Antropologia Giuridica- Amadou Keità e Luca Pes

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AMADOU KEITA’ E LUCA PES – UNIVERSITA’ DEL PIEMONTE ORIENTALE, ALESSANDRIA 2004

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PARTE I - ANTROPOLOGIA GIURIDICA, DIRITTO COMPARATO E

DIRITTI AFRICANI

1. Antropologia giuridica e diritto comparato: convergenze

Per comparare è necessaria una grande attenzione per il contesto in cui le regole

giuridiche operano. Ciò implica un interesse (del giurista!) per la realtà sociale e non soltanto per

le regole giuridiche astrattamente considerate. Il comparatista che si interessa al diritto africano ha

bisogno di strumenti (e di un metodo) che gli consentano di considerare la complessità e

l’articolazione della realtà sociale in cui il diritto vive. In questo ordine di idee si colloca la

necessaria apertura metodologica verso altre discipline che studiano il comportamento dell’uomo,

il funzionamento della società e delle sue istituzioni. In particolare l’antropologia si rivela lo

strumento più utile nello studio dei diritti africani.

Iniziamo col sottolineare che l’antropologia ha forti punti di contatto con il diritto

comparato; i principali potrebbero essere:

• STUDIO DELLA DIVERSITA’. L’antropologo studia l’uomo nella

sua diversità, cerca di tradurre la particolarità e l’originalità di un mondo nel sapere di un

altro mondo. Secondo la recente definizione di Etienne Le Roy l’antropologia è “la

transcription de l’altérité dans le registre scientifique” (Le Roy, 1999). L’attività del

comparatista non è dissimile. Comparare presuppone delle differenze (cioè la diversità

culturale, giuridica): non esisterebbe il diritto comparato se non esistessero delle differenze

da comparare. Il comparatista cerca di spiegare queste differenze “traducendo” un diritto

in linguaggio scientifico, e rendendolo così conoscibile e comprensibile. Possiamo

concludere che tanto nell’antropologia quanto nel diritto comparato la diversità è il

principale oggetto di studio.

• RIFLESSIVITA’ CRITICA. “L’antropologo viene di continuo rinviato

a se stesso dallo sguardo degli altri. Infatti l’antropologia non si occupa solo delle società

diverse dalle nostre. Essa è anche, come il riflusso di un’onda, un’autoanalisi

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dell’osservatore e della sua società” (ROULAND, 1988, p.3). Anche nel diritto

comparato l’analisi dell’altro rimanda continuamente ad una analisi critica della mentalità

e della cultura dell’osservatore. Entrambe sono discipline estremamente problematiche e

tormentate…ma non c’è nulla di cui preoccuparsi, non sono “scienze malate” (Radbruch,

1969), semplicemente non sono scienze esatte, ma scienze sociali.

• CONTESTO CULTURALE. L’antropologia del diritto mira alla

comprensione delle regole di comportamento delle società. Essa privilegia l’aspetto

“giuridico”, ma “decreta che l’insularità del diritto non è concepibile: quest’ultimo è solo

uno degli elementi di un sistema culturale e sociale proprio di ogni società, e diversamente

interpretato e realizzato da ognuno dei suoi sotto-gruppi” (ROULAND, 1988, p.5).

Secondo l’opinione di Rodolfo Sacco “I nuovi etnogiuristi [=gli antropologi del diritto]

sono antropologi a pieno titolo. Per essi, la formulazione della regola giuridica non è

tutto. Vorranno sapere quale sia il rapporto tra il fondo e lo spirito dei morti, quali siano

le preoccupazioni dei vivi collegate ai poteri e alle aspettative dei morti, quale aiuto riceva

la tale soluzione giuridica dal soprannaturale. Inoltre avranno piena coscienza della

correlazione fra la scienza giuridica da un lato e la semantica, l’economia, l’etologia, la

psicologia, l’epistemologia dall’altro” (SACCO, 1996, p.547).

• METODO FUNZIONALISTA. In antropologia il funzionalismo “nasce

dall’abbandono dei tentativi di spiegare le strutture sociali con la loro origine storica

[Maine] e nella loro particolarità geografica ed epocale [Montesquieu], a favore di un

tentativo di comprendere le funzioni che tali strutture svolgono a favore della società o di

parti di essa” [Malinowski] (Enciclopedia Garzanti di Filosofia). Anche il metodo del

diritto comparato, soprattutto dopo Konrad Zweigert, prescrive di comparare non le

norme o le declamazioni, ma le funzioni profonde degli istituti giuridici, cioè i bisogni

sociali che essi soddisfano: “il principio metodologico basilare di tutto il diritto comparato

[…] è quello della funzionalità. […] Tale impostazione si basa innanzitutto su di una

esperienza basilare per ogni comparatista e cioè che ogni società affida al proprio

diritto la soluzione di problemi analoghi, ma che i diversi sistemi giuridici risolvono

in modo differente, anche se, a volte, i risultati sono gli stessi. […] il problema sul

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quale bisogna indagare deve essere formulato senza impiegare il sistema concettuale

tipico del proprio sistema di diritto” (Zweigert-Kotz, 1984).

2. Diritto e antropologia nel XIX secolo: due discipline di un’unica scienza sociale

Nella storia dell’antropologia si fa spesso notare un dato abbastanza curioso

(ROULAND, 1988; NADER, 2003): coloro che sono comunemente considerati i “padri

fondatori” dell’antropologia attuale (Maine, Bachofen, Morgan), erano quasi tutti giuristi o

avevano fatto studi giuridici. Questo dato è un interessante punto di partenza per riflettere sui

rapporti tra le due discipline.

Tra diritto e antropologia si può evidenziare un altro punto di contatto, più generale di

quelli sopra individuati, e cioè una certa contiguità di campo d’indagine (il campo delle scienze

sociali). Per dirla con le parole di Laura Nader (2003, p.26): ”diversamente da quanto accade

per il diritto e l’astronomia, o per l’antropologia e gli investimenti bancari, i percorsi di

giuristi e antropologi spesso si incrociano: in biblioteca, sul campo, durante le conferenze,

alle manifestazioni politiche. I giuristi sono stati fra i primi ad avvicinarsi all’etnologia e

all’etnografia del diritto, nel tentativo di offrire la risposta ai problemi della soggettività

culturale e ai quesiti sulla comparabilità giuridica. Entrambe le discipline si misurano con

il tema del potere nel rapporto tra subordinati e sovraordinati, e ciò avviene soprattutto in

antropologia, dove “tradizione” e “diritto” sono stati comunemente utilizzati come

strumenti di colonizzazione. Coincidono , in particolare, la portata e l’obbiettivo del nostro

lavoro. Per dirla con il giurista americano Oliver Wendell Holmes ‘Il diritto è un grande

documento antropologico’”.

Sir Henry Maine (UK), Lewis Henry Morgan (USA), Johan Bachofen (Svizzero) furono

illustri giuristi che si servirono del metodo storico e di quello comparatistico per creare una vera e

propria scienza sociale. Sono ovunque citati come padri dell’antropologia, che ai loro tempi

(fine XIX sec.) era una disciplina in formazione, mentre il diritto vantava già una storia

plurisecolare. Come ricorda ancora la Nader (2003, p.28): “si trattava di individui che

utilizzavano la loro ricerca quale mezzo per comprendere i mutamenti politici del loro

tempo e l’impatto globale dell’industrializzazione. Erano tempi in cui i più affermati

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antropologi erano giuristi, che utilizzavano i paradigmi di pensiero storici ed evoluzionisti

per spiegare il proprio mondo”.

3. Nel XX secolo: il distacco tra le due discipline, le sue cause e le ragioni per

riconsiderarlo

Nella seconda metà del XIX sec. dunque il diritto e l’antropologia parevano avanzare di

pari passo, almeno nella prospettiva dell’indagine storica e comparatistica. Ma nel corso del XX

sec. non si può non constatare un profondo distacco tra le due discipline. Quali sono le ragioni di

questo allontanamento? Cercando di elencarle e riflettendoci sopra noteremo che molte di esse

possono essere imputate ai giuristi (o, più correttamente, ad un cambiamento nel loro modo di

vedere il diritto in rapporto alla società).

DIRITTO E STATO. La prima può essere la crescente identificazione di diritto e Stato,

tipica del positivismo giuridico del ‘900. Lo Stato ha fornito al giurista occidentale, per buona

parte del XX secolo, un comodo alibi (dietro il quale possono a volte nascondersi ignoranza e

pregiudizio). Questa identificazione tra diritto e stato ha certamente allontanato il giurista

dall’interesse per le società senza stato, considerate barbare, selvagge, primitive e studiate

dagli antropologi.

Una riconsiderazione di questo punto che ha allontanato i giuristi dagli antropologi è

necessaria, infatti molti giuristi, oggi, riservano parole severe alla concezione statuale del diritto e

non individuano più nello Stato la fonte unica e suprema del diritto.

ORDINE. Un’altra ragione può essere il conservatorismo a cui tendono quasi

naturalmente molti giuristi. Questo fattore ha origini sociologiche, storiche e culturali, che possono

essere spiegate. Comparando tradizioni giuridiche molto lontane tra loro (macrocomparazione)

risulta che il giurista occidentale ha una sottostante, fortissima idea di ordine e tende quasi

naturalmente ad identificare quest’ultimo con regole generali, norme esplicite e chiare, alle quali

conseguano sanzioni con le stesse caratteristiche.

Al pari della statualità del diritto, anche questa particolare concezione dell’ordine (che non

prende in considerazione fenomeni come l’esistenza di ordini spontanei o di una pluralità di ordini)

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è un tratto tipico della mentalità giuridica positivista. Gli antropologi ed i sociologi ci insegnano

(anche con riguardo alle nostre società) che esistono delle regolarità e dei modelli di

comportamento che garantiscono l’ordine sociale -in modo del tutto analogo al nostro diritto- pur

non essendo chiaramente formalizzabili in regole generali ed astratte dotate di sanzioni

automatiche.

AUTONOMIA DEL DIRITTO. Una terza ragione, legata alla precedente, può essere la c.d.

autonomia del diritto. Si tratta dell’ immagine che il giurista occidentale ha di sé e delle regole

giuridiche, un’immagine largamente condizionata dalla storia della Western Legal Tradition, la

quale -come si studia nel corso di sistemi giuridici comparati- si è formata nella radicale

separazione tra le regole giuridiche e quelle della morale, della politica e della religione. Il diritto è

autonomo e neutro rispetto a queste altre sfere della vita sociale ed è un fenomeno

prevalentemente tecnico, riservato ad un ristretto numero di specialisti rigorosamente formati

nello stesso modo (le più alte manifestazioni di questo modo di pensare sono raggiunte

nell’Inghilterra del XVI sec. con la figura di Sir Edward Coke e sul continente con la rivoluzione

francese).

Sebbene questa separazione e la conseguente “autonomia del diritto” sia un dato

notevole, che effettivamente caratterizza la WLT rispetto ad altre tradizioni giuridiche, si tratta in

larga misura di una declamazione ideale, anch’essa enfatizzata nel corso del ‘900 (culmina infatti

con il concettualismo dalla dogmatica tedesca). I sociologi e gli antropologi di oggi ci insegnano

che l’ordine sociale non può essere garantito dal solo sistema formale delle norme giuridiche

secondo il declamato meccanismo: norma generale à violazione della norma à ricorso al potere

statale à applicazione dalla sanzione. In qualsiasi società occorrono degli ideali, delle credenze,

delle superstizioni, delle usanze, delle pratiche sociali diffuse, che, pur non essendo strettamente

coercitive, orientano comunque il comportamento degli individui, influenzando anche il loro modo

di ricorrere agli strumenti giuridici formali (noi non ricorriamo all’avvocato per ogni torto subito,

né egli ricorre ad un procedimento giudiziario per ogni questione che tratta: il diritto non è

costituito solo da regole e procedure formali, ed anche se lo fosse queste ultime non sarebbero

mai nettamente distinguibili da quelle informali).

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METODO. Un’ultima ragione di distacco può essere una differenza, in gran parte ancora

persistente, nel metodo di lavoro. Questa volta se ne può attribuirne la causa agli antropologi.

Fino all’opera di Bronislaw Malinowski gli antropologi (allora etnologi), come gli storici ed i

giuristi, lavoravano in biblioteca ragionando sui dati etnografici (v. Post, Bonfante, Mazzarella).

Essi non consideravano la possibilità di recarsi sul campo e raccogliere informazioni di prima

mano (compito svolto dagli assistenti che essi inviavano in tutto il mondo perché elaborassero

resoconti etnografici). Da quando gli antropologi si recano sul campo emerge una notevole

differenza di metodo rispetto ai giuristi; ed anche lo stile dei loro discorsi diventa molto meno

comprensibile reciprocamente: i giuristi troveranno gli antropologi incapaci di generalizzare, legati

a descrizioni concrete di piccole società troppo diverse dalle nostre, viceversa gli antropologi

troveranno i giuristi troppo astratti e soprattutto li accuseranno di separare in modo artificioso le

regole giuridiche dalla altre regole di comportamento sociale e di occuparsi, come se avessero il

paraocchi, soltanto delle prime. Il divario aumenta ancora quando gli antropologi iniziano ad

interrogarsi su se stessi, cioè a porsi delle domande problematiche su come la loro presenza sul

campo e la loro mentalità (cioè la loro cultura occidentale) possa deformare la comprensione e

l’esposizione dei dati etnografici (i giuristi raggiungeranno un grado di raffinatezza equivalente

soltanto nella dimensione del diritto comparato).

Questo aspetto non è facile da riconsiderare. Anche se i metodi dell’antropologo e del

giurista tendono in certi ambiti ad avvicinarsi, gli stili dei loro scritti e le loro argomentazioni

restano notevolmente diversi. E’ vero che anche il giurista vive un’esperienza sul campo: la sua

presenza nelle corti come giudice o avvocato, la vita pratica e non dogmatica del diritto. Tuttavia

è evidente che esiste una certa schizofrenia tra diritto insegnato e praticato (da un punto di vista

sociologico sono quasi due circuiti professionali diversi, infatti il praticante avvocato generalmente

non è remunerato e durante la sua pratica impara cose molto diverse da quelle che ha studiato

all’università, dove ha appreso un metodo e un modo di ragionare piuttosto che il diritto

sostanziale). Per accorciare la distanza che ancora separa il giurista dall’antropologo su questo

punto potremmo suggerire che il vero “campo” del giurista non dovrebbe essere soltanto la prassi

dell’applicazione del diritto, ma anche ciò che sta a monte (lo studio delle dinamiche di potere e

dei rapporti di forza) e a valle (domande sociali, uso che gli utenti fanno del diritto) delle norme.

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PARTE II - I SISTEMI GIURIDICI AFRICANI

Per trattare il diritto delle società africane tradizionali (I) ed i sistemi giuridici delle società

contemporanee (II) prenderemo come riferimento storico la colonizzazione, poiché per società

tradizionali si intendono quelle anteriori alla penetrazione coloniale.

I. Il diritto nelle società tradizionali africane

Si deve parlare di diritto africano al singolare o al plurale (diritti africani)? La questione è

significativa se pensiamo che esistono più di 50 paesi nel continente africano e che in ognuno di

essi sono presenti molteplici gruppi etnici. L’esistenza di più di 2000 diverse consuetudini in

Africa ha fatto dire a certi autori che esistono molti diritti africani, differenti e senza unità tra di

loro. In realtà questa opinione può essere giustificata soltanto se consideriamo il diritto come un

insieme di regole (differenti a seconda dei paesi e dei gruppi etnici). Ma nulla ci vieta di adottare

un’ottica più ampia: quando si parla di diritto africano al singolare, si vuole distinguere il diritto

della mera tecnica giuridica e considerarlo come il riflesso di un certo modo di vedere i rapporti

tra i membri di una società e tra questi ed il mondo (DURAND, 1983).

Non c’è dubbio che una visione del mondo e dei rapporti tra le persone sia comune a

tutte le società africane. Dunque queste ultime condividono alcune caratteristiche fondamentali,

come:

- Una visione del mondo basata su di una certa cosmogonia;

- grande importanza del diritto consuetudinario;

- debole separazione tra diritto pubblico e privato;

- tendenze comunitarie forti (importanza della famiglia estesa, restrizione dei diritti

dell’individuo il quale è protetto dal gruppo);

- assenza dell’appropriazione privata della terra;

Queste caratteristiche generali comuni alle società africane giustificano una certa unità del

diritto africano e ci permettono di parlarne al singolare.

1.1. I caratteri generali del diritto africano

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Il primo carattere del diritto africano -si può dire il carattere principale- è il suo scopo:

garantire l’armonia della società (tra le persone e tra il mondo visibile e invisibile).

Questo carattere generale del diritto determina gli altri caratteri che sono:

A) La sacralizzazione del diritto derivante dai legami tra il visibile e l’invisibile

Chi si limitasse ad enunciare le regole consuetudinarie, non prendendo prima coscienza

del ruolo notevole che giocano le concezioni metafisiche e religiose, si condannerebbe senz’altro a

non capirle i sistemi giuridici africani.

Nella visione africana del mondo, il gruppo è costituito tanto dai viventi come dai morti.

Insieme formano una successione continua ed infinita di generazioni. Perciò, il diritto della

comunità è una eredità che riguarda al tempo stesso gli interessi dei viventi che costituiscono il

mondo visibile e quelli dei morti, delle divinità, degli spiriti che appartengono al mondo invisibile.

Coloro che vivono devono osservare rigorosamente il diritto, il cui rispetto è assicurato dagli

abitanti del mondo invisibile.

Il carattere sacro del diritto influisce naturalmente sul processo e sulla sanzione. In

particolare le forze sopranaturali intervengono nella ricerca della prova del delitto in diversi modi,

come la confessione, la testimonianza, la divinazione, il giuramento, l’ordalia.

B) La predominanza della comunità sull’individuo

Nella società tradizionale africana, l’individuo non è mai considerato in modo isolato, ma

sempre come membro di una comunità. In qualità di membro della comunità, egli ha dei doveri e

delle responsabilità nei confronti di questa. Nello stesso tempo l’appartenenza alla comunità gli

conferisce dei vantaggi e la protezione del gruppo (CHRÉTIEN-VERNICOS, 2002).

In funzione del posto che l’individuo occupa nella società, il diritto gli riconosce un certo

statuto, che varia in funzione dell’età (bambino, adulto, anziano), del sesso (uomo, donna), della

nascita e delle funzioni svolte (nobili, persone di casta), ecc…

In un tale contesto, il diritto non è uniforme. Ed è piuttosto inegualitario. Ma questa

disuguaglianza è accettata, poiché la società è concepita come il risultato della differenziazione e

come un aggregato dei gruppi.

2. Le fonti del diritto tradizionale africano

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La fonte principale del diritto tradizionale africano è la consuetudine, alla quale, in alcune

società, possono aggiungersi altre fonti.

A) La consuetudine

Una definizione della consuetudine come quella che si utilizza correntemente nel diritto

delle società occidentali, non permette di capire la vera natura di questa fonte del diritto nelle

società africane. In effetti, come abbiamo sottolineato più sopra, la concezione del mondo per cui

i morti e le forze sopranaturali intervengono nel campo del giuridico, fa sì che la consuetudine non

possa svincolarsi dalla volontà divina e da quella degli antenati.

Anche nel caso, in cui si considera che la consuetudine sia stata stabilita dai viventi, si

pensa che essa sia conforme ai bisogni della società e che tenga conto degli interessi delle altre

forze vitali che ne assicurano l’equilibrio.

B) I decreti e regolamenti delle autorità tradizionali

In alcune società le autorità tradizionali hanno (o avevano) il potere di prendere delle

decisioni considerate fonti di diritto. Per esempio in Rwanda, il re (Mwami) poteva emanare dei

decreti (iteka). L’applicazione di regole di questo genere richiedeva certe procedure: la

divinazione per assicurarsi il favore degli antenati o degli dei, la consulenza degli anziani, ecc…

(NTAMPAKA, 2002).

II. I sistemi giuridici delle società africane contemporanee

L’Africa conosce oggi una diversità di situazioni per quanto riguarda i sistemi giuridici

adottati dagli stati (ereditati dalla colonizzazione: tradizione di civil law, common law, diritto

islamico).

Malgrado quella diversità, gli stati hanno in comune tra loro una realtà giuridica

caratterizzata dal pluralismo giuridico.

2.1. I cambiamenti recenti subiti dalle società africane

Già cominciata con le penetrazione islamica e cristiana, la rottura delle strutture dei gruppi

comunitari si è accentuata con l’insediamento degli amministratori coloniali.

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Alcuni cambiamenti relativamente recenti sul piano sociale e culturale (interdizione del

culto degli antenati, concezione del matrimonio come un’unione tra due individui), economico

(introduzione della proprietà privata sulla terra), politico (emergenza di una nuova élite distinta da

quella tradizionale) hanno avuto come risultato quello di liberare l’individuo dall’influenza del

gruppo e di scuotere i fondamenti del diritto tradizionale, contribuendo a determinare l’esistenza

di una pluralità di sistemi giuridici.

2.2. Il pluralismo giuridico nelle società africane

Quando si dice che il pluralismo giuridico è la caratteristica principale dei sistemi giuridici

africani, si intende sottolineare che, contrariamente alle società occidentali che conoscono una

certa unità istituzionale, quelle africane sono caratterizzate da una pluralità di norme che

provengono da fonti diverse e sono legittimate da diverse istituzioni.

Cosi, i sistemi giuridici dei paesi africani sono costituiti da un certo numero di sottosistemi

che sono:

A) Il diritto statale

Arrogandosi il titolo di (unico) diritto nazionale, il diritto statale rappresenta l’eredità della

colonizzazione e si fonda sul modello dell’ex-potenza colonizzatrice. Il suo carattere principale è

di essere un diritto unificatore. Tale è, per esempio, il caso dei diritti delle ex-colonie francesi che

hanno adottato codici in molteplici settori.

Il diritto statale, sebbene riconosca le norme consuetudinarie, considera quelle prodotte

dalle istituzioni statali alla sommità della gerarchia delle norme. Cosi, la consuetudine, come fonte

non scritta del diritto dovrebbe essere considerata soltanto secudum legem o praeter legem.

B) I diritti consuetudinari

Non ritorniamo sulle loro caratteristiche. Ricordiamo solo che hanno subito dei mutamenti

sia a causa degli sconvolgimenti gia evocati, sia per effetto della loro redazione.

C) Il diritto islamico

La penetrazione islamica in Africa inizia nel XI secolo in seguito alle invasioni ed alle

conversioni alle quali si accompagna l’adozione del diritto islamico (o più esattamente di alcune

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delle sue regole) da parte di molte comunità. Ciò è stato facilitato anche dall’esistenza di tipi di

organizzazione sociale simili (come quello comunitario).

Attualmente, la situazione è molto differenziata a seconda dei paesi e delle regioni. Così,

se il diritto islamico ha potuto influenzare il diritto delle persone e della famiglia in certi paesi come

il Mali, il Senegal e il Niger, esso ha dovuto adattarsi alle pratiche animiste degli individui e gruppi.

Tuttavia, in certe regioni, il sistema giuridico islamico ha potuto influenzare anche il diritto degli

affari civili e commerciali (nord del Mali, per esempio), ed anche quello penale (come in certi stati

federati della Nigeria).

D) I diritti popolari

Questa categoria è molto estesa ed il suo contenuto non è ancora bene conosciuto a

causa del suo carattere non ufficiale. “ I diritti popolari si formano tanto nelle zone urbane quanto

in quelle rurali. Distinti dal diritto dello stato, essi differiscono molto spesso anche dal diritto

tradizionale, in quanto sono profondamente innovativi (LE ROY citato da ROULAND, 1988)

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BIBLIOGRAFIA

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L.G.D.J., 1999

ROULAND, Norbert, Anthropologie juridique, Paris, PUF, 1988 trad. it a cura di R. Aluffi

Beck Peccoz, Antropologia giuridica, Giuffrè, 1992

GAMBARO, SACCO, Sistemi giuridici comparati, UTET, 1996

ZWEIGERT, KOTZ, Introduzione al diritto comparato, Giuffré, 1984

NADER, Laura, Le forze vive del diritto, Edizioni Scientifiche Italiane, 2003

DURAND, Bernard, Histoire comparative des institutions, Les nouvelles editions africaines,

1983

CHRETIEN-VERNICOS, Geneviève, Les droits originellement africains, www.dhdi.org,

2002

NTAMPAKA, Charles, Introduction aux systèmes juridiques africains, 2002, Facuté

internationale de droit comparé, dispense