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Sicurezza e lavoro Il fenomeno, gli enti preposti, le norme tecniche e i sistemi di gestione integrati Dal d.lgs. 81/08 alla Ohsas 18001 Antonio Capone Rita Jirillo Andrea Rocchi

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Sicurezza e lavoroIl fenomeno, gli enti preposti, le norme tecniche e i sistemi

di gestione integrati

Dal d.lgs. 81/08 alla Ohsas 18001

Antonio CaponeRita Jirillo

Andrea Rocchi

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I edizione: febbraio 2009

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Indice

Introduzione ................................................................................. 9

Capitolo primo La cultura della sicurezza

1. Visione fredda e visione calda della sicurezza nei luoghi di lavoro ................................................................. 15 2. La dimensione cognitiva ed individuale della sicurezza ......... 18

2.1 Il concetto di sicurezza soggettiva ................................... 19 2.2 Il concetto di pericolo ....................................................... 21

2.3 La propensione del rischio ............................................... 22 3. La dimensione sociale e di gruppo della sicurezza ................. 24 3.1 La cultura organizzativa .................................................. 24 3.2 Sviluppare una cultura organizzativa verso la sicurezza ........................................................................ 26 4. La formazione delle competenze per la sicurezza ................... 28 4.1 L’orientamento alla sicurezza .......................................... 28

Capitolo secondo Europa e sicurezza, binomio inscindibile

1. L’andamento infortunistico in Europa .................................... 31 2. L’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro: struttura, compiti ed obiettivi .................................................. 33

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Indice 6

3. Le convenzioni e le raccomandazioni dell’Oil ........................ 40 4. L’organizzazione della prevenzione negli stati europei .......... 45

Capitolo terzo Il fenomeno e la normativa comunitaria e nazionale

sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro 1. Il trend infortunistico ............................................................... 51

1.1. Avvertimento del fattore rischio salute da parte dei lavoratori .......................................................................... 54

2. L’evoluzione della normativa in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro: dall’art. 2087 del c.c. al d.lgs. 81/2008 ........ 56 3. Norme cogenti e norme volontarie .......................................... 58 4. La disciplina comunitaria ......................................................... 61 5. Il quadro normativo nazionale ................................................. 63

5.1 L’innovazione nel campo sicurezza della legge 626/94 ... 69 5.2 Le sanzioni e il codice etico ex d.lgs. 231/01 ................... 74

5.3 Il Testo unico d.lgs. 81/2008 ............................................ 78 5.4 Il documento per l’attestazione dei rischi ex art. 17 ........ 83

Capitolo quarto Qualità e sicurezza negli ambienti di lavoro

1. L’origine dei sistemi di gestione della salute e sicurezza

nei luoghi di lavoro: la norma BS 8800 ................................... 87 2. Lo standard Ohsas 18001:2007 ................................................ 93

2.1 L’evoluzione della Ohsas 18001: da semplice specifica a vero e proprio standard ................................... 93 2.2. La struttura e i contenuti della Ohsas 18001:2007 .......... 97 2.3 La Ohsas 18002:2000; linee guida per l’attuazione dello standard Ohsas 18001 .......................... 100

2.4. L’iter di certificazione .................................................... 110 2.5 I vantaggi della certificazione ........................................ 115 2.6. Corrispondenze di contenuti fra la Ohsas 18001 e il d.lgs. 626/94 .............................................................. 115

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Indice 7

3. Le linee guida Uni–Inail per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro ........................................... 118

4. Il collegamento fra modelli di gestione codificati (Uni–Inail, Ohsas 18001) e il d.lgs. 231/2001 ........................ 122

Capitolo quinto Gestire la sicurezza e l’azienda con approccio integrato

1. I sistemi di gestione ................................................................. 125 2. L’integrazione dei sistemi ....................................................... 128 3. La Pas 99:2006 ........................................................................ 132 4. L’integrazione come forma di competitività ........................... 134 Allegati ......................................................................................... 139 Bibliografia .................................................................................. 147

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Introduzione Un approccio compiuto sulla tematica della sicurezza nei luoghi di

lavoro richiede una notevole attenzione a tutta la fenomenologia col-legata sia ai luoghi in cui si esplica l’attività lavorativa sia anche alla valutazione soggettiva del rischio ovvero l’approccio con i cui il dato-re di lavoro e i lavoratori trattano pericoli reali e potenziali di tale atti-vità.

Quindi da una parte è bene comprendere l’approccio normativo tecnico ― cogente e non cogente (legge 626/94, legge 81/08, Ohsas 18001, SA 8000, ecc.) ― e dall’altra ci sembra opportuno che si deb-bano indagare sia il concetto di pericolo sia quello di “sicurezza sog-gettiva”, spesso particolarmente e drammaticamente significativi in caso di incidente.

Da una parte l’uomo, dall’altra l’organizzazione in cui si svolge la mansione lavorativa, con un comune denominatore che si ritrova in una cultura organizzativa sviluppata secondo una “security vision”.

Ogni anno nell’Ue circa 7.500 lavoratori sono vittime di incidenti mortali e circa 170.000 muoiono a seguito di infortuni sul lavoro o malattie professionali. Più di 7 milioni sono i dipendenti costretti ad assentarsi dal lavoro per almeno tre giorni per le stesse cause nei setto-ri più a rischio ovvero agricoltura, edilizia, trasporti e assistenza sani-taria.

Molti di questi infortuni e malattie potrebbero essere evitati attra-verso un’attenta valutazione dei rischi, trascurata tuttavia da molti da-tori di lavoro, ma allo stesso tempo sottovalutata troppo spesso anche dai singoli lavoratori. Sono soprattutto le grandi imprese a realizzare uno studio di valutazione dei rischi, eppure più dell’80% degli infor-tuni e più del 90% delle morti sul lavoro si verificano nelle piccole e medie imprese.

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Introduzione 10

Una recente campagna dell’Ue ha sottolineato l’importanza della valutazione dei rischi e ha fornito consigli alle imprese su come rea-lizzarla: centinaia di eventi, come conferenze, mostre e formazioni, si sono tenuti in tutta Europa durante la Settimana europea per la sicu-rezza e la salute nell’ambiente di lavoro (20–24 ottobre).

Nonostante i risultati positivi delle politiche svolte dal 2000, che hanno fatto registrare un calo significativo delle malattie e degli infor-tuni sul lavoro nell’Ue, la Commissione europea ha adottato una nuo-va strategia per ridurre le disparità tra le categorie sociali.

Tutto ciò evidenzia un dato importante ovvero che gli incidenti e le malattie legati all’attività lavorativa, oltre a costituire una tragedia per le persone coinvolte, hanno anche ovvie conseguenze negative per le imprese. Le perdite causate dalle assenze dal lavoro costano ai lavora-tori europei circa 1 miliardo di euro all’anno, ma anche i datori di la-voro sopportano costi elevati. Grazie alla strategia applicata nel quin-quennio 2002–2006, la situazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro è comunque migliorata, si è registrato infatti un calo del 17% per quanto concerne gli infortuni mortali e del 23% per le malattie comportanti un’assenza dal lavoro superiore a tre giorni.

Non si tratta, tuttavia, di un miglioramento omogeneo, poiché alcune categorie di lavoratori continuano ad essere esposte a rischi maggiori ri-spetto ad altre. Per i settori dell’edilizia, dell’agricoltura e dei trasporti, ad esempio, si segnalano percentuali di malattie ed infortuni sul lavoro nettamente superiori. I miglioramenti variano inoltre a seconda del pae-se, dell’impresa e dell’età dei lavoratori. I mutamenti nel mondo del la-voro comportano inoltre nuovi rischi e si osserva un aumento di certe malattie, in particolare quelle legate alla pressione psicologica.

A fronte di questa situazione, l’Unione ha adottato una nuova stra-tegia volta a ridurre del 25% le malattie professionali e gli infortuni sul lavoro entro il 2012. Essa mira inoltre a migliorare e semplificare la legislazione vigente, puntando al contempo sulla prevenzione e sul-l’informazione.

Per rafforzare ulteriormente tale azione dalle prime indicazioni si rileva che saranno applicate anche strategie nazionali, adattate alla re-altà dei singoli Stati ed incentrate su determinati settori, al fine di con-tribuire ad una migliore integrazione della salute e della sicurezza sul lavoro.

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Introduzione 11

La sicurezza e la salute nell’ambiente di lavoro sono fondamentali per ogni impresa e l’implementazione di un Sistema di Gestione della salute e sicurezza sul lavoro (Ssl) è oggi un obbligo di legge in moltis-simi Paesi.

Un Sistema di Gestione della Ssl consente alle aziende di controlla-re i rischi relativi alla salute e sicurezza dei lavoratori, di migliorare la performance del business e rendere l’ambiente di lavoro più sicuro per i dipendenti attuali e più attraente per quelli futuri. Assicura, inoltre, che vengano rispettate e applicate correttamente le leggi in materia di sicurezza.

Le valutazioni e le certificazioni indipendenti dei Sistemi di Ge-stione della Ssl forniscono la certezza di poter contare su un Sistema di Gestione realmente efficace ovvero poter disporre della implemen-tazione e quindi seguire ad esempio i dettami dello standard Ohsas 18001. Questo standard ― ad adesione volontaria ― basato sui prin-cipi di gestione collaudati di “Pianificazione–Azione–Controllo–Azio-ne” (Plan–Do–Check–Act), è stato appositamente studiato per aiutare le aziende a formulare obiettivi e politiche a favore della Ssl secondo quanto previsto dalle normative vigenti e in base ai pericoli e ai rischi potenzialmente presenti sul posto di lavoro. Lo standard Ohsas 18001 consente un approccio integrato con altri standard per sistemi di ge-stione, dalla Qualità all’Ambiente, alla Responsabilità d’Impresa. Un sistema di gestione integrato dimostra l’impegno dell’azienda verso uno sviluppo sostenibile in ogni aspetto della propria attività.

Implementare un Sistema di Gestione della Ssl rigoroso ed efficien-te offre una serie di vantaggio tra cui:

― riduzione del numero di infortuni attraverso la prevenzione e il

controllo dei luoghi di lavoro classificati a rischio; ― riduzione del rischio di incidenti gravi; ― crescita dell’entusiasmo del personale grazie alla soddisfazione

delle aspettative di miglioramento; ― riduzione delle perdite materiali derivanti da incidenti e inter-

ruzioni della produzione; ― disponibilità di un sistema di gestione integrabile che include

anche gli aspetti legati alla qualità e all’ambiente;

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Introduzione 12

― garanzia di uno strumento di indirizzo e di gestione per la nor-mativa pertinente in materia;

― soddisfazione delle aspettative dell’opinione pubblica sempre più sensibile nei confronti della sicurezza e della salute sul la-voro.

Un Sistema di Gestione della Ssl in grado di aumentare il valore

della propria impresa nel mercato odierno e futuro viene sviluppato a seguito di una attenta lettura delle proprie problematiche aziendali, siano esse di natura legislativa, tecnica o gestionale.

Questo tipo di approccio consente infatti di individuare e valutare dei rischi per la Ssl e i relativi aspetti legali nonché definire obiettivi, finali-tà e programmi che assicurino il continuo miglioramento della Ssl.

Prima che il processo di certificazione abbia inizio, l’azienda deve dimostrare di avere condotto attività di audit interne e verifiche sull’implementazione del Sistema di Gestione della Ssl.

Per il successo di un Sistema di Gestione della Ssl occorre l’impe-gno di tutti i livelli e di tutte le funzioni aziendali, a partire dal top management fino ad arrivare ai singoli dipendenti e/o ai loro rappre-sentanti.

Questo ovviamente è un esempio di come una maggiore attenzione e cultura nella organizzazione della gestione del rischio possa aiutare l’impresa a diminuire e ad anticipare prevenendo rischi reali e poten-ziali per il lavoratore e quindi per l’intera organizzazione.

Quello che si vuole ribadire è che si risparmia realmente (in risorse umane e risorse finanziare) quando si investe correttamente ed in ma-niera sistematica sulla sicurezza.

Alla base dell’”approccio sicurezza” deve esiste un concetto di rife-rimento ovvero che l’integrazione della salute e sicurezza nell’orga-nizzazione dell’impresa a tutti i livelli richiede un sistema di gestione che deve interagire con tutti gli altri esistenti, di qualità, ambientale, etc., elemento indubbiamente complesso che contribuisce ad ostacola-re il suo inserimento nella cultura di impresa.

Occorre poi tener conto del fatto che in Italia il sistema produttivo è costituito da piccole e medie imprese, con una preponderanza di micro imprese, con risorse finanziare limitate, il che certo non favorisce l’in-troduzione di un sistema di gestione.

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Introduzione 13

Infine è opportuno ricordare che la direttiva quadro 89/391 Cee, tra-sposta in Italia nel Titolo I del d.lgs.626/94, già delinea i criteri di base per la configurazione di un sistema di gestione della sicurezza (gestione permanente della sicurezza, sua programmazione, etc.). Il documento europeo non definisce modelli, ma unicamente criteri in base ai quali configurare modelli per ciascun settore, dai quali ogni impresa può co-gliere gli elementi per delineare il sistema più adatto alle proprie esi-genze, in funzione della sua dimensione e dei rischi esistenti.

Molto opportunamente l’Inail, con il decreto 15 settembre 2000, ri-guardante il programma sperimentale di cofinanziamento delle impre-se per il miglioramento delle condizioni di sicurezza, ha riproposto il tema dei sistemi di gestione e, successivamente, in accordo con l’UNI, l’Ispesl e le parti sociali, ha emanato linee guida al riguardo che rical-cano quelle europee. Attualmente l’Ispesl sta definendo, in col-laborazione con le associazioni artigiane, un modello sperimentale per il settore.

Tale proposta molto innovativa segue alcune direttrici fondamentali quali l’attuazione su base volontaria ― come già ribadito non vi è ob-bligo di introduzione di un sistema, ma solo una facoltà di scelta affi-data al datore di lavoro sulla base di una valutazione dei costi, benefici e di una giustificabilità economica ― l’utilizzo di procedure di valuta-zione senza obbligo di audit esterni ― la decisione al riguardo è a di-screzione del datore di lavoro, che deve tener conto anche del fatto che il ricorso alla valutazione esterna può rappresentare un atout con valo-re commerciale ― ed infine la certificazione, anch’essa non obbliga-toria. Una certificazione, va precisato, che non attesta una conformità alla normativa di sicurezza, che non sostituisce il controllo pubblico, ma dichiara unicamente l’esistenza di un sistema di gestione della si-curezza e quindi, certo, una migliore capacità di ottemperanza ed un elemento di maggiore affidabilità dell’azienda sotto tale profilo. Non è un elemento da sottovalutare in una società, quale quella attuale, in cui si va sempre più affermando la tendenza alla cartolarizzazione degli impegni, della responsabilità nei rapporti negoziali. Infatti si può ri-scontrare quasi quotidianamente, nei settori più disparati, che chi deve assumere la veste di committente, ossia deve rivolgersi ad imprese e-sterne, tende sempre di più ad affidarsi alle aziende che possono certi-ficare il possesso di determinati requisiti.

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Introduzione 14

Rimane fermo che la verifica dell’ottemperanza, la validazione, non può che essere compito esclusivo dell’autorità pubblica, ma l’ap-plicazione di un sistema di gestione della sicurezza contribuisce senza dubbio alcuno al miglioramento dei rapporti con detta autorità.

La progettazione, attuazione e valutazione del sistema va fatta con il pieno coinvolgimento dei lavoratori e dei loro rappresentanti per la sicurezza, in attuazione del dialogo sociale che è alla base di tutta la normativa comunitaria. La riuscita del sistema, il raggiungimento dell’obiettivo di sicurezza comporta il superamento dello schema del “command and control” per avviare quella logica di scambi informa-tivi, circolari fra tutti i soggetti della struttura di impresa, per consenti-re l’affluenza e l’influenza dei patrimoni professionali e culturali dei vari attori nel processo decisionale in materia.

In maniera evidente rileva il vantaggio per le imprese singole e as-sociate partendo da una valutazione immediata in termini di co-sti/benefici, che porta ad attribuire, sotto il profilo interno, una miglio-re competitività per le imprese mediante la razionalizzazione dei pro-cessi, la riduzione degli sprechi, la migliore utilizzazione delle risorse ed una valorizzazione del capitale umano fattore sempre più rilevante nei costi di impresa, ma anche un vantaggio, sotto il profilo dei rap-porti esterni, ossia della valutazione che gli altri soggetti, pubblici o privati, si trovano a fare dell’impresa, nel quadro degli obblighi previ-sti dalla legislazione esistente ― in particolare agli obblighi sanciti a carico del committente datore di lavoro.

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Capitolo primo

La cultura della sicurezza

SOMMARIO: 1. Visione fredda e visione calda della sicurezza nei luoghi di lavoro – 2. La dimensione cognitiva ed individuale della sicurezza – 2.1. Il concetto di sicurezza soggettiva – 2.2 Il concetto di pericolo – 2.3. La propensione al rischio – 3. La dimensione sociale e di gruppo della si-curezza – 3.1. La cultura organizzativa – 3.2 Sviluppare una cultura organizzativa verso la sicurezza – 4. La formazione delle competenze per la sicurezza – 4.1. L’orientamento alla sicurezza.

1. Visione fredda e visione calda della sicurezza nei luoghi di lavoro In questi ultimi anni, da quando la forte terziarizzazione dei mo-

derni sistemi produttivi ha generato processi di livellamento economi-co e sociale tra i lavoratori, diluendo la classica distinzione del perio-do post industriale tra “tute blu” e “colletti bianchi”, si è assistito ad un percorso di riallineamento anche delle condizioni di lavoro. A tale processo di omogeneizzazione dei ruoli si è affiancata, spinta da un progressivo stimolo alla partecipazione, anche una costante azione di sviluppo dei canoni legati alla progettazione organizzativa, finalizzata al miglioramento e all’ottimizzazione del contesto in cui i lavoratori agiscono nelle singole strutture produttive. Un’evoluzione che ha mo-dificato il modo stesso di interpretare e vivere il luogo di lavoro, non più progettato e realizzato esclusivamente sulla base di obiettivi dettati dalla competitività esterna (il miglioramento dei fattori di produzione affinché prodotti o servizi realizzati fossero più competitivi), ma un luogo di lavoro caratterizzato anche dai cosiddetti fattori di competiti-vità interna, ovvero il miglioramento delle condizioni di lavoro quali l’ambiente, la motivazione, la partecipazione individuale e dei gruppi,

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Capitolo primo 16

per stimolare il contributo dei singoli, al fine di evitare e prevenire er-rori ed inefficienze.

Questo lungo processo di evoluzione organizzativa e, soprattutto, del rapporto tra il singolo ed il suo contesto lavorativo, è stato caratte-rizzato da una marcata tendenza verso il miglioramento qualitativo sia dei processi che, di conseguenza, delle modalità attraverso cui i sog-getti si esprimono ed interagiscono nei contesti produttivi: tale miglio-ramento è stato teorizzato attraverso il concetto di “total quality”.

Purtroppo, nonostante ad oggi si possa affermare che la teoria e la prassi del miglioramento continuo abbiano interessato la maggior par-te delle organizzazioni, il processo sembra essere fallito dal punto di vista della sicurezza.

Come è noto, il concetto di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro ha ormai origini lontane. A partire dai principi fondamentali del codice civile, anche il nostro paese, seppur con una certa reticenza, ha adottando norme ispirate da riflessioni di carattere internazionale, attraverso l’emanazione della decreto legge n. 626 del 1994 e dei suc-cessivi strumenti regolatori collegati, fino ad arrivare alla recente normativa prevista dal decreto legislativo n. 81 del 2008 meglio noto come Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro .

Nonostante l’applicazione delle più moderne norme risalga a quasi quindici anni fa, attualmente, sulla cronaca in materia di lavoro, non si evidenziano problemi legati alle discriminazioni di genere, ai differen-ziali salariali, o alla stabilità, bensì assistiamo, costantemente, ad una vera e propria emergenza sicurezza.

Ciò che stupisce maggiormente di tale situazione è il fatto che la si-curezza nei luoghi di lavoro è stata percepita (e lo è ancora oggi) come un fattore, alla stregua di altri fenomeni organizzativi, facilmente con-trollabile, dove, all’interno di un lay–out stabile, con macchinari, at-trezzature, strumenti e metodi che non cambiano tutti i giorni, si è ri-tenuto di poter apprendere con facilità quali fossero i rischi con la conseguente certezza di riuscire a prevenirli.

Purtroppo, l’equazione che lega l’individuazione di un pericolo al suo controllo e, quindi, all’eliminazione dello stesso, nei luoghi di la-voro sembra non funzionare.

L’applicazione della meccanica deterministica sulla base della qua-le se una tubazione ha una perdita, riparandola non perde più, non

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La cultura della sicurezza 17

funziona quando si parla di sicurezza nei luoghi di lavoro. La tubazio-ne, nonostante gli sforzi compiuti, continua a perdere, con il suo tribu-to di infortuni e di vite umane.

Occorre allora riflettere sul fatto che il dibattito sulla sicurezza nei luoghi di lavoro è stato, forse troppo, caratterizzato da una concezione per la quale, a fronte di una situazione di pericolo, è necessario agire su due fattori: il primo legato al miglioramento degli strumenti, delle attrez-zature, dei processi produttivi, tale da diminuire la fonte stessa del perico-lo; il secondo legato al miglioramento delle informazioni in possesso del lavoratore, circa le modalità operative e le precauzioni da adottare.

Fattori, questi, basati sull’assunto deterministico che vede l’orga-nizzazione in grado di prevedere e prevenire totalmente comportamen-ti umani e meccanici, tanto da eliminare la possibilità di eventi infor-tunistici in un determinato contesto.

Tale assunto è definibile, nell’economia del presente testo, come una visione fredda della sicurezza nei luoghi di lavoro, dove le varia-bili in gioco ― macchina ed operatore ― si comportano allo stesso modo, ovvero reagiscono in maniera prevedibile a sollecitazioni e sti-moli chiari. Si tratta di un approccio assimilabile ad una concezione taylorista sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e che ha, purtroppo, di-mostrato tutti i suoi limiti.

L’idea che l’essere umano sia portato naturalmente, se informato, ad evitare i pericoli, è falsa.

La relazione fredda tra organizzazione del lavoro ed individuo, tra pericolo e prevenzione, tra protocolli e comportamento, tra la carta e la persona, purtroppo, pur necessaria ad impostare un processo di pre-venzione degli infortuni sui luoghi di lavoro, da sola risulta insuffi-ciente, tanto da poter affermare che, se tutto l’impianto concettuale ed operativo di una organizzazione verso la sicurezza è basato solo su tali presupposti, a fallire è l’impianto stesso.

Vale sottolineare, quindi, che l’evento infortunistico non può essere interpretato solo come una pecca, un errore, del sistema di sicurezza adottato, problema al quale porre rimedio con l’ennesima procedura, anche perché, i dati dimostrano che spesso, pur in presenza di un in-fortunio, le procedure sono di per sé valide, esaurienti ed efficaci.

Piuttosto, è necessario sviluppare un orientamento capace di ana-lizzare l’evento infortunistico come un possibile limite intrinseco del

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Capitolo primo 18

sistema adottato, al quale, evidentemente, sfugge, o rischia di sfuggire, ciò che nella psicologia e sociologia delle organizzazioni viene defini-to il fattore umano.

Risulta necessario, allora, poter ragionare su come superare questi limiti e sviluppare una visione calda della sicurezza nei luoghi di la-voro, dove l’individuo viene considerato parte integrante, protagonista del potenziale pericolo, non già perché irresponsabile ed avventato, ma caratterizzato da una propria soggettività, diversa da persona a per-sona, attraverso la quale vengono filtrati, elaborati, compresi i diversi stimoli, anche quelli legati alle corrette condotte da adottare nei luoghi di lavoro.

Tale visione calda si basa su una concezione per cui l’evento in-fortunistico è sempre il risultato di forze esterne (strutturali, razio-nali di processo) e forze interne (soggettive, emotive, irrazionali), nell’ambito di una scena organizzativa. Tale approccio, mira, al fi-ne di ridurre gli eventi infortunistici, non solo a migliorare l’am-biente, ma anche l’uomo nella sua completezza e complessità, ov-vero quale soggetto che agisce in relazione al pericolo, sia sulla ba-se delle corrette informazioni in suo possesso, che in relazione a vissuti, convinzioni, valori che gli sono propri e che lo spingono, a volte, verso l’irrazionale.

Affinché un corretto approccio per la sicurezza nei luoghi di lavo-ro, quand’anche caratterizzato dall’adozione di processi certificatori quali quelli illustrati nel presente testo, possa veramente ottenere i ri-sultati sperati, è necessario riflette ed accettare il presupposto della soggettività dei singoli, spiegarne, dove possibile, i meccanismi che ne regolano i comportamenti, per poi agire sulle giuste leve che, eviden-temente, superano il momento informativo, ma si orientano verso il cambiamento delle persone, dei loro atteggiamenti, dei loro compor-tamenti, dei loro valori.

2. La dimensione cognitiva ed individuale della sicurezza Abbiamo visto in precedenza come il concetto di soggettività rap-

presenti un fattore imprescindibile se si intende sviluppare un approc-cio alla sicurezza efficace, ovvero raggiungere l’obiettivo di ridurre, a

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La cultura della sicurezza 19

fronte di situazioni di pericolo, eventi infortunistici che determinano danni alle persone.

Fermo restando che il primo indispensabile passo verso la sicurezza è rappresentato dal progressivo annullamento dei pericoli connessi a-gli ambienti di lavoro ed alle diverse fasi dei processi produttivi, dai più semplici, quali salire le scale (ad esempio attraverso l’adozione di bande di segnalazione ed antiscivolo) a situazioni più complesse, resta il fatto che pur a fronte di questa continua ricerca/intervento rivolta al-la diminuzione dei pericoli, ogni tanto, qualcuno cade.

Al fine, quindi, di non ridurre il dibattito ad una sterile analisi stati-stica che interpreti gli eventi infortunistici quali percentuali di errore (tollerabile?) alla stregua dei normali malfunzionamenti organizzativi, è necessario guardare le persone per provare a definire quali sono le componenti che spiegano il fenomeno della loro soggettività.

Tale percorso di analisi non può che partire da un approfondimento dei concetti fino ad ora esposti di sicurezza e pericolo, osservandoli e definendoli dal punto di vista dell’individuo, cioè del singolo che li vive, li sperimenta e li agisce, ampliando poi la nostra analisi all’ele-mento che lega il pericolo al comportamento, ovvero la percezione del rischio.

2.1. Il concetto di sicurezza soggettiva

Con il concetto di sicurezza soggettiva, si intende la condizione di

una persona che si trova in uno stato di certezza, è sicura di sé, libera da ansie e preoccupazioni legate ai diversi aspetti della vita. Una con-dizione ideale verso cui tutti i soggetti tendono nel loro percorso evo-lutivo. Tale qualità soggettiva può riguardare diverse sfere del vivere comune, quali la sicurezza di sostentamento, affettiva, sociale, econo-mica e così via.

Attualmente, molti studi hanno messo in luce come i livelli di sicu-rezza delle persone siano progressivamente diminuiti. L’accelerazione dei processi di cambiamento sociale, la perdita dei cosiddetti luoghi sicuri (famiglia, micro contesto sociale, ecc..), l’incertezza economica e ambientale, gli effetti della globalizzazione, hanno di fatto diminuito la capacità/possibilità dei singoli di collocarsi in una situazione sicura accentuando, rispetto a periodi sociali passati, quale processo di rea-

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Capitolo primo 20

zione e difesa a tale stato, azioni spesso irrazionali rivolte verso la ri-cerca di una cosiddetta sicurezza artificiale, capace di generare sensa-zioni positive, pur in assenza dei presupposti reali che le dovrebbero determinare.

Esempi di tale condotta sono quelli che possono portare all’uso di droghe, inducendo stati di onnipotenza e/o alienazione dalle fonti di insi-curezza, come pure all’esigenza di contornarsi di simboli, quali ad esem-pio automobili costose o capi firmati, capaci di compensare l’ansia per il futuro, pur in assenza di una concreta stabilità e sicurezza economica.

Purtroppo, come è facile intuire, tali condotte generano effetti in termini di sicurezza solo momentanei con il rischio di innestare, nel momento in cui l’effetto svanisce, veri e propri circoli viziosi nelle condotte umane.

Anche nel contesto specifico del mondo del lavoro, quindi, il con-cetto di sicurezza può essere interpretato come una condizione sogget-tiva attraverso la quale una determinata persona interpreta e dà signifi-cato alla relazione tra il sé ed il contesto in cui si muove. Tale proces-so cognitivo di sintesi individuale, fondamentale nello studio della prevenzione agli infortuni, è basato su tre specifiche fasi:

a. analisi della situazione esterna: il soggetto, sulla base della sua

capacità percettiva e delle informazioni in suo possesso, esamina un dato contesto e ne individua le eventuali fonti di pericolo;

b. analisi della situazione interna: il soggetto, sulla base della per-cezione emotiva, valoriale, fisica di se stesso, esamina le sue ca-pacità di risposta alle eventuali fonti di pericolo;

c. sintesi: il soggetto, sulla base delle informazioni ottenute dalle due precedenti fasi, sviluppa una sensazione di sicurezza o insi-curezza.

Il processo cognitivo descritto spiega perché le persone, se interro-

gate sulla base di uno stesso stimolo, sviluppano risposte differenti. I singoli, nell’esprimere una sensazione di tranquillità o disagio, a fron-te di una particolare situazione, forniranno risposte differenti, sia in base alla loro capacità ed esperienza nel valutare le fonti di pericolo esterne, che in base al modo in cui vedono se stessi capaci di affronta-re ed agire in tale situazione.

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Possiamo affermare, quindi, che il concetto di sicurezza, dal punto di vista della persona, rappresenta una qualità, una condizione interna sulla base della quale l’individuo si percepisce e agisce a fronte di de-terminati contesti e situazioni.

Volendo estendere il concetto di sicurezza dal singolo all’ambiente e, nello specifico, ai luoghi di lavoro, possiamo affermare che un’or-ganizzazione è tanto più sicura quanto più i soggetti che vi lavorano si sentono protetti e non esposti a fonti di ansia ed incertezza.

Un’ organizzazione sicura è quella che riesce, da un lato, a miglio-rare sia l’ambiente esterno, che quello interno, favorendo nei singoli il corretto modo di porsi e di valutarsi in relazione agli stimoli che da quell’ambiente provengono.

2.2. Il concetto di pericolo

Con il concetto di pericolo definiamo la qualità attribuita ad un da-to contesto esterno in relazione alle potenzialità dello stesso di genera-re eventi traumatici e lesivi. Ad esempio, ad un gruppo di tifosi coperti in volto spesso viene conferita la qualità di pericolosi, come pure ad una balconata quando i parapetti non sono sufficientemente alti.

Il concetto di pericolo è dunque associato ad una valutazione di ca-rattere qualitativo attribuita ad un ambiente esterno, mentre, come det-to prima, la condizione di sicurezza rappresenta una qualità interna dell’individuo.

Per seguire l’esempio precedente è possibile riscontrare che, pur in presenza di un ambiente oggettivamente pericoloso quale quello dei ti-fosi, il soggetto potrebbe sentirsi completamente sicuro se portasse al collo bandiere della stesso colore di quelle del gruppo.

Il pericolo nei luoghi di lavoro, o meglio, l’individuazione di una fonte di pericolo, rappresenta la fase in cui l’ingegnerizzazione dei processi produttivi e dei rapporti uomo–macchina–ambiente, esprime il massimo delle proprie competenze e potenzialità.

In tale ambito risulta necessario un approccio deterministico alla sicurezza nei luoghi di lavoro, ovvero la capacità di individuare le possibili fonti di pericolo, analizzarle, eliminarle, o comunque deter-minare le condizioni per cui possano essere percepite dai singoli lavo-ratori. In questa situazione l’intervento preventivo agisce sia sul con-

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testo, attraverso azioni di eliminazione e/o segnalazione dei pericoli, che sul soggetto, attraverso processi di carattere informativo.

Tali azioni, tuttavia, come visto in precedenza, non risolvono la re-lazione tra la fonte di pericolo e il comportamento dei singoli, relazio-ne che, per essere affrontata nella sua interezza, ha bisogno di altre ti-pologie di intervento.

2.3. La propensione al rischio

Dall’esame finora svolto, che mira a legare il concetto di oggettivi-

tà delle azioni per la sicurezza nei luoghi di lavoro, a quello di sogget-tività (vedi figura 1), per spiegare compiutamente i presupposti alla base dei comportamenti, è necessario affrontare e definire un ulteriore elemento, il concetto di propensione al rischio.

A differenza della sicurezza, che rappresenta una componente sog-gettiva statica, riconducibile alla sfera emozionale, non legata ad una azione e/o comportamento specifico, il rischio indica ed individua, nei soggetti, una componente dinamica, rientrando nelle cosiddetta sfera motivazionale.

Figura 1. Processi cognitivi individuali in relazione al concetto sicurezza.

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Con il concetto di rischio definiamo la predisposizione/motivazio-ne del singolo ad agire, pur in presenza di uno stato/sensazione di in-sicurezza, derivante da una percezione di pericolo. Tale azione si in-tende diretta non ad evitare il pericolo, ma ad affrontarlo.

Gli studi sul rischio tendono a definire questo elemento come es-senziale per lo sviluppo del genere umano, infatti, pur in presenza di un istinto primordiale di tutela e protezione di se stessi (istinto di con-servazione), in ognuno di noi convive una predisposizione al rischio, ovvero quella caratteristica che porta ad affrontare, spesso superando-le, prove che in apparenza appaino pericolose.

Le grandi scoperte, i viaggi verso mete ignote, o più semplicemente affrontare un esame pur non avendo completato la preparazione, rap-presentano comportamenti innescati da una spiccata propensione al ri-schio. Purtroppo, anche correre eccessivamente in auto o affrontare o-stacoli fuori dalla nostra portata sono comportamenti legati al proces-so cognitivo del rischio prima descritto.

Da una parte, quindi, il rischio rappresenta una molla verso lo svi-luppo, dall’altra una condotta capace di autodistruggerci.

Al fine di comprendere i meccanismi di tale processo cognitivo, potremmo dire che l’aspetto fondamentale è il livello di propensione al rischio di ognuno di noi, individuando come patologica quella che mette a repentaglio la propria incolumità fisica anche in maniera reite-rata (vedi ad esempio i protagonisti di prove estreme).

Analizzando il contesto lavorativo, diversamente dai processi di sviluppo ed evoluzione dell’uomo, è fondamentale asserire che la pro-pensione al rischio, indipendentemente dal livello in cui si manifesta, va annoverata tra le condotte non accettabili.

Per sviluppare sistemi legati alla sicurezza nei luoghi di lavoro, non si può non considerare che tale componente esista, come pure, non si può immaginare di contenerla attraverso semplici segnalazioni o av-vertimenti.

Le condotte innescate dalla inclinazione al rischio non rispondono, purtroppo, a stimoli razionali, basti pensare alle reazioni della maggior parte degli sciatori quando trovano un cartello di pista chiusa, per assurdo si innesca un meccanismo di sfida e desiderio di superare tale limite.

Risulta fondamentale sottolineare che la propensione al rischio, ca-ratterizzando molte sfere del comportamento umano, agisce con diver-

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si livelli di consapevolezza. Possiamo infatti affermare che nel mo-mento in cui uno sciatore, ad esempio, infrange un limite, è consape-vole che sta rischiando, mentre condotte quali attraversare un semafo-ro con il colore arancione spesso non avvengono attraverso un proces-so di riflessione istintiva/inconsapevole, pur essendo un chiaro com-portamento rischioso.

Nei luoghi di lavoro, dove i soggetti raramente sono spinti dal desi-derio di avventura, la tendenza al rischio agisce marcatamente come nella seconda modalità presentata, ovvero con un basso livello di con-sapevolezza. Tale fenomeno, che lega la consuetudine operativa ad una poco approfondita valutazione del contesto, è spesso causa di compor-tamenti istintivi e rischiosi, pur in presenza di segnalazioni di pericolo.

Per affrontare in termini organizzativi tali condotte, è quindi neces-sario un intervento che agisca sui fattori più intimi e profondi degli in-dividui, in modo da determinare processi motivazionali, prassi e com-portamenti, tesi a sviluppare consapevolezza circa il proprio modo di porsi nei confronti delle diverse situazioni lavorative.

3. La dimensione sociale e di gruppo della sicurezza Nel paragrafo precedente sono stati approfonditi temi legati alla de-

finizione ed interpretazione del comportamento individuale in relazio-ne a situazioni di pericolo. Gli studi della psicologia sociale hanno da tempo individuato come, nei luoghi di lavoro, le condotte dei singoli, pur se autonome ed intime, sono fortemente influenzate da una com-ponente sociale.

Le relazioni che si sviluppano in un contesto organizzato, il con-fronto tra la struttura ed i propri pari, le dinamiche dei gruppi, deter-minano fenomeni capaci di esaltare e/o inibire in maniera determinan-te le scelte ed i comportamenti dei singoli.

3.1. La cultura organizzativa

La cultura organizzativa rappresenta il costrutto teorico e concet-

tuale attraverso cui le scienze sociali interpretano e spiegano i feno-meni e le dinamiche dei soggetti inseriti in un contesto lavorativo. Si

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definisce cultura organizzativa un insieme coerente di assunti fonda-mentali che un dato gruppo ha scoperto o inventato, affrontando pro-blemi di adattamento esterno ed integrazione interna, che si è rilevato utile tanto da essere considerato valido e, quindi, trasmesso ai nuovi membri come il modo corretto di percepire e agire in relazione a quei problemi (Shein H.H., Verso una nuova consapevolezza della cultura organizzativa in Gagliardi P., Le imprese come culture, ISEDI, ed. Pe-trini, Torino 1986).

Con l’avvento della rivoluzione industriale, le forti aggregazioni di risorse umane nelle fabbriche e la perdita dei riferimenti sociali tradi-zionali, hanno determinato la necessità, per chi aveva la responsabilità dell’organizzazione del lavoro, di comprendere, programmare e con-trollare le modalità di azione delle migliaia di lavoratori inseriti in un unico contesto produttivo.

In questo ambito si sono affermate le principali scuole per lo studio delle culture organizzative e, nello stesso periodo, si è sviluppata la consapevolezza circa l’importanza del fattore umano negli eventi or-ganizzativi.

Successivamente, insieme al processo di emancipazione sociale, gli studi sulla cultura organizzativa hanno teso a comprendere come agi-vano i fenomeni di autonomia e sviluppo di alcuni gruppi o categorie di lavoratori. In questa fase, dalla mera organizzazione e condivisione di un clima di lavoro favorevole, gli studi sulla cultura organizzativa si sono concentrati sulle capacità dei gruppi di raggiungere performance sempre maggiori. È questo il periodo in cui si affermano modalità di organizzazione aziendale basate sulla gestione per obiettivi con il con-seguente sviluppo, nelle singole strutture produttive, di culture ispirate da una forte competitività sia tra l’organizzazione ed il sistema ester-no, che tra i gruppi di lavoro.

Oggi la letteratura sulla cultura organizzativa tende ad orientare le proprie riflessioni sui comportamenti legati alla partecipazione attiva dei gruppi e alla responsabilità sociale delle organizzazioni. Temi qua-li l’empowerment, il commitment, oltre che le certificazioni sociali ed ambientali volontarie, rappresentano canoni attraverso cui si stanno affermando nuove culture organizzative basate sulla salvaguardia e il rispetto sia del microcosmo soggettivo che, più in generale, del conte-sto sociale ed ambientale.

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L’instaurarsi, lo sviluppo o il cambiamento di una cultura organiz-zativa, sono fenomeni sempre determinati e stimolati, come visto an-che nella definizione precedente, da due fattori:

a. fattori interni: la cultura organizzativa si sviluppa in risposta ad

esigenze intrinseche all’organizzazione quali, ad esempio, una diversa organizzazione del lavoro legata ad una forte informatiz-zazione dei processi,

b. fattori esterni: la cultura organizzativa di sviluppa e cambia in relazione a pressioni sociali, quali ad esempio l’emancipazione di genere, ovvero a pressioni competitive come quelle generate dalla globalizzazione.

Nell’ambito della sicurezza nei luoghi di lavoro, tali fenomeni di

adattamento ed integrazione rappresentano, quindi, la base da cui par-tire per generare processi di cambiamento nei comportamenti dei sin-goli.

Data la necessità di risolvere con maggiore efficacia le problemati-che organizzative legate agli infortuni, è indispensabile creare le con-dizioni affinché si sviluppi una nuova cultura organizzativa basata sul-la sicurezza nei luoghi di lavoro, in grado di superare le norme ed in-fluire sulle condotte dei lavoratori. Ciò rappresenta un nuovo obiettivo verso cui orientare le azioni ed i processi organizzativi, sia dal punto di vista della progettazione dei metodi di produzione, che nella gestio-ne delle risorse umane.

3.2. Sviluppare una cultura organizzativa verso la sicurezza

Modificare o sviluppare una nuova cultura organizzativa, come ab-

biamo visto, rappresenta il costrutto organizzativo, attraverso il quale poter influenzare positivamente le variabili soggettive verso la sicu-rezza.

I comportamenti dei singoli, se pur ispirati e stimolati da una visio-ne soggettiva del pericolo, della sicurezza e del rischio sono, in un contesto organizzativo, influenzati/modificati, dalle percezioni e dai comportamenti del gruppo di riferimento. Per tornare all’esempio pre-cedente, uno sciatore di fronte ad un divieto si sentirà meno motivato

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ad infrangerlo se, insieme a lui, un gruppo di amici assumerà condotte più prudenti; parimenti se lo sciatore è prudente ed il gruppo no, esso sarà indotto verso comportamenti rischiosi.

Per costruire una cultura della sicurezza capace di indirizzare i comportamenti dei singoli, è dunque necessario agire sulla componen-te individuale e sociale delle persone, così da favorire l’instaurarsi di un circolo virtuoso che vede l’individuo capace di influenzare il grup-po e a sua volta esserne positivamente influenzato (vedi figura 2).

In definitiva, da un punto di vista metodologico ed operativo, oc-corre individuare modalità formative in cui la finalità non sia la sem-plice trasmissione delle nozioni di base sulla sicurezza e sul corretto utilizzo degli strumenti di prevenzione individuale, cosa che oggi av-viene nel 99% degli interventi formativi legati alla sicurezza.

Occorre, invece, una formazione che ponga al centro il cambiamen-to della persona, che superi l’obiettivo di apprendimento legato al sa-pere e al saper fare in termini di sicurezza, ma agisca sul saper essere e sull’essere.

Affinché si sviluppi una cultura della sicurezza, i piani formativi aziendali devono, partendo dal singolo, poter agire, in maniera esplici-ta e metodologicamente valida, sulle componenti intime delle persone, sui loro processi cognitivi, sui loro valori, sulle proprie aspettative, senza sperare che tali processi di cambiamento avvengano in maniera naturale e spontanea.

Figura 2. Processi sociali di cambiamento della cultura organizzativa.

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4. La formazione delle competenze per la sicurezza Dall’analisi dei paragrafi precedenti possiamo sintetizzare quanto

segue: la diminuzione degli infortuni sui luoghi di lavoro dipende da due variabili, da una parte l’eliminazione delle fonti di pericolo, dal-l’altra il miglioramento delle processi e delle condotte soggettive in relazione al pericolo stesso.

Per affrontare la variabile organizzativa, un approccio quale quello illustrato nella prima parte del testo, che vede, al fianco del rispetto delle norme, l’applicazione di processi di autocertificazione, rappre-senta sicuramente la migliore risposta possibile.

Per la variabile soggettiva è invece necessario sviluppare un nuovo approccio, ovvero agire, nei programmi sulla sicurezza aziendale, sul-le componenti individuali, al fine di implementare una cultura della sicurezza tale da diventare un valore per i singoli, i gruppi e l’organiz-zazione.

La proposta, in tale contesto, è quella sviluppare nei soggetti che lavorano, una nuova competenza, definibile come “Orientamento alla sicurezza”, una nuova e necessaria caratteristica del bagaglio profes-sionale di chi opera tutti i giorni in situazioni fatalmente pericolose e che probabilmente, vista l’attuale emergenza sulla sicurezza, ha biso-gno di essere dotato di migliori strumenti cognitivi attraverso cui in-terpretare il momento lavorativo.

Il processo appena descritto può essere paragonato al fenomeno della sicurezza stradale dove, nonostante innumerevoli sforzi, sono or-mai chiari i limiti di una pur una ampia segnaletica stradale, come quelli della innovativa “patente a punti”!

Sulla strada si muore proprio come nei luoghi di lavoro, perché molte persone non percepiscono il valore della sicurezza, ovvero non hanno, nel loro bagaglio, un sufficiente orientamento alla sicurezza.

4.1. L’orientamento alla sicurezza

Le competenze rappresentano il patrimonio professionale di tutti i

lavoratori, tale concetto è utilizzato spesso come definizione dei requisi-ti minimi per l’ingresso nel mondo del lavoro, come pure per individua-re percorsi di sviluppo e di carriera dei singoli o dei gruppi di lavoratori.

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Le competenze professionali possono essere descritte e suddivise in due macro categorie, specifiche e trasversali, a seconda che siano e-sclusive di una data professione, ad esempio la competenza nella ge-stione dei sedativi di un anestesista, o comuni a molte professioni, co-me ad esempio la competenza comunicativa che riguarda mestieri che vanno dal medico al venditore.

Da un punto di vista metodologico, per competenza si definisce l’a-gire complesso di ognuno, in maniera soddisfacente, in relazione ad un problema. La competenza è sempre riferita ad un agire complesso che si basa sulle conoscenze e capacità del singolo, ma che coinvolge la persona nella sua interezza motivazionale, emotiva, valoriale.

La differenza sostanziale tra competenza e capacità, che si deduce dalla definizione, può essere descritta come segue: le capacità descri-vono le abilità dei singoli nell’eseguire compiti semplici e ripetitivi, ad esempio battere un chiodo; le competenze riguardano, invece, la sfera delle soluzioni di problemi che, pur necessitando di determinate capacità, prevedono processi cognitivi e scelte non automaticamente determinabili. Ad esempio, la competenza per costruire una riparo in un cantiere si basa sulla capacità di utilizzare legni e chiodi, ma prevede anche processi di scelta sulla posizione, sulla destinazione d’uso etc.

Dal punto di vista della sicurezza, possiamo dire che la conoscenza delle normative ed il corretto approccio nei luoghi di lavoro rientrano nella sfera delle conoscenze e capacità (sapere e saper fare), mentre la competenza di orientamento alla sicurezza, rappresenta la modalità in cui la persona analizza, reagisce ed agisce (saper essere ed essere) complessivamente, rispetto alle diverse situazioni, prevedibili o emer-genziali, di lavoro.

Nel contesto organizzativo è possibile allora affermare che per orientamento alla sicurezza intendiamo la competenza dei singoli di saper ri-conoscere le fonti di pericolo sia evidenti che nascoste ed agire in relazione ad esse sulla base di una corretta analisi del contesto e delle proprie capacità, nonché in relazione ad un equilibrata valutazione di sé e della propria pro-pensione al rischio, al fine di evitare e prevenire comportamenti, singoli o di gruppo, potenzialmente lesivi per se stessi e per gli altri. Come si evince, lo sviluppo di tale competenza colma il gap indivi-

duato nei paragrafi precedenti tra l’organizzazione e l’uomo, indivi-

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Capitolo primo 30

duando nel lavoratore non più un passivo esecutore di procedure ope-rative, quanto, piuttosto, il protagonista della sicurezza quale soggetto consapevole ed attivo verso l’individuazione delle possibili fonti di pericolo ed attore nel prevenire comportamenti propri ed altrui poten-zialmente lesivi.

Per sviluppare tale competenza è necessario, però, ripensare i piani formativi aziendali, inserendo moduli che, attraverso una metodologia d’aula efficace, possano determinare quei processi spesso evocati di cambiamento individuale, tali da generare dinamiche positive all’in-terno dei gruppi di lavoro ed infine caratterizzare l’organizzazione nel suo insieme così da sviluppare una nuova cultura della sicurezza.