storia antropologia

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STORIA DELL’ANTROPOLOGIA U. Fabietti

PARTE I FONDAZIONE

Cap. 1 Nascita dell’antropologia Secondo la Societè des observateurs de l’homme (fondata da Jauffret) l’antropologia si configura come sapere empirico e come disciplina teorica.

• 1.1 L’antropologia prima dell’antropologia I temi che dominavano la scena intellettuale e che circoscrivevano il terreno dello scontro ideologico erano la polemica sulla religione e sulla libertà. Lafitau fu colui che comparò la figura del selvaggio a quella degli antichi, per dimostrare che non esistevano popoli atei per natura.

• 1.2 La societè des observateurs de l’homme (1799) Quale era dunque quella nuova problematica al cui interno le diverse tradizioni sul selvaggio confluivano in una vera e propria disciplina? La nuova problematica etnologica pone al centro dell’osservazione l’uomo nella sua variabilità fisica, geografica, sociale, politica, economica, linguistica. L’uomo è cioè l’oggetto che si trova all’incrocio di una serie di indagini ispirate ad una intelligenza scientifica nuova al servizio di un potere politico nuovo. La società di osservazione dell’uomo si basava sui principi della differenza e del confronto.

• 1.3 Progresso o degenerazione dell’uomo? Secondo de Maistre e, in seguito, il vescovo Wathely, l’uomo non era progredito da uno stato di barbarie ad uno di civiltà. Il selvaggio era l’oggettivazione del peccato originale. Inizio delle teorie degenerazioniste. Le teorie dell’evoluzione in campo biologico (Darwin) sconvolsero la società del tempo, mentre l’idea di un’evoluzione culturale fu maggiormente accettata. Cap. 2 L’evoluzionismo vittoriano

• 2.1 Il quadro ideologico e teorico dominante L’immagine che scaturiva della società dell’800 era quella di una società in ascesa, pensabile grazie al concetto di progresso. Studio della società = sociologia. Con Spencer la società era una sorta di organismo vivente. Secondo Spencer ogni società era il risultato di un processo di sviluppo configurato come sforzo di adattamento continuo della sua popolazione ai suoi mezzi di sussistenza. Le società erano impegnate

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nelle risposte adattative adeguate alla sfida proveniente dall’ambiente naturale ed impegnate in una lotta che le opponeva per la supremazia.

• 2.2 La congiuntura scientifica John Lubbock: la vita dei primitivi abitanti dell’Europa poteva essere paragonata a quella dei “selvaggi” contemporanei. Filologia comparata: è una delle scienze che pone le basi dell’antropologia. L’antropologia rimane fortemente legata all’evoluzione (Darwin).

• 2.3 Cultura, religione e sopravvivenze: E.B.Tylor (1832-1917) Tylor: maggior rappresentante dell’evoluzionismo antropologico vittoriano. Fondatore della scienza della cultura. La civiltà è pensata come il risultato di un processo evolutivo. Il concetto di stadio culturale permetteva a Tylor di dare la definizione di cultura. La cultura, o civiltà, è quell’insieme complesso che include le conoscenze, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine che l’uomo acquisisce come membro di una società. La conoscenza è il principale elemento nello sviluppo della cultura. Animismo: credenza nelle anime e negli esseri spirituali in genere. Tutti gli oggetti hanno un’anima. L’anima si evolve in spirito. Tylor diede all’antropologia delle basi di tipo statistico.

• 2.4 L’efficacia sociale della religione: W. Robertson Smith (1846-1894) Robertson Smith fu uno dei fondatori dei moderni studi semitici ed il primo studioso con espliciti interessi di tipo sociologico nei riguardi della società e della cultura araba, compì ricognizioni dirette sul campo. I suoi interessi antropologici hanno radici nel clima intellettuale della borghesia liberal scozzese e nella rivalutazione dei fondamenti etici della religione, egli fu a favore della “critica storica” della Bibbia, che considerava l’A.T. come un documento storico da studiare come qualsiasi altro. Dal 1878 Robertson Smith cominciò a fare uno studio comparato delle istituzioni sociali e religiose dei popoli semitici. Robertson Smith era opposto a Tylor. Il dato primario di ogni esperienza religiosa sono i riti e le credenze collettivi a questi relative che i membri di una determinata società trovano già pronti sin dalla nascita. Egli privilegiò nettamente l’azione piuttosto che la rappresentazione ideale. Arrivò a sostenere l’omologia tra attività religiosa e rituale da un lato e identità politica e sociale dall’altro. Natura politica della religione e sua funzione di elemento coesivo della società. Robertson Smith sostenne l’idea della connessione della religione con la vita sociale attraverso lo studio del sacrificio tra i popoli semitici. Il sacrificio è un rituale di comunione tra la società ed una divinità che ne rappresenta l’unità stessa.

• 2.5 Linguaggio, pensiero, simbolo: l’antropologia filologica di Friedrich Max Müller (1823-1900)

Müller all’epoca fu sottovalutato. Il suo pensiero si basa sul nesso esistente tra pensiero e linguaggio e sulla natura del simbolismo religioso. Il progetto di Müller era quello di fondare un’antropologia su basi filologiche. Egli collegò la dimensione linguistica con quella culturale, contrastando così la posizione degli antropologi evoluzionisti, che facevano del linguaggio un semplice artificio comunicativo. Per Müller il linguaggio incorporava lo spirito di un popolo; il linguaggio era il fattore essenziale dell’evoluzione del pensiero umano (opposizione a Darwin). Egli, a suo tempo, fu male interpretato. Müller rifiutò qualunque tentativo di collegare razza e linguaggio. Come già accennato, egli si dedicò anche allo studio della religione e del mito. Egli riteneva che le credenze religiose fossero un tentativo di esprimere il senso di Infinito (cioè dell’esistenza di un mondo al di là di quello sensibile). Allo scopo di esprimere ciò che non era esprimibile, gli uomini ricorsero a simboli che rappresentavano il loro senso di Infinito (simbolismo religioso)

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Simboli come metafore. Cap. 3 Le origini dell’antropologia americana

• 3.1 L’America e il “problema indiano” Agli inizi la civiltà cercò di definirsi secondo quello che era il suo contrario, la condizione del selvaggio, cioè l’indiano. L’insediamento dell’indiano prima dell’uomo bianco rappresentava un ostacolo ideologico, oltre che un ostacolo fisico. Negli scritti dei padri fondatori ci sono due concezioni opposte di indiano: nel suo aspetto negativo, l’indiano è visto come un essere crudele, un rappresentante di uno stadio primitivo della storia umana e colui che occupa quelle terre che sarebbero sfruttate meglio dai bianchi; nel suo aspetto positivo, l’indiano è il buon selvaggio che giudica i mali della società o colui che, attraverso la sua innocenza, primitiva costituisce la prova della natura positiva del continente sul quale è in via di sviluppo una nuova società. L’indiano è il nemico, impedisce all’uomo bianco di espandersi in un territorio che sfrutterebbe meglio, ecco allora il senso della missione in nome della civiltà che porta alle guerre contro i pellerossa. Secondo Jefferson, se gli indiani si fossero convertiti all’agricoltura, avrebbero potuto far parte della nazione civile americana, non fu così. Secondo altri ideologi gli indiani erano il filtro per gli americani dai mali portati dall’Europa.

• 3.2 Morgan difensore degli indiani (1818-1883) Morgan fu colui che osservò i sistemi di parentela delle sei tribù che formavano la federazione degli irochesi; scoprì che non esistevano i cugini, erano tutti fratelli. Ognuna di queste tribù era divisa in gentes (clan), nelle quali tutti i membri si definivano fratelli. Morgan si occupò di stabilire l’effetto che questo sistema aveva prodotto sul piano dell’integrazione politica. Gli irochesi erano tribù fortemente democratiche ed egualitarie. L’idea di Morgan era che la democrazia americana avrebbe potuto dimostrare la propria superiorità su tutte le altre solo qualora fosse stata in grado di risolvere il problema indiano.

• 3.3 Morgan studioso della parentela Negli studi di Morgan apparse il problema dell’origine asiatica o autoctona dei pellirossa. Egli sosteneva infatti che gli indiani d’America fossero di origine asiatica e cercò di avvalere questa ipotesi trovando nelle tribù asiatiche un sistema di parentela simile a quello che aveva trovato in America.

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Mentre il linguaggio è soggetto a continue modifiche, il sistema di parentela subisce cambiamenti molto più lenti. Le ricerche di Morgan si svilupparono in due sensi: da un lato la raccolta di dati sui sistemi di parentela degli indiani d’America, dall’altro sui sistemi di parentela della Terra intera. Queste ricerche diedero ragione alle sue teorie e scoprì che gli ariani (semitici e uralici) avevano un sistema di parentela come i popoli civilizzati. Morgan fece una distinzione tra due grandi gruppi di sistemi di parentela corrispondenti a due modi radicalmente differenti di designare i parenti consanguinei: chiamò classificatori (i parenti consanguinei in linea collaterale non venivano distinti da quelli in linea diretta) e descrittivi (i parenti consanguinei in linea collaterale venivano distinti da quelli in linea diretta). Egli spiegò l’esistenza di due sistemi così diversi fra loro affermando che i sistemi classificatori erano di una società basata sui rapporti di parentela, mentre quelli descrittivi di una società basata sui rapporti di tipo politico. L’organizzazione fondata sulla parentela era caratteristico, per Morgan, del periodo delle barbarie, mentre quello fondato su rapporti politici è tipico della comparsa della civiltà.

• 3.4 Morgan teorico del progresso Il libro di Morgan Ancient Society divenne famoso perché fu al centro di aspre polemiche. Da un lato fu oggetto di speciali attenzioni da parte di Marx ed Engels che pensarono di potervi leggere la conferma indiretta della loro “concezione materialistica della storia”; dall’altro Ancient Society divenne il principale oggetto delle critiche che gli antropologi della scuola di Boas portarono all’evoluzionismo antropologico del quale il libro di Morgan fu l’espressione. La base sia dell’Ancient Society, che di Systems of Consanguinity and Affinity è l’evoluzionismo. Secondo Morgan, la storia dell’umanità aveva seguito più linee parallele di sviluppo, ognuna passante attraverso tappe successive. Le prime di queste grandi linee sono le tecniche di sussistenza. L’organizzazione sociale, i sistemi di parentela, la famiglia e le proprietà vennero raggruppate nella linea di sviluppo delle istituzioni domestiche. Le scoperte e le invenzioni si sono concatenate seguendo una connessione più o meno direttamente cumulativa; le istituzioni si sono invece venute tutte sviluppando da pochi germi primari di pensiero. L’evoluzione di queste due distinte linee di sviluppo poteva essere meglio compresa una volta che si fosse stabilito un certo numero di periodi etnici ciascuno dei quali fosse in grado di rappresentare una distinta condizione della società e distinguibile per un modo di vita ad esso peculiare. La successione dei periodi etnici era espressa dalla sequenza selvaggio-barbaro-civilizzato, con l’aggiunta di tre sottoperiodi (inferiore-intermedio-superiore). Questo meccanismo però fu criticato poiché il rischio era quello di ridurre tutto semplicemente ad una fase storica.

• 3.5 Dopo Morgan La riduzione, che Morgan fece, dell’indiano ad oggetto di scienza, dipendeva dal progetto evoluzionista che assegnava automaticamente ad ogni formazione sociale un posto nella scala dell’evoluzione. La tendenza a dissociare l’indiano come oggetto di scienza dall’indiano come oggetto di una violenza politica e culturale sarà destinata a rappresentare un elemento diffuso all’interno dell’antropologia americana durante gli anni immediatamente successivi alla scomparsa di Morgan. Gli etnologi americani che verranno dopo di lui avranno la tendenza a presentare i risultati delle loro inchieste condotte tra le popolazioni delle riserve come fondati su dati relativi a fenomeni culturali di tipo arcaico. Il 1888 fu l’anno in cui uscì la rivista ufficiale dell’associazione degli antropologi statunitensi, American Anthropologist. Nel 1888 le guerre indiane sono appena terminate, si assiste alla definitiva estensione del sistema delle riserve. La riserva doveva produrre l’immagine illusoria di una società indiana tenuta al riparo da ogni specie di contaminazione esterna. Nel caso degli antropologi, questa immagine illusoria di una società sottratta all’influenza della civiltà progredita dei bianchi si tradurrà a sua volta in una

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visione complessiva delle culture indiane come di culture primitive, aventi cioè caratteristiche di un’arcaicità pura.

PARTE II CONSOLIDAMENTO

Cap. 4 Lo sviluppo dell’antropologia americana: Boas e la sua scuola

• 4.1 Empirismo ed evoluzionismo Il campo dell’antropologia statunitense era quello della cultura indiana. L’empirismo etnologico può essere considerato come l’esito di una serie di operazioni ideologiche fatte dagli antropologi nei confronti della situazione di emarginazione delle società indiane. All’empirismo, che era fortemente descrittivo, si accompagnava una tendenza alla ricostruzione di sequenze storico-evolutive. L’antropologia americana appare caratterizzata da una predisposizione teorica che si inscrive nell’evoluzionismo preesistente, privato però del suo potenziale analitico. L’attitudine empirica d’altra parte accentuava la frattura tra ricerca e riflessione teorica la quale doveva generare la tendenza ad interpretare ora in senso determinista, ora in senso idealista, le culture umane.

• 4.2 Il “particolarismo storico” di Franz Boas (1858-1942) Con Boas l’antropologia acquisisce una fisionomia definita.

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In Limiti del metodo comparativo dell’antropologia Boas rompe con la tradizione antropologica allora dominante ed enuncia i principi del metodo storico. Boas negava valore alla storia sistematica uniforme all’evoluzione della cultura. Gli evoluzionisti, partendo dal presupposto che l’origine di fatti culturali simili fosse anch’essa simile dovuta alla sostanziale unità psichica del genere umano, erano portati a concludere che esiste un sistema superiore secondo il quale l’umanità si è sviluppata ovunque. Questo per Boas equivaleva a sostenere che gli stessi fenomeni etnologici sono sempre dovuti alle stesse cause. Boas riteneva che l’obiettivo fondamentale dell’etnologia rimanesse la conoscenza delle cause storiche che avevano determinato la forma dei tratti culturali propri di una certa popolazione. Questa conoscenza diveniva possibile solo qualora l’indagine fosse stata circoscritta ai costumi nella loro relazione alla cultura complessiva della tribù che li pratica in correlazione con la ricerca della loro distribuzione geografica tra le tribù limitrofe. Questo approccio avrebbe consentito di determinare con accuratezza le cause storiche che hanno portato alla formazione dei costumi in questione ed ai processi psicologici che operavano durante il loro sviluppo (principi fondamentali del particolarismo storico).

• 4.3 Superorganico e configurazioni culturali: Alfred L. Kroeber (1876-1960) Kroeber segue le orme del maestro Boas. In Spiegazioni mediante cause ed origini considera l’arte degli indiani Arapaho come il prodotto della fusione di simbolismo e decorazione per dimostrare che non si può stabilire quali dei due fattori rappresenti l’esito di una lenta trasformazione dell’altro. E’ impossibile determinare l’origine di un’arte di cui non si conosca la storia. Un’arte si può descrivere, si possono caratterizzarne le tendenze, percepirne le elaborazioni mentali dei soggetti artistici. La tendenza imitativa (simbolica) e quella decorativa esistono compenetrate l’una nell’altra e solo in quanto tali costituiscono “un’arte”. I fenomeni culturali possono essere colti nella loro complessa individualità soltanto nella misura in cui se ne conoscono le relazioni con il resto di quella grande unità che si chiama vita. Il principale bersaglio della critica di Boas era stato l’evoluzionismo postmorganico. Con Kroeber l’antievoluzionismo viene a coincidere esplicitamente con la critica alle teorie di Morgan. La distinzione operata da Morgan tra sistemi di tipo classificatorio e di tipo descrittivo è arbitraria, etnocentrica., in quanto i sistemi di parentela empirici rivelano le caratteristiche di entrambi i tipi. Morgan sosteneva che i sistemi di parentela esprimevano la natura dei rapporti e delle istituzioni sociali, mentre Kroeber sosteneva che essi esprimevano la psicologia, per mezzo del linguaggio, dei soggetti culturali. Kroeber e R. Lowie tentano di rendere autonomo lo spazio del discorso antropologico. Ciò avviene a livello di definizione della natura dell’oggetto antropologico, che coincide con la cultura intesa nell’accezione tyloriana, cioè quell’insieme delle pratiche possibili esercitate dagli individui in quanto membri di un gruppo sociale. L’ordine dei fenomeni culturali è di natura superorganica, irriducibile cioè all’ordine dei fenomeni biologici. La cultura non è determinata dall’operare storico dell’individuo.

• 4.4 L’interludio diffusionista: aree, tratti e culmini culturali Parallelamente a Boas, gli antropologi statunitensi andarono costituendo un indirizzo di ricerca che poneva al centro la distribuzione delle culture indiane, i loro contatti e i prestiti reciproci sul piano della cultura materiale, dell’organizzazione sociale e della vita religiosa. Centrale è stata la nozione di area culturale, con la quale veniva designata l’area geografica entro la quale sono presenti determinati tratti, ossia elementi culturali cui è possibile assegnare una specifica identità. Dietro la nozione di area culturale stava una particolare concezione della cultura in generale e delle singole culture particolari, considerate come somma complessiva dei loro tratti componenti. Il problema era quello di determinare la distribuzione dei tratti culturali.

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L’attività museografica ebbe un ruolo decisivo per gli sviluppi della teoria della distribuzione dei tratti culturali, su di essa influì il declino della prospettiva evoluzionista. Come possiamo spiegare la distribuzione dei tratti culturali tra gruppi che possiedono un nucleo comune di elementi tali da farci considerare questi gruppi come appartenenti alla stessa area culturale, cioè partecipi della stessa cultura? Wissler (1870-1947) intraprese un lavoro di classificazione delle culture indiane sulla base del criterio delle loro relazioni con l’ambiente. Elaborò una teoria delle aree culturali come ambiti di diffusione di tratti culturali simili a partire da un centro di irradiazione (centro culturale). Al centro dell’area culturale sarebbero presenti tutti i tratti che caratterizzano l’area, distribuiti irregolarmente nel resto della stessa diventando sempre più radi man mano che si allontana dal centro. Tramite la nozione di area cronologica Wissler tentò di assegnare una dimensione temporale al processo di diffusione dei tratti culturali a partire dal centro: quelli che si trovavano più lontani dal punto di diffusione iniziale dovevano essere i più antichi, e quindi appartenere al nucleo culturale originario. Gli antropologi considerarono le teorie di Wissler troppo statiche, così Kroeber sostituì al “centro culturale” la nozione di culmine culturale.

• 4.5 Modelli di culture: R. Benedict (1887-1948) Benedict (allieva di Boas) fece un’importante critica a Wissler. Fece rivelare come lo studio della diffusione dei tratti fosse il riflesso di una concezione della cultura umana come aggregato di elementi isolati. Ella fece osservare come il significato di un tratto potesse variare a seconda che fossero o meno presenti, all’interno di una stessa area, altri tratti. La cultura doveva consistere in qualcosa di più della somma delle sue singole parti. Esaminando la distribuzione della credenza nello spirito guardiano in relazione ad altri tratti, la Benedict concluse che tale credenza assumeva una sfumatura psicologicamente differente da una società all’altra. Ogni società esprime una propria modellizzazione. Un tratto poteva avere una distribuzione più o meno ampia, ma ciò che interessava era che tale tratto entrava a far parte di un modello specifico. La funzione del modello era di integrare i più svariati tratti, dopo averli selezionati.

• 4.6 Adolescenza e carattere: il tema della socializzazione in Margaret Mead (1901-1978) Mead mostrò quanto l’adolescenza in una società primitiva fosse una fase della vita di un individuo meno esposta a traumi di quanto non lo fosse nella società occidentale e nella società americana in particolare. All’origine di questa differenza stavano due fattori importanti: la mancanza di messaggi concorrenziali e produttivistici inviati dalla cultura all’individuo che ne fa parte, e la sostanziale monodimensionalità delle scelte sociali che si parano dinnanzi al giovane giunto all’età dell’adolescenza. A valori culturali diversi corrispondevano modelli educativi differenziati e come questi portino a personalità diverse. Coming age in Samoa fu il primo di una lunga serie di studi empirici ispirati al problema della socializzazione e della formazione della personalità nel contesto delle culture primitive. Cap. 5 L’etnologia classica francese da Durkheim a Mauss

• 5.1 Caratteristiche generali L’etnologia classica francese si basa soprattutto sugli scritti di Durkheim, Lèvy-Bruhl, Mauss ed i loro allievi.

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Secondo le loro produzioni, le società primitive sarebbero il luogo in cui diviene possibile reperire ed osservare i fenomeni sociali nella loro forma più semplice ed elementare. Questi autori credono nella possibilità dell’esistenza di una “scienza etnologica”. All’interno di una scienza delle società primitive si diffonde la necessità di dover pensare l’oggetto, il primitivo, come qualche cosa di radicalmente distinto e separato dalla realtà alla quale appartiene il soggetto osservante, l’etnologo.

• 5.2 Fatti sociali e rappresentazioni collettive: Durkheim e la sua scuola (1858-1917) La prospettiva di partenza nella quale Durkheim si pone è quella della ricerca dei fattori normativi dai quali dipendono la stabilità e la continuità del sociale, sono le stesse modalità concettuali in cui vengono pensati tali fenomeni a mostrare il diverso ruolo che essi occupano nella sociologia di Comte e in quella di Durkheim. Egli si interroga sugli elementi che assicurano alla società una sua stabilità e il suo perdurare nel tempo. Durkheim individua il principale di questi elementi nella coscienza collettiva che ne La divisione del lavoro sociale viene definita come l’insieme delle credenze e dei sentimenti comuni alla media dei membri di una stessa società. La coscienza collettiva è ciò che consente al sociologo francese di pensare tutte le società in uno spazio omogeneo e quindi di compararle negli elementi che le compongono, di stabilirne le differenze tracciandone l’evoluzione ed infine di gettare le basi di una morale scientifica che, sulla linea del progetto comtiano di un sociale ordinato, sia un punto di riferimento per il riformatore. L’intensità con cui la coscienza collettiva si manifesta nelle diverse società è in relazione con il tipo di solidarietà che si instaura tra i membri di ciascuna di esse. Les formes élémentaires de la vie religieuse. Il fenomeno religioso costituisce un fatto sociologicamente unitario: alcune religioni possono essere dette superiori alle altre nel senso che mettono in gioco funzioni mentali più elevate, ma se prendiamo in esame le religioni semplici ci accorgiamo che esse rispondono alle stesse necessità, assolvono la stessa funzione, dipendono dalle stesse cause e perciò possono manifestare la natura della vita religiosa e risolvere il problema che vogliamo trattare. Le religioni, quindi, sono tutte comparabili tra loro, in quanto hanno alcune rappresentazioni comuni. Ciò che viene venerato con il rito in realtà è la società stessa. I fatti sociali sono individuabili per il potere che hanno di esercitare una costrizione sugli individui, sono ciò che determina dall’esterno il comportamento dei membri di una società e ciò che attraverso il meccanismo dell’obbligazione e della norma impone agli individui l’adesione alle regole del corpo sociale di cui fanno parte.

• 5.2.1 La morte e la mano destra: R.Herts (1882-1915) Herts si occupa delle rappresentazioni collettive. Le sue opere isolano il fatto sociale in quanto tale dalla sua forma culturale. Egli si concentrò sul costume della seconda sepoltura nel saggio sulla rappresentazione collettiva della morte e sui rapporti esistenti tra la destra e i valori sociali nel lavoro sulla preminenza della mano destra. Nel primo caso analizzò i materiali provenienti dall’area del Borneo, nel secondo quelli all’interno della tradizione indoeuropea. Le credenze dei primitivi relative al fenomeno della morte non costituivano delle spiegazione e quindi l’origine del pensiero religioso, erano rappresentazioni collettive, processi mentali che erano condivisi da tutti i membri di una società ed investivano sulle relazioni tra il singolo e la comunità e sui valori fondamentali del gruppo sociale (v. Durkheim). La morte distrugge il rapporto dell’individuo con il gruppo di cui fa parte e dal quale trae la sua stessa identità sociale.

• 5.3 Il “prelogismo” di L. Lévy-Bruhl (1857-1939) Lévy-Bruhl fonda il suo pensiero sull’idea del sociale come entità provvista di una logica di funzionamento autonoma ed indipendente dalla comprensione che gli individui possono avere di essa. Esiste una morale oggettiva? Qualunque teoria che voglia fondare una morale oggettiva parte dall’assunto più o meno conscio secondo il quale esisterebbe una natura umana sempre e ovunque identica a se stessa.

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La teoria non può fondare alcuna morale, può solo studiarla. Studiare la morale significa cercare di comprendere il diverso significato che l’esperienza morale può assumere in contesti sociali differenti. Lévy-Bruhl si occupò anche dei “sistemi primitivi di pensiero”. Egli è in netto contrasto con l’evoluzionismo inglese. Le rappresentazioni collettive non sono sbagli di valutazione compiuti dalla mente immatura del primitivo nel tentativo di rintracciare le cause reali dei fenomeni (come sostenevano gli evoluzionisti). Le rappresentazioni collettive sono innanzitutto comuni ad un dato gruppo sociale e trasmissibili di generazione in generazione, si impongono agli individui attraverso la pratica sociale e costituiscono perciò modelli sociali di atteggiamento mentale. Egli considera questi fatti come già dati in un contesto già dato. L’universo simbolico del primitivo è omogeneo all’universo sociale in cui egli si muove. E’ il carattere emozionale dell’esperienza sociale a generare il tipo particolare delle rappresentazioni collettive che costituiscono questo universo simbolico. Il gruppo sociale primitivo vive un’esperienza mistica (rito). In questo contesto l’individuo non può sviluppare un giudizio indipendente da quello della società. Da ciò deriva l’impermeabilità dell’esperienza, come caratteristica dell’atteggiamento mentale del primitivo. La mentalità primitiva, oltre ad essere mistica, è in grado di coordinare tra loro le rappresentazioni mistiche (partecipazione), mentre in opposizione a quella del pensiero civilizzato, il tipo di logica dal quale dipende il tipo di partecipazione viene definita come pre-logica. Il concetto di pre-logica indica una differenza di tipo qualitativo tra l’attività mentale del primitivo e quella del civilizzato.

• 5.4 Il dono come fatto sociale “totale”: M. Mauss (1872-1950) Mauss: l’ordine concettuale delle classificazioni diviene intelligibile non tanto se considerato come l’effetto di un’attitudine spontanea della mente umana a raggruppare in categorie oggetti ed esseri animati che fanno parte del repertorio della sua esperienza, quanto piuttosto se considerato come socialmente determinato. La divisione in classi matrimoniali, tipica delle popolazioni australiane, è il sistema più semplice di organizzazione sociale esistente. Il sociale appare come l’elemento che proietta il proprio ordine sul sistema delle rappresentazioni. Per Durkheim e Mauss, ad una variazione nel sociale corrisponde una variazione omologa nell’ordine della classificazione. Mauss vedeva nella morfologia dei gruppi sociali qualche cosa che permetteva di spiegare i diversi aspetti della vita sociale. Ciò significa che Mauss, nel momento in cui privilegiava lo studio delle rappresentazioni che i membri di un gruppo avevano della loro vita sociale e del mondo circostante, tendeva a spostare l’analisi sullo studio di un aspetto del sociale ritenuto decisivo, e questo nella persuasione che ciò consentisse all’etnologo di gettare lo sguardo su una molteplicità di altri aspetti del sociale che quell’aspetto complicava dal punto di vista simbolico, cioè delle rappresentazioni collettive (fatto sociale totale). Il dono è un fatto sociale totale.

• 5.5 Un grande “marginale”: A. Van Gennep (1873-1957) Van Gennep fu ostacolato parecchio da Mauss. Ne I riti di passaggio, l’idea dominante consisteva nell’aver intuito che la vita degli individui è scandita, presso tutti i gruppi umani, da una serie di riti che sanzionano pubblicamente il passaggio da una condizione sociale ad un’altra. I “riti di passaggio” erano condotti per rendere più agevoli i cambiamenti di condizione senza traumi per la società e per gli individui interessati. Nelle società prescientifiche il mondo appare dicotomizzato nelle due categorie opposte di sacro e profano (v. Durkheim), dove il secondo termine prevale sul primo. Van Gennep distinse, all’interno di ogni rito di passaggio, tre fasi, ciascuna caratterizzata da un rituale specifico: separazione (riti preliminari), margine (riti liminari), e aggregazione (riti postliminari), conferendo grande importanza a quella centrale, poiché consente di ridurre l’aspetto

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traumatico del passaggio dalla fase iniziale di distacco da una determinata condizione alla fase della incorporazione in un’altra categoria sociale sotto forma di acquisizione di un nuovo status sociale. Van Gennep puntò sull’accentuazione dell’aspetto simbolico del rituale, precisando che erano le connessioni logiche tra le fasi del rito a dover interessare gli etnologi, mentre i contenuti, in realtà potevano essere considerati come dotati di senso solo contestualmente. Cap.6 L’antropologia britannica postvittoriana e la crisi dell’evoluzionismo

• 6.1 Haddon, Rivers, Marett e altri Westermarck (1862-1939) va ricordato per il ruolo fondamentale che ha avuto nell’affermazione della teoria secondo la quale la famiglia nucleare rappresenterebbe l’elemento originario e centrale allo stesso tempo della società umana. Tanto tra gli animali quanto presso l’uomo la continuità del rapporto tra partners sessuali è funzione dell’allevamento e della protezione della prole. La famiglia è intesa come il luogo nel quale si risolve il sociale. L’evoluzionismo resta come semplice punto di riferimento e non è più un quadro teorico forte in grado di organizzare la ricerca. Rivers (1864-1922) è l’ideatore del metodo genealogico. Il suo contributo maggiore all’antropologia è identificabile con lo studio della parentela, con l’elaborazione del metodo per la raccolta dei dati relativi a questo campo di indagine. Egli pubblicò un saggio in cui venivano indicate le procedure per raccogliere le genealogie dei popoli primitivi. Bisognava partire dai nomi di persona, si dovevano raccogliere i termini con i quali questi individui si chiamavano tra loro e poi i termini descrittivi. Haddon (1855-1940) va ricordato per aver contribuito allo sviluppo della ricerca su campo. Seligman (1873-1940) fu uno dei primi ricercatori sul campo della tradizione britannica. Marett (1866-1943) criticò fortemente le teorie di Frazer e Tylor sul pensiero primitivo. Egli mette in discussione i presupposti intellettualistici dell’antropologia evoluzionista, e precisamente l’idea di un passaggio rettilineo dal pensiero magico a quello religioso e da quest’ultimo a quello positivo. Per lui, l’animismo diventa animatismo.

• 6.2 Tra evoluzionismo e diffusionismo: Arthur Maurice Hocart (1883-1939) Hocart si pone la domanda di quale sia la genesi delle forme culturali in rapporto alla funzione che esse esplicano in relazione alla loro evoluzione e diffusione. Le forme culturali sono le istituzioni mediante le quali gli uomini organizzano la vita in società. Queste forme assolvono funzioni specifiche e si evolvono in relazione ai contesti culturali in cui di volta in volta esse emigrano. Tutte le funzioni di governo esistono presso i popoli senza governo, eppure l’apparato di governo esiste, e pronto a servire se necessario. E’ un’organizzazione di tipo rituale, storicamente anteriore a tutte le forme istituzionalizzate di governo. Tale organizzazione trae origine diretta dal rituale poiché essa è legata ad una ricerca della vita. La ricerca della vita costituisce il vero scopo dell’esistenza sociale ed il rituale si costituisce come forma culturale in risposta a questa domanda. Vita è una nozione che resta legata alla prosperità ed all’abbondanza della comunità. Il rito è una tecnica di conservazione della vita. L’imitazione, l’identificazione, l’equivalenza sono le categorie del rito grazie alle quali i partecipanti manipolano materialmente e simbolicamente gli elementi che costituiscono il campo rituale. La richiesta di vita che stava all’origine del rituale produce una specializzazione ed una distribuzione di ruoli all’interno del complesso rituale. Il rito si trasforma in governo.

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Cap. 7 Il funzionalismo di Bronislaw Malinowski

• 7.1 La magia delle isole: l’impresa etnografica di Malinowski (1884-1942) Con Malinowski ha inizio l’antropologia moderna. Fuga dalla civiltà. Malinowski è oggetto di una specie di culto reso all’antropologia sul campo come ad un personaggio dotato di particolari quanto misteriose qualità che lo metterebbero in grado di penetrare, e quindi di cogliere dall’interno, la vita delle popolazioni che egli studia. Malinowski risultava dalle pagine dei suoi diari qualcosa di diverso dall’individuo mimetico e capace di adattarsi a qualunque situazione di estraneità culturale. Non era mite e controllato. Argonauts of the Western Pacific è uno dei più grandi libri di Malinowski. I risultati di ogni ricerca scientifica in ogni ramo del sapere devono essere presentati in modo assolutamente imparziale e sincero. L’antropologo non appare nemmeno più come colui che, abbandonata la civiltà, si immerge nella vita di popolazioni primitive allo stato puro. Il disagio epistemologico dell’antropologia è quello di doversi confrontare anche con le interpretazioni dei nativi, e la sensazione di non poterle trattare come inerti materiali in attesa di rivivere solo grazie alle inferenze dell’autore.

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• 7.2 Reciprocità e natura dell’economia primitiva L’oggetto di Argonauti era costituito da una forma di attività di scambio praticata da un certo numero di comunità stanziate su isole anche molto lontane tra loro, ma comunque comprese entro un’area geografica ristretta. Questa forma di scambio, o kula nella lingua delle Trobriand, era un fenomeno economico di notevole importanza teorica, che occupava il posto più importante nella vita tribale di questi indigeni che vivevano all’interno del suo circuito. Il kula risultava essere un fenomeno complesso. Tra le isole abitate dai gruppi partecipanti allo scambio, isole che per comodità possiamo immaginare disposte su una circonferenza, circolavano due tipi di oggetti: collane di conchiglie rosse (soulava), e braccialetti di conchiglie bianche (mwali). Le prime circolavano solo in senso orario, i secondi solo in senso contrario. Gli oggetti appartenenti ad una categoria potevano essere scambiati solo con oggetti dell’altra categoria. Gli oggetti circolavano in continuazione, restando nelle mani del loro possessore solo periodo limitato di tempo. Gli oggetti, che non uscivano mai dal circuito di scambio, venivano barattati nel corso di visite. Tanto i preparativi per la partenza, quanto le trattative e gli scambi, avvenivano secondo rituali precisi accompagnati da complesse pratiche magiche. I kula erano accompagnati da un commercio di tipo profano mediante il quale venivano scambiati oggetti in possesso di un valore d’uso (gimwali). In tutti i lavori di Malinowski agisce l’idea di funzionalità dell’elemento singolo al mantenimento di un grado di coerenza complessiva. Questa caratteristica di funzione che un qualunque elemento della cultura assolve nell’ambito della totalità, tenderà a rivestirsi progressivamente di un significato di tipo biologico facendo slittare infine la teoria malinowskiana della cultura verso un orizzonte di comprensione dei fenomeni socioculturali estremamente riduttivo. Il selvaggio era in grado di esprimere un tipo di comportamento dotato di una sua coerenza e ragionevolezza. Il kula è uno scambio di tipo cerimoniale, ma Malinowski gli attribuisce un significato economico. Gli scambi kula misero in evidenza una rete di rapporti tra individui fondati sul “principio di reciprocità”. Questo principio si ritrova in Crime and Custom in Savane Society, in cui c’è l’idea di un principio di reciprocità immanente alla vita sociale delle popolazioni primitive. Il diritto non è contenuto in uno speciale sistema di decreti, ma è il risultato specifico della configurazione di obblighi che rende impossibile all’indigeno di sottrarsi alla propria responsabilità senza subirne in futuro le conseguenze.

• 7.3 La polemica anti-diffusionista Il diffusionismo avversato da Malinowski era il cosiddetto iperdiffusionismo professato da Eliott, Smith e Perry. Essi sostenevano che le culture di cui i popoli della terra sono oggi in possesso non sono altro che i resti degenerati di quella originaria.

• 7.4 Origine e funzione della famiglia Malinowski vede la famiglia come cellula universale ed originaria della società. Il fatto che la famiglia sia il quadro al cui interno avviene la riproduzione biologica comporta degli effetti immediati sul piano della cultura generale. La famiglia è il mezzo di trasmissione della cultura, il luogo della riproduzione biologica e culturale allo stesso tempo. L’incesto è così bandito in quanto disgregherebbe la famiglia e i rapporti che si instaurano all’interno di essa, quei rapporti che servono da modello a tutte le altre strutture sociali. La famiglia e la proibizione dell’incesto hanno la priorità nei confronti del sociale e dell’esogamia.

• 7.5 Teoria della cultura e del cambiamento culturale Le pratiche sociali primitive che non sono fondate su alcun tipo di norma codificata traggono la loro efficacia dal fatto di dipendere dal principio di reciprocità che regola i rapporti tra individui e gruppi. L’immagine della cultura e della società che Malinowski giungeva in tal modo a produrre era quella di

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un insieme di pratiche e di comportamenti tendenti al mantenimento dell’equilibrio interno alla società e al funzionamento di essa (funzionalismo sociologico). Con Una teoria scientifica della cultura, del ’44, la situazione cambia. Il funzionalismo sociologico si riconferma alla luce di una formulazione che tende a spostarne il significato verso una dimensione biologizzante che tende ad impoverire il primo significato. Lo sguardo si sposta dalla società alla cultura. Accanto ad una concezione tyloriana della cultura arricchita di una dimensione funzionalista, coesiste l’immagine della cultura come apparato strumentale, come una serie di risposte da parte dell’uomo alle necessità imposte dall’adattamento all’ambiente esterno. L’analisi della cultura tende così a risolversi in una formulazione dei bisogni fondamentali in grado di sollecitare determinate risposte culturali suscettibili di creare a loro volta altri bisogni. Questi bisogni secondari coincidono con l’esigenza di organizzare e mantenere la coesione del sociale e della cultura, mentre una terza serie di fenomeni culturali coincidenti con ciò che chiameremmo il livello del simbolico, viene definita da Malinowski come la modificazione dell’organismo originario, la quale permette la trasformazione di un impulso fisiologico in valore culturale: si tratta del linguaggio, della tradizione orale e scritta, di alcuni concetti dogmatici dominanti. La dimensione simbolica della cultura veniva così messa in ombra a vantaggio di una concezione puramente strumentale di essa. Magic, Science and Religion, Malinowski sostiene che la magia sia una sorta di risposta emotiva ad una situazione non controllabile tecnicamente. L’elemento essenziale del sociale, l’istituzione, non presenta caratteristiche molto diverse dalla magia. L’istituzione è un complesso organico di elementi interrelati. A Malinowski è stato spesso rimproverato di non aver mai tenuto conto della dimensione storica. Le dinamiche del cambiamento culturale è un libro che costituisce uno dei primi studi di antropologia applicata. Cap. 8 Il funzionalismo strutturale di Radcliffe-Brown

• 8.1 Struttura, funzione e processo: la scienza naturale della società (1881-1955)

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Radcliffe-Brown ha il merito di aver delineato il quadro concettuale entro il quale si muoveranno i maggiori esponenti dell’antropologia britannica del secondo dopoguerra. Gli isolani delle Andamane: accanto alla ricostruzione storica coesiste il tentativo di definire la funzione sociale dei fenomeni mitico-religiosi. Egli si pone il problema di definire l’oggetto dell’antropologia a partire dalla formulazione di un metodo che possa giustificare una tale definizione in modo rigoroso dal punto di vista concettuale. Radcliffe-Brown circoscrive il campo dell’antropologia allo studio dei fenomeni sociali in quanto tali, fenomeni non riducibili ad un altro ordine di realtà. In questo modo si delinea l’oggetto dell’antropologia, grazie anche alla definizione del metodo, che consiste nell’identificazione dei meccanismi che operano all’interno delle società consentendone il funzionamento; nella loro comparazione e nella loro generalizzazione a livello di leggi. Il metodo dell’antropologia designa immediatamente l’oggetto stesso di essa: le leggi che determinano il funzionamento e le trasformazioni delle società. La definizione del metodo e dell’oggetto dell’antropologia consente una duplice distinzione: tra l’antropologia stessa e l’etnologia, che ha per oggetto lo studio della cultura materiale dei popoli e per metodo la ricostruzione storica; e tra l’antropologia evoluzionista e la moderna antropologia sociale. Radcliffe-Brown respinge il progetto evoluzionista consistente nella ricostruzione delle fasi di sviluppo delle forme sociali ed istituzionali. Le condizioni di scientificità erano rappresentate dalla possibilità di fondare l’antropologia sociale su un metodo di tipo induttivo caratteristico delle scienze naturali. L’antropologia sociale è una scienza naturale che indaga con metodi pertinenti all’oggetto fenomeni appartenenti ad uno specifico ordine di realtà ed irriducibili ad altri di differente natura. Radcliffe-Brown propone uno studio analitico e più ristretto dei rapporti sociali la cui trama complessiva costituisce la struttura sociale. Il concetto di struttura sociale dipende da quelli di funzione e di processo sociale. La struttura sociale è la trama dei rapporti realmente esistenti tra gli individui; la funzione sociale è il rapporto tra la struttura ed il processo vitale; il processo sociale è quella moltitudine di azioni degli esseri umani, ed in particolare della loro interazione ed azione congiunta. Questi tre concetti costituiscono tre modalità diverse tra loro di definire la realtà della vita sociale e ciascuno di essi rappresenta la condizione per poter pensare il sociale come insieme coordinato di attività, quindi come organizzazione. Il problema che Radcliffe-Brown pone è quello della conoscenza dei meccanismi che mantengono in vita una trama di rapporti sociali, cioè di come si conservano i sistemi strutturali.

• 8.2 Lo studio dei sistemi di parentela Radcliffe-Brown mette in rapporto diretto terminologia di parentela e comportamento sociale senza tuttavia assegnare le caratteristiche di causa e di effetto all’uno o all’altro dei due. Egli non riproduce la problematica degli evoluzionisti, ma afferma semplicemente l’unità funzionale di terminologie e di comportamento sociale. Un altro principio strutturale messo in evidenza da Radcliffe-Brown è quello dell’unità di linguaggio. Un individuo può chiamare tutti gli individui appartenenti alla linea di discendenza di uno dei genitori con lo stesso nome. Mentre Malinowski si può considerare un riduzionista psicologico, nel suo modo di concepire la famiglia, Radcliffe-Brown è un riduzionista sociologico, per lui le istituzioni della famiglia e del matrimonio, le terminologie e la parentela nel suo complesso erano solo parti di una struttura globale. Diversa era anche la natura dei funzionalismi di Malinowski e di Radcliffe-Brown. Per il primo il termine funzione sta soprattutto ad indicare il ruolo svolto da un’istituzione nel soddisfacimento di un bisogno primario o secondario. Per il secondo, funzione indica il ruolo che un’istituzione svolge nel processo di coesione della società.

• 8.3 La teoria del totemismo

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Per Durkheim la solidarietà tra i membri del clan, o forma animale del sociale, poteva essere ottenuta mediante l’identificazione del clan con un segno, un simbolo. Radcliffe-Brown accettava l’interpretazione funzionale che Durkheim dava del totemismo, e cioè l’effetto integrativo prodotto dal simbolo totemico a livello dei gruppi che in esso si identificavano; ma respingeva l’ipotesi dell’adozione del simbolismo animale e vegetale data da Durkheim considerandola il risultato di un modo sbagliato di stabilire la relazione rituale tra l’uomo e il totem. L’atteggiamento rituale degli individui di un gruppo nei confronti del loro totem veniva invece considerato da Radcliffe-Brown come un caso particolare di una più generale attitudine rituale da parte dell’uomo nei confronti delle specie animali e vegetali. L’atteggiamento rituale nei confronti di animali e di piante precedeva l’utilizzazione di questo tipo di simbologia poiché questo tipo di atteggiamento esisteva anche là dove il totemismo non era presente. I totem divengono simbolo del sociale perché sono già fatti oggetto di una attenzione rituale. In seguito Radcliffe-Brown si occupò tanto del perché certe specie e non altre vengano scelte allo scopo di rappresentare simbolicamente determinate relazioni tra gruppi, quanto del problema relativo al fatto che si ritrovino spesso abbinate certe specie che, pur presentando caratteristiche naturali simili, sono pensate tuttavia dagli uomini come opposte. Il mondo della vita animale è rappresentato in termini di relazioni sociali simili a quelle della società umana e le coppie d’opposizione costituite dagli animali-simbolo sono espressione dell’applicazione di un determinato principio strutturale.Questo principio, consistente nell’unione di termini opposti, è quello che fa sì che il totemismo esprima, secondo modalità particolari, una serie di rapporti opposti o correlati i quali potrebbero venire espressi in altro modo, cioè mediante altri contenuti.

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PARTE III DALL’ITALIA

Cap. 9 Demologia ed etnologia

• 9.1 Demologia Costantino Nigra (1828-1907) sviluppò l’idea secondo la quale l’Italia si presenta, dal punto di vista della produzione lirica popolare, divisa in due aree: una superiore (legata all’elemento narrativo storico-romanzesco) ed una inferiore (legata ad un elemento narrativo lirico-amoroso). L’effettivo iniziatore degli studi demologici nel nostro paese fu però Giuseppe Pitré (1841-1916) che, grazie ad una lunga opera di raccolta e di registrazione etnografica, edificò la monumentale Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane. Giuseppe Cocchiara (1904-1965) riprese gli studi di Marett. Le tradizioni popolari sono sempre per il popolo storia contemporanea in cui le medesime sopravvivenze si stemperano in continue rielaborazioni che possono anche avere una loro particolare organicità. Nessuna tradizione avrebbe senso e valore se essa non fosse pienamente accolta dal popolo e con significati che possono cambiare da un’epoca all’altra.

• 9.2 Etnologia La tradizione etnologica italiana fu sempre subalterna agli studi demologici. Questo perché essa non nacque propriamente sul campo, ma piuttosto come filiazione della tradizione storico-giuridica orientata verso lo studio del mondo classico ed in special modo di quello romano-latino. Nomi importanti nel settore furono quelli di Lamberto Loria (1855-1913), Raffaele Pettazzoni (1883-1859), Carlo Conti-Rossini ed Enrico Cerulli. Il fascismo rappresentò uno dei tanti elementi frenanti dell’etnologia.

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Cap. 10 Dallo storicismo all’etnocentrismo critico: Ernesto de Martino

• 10.1 La matrice filosofica: Croce (1866-1952) L’anomalia di Ernesto de Martino (1908-1965) non è certo data dalle sue radici filosofiche. Col libro Naturalismo e storicismo nell’etnologia, de Martino operava, da posizioni crociane, una critica al “naturalismo”, con questo termine egli indicava l’atteggiamento teorico caratterizzante tanto la scuola francese di ispirazione durkheimiana, tanto quella britannica identificabile con i funzionalismi di Malinowski e di Radcliffe-Brown. Ciò che de Martino rimproverava era un atteggiamento di riduzione dei fenomeni culturali tipici dei popoli primitivi ad oggetti suscettibili di essere indagati con metodi incapaci di restituirci la dimensione storica di quelle esperienze. La polemica di de Martino si incentra su quella che per lui è la carenza di questi indirizzi: l’incapacità di pensare l’esperienza storica dei primitivi all’interno di una filosofia dello spirito che sia in grado di restituircene il senso. Come Benedetto Croce, egli pensa che non sia possibile ridurre l’esperienza umana ad un’indagine di tipo scientifico, in quanto le scienze sono, per Croce, delle pseudo-conoscenze destinate ad avere semplici applicazioni pratiche ed utilitaristiche, mentre la vera conoscenza è solo ed esclusivamente storica; dove per storia si intende storia dello spirito, conquista di livelli di teoricità e di autoconsapevolezza sempre maggiori. Lo storicismo crociano produceva così un doppio effetto sulle scienze dell’uomo: da un lato negava loro qualunque pretesa di vera scientificità, in quanto non aspiravano ad una conoscenza storicizzata; dall’altro negava ai primitivi qualunque ruolo attivo nella storia (dello spirito) e quindi interdiceva qualunque seria predisposizione conoscitiva nei loro confronti. Nel suo libro, de Martino seguiva Croce nella sua metodologia, ma se ne allontanava per il progetto che si proponeva di attuare, concentrando la propria attenzione di studioso sull’universo culturale delle plebi del Mezzogiorno d’Italia.

• 10.2 Storicismo e filosofia della cultura: de Martino e Cantoni A Remo Cantoni (1912-1973), de Martino rimprovera una specie di “olimpico distacco” da ciò che invece, per lui, rappresentava un problema coinvolgente, ossia il rapporto con l’oggetto del conoscere. Cantoni proveniva dalla scuola milanese di Banfi, allora l’unica alternativa al pensiero crociano. Che Naturalismo e Storicismo rappresentasse un tentativo di allargare l’orizzonte della filosofia idealista su un campo come quello della ricerca etnologica era una cosa che Cantoni aveva colto e sulla quale si era espresso favorevolmente. De Martino cercava però di promuovere questa apertura senza mettere in discussione la struttura stessa della filosofia crociana. L’ortodossia crociana vedeva il mondo primitivo come prevalenza della fantasia nell’ambito della teoreticità e della mera vitalità nell’ambito della prassi. Era pertanto giustificata la reazione di Cantoni che vedeva riprodursi, nel libro di de Martino, una problematica di carattere idealistico tendente a concepire come oggettivazione dello spirito quelle che per lui erano invece esperienze ed universi culturali dotati di una loro autonomia e coerenza specifiche.

• 10.3 Il problema del magismo e il concetto di “presenza” Ne Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, de Martino si impegnava in una ricostruzione della struttura del mondo magico, la quale restava per lui l’unico sistema per recuperarlo alla storia. Recuperare alla storia il mondo magico significava ribaltare la prospettiva crociana. La religione non trova spazio nelle categorie crociane, essendo concepita dal filosofo idealista come una sorta di semplice aggregazione di istanze appartenenti al dominio della speculazione, della morale e della poesia (arte). Quest’ultimo punto può aiutarci a capire lo sforzo di de Martino mirante a svincolare lo studio del mondo magico da una filosofia fondata su una ripartizione categoriale dello spirito tale per cui all’interno di essa non potevano trovare spazio, e quindi divenire oggetto di vera conoscenza, atteggiamenti mentali quali il magismo.

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Per de Martino i poteri magici sono reali nel senso che essi sono effettivi ed efficaci. La realtà magica ruota attorno al processo di costituzione della presenza (molto simile all’esserci heideggeriano). La presenza è quindi uno stato etico che l’uomo si sforza di costituire per sfuggire all’idea di non-esserci; è un moto naturale dell’uomo che, nel momento stesso in cui compie lo sforzo di essere nel mondo, fonda la cultura De Martino descrive l’emergenza progressiva del magismo come primo tentativo coerente, da parte dell’uomo, di affermare la propria presenza nel mondo. Lo stregone è la figura centrale di questo “dramma storico” che è l’affermarsi dell’universo magico come spazio di pensiero e di azione in cui l’uomo realizza la propria volontà di esserci di fronte al rischio di non esserci. A differenza degli evoluzionisti, de Martino non pensa alla magia come ad una forma imperfetta di razionalità, al contrario, la magia è una lotta ingaggiata dagli esseri umani per esistere. Il travaglio della conquista della presenza non si risolve in un’acquisizione definitiva. La presenza è qualcosa che può essere sempre rimessa in discussione dalla crisi individuale o comunitaria. Si fa luce in Morte e pianto rituale il concetto di perdita della presenza.

• 10.4 Destorificazione, marxismo, etnocentrismo critico Nel saggio Intorno ad una storia del mondo popolare subalterno si registrava un forte avvicinamento alle tesi del marxismo di Gramsci. Il marxismo demartiniano non fu mai ne ortodosso ne teoretico, ma piuttosto etico con una forte propensione per l’aspetto umanistico dell’opera del giovane Marx a sua volta fortemente influenzato da Hegel e da Feuerbach. De Martino rese pensabile il tema dell’irruzione delle masse nella storia, tema che costituiva un altro grande elemento di rottura fra de Martino e Croce. In questo contesto assume rilevanza il concetto di destorificazione, attraverso il quale si intende indicare la tesi demartiniana per cui ogni forma di riscatto magico-religioso è da intendersi come alienazione da un sé angosciante e come processo che a sua volta consentirebbe di stare nella storia come se non ci si stesse. È l’antropologia delle masse che “non fanno storia” in senso crociano, ma che ora “irrompono nella storia”. In questa prospettiva il marxismo demartiniano, umanista ed etico, e l’antico tema della presenza si fondono per dar vita all’antropologia meridionalistica, scandita da saggi e da importanti ricerche sul campo. L’avvicinamento di de Martino allo studio dei fenomeni magico-religiosi tipici del Mezzogiorno d’Italia, e soprattutto la sua esperienza di ricerca in loco, aprirono una riflessione sul tema dei rapporti tra soggetto conoscente (l’etnologo) e l’oggetto della conoscenza, cioè le comunità e gli individui studiati. Il punto di incontro tra l’etnologo ed i soggetti della sua inchiesta è ciò che egli stesso definisce umanesimo etnografico. De Martino è consapevole che tale rapporto non è neutro e che l’etnologo tende ad interrogare la cultura aliena attraverso una griglia interpretativa costituita dai propri parametri e giudizi culturali cristallizzati in una serie di categorie etnocentriche. Il rischio è quello di presentare in maniera dogmatica e acritica l’esperienza culturale aliena. La soluzione sta allora in un continuo confronto fra la storia di cui questi comportamenti sono documento e la storia culturale occidentale che è sedimentata nelle categorie dell’etnografo. Questa duplice tematizzazione della storia propria e di quella aliena è condotta nel proposito di raggiungere quel fondo universalmente umano in cui il “proprio” e “l’alieno” sono sorpresi come due possibilità storiche di essere uomo. L’incontro etnografico costituisce l’occasione per il più radicale esame di coscienza che sia possibile all’uomo occidentale; un esame il cui esito media una riforma del sapere antropologico e delle sue categorie valutative, una verifica delle dimensioni umane oltre la consapevolezza che dell’essere uomo ha avuto l’occidente. L’etnocentrismo critico si configura come una continua ridiscussione delle proprie categorie analitiche, discussione che mira a produrre nell’etnologo la consapevolezza del fatto che egli sta

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osservando una cultura aliena attraverso delle categorie storicamente determinate di cui tuttavia egli non può fare a meno.

PARTE IV SUL CAMPO

Cap. 11 L’antropologia e la ricerca sul campo

• 11.1 La fase aurorale • 11.1.1 Il lavoro etnografico

Attraverso il lavoro sul terreno l’antropologia si arricchisce sempre di nuove informazioni e di stimoli per la riflessione teorica, a vantaggio sia di coloro che vanno “sul campo” personalmente, sia dei colleghi che beneficiano del loro lavoro. Il lavoro etnografico ha costituito il punto di partenza per rimettere in discussione le teorie precedenti, per ribaltare la prospettiva e per dimostrare ipotesi precedentemente considerate insostenibili. Il lavoro su campo oltre a rappresentare un rito di passaggio per chi da cultore di antropologia diventa antropologo, costituisce anche la linfa vitale dell’antropologia stessa. Il progressivo sviluppo dell’etnografia professionale è dipeso dall’esigenza di verificare personalmente i dati di base della ricerca teorica, dall’emergere di un’antropologia accademica e dalla possibilità di accedere in maniera sempre più rapida ed agevole alle regioni sulle quali i paesi coloniali imposero il loro dominio. Le tradizioni britannica, francese e americana sono le tre grandi tradizioni etnografiche.

• 11.1.2 Il periodo iniziale: etnografi e teorici La storia dell’etnologia scientifica, ovvero della raccolta dei dati condotta con metodo e attraverso lo studio sul campo delle culture aliene, poteva avere inizio virtualmente con la Societè des Observateurs de l’homme. De Gérando (1772-1842), membro della società, scrisse Considerazioni sui metodi da seguire nell’osservazione dei popoli selvaggi. Questo breve lavoro discuteva con grande lucidità alcuni problemi connessi con la ricerca etnologica. Tra questi, quello relativo alla metodologia dell’osservazione, fase considerata da De Gérando come inseparabile sia dall’interpretazione dei dati da parte di chi la compie, sia dalla comparazione, che l’autore dello scritto riteneva essere la caratteristica saliente di questo nuovo sapere dell’uomo. Con l’intento di promuovere lo studio dei costumi dei popoli extraeuropei dal punto di vista sia teorico, che etnografico, venne fondata a Londra, nel 1843, la Ethnological Society. L’obiettivo era quello di raccogliere dati che consentissero di operare comparazioni al fine di costruire le sequenze di sviluppo. Molte popolazioni erano in rapida via di estinzione.

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Il progetto di inviare questionari agli etnografi sul posto fu realizzato, una volta chiusa l’Ethnological Society nel 1871, dal Royal Anthropological Institute of Great Britain and Ireland. Fra coloro che interpretarono meglio il ruolo di compilazione dei questionari, ci furono A. W. Howitt e L. Fison, attivi in Australia nell’ultimo quarto dell’Ottocento. In quel periodo gli Aborigeni erano considerati con speciale riguardo da parte degli etnologi: innanzitutto erano considerati una popolazione in via di disintegrazione culturale e di regresso demografico; inoltre gli abitanti dell’Australia erano visti come i rappresentanti di uno stadio remoto della storia dell’umanità e la loro società, ritenuta semplice, era considerata come quella in cui diveniva possibile leggere la fase aurorale di molti fenomeni ed istituzioni sociali, primo fra tutti il totemismo. Questi due missionari pervennero ad una conoscenza approfondita di alcuni gruppi di aborigeni e della loro vita rituale, inducendoli a celebrare per loro cerimonie abbandonate dopo l’arrivo dei colonizzatori. Howitt e Fison erano gli informatori di Morgan, Tylor e Frazer. W. B. Spencer e F. J. Gillen erano gli informatori di Frazer, entrambi pervennero ad una conoscenza notevole della vita degli australiani.

• 11.2 La tradizione britannica • 11.2.1 Dalla “survey” alla monografia etnologica

Nel 1892 fu varato un piano per la realizzazione dell’Ethnological Survey of the United Kingdom, un progetto che mirava alla raccolta sistematica de dati di tipo fisico-antropologico, etnologico, archeologico e folklorico di tutte le Isole Britanniche. Personaggi di spicco di furono: Haddon, Rivers, Seligman e Radcliffe-Brown. L’etnografia di questo periodo riflette un cambiamento importante di prospettiva sul piano teorico. I lavori di Rivers sui Toda, di Seligman sui Vedda e sui popoli del Sudan, segnano il definitivo abbandono del metodo comparativo di ispirazione evoluzionista ed il passaggio a ricerche concentrate su una singola popolazione. Nasceva un nuovo genere di scrittura etnografica, quello della monografia dedicata ai molteplici aspetti della vita sociale e culturale del gruppo studiato. Queste monografie ebbero il merito di produrre conoscenze più puntuali e approfondite di quanto non avvenisse attraverso una raccolta di dati provenienti da contesti diversi al fine di convalidare o costruire ipotesi e sequenze evolutive.

• 11.2.2 La lezione di Malinowski Ciò che colpisce di Malinowski è il fatto che i suoi libri non abbiano quasi nulla di assertivo, non danno l’impressione di voler trasmettere delle informazioni definitive.

• 11.2.3 Dall’Oceania all’Africa Dopo un esordio prevalentemente oceanista, l’etnografia professionale britannica si volge all’Africa sub-sahariana., questo perché aumenta l’interesse degli antropologi britannici verso la tematica del cambiamento culturale, generato dall’impatto con società diverse, quelle africane e quella europea. L’interesse verso l’Africa è dovuto alla fondazione di due centri di ricerca: l’International African Institute ed il Rodhes-Livingstone Institute. L’antropologia africanista si è fatta strada grazie anche alle ricerche di Isaac Schapera (1947) sugli Tswana, di Audrey Richards (1939) sui Bemba, di Monica Hunter Wilson (1936) sui Nyakyusa, di Hilda Kuper (1947) sugli Swazi e di Max Gluckman (1955) sui Barotse. Nella monografia non si cercò più di presentare la molteplicità degli aspetti della vita di una popolazione; si cercò di elaborare una visione unitaria della società e della cultura studiata a partire da un nucleo tematico centrale: la parentela, l’organizzazione politica, l’economia, la religione, etc.

• 11.3 L’indirizzo americano • 11.3.1 Da Schoolcraft a Boas

L’antropologia americana nacque a partire dal lavoro degli etnografi sulle culture indiane. Schoolcraft (1793-1864) si dedicò alla raccolta di materiale etnografico con particolare riguardo per l’aspetto linguistico. La raccolta di liste di termini indigeni, oltre a quella dei testi mitici e poetici, fu

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soprattutto favorita dall’utilizzazione di informatori locali e dalla possibilità di contatto diretto tra studiosi e popolazioni aborigene. Nomi importanti furono quelli di: Alice Fletcher, James Mooney, John Henry Powell e Horatio Hale. Lo stile etnografico boasiano ebbe una straordinaria influenza sull’antropologia americana. Boas cominciava a concepire il lavoro sul campo come studio di singole culture o di aree culturali particolari. Boas nelle sue ricerche si avvalse di un collaboratore indiano, Gorge Hunt. L’insistenza con la quale Boas propugnò l’importanza dello studio del contesto particolare derivava anche dalla distinzione tra scienze della natura e scienze dello spirito. La sua etnografia, ricchissima per quanto riguarda il materiale linguistico e quello relativo alla cultura materiale, manca di quella prospettiva globale ispiratrice, nell’ambito della tradizione britannica, del genere monografico.

• 11.3.2 Margaret Mead e oltre In America l’antropologia era intesa come una scienza, in Gran Bretagna faceva parte del settore umanistico-letterario. La conseguenza fu che in America finì per restare confinata ad una semplice raccolta di dati. Margaret Mead rappresentò una rottura col lo stile del maestro Boas. La Mead sollevò il problema relativo al tipo di conoscenza linguistica che un antropologo deve possedere per condurre ricerche sul campo. Ella sosteneva che una volta acquisita una base elementare della lingua locale, bisognava fare affidamento sulle capacità di osservazione. Per la Mead il lavoro etnografico e gli scopi dell’antropologia consistevano nel cogliere la vita delle popolazioni.

• 11.4 L’etnografia francese • 11.4.1 Gli inizi

L’etnologia francese si caratterizzò per la sua dimensione intellettualistica e speculativa, a causa della stretta derivazione degli studi etnologici da quelli filosofici, e per lo scarso sviluppo di un’attività etnografica di tipo sistematico.

• 11.4.2 L’africanista e Marcel Griaule (1898-1956) Griaule fu un assertore della pratica etnografica come esperienza necessaria per la formazione di ogni etnologo. Egli rivendicò la priorità degli studi monografici su quelli comparativi, convinto che solo una conoscenza approfondita di ciascuna società potesse contribuire alla costruzione di una sapere etnologico completo del repertorio culturale dell’umanità di cui erano depositarie società in via rapida di scomparsa, ciò dipendeva da una concezione dell’umanità come costituita da popolazioni tra loro distinte, ognuna provvista di una cultura diversa da quella degli altri e tutto sommato impermeabile a quella di questi ultimi. Lo studio delle culture “altre” deve mirare a cogliere i sistemi cosmologici così come essi sono concepiti dai nativi. Lo studio dei sistemi cosmologici e di pensiero diverso da quello occidentale non deve avvenire secondo una lettura fondata sulle categorie dell’osservatore, ma in base al sistema di coerenza interna che tali sistemi possiedono, bisogna avere uno “sguardo dall’interno”.

• 11.4.3 Altre etnografie Nomi importanti: Maurice Leenhardt, Alfred Métraux, Michel Leiris, Arnold Van Gennep e Robert de Montagne.

• 11.5 L’etnografia delle società “complesse” Fin’ora ci siamo occupati delle società “semplici”, da adesso vedremo anche quelle complesse.

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PARTE V INCONTRI

Cap. 12 L’antropologia psicoanalitica

• 12.1 Totem e tabù: Sigmund Freud (1856-1939) L’incontro tra antropologia e psicoanalisi si deve al fatto che Sigmund Freud abbia letto Il ramo d’oro di Frazer. Da qui il testo fondante dell’antropologia psicoanalitica: Totem e Tabù.

• 12.1.1 L’origine del totemismo e dell’esogamia Totem e tabù doveva rappresentare un tentativo di risposta a due domande: che cos’è il totemismo?; Che relazione ha con l’esogamia? Freud considerava i primitivi come discendenti diretti e rappresentanti degli uomini che ci hanno preceduti. Nell’orda primitiva il padre detiene il controllo assoluto delle femmine, madri dei suoi figli. Lo scenario iniziale è costituito da una famiglia poliginia al cui interno si sviluppa il conflitto tra il padre e i figli che lo uccidono e lo divorano. Qui all’idea di un’umanità dedita al cannibalismo si affianca quella di una famiglia nucleare originaria di natura poligamica che contrasta con una situazione caratterizzata dalla promiscuità originaria, poco suscettibile di produrre quel conflitto edipico che Freud pone alla base della propria teoria. Dopo l’uccisione e il divoramento, i figli, colpiti da rimorso, avrebbero idealizzato la figura del padre e, come autopunizione, si sarebbero vietate le madri e le donne del gruppo, dando così origine, in un sol colpo, alle istituzioni del totemismo e dell’esogamia. L’autointerdizione nei confronti delle donne del gruppo (esogamia) e la proibizione di uccidere e di cibarsi dell’animale totemico, simbolo del gruppo e figura traslata del padre (totemismo) affondavano così le proprie radici nel sentimento di colpa dei figli e nella constatazione della totale inutilità dell’atto commesso; nessuno di loro infatti avrebbe mai potuto aspirare a prendere il posto del padre padrone delle femmine dell’orda.

• 12.1.2 Il concetto di “ambivalenza emotiva” Freud paragona i selvaggi ai nevrotici. Il pari rigore con cui i nevrotici ed i selvaggi osservano i tabù autoimposti da un lato e i tabù tribali dall’altro, induce Freud a considerare tale rigore come il prodotto di ciò che egli chiama ambivalenza.

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Nella nevrosi ossessiva il tabù nasce come proibizione imposta ad un individuo nell’infanzia. La proibizione però rimuove, non elimina la pulsione. Quest’ultima, ora relegata nell’inconscio, non cessa di essere attiva ma è contrastata dalla proibizione, introiettata culturalmente. Si crea così ciò che Freud chiama “fissazione psichica” da cui può derivare il comportamento nevrotico. I selvaggi osservano i tabù nei confronti di azioni, cose o persone che essi in realtà desiderebbero compiere o possedere.

• 12.1.3 Il “disagio” della cultura In Il disagio della civiltà, il senso di colpa era il frutto dell’atteggiamento ambivalente dell’eterna lotta tra Eros e la pulsione distruttiva o di morte. Finché gli uomini vivono in piccoli gruppi, il conflitto si esprime nel complesso d’Edipo, crea la coscienza e crea il senso di colpa originario. Man mano che la comunità si allarga lo stesso conflitto si perpetua in forme che dipendono dal passato, si rafforza e provoca un ulteriore aumento del senso di colpa. Questo processo si realizza grazie alla spinta erotica proveniente dalla società stessa.. questa spinta erotica interna è ciò che ordina alla civiltà di unire gli uomini in una massa collegata intimamente.

• 12.2 Complesso avuncolare o complesso edipico? Malinowski contro Freud-Jones Malinowski aveva preso in considerazione l’idea di verificare la validità di alcune proposizioni psicoanalitiche. Il fatto che la famiglia monogamica fosse il luogo concreto della formazione del complesso d’Edipo giustificava ampiamente il tentativo di verifica da parte di Malinowski, dal momento che anche presso i trobriandesi la famiglia era di tipo monogamico. Ma la famiglia trobriandese sembrava anche presentare una diversa modalità di strutturazione interna dei rapporti affettivi. Essa conferiva un valore socialmente prominente al principio della discendenza matrilineare, l’autorità sulla prole di una coppia veniva esercitata dal fratello della madre, dallo zio materno. Alle Trobriand il distacco del bambino dalla madre avveniva in tempi più lunghi rispetto all’Occidente, ed esso era meno traumatico. I trobriandesi avevano quello che Malinowski chiamava “complesso avuncolare”, caratterizzato dal desiderio di unirsi alla sorella e di uccidere lo zio. Malinowski contestava a Freud di essere troppo categorico nel dire che tutte le società avevano il complesso edipico.

• 12.2.1 Il fondamento edipico del complesso avuncolare: Ernest Jones (1881-1958) Jones scrisse Mother right and sexual ignorance of the savage, libro nel quale sostenne l’ignoranza dei selvaggi relativamente alla procreazione paterna. Il complesso avuncolare era da intendersi come un processo che serve a sbarazzare il fenomeno affettivo di un tipo di rapporto nel quale potrebbero annidarsi sgradevoli conseguenze, e metterlo così ad una distanza di sicurezza. Jones arrivò alla riaffermazione del carattere universale e primordiale del complesso di Edipo. Malinowski riconosceva la validità delle teorie freudiane, ma si rifiutava di farne un principio esplicativo di portata universale.

• 12.3 Uno jungiano marginale: John Layard (1891-1974) The stone men of Malekula è un libro di Layard, nel quale le ipotesi diffusioniste sull’origini delle istituzioni locali si intrecciano con la descrizione dei riti di iniziazione indigeni interpretati alla luce delle teorie jungiane. Il distacco di Jung dall’ortodossia freudiana si può ricondurre ai seguenti punti:

1. la critica nei confronti dell’interpretazione sessuale di tutti i simboli, dove per simbolo si intende la migliore indicazione o formulazione possibile di un dato fatto relativamente sconosciuto (appartenente all’inconscio) la cui esistenza è riconosciuta o considerata necessaria;

2. la concezione della libido come espressione a livello psichico dell’energia vitale (e non solo sessuale come in Freud);

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3. l’idea, contrariamente a Freud, secondo cui le nevrosi non sono solo il frutto di turbe psichiche infantili ma anche, e soprattutto, il risultato di una dialettica anche attuale tra l’individuo e il mondo. Particolare significato assume il concetto di processo di individuazione, inteso come una perenne trasformazione dell’essere umano nel continuo rapporto col proprio inconscio;

4. l’utilizzazione di concetti estranei all’apparato teorico freudiano, tra cui quelli di inconscio collettivo e di archetipo. Concetti questi, correlati in quanto l’archetipo è sempre collettivo e mai individuale; l’archetipo è una specie di precipitato storico della memoria collettiva, di cui abbiamo traccia nei temi mitologici i quali sono probabilmente comuni a tutte le razze e a tutte le epoche. L’archetipo si esprime attraverso un simbolo.

• 12.4 Ritorno a Freud : Géza Roheim (1891-1953) Roheim rappresenta la linea di continuità con le posizioni freudiane al riguardo del problema culturale. Egli cercò di interpretare la cultura come nevrosi collettiva. Roheim aveva cercato di dimostrare come le culture primitive potessero essere considerate elaborazioni di risposta ai pericoli generati da conflitti psichici non risolti tipici dell’età infantile. Centrale è il concetto di sublimazione, mediante il quale Freud aveva indicato il processo di produzione di oggetti culturali superiori come effetto di uno spostamento di energie istintuali. In Origine e funzione della cultura Roheim cerca di dimostrare che le attività produttive possono essere ricondotte a motivazioni radicate nell’inconscio. Per Roheim la sublimazione è anche una specie di compromesso che evita il raggiungimento della soddisfazione immediata dei propri desideri.

• 12.5 Il momento neo-freudiano: gli studi di “cultura e personalità”: Abram Kardiner, Ralph Linton e Cora Du Bois

La prospettiva in cui si insinua Kardiner (1891-1981) è definita come indirizzo di cultura e personalità. Egli entra in contatto anche con Linton (1893-1953) che elaborò delle teorie sulla formazione di ciò che egli chiamò personalità di base. Per Kardiner la personalità di base costituisce una risultante psicologica media all’interno di una determinata cultura, è una struttura, cioè un complesso di tratti tra loro correlati alla cui costituzione concorrono quelle che egli chiama istituzioni primarie ed istituzioni secondarie. La costituzione della personalità di base intesa come media determinata socialmente e culturalmente si trova pertanto alla confluenza dell’azione esercitata dai due tipi di istituzione. Cercando di stabilire una priorità fra le istituzione, emerse il concetto di proiezione. L’individuo elaborerebbe, nell’infanzia (istituzioni primarie), una particolare immagine delle figure parentali, le quali sono oggetto della sua affettività, e le proietterebbe successivamente, nel quadro delle istituzioni secondarie, nella sfera mitico-religiosa. L’esigenza di verificare in maniera empirica la validità delle tesi di Kardiner ed il carattere operativo del concetto di personalità di base spinsero Cora Du Bois ad intraprendere ricerche sul campo. La personalità di base con lei diventò personalità modale.

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Cap. 13 L’antropologia economica

• 13.1 Economia politica e comportamentismo: la prospettiva formalista L’antropologia economica appare come la possibilità di fondare il sapere del comportamento umano relativo alla sfera dell’economico, dove per economico si intende uno spazio omogeneo, presente in qualunque contesto sociale, all’interno del quale l’uomo mirerebbe sempre ad adeguare, tramite un calcolo, determinati mezzi a fini altrettanto determinati. Robbins reinterpreta la teoria economica marginalista alla luce del comportamentismo allora trionfante negli Stati Uniti, e fa della massimizzazione dell’utile il principio basilare di ogni comportamento. L’idea dell’economico come massimizzazione dell’utile finisce per diventare il modello esplicativo di ogni attività umana e il tentativo di ridurre l’intera vita sociale ad un complesso di atteggiamenti immaginati come caratteristici dell’imprenditore. Per i formalisti, l’economico si configurava non solo come l’ambito del comportamento umano all’interno del quale viene perseguita la ricerca dell’utile, ma tutti i fenomeni economici presentano un’omogeneità tale che le differenze tra essi possono venire considerate differenze di grado e non di natura (contrasto con le teorie di Malinowski e di Mauss).

• 13.2 La scuola “sostanzialista”: Polanyi e l’economico “imbricato” nel sociale (1886-1964) Con Polanyi l’antropologia economica diventava lo studio del modo in cui i processi economici si articolano all’interno di contesti e sistemi sociali funzionanti in base a logiche differenziali. L’economico veniva definito come un processo istituzionalizzato da interazioni tra l’uomo e il suo ambiente che ritraducono in un continuo apporto di mezzi materiali i quali consentono la soddisfazione dei suoi bisogni.. E’ un rapporto concreto tra l’uomo e l’ambiente esterno. Per i sostanzialista il termine economico indica il rapporto che l’uomo, per poter sopravvivere, intrattiene con la natura e con i propri simili; per i formalisti esso non è che un’insieme di assunti logici fondati su un’idea astratta di massimizzazione dell’utile.

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Cap. 14 L’antropologia marxista

• 14.1 Engels e Morgan Alla fine di Ancient Society, Morgan tratta lo sviluppo dell’idea di proprietà. Engels si preoccupò di inserire all’interno di una filosofia dialettica della scienza e della storia, i risultati della scienza positivistica. Secondo la tesi di Engels, la produzione e la riproduzione della vita immediata sono di “duplice specie”: produzione dei beni materiali, ma anche produzione di uomini, produttori di quei beni stessi.

• 14.2 Il marxismo e l’antropologia: dall’esclusione all’incontro La causa per cui il marxismo veniva respinto dall’antropologia ve ricercata nel materialismo dialettico. La dottrina ufficiale si è sempre alimentata di un’idea della storia come di fasi conducenti ineluttabilmente al socialismo, mentre quest’immagine rettilinea del processo storico fungeva a sua volta da supporto all’altra ideologia, quella dell’U.R.S.S. come “paese-guida”. E’ in conseguenza del perdurare di questa congiuntura teorico-accademica-politica che l’emergenza di un’antropologia in grado di utilizzare l’apparato concettuale del marxismo appare estremamente tarda in rapporto alla storia della disciplina. Solo nel momento in cui la riflessione marxista ha abbandonato la pretesa di interpretare in senso unilineare la successione dei modi storici di produzione, è stato possibile portare lo sguardo sulle singole formazioni sociali e tentare di analizzare le proprietà specifiche. Agli etnologi francesi l’eventuale applicazione delle teorie marxiste allo studio delle società primitive, appariva come un tentativo di far rientrare, in modo forzato, la storia di società di culture diverse da quelle occidentali, entro lo schema dello sviluppo storico dell’Europa elaborato da Marx ed Engels nell’Ideologia Tedesca. L’incontro del marxismo con l’antropologia si deve ad una rilettura dei testi di Marx. Anche l’espressione “situazione coloniale” di Balandier, riferita alle società tradizionali ed occidentali, fu causa dell’avvicinamento. Althusser riprese i testi di Marx.

• 14.3 Un innesto filosofico Ecco i punti chiave della rilettura del Capitale da parte di Althusser:

1. Diversamente dagli economisti classici, Marx inaugura un nuovo tipo di conoscenza della realtà sociale, fondato sull’analisi del processo produttivo.

2. Nel Capitale, Marx si preoccupa di ricostruire, da un punto di vista teorico, la logica di funzionamento del modo di produzione capitalistico, fondato su un’idea di “causalità strutturale”.

3. Un modo di produzione è la risultante dell’interrelazione strutturale tra gli elementi che la compongono. Quando si determina una contraddizione tra gli elementi del sistema, allora si produce il mutamento, il passaggio ad un’altra forma strutturale (= processo di mutazione storica).

4. Il modo di produzione si presenta non solo come un insieme di elementi interrelati, ma anche come un insieme di “strutture interrelate”.

5. Ciò che dà forma all’intero sistema è il dominio esercitato da una specifica struttura su tutte le altre. Tale struttura è quella delle relazioni di produzione che assume la forma del capitale-lavoro.

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Questa rilettura di Marx portava a definire la situazione coloniale come effetto dell’articolazione di modi precapitalistici di produzione, caratteristici delle società tradizionali, e il modo di produzione capitalistico dominante.

• 14.4 La costruzione dei modi di produzione La prima opera di sintesi teorica dell’antropologia marxista è quella di Terray, che è comunque una sintesi di quella di Meillassoux. Rey riprese le nozioni di contraddizione e di classe in contrapposizione alla tendenza del marxismo “strutturalista” di derivazione althusseriana rappresentata appunto da Terray. Per Rey c’erano più modi di produzione ed estese la nozione di contraddizione al terreno dello scontro di interessi tra gruppi sociali diversi, che egli chiamò classi, dove per classe Rey intendeva il gruppo degli anziani che dominavano sui giovani ed il gruppo femminile dominato da quello maschile. Rey analizza le società primitive e tradizionali come formazioni sociali “trasformate” dall’impatto dell’economia schiavista prima e di piantagione poi.

• 14.5 Dalla produzione alla riproduzione: la teoria del modo di produzione domestico Le critiche di Rey ad una concezione troppo statica dello studio delle formazioni sociali stimolò la nascita di studi aventi per oggetto l’articolazione “dinamica” delle società tradizionali periferiche con quella capitalista. Donne, granai e capitali di Meillasoux, è un tentativo di ricostruzione teorica del modo di produzione domestico. Meillasoux pone al centro della propria analisi la comunità domestica, il luogo della struttura sociale, al cui interno avviene la riproduzione della manodopera destinata, con l’affermarsi del modo di produzione capitalistico, a trasformarsi in forza lavoro. Ora il modo di produzione legnatico si presenta articolato con altri modi di produzione. Tali idee si occupano della struttura dei rapporti esistenti nel modo di produzione domestico prima della sua sottomissione. Punto di partenza del libro di Meillasoux è la riproduzione degli individui all’interno delle cellule produttive (il gruppo domestico), o la riproduzione dei produttori. Dove il controllo sul processo della riproduzione sociale non può avvenire col controllo dei mezzi di produzione, il controllo tende a fondarsi su quelli che sono i mezzi della riproduzione fisica: non solo i sementi per poter iniziare i nuovi cicli produttivi agricoli, ma anche le donne, le produttrici di produttori, cioè uomini la cui energia lavorativa si investirà, rendendola produttiva, nella terra. Fase ultima di questo processo è la distruzione della comunità domestica da parte del capitalismo, poiché porta allo sfruttamento del singolo.

• 14.6 La parentela: struttura o sovrastruttura? Godelier si pose il problema di conciliare economia e parentela, cioè di porre in altri termini il rapporto infrastruttura-sovrastruttura (il piano dell’esistenza materiale e quello dell’ideologia). Nelle società primitive è impossibile isolare dei rapporti di produzione autonomi e specifici, se non nel funzionalismo stesso dei rapporti di parentela. La parentela è al tempo stesso infrastruttura e sovrastruttura. Come aveva già sostenuto Meillasoux, nelle società caratterizzate dal modo di produzione domestico, i mezzi di produzione sono accessibili a tutti; di conseguenza ciò che è determinante non è il possesso di tali mezzi, ma il controllo dell’energia umana.

• 14.7 L’eredità dell’antropologia marxista L’antropologia marxista ha avuto un crollo a causa, se pur sbagliata, della sua componente marxista.

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PARTE VI SVILUPPI

Cap.15 Lo strutturalismo antropologico di Claude Lévi-Strauss

• 15.1 Reciprocità e scambio: Le strutture elementari della parentela

Il passaggio dalla natura alla cultura ed il concetto di reciprocità costituiscono lo spazio problematico ed il principio regolatore rispettivamente, di un fenomeno etnologico del quale nessuna spiegazione aveva, per Lévi-Strauss (1908), fino a quel momento colto l’essenza: la proibizione dell’incesto. In Le strutture elementari della parentela, Lévi-Strauss presenta, a partire dalla critica dei suoi predecessori, una teoria generale non solo della proibizione dell’incesto, ma anche dei sistemi di parentela e dello scambio matrimoniale. La proibizione dell’incesto è una regola che possiede il carattere dell’universalità, dove per universalità si intende il fatto che indipendentemente dalla categoria di parenti toccati di volta in volta dalla proibizione, la proibizione in quanto tale è sempre presente, in tutte le società. Appartenente alla sfera della cultura, in quanto regola, ma radicata allo stesso tempo nella natura, in quanto fenomeno universale, la proibizione dell’incesto segna il passaggio da un ordine all’altro, dalla natura alla cultura. Precludersi le donne del proprio gruppo significa renderle disponibili a quelli di un altro. L’esogamia si presenta allora come espressione allargata della proibizione dell’incesto, come il principio che consente ai gruppi umani di stabilire un rapporto di comunicazione fondato sul principio della reciprocità. L’incesto si presenta quindi come una pratica (esogamia) e come una regola (reciprocità), che permettono di definire i sistemi di parentela come sistemi di comunicazione e di scambio tra i gruppi (teoria generale o teoria strutturalista della parentela).

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Nel libro di Lévi-Strauss appare anche la teoria ristretta (o teoria dell’alleanza matrimoniale) che definisce l’inconscio strutturale. Fa parte della teoria ristretta l’analisi delle strutture elementari, cioè dei sistemi che prescrivono il matrimonio tra certe categorie di parenti distinguendo in maniera esplicita tra individui proibiti e congiunti possibili. Questi sistemi sono caratteristici delle società che formulano regole positive per ciò che riguarda la scelta del congiunto. Ad essi si oppongono le strutture complesse, cioè quei sistemi di parentela che si limitano a proibire determinati individui senza indicare a quale categoria o gruppo di individui debba appartenere il partner matrimoniale. Nei sistemi elementari la determinazione del coniuge avviene sul criterio esclusivo della parentela; nei sistemi complessi la scelta del coniuge sarebbe ispirata da motivi di altro ordine. La struttura più elementare di alleanza matrimoniale è data dal matrimonio di cugini incrociati. Alla base di tutto c’è il principio di reciprocità.

• 15.2 Inconscio strutturale, pensiero “selvaggio” e analisi dei miti La nozione di inconscio strutturale permette di pensare la relazione di reciprocità come già data nella proibizione dell’incesto. Con Lévi-Strauss si tratta di definire quelle leggi del pensiero che, sia nei primitivi, sia nei civilizzati, sono le stesse che si esprimono nella realtà fisica e in quella sociale. Questa affermazione evidenzia tre aspetti centrali della teoria del pensiero selvaggio:

1. assoluta identità a se stessa delle strutture mentali; 2. omologia pressoché totale tra l’ordine formale delle strutture mentali e di quelle sociali; 3. omogeneità strutturale dell’ordine del sociale e del naturale.

Il modello teorico della linguistica strutturale è un processo che passa dall’opposizione originaria natura/cultura. Il campo problematico del linguaggio è quello della comunicazione. In Antropologia strutturale e nei quattro volumi Mitologici, Lévi-Strauss analizza il funzionamento del pensiero mitico, la cui logica costituisce, con quella delle classificazioni totemiche, il fondamento dell’attività simbolica caratteristica del “pensiero selvaggio”. Il mito diventa l’altro grande campo di attività del pensiero selvaggio, quel settore della produzione simbolica che invece di avere per oggetto il mondo sensibile, a scopi pratici, ha per oggetto se stesso.

• 15.3 I concetti di struttura e di modello L’antropologia di Lévi-Strauss è nota come strutturalismo. Il concetto di struttura sociale non ha alcun referente empirico (come per Radcliffe-Brown). I suoi referenti sono modelli costruiti in base ad essa. Inizialmente i modelli possono essere consci o inconsci. I primi, o norme, perpetuano le credenze e non esplicano le ragioni nascoste; i secondi devono essere ancora scoperti e producono le strutture mentali.

• 15.4 Modelli meccanici e modelli statistici I modelli meccanici sono quelli i cui elementi costitutivi sono sulla stessa scala dei fenomeni che essi individuano. Sono i modelli che più si avvicinano a quello inconscio. Il modello meccanico coglie l’essenza della struttura. I modelli statistici sono quelli i cui elementi sono su scala diversa. Essi descrivono delle tendenze, delle medie.

• 15.5 Il viaggio e la memoria. Tristi Tropici Tristi Tropici è un viaggio alla riscoperta delle motivazioni che hanno portato l’autore alla sua professione, ma anche un libro denso di meditazioni sul senso della civiltà umana e sul futuro di essa. L’immagine delle società primitive è quella di società più vicine allo stato di natura di quanto non lo siano la società occidentale e quelle dell’area mediterranea e orientale.

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• 15.6 Dall’etnocidio al primitivismo: l’interpretazione “radicale” di Lévi- Strauss La rinascita dell’ideologia primitivistica si ebbe a causa della denuncia dello sterminio degli indiani sudamericani per la colonizzazione della foresta amazzonica. Col termine etnocidio si indica la distruzione di una cultura più debole da parte di una più forte. Gli antropologi dell’etnocidio si interrogarono sulla “natura” delle società primitive. Clastres (1934-1977), allievo di Lévi-Strauss, sostiene che il potere è coercizione, negazione della cultura, riemergenza della natura. Le società primitive sono società d’abbondanza, basta lavorare poco per vivere; la presenza di uno Stato metterebbe fine alla loro situazione idilliaca. Divergenza dal marxismo. Cap. 16 Il funzionalismo britannico: continuità e rotture

• 16.1 Dopo Radcliffe-Brown: Evans-Pritchard e Fortes • 16.1.1 Razionalità “primitiva”, comparativismo critico e antropologia come arte: Edward E.

Evans-Pritchard (1902-1973) Evans-Pritchard passò da posizioni struttural-funzionaliste ortodosse (Radcliffe-Brown) a una prospettiva che può essere considerata opposta a quella che vedeva nell’antropologia una scienza naturale delle società fondata sulla metodologia comparativa e sull’induzione. Scrisse Stregoneria, oracoli e magia tra gli Azarde.

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Le credenze degli Azarde date certe premesse derivano determinate conseguenze. Resta da chiedersi come mai uomini che generalmente si comportano in modo razionale, in alcuni momenti, possano fondare dei ragionamenti su premesse logiche sbagliate. Per capire ciò, bisogna entrare nella logica pratica del problema. Il problema della razionalità non può essere posto in termini dell’alternativa vero/falso, ma solo in termini di coerenza interna ad ogni sistema di credenze. Evans-Pritchard considerava l’antropologia più vicina alle scienze storiche. L’antropologia sociale è una specie di storiografia e quindi, in ultima analisi, di filosofia dell’arte. Essa studia le società più come sistemi morali che non come sistemi naturali e perciò va in cerca di modelli più che di leggi scientifiche ed interpreta piuttosto che spiegare. Evans-Pritchard, con l’uscita de Il metodo comparativo nell’antropologia sociale, critica Frozer, Tylor, Durkheim e Radcliffe-Brown. Evans-Pritchard avanza la proposta di un metodo comparativo che prenda in analisi circoscritte aree geografiche.

• 16.1.2 Parentela e struttura: Meyer Fortes (1906-1983) Evans-Pritchard e Fortes pubblicarono: Sistemi politici africani. Emergeva una cesura tra ciò che chiamavano società centralizzate (= regni) e società senza stato (= società di banda e società segmentarie). In Parentela e ordine sociale. L’eredità di L.H.Morgan, Fortes si discostava radicalmente da Radcliffe-Brown. Quest’ultimo aveva impostato lo studio della parentela come lo studio di una struttura. Per Fortes la parentela andava analizzata in un quadro più ampio. La parentela si presenta come un sistema modellato da fattori esterni quali rapporti tra i gruppi che entrano nel sistema dello scambio matrimoniale. Fortes, perciò, enfatizzerà l’aspetto giuridico-normativo del problema e quindi anche lo studio delle relazioni tra i gruppi. Per Fotes l’antropologia resta scienza induttiva e il suo scopo è sempre quello di pervenire alla formulazione di leggi generali relative alla società (differenza da Evans-Pritchard). Lo studio della struttura sociale si configura come il punto centrale della ricerca, ma perde il suo carattere di empiricità (differenza da Radcliffe-Brown). Fortes reintroduce la dimensione temporale nel concetto di struttura sociale. La struttura sociale non è data, ma prodotta dalla prospettiva teorica dell’osservatore.

• 16.2 Ethos, Eidos, Schismogenesi: Gregory Bateson (1904-1980) Bateson scrisse Noven, che era una cerimonia Iatmul, celebrata tutte le volte che un individuo compiva per la prima volta un’azione che corrispondeva ad un valore fondamentale della cultura locale. Egli ne analizzava le implicazioni psicologiche, economiche, politiche, magico-religiose ed etiche, rifiutando la prospettiva corrente che tendeva a considerare la società divisa in settori. Bateson ritiene insufficiente la prospettiva funzionalista, egli pone l’esigenza della comprensione del tono emotivo (Ethos) che sottostà ad ogni fenomeno culturale e la cui conoscenza consente di conoscere appieno una cultura. L’ethos è un ponte concettuale che collega struttura e cultura. In che modo avvenga questa congiuntura è comprensibile attraverso il concetto di Eidos. Bateson accetta l’idea di struttura come sistema di relazioni (Radcliffe-Brown), ma la distingue dalla struttura culturale, cioè dalle relazioni che intercorrono tra tutti gli elementi costitutivi di una cultura. Egli chiama premesse gli elementi costitutivi ella struttura culturale e queste sono degli assunti generalizzanti. La struttura culturale, fondata su premesse tra loro correlate, costituisce l’Eidos di una cultura. Ethos ed Eidos sono due facce del comportamento umano. Con il termine schismogenesi, Bateson indica un processo di differenziazione delle norme del comportamento individuale risultante da interazione cumulativa tra individui. La schismogenesi è la nuova via nello studio dei fenomeni psichici relativi alla sfera emotiva.

• 16.3 Funzionalismo e colonialismo Gli antropologi negli anni ’30-’40 spostarono l’attenzione sul rapporto di funzionalismo e colonialismo.

• 16.4 Gluckman e la “scuola di Manchester”

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• 16.4.1 Conflitto, ordine e rituale: Max Gluckman (1911-1975) Secondo Gluckman, l’equilibrio della struttura sociale e l’integrazione della società sono il prodotto di un aggiustamento di fenomeni contraddittori e conflittuali. I sistemi sociali sarebbero caratterizzati da una fondamentale instabilità che solo periodicamente viene sostituita da un fase di equilibrio, il quale scaturisce dal raggiungimento delle contraddizioni che si producono nel sistema stesso, sia per cause interne che esterne. Gluckman intraprese parecchie ricerche sul campo. Le dimensioni del conflitto e dell’ordine portarono Gluckman a definire analiticamente i concetti di competizione, lotta, conflitto e contraddizione, riferibili a specifici livelli di opposizione. Questo lo porterà lontano dall’ortodossia struttural-funzionale per avvicinarlo ad una teoria del cambiamento. Con competizione indicò le contrapposizioni individuali; con lotta i contrasti ricorrenti, con conflitto le opposizioni interne alla struttura che mettono in moto processi che producono alterazioni nel personale delle posizioni sociali, ma non nel modello delle posizioni; con contraddizione le relazioni tra principi e processi discrepanti interni alla struttura sociale che devono inevitabilmente condurre ad un cambiamento radicale del modello. Analizzò anche il rituale, in quanto fattore di espressione del conflitto che però contribuiva alla sua risoluzione, al ristabilimento dell’equilibrio sociale.

• 16.4.2 Analisi dinamica, processo e “dramma sociale”: Victor Turner (1920-1983) Ciò che allontanò definitivamente Gluckman da Radcliffe-Brown fu l’interesse (suo e dei suoi discepoli) nei confronti della società sudafricana. Egli fondò la cosiddetta “scuola di Manchester”. La scuola attuò il metodo di analisi dinamica dei casi. L’attenzione veniva spostata dalla norma all’azione. Turner era un allievo della scuola di Manchester e di Gluckman e scrisse Crisi e continuità in una società africana. Col dramma sociale Turner indicò quei conflitti che caratterizzavano la società ndembu e che descrisse in modo dinamico. Turner metteva in primo piano l’individuo ed i suoi comportamenti.

• 16.5 Critica dello struttural-funzionalismo: Edmund Leach (1910-1989) Leach non era un africanista, la sua ricerca si svolgeva nel Sud-Est asiatico e nell’Asia Meridionale. Leach è uno dei primi antropologi ad occuparsi delle società complesse.

• 16.5.1 Instabilità e cambiamento: i Curdi e i Kachin In Organizzazione sociale ed economica dei Curdi Rowanduz, Leach nota che gli individui non si conformano alle norme in tutto e per tutto. La norma si presta ad essere interpretata a seconda degli interessi contingenti ed è la reazione degli individui a tali interessi che determina il processo di cambiamento, fino a produrre un diverso assetto strutturale. L’antropologo deve costruire un modello della struttura come se questo fosse la struttura. Egli deve descrivere tutte le discrepanze tra il modello e la realtà, al fine di rendere conto delle deviazioni individuali della norma. Il libro più celebre di Leach è Sistemi politici birmani. Le comunità Kachin si discostano dal modello struttural-funzionalistico; sono gruppi con lingue e culture diverse a continuo contatto. La comunità Kachin subiva spesso “collassi strutturali”.

• 16.5.2 Norme statistiche e modelli Leach divide le regole giuridiche (riferite al livello in cui una società esprime il proprio ordine) e le norme statistiche (che fanno riferimento al comportamento concreto degli individui). Egli si occupa della costruzione del modello dell’osservatore. L’antropologo deve tener conto di tre livelli di comportamento:

1. il comportamento reale degli individui; 2. la media di tutti questi modelli di comportamento; 3. la descrizione che l’indigeno fa di se stesso e della sua società.

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• 16.6 Il tramonto del funzionalismo: metodo “generativo”, cambiamento e confine etnico in Fredrik Barth (1928)

Barth fu allievo di Leach. Egli parte dalla critica del modello omeostatico degli struttural-funzionalisti. Il comportamento degli individui non può essere ricondotto alla struttura, ma tra tale comportamento e la norma esiste sempre una discrepanza che non può essere interpretata come una semplice deviazione dalla regola. Barth introduce i concetti di scelta e di strategia, cui è legata anche la concezione del cambiamento socioculturale. Considerando la realtà come un processo, Barth connette il comportamento individuale (scelta e strategia) con le posizioni di status e modo (posizioni in riferimento alle quali un individuo è in grado di valutare il buon esito o meno del proprio comportamento). La problematica di fondo di Gruppi e confini etnici è frutto del rifiuto da considerare le comunità umane come entità chiuse e circoscritte. Per Barth il confine etnico è il mezzo col quale i membri di due gruppi definiscono l’ampiezza e la portata delle loro relazioni reciproche.

Cap. 17 Le molte strade dell’antropologia americana

• 17.1 La prospettiva generalizzante Gli anni ’20 erano dominati dall’antropologia di Boas.

• 17.1.1 Evoluzionismo e “scienza della cultura”: Lesile A. White (1900-1975) White è importante per la sua teoria dell’evoluzione culturale e per aver rivisitato l’opera di Morgan. White quindi difendeva l’evoluzionismo. Le teorie di White possono essere ordinate in tre tematiche principali:

1. la teoria dell’evoluzione;

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2. la prospettiva del determinismo culturale; 3. la concezione della cultura in quanto tale e dello studio di essa (culturologia).

White è considerato dalla tradizione come materialista e determinista. Egli coniò il termine culturologia per designare il campo di riflessione relativo ai fenomeni materiali, sociali e simbolici caratteristici del genere umano. Ci si chiedeva quale fosse il ruolo dell’ambiente esterno nel modellare la cultura. White non fu mai molto chiaro a riguardo.

• 17.1.2 Ecologia culturale, evoluzione multilineare e livelli di integrazione: Julian H. Steward (1902-1972)

Steward pose l’attenzione sia all’ambiente e alle condizioni materiali di vita sia alla ricerca di elementi che consentissero di stabilire leggi valide sul piano trans-culturale. Come White, Steward rappresenta la reazione al particolarismo boasiano ed il ritorno alla concezione di un’antropologia come sapere generalizzante. La realtà è costituita da fenomeni interrelati gli uni agli altri secondo un principio di causalità. Compito dello scienziato è di scoprire delle ricorrenze nelle interrelazioni regolari tra tali fenomeni e di stabilire delle leggi. In Teoria del cambiamento. La metodologia dell’evoluzione multilineare, Steward sostiene che l’evoluzione multilineare sia una metodologia basata sul presupposto che nel mutamento culturale si diano regolarità significative e che ci si preoccupi di determinare l’esistenza di leggi culturali. Si ha l’ecologia culturale quando il cambiamento culturale viene indotto attraverso l’adattamento all’ambiente. Lo sviluppo culturale deve essere concepito come una questione di complessità crescente e come l’emergere di successivi livelli di integrazione socioculturale.

• 17.2 Neoevoluzionismo e materialismo culturale La ripresa dei concetti di White e Steward è nota con le espressioni neoevoluzionismo e materialismo culturale. Neoevoluzionisti sono quegli antropologi che hanno ripreso la teoria di White relativo ad un processo di sviluppo cumulativo della cultura, articolandola con le posizioni di Steward relative all’evoluzione multilineare. Fra questi ci sono Service (1915) e Sahlins (1930) che introdussero i concetti di evoluzione specifica (consistente nel fatto che la cultura in generale è sottoposta, attraverso meccanismi di tipo adattativi e selettivo, ad un processo di diversificazione progressiva nelle singole culture) e di evoluzione generale (consistente nel passaggio da forme più semplici di organizzazione socio-culturale a forme più complesse che corrispondono a livelli più efficaci di trasformazione delle risorse naturali in “energia culturale”). E’ un materialista culturale Harris (1927), che riassume il determinismo culturale di White, l’attenzione per i fatti culturali di Steward ed alcune sue idee particolari di Marx. Con Harris c’è la necessità di sviluppare un’antropologia nomotetica e generalizzante.

• 17.3 L’etnoscienza L’etnoscienza è lo studio delle modalità in cui il sistema di pensiero di una comunità si struttura in relazione al suo campo empirico, è un settore di ricerca fortemente influenzato dalla linguistica.

• 17.3.1 Le premesse: Boas e Sapir-Whorf Sapir (1884-1939) e Whorf (1897-1941) avevano posto l’attenzione sulle relazioni tra la struttura grammaticale della lingua e la visione del mondo di una data popolazione. La struttura di una lingua è determinata dall’esperienza ed agisce causativamente sul complesso rappresentazionale determinando le particolari visioni del mondo. Boas non era molto d’accordo.

• 17.3.2 La prospettiva “emica” e l’analisi componenziale Il punto di vista emico è il modo di conoscere degli individui che fanno parte di una determinata cultura. Al punto di vista emico è contrapposto quello etico, perché quest’ultimo valorizza l’applicazione delle categorie scientifiche dell’osservatore, ponendo in secondo piano il punto di vista dell’osservato.

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Lo studio emico comporta l’esplorazione degli ambiti semantici tipici di quella cultura. Una delle tecniche per analizzare i campi semantici è l’analisi componenziale dei termini di parentela. La prospettiva emica è stata criticata da chi, come Harris, ha una visione generalizzante.

• 17.3.3 La ricerca della regolarità: percezione e terminologia del colore L’etnoscienza si configura come un sapere emico. Il campo nel quale questa prospettiva ha mostrato di avere una notevole validità è quello della classificazione terminologica ei colori. Qualsiasi gruppo umano ha una gamma limitata di termine base per indicare i colori (come hanno sostenuto Berlin e Kay nel loro libro Basic color terms). La regolarità percettiva consiste nel fatto che più un gruppo è semplice, più la sua terminologia cromatica sarà ristretta. Questa affermazione è stata molto criticata.

• 17.4 La prospettiva interpretativa L’antropologia interpretativa è parte di quella simbolica. Essa si occupa essenzialmente della problematica emica e dei processi comunicativi tra l’etnografo ed il suo informatore. L’antropologia interpretativa è in contrasto con lo struttural-funzionalismo, il neoevoluzionismo, lo strutturalismo Lévi-straussiano e in parte con l’etnoscienza.

• 17.4.1 Cultura come testo, descrizione densa e punto di vista del nativo: Clifford Geertz (1926)

L’idea di cultura come testo trae origine dalla contemporanea ermeneutica filosofica ed è il punto centrale del pensiero di Geertz. Nell’Introduzione ad Interpretazione di culture, Geertz ha esposto i principi direttivi di una “teoria interpretativa della cultura”. Il problema è quello di definire l’oggetto dell’antropologia e del metodo col quale raggiungere l’accesso al mondo concettuale. Si tratta di sfogliare uno ad uno i significati stratificati la cui trama costituisce il testo della cultura. Per Geertz l’etnografia è antropologia e viceversa, perché è nel momento stesso in cui l’antropologo de-stratifica, intraprendendole, le strutture significative che egli fa dell’antropologia.

• 17.4.2 La nozione di “persona”: un esempio di comparazione interpretativa Dal punto di vista dei nativi è un esame comparativo dei Giova, Bali e di una cittadina del Marocco, quest’opera non mette direttamente in evidenza la persona individualmente. Il processo conoscitivo in antropologia si articola con i concetti “vicini” e “lontani” al nativo. Geertz può essere considerato il fondatore dell’antropologia interpretativa.