Antropologia (lezione 3)

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8 OTTOBRE 2013 La spedizione nello Stretto di Torres rappresenta per la storia dell’antropologia britannica un essenziale punto di svolta. Si tratta, infatti, di un importante passo verso quella ricerca sul campo come sarà poi intesa e canonizzata dal giovane studioso polacco Bronisław Malinowski (18841942). Nel suo ruolo di Lettore di Psicologia, William Halse Rivers (18641922) venne coinvolto, nel 1898, nella più celebre spedizione antropologica della fine del XIX secolo: la Torres Island Expedition dell'Università di Cambridge. Durante la spedizione Rivers riuscì a condurre una lunga serie di osservazioni e ricerche. In particolare, fu lui a sviluppare il metodo genealogico per lo studio delle organizzazioni sociali, una metodologia di seguito ampiamente usata nell'antropologia sociale internazionale. Nel 1910 Rivers sintetizzò le sue riflessioni di merito nel celebre articolo The Genealogical Method of Anthropological Inquiry, in cui propone un metodo per la raccolta dei dati riguardanti le relazioni di parentela e le loro terminologie; il metodo riesce a "porre il ricercatore sullo stesso piano del nativo" e si rivelò anche in seguito molto pratico ed efficace, riducendo i problemi teorici a problemi pratici. Rivers scoprì infatti che non conoscendo la lingua e non essendo perciò in grado di penetrare nei più reconditi e segreti pensieri dell’indigeno, poteva comunque domandare all’informatore chi fossero i suoi genitori e i suoi parenti più prossimi, ottenendo così una fedele riproduzione della terminologia di parentela in uso presso il gruppo studiato. La conoscenza delle terminologie di parentela avrebbe poi permesso, teoricamente, di giungere a delle facili considerazioni sull’organizzazione sociale del gruppo in questione. Secondo Rivers, un caso tipico di lavoro intensivo è quello per cui il ricercatore vive per un anno o più in una comunità di quattrocinquecento persone studiando tutti i dettagli della loro vita e della loro cultura; in cui egli non si mostra pago di informazioni generali, ma studia ogni aspetto della vita e delle usanze nei dettagli pratici e mediante l’uso della lingua locale. Nulla è più inutile per il ricercatore del fatto di limitare il proprio studio alla sociologia, alla religione o alla tecnologia di un popolo. È inutile sperare di ottenere 1

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Lezioni di Storia dell'Antropologia

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8 OTTOBRE 2013 La spedizione nello Stretto di Torres rappresenta per la storia dell’antropologia britannica un essenziale punto di svolta. Si tratta, infatti, di un importante passo verso quella ricerca sul campo come sarà poi intesa e canonizzata dal giovane studioso polacco Bronisław Malinowski (1884­1942).

Nel suo ruolo di Lettore di Psicologia, William Halse Rivers (1864­1922) venne coinvolto, nel 1898, nella più celebre spedizione antropologica della fine del XIX secolo: la Torres Island Expedition dell'Università di Cambridge. Durante la spedizione Rivers riuscì a condurre una lunga serie di osservazioni e ricerche. In particolare, fu lui a sviluppare il metodo genealogico per lo studio delle organizzazioni sociali, una metodologia di seguito ampiamente usata nell'antropologia sociale internazionale. Nel 1910 Rivers sintetizzò le sue riflessioni di merito nel celebre articolo The Genealogical Method of Anthropological Inquiry, in cui propone un metodo per la raccolta dei dati riguardanti le relazioni di parentela e le loro terminologie; il metodo riesce a "porre il ricercatore sullo stesso piano del nativo" e si rivelò anche in seguito molto pratico ed efficace, riducendo i problemi teorici a problemi pratici. Rivers scoprì infatti che non conoscendo la lingua e non essendo perciò in grado di penetrare nei più reconditi e segreti pensieri dell’indigeno, poteva comunque domandare all’informatore chi fossero i suoi genitori e i suoi parenti più prossimi, ottenendo così una fedele riproduzione della terminologia di parentela in uso presso il gruppo studiato. La conoscenza delle terminologie di parentela avrebbe poi permesso, teoricamente, di giungere a delle facili considerazioni sull’organizzazione sociale del gruppo in questione. Secondo Rivers, un caso tipico di lavoro intensivo è quello per cui il ricercatore vive per un anno o più in una comunità di quattro­cinquecento persone studiando tutti i dettagli della loro vita e della loro cultura; in cui egli non si mostra pago di informazioni generali, ma studia ogni aspetto della vita e delle usanze nei dettagli pratici e mediante l’uso della lingua locale. Nulla è più inutile per il ricercatore del fatto di limitare il proprio studio alla sociologia, alla religione o alla tecnologia di un popolo. È inutile sperare di ottenere

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un quadro completo della religione di una popolazione senza studiare contemporaneamente il suo modo di vita, la sociologia, la lingua e la tecnologia. In quest’ultima affermazione possiamo leggere chiaramente la prospettiva che caratterizzerà l’antropologia dei decenni successivi, solitamente definita come “prospettiva olistica” (da òlos, intero). In seguito alla spedizione nello Stretto di Torres e ad una successiva spedizione in India, Rivers divenne comunque uno dei più noti sostenitori delle teorie diffusioniste in antropologia culturale, secondo cui i tratti culturali possono migrare nel tempo da un'area geografica ad un'altra. Probabilmente, il discredito in cui caddero le teorie di Rivers è da attribuirsi proprio all’adesione alle teorie diffusioniste.

Nei primi anni del Novecento in Gran Bretagna divennero note le teorie di Grafton Elliot Smith (1871­1937) e William Perry (1887­1949), i quali offrirono una versione radicale delle teorie diffusioniste. Il loro pensiero venne infatti definito “iperdiffusionismo”. Le teorie di Elliot Smith e Perry postulavano un unico centro diffusore di cultura: l’Egitto. Le culture variamente distribuite sulla Terra mostravano i resti, a un diverso grado di degenerazione, di quella egizia. Di qui l’idea secondo la quale i tratti culturali, diffondendosi dal luogo di origine, sarebbero andati incontro a un processo degenerativo proporzionale alla distanza dal punto di partenza. Una delle prove adottate a sostegno di tale tesi da Elliot Smith fu l’esame della distribuzione geografica della mummificazione, della presenza delle costruzioni piramidali e del culto solare. La prospettiva olistica che, come abbiamo detto, trova un importante precedente già nell’opera di Rivers, è ormai ben affermata quando, nel 1910, alla London School of Economics arriva un giovane studioso polacco di nome Bronislaw Malinowski (1884­1942).

Malinowski fu un antropologo sociale polacco naturalizzato britannico. La sua ricerca ormai classica nelle Isole Trobriand (confluita poi nell’operaArgonauts of Western Pacific del 1922) ebbe un'importanza determinante per l'antropologia, in quanto fondò i metodi della moderna ricerca etnografica sul campo, in particolare quello dell'osservazione partecipante.

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Quando Malinowski parte per le isole Trobriand, in cui trascorre un periodo di tempo molto lungo, si rende conto che non è affidabile scrivere e servirsi delle informazioni raccolte da altri e che soltanto una conoscenza diretta permette di comprendere veramente le istituzioni sociali delle popolazioni studiate e di cogliere il punto di vista del nativo. I risultati di questa permanenza alle Trobriand confluiscono nel testo Argonauti del Pacifico Occidentale in cui, da un lato, egli teorizza i principi della ricerca sul campo e, dall’altro, descrive una forma di scambio tra le diverse isole dell’arcipelago noto come Kula. Nella sua forma classica, l’osservazione partecipante consiste in un singolo ricercatore che trascorre un lungo periodo di tempo (la formulazione malinowskiana prevede almeno un anno) fra le persone che intende studiare, padroneggiandone la lingua. Immergendosi nelle loro attività quotidiane, mira a ottenere una comprensione il più completa possibile dei loro significati culturali e delle strutture sociali. Basandosi sulla presunta neutralità dell’osservatore partecipante, Malinowski intende cogliere il punto di vista del nativo tramite l’esperienza empatica immediata e soggettiva dell’etnografo. Ciò che importa, per Malinowski, è partecipare agli eventi mentre essi hanno luogo perché il nativo, in queste condizioni, non ha il tempo di adattare la propria risposta alle aspettative del ricercatore. Allo stesso modo, dice sempre Malinowski, non bisogna domandare all’indigeno la teoria generale. Questo, infatti, non ha quasi mai una visione globale del fenomeno di cui sta parlando, ma solo una legata in via esclusiva alla sua esperienza diretta. Secondo Malinowski l’etnografo deve mettere da parte il proprio sapere per poter elaborare una descrizione oggettiva dei fenomeni, indipendentemente dalle prospettive teoriche. La rappresentazione così prodotta deve rispondere a criteri di oggettività, riproducibilità, verificabilità. Basata su un approccio positivistico, l’osservazione partecipante sostiene che ci siano fatti sociali da scoprire: lo sforzo principale deve essere quello di lasciare che i fatti parlino da soli. Al momento puramente descrittivo ed etnografico subentra successivamente quello teorico. Pertanto, il metodo si concentra nel ridurre al minimo la distorsione che può essere introdotta dalla figura dell’etnografo sul campo. A tal fine, Malinowski teorizzò la necessità di estesi periodi di lavoro sul campo in cui l’antropologo avrebbe dovuto immergersi nella vita quotidiana della popolazione

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studiata. Lo scopo della lunga permanenza consiste nel minimizzare il problema della reattività e l’effetto distorcente della partecipazione dell’antropologo, dissolvendo la presenza dell’osservatore fra gli osservati. Il fatto di prendere parte alla vita del villaggio azzera ogni possibilità di essere un elemento di disturbo nella vita tribale.

Va ricordato che gli indigeni, a forza di vedermi tutti i giorni, smisero di essere interessati, allarmati o anche imbarazzati dalla mia presenza, e io smisi di essere un elemento di disturbo nella vita tribale che dovevo studiare che la alterava per il fatto stesso di accostarvisi, come accade sempre con un nuovo arrivato in qualunque comunità di selvaggi. Infatti quando si resero conto che volevo ficcare il naso dappertutto, anche dove un indigeno ben educato non si sarebbe mai sognato di impicciarsi, essi finirono per considerarmi come parte e porzione della loro vita, un male necessario o una seccatura, mitigata da elargizioni di tabacco.

Ma la finzione che Malinowski costruisce attorno al proprio lavoro emerge già in Argonauti del Pacifico occidentale. Quelle che lui definisce “elargizioni di tabacco”, infatti, rendono conto di come, in realtà, egli sia sempre rimasto, almeno in parte, per i nativi il bianco intruso la cui presenza era tollerata solo in ragione di occasionali ricompense. Diversi anni dopo l’uscita diArgonauti, nel 1967, vengono infatti pubblicati iDiari di Malinowski. I diari rivelano un’immagine di Malinowski che si discosta da quella dell’individuo mimetico capace di adattarsi a qualunque situazione di estraneità culturale. Emerge, qui, il disagio dell’antropologo costretto a confrontarsi con i nativi (noia, entusiasmo, disgusto, compassione, intolleranza nei confronti degli indigeni). Nel 1914, quando Malinowski arrivò in Nuova Guinea, le relazioni fra gli amministratori coloniali europei e i nativi erano irrigidite in una struttura fortemente stratificata di dominio e di feroce sfruttamento del lavoro coatto. Le società melanesiane erano state culturalmente, socialmente e demograficamente distrutte dal contatto europeo. L’introduzione di un sistema di tassazione e le punizioni corporali erano gli strumenti utilizzati per costringere i nativi a lavorare.

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È difficile immaginare, in queste condizioni, una possibilità di parità sociale. Quando arrivò in Nuova Guinea, Malinowski trovò una difficile situazione per svolgere ricerche. Fra il mondo melanesiano e l’amministrazione coloniale britannica vi erano barriere di status, ricchezza e potere. I suoi diari rivelano che incontrò risposte negative e antagonistiche. Sia a Mailu che a Omarakana, Malinowski lamenta più volte il fatto che i nativi lo ostacolavano, ingannandolo, e spesso si mostravano introlleranti della sua presenza. Gli scritti di Malinowski rivelano una forte avversione nei confronti della struttura coloniale. I suoi diari esprimono diverse critiche nei confronti dei missionari e dei colonizzatori che, contrariamente alla tradizione che ci ha trasmesso un’immagine di romantico isolamento dell’antropologo, popolavano in maniera pregnante il campo di Malinowski. Inoltre, la partecipazione di Malinowski con i nativi era fortemente limitata. Dai diari sappiamo, per esempio, che non prese parte alle spedizioni kula. Negli Argonauti Malinowski stesso spiega che, quando gli fu concesso di partecipare, un cambiamento della direzione del vento costrinse le canoe a tornare indietro. Questo fatto fu imputato dai nativi alla sua sfortunata presenza e precluse la possibilità di partecipare al fenomeno che costituisce l’oggetto centrale della sua opera. L’opera di Malinowski, infatti, si basò fortemente su conversazioni con gli informatori compensate da doni di tabacco e interviste che considerava, tuttavia, un modo di lavorare inferiore. Quella che Malinowski registra con la sua opera è, pertanto, la necessità di fare un’antropologia di salvataggio, che consiste nel registrare, descrivere ed analizzare usi e costumi di centinaia di migliaia di gruppi etnici destinati a subire trasformazioni irreversibili a causa dell’opera colonialista e all’imperialismo delle grandi potenze occidentali. La società trobriandese, che Malinowski studia, è una società matrilineare. In quanto tale, questo tipo di società riconosce la parentela per via esclusivamente materna. La matrilinearità implica diritti, doveri e obblighi specifici. Un individuo appartiene al gruppo matrilineare e ha come punto di riferimento lo zio materno. Da questi, Ego eredita il diritto all’orto (da dove trae il sostentamento), i poteri magici, gli oggetti di valore e quelli del kula.

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Nella società trobriandese il padre biologico non è considerato tale, dal momento che questi individui non credono nell’esistenza di un rapporto diretto tra quello che è il seme maschile e la gravidanza femminile. La gravidanza, in particolare, non ha luogo perché un uomo e una donna compiono un atto sessuale, ma perché gli spiriti dei defunti che trovano nella vicina isola di Tuma una nuova casa hanno voglia di reincarnarsi. Di conseguenza questi spiriti si rimpiccioliscono e, ormai quasi invisibili, si mettono su una foglia o su un tronchetto d’albero e si fanno portare dalla corrente sino alle isole Trobriand. Qui gli spiriti entrano nei corpi delle donne e danno vita ai nuovi nati. Il padre, allora, non è il padre biologico ma solo il compagno della madre che, in quanto tale, contribuirà comunque all’educazione dei fanciulli.

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