi arrivare alla delibera politica, ma non c'è la garanzia che ciò sia ottenibile sempre e comunque senza inquinamenti.Se riesco a separare dal sentimento che provo interessi privati e le garanzie concettuali, quel sentire disinteressato che resta sento che può essere condiviso da ciascun giudicante che può trovarsi in quella condizione. Fa parte del piacere che provo il sentimento della comunicabilità intersoggettiva che può essere la condivisione da ciascun altro giudicante (che fa parte di quello stesso piacere). Mi sento in mezzo alla comunità o voce universale o validità comune pur

sbagliando nell'esprimere il giudizio di gusto; anche sbagliando dimostra di stare riferendo il suo giudizio a quell'idea di un accordo comune (universalità soggettiva). Si tratta di qualcosa che deve essere possibile anche se non c'è garanzia di esserlo sempre e comunque. In questa posizione di Kant è segnalato fortemente l'orizzonte politico. La vera fondazione dell'universalità soggettiva su cui il filosofo si sente sicuro avviene nel paragrafo 9, dove il libero gioco delle facoltà conoscitive viene introdotto per la prima volta. Se si prova piacere per una cosa con i sensi, è una paranoia avere la pretesa dell'accordo comune nelle stesse condizioni.

La comunicazione è da intendere come condivisibilità, ovvero sentire che può essere condiviso. Se il piacere che sento ha pretesa di comunicabilità universale allora deve essere ciò che fonda e precede. La conoscenza in Kant dopo la fondazione della prima critica dispone di accertamento oggettivo. Solo la conoscenza è certa di essere comunicata universalmente e oggettivamente, solo essa dispone della comunicabilità universale e oggettiva. Però si sta cercando di fondare un’universalità soggettiva che non si può avvalere di fondazione concettuale. Non può essere prima la sensazione e poi dire che è comunicabile universalmente, poiché è una paranoia. Allora deve essere il sentimento della comunicabilità che precede e che sento di poter condividere con ciascuno, di poter attribuire a ciascun singolo giudicante; ciò che si può sicuramente attribuire a esso è la conoscenza e rappresentazione, in quanto si riferisce alla conoscenza. Qui però si è sull'oggettivo e il concettuale. Allora per essere soggettivo la soluzione di Kant è che il principio deve essere lo stato d'animo e passa parlare del libero gioco che può essere anche non libero. Questo perché quando si conosce l'immaginazione non è libera, ma è al servizio dell'intelletto. L'immaginazione è in grado di arrangiare il molteplice della sensazione offrendo (se lasciata libera) molti schemi all'intelletto per unificare. L'immaginazione compone, unifica e in questa unificazione l'intelletto è come un produttore di lessico. L'immaginazione per porgergli uno schema concettualizzabile deve sacrificare molti elementi al fine di radicare il concetto nel sensibile.Kant ha radicato la pretesa all’universalità soggettiva del giudizio di gusto nel fatto che affinché la conoscenza sia possibile è necessario presupporre che prima di lavorare finalisticamente al conoscere, ovvero prima di lavorare in un rapporto non libero, l'immaginazione e l'intelletto debbano armonizzarsi tra loro, entrando in rapporto libero con l'immaginazione, che schematizza in molti modi senza concetto, mentre a sua volta l'intelletto può ordinare cognitivamente in diverse determinazioni.Questo rilievo di pertinenza nella ricchezza del sensibile e nella molteplicità delle forme può essere infinito così come l'operazione di ricognizione concettuale che l'intelletto fa su questo; ma si tratta della tematizzazione di una condizione precedente e disinteressata in cui le due facoltà si armonizzano tra loro in rapporto a qualcosa che viene incontro. Si tratta di un libero gioco intrasoggettivo prodotto dall'oggetto che ci viene incontro, nel quale sento quest'armonia tra le due facoltà e l'oggetto che mi viene incontro, ma sento anche che questa condizione in quanto è necessaria a spiegare la conoscenza stessa è universalmente condivisa, sia pur solo soggettivamente.Qui radica la questione dell'universalità soggettiva sul fatto che un libero gioco estetico deve precedere trascendentalmente la conoscenza, spiegando essa e l'esperienza in modo più completo della Critica della ragion pura. Infatti in questa aveva risolto il problema della conoscenza in modo inefficace in due luoghi: nel primo in modo quasi tautologico, chiedendosi come fare ad applicare al contingente e al particolare gli schemi e i concetti puri dell'intelletto che sono generali; la risposta è perché abbiamo un talento naturale che ci rende capaci di far questo; nel passo successivo dice che è la ragione, il soprasensibile che dà l'indicazione di regole applicative a carattere regolativo. Kant tuttavia è alla ricerca di un elemento che fondi e spieghi trascendentalmente la conoscenza delle leggi empiriche e l'esperienza e lo trova nella condizione estetica, che proprio in quanto serve a questa spiegazione può essere considerata condivisibile da ciascun singolo giudicante, seppur sotto un profilo soggettivo.

Nel terzo momento il filosofo manifesta una duplice preoccupazione; di carattere più teorico-trascendentale la prima e più empirico la seconda. Nel primo caso si chiede se sia possibile parlare ragionevolmente di finalità senza scopi, ovvero di forma della finalità, pura conformità a scopi senza scopo; se ne può parlare soltanto mettendoci nella situazione di sentire la pura, semplice e indeterminata conformità a scopi di ciò che ci viene incontro come una condizione di accordo; sentiamo con piacere una indeterminata apertura di senso; l'oggetto che me lo fa sentire presenta la forma della finalità, si tratta di un indeterminatezza a scopi possibili, che possono determinare, visto che il conoscere significa proprio questo.La seconda esigenza è prendere in esame per chiarirle le situazioni empiriche in cui la forma delle finalità tenderebbe ad intrecciarsi con altre motivazioni, come accade nell'esercizio empirico del giudizio, che è sempre impuro. I giudizi empirici sono sempre intrecciati, ovvero in essi si intrecciano motivazioni concettuali diverse, lecite e indispensabili, ovvero ci deve essere un concetto di ciò che la cosa deve essere; dunque il giudizio sull'arte non può essere un puro giudizio di gusto. Pur se queste motivazioni si intrecciano nei giudizi empirici, esse non ne diventeranno mai il fondamento di determinazione; il sentire non si fonda su quello, ma solo sull'accordo libero, disinteressato e sulla forma della finalità. Perciò nel giudizio di gusto ci potranno essere attrattive ed emozioni, che lo vanno ad inquinare in parte, ma che nonostante ciò non si fonda su quelle. Inoltre vi potranno anche essere concetti a giocare nella determinazione del giudizio di gusto, ovvero la presenza di ciò che la cosa deve essere, ma questi concetti non saranno da considerare fondamento del piacere stesso; laddove vi sono concetti Kent parla di bellezza aderente, contrapposta una bellezza libera (priva di concetti). La bellezza aderente è quella nella quale è in gioco un oggetto che fa valere elementi di concettualità; i concetti entrano a far parte del giudizio, ma non lo fondano perché se colto come forma della finalità deve essere libero da quella stessa concettualità.Infine il filosofo fa polemica con la bellezza come forma inferiore della perfezione che spetta l'accoglimento concettuale (qui si l'ha di nuovo con Baumgarten) e sancisce che nel giudizio di gusto non può essere mai in gioco la perfezione, ovvero la perfetta adeguatezza della rappresentazione ai suoi scopi; c'è semmai l'ideale della bellezza (di cui parla nel paragrafo 17). Questo ideale può avere un solo esempio in un ente che porti in se stesso il proprio fine e non lo ricavi altrove. Questo ente all'uomo che con la ragione può determinare i suoi scopi; l'uomo è il solo capace di un ideale della bellezza poiché porta in sé lo scopo della sua esistenza, è l'unico essere a essere intessuto di sopra sensibile.Nel quarto momento del giudizio di gusto secondo la modalità di compiacimento per l'oggetto Kant dice che la funzione logica della modalità contempla realtà, possibilità e necessità. Il giudizio sul bello rivendica un riferimento necessario al compiacimento; è un riferimento arduo da fondare, un giudizio che ha la forma di un sentimento e non di un concetto contingente, che posso sentire o meno (devo poter incontrare il contingentemente la bellezza, non cercarla sistematicamente). Non ha natura concettuale, ma solo contingente. Può pretendere alla necessità in un solo modo: essendo solo esemplare. Posso solo far vedere un esempio, non lo posso fondare . Si tratta di una necessità puramente esemplare, una regola non si può addurre perché non è concettuale, ma universale; allora è possibile portarne un esempio. Non ci sono regole, ma solo esempi . In questo il filosofo sta cogliendo l'essenzialità del concetto di esemplarità, flessibile e mobile, necessario a far fronte all'indigenza concettuale.La necessità può essere solo esemplare; non essendo il giudizio estetico un giudizio oggettivo e conoscitivo, non può essere derivata da concetti. Se la necessità che il giudizio di gusto può addurre non è concettuale, questo deve essere considerato come possibile soltanto presupponendo fondatamente l'esistenza di un sentire comune. Allora la ragione dovrà diventare sentire anch’essa.

Nel paragrafo 22 rimette tutto in discussione e fa crollare tutto. Perciò nel quarto momento per Kant il fondamento deve essere ancora guadagnato. Per guadagnarlo deve presupporre l'esistenza di un senso comune (gheimain zin).

6.La fondazione del senso comune

Nel quarto momento dell’analitica della facoltà estetica di giudizio, il giudizio di gusto viene analizzato secondo la modalità del compiacimento per l'oggetto; questa modalità può essere tale che il compiacimento è possibile, ovvero è reale e considerato necessario. Del bello (Kant lo dice nel paragrafo 18) si pensa che esso debba avere un riferimento necessario al sentimento di piacere, ma subito dopo siccome questa pretesa al riferimento necessario non è fondata su concetti, il giudizio stesso potrà mostrare la sua necessità soltanto in modo esemplare; è il singolo giudizio di gusto che io do a esibire esemplarmente e a costituirsi come esempio di un principio che non essendo concettuale non si può addurre; è un sentire, un principio interno all'esperienza stessa.Kant aggiunge (paragrafo 20) che questa esemplarità per funzionare come tale deve riposare sull’idea (le idee sono i concetti della ragione) di un senso comune, cioè che vi debba essere un sentire che noi abbiamo in comune. La situazione del ricevere in una condizione di accordo qualcosa di dato Kant la chiama in molti modi equivalenti (ad esempio costruisce un'equivalenza tra senso comune e libero gioco); il sentimento estetico è un principio che non è possibile estrapolare dalla contingenza in cui accade e che Kant qui chiama in modo riassuntivo: sentimento o sentire che abbiamo in comune, sentimento della comunità, della comunicabilità (intesa come con divisibilità) universale.Nel paragrafo 21 ricompare e si chiude il problema epistemologico; il capitolo epistemologico si apre facendo riferimento alle conoscenze; adesso si tratta di fondare un senso comune, poichè se la necessità è esemplare, ha bisogno di un sentimento che abbiamo in comune e che deve essere fondato. Quindi passa a parlare di giudizi di conoscenza (non estetici) e introduce un elemento di carattere psicologico nel nominare la convinzione (nel senso di convinzione che io sto riferendo la rappresentazione all'oggetto, ne devo essere convinto, anche sbagliando); questa convinzione a ha che fare con l'intenzionalità, dato che sto riferendo la rappresentazione all'oggetto.La comunicazione universale e il riferimento all'oggetto sono la stessa cosa; non ci sono regole o protocolli a partire dai quali possiamo sempre e comunque garantire il riferimento all'oggetto, si tratta di qualcosa che passa attraverso filtri soggettivi.Se si possono considerare universalmente comunicabili i contenuti della conoscenza, si deve anche considerare comunicabile e universalmente condiviso anche quell'accordo preliminare che è necessario, ossia quell'accordo dell'animo necessario affinché le due facoltà si mettano reciprocamente in direzione di una conoscenza in genere, di una possibilità in genere per conoscere. Se i contenuti della conoscenza sono soggettivi e comunicabili universalmente, noi dobbiamo considerare condivisa e comunicata universalmente anche la condizione di libero gioco che precede trascendentalmente la possibilità del conoscere oggettivo. Il sentimento estetico è pre-condizione del conoscere, però non da intendere in senso temporale. Se le conoscenze si debbono poter comunicare, allora si deve anche poter comunicare universalmente lo stato d'animo o libero gioco, considerandolo condivisibile. Tutti i dispositivi cognitivi dell'uomo devono passare e conoscere questa fase di accordo preliminare tra le due facoltà.Bisogna considerare condivisibile anche il proporzionamento (estetico e dunque sentito) delle due facoltà; intelletto e immaginazione entrano in un gioco proporzionato in cui ciascuna delle due collabora in modo differente dall'altra. Kant aggiunge in questo paragrafo 21 che il libero gioco delle facoltà (nell'ambito dell'interrogazione sulla conoscenza del particolare, del differenziato, del difforme, dell'oggetto che mi si fa innanzi), di volta in volta dovrà apparire come qualcosa di proporzionato relativamente all'oggetto che mi si presenta. La proporzione tra le due facoltà

accade sempre quando mi trovo di fronte ad un impegno cognitivo, ogni volta che bisogna ipotizzare una conoscenza nuova; questo proporzionamento è qualcosa di più rispetto all'accordo e avviene ogni volta che siamo di fronte ad un oggetto sconosciuto e dobbiamo formulare un'ipotesi cognitiva o classificatoria. L'incontro tra le nostre facoltà conoscitive (in virtù del loro accordo estetico) e il mondo che gli si para davanti, è caratterizzato dalla diversificazione, moltiplicazione e differenziazione; gli oggetti per noi sono dati nel momento in cui ci si prospettano sotto il profilo della loro diversità.Tra i tanti proporzionamenti che fattualmente sono necessari tutte le volte che mi viene incontro qualcosa che non ho ancora conosciuto e di cui non possiedo gli schemi cognitivi, devo sentire la proporzione più giusta tra immaginazione e intelletto; ne consegue che questi proporzionamenti sono gestiti esteticamente. Tra il proporzionamenti necessari nella singolarità del conoscere, ce n'è uno che è il più vantaggioso alla conoscenza della datità in generale; tra le tante proporzioni, ce n'è una data a farci cioè incontrare il differenziato come tale. Questa altro non è che il libero gioco d'immaginazione e intelletto.Questo libero gioco è non solo qualcosa di necessario affinché la conoscenza in generale abbia luogo, ma altresì è indispensabile affinché abbia luogo la conoscenza dell'infinita molteplicità delle forme così come vengono incontro. Tutte le volte che Kant vuole agganciare la condizione estetica del conoscere a qualcosa di solido, la rimette in gioco sul problema epistemologico.La conoscenza e l'esperienza sono possibili e universalmente comunicabili in quanto si avvalgono di un principio estetico, ossia il proporzionamento più vantaggioso che precede trascendentalmente ogni principio logico e proprio perché costituito da un sentimento o sentire, deve necessariamente fondarsi sul senso comune, su un sentire che condiviso.Nel paragrafo 22 il senso comune viene ripensatoe cominciano a farsi strada sviluppi nel campo dell'arte. Secondo Kant il senso comune non può fondarsi sull'esperienza, poiché vuole giustificare giudizi che contengono un dovere, ossia ciascuno DEVE armonizzarsi con il nostro giudizio; questo dovere apre la dimensione dell'etica.Il senso comune non è mera registrazione di un accordo esistente, ma piuttosto una progettazione di un accordo che non è dato, ma deve essere possibile. Se le cose stanno così, allora la più autentica natura del senso comune è quella di essere una norma ideale, qualcosa che ha a che fare essenzialmente con la ragione pratica (concetto della libertà, soprasensibile, del dovere), un sentire che dipende da essa. Per dimostrare che la nostra è una conoscenza del determinato e del differenziato non si può prescindere dalla presupposizione; il senso comune può essere guardato da un punto di vista critico come qualcosa sempre in costruzione, progettuale, non è un dato sicuro possesso di un ente che si definisce a partire da questa sicurezza, è qualcosa rimesso continuamente in discussione. In tal modo da un punto di vista critico più approfondito, il senso comune svela il suo versante etico, ha qualcosa da dovere, un debito con la possibilità dell'essere concordi, segnala un dovere. Quest'ultimo indica però la necessità di intervenire creativamente, visto che non ci sono regole, che vanno date e inventate; è sempre in costruzione, artificiale. Questo senso comune ha una sporgenza sulla tecnica, su qualcosa di artificiale e non naturale. L'essere naturale del senso comune non basta a definirlo criticamente secondo il suo profilo più originario, poiché quest'ultimo ha una sporgenza sull'artificiale, sul debito, sull'etica, sul produttivo, sul creativo e senza regole.Se inteso in questo modo, allora si convalida e consolida l'idea che non si tratti di una facoltà naturale acquisita una volta per tutte; perciò il senso comune viene ripensato alla luce della sua esposizione alla questione del soprasensibile gestita dalla ragione. Nel senso comune come facoltà da costruire e acquisire non c'è nulla di naturale, non è mai assestato in un sicuro possesso definito, ha una sporgenza sull'esteriorità, sull'opera, ha a che fare con l'essere in opera, con l’ergon, dipende da un'esigenza della ragione di farsi e diventare sentire, di trovare un organo con una rappresentanza nel sensibile. Quindi il principio di gusto diventa un'applicazione di

questa esigenza e l'estetica mostrerebbe dunque un nesso con la ragione e con l'orizzonte dell'etica fortemente innestato sul concetto stesso di senso comune.Kant ripensa il senso comune alla luce del rapporto con la ragione e con la ragion pratica, con i concetti che valgono nella pracsis; il tema del senso comune ritorna poi nel paragrafo 40. Qui il filosofo comincia con l'osservazione che nella parola senso (zin) si è verificato nell'uso comune uno slittamento per il quale si parla di senso della verità, della giustizia, del decoro, con determinazioni soprasensibili (giustizia, verità, decoro), senza riflettere che non è a un senso che bisogna tematizzare l'aspetto della sensibilità materiale, non è a un senso che si può ascrivere la capacità di esprimere regole universali sulla libertà, sul decoro e sulla verità, piuttosto bisogna elevarsi al di sopra dei sensi per giudicare i concetti di verità e giustizia. Kant non si riferisce al senso comune in quanto determinazione materiale, ma intende una nozione critica. Se pensiamo il senso comune come un sentimento della comunità, come senso della comunità e non solo sentire che abbiamo in comune, ma sentire che sentiamo in comune, si riesce a capire che non è appiattito sul dato, sul conformismo, ma è il senso comune della progettualità, dei giudizi possibili. Per stare in questo senso della comunità basta mettersi al posto degli altri e anticiparne i giudizi possibili. Il senso comune pur essendo fondato esteticamente viene utilizzato anche dal comune intelletto in quelle forme del saper fare in mezzo al mondo. È questo ragionamento che Kant riporta sul piano della riflessione trascendentale che abbandona l'epistemologia del soggetto, allacciandosi alla tradizione del senso comune, che invece aveva sembrato chiudere.C'è un fondamento estetico anche alla base della deliberazione politica difficile, quella in cui il promotore al di là di una regola o di una legge deve tener conto dei giudizi possibili, in quanto interni all'orizzonte della ragione umana, qualcosa che non è definito da una regola o un protocollo; probabilmente Kant pur non ammettendolo esplicitamente ipotizza la rivedibilità delle norme.Elabora quindi tre massime del senso comune come capacità di giudizio in genere: -Pensare da sé, con la propria testa, non facendosi condizionare-Pensare mettendosi al posto di ciascun altro -Pensare in modo coerente, in modo che la ragione rimanga coerente con se stessa.

7.L'analitica del Sublime

Una volta assicurata definitivamente l'idea di un senso comune al suo fondamento epistemologico (idea necessaria se vogliamo spiegare come avvenga la conoscenza o esperienza, che Kant ha definito conoscenza del dato in generale, dei questo e del quello in genere), nel paragrafo 22 si preoccupa di accennare ad un'esplorazione più approfondita di quest'idea di senso comune privilegiando il punto di vista del suo collegamento con la ragione, ovvero esso viene interrogato a partire dal suo rapporto con qualcosa che gestisce il soprasensibile.Kant ipotizza che forse nel senso comune non c'è nulla di naturalizzabile, forse il gusto è una facoltà artificiale da costruire, la quale (così come il senso comune artificiale) dipende da un'esigenza della ragione di farsi sentire, di trovare un organo di rappresentanza nel sensibile . Allora, da questo punto di vista che tematizza la presenza della ragione, il giudizio di gusto non sarebbe che un esempio dell'applicazione di quest'esigenza della ragione e il rapporto tra l'estetico e l'orizzonte della pracsis sarebbe qui raggiunto secondo la sua più originaria motivazione e pensato in un dimensione etica, in quanto nel senso comune come progetto di una comunità unanime non c'è nulla di garantito, è un dover essere, un debito di senso, di carattere progettuale e creativo. Questo collegamento tra estetica e filosofia pratica ha una lunga tradizione che in Kant si rovescia seguendo la rivoluzione copernicana del pensiero, il quale dal 500 percepisce il gusto come un saperci fare nelle cose del mondo, sulla linea della fronesis, della saggezza e della sapienza degli antichi. Questo collegamento tra etica ed estetica si conferma nel paragrafo 40, dove Kant ritorna sul senso comune presentandolo sotto il suo profilo di essere anche un senso della comunità,

tematizzando di esso l'aspetto della condivisibilità e comunicabilità, l’essere un senso comune orientato sui giudizi possibili, sulla comunità come progetto di essere comune che non smette di riorganizzarsi, non dato in una forma canonica, ma luogo della contingenza, dell'imprevedibile, qualcosa che si deve riorganizzare.Kant comincia dicendo se si possa parlare correttamente di un senso della verità, della giustizia, del decoro e se giudizi su questi valori spirituali vadano attribuiti ad una facoltà svincolata dal senso; la risposta è positiva, a condizione di intendere senso comune come idea di un senso che abbiamo in comune.Qui Kant sta perlustrando il rapporto tra estetica e filosofia pratica dicendo che si può parlare a ragione di un senso della verità, della giustizia muovendo da un'estensione della condizione riflettente che era originariamente estetica, ma che può essere proiettata sull'esercizio del giudizio in generale (e del giudizio politico, in quanto ci sono evidenze politiche nella sua costituzione). Questo è confermato nel momento in cui Kant prende in considerazione tre massime del comune intelletto umano, del giudizio in generale, le quali nascono da una critica del giudizio estetico e che per essere comprese hanno bisogno della determinazione critica del sentire, ma poi si possono estendere all'esercizio del giudizio in generale, tant'è vero che sono massime che riguardano il pensiero. La prima è pensare da sé ed è la massima di una ragione che non è mai passiva, che fa trovare in se stessa le condizioni per porsi al di fuori del pregiudizio, pensare da sé vuol dire non farsi condizionare dai pregiudizi. Se volessimo riportare questa massima a una delle facoltà, questa sarebbe la massima dell'intelletto perché da una direttiva all'attività spontanea di cui l'intelletto è depositario. La terza è pensare sempre in accordo con se stessi ed è la massima del pensare conseguente, unitario e coerente; è la più difficile, ma la si può riportare sotto la ragione, in quanto c'è un tentativo ipotetico di applicare l'idea di unità e di coerenza propria di essa.Del modo di pensare conseguente non abbiamo la regola; questa massima della ragione può essere solo esemplificata. La terza è pensare mettendosi al posto di ciascun altro e Kant la collega alla facoltà di giudicare, la quale appare caratterizzata nei termini della pluralità, dell'intersoggettività, della contingenza, della costruzione progettuale della comunità. Si tratta della massima del modo di pensare ampio, che non significa pensare grandi cose, non riguarda i contenuti è tipico delle persone incolte, è la capacità di sapersi decentrare; mettersi al posto degli altri significa anticiparne i giudizi possibili di cui non abbiamo la regola che va sperimentata e creata; Il giudizio va creato a queste condizioni. È la massima che da applicazione a quell'esigenza razionale di rinunciare ad ogni restrizione privata in vista di un consenso possibile e di una comunità progettata, creativa e possibile. In questi luoghi Kant tocca il problema di vedere a che condizioni e come questa riflessione possa prendere in carico i contenuti reali degli eventi, dell'accadere delle cose dell'uomo, della storia; pur non parlando esplicitamente di essa, se ne avvicina in vari punti.Kant nel paragrafo 22 apre un movimento critico che prepara la strada a far cogliere nel giudizio estetico nel suo complesso (come giudizio di gusto e del sublime) altri elementi; cerca cioè di sollecitare il giudizio estetico anche su altri aspetti, a far vedere come il giudizio estetico (rappresentante di un principio della facoltà riflettente di giudizio) nel momento in cui lo facciamo sollecitare dalla ragione, dall'istanza del soprasensibile (e delle idee soprasensibili) evidenzi anche l'aspetto di disaccordo, di inadeguatezza e di dispiacere.Questo disaccordo che appare nel sublime è idoneo a manifestare un altro modo d'essere della disposizione reciproca delle facoltà, che chiama in causa il soprasensibile (poiché la ragione pensa il tutto, la totalità). La disposizione tra le facoltà sollecitata dalla ragione mette in evidenza qualcosa che provoca l'immaginazione, perché è facoltà del sensibile e del finito; dunque la ragione provoca l'immaginazione con il soprasensibile, che Kant chiama abisso per l'immaginazione stessa, qualcosa senza fondo nel quale essa collassa. Con l'analitica del sublime non si tratta di distinguere due forme del sentimento estetico (del bello e del sublime), ma di interrogare in modo più approfondito (a partire dalle sporgenze del giudizio estetico nei confronti della ragione), la natura autentica del giudizio estetico che non è solo armonica e in accordo appropriato o favorevole,

ma anche intessuta di elementi di disaccordo, di dispiacere. Dunque si tratta di interrogare in modo più approfondito il nostro sentirsi situati nel bel mezzo di un esperire (è questa la contingenza tematizzata dal giudizio), lo stare in mezzo all'esperienza, orientando lo sguardo dell'interrogazione critica su un risvolto che si presenta come un disaccordo, un'appartenenza che è anche una trascendenza. Questo è fonte di un sentimento di piacere diverso dal bello, che modalizza e modula complessivamente il giudizio estetico (nell'esperienza mi sento a casa mia e fuori casa), che fa parte dell'esemplarità del giudizio estetico così come ne fa parte il sentimento armonico, l'accordo e il libero gioco.Kant mette in evidenza i punti che i due tipi di giudizio condividono, come il disinteresse, il carattere puramente riflessivo, l'universalità solo soggettiva per arrivare a chiarire le differenze, che sono quattro: la prima differenza tra bello e sublime riguarda il fatto che il bello ha a che fare con la forma dell'oggetto (Kant chiama forma come delimitazione), ciò che mi fa sentire il bello è l'ordinato raccogliersi della molteplicità del sensibile in una forma che colgo con piacere, il tutto che si offre in una composizione ordinata. Nel sublime invece la forma non conta, ma è un sentimento provocato da oggetti informi, purché esso susciti la rappresentazione dell'illimitato, dell'assolutamente grande, dello smisurato; tuttavia la ragione ci fa pensare l'infinito come un tutto. Il sublime però è duplice; riguarda anche la potenza della natura, ciò rispetto a cui nessun'altra forza potrebbe opporre resistenza, lo strapotere della natura. Perciò Kant lo divide in due parti: sublime matematico, relativo alla grandezza della natura, dove la grandezza è occasione di pensare lo smisurato e sublime dinamico, relativo alla potenza della natura. La seconda differenza riguarda il carattere indiretto, temporalizzato e mediato del sentimento del sublime che si contrappone al carattere immediato del bello (rapporto tra le due facoltà che si produce immediatamente e nel quale proviamo piacere a indugiare in questa situazione di quiete), sentimento commosso, in cui c'è movimento, che Kant definisce ragionante, in cui la ragione entra discorsivamente e diacronicamente. È qualcosa che può essere provato dall'uomo acculturato, mentre l'uomo incolto lo percepisce come terrorizzante, terrifico e pauroso, poiché la ragione deve entrare. Se nel bello c'è un elemento di gioco, il sublime si presenta subito come una cosa seria.Il terzo elemento riguarda il sublime come qualcosa che immediatamente dispiace, mentre il bello piace immediatamente. Il sublime fa sentire in inadeguatezza, spaesati, in distonia rispetto al mondo sensibile che solo in un secondo tempo si trasforma in un particolare piacere. Quello del sublime è un sentimento che immediatamente è controfinale, mentre nel bello si sente la forma della finalità, ovvero la conformità a fini della natura sotto il suo profilo formale; qui si sente qualcosa che va contro la finalità, però poi mediatamente, in virtù dell'intervento della ragione viene sentito come conforme a scopi per il soggetto. La quarta differenza riguarda l'immediato sentire la natura come controfinale e il postumo conformamento a scopi, ma questo non è più della natura, ma è una finalità che si scopre in noi stessi e di cui la natura o il sensibile non è che un'occasione di esibizione indiretta, una fonte di schemi.Le idee della ragione non si possono esibire in un'intuizione adeguata, nessuna intuizione può essere adeguata all'idea di infinito e tuttavia proprio questa inadeguatezza, questo difetto dell'immaginazione si fa rappresentante indiretto nel sensibile di qualcosa che non è dell'ordine del sensibile; le idee della ragione non si possono esibire adeguatamente, ma si può esibire proprio questa inadeguatezza, che diventa occasione del sollecitamento della produzione e del sollecitare il senso delle idee razionali. L'immaginazione pur non essendo in grado di adeguare l'idea di infinito o di Dio, può però far giocare la sua inadeguatezza per aprire una via d'accesso al soprasensibile.Il sublime fa sentire al soggetto (che nell'esperienza del bello si sente in accordo) la sua soggettività, facendolo sentire intonato a spingere il territorio del senso oltre il sensibile, oltre i rappresentabile, portare l'esperienza del senso oltre i limiti stessi dell'esperienza, ovvero si riorganizza l'esperienza stessa. Il sublime fa sentire al soggetto e alla sua soggettività l'intonazione, la voce della

ragione a spingere il territorio del senso oltre i confini di ciò che può avere adeguata rappresentazione, a trovare nel inadeguatezza e nella finitezza dell'immaginazione una forza, spingere l'ordine dell’esperibile aldilà di ogni adeguazione con il sensibile stesso.Kant dice che il sublime matematico nasce quando è suscitata in noi l'idea del assolutamente grande, dello smisurato, di ciò rispetto cui nessuna unità di misura potrebbe essere adeguata . Non si incontra mai lo smisurato direttamente, ma nell'esperienza si incontrano occasioni che producono in noi l'idea dell’assolutamente grande; Kant dice che l'unità di misura viene procurata esteticamente da un'intuizione; poi da quell'intuizione estetica istituita come fondamento del sistema si numera. Perciò è stata ottenuta come un atto di progressione temporale che ad un certo punto si interrompe per unificare simultaneamente. L'unità è colta in un'intuizione e posta in una com-prensione (che non è un capire, ma un comprendere). Questo vuol dire che niente che è oggetto dei sensi può dirsi matematicamente sublime, poichè se i sensi lo possono cogliere si tratta di qualcosa di finito. Bisogna quindi chiarire che cos'è l'immaginazione, cosa che Kant fa nel paragrafo 26. Essa procede con due operazioni: apprensione progressiva (1 + 1 + 1) e la comprensione simultanea; mentre la prima può procedere all'infinito, non ha limite, la seconda che è un fatto estetico, deve tenere insieme e fornire l'unità a quanto si è appreso successivamente è limitata e progressivamente si sgretola, poiché vengono meno le prime apprensioni. Dunque l'immaginazione procede per successione di apprensioni e via via per ricomprensione di quanto ho appreso. La comprensione ha un limite estetico, un limite di ciò che l'immaginazione può tenere insieme come un tutto e che ad un certo punto crolla. Quando in noi è suscitata l'idea dell’assolutamente grande, l'idea nasce, la ragione chiede di fornirne rappresentazione adeguata, l'immaginazione comincia ad estendersi per acchiappare in un tutto l’assolutamente grande, ma ad un certo punto crolla, collassa e deve constatare che ogni sforzo è destinato a restare inadeguato. Questo fallimento è occasione di un sentimento di dipiacere e di spaesamento. Su questo movimento negativo si innesta la ragione, la quale rovescia l'esibizione di questa inadeguatezza dell'immaginazione nel sentimento di una nostra intonazione o destinazion sopra sensibile, in un senso della nostra relativa indipendenza dal sensibile, ci fa sentire enti sensibili intimamente tessuti di soprasensibile, fa sentire quanto di sopra sensibile alberga costitutivamente nella nostra natura di enti sensibili (questo sentimento però è successivo, mediato); è questo fallimento dell'immaginazione che mi fa sentire intonato alla soprasensibilità e spiritualità e che risveglia un’autostima nei miei confronti. L'idea della ragione dell'infinito come un tutto si radica (seppure negativamente nel sensibile), viene esibita ma inadeguatamente e negativamente; dunque il soprasensibile si lascia sensibilizzare da qualcosa di inadeguato. Questa inadeguatezza e mancanza di una misura adeguata è ciò che rende possibile che la natura appaia come schema per le idee, cioè che il sensibile appaia come luogo di inesauribile esibizione di contenuti ideali; proprio in virtù di questo gioco dell'inadeguatezza il sensibile diventa luogo di esibizione inesauribile di contenuti spirituali e ideali. Qui si innesta una riconsiderazione radicale della natura dello schematismo, grazie a cui il sensibile dell'intuizione viene coordinato con ciò che proviene autonomamente dal nostro intelletto e che trova esito nel paragrafo 59.Lo scarto dell'immaginazione non è del tutto un fallimento, poiché proprio perché l'inadeguatezza si può esibire sensibilmente radicandosi in un’esibizione sensibile, i contenuti spirituali e il soprasensibile che la ragione pensa, trovano forma indiretta di manifestazione e in questa forma indiretta mi sento intonato a quanto di soprasensibile e indipendente dal sensibile innerva la mia natura di ente finito e mortale.Nel sublime dinamico (paragrafo 28) l'inadeguatezza non riguarda solo l'immaginazione, che apparentemente è la facoltà che viene punita nel sublime matematico, ma riguarda la nostra azione e l'immaginazione come immaginazione di un'azione, la pracsis (ritorna di nuovo il nesso tra estetico ed etico, ovvero pratico.Di fronte alla potenza della natura sentiamo con sgomento che nessuna nostra azione potrebbe opporre resistenza adeguata; su questa situazione si innesta la condizione riflettente di giudizio

che consente la conversione del senso di impotenza in un sentimento particolare della sublimità, connesso con un orizzonte etico-pratico. Di fronte alla potenza scatenata della natura, sentiamo minacciata la nostra sopravvivenza, ma non l'umanità, sentiamo in pericolo la potenza fisica, ma non la dignità e la libertà della persona umana.La violenza della natura non può togliermi la libertà di morire con dignità perché dipende da me e la gestisco io. L'esperienza del sublime è quella di un giudizio di pura riflessione, riflessione che è intimamente ragionante; la ragione qui si sensibilizza per rafforzare il rispetto e l'autostima dell'uomo come soggetto di sentimento morale. Nel sublime dinamico l'immaginazione è chiamata a produrre materiali da sottoporre allo schema del sentimento del sublime (ma ciò avviene solo nel caso del sublime dinamico). Il rapporto tra ragione e sentire innerva questo sentimento, ma richiede rappresentabilità.

8.Lo Schematismo e l’Arte

Nel paragrafo 22 (paragrafo di svolta) Kant presenta un approfondimento e uno sviluppo del problema epistemologico, nonostante il capitolo epistemologico si concluda col paragrafo 21. A partire dal 22 comincia ad approfondire il giudizio estetico mettendo a fuoco altri aspetti in esso presenti; questo sviluppo avviene su due piani: l'aspetto produttivo, creativo che si trova tematizzato nell'idea del gusto come facoltà artificiale da acquisire e costruire, l'altro è l'aspetto legato all'idea di comunità, comunicabilità, intersoggettività, il senso comune come orizzonte di una comunità da costruire e che riorganizza il sentire che la rende tale (senso comune).Kant mostra che il trascendentale è un risalimento alle condizioni di possibilità che si rimette sempre in gioco e in discussione nell'accadere effettivo dell'esperienza (comunità da costruire e il senso comune come qualcosa di artificiale). Perciò la domanda della filosofia critica si sposta dal problema della conoscenza (di cui è stato messo in luce il risvolto estetico, assente nella critica precedente) e del conoscere che ha il suo modello nella scienza al problema del comprendere, da un soggetto cognitivo a un soggetto comprendente che sta in mezzo all'esperienza del mondo in una indeterminata apertura di senso. Qui, (mentre precedentemente l'intelletto dialogava con l'immaginazione), il ruolo principale viene assunto dalla ragione (facoltà delle idee soprasensibili, delle cose che pensiamo e che però abbiamo difficoltà a sensibilizzare), che fa sentire continuamente le sue istanze. La ragione (nella sua capacità di indicare i fini e il senso) fronteggia in un rapporto l'immaginazione (legata alla sensibilizzazione dei concetti), mentre precedentemente il rapporto riguardava immaginazione e intelletto.Dal punto di vista del conoscere l'immaginazione svolge un ruolo determinante, ma subordinato (è il tema che nella Ragion pura il filosofo definisce schematismo; affinché sia possibile riferire le intuizioni ai concetti, collegare il sensibile all'ideale c'è bisogno di un procedimento dell'immaginazione, di un lavoro che essa fa sul sensibile per renderlo adatto ad essere concettualizzato, ovvero l'immaginazione ritaglia le pertinenze di ciò che viene incontro secondo schemi che l'intelletto può unificare in concetti). Senza lo schematismo i concetti dell'intelletto non avrebbero significato, nè la capacità di riferirsi al sensibile. Tuttavia resta un lavoro subordinato, al servizio dell'intelletto, nonostante sia così importante.Kant era piuttosto scontento di questa definizione dello schematismo data nella prima critica; così nella terza critica compare qualcosa di totalmente nuovo, cioè che nessuno schematismo oggettivo, determinato, conoscitivo, concettuale nessun lavoro dell'immaginazione volto al collegamento tra concetto e intuizione sarebbe possibile se non ci fosse prima (che non ha valenza temporale) un libero gioco paritetico tra le due facoltà. Questo è ciò che giustifica l'interpretazione epistemologica dell'estetica; il libero gioco è non conoscitivo, soggettivo, forma della finalità, sentimento di piacere e tuttavia coopera alla conoscenza perché a meno di questo accordo favorevole tra le due facoltà tra loro e con l'oggetto nessuno schematismo oggettivo sarebbe possibile.

Quindi la più grande ricchezza del gioco dell'immaginazione è proprio l'indeterminatezza, la possibilità di individuare molti e inesauribili oggetti di conoscenza (che non ha limite, è inesauribile, poiché vi gioca la contingenza), la possibilità di sperimentare tutti profili possibili di pertinentizzazione dell'oggetto, sebbene la conoscenza ne richieda solo uno. Affinché ciò accada è necessario un libero gioco paritetico, in cui l'immaginazione non è più vincolata all'intelletto e quest'ultimo non è tenuto alla sintesi concettuale, ma sperimenta criteri di ordinamento sintetico possibili, molte possibili combinazioni. È dunque necessaria l'apertura di un indeterminata condizione di senso affinché sia possibile accedere all'orizzonte dei significati, il senso deve rimanere nella sua condizione indeterminata per rendere possibile la produzione di significati, che devono essere determinati (mentre il senso rimane nell'indeterminatezza). L'immaginazione schematizza senza concetti; il libero gioco è indeterminato e guidato dall'immaginazione, ma in cui l'intelletto è con pari diritto; l'esempio empirico di ciò è il giudizio di gusto sul bello, la cui sanzione è un sentimento di piacere (accordo, sentirsi in fase con la molteplicità dell'esperienza).Esiste però un'altra proporzione tra le facoltà conoscitive che compare nel giudizio sul sublime; qui il rapporto non è più tra immaginazione intelletto, ma tra immaginazione e ragione, che si fa sentire e chiede di essere sensibilizzata, ma ciò è impossibile in quanto le idee della ragione non si possono sensibilizzare. Il sublime si fa sentire tutte le volte che un'idea della ragione, ossia l'infinitamente grande, sollecita l'immaginazione a fornirne un'intuizione sensibile, a totalizzarlo in un'intuizione. Di fronte a questo compito impossibile l'immaginazione collassa, si estende fino a quanto può e poi ricade su se stessa, non riesce in questo atto di com-prensione ; però proprio in virtù di questo scacco che immediatamente dispiace, in quanto si sente la rottura come contro finale, in disaccordo, in un secondo momento fa sentire il piacere del sublime legato alla natura soprasensibile dell'uomo, a quanto di non riducibile al sensibile innerva il suo essere finito.Nel sublime il limite si tramuta in un potere di evocazione indiretta; l'immaginazione non può presentare l'infinito come un tutto in una singola intuizione, ma proprio nel suo fallimento l'uomo sente la propria natura soprasensibile, la propria capacità di elevarsi fino a pensare a un'unità superiore ad ogni misura sensibile e arriva sentire la produttività di questa differenza e inadeguatezza. L'inadeguatezza dell'immaginazione è la più grande forza di essa, che può esibire sensibilmente il proprio limite, ma proprio da quest'esibizione si spalanca analogicamente alla possibilità di sensibilizzare anche il soprasensibile, che altrimenti rimarrebbe fantasia priva di senso. Le idee e il materiale di pensiero non immediatamente sensibile devono potersi sensibilizzare, altrimenti scade nella fantasticheria ed esaltazione mistica, priva di qualunque fondamento. Qui sta l'importanza e la grande forza dell'ufficio analogico dell'immaginazione ossia la sua sensibilizzazione inadeguata di qualcosa di soprasensibile.Il sensibile diventa un inesauribile terreno di esibizione indiretta e analogica del soprasensibile, delle idee che pensiamo. Il soprasensibile può essere sensibilizzato solo rinunciando all'idea di adeguazione, cioè che possa essere sensibilizzato adeguatamente come avviene solo nel caso dei concetti dell'intelletto.Kant pensa l'immaginazione non solo come facoltà di comporre il sensibile in vista di una conoscenza, come facoltà di mettere adeguatamente in immagine i concetti, ma anche come facoltà che trascende la rappresentazione e sensibilizza inadeguatamente (ma queste una grande forza) ciò che non è rappresentabile, ad esempio con un'esibizione indiretta; questo il tema del sublime.Kant riprende l'esibizione indiretta nel paragrafo 59, in cui ricompare il tema dello schematismo; qui il filosofo da un esempio della creatività schematica dell'immaginazione e del nuovo modo di pensare lo schematismo. Quando parliamo di concetti empirici, questa esibizione e intuizione che li esibisce è detta esempio; quando si tratta di concetti intellettuali puri allora le intuizioni sono dette schemi.Nei paragrafi dedicati all'arte il rapporto tra immaginazione le altre due facoltà compare secondo un'altra proporzione. L'immaginazione stavolta guida il gioco, non è più ancella di nessuno e

gareggia con la stessa ragione, prendendo e assumendo il primato. Dunque nel fenomeno dell'arte emerge esemplarmente qualcosa di interessante per una filosofia critica relativamente al ruolo dell'immaginazione. Kant si occupa del genio (produttività dell'immaginazione) non dal punto di vista antropologico, ma con interesse critico, che aiuta la filosofia critica a venire a capo di altre proprietà delle nostre facoltà. L'arte (e la grande opera d'arte, quella di genio che va al di là della bellezza e che è qualcosa di turbolento nel pensiero del filosofo) esibisce esemplarmente l'interesse critico.Nel paragrafo 43 Kant fa un esame dell'arte in generale; però non sta pensando alle belle arti, ma a quello che il greco antico chiama tecne (capacità di portare a buon fine), ovvero abilità nel produrre qualcosa. Prima di tutto distingue l'arte dalla natura e successivamente dalla scienza, dal sapere e dal mestiere. La vera distinzione si capisce grazie all'esempio che il filosofo fa, contrapponendo un prodotto della tecnologia animale, cioè qualcosa che si produce in virtù di un processo naturale come un alveare con il modo di produrre caratteristico dell'uomo, tecnologia umana non generalizzabile. Il filosofo dice che per quanto mirabile e raffinato nella sua esecuzione, da sembrare quasi prodotto di un progetto, l’alveare è interamente determinato da un fare istintivo, è esecuzione di un programma genetico innato, privo di qualunque libertà su cui l'animale ha un margine di variazione molto limitato, dipendente dall'ambiente in cui le api attaccano il loro alveare. Al contrario l'opera dell'uomo è intimamente connessa con una riflessione razionale, l'operare dell'uomo è accompagnato da essa, dalla capacità di riflettere sul fare e anticiparlo in un progetto.È una capacità che introduce nella tecnica umana una decisiva componente plastica, creativa, opzionale, caratterizzante che Kant chiama produzione mediante libertà. L'animale non umano è creativo soltanto in quei casi in cui due circuiti innati e istintuali, di casuazione stretta entrano in conflitto; solo in questo caso entra in gioco la pseudoriflessione che porta all'azione creativa. Nell'uomo invece questa è la regola, non interviene solo nel conflitto di protocolli attivati da sistemi genetici, ma il cervello umano lavora sempre così e si caratterizza per l'azione creativa (libera riflessione razionale), non attribuibile all'animale. La prima distinzione tra arte e natura si traduce nella distinzione tra rigida esecuzione di un programma genetico innato e ampia componente opzionale, plastica, libera e creativa. Nella tecne è già presente una componente di creatività. La seconda distinzione riguarda l'arte la scienza, ovvero mostrare l'irriducibilità della tecnica al puro sapere; non basta solo sapere come una cosa fatta per saperla anche fare. Qui Kant fa riferimento al fisiologo Camper (a cui manca la familiarità con l'operazione e la manipolazione). Bisogna dunque coinvolgere il sapere e il saperci fare, poiché la tecnica rispetto alla scienza e al sapere può essere incorporata nei materiali sensibili, avendo a che fare con la manipolazione, con qualcosa che riguarda un progettare non puramente mentale, ma che si fa col gesto, con le mani e con la motività del corpo.La terza distinzione si riferisce a tecnica e mestiere, ponendo nuovamente l'accento sul carattere libero della tecnica e dell'arte, a differenza del carattere meccanico, standardizzato e ripetitivo del mestiere, che mira al compenso materiale, mentre l'arte no. Il lavoro ripetitivo viene assorbito dalla meccanicità, in quanto ogni singolo movimento è finalizzata qualcosa. L'arte come artigianato al contrario possiede al suo interno e nell'ambito della sua esecuzione movimenti non finalizzati, che si preoccupano del perfezionamento. Nell'arte il fare tecnico ha una componente di libertà e gioco, mentre il puro mestiere è quello delle routine ripetitive. Da queste tre distinzioni il filosofo si chiede che cosa distingue le manifestazioni dell'arte bella dall'arte in generale. La risposta compare nel titolo del paragrafo 45, dove rientra la natura (prima distinta dall'arte) con una nuova accezione.In questo frangente natura significa spontanea autogeneratività. Qui il filosofo rielabora il tema antico della naturalezza o spontaneità dell'opera d'arte che gli antichi chiamavano “l’arte di celare

l’arte”, facendola percepire come assolutamente spontanea, pur avendo richiesto un grande lavoro e una grande fatica. Di fronte a un prodotto dell'arte bella bisogna essere consapevoli che si tratta di arte (tecnica, che ha richiesto un progetto di ciò che la cosa deve essere, molto lavoro, fatica e non natura) e tuttavia la conformità a scopi della forma deve sembrare libera da costrizioni di regole, come se fosse prodotto della semplice natura. Qui Kant parla di natura in senso opposto e diverso rispetto a quello in riferimento alla tecnologia delle api. In questo caso significa autoproduzione dell'ente, il generarsi e venire alla presenza da solo. Non significa neppure natura come oggetto di conoscenza in generale, ma qui il filosofo pensa la natura come fiusis, spontaneità creatrice, spontaneità e capacità autogenerativa. L'arte bella quindi è una tecne in quanto sembra nello stesso tempo una fiusis, ciò che si spinge da solo nella presenza, che richiede solo la sua forza generativa per mettersi nella presenza. L'arte bella è una tecne in quanto nello stesso tempo si porta nell'apparire come natura, è una tecnica, poiché si porta nella presenza come qualcosa di autogenerativo. Nell'arte bella la libera riflessione razionale impegnata nel produrre un artefatto materiale viene comunque determinante ricondotta nell'ambito della fiusis, cioè qualcosa che ha la forza di prodursi da solo, ciò che è autogenerativo e si produce da solo. Questa forza Kant la chiama genio; allora l'esemplarità dell'opera di genio non è attribuibile all'opera solo bella, perché deve esserci un elemento in più, ossia una tensione e una conflittualità interna. Questo elemento che è il genio a far apparire nell'opera è qualcosa le cui conseguenze ricadono sull'esperienza del senso, della comunità e della ricostituzione di essa.

9.Il concetto di Genio e le sue proprietà

Kant nel paragrafo 43 ha cominciato a fare delle distinzioni comparando l'arte in genere (abilità di fare qualcosa, arte come tecne, produzione che avviene in base ad una libera riflessione razionale, ma questa, come ha avuto modo di sottolineare nel secondo momento (rapporto arte-scienza) è incorporata in qualcosa di sensibile. È una riflessione che riguarda la mano pensante almeno quanto la mente; dunque c'è bisogno di una progettualità direttamente investita e incorporata nel sensibile; non basta sapere com'è fatta una cosa per saperla anche fare.) con la natura, la scienza e il mestiere; da queste comparazioni è stato possibile desumere i caratteri dell'arte.Benché sia chiaro che si tratta di un artefatto, qualcosa prodotto su base di regole, concetti e precetti il prodotto dell'arte bella deve apparire naturale e spontaneo, non intenzionale, come se si fosse autogenerato e portato da solo nell'apparire; in questo non è in gioco il carattere mimetico dell'arte, ma il suo carattere naturale, in quanto spontaneo, autogenerato, che si produce da solo.Secondo un'altra interpretazione Kant vuole dire che nell'arte bella la tecnica (libera riflessione razionale impegnata nel produrre un artefatto materiale), viene pensata nell'arte bella come appartenente all'ordine della natura, cioè come riconducibile nell'ambito della spontaneità autogenerativa della natura; allora l'arte bella mostra l'aspetto della tecnica che la fa rientrare nell'ambito della natura, ossia il suo darsi la regola da sola in modo naturale, non ricavandola da qualcosa di presistente. Per spiegare questo Kant usa un'espressione che dice che il genio è quel talento per mezzo del quale la natura da la regola all'arte, ossia il genio è quel talento attraverso cui si vede il darsi della regola come un fatto non ulteriormente risalibile, come qualcosa che non si appoggia su nulla se non su se stesso, come un comparire naturale, un’autoproduzione della regola.Questo modo particolare di produrre tipico dell'arte bella ha bisogno di un talento cui si dà il nome di genio, che va inteso come peculiare proporzione produttiva delle facoltà conoscitive, che fa apparire qualcosa nel mondo proprio in virtù di questa produttività, ovvero è generativa.

Genio significa particolare arrangiamento delle facoltà versato alla produzione, facendo apparire qualcosa; si tratta di una proporzione nella quale l'immaginazione (alla quale la filosofia critica ripensa in maniera più approfondita e radicale)) ha il primato.Kant da quattro definizioni di genio (sebbene in realtà siano tre, visto che l'ultima è riassuntiva); nella prima parte del paragrafo 46 si prospetta la definizione del genio come talento mediante cui la natura da la regola all'arte, mediante cui l'arte mostra di poter autoprodurre quasi naturalmente la propria regola come se fosse naturale.Il genio è la capacità, ovvero attitudine delle facoltà conoscitive, di dare origine a qualcosa che prima non c'era e dunque originalità va inteso come originarietà; il genio è la capacità di fare apparire qualcosa che non trova il suo fondamento nell'esistente. Dunque la prima proprietà del genio è la sua capacità di originare qualcosa.Poiché è coessenziale all'origine il poter essere insensato perché non ha ancora misure di giudizio nell'esistente, cioè non si fonda su niente di esistente (riconducendo così la nascita alla sua condizione di innovazione radicale, che prima non c'era). L'opera del genio è un'origine che non appoggiandosi su nulla di esistente, può essere insensata; allora proprio perché non c'è garanzia che non sia insensata, i prodotti del genio debbono essere esemplari e fornire una regola (questa è la seconda proprietà del genio). Il genio rimette in discussione il senso comune esistente, non si appoggia su nulla che sia già garantito, ma deve fornire agli altri una nuova regola (che compare quasi autogenerandosi), un nuovo criterio per riorganizzare l'esperienza e il giudizio. Le opere dell'arte geniale debbono servire come misura e regola del giudizio, come qualcosa che proprio in quanto sta riorganizzando l'esperienza su qualcosa di non esistente, deve poter introdurre delle nuove regole di giudizio e riorganizzare l’esperibile. Il genio quindi come viene pensato da Kant è il contrario della sregolatezza, ma la sua caratteristica è proprio cambiare le regole esistenti, introducendone di nuove. Il genio allora è un iperegolatore, che non sa se e come funzionerà la sua regola; per questo deve essere esemplare e farsi capire. Non esiste il genio incompreso (altrimenti non è un genio), poiché il genio è per definizione compreso. Il genio innova in modo radicale, facendo comparire qualcosa che non si era mai visto e questa innovazione non poggia su nulla di esistente. Esso non avrebbe significato se non fosse anche esemplare, qualcosa che invita e rende possibile che la comunità di chi riceve l'opera modifichi le proprie regole, introducendo nuovi criteri per il giudizio.L'opera di genio è un modello per la produzione successiva di opere a venire; così l'artista di talento guarda all'opera di genio riuscendo a trarre la regola che quest'ultimo ha prodotto da sola, (il genio ha avuto la capacità di far apparire la regola nuova, cambiando le regole esistenti) e usarla creativamente. L'opera di genio deve essere esemplare in prima istanza per gli altri che guarderanno a essa come fonte di regole e di principi costruttivi, che poi applicheranno creativamente; l'opera del genio ha un'influenza di riorganizzazione sul giudizio che si dà sulla tradizione artistica e sull'arte, poiché l'incontro con un'opera di genio produce sullo spettatore l'effetto di riorganizzare la sua esperienza dell'arte, riuscendo ad arricchirne i criteri di giudizio.L'incontro con l'opera di genio ha la capacità di riorganizzare la nostra esperienza in generale, di farci vedere il mondo che abitiamo in modo nuovo, secondo nuove regole; è la stessa esperienza, l'attività e la capacità di giudizio in generale che vengono riorganizzate. L'opera d'arte di genio una volta compresa e assimilata fa tornare in un mondo che non è più quello di prima, nel quale il fruitore è arricchito di uno sguardo più penetrante, oppure l'esperienza dell’opera d'arte arricchisce il mondo e il soggetto che sa come guardarlo, riqualificando il mondo nel quale si trova il soggetto, rendendolo più ricco e più complesso, avendo un effetto di ritorno nel mondo dell'esperienza. In questo senso deve essere inteso come modello, che riesce ad arricchire il mondo. L'opera d'arte di genio deve mettere in circolo qualcosa di originale, che non si era mai visto prima; se non riesce a riorganizzare la comunità non ha senso.Questa è l'opera che non ha saputo contemperare l'innovatività con la comunicabilità; il genio deve avere anche tener presente il livello medio del senso comune, negoziare con la comunità

esistente facendola progredire e al tempo stesso rispettarne la capacità di prendere ciò che viene proposto come sensato, il genio non può osare troppo.Nella terza definizione Kant riprende e approfondisce nella questione del genio la distinzione tra arte e scienza; qui essa viene ripresentata tra opera di genio e innovazione geniale . Quest'ultima può accadere anche in campo scientifico, ma nonostante ciò Kant nel paragrafo successivo dice che Newton non è un genio, in quanto la sua innovazione geniale può essere tradotta in linguaggio, scorporata dai principia in cui si trova. Newton può dire come è arrivato alle sue conclusioni, cosa che non può fare un poeta; lo scienziato può insegnare passo per passo come si arriva alla teoria e per questo la differenza tra lui e gli imitatori è solo di grado, perché essi potranno utilizzare le formule pedissequamente ed eventualmente qualora vi fossero, trovare anche le imperfezioni. Così il filosofo vuole dimostrare non solo che il genio è un talento originario e non insegnabile, ma anche che la sua creatività è incorporata e non scorporabile dall'opera stessa, in qualcosa di sensibile dal quale non si potrebbe separare senza perdere il dono più grande di quella incorporazione. Il fatto che la creatività sia incorporata è il dono più grande dell'opera d'arte, che la differenzia dall'innovazione creativa, che invece è acquistabile nell'ambito della scienza. La creatività non si può insegnare; Kant tuttavia nel paragrafo 49 si chiede che cosa può insegnare l’opera di genio; ad esempio ad un'artista l'opera d'arte può insegnare ad usare costruttivamente qualcosa che invece l'artista stesso ha prodotto originariamente. L'artista di genio ha insegnato ai posteri che è possibile agire pur in assenza di regole sulle quali fondare ciò che muove verso la forma, insegnando ad essere spregiudicati (quindi non insegnare una forma). La terza definizione permette di distinguere l'opera di genio (in cui la creatività è incorporata e incarnata) dall'innovazione creativa, che non è geniale perché la genialità non è qualità di un soggetto, ma un modo per capire come funziona la nostra immaginazione, essendo soprattutto calata nell'opera, è in opera e non separabile da essa. Questo ribadisce la necessità di abbandonare ogni concezione soggettivistica del genio, che lo fa pensare come una persona, spostandoci sul piano dell'opera.Il genio non è altro che un nome per definire una particolare proporzione tra le facoltà che può essere compresa criticamente, con l'aiuto del concetto di forza, spirito, ispirazione e idee estetiche, la materia di senso che produce significati, ma non si esaurisce mai in essi; la materia li produce e li legittima, ma non si esaurisce in essi. L'arte bella adeguata al gusto non è quella di genio, che al contrario ha lo scopo di far saltare gli spiccati del senso comune, ma costruttivamente al fine di riorganizzare e integrare.Il filosofo cerca di mostrare che il principio che nell'arte è esibito esemplarmente (e che chiama “animazione”) agisce comunque anche nelle altre forme della nostra esperienza; è un elemento di forza che invece non hanno le opere puramente adeguate al gusto. Kant vuol far vedere al lettore che l'opera d'arte gli serve per esemplificare (ma l'opera d'arte esibisce esemplarmente) l'animazione, che in quanto tale è presente nell'esperienza in generale. La creatività trova manifestazione esemplare nelle opere d'arte di genio che per questo sono considerate interessanti per un'estetica. Lo spirito è il principio di animazione del gioco tra le due facoltà tale da farle mantenere da se stesse; tuttavia questa autoalimentazione ha bisogno di una materia. Quest'ultima si concretizza nelle idee estetiche; di conseguenza il concetto intellettuale è inadeguato alla sovrabbondanza di materia di senso che l'immaginazione sta mettendo e che Kant definisce idee estetiche, poiché si tratta di un senso che dà da pensare, è un dono per il pensiero, un'occasione per esso. I concetti di cui l'opera è intessuta non bastano a esaurire il lavoro delle idee estetiche stesse, che danno ancora da pensare oltre i pensieri che si sono prodotti; questi concetti non esauriscono la potenza che il pittore ha caricato nella rappresentazione, ossia le idee estetiche che continua a produrre.Le idee della ragione sono presentabili solo per via indiretta e analogica, oppure in virtù dello scacco come accade nel sublime; a ciò si aggiunge l'immaginazione che con le idee estetiche

produce occasione di pensare molto; infatti l'incontro con l'opera d'arte è occasione di molto linguaggio, di molti concetti e di estensione dei concetti.La ragione sollecita l'immaginazione che può rispondere produttivamente in virtù del movimento delle idee estetiche; allora il poeta prova e arrischia senza regole; conseguentemente sulla base di quello che ha arrischiato e delle idee estetiche che ha messo in circolazione mira alla riorganizzazione del senso comune (che diventa diverso) e del mondo stesso dell'esperienza che viene ricevuto come qualcosa di più complicato.

10. Conclusioni sul pensiero Kantiano

L'estetica in Kant mostra le proprie valenze per una ricomprensione del problema epistemologico, nonché per una ricomprensione della filosofia trascendentale che abbandona tutte le certezze della a priori per rimettere in discussione le condizioni dell'esperienza dall'interno dell'esperienza stessa con un'apertura e un'esposizione alla contingenza e all'imprevedibile.L'opera d'arte di genio (autenticamente innovativa) non mantiene il gioco delle facoltà nell'equilibrio armonico richiesto nel caso dell'esperienza del bello, ma tramite il lavoro dell'immaginazione le anima e le rifornisce di una ricca materia di senso che le rafforza e da loro impulso. Quindi, delle facoltà potenzia la capacità di espandere il loro rapporto nel sensibile in modo più ampio, riorganizzando l'ordine dell’esperibile e l'ordine dell’esperienza.L'opera d'arte di genio presenta un rapporto proporzionato tra facoltà tutto a vantaggio dell'immaginazione, che prende il primato. Questa materia di senso che l'immaginazione fornisce prendendola dal mondo sensibile e collegandosi al sensibile, Kant la chiama “idea estetica”, coniando un nuovo concetto; di conseguenza la materia che l'immaginazione fornisce all'opera geniale è l'idea estetica. Le idee estetiche sono le rappresentazioni dell'immaginazione cui nessun concetto è adeguato (ovvero nessuno dei concetti elaborati è in grado di chiudere in modo conclusivo il gioco sensibile dell'immaginazione).Quando l'immaginazione prende il primato, la prestazione che si trova incorporata nelle opere di genio è un'occasione di un flusso di pensieri che non potrebbe mai essere esaurito in un concetto definitivo; si creano numerosi concetti, ma nessuno di essi potrebbe esaurire il lavoro delle idee estetiche. Dunque, l'esemplarità dell'opera di genio mostra il movimento dell’espansione e riorganizzazione della nostra esperienza (che nell'uomo è caratterizzata dal tratto della creatività e della messa in crisi, della riorganizzazione di sé stessa); l'opera di genio mette sotto gli occhi il movimento attraverso cui un'esperienza si riorganizza.Il movimento viene compiuto tramite un'eccedenza di senso (di materia sensibile, di idee estetiche) rispetto ad un lavoro di concettualizzazione che non lo può mai esaurire, che non può mai saturare l'eccedenza (ci sarà sempre). Il lavoro dell'immaginazione produttiva è un movimento che mantiene costantemente in contatto forme sensibili e pensiero concettuale secondo una felice asimmetria che proprio per questo è indefinitamente produttiva (nel paragrafo 59 il filosofo riprende quest'argomento e lo rilancia per proporre un diverso disegno della sua concezione dello schematismo, ossia lo schematismo simbolico e l'esibizione simbolica, lo studio della continua disponibilità del sensibile a farsi tramite analogico per le idee soprasensibili; così la nostra concettualità e la stessa scienza si riorganizzano).L'immaginazione è produttiva perché mantiene costantemente il rapporto con il sensibile, con la percezione, ma è capace di elaborare questo rapporto per produrre continui significazioni che rispondono a esigenze che possono nascere in qualunque modo (non c'è nulla a certe condizioni che non possa essere sensibilizzato, come dice nel paragrafo 59, portando ad esempio la nostra conoscenza di Dio, dicendo che è tutta simbolica, nel senso del lavoro dell'immaginazione che prende dal sensibile qualcosa e ci fa lavorare sopra, ovvero la regola della riflessione).

L'opera d'arte di genio esemplarmente mostra il lavoro dell'immaginazione che è all'opera in ogni comune esperienza, non solo nell'arte; quest'ultima ha la capacità di farlo vedere in maniera intensificata, ma in realtà esso è al lavoro in più aspetti.L'opera d'arte di genio è manifestazione esemplare di un'esperienza in grado di darsi da sola le regole per espandersi e per riorganizzarsi, è “originale”, ovvero non prende da null'altro la regola della propria istituzione, la arrischia e può andar male quando non è stata sufficientemente attenta alla capacità che questo rischio corrisponda a una riorganizzazione della comunità, che si formi di fronte all'opera una comunità che si riconosce nei valori e nelle innovazioni che l'opera ha introdotto, diventando manifestazione esemplare di un'esperienza capace di autoregolarsi e cambiare le regole. Tuttavia, al tempo stesso l'opera deve essere un modello per gli altri (intera comunità potenziale di chiunque entri in contatto con l'opera) e in questa accezione viene presentata come un evento comunicativo capace di rigenerare davvero l'orizzonte del senso comune riprogettandolo.Da un lato l'estetica critica di Kant interpreta l'opera d'arte di genio sottolineando la sua esemplarità riflessiva, ossia l'opera come oggetto per il giudizio, che mette sotto gli occhi tutte le fasi del processo attraverso cui qualcosa di contingente (talmente tanto da essere insensato) arriva ad ambire ed imporre la propria necessità (che da quel momento in poi diventa necessaria), ma da un altro punto di vista l'opera riconosce nell'accadere di se stessa e nel proprio prodursi la capacità di fare effettivamente comunità, di riorganizzare effettivamente il senso comune. Di conseguenza l'opera è un esempio riflessivo, ma anche un modello produttivo, che fa vedere in che modo l'immaginazione riorganizza, diventa un modello di qualcosa che produce trasformazioni.L'arte in senso estetico non è l'esperienza universale o antropologica dell'arte ; le considerazioni di Kant collimano con l'esperienza che l'antichità ha avuto di quello che noi chiamiamo arte e che nell'antichità era chiamato in un altro modo.L'opera si presenta come esperienza di un sorgere originario di un mondo di significati dalla materia sensibile (che mostra di poter produrre un mondo di significati), di conseguenza si presenta come esplorazione dell'esperienza allo stato nascente, cogliendo l'esperienza nel suo originarsi. Inoltre, l'opera d'arte mostra il carattere creativo, non garantito, arrischiato del lavoro dell'immaginazione, facendo vedere il tratto innovativo e indissociabile dall'esperienza umana, che in quanto tale è caratteristicamente innovativa, sapendosi spingere oltre se stessa (ovvero l'empirico che ridescrive i limiti dell'empirico). Altro aspetto riguarda l’inesauribilità dello scambio tra lavoro dell'immaginazione e quello del concetto, che fonda la resistenza tipica dell'opera a prestarsi ad un'interpretazione esaustiva e definitiva e di conseguenza anche il suo persistere nel tempo; se si assestasse un equilibrio definitivo l'opera morirebbe e non avrebbe più la capacità di produrre significati.Tutto il ragionamento del filosofo spiega il carattere specifico del piacere legato all'esperienza dell'arte, che non è né il piacere del bello, né quello del sublime, ma il piacere dell'opera è un’altra forma di piacere che integra il giudizio estetico. Si tratta di un piacere sottratto a ogni edonismo ed è soprattutto estraneo a ogni contemplazione, non è un'estetica contemplativa, è un'estetica della turbolenza del rapporto tra l'aspetto cognitivo e quello sensibile che si può raccogliere nell'idea di un piacere della comprensione, che rimette in discussione schemi pregressi che non funzionano più, producendone nuovi.Questo piacere si lega all'attività arrischiata di coordinare il pensiero con una forma sensibile che non smette di offrire occasione per farlo; l'esperienza sensibile che l'arte raccoglie è un'occasione che non smette di presentarsi, cioè un pensiero viene chiamato a sperimentare nuove forme di estensione.L'arte nel senso moderno non è oggetto epistemico dell'estetica di Kant, ma solo un suo referente storico esemplare, cioè nell'ambito di un'estetica critica esiste un problema (che cosa succede quando l'immaginazione prende il dominio sulle altre facoltà?) spiegato attraverso un esemplare referente storico (anche se Kant avrebbe potuto sceglierne un altro, come lui stesso ammette); l'opera d'arte non è l'oggetto epistemico dell'estetica critica, ma si pone come occasione per spiegare

un problema. Di conseguenza nell'estetica di Kant non c'è posto per una concezione sostanzialista dell'arte (Kant non risponde alla domanda che cos'è l'arte?); c'è invece un problema della filosofia critica che trova nell'arte o un esemplare referente storico, che però non è garantito per sempre, ma nella sua filosofia ci si deve riferire piuttosto al bisogno degli uomini in quanto enti finiti di configurare in esemplari esperienze empiriche di tutti tipi l'attitudine indeterminata che ha l'uomo a ricavare senso e significati dal commercio con il mondo sensibile e con le contingenze del mondo; quest'esemplarità però si può spostare sugli elementi più indifferenziati.La questione della storicità dell'opera d'arte nell'ambito dell'estetica critica di Kant è una questione non tematica.

11.Introduzione al pensiero hegeliano

Per Hegel l’arte è un modo di fare esperienza doppiamente passato, che sconta una doppia inattualità: da un lato soggettiva, in quanto è un modo che può essere superato dal pensiero , cioè soggettivamente il senso che l'arte può manifestare, ciò che può comunicare soggettivamente è destinato a essere superato dal pensiero (che come dice Hegel la toglie); dall'altro lato oggettiva, poiché la sua serietà di esperienza essenziale appartiene al passato storico dell'umanità.Quindi l'arte è soggettivamente superata, manchevole dal punto di vista di quello che il filosofo chiama spirito soggettivo, ovvero i gradi in cui la coscienza si organizza e prende consapevolezza di sé, ma anche oggettivamente (cioè le figure che storicamente sostanziano questo processo di autocoscienza).Hegel rende comprensibile l’accadere della storia, senza nulla togliere al suo accadere; nulla è già previsto, ma è grazie al fatto che la storia accade in quel modo che lo spirito arriva a se stesso in quello stesso modo. In Hegel è presente il paradigma di che cosa significa una filosofia della storia, ossia che la storia è qualcosa di comprensibile, non un insieme di eventi che accadono e su cui ognuno può gettare una rete di connessioni.La storia è qualcosa di comprensibile a livello dello spirito oggettivo che vi costituisce le sue istituzioni. L'arte è anche forma di esperienza della verità, la cui serietà appartiene al passato storico. Per il filosofo la crisi dell'arte è cominciata con il cristianesimo, quando l'arte non è stata più suprema esperienza spirituale dell'umanità. La cultura cristiana rompe l'equilibrio su cui si reggeva l'arte antica e da quel momento l'arte non ha più assolto la funzione che aveva nell'antichità greca, cioè il costituirsi senza altre mediazioni, costituirsi sostanzialmente e immediatamente come un'esperienza dei più alti contenuti spirituali di una comunità (politica, morale, religione, sacro).La più immediata e completa esperienza del politico è Antigone di Sofocle, che è la tragedia di riferimento del filosofo.L'equilibrio su cui si reggeva l'arte antica è tra spirituale e sensibile, cioè tra spirituale e la sua manifestazione sensibile (figurativa), rotto da Cristo. Nella tragedia antica c'è un'identificazione immediata tra l'azione dei personaggi e il significato epico-politico di questa azione, che è figurativizzata per mezzo di personaggi che ne sono veicoli immediati. Antigone si identifica immediatamente con le leggi del sangue, mentre Cleonte si identifica immediatamente con le leggi della città. La tragedia per il filosofo è scena aperta di questa collisione tra la legge della polis e le leggi del sangue e della famiglia, di cui lo spettatore fa esperienza diretta, includendo anche il politico.Per Hegel la verità del politico non sta altrove che dentro lo spazio della tragedia. Nell'epoca dei greci c'era un equilibrio perfetto tra la rappresentazione, l'immagine sensibile (Antigone, Cleonte) e lo spirituale, i significati, i contenuti, che Hegel chiama conciliazione. Il problema che

il filosofo coglie nella sua forma conciliata e che chiama arte è quello della conciliazione fra sensibile e spirituale. Tuttavia può essere chiamato anche in altri modi; ad esempio nella

Fenomenologia dello Spirito lo chiama religione artistica. La verità del politico sta nello spazio della tragedia che esibisce una conciliazione tra immagine sensibile e significato spirituale. Però questa conciliazione perfetta è difettosa.Con il cristianesimo, nella fenomenologia dello spirito, Gesù figurativizza la religione cosciente di sé, autocosciente, il sacro che si sa come tale, che è per sé, che accede a sé per via riflessiva. Quindi non è più possibile un dio perfettamente congruente con la sua immagine (rappresentato nella statuaria greca che Hegel ha in mente), secondo una conciliazione interno-esterno.Con la religione rivelata questo non è più possibile, poiché la religione autocosciente, che accede a sé per via riflessiva si concretizza in Cristo che si libera della condizione carnale dopo averla patita; la sua passione è la sua più grande azione, il suo più grande agire è quello di mostrare l'inadeguatezza della dimensione carnale. Il Dio cristiano introduce un'esperienza della spiritualità autocosciente e riflessiva, che abita una dimensione del sacro nei confronti della quale ogni rappresentazione sensibile è inadeguata. Si tratta di una trascendenza radicale, senza rapporto, dove ogni rappresentazione sensibile del sacro come trascendenza radicale è fatalmente inadeguata.Quindi a partire dal cristianesimo nasce l'arte moderna, che Hegel chiama romantica, destinata a fronteggiarsi perennemente con l'inadeguatezza, con la sproporzione tra i due termini messi in gioco dalla sua figura, cioè il sensibile e lo spirituale. La verità del sacro si può rappresentare solo in modo riflessivo o mediato, non più direttamente.

12. Caratteri generali della filosofia hegeliana

Il testo “Estetica” è una raccolta di lezioni-conferenze, che Hegel tenne dal 17 al 29 a Berlino per un pubblico molto vasto di persone colte; queste lezioni furono poi raccolte dai suoi allievi (uditori) nel 1823 e presentano uno stile molto discorsivo; si tratta di una sorta di smontaggio e rimontaggio dei corsi tenuti in quegli anni, compiuto dal principale degli allievi del filosofo, Heinrich Gustav Oto.Hegel nasce nel 1770 e muore nel 1831; nel momento in cui la sua filosofia giunge a maturazione punto di riferimento essenziale è la Fenomenologia dello Spirito, scritto del 1807. Per un certo periodo risulta vicino al romanticismo, ma poi se ne distacca nettamente, diventando nemico dei romantici.Per Hegel compito della filosofia è comprendere l'esperienza della verità fino a portarla alla totale autotrasparenza e autoconsapevolezza, in modo tale che l'organo che effettua questa comprensione, ossia il logos, la ragione umana in quanto spirito pensante e parlante arrivi egli stesso ad autocomprendersi ed essere oggetto della sua stessa comprensione.Fare della verità un oggetto della comprensione significa ricostruire i gradi in cui lo spirito si manifesta (da qui Fenomenologia, intesa in accezione diacronica), cioè i passi che la coscienza (o spirito soggettivo) ha dovuto compiere al fine di divenire per sé, riflessivamente ciò che essa è già in sé; la coscienza deve divenire quello che già è, in senso strettamente riflessivo. Questo significa anche ricostruire secondo un criterio di intelligibilità sistematica i momenti essenziali del concreto dispiegarsi storico della verità; ciò viene definito da Hegel spirito oggettivo. Dunque bisogna ricostruire i passi che la coscienza ha fatto per pervenire a se stessa, ma anche le figure essenziali che storicamente hanno oggettivato (spirito oggettivo) questo venire a sé; l'arte è una di queste figure.Una peculiare figura della Fenomenologia dello Spirito è denominabile come arte, anche se la parola è estremamente fuggevole, visto che nella Fenomenologia si parla di religione artistica, della religione attraverso il suo manifestarsi in figura. Hegel si è fermato allo spirito soggettivo, senza

prendere in considerazione quello oggettivo, parlando dell'arte dal punto di vista della sua funzione nell'ambito del lavoro di una coscienza; da questo punto di vista Hegel critica Kant,

visto che quest'ultimo non ha preso in considerazione l'arte come un momento in cui lo spirito si aliena e perviene a sé stesso gradualmente. Hegel legge e fa alcune considerazioni sulla Critica della facoltà di giudizio di Kant, pur fermandosi al momento in cui le facoltà sono in accordo armonico; il punto di partenza per cui tutta la riflessione kantiana viene sussunta sotto ciò che il filosofo chiama spirito soggettivo, che deve necessariamente integrarsi con l'oggettività dello spirito oggettivo, perché entrambi fanno parte della fenomenologia dello spirito che viene a sè stesso; in questa progressione l'arte occupa il primo gradino.Il rapporto tra processo\diacronia e sistema (cioè il fatto che la diacronia è regolata e fa sistema, diventando comprensibile nel suo procedere) è pensato in termini dialettici; ciò significa che la figura che si manifesta temporalmente per prima, quella che appare più immediata e meno ricca di mediazione, trova la sua verità non in sé, ma in altro da sé e precisamente nella figura successiva e più ricca di mediazione, che al tempo stesso toglie, rimuove e conserva quella precedente esplicitandone la verità, portandola ad un grado di trasparenza maggiore che coincide con un grado di mediazione maggiore (con un grado di riflessività maggiore). La certezza sensibile appare per prima, ma è l'autocoscienza dell'essere percipiente a far apparire la verità della certezza sensibile; quest'ultima non ha in sé la sua verità, ma questa può apparire solo a partire dalla figura più mediata, che è la figura conscienziale dell'autocoscienza dell'essere percipiente.Quest’ultima nega l'immediatezza della certezza sensibile, però non la distrugge o l’annulla, ma la riprende in se; lo strumento di pensiero hegeliano coniuga insieme l'aspetto diacronico (perché del successivo per spiegare il precedente, visto che se non c'è il successivo non è possibile spiegare il precedente) e l'aspetto sistematico; questo nesso fa sistema ed è sommamente intelligibile, obbligando il pensatore (se vuole essere tale fino in fondo) ad andare fino alle estreme conseguenze: il pensiero stesso che fa quest'operazione pensa se stesso, togliendosi e autocomprendendosi in una trasparenza assoluta.Un rapporto analogo si può cogliere anche sul piano delle grandi figure dello spirito oggettivo che scandiscono lo sviluppo storico dello spirito; esse sono l'arte, la religione la filosofia.La prima figura che appare nell'arte è quella in cui lo spirituale si manifesta sensibilmente e coincide totalmente con il suo presentarsi sensibile; di conseguenza spirituale e sensibile raggiungono una perfetta compenetrazione e conciliazione. Storicamente questo è il caso dell'arte greca, momento in cui il divino si fa integralmente presente in forme sensibili (e qui il filosofo ha in mente gli esempi della grande statuaria classica). Dal punto di vista della sua intelligibilità questa forma dello spirito assoluto (o esperienza della verità) è destinata ad un superamento, ossia già contiene in sé il suo superamento, che lo rende effettivamente compreso: l'arte classica dunque non è consapevole di essere arte.L'arte è il momento di perfetta adeguazione del divino e del suo apparire, ma la sua verità si trova nella figura successiva, cioè la religione disvelata e autocosciente (che s'impone come tale con il Dio cristiano, giunta a se per via di riflessione), la dimensione della trascendenza che non può essere rappresentata. Questa religione disvelata consegna a sua volta la sua verità alla figura successiva, cioè l'autotrasparenza dello spirito assoluto che si concretizza nella filosofia di Hegel.Con Hegel si fa strada l'attitudine del pensiero per la quale la ragione è portata a pensare se stessa e a sdoppiarsi, facendosi oggetto di se stessa; il filosofo risolve questo problema nella forma dialettica di semplificare la ragione, che dovrà negarsi e alienarsi come altro da sé (ad esempio nel sensibile, che è il suo altro), ma solo per potervisi ricomprendere e alla fine attraverso queste alienazioni, ritornare a sé nell'ultimo toglimento dialettico della negazione totale. Questo

significa che l'arte occupa dal punto di vista diacronico e sistematico il primo gradino del processo e dunque per questo è qualcosa di già stato; l'arte appartiene al passato del pensiero che la pensa

ossia al passato del darsi storico della verità: sia punto di vista soggettivo, che dal punto di vista oggettivo l'arte è qualcosa di passato.L'arte essendo qualcosa di passato può essere raggiunta solo riflessivamente; quella in gioco è la suprema funzione dell'arte; storicamente Hegel constata che l'arte ha perso la capacità di far apparire la verità, ossia i più alti interessi spirituali di una comunità (come il divino, visto che la riflessione del filosofo sull'arte parte in concomitanza con la riflessione sul divino e sulla religione), essa ha perso forza; tuttavia il carattere di passato e il destino di essere superata è un tratto costitutivo dell'arte proprio in quanto questa mostra la sua verità nel suo apparire sensibile. Proprio in quanto esprime nel modo più pieno la sua propria essenza che l'arte è difettiva, cioè nel delegare la sua verità a qualcosa d'altro, mostrando la verità nel suo apparire sensibile, ossia nel suo perfetto legarsi con un apparire; questo è un modo necessario nello sviluppo, necessario proprio per essere tolto e superato. In questa accezione l'arte è un oggetto degno di considerazione scientifica, visto che arriva a rappresentare sensibilmente l'idea, facendo da termine medio tra sensibilità e idealità, ma questo modo di manifestare il vero non è il modo più alto.Per Hegel solo un certo grado della verità può manifestarsi nell'arte; quindi il sensibile regge soltanto un certo grado di corrispondenza con il soprasensibile, perché i due momenti si costituiscono in un plesso unitario, che è il più originario e il più arcaico, in cui lo spirito assoluto muove i primi passi.Oto tuttavia nell'accorpamento forza arbitrariamente il materiale delle lezioni imponendogli un'armatura sistematica; in realtà in quei 12 anni Hegel non ha riproposto gli stessi argomenti, ma ha cambiato fortemente le sue posizioni; infatti la materia originale di mano di Hegel appare molto più problematica.Inoltre, l'allievo fa credere al lettore che Hegel cominciasse le lezioni secondo l'impostazione che Oto da al testo, ma in realtà non è così. Infatti il corso viene presentato con un’introduzione, divisa in quattro parti: quale sia l'oggetto dell'estetica, in che modo si giustifichi la sua dignità di oggetto scientifico (come oggetto di cui una filosofia è tenuta ad occuparsi), come deve essere svolta la trattazione (il metodo) e infine che genere di storia specifica riguardi l'oggetto dell’estetica; questo presuppone che Hegel avesse già chiaro quale fosse l'oggetto dell'estetica (opera d'arte in quanto si differenzia dal bello naturale per dei motivi), mentre il filosofo procedeva in modo ermeneutico, partendo dalla situazione corrente che aveva sotto gli occhi e quindi smontandola, faceva vedere come dalla situazione emergesse non solo l’oggetto, ma al tempo stesso la sua dignità filosofica. È un sistema processuale ermeneutico che si oppone a una impostazione più manualistica e sistematica che emerge dal libro di Oto.

13.La valenza dell’arte nella riflessione di Hegel

Hegel nelle prime parti suggerisce di chiamare questo insieme di ricerche estetica, in mancanza di una parola migliore; in realtà non è un estetica, ma una filosofia dell'arte. Al contrario quella di Kant è in tutti i sensi un'estetica e non una filosofia dell'arte.Nell'interpretazione di Hegel non si tratta di fare una filosofia che abbia per oggetto l’arte, ma di interrogare la natura intimamente filosofica dell'arte come problema, l'essere filosofico dell'arte di contro all’idea di una filosofia che si occupa d'arte; l'edizione di Oto si apre con un'ampia introduzione nella quale Hegel affronta quattro questioni:

Qual’è l'oggetto di una filosofia dell'arte (dell'estetica)

In che modo si giustifica la sua dignità di oggetto scientifico, ovvero in che modo questo oggetto possa far valere i suoi requisiti di oggetto di cui la filosofia è tenuta ad occuparsi

Come va affrontato questo oggetto, cioè il metodo, come deve essere svolta la trattazione

L'arte viene mostrata come disponente di una storia specifica e significativail rapporto tra oggetto e dignità viene presentato dall'allievo come già acquisito: esiste quindi un oggetto-arte che va definito e distinto dalla natura; successivamente ne viene esplicitata la dignità filosofica. In realtà Hegel non comincia dall'oggetto dell'estetica, semplicemente perché ancora non c'è, ma esordisce con la dignità del problema di cui poi mostrerà il materializzarsi in un significato culturale che chiamiamo arte.Perciò Oto presenta come una definizione il fatto che l'oggetto dell'estetica è esclusivamente il bello artistico, perché sta più in alto della natura, in quanto generato e rigenerato dallo spirito; al contrario Hegel nell'effettivo progresso argomentativo delle sue lezioni si sarebbe interrogato più direttamente sul problema riguardante in che modo sensibile e soprasensibile si mettono insieme, ovvero in che modo lo spirito si aliena da sé per poi potersi riprendere; nell'ambito di questo problema l'arte occupa una posizione importante. Di conseguenza a partire dalla determinazione della dignità dell'arte come problema filosofico si arriva all'individuazione di un oggetto-arte; proprio in quanto il bello artistico definisce un certo rapporto tra sensibile e ideale, la filosofia è tenuta ad occuparsene.Del pensiero kantiano Hegel non si occupa delle idee estetiche; tuttavia in entrambi sicuramente fa problema, seppur in ambiti filosofici diversi, il rapporto fra sensibile e soprasensibile (ideale o intellettuale); mentre per Hegel l'arte in quanto termine medio tra sensibile soprasensibile è il luogo in cui i due vengono conciliati, ossia l'arte come termine medio è un passaggio, uno stadio dello spirito assoluto, per Kant al contrario è un tratto insuperabile, inesauribile della finitezza umana, poiché gli uomini sono enti sensibili e finiti, anche se intessuti di soprasensibile.Il rapporto tra sensibile e soprasensibile in Kant non raggiunge mai stabilità; da qui l'oscuramento che Hegel fa sulle idee estetiche, perché non gli funziona la discussione dal suo punto di vista; mentre per Kant l'arte come termine medio definisce e modellizza un rapporto o una proporzione tra sensibile e soprasensibile, destinato a produrre le più diverse configurazioni (in quanto radicato nella nostra finitezza), per Hegel questo termine medio è in via di principio superabile (per Kant è insuperabile e irriducibile) ed esauribile, nonché qualche cosa di passato.In Kant il sensibile non potrà mai essere tolto; lo è invece in Hegel, nel senso del superamento dialettico del sensibile come modo di conservarlo, tenerlo dentro e in vita. In Hegel questo rapporto tra sensibile e soprasensibile può farsi incontrare anche in natura, ma solo in arte acquista la figura stabile e significativa di un momento della storia; il filosofo analizza con grande sistematicità tutte le definizioni difformi che dell'arte sono state date per riportarle al problema filosofico di cui si sta occupando; uno dei primi esempi per esplicitare il bisogno dell'arte da parte dell'uomo è l'immagine del bambino che tira i sassolini. Il bisogno antropologico (cioè che ci sia una costante nell'uomo che lo porta verso l'arte) dell'arte per Hegel non è la condizione per cui l'arte è oggetto di una filosofia come la sua; questo è definito dal filosofo: “secondo il suo lato formale”. Nell'immagine del bambino il pensiero riprende Schiller, di cui Hegel è debitore, riconoscendolo in alcune pagine; l'uomo è in sé ma per diventare autocosciente, conoscersi e comprendersi ha bisogno di questa alienazione che trova il suo primo referente nella natura, in questo lavoro di assimilazione, proiezione, disconoscimento che nell'opera d'arte si cristallizza e diventa durevole, mentre i cerchi d'acqua sono effimeri per via di principio.Il bisogno di arte però non è la stessa cosa del suo valore per la filosofia, è solo soggettivo, formale, astratto, privo di determinazione, non ha ancora trovato quella forma che potrà invece costituirsi in un'autentica figura dello sviluppo dello spirito assoluto; questa figura viene chiamata arte da un certo momento in poi dello sviluppo del suo pensiero.

Il vero cominciamento di un'estetica non può coincidere con una delimitazione positiva di una ragione dell'esistenza (le opere d'arte) e deve piuttosto cominciare con l'inserimento di un certo rapporto tra sensibile e soprasensibile, che costituisce la prima parte, cioè il termine della

prima fase del ritorno dello spirito presso di sé, la prima alienazione dello spirito da se in vista della sua ripresa.Per Hegel l'arte è la figura che dà inizio al processo; tuttavia l'allievo lo mostra in una maniera molto scolastica (ovvero considera le opere, dice cosa sono, le considera conciliazione di ideale e sensibile e quindi ne mostra il funzionamento).Il filosofo esordisce con il contestare le opinioni correnti che vorrebbero negare all'arte la dignità di oggetto teorico; queste obiezioni sono tre, di cui due intrinseche e una esterna: l'arte secondo quel che si sente dire (riprendendo le opinioni comuni) è mera illusione, gioco di apparenze che non gode di piena autonomia perché mira al diletto, allo svago, al piacere e all'abbellimento; in secondo luogo il filosofo prende in considerazione quelle obiezioni che muovono all'arte l'accusa di manifestarsi nel senso, nell'intuizione e nell'immaginazione, cioè in ambiti diversi dal pensiero. Come tale l'arte, manifestandosi nell'intuizione, nella fantasia, nell'immaginazione e nel sensibile non dovrebbe godere di quella dignità propria degli autentici oggetti filosofici . Il terzo tipo di obiezione fa notare che il prodotti dell'arte in quanto opere dell'immaginazione sembrano disperdersi in una grande e irriducibile eterogeneità, in un disperso su cui è impossibile mettere ordine, in quanto per natura e in virtù della loro singolarità e contingenza le opere sono frammentate e il pensiero scientifico quindi fa fatica e nemmeno sarebbe tenuto a organizzarle e a giudicarle, inserendole in forme universali.Questi obiezioni vengono ricavate dal senso comune e hanno in comune l'imputazione all'arte di una separazione dalla sfera del pensiero e della spiritualità; per questo essa non sarebbe degno oggetto di trattazione filosofica. La replica di Hegel consiste nell'argomentare l'attinenza dell'arte alla sfera del pensiero e della spiritualità; per il filosofo è legittimo arrivare alla conclusione che qualcosa di spirituale possa permeare il sensibile; questa è la sua principale preoccupazione e soprattutto quello che vuole dimostrare.Hegel mostra che è possibile dissociare l'arte da ogni considerazione strumentale, ossia dall'idea che l'arte serva a qualcosa e che nell'arte sussiste un'essenziale elemento di libertà; in virtù di questa libertà non strumentale l'arte si è già posta nella sfera comune con la religione e la filosofia, soltanto è una specie e un modo particolare di portare a conoscenza e di esprimere il divino (vale a dire i più profondi interessi dell'uomo, le verità essenziali e spirituali di una comunità). Il modo in questione è la verità dello spirito, includendo anche quella più ampia e suprema rappresentata dal divino che l'arte esprime sensibilmente, incarnandola.La manifestazione sensibile delle verità più alte è un momento necessario, che non risponde soltanto a un bisogno antropologico (ridurre la riottosa estraneità della natura, dell'altro), ma è un bisogno più profondo relativo a fare in modo che lo spirito guadagni la sua autoconsapevolezza.L'arte non elimina l'opposizione, ma la conserva conciliata in una forma più mediata, che ha un sovrappiù di mediazione, di concretezza, di verità, di determinazione e quindi di concettualità (perché in Hegel il concetto è il più concreto e ricco di determinazioni, la sua filosofia non è astratta); infatti il filosofo è il pensatore del mondo giuridico, delle grandi istituzioni, dello spirito oggettivo e di questo modo di essere concreto e riccamente determinato del concetto. L'arte conserva l'opposizione conciliata, cioè in una forma più mediata, che fa a sua volta sentire che c'è una forma ancora più mediata. Ad esempio in Antigone la mediazione tra i due antagonisti di Sofocle può arrivare solo fino a un certo punto, ovvero dove è il sensibile a fare da freno ; di conseguenza Hegel pensa in maniera totalmente opposta a Kant, il quale sostiene che è proprio quella resistenza del sensibile a mettere le ali e a far camminare. Questo risponde non solo all'opposizione che il senso e il pensiero sarebbero separati, in quanto non lo sono per nulla; al contrario ci sono molti modi del loro intreccio e l'arte rappresenta il modo conciliato di

quest'intreccio. Ciò risponde anche all'obiezione sulla parvenza soltanto illusiva dell'arte, un apparire che non corrisponde all'essere sostanziale; infatti l’apparire stesso è essenziale per l'esistenza, poiché la verità non sarebbe se non apparisse e se non venisse alla presenza per una coscienza.

Le cose, nel momento in cui si destinano ad una coscienza non sono più brute, ma condotte in un apparire; questa parvenza dell'arte va intesa fenomenologicamente come un far apparire e un mettere in rilievo per cui l’apparire è più reale del mero presentarsi ai sensi del mondo esterno.La spiritualità allora può permeare il sensibile in molti modi (primo fra tutti con la conciliazione dell'arte); in questo far apparire, il carattere spirituale dell'arte sta nel tradurre il sensibile in apparenza e a questo titolo lo spirito stesso è in grado (alienato da sé) di pensarsi come primo momento di un movimento che permette di giungere alla totale autotrasparenza. In questa chiave si può dire che lo spirito deve prendere in considerazione l'arte, potendo e dovendo pensarla in questa accezione; pensare l'arte dunque è il movimento essenziale della prima alienazione.Quindi all'obiezione che punta sul carattere sregolato, eterogeneo e contingente della produzione artistica si deve rispondere che una volta intesa l'arte come pensiero che pensa se stesso nel suo aver fatto apparire sensibilmente in quella forma sensibile con supremi interessi dello spirito, allora in questa sua libertà e in questo suo compito libero e spirituale l'arte non potrebbe disperdersi e frammentarsi in una pluralità di manifestazioni eterogenee; questi interessi fissano punti di sostegno determinanti, per quanto varie e inesauribili possano essere le forme di queste configurazioni. Una volta ricollocata l'arte nell’autonomia libera della sua funzione autonoma, una volta stabilito che non c'è opposizione, l'arte risulta collocata stabilmente sui puntelli spirituali che sono la rappresentazione sensibile dei principali interessi di una comunità storica e di ciò che ha che fare con lo spirituale; consequenzialmente l'arte può tollerare persino la frammentarietà proprio se collocata su questi puntelli spirituali; così tale frammentarietà può essere ricondotta ermeneuticamente ai punti di sostegno.Le forme che si dà l'arte non potrebbero essere affidate al semplice caso, in quanto ogni configurazione è in grado di presentarsi come manifestazione di alti interessi spirituali e quindi una filosofia dell'arte di questo genere può orientarsi concettualmente nella massa eterogenea e apparentemente disparata delle forme e delle opere. Proprio perché selettivo il concetto, non si disperde nell'eterogeneità, ma fornisce un criterio ermeneutico e interpretativo per muoversi all'interno di essa e così riassume la sua legittimità, diventando l'orizzonte di un orientamento concettuale.L'ultima obiezione riguarda il carattere di passato dell'arte; da qui arriverà poi alla conclusione che pensare l'arte è innanzitutto pensarla nel suo carattere di passato. I passaggi sul carattere di passato che in questa fase Hegel ha messo in chiaro sono sostanzialmente quattro:

Solo un certo grado della verità dello spirito è suscettibile di essere rappresentato sensibilmente

L'arte oggi per noi moderni non arreca più il soddisfacimento dei bisogni spirituali, a causa dell'autoteorizzazione riflessiva che rende l'opera adatta a prendere posto nel mondo dell'arte.

Hegel sostiene anche che l'artista è talmente consapevole di questo elemento riflessivo da lasciarne traccia nell'opera stessa, imprimendo in essa una traccia di questa riflessività; la natura stessa dell'arte moderna (quella che viene dopo il cristianesimo) risiede nel portarsi dentro la consapevolezza del proprio fare. L'arte va pensata prima di tutto nel suo essere qualcosa di passato; per noi moderni significa che essa può tollerare solo un certo grado della verità; questo perché dopo il Dio cristiano tale verità si è talmente intessuta di trascendenza che nessuna rappresentazione potrebbe esporla adeguatamente. L'arte quindi non arreca più soddisfazione immediata perché intrisa di

riflessività; di quest’ultima lo stesso artista è consapevole, introducendo elementi di riflessività nella sua opera e quindi arte e scienza dell'arte procedono di pari passo.Segue quindi la necessità di comprendere meglio il concetto per il quale il sensibile si lascia penetrare e permeare dalla spiritualità; la prima figura che regge e patisce questo permearsi è

proprio l'arte; una volta rivendicata questa dignità all'opera d'arte il filosofo si chiede in che modo bisogna condurre la trattazione.Hegel (a differenza di quello che Oto riporta) procede in modo ermeneutico, tematizzando la pre-comprensione collettiva di che cos'è l'arte: essa è ciò che nella pre-comprensione collettiva fa capire la parola arte ogni volta che viene pronunciata, ossia l'arte è tutto ciò che chiamiamo arte. Si tratta di accettare un presupposto ermeneutico basato sulla pre-comprensione; quindi i giudizi comuni sull'arte che appartengono alla comune pre-comprensione dell'opera riguardano il fatto che l'opera d'arte non è un prodotto naturale, ma è un prodotto dell'attività umana (tecne e non natura) creata per l'uomo (e più precisamente per il senso dell'uomo essendo tratta dal sensibile) e ha un fine in sé, cioè è fine a se stessa.Dire che l'opera è fatta dall'uomo significa mettere in evidenza in essa il proiettarsi del carattere sensato dell'azione umana sul mondo esterno e questo proiettarsi deve durare nel tempo, senza esaurirsi o essere effimero come nel caso dei cerchi nell'acqua; l'opera è qualcosa di fatto dall'uomo affinché la coscienza divenga oggetto a se stessa, in concomitanza con l'affermazione del filosofo secondo la quale l'uomo è due cose: ciò che i passi della natura hanno fatto in lui e il modo in cui la ragione li deve riprendere e rifare propri.Hegel rimuove tutte le determinazioni materiali del senso (desiderio, sensazione piacevole come aveva fatto già Kant) per arrivare a quella che non contrasta con l'idealità e il pensiero, ma anzi risulta connessa in modo essenziale ad essi: si tratta di nuovo del venire a manifestazione, del suo portarsi in un apparire ordinato. Hegel passa poi ad analizzare i fini dell'arte, che tuttavia non riescono a cogliere l'autonomia del fine dell'arte, la sua libera autonomia: l'arte condivide gli stessi contenuti della spiritualità presente nella morale, nelle eticità e nella religione, ponendosi nella sfera comune con questi, sebbene l'arte li debba manifestare sensibilmente in immagine.

14.La tripartizione dell'arte: simbolico, classico e romantico

Hegel ha riportato tre giudizi comuni e correnti sull'arte: L'opera d'arte un prodotto dell'attività umana; ciò significa che l'opera è qualcosa di fatto

dall'uomo affinché la coscienza divenga oggetto a sé stessa (alienazione nell'altro e sdoppiamento). Questo significa che l'essere dell'opera risponde all’esigenza di spiritualizzare e umanizzare il mondo, costituendolo come orizzonte di senso e dell'azione umana, come cerchia sensata dell'azione umana; si tratta della creazione di un mondo sensato e soprattutto a misura d'uomo.

L'opera d'arte è creata per l'uomo è più precisamente per il senso dell'uomo, in quanto è tratta dal sensibile: l'oggetto della considerazione artistica è un sensibile divenuto libero, lasciato libero da ogni dipendenza; soprattutto è un sensibile che non si lascia distruggere dal desiderio. Questo sensibile è l'apparire; è per lo spirito, poiché nell’apparire il sensibile perde la sua estraneità e dimostra come qualcosa che per uno spirito. Se il sensibile viene elevato sul piano dell'apparenza, allora l'arte sta nel mezzo tra il sensibile e il puro pensiero, in quanto si tratta di un sensibile che sta per qualcos'altro, che viene colto nella sua apertura nei confronti di quel processo di spiritualizzazione o

umanizzazione precedente. L'arte (intesa in questo momento nell'accezione classica) indica questa zona di scambio per il in cui si può parlare di idealizzazione del sensibile e sensibilizzazione dell'ideale. In questa accezione è possibile dire che l'opera è tratta dal sensibile ed è rivolta al senso, è un sensibile permeato di spiritualità, che però si sensibilizza completamente a sua volta.

L’opera d'arte ha un fine autonomo in sé (che la fa rientrare nella stessa cerchia di autonomia della religione e del pensiero); è quindi indipendente da compiti o da movimenti di carattere strumentale. Il fine autonomo dell'arte è questo movimento per cui il sensibile si spiritualizza e lo spirituale si sensibilizza, cioè che qualcosa di ideale (i contenuti essenziali di una comunità storica) appaia in immagine. Quei contenuti dunque per il fatto di apparire in immagine sono suscettibili e passibili di una adeguata sensibilizzazione. Il fine autonomo dell'opera d'arte consiste nel processo di adeguazione di un contenuto ideale e di una forma artistica. È un processo di codeterminazione di un contenuto e di una forma, senza che l'uno presista all'altro e viceversa; il fine autonomo dell'arte viene presentato come processo di adeguazione di un contenuto ideale e di una forma sensibile. Tuttavia questo processo deve fissarsi in una forma stabile e permanente (ossia l'opera d'arte), fatto affinché la coscienza divenga oggetto a se stessa. Questo processo coorigina insieme una forma e un contenuto adeguato, un contenuto di pensiero che si lascia adeguare da una forma, capace a sua volta di adeguare un contenuto di pensiero, a sua volta contenuto già nel fine ultimo e autonomo dell'arte.

Quindi li ha presentati come tre giudizi che non devono essere smentiti, ma vanno conservati a condizione di liberarli da interpretazioni improprie e forvianti, riportandoli al loro fondamento autentico.L'adeguazione è il punto più alto a cui l'arte può giungere (raggiunta nell'arte classica), ma al tempo stesso è anche la sua manchevolezza, il suo carattere difettivo, grazie al quale Hegel può dire che l'arte classica ha raggiunto come arte il punto più alto, ossia la perfetta adeguazione di contenuto ed espressione; solo il fatto di essere arte è ciò che in essa la rende manchevole, cioè l'essere prima figura in cui si manifesta e procede verso le successive figurazioni lo spirito assoluto, si manifesta cioè per essere tolta e per diventare passato (nel momento in cui si è manifestata è già passato. Di conseguenza va da sé che l'essere proprio dell'arte è un essere difettivo, una preparazione dello spirito; infatti è qui che il filosofo ritorna sul tema della trascendenza del Dio cristiano, che introduce una dimensione dello spirituale (la religione autocosciente o rivelata, che si sa) e della trascendenza che non potrà più entrare in un processo di adeguamento con un'immagine sensibile; saranno ancora possibili infiniti altri processi (come ad esempio l'arte cristiana), ma saranno tutti di disadeguazione. Il modo di esistenza del dio greco individuale è ogni singola immagine; al contrario il Dio cristiano ha il suo modo di esistenza nel pensiero. È l'autonomia dell'arte che da sola ne fonda l'interesse per una filosofia come questa, ma al tempo stesso ne fonda la sua superabilità, il suo carattere manchevole, il suo destino ad essere superata.L'arte in quanto priva figura dello spirito assoluto ha un'interna e intima storicità oltre quella che la fa afferire al processo storico sistematico di raggiungimento dell'autotrasparenza dello spirito assoluto; c'è una storia significativa in questo rapporto di adeguazione di una materia sensibile un contenuto ideale.Solo la perfetta compenetrazione (il diventare una sola immagine di sensibile e ideale, forma e contenuto, esterno e interno) e adeguazione (che accade solo quando il contenuto è passibile di sensibilizzazione completa) potrebbe essere chiamata arte, che Hegel definisce con il termine ideale, ossia l'idea che si fa sensibile; al contrario definisce solo un momento della storia complessiva e precisamente l'arte classica, cioè l'arte greca antica intesa nel prototipo della statuaria dell'immagine del dio che appare individualmente e pienamente essente nella sua presenza sensibile, ma anche la grande tragedia. Hegel dimostra che questo momento in cui tra

contenuto spirituale e manifestazione sensibile si da piena adeguazione e conciliazione ha un passato e un futuro, proviene da un diverso rapporto delle due parti ed è destinato ad un rapporto ancora diverso.

Questo rapporto precede e un altro segue l'arte classica; sono due rapporti in cui tra sensibile e ideale viene reintrodotto il criterio dell'inadeguatezza, pensato dal filosofo nella ripartizione delle tre grandi forme dell'arte:

Arte simbolica (la più primitiva)Questo rapporto si caratterizza non solo per la sproporzione, ma anche per la ricerca dell'unità tra le due parti che si cercano, ma non si trovano. Le parti (sensibile e spirituale) restano reciprocamente inadeguate e continuano mostrare una reciproca esteriorità. Ciò dipende dal fatto che il contenuto spirituale è ancora astratto, indeterminato, oscuro e che la figura che lo deve manifestare è ancora quella prelevata dalla natura e sottoposta ad una deformazione che segnala la sua aspirazione e la sua pulsione verso qualcosa di spirituale che ancora è oscuro; è un tendere verso qualcos'altro che però si ferma nel tendere stesso. Lo statuto di questa forma è la sublimità (ma qui Hegel intende questa discrasia, questa disuguaglianza, questo squilibrio, questa inadeguazione come sublime, in una accezione completamente diversa da Kant). Hegel qui si riferisce all'arte orientale, cioè alla proliferazione inadeguata rispetto ai contenuti che non sono ancora afferrati, ma nello stesso simbolico sono registrabili delle gradazioni e degli sviluppi significativi, per cui la soglia in cui sta per avvenire il passaggio all'arte classica (in cui i due che si cercavano cominciano a trovarsi) viene individuata nell'arte egiziana; nella piramide ad esempio l'interno viene pensato come custodia dello spirito del morto. Il passaggio dall'arte simbolica a quella classica viene mostrato dal filosofo secondo un'interpretazione mitica figurata, cogliendola in un'opera. Hegel dice che l'arte egiziana è a se stessa simbolo, vale a dire un lottare in vista di una chiarificazione reciproca dei due elementi che però resta oscuro, presentandosi nella forma dell'enigma (che si presenta come non mirante a una risoluzione, nel suo essere di enigma) posto dalla sfinge. Il simbolico però non deve essere pensato solo come mera preparazione del classico

Classica (Grecia V-IV sec a.C)Qui avviene la perfetta adeguazione reciproca di contenuto e esteriorità sensibile; ha raggiunto come arte il punto più alto e ciò che in essa è manchevole è solo il fatto di essere arte. Solo questa perfetta adeguazione risponde pienamente all'arte in quanto figura dello spirito assoluto.

Romantica (dal cristianesimo in poi) o cristianaÈ l'arte che si pone come arte da un punto di vista più alto; nel cristianesimo il vero si è ritratto dalla rappresentazione sensibile. Di conseguenza il sensibile diventa un accessorio, non più una necessità, diventando libero nella sua sfera. Tuttavia l'arte romantica non va pensata come dissoluzione del classico; infatti come il classico anche le altre due forme dicono qualcosa di importante sull'esperienza dell'arte.

La forma classica sostiene che l'arte fa fare esperienza del codeterminatasi di sensibile e ideale, della coriginarietà, della relazione che produce i suoi due medesimi relati, che prima non ci sono, ma si producono allo scattare della relazione e perciò l'arte pone l'accento sul fenomeno per cui il sensibile si idealizza e l'ideale si sensibilizza, nonché sull'apparire come sede di questa coappartenenza. La perfezione di questo chiasmo è anche il suo limite; soltanto un contenuto passibile di sensibilizzazione può entrare adeguatamente in questo gioco, altrimenti scatta fuori come nel simbolico e nel romantico, dove si ripropone il movimento della sproporzione e dell'eccedenza (ripresa di un tema kantiano, per il quale le idee estetiche sono l'eccedenza irriducibile del sensibile sul concettuale; Hegel tocca il tema analogo dell'eccedenza e della

sproporzione tra i due, ma in modo diverso); l'eccedenza del sensibile non può essere valorizzata rispetto all'ideale, ma si tratta di un sensibile che viene liberato dai suoi compiti e può fare qualunque cosa, avendo la possibilità di rivolgersi alla contingenza più totale.La forma simbolica dice che nell'arte (intesa come esperienza dell'arte, arte in generale) c'è un ricercare, un tendere verso, un aprirsi al senso; il simbolico pone l'accento sul momento

inaugurale dell'aprirsi all’esperienza, sul primo dischiudersi di qualcosa di sensibile all'altro da sé (al soprasensibile, allo spirituale); l'arte tende e questo tendere è il simbolico. Il filosofo coglie nell'esperienza dell'arte un elemento di disordine insuperabile; il rapporto tra il sensibile e l'ordine del significato viene turbato dal momento della fuga del dio e della divinità, poiché era il sacro a garantire l'ordine dello spirituale; da quel momento questo rapporto non è stato più passibile di sistematizzazione secondo criteri intellegibili.La forma romantica viene presentata da Hegel come un rovesciamento della prima, dicendo che nell'arte c'è un andare oltre se stessa, si tratta di una sorta di trascendimento del sensibile e nel sensibile stesso. Dunque quest'arte cristiano-romantica nelle sue forme diversificate pone l'accento sul momento dell'oltrepassamento, dell’oltre, lasciandosi qualcosa di passato alle spalle che tuttavia appare nell'opera, quasi con valenza di materiale o contenuto dell'opera.Di conseguenza nella liberazione del sensibile risiede la grande opportunità dell'arte moderna; questo aspetto mette in luce la valenza virtuosa dell'arte cristiano-romantica, arte per cui del sensibile sarebbe possibile fare a meno; liberazione del sensibile significa proprio questo. Liberazione del sensibile vuol dire due cose: da un lato il sensibile non è più tenuto a dipendere dallo spirituale, non deve più cercarlo come nel simbolico o adeguarlo perfettamente come nel classico (tutto può diventare arte secondo un'interpretazione di stampo platonico); dall'altro lato il sensibile stesso diventa sede di una liberazione, liberandosi da se stesso (secondo l'interpretazione di Nitzche).

Antigone

Considerazioni su di essa si ritrovano anche nella Fenomenologia dello Spirito, opera inaugurale del modo di pensare del filosofo, nonché in molte altre; secondo Hegel Antigone è la più perfetta delle opere d'arte, rappresentando alla perfezione quello che l'arte è dal punto di vista del sistema storico della filosofia dell'idealismo assoluto di Hegel.Antigone offre al filosofo una perfetta figura dello spirito soggettivo, di cui rappresenta la complessità del momento dell'autocoscienza dell'azione individuale, attraversato da una negatività, che non sempre appare.Antigone rappresenta questo momento della coscienza del sé del greco classico antico; la complessità sta nel fatto che il sè deve passare attraverso una scissione e imparare a sopportare quella che il filosofo definisce la potenza del negativo, ossia nello specifico il trasferire la contrapposizione all'altro nel riconoscimento dell'altro; si tratta di assumere il riconoscimento dell'altro al posto della forma più rudimentale della contrapposizione (negativo puro).Quindi Antigone nella Fenomenologia dello Spirito appare in una zona dove si parla dell'eticità vera e sostanziale, cioè di quel personaggio che nel suo stesso ethos è totalmente quello che fa, senza alcuna riflessività; Antigone non sa quello che fa, lo fa perché lo deve fare, perché quella è lei; lo stesso vale per Creonte. In tal modo questa tragedia permette al filosofo di perlustrare il sè dell'autocoscienza greca che raggiunge la scissione, ma non sa pensarne la composizione.Inoltre per Hegel Antigone mostra il limite insuperabile di una rappresentazione solo sensibile (la tragedia stessa) di un contenuto totalmente adeguato dalla forma della tragedia antica; allora Antigone dice qualcosa di decisivo a proposito dell'arte quale momento dello spirito assoluto, ovvero la sua manchevolezza e il fatto che si fermi ad un certo punto, consegnando la sua verità

ad un'altra figura. Antigone è pura sostanza etica che si identifica con la sua azione unilaterale (il rispetto delle leggi non scritte, del sangue e della famiglia, che la porta nel suo essere generico perché è una donna e in quanto tale deve avere il compito di seppellire e compiangere il fratello defunto).

Per Hegel attraverso la sepoltura, il compianto e la consolazione la morte viene strappata alla sua condizione di riottosa naturalità, all'estraneità non trattabile; la morte con la sepoltura diventa qualcosa di agito, di fatto, è qualcosa che viene riassunto diventando sensato.Creonte rappresenta le leggi della polis e l'aspetto etico che il mondo greco attribuisce al genere maschile, nel senso che il maschio è tolto alla famiglia per entrare nello spazio aperto della città e per andare a fare la guerra, da cui però può tornare morto; in tal modo fa ritorno nella famiglia sotto forma di cadavere sepolto e quindi la morte diventa fatto attivo e sensato.In questo mondo etico antico tuttavia compare una scissione e la grandezza della tragedia di Sofocle sta proprio nel mettere in scena l'azione che porta a manifestare questa scissione, facendo emergere le due parti che realizzano l'unità armonica del mondo etico greco come due parti differenziali che vanno a configgere (emerge la negatività che è già nell'unità dell’ethos, ma vi è nella condizione di poter essere superata, non destinata a rimanere tale); entrambi protagonisti non esitano a vivere come giusta la loro azione (Cleonte nell'emanare un decreto che proibisce la sepoltura di Polinice, che tradisce la polis mettendosi contro il fratello e Antigone che infrange l'editto seppellendo il fratello) non essendo in grado di superare la loro rispettiva unilateralità (ethos delle leggi non scritte da un lato e ethos delle leggi della polis dall'altro, come due ethoi in armonica unità di cui emerge la negatività in questa azione che entrambi compiono).Entrambi non superano, ma coincidono totalmente con la loro unilateralità, portandola alle estreme conseguenze; quest'azione unilaterale ha come conseguenza imprevista di far emergere le ragioni dell'opposto, rappresentandole sensibilmente come un negativo, una contraddizione che si trova nell'apparente unità dell’ethos senza arrivare a comporla; entrambi arrivano a toccare le ragioni dell'opposto, ma le vivono come destino e non come qualcosa che può essere riassunto nel processo complesso dell'autocoscienza come riconoscimento o forma più evoluta del conflitto. Alla fine Antigone, sua madre e Creonte muoiono; Antigone scopre che la sua legge è congiunta nell'essenza (che è l'unità di entrambe le leggi e dell’ethos greco) con la legge opposta.Quindi Antigone configura un contenuto e al tempo stesso ne legittima il superamento in una figura di pensiero consistente in qualcos'altro dal sensibile; la figura del pensiero risiede nel riconoscimento che a sua volta dovrà trovare delle figure in cui manifestarsi, ma non nella tragedia che secondo il pensiero di Hegel non può che fermarsi li; Antigone offre alla filosofia un'immagine da cui pensare il carattere immediato e sostanziale dell'eticità e il conflitto incomponibile che ne discende, ma al tempo stesso legittima la filosofia stessa come il modo corretto di pensare la verità di quest'immagine (poiché la verità sta al di là e oltre la figura stessa). Tuttavia bisogna tener conto del fatto che in questo contesto il termine pensare significa due cose diverse: da un lato il raffigurato della tragedia che trova il suo necessario correlato in un pensiero, ossia che l'uno non sarebbe senza l’altro; dall'altro lato la tragedia dà da pensare e offre qualcosa al pensiero, cioè il raffigurato si risolve senza residui in pensiero e in questo risolversi emerge la sua verità. Proprio per questo l'arte e la tragedia devono restare per i moderni qualcosa di passato a cui non si può più accedere.